tà augustea - i nostri tempi supplementari

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Il regime augusteo
Lo sbocco di una lunga crisi
La crisi della repubblica durò circa settant'anni e conobbe 4 violente guerre
civili: Mario contro Silla, Cesare contro Pompeo, Antonio e Ottaviano contro
Bruto e Cassio, Antonio contro Ottaviano.
Caio Giulio Cesare Ottaviano, pronipote di Cesare e da lui adottato, riuscì a
risolvere la crisi: nel mezzo secolo in cui fu al potere compì la decisiva
trasformazione dello stato romano infatti fu il fondatore del principato e, di
fatto, l'iniziatore del regime imperiale.
Eliminati i cesaricidi Bruto e Cassio a Filippi, in Tracia (42 a. C.), fra i triumviri
Antonio, Ottaviano e Lepido nacque la rivalità per il potere. Nel 40 decisero di
diversi l'impero: Antonio ottenne il governo delle province orientali, Ottaviano
di quelle occidentali compresa l'Italia, mentre a Lepido venne concesso solo il
controllo dell'Africa, ma di l' a poco venne estromesso dal potere.
Dopo aver sconfitto definitivamente Pompeo, Ottaviano combatté ad Azio, sulla
costa meridionale dell'Epiro, la battaglia decisiva contro Antonio e Cleopatra,
regina d'Egitto alla quale si era unito. i due in seguito si uccisero e Ottaviano
rimase l'unico padrone di Roma.
Le radici del potere imperiale
Ottaviano nel 27 si fece conferire l'imperium proconsolare sulle province non
ancora pacificate e il titolo di princeps consolare e di augustus. Nel 23 si fece
conferire la tribunicia potestas perpetua, lo stesso anno il potere proconsolare
divenne perpetuo su tutte le province e ottenne il pontificato massimo nel 12.
Ottaviano rispettò almeno nella forma la tradizione costituzionale repubblicana
e acquisì uno dopo l'altro i principali poteri che venivano esercitati durante la
res publica. La differenza sostanziale era però che tali poteri venivano ora
assunti da un unico individuo: ciò fece di Ottaviano una sorta di principe o di
imperatore. Lo stato veniva così di fatto trasformato in una monarchia, anche
se privo di connotati assolutistici: il capolavoro di Ottaviano fu l'aver fondato
un sistema nuovo, il principato, senza che fosse abbattuto, almeno in
apparenza l'ordinamento della res publica tradizionale.
La riorganizzazione dello stato romano
Augusto riformò lo stato mantenendo sempre un sapiente equilibrio tra vecchio
e nuovo.
Suddivise le province in senatorie (quelle pacifiche e poste lontane dai confini)
e imperiali (le regioni recentemente conquistate), queste ultime controllate
direttamente da lui tramite delegati.
Introdusse quattro nuove magistrature, ovvero le prefetture del pretorio, dei
vigili, dell'Egitto e dell'annona: il cardine del regno di Augusto fu proprio
questo nuovo apparato di funzionari, scelti in prevalenza tra i cavalieri e in
parte anche fra i liberti. I funzionari ricevevano uno stipendio fisso
e
rispondevano direttamente al principe: Augusto mise così in moto la complessa
macchina burocratica che avrebbe garantito per diversi secoli il funzionamento
del grande impero. Fu preservato a livello formale il potere del senato, ma in
realtà esso venne a poco a poco esautorato, in quanto le decisioni erano prese
dal principe e dal suo ristretto gruppo di consiglieri.
Augusto istituì i pretoriani come propria guardia ufficiale, agli ordini di due
prefetti del pretorio di rango equestre, unico corpo armato stanziato in Italia
permanentemente.
Con l'aiuto di Tiberio, suo successore, si occupò dell'annessione di diverse
province raggiungendo i confini del Reno, del Danubio e dell'Eufrate. Nel 9.
d.C. le legioni vennero però sconfitte dai germani e da allora il confine
dell'impero venne fissato sul Reno.
Le tre fasi dell'età augustea
La prima fase (dalla morte di Cesare 44 d.C. alla battaglia di Azio 31 a. C.) fu
caratterizzata dalla paura di un crollo dello stato, da vendette politiche,
spargimenti di sangue, requisizione di terre agli italici e assegnazione ai
veterani, desolazione e rovina colpirono Roma e le province.
La seconda fase (31-12 d.C.) è il momento dell'espansione augustea.
L'ultima fase (12-14 d. C.) segna un netto ripiegamento, lo spartiacque può
essere fissato nel 12 a. C., l'anno della morte del fedele collaboratore Agrippa.
Augusto non aveva eredi diretti e vide scatenarsi attorno a sé la lotta per il
potere. Negli ultimi anni la politica di Augusto si mise sulla difensiva
accentuando il controllo sulla società in direzione militare.
Nel 4 d.C., poiché anche i figli di Giulia erano tutti morti in tenera età, adottò
Tiberio, il figlio che la sua seconda moglie Livia aveva avuto dal primo
matrimonio. Alla morte di Augusto (14 d.C.) il senato affidò il potere a Tiberio.
Augusto e la rifondazione di Roma
La politica di restaurazione del princeps
Dopo Azio Ottaviano si presentò come l'arbitro della pacificazione universale: la
città aveva bisogno di pace sociale e di una garanzia di ordine, e Ottaviano
riuscì a dargliele; aveva bisogni di continuità e Ottaviano riuscì a fornire
un'illusione di tutto ciò.
Ottaviano puntò alla restaurazione dei mores antichi, diresse il governo in
modo saldo, accentrò i poteri, razionalizzò l'amministrazione.
In realtà era una illusione pensare di rifare Roma ed l'illusione cadde.
I cardini della propaganda augustea furono:
-il recupero delle antiche consuetudini, al cui abbandono venivano imputate la
crisi morale della repubblica e le guerre civili;
-il ritorno alla terra e alla famiglia;
-il mito di Roma come guida per tutto il mondo pacificato da Augusto.
Tra il 18 e il 17 a. C. vennero emanati provvedimenti che avevano per scopo la
moralizzazione della società: l'adulterio diventa un delitto pubblico, il
matrimonio è reso quasi obbligatorio, si tenta di limitare il lusso.
In ambito religioso Augusto cercò di ripristinare le credenze tradizionali,
alterate dalla crescente diffusione di culti orientali, e recuperò antiche
cerimonie ufficiali.
Mitigò almeno in parte il culto della sua persona diffusosi fra gli strati più bassi
della popolazione, privilegiò invece la devozione per il proprio "genio", un culto
che poteva inserirsi nel solco della tradizionale religione romana.
Il ruolo della cultura
Furono soprattutto gli scrittori a dare voce agli ideali di Augusto: il suo governo
cercò sempre l'appoggio del mondo della cultura, considerata una forza. Da qui
la politica di intervento e di controllo culturale finalizzata alla coesione sociale
intorno al programma di governo.
La fase espansiva del principato di A. è rappresentata al meglio da scrittori
come Quinto Orazio Flacco, Publio Virgilio Marone, Sesto Properzio e Albio
Tibullo: essi cantarono la liberazione dall'angoscia delle guerre civili, un
atteggiamento positivo verso il mondo e la storia, un atteggiamento condiviso
dalla società romana del tempo, anche se verrà in buona parte meno con
Publio Ovidio Nasone e negli scrittori dell'ultima stagione augustea.
Consonante con la politica di A. fu l'opera storica di Tito Livio.
Tra le varie iniziative culturali di A. vanno segnalati gli sforzi affinché
giungessero a Roma e vi si trattenessero maestri di origine greca.
Per incoraggiare e sorvegliare l'attività culturale del suo tempo A. creò due
biblioteche pubbliche. Venne però svolto anche una sorta di controllo e di
censura sulla produzione letteraria.
La trasformazione di Roma
Un'autentica febbre edilizia investì Roma: l'obiettivo era trasformarla in una
metropoli che suscitasse nei visitatori ammirazione e nei suoi cittadini orgoglio.
Furono chiamati gli architetti migliori, tra i quali Vitruvio; gli scultori invece
furono generalmente greci, della corrente detta neoatticismo, che prendeva a
modello le grandi opere ateniesi classiche e non più quelle ellenistiche.
La città venne completamente ristrutturata sul piano urbanistico e venne divisa
in 14 "regioni", a loro volta ripartite in piccoli quartieri o vici. Furono restaurati
quattro acquedotti della capitale e ne fu costruito un quinto. Venne
modernizzato il sistema di fognature e furono rialzati gli argini del Tevere. Si
creò un corpo di vigiles, con funzioni di polizia urbana e di vigili del fuoco.
Gli interventi più dispendiosi furono attuati sui palazzi del potere. Furono
restaurati antichi templi. Venne realizzato il vasto complesso monumentale del
nuovo Foro di Augusto. Nel Campo Marzio si innalzarono il Mausoleo, la grande
tomba familiare dell'imperatore e l'Ara Pacis, l'altare inaugurato nel 9 a. C. che
celebrava il princeps e il suo programma politico ricollegandolo al mito di Enea
e alla missione provvidenziale dell'impero. Nel Campo Marzio fu anche eletto
da Agrippa il Pantheon, il tempo di tutti gli dei.
Infine A., che aveva individuato nel teatro e nei ludi un importante strumento
di consenso, completò la costruzione del teatro di Marcello, realizzò migliorie
nel Circo Massimo e fece scavare un bacino artificiale per le naumachie; nel 29
a. C. nel Foro Romano fece erigere un arco trionfale per celebrare la vittoria ad
Azio e, accanto, il tempo del Divo Giulio (cioè Giulio Cesare divinizzato).
Nell'intera Italia e nelle province vennero eretti teatri, anfiteatri, acquedotti,
archi di trionfo che celebravano la gloria di Augusto e la pace da lui portata.
La letteratura sotto Augusto
Mecenatismo è l'opera di chi promuove e favorisce le lettere, l'arte e la cultura,
sovvenzionando gli scrittori. Il termine deriva da Mecenate, amico e
collaboratore di Augusto.
Il mecenatismo non nacque con Mecenate. Già i sovrani ellenistici avevano
protetto artisti e poeti come espressione della loro autorità e fonte di prestigio.
A Roma nei secoli della repubblica era diffuso il fenomeno del patronato.
L'atteggiamento di A. Risulta però diverso, più originale e incisivo: il suo
patronato non fu infatti un evento episodico, ma scaturì direttamente dal suo
stile di governo e dall'ideologia che lo animava. A. Lasciò a Mecenate, una
specie di ministro della cultura, il delicato compito di proteggere gli artisti: il
che significava conquistarsi la loro confidenza, incoraggiarli a scrivere,
promuovere certe idee e certi valori, il tutto con tatto e discrezione.
Attorno a sé Mecenate raccolse una cerchia di intellettuali di altissimo livello, il
cosiddetto Circolo di Mecenate. Comprendeva gli artisti più prestigiosi
dell'epoca, originari di varie parti d'Italia: Properzio, Virgilio, Orazio, Cornelio
Gallo e altri.
Mecenate in linea con la restaurazione culturale e morale voluta da A.
Promesse una letteratura nutrita di forte impegno ideale, una letteratura
nazionale, attenta al mito e al destino di Roma anche se in modo non
smaccatamente propagandistico.
L'ideale del classicismo
Lo sguardo alla Grecia
L'età augustea presenta un'eccezionale concentrazione di capolavori.
Ciò che accomuna questa ricca produzione è la consapevole volontà degli
autori di “rifare i grandi capolavori greci: la letteratura di Roma può guardare
da pari a pari la letteratura greca e ne vuole riproporre i prototipi con una sorta
di equivalenti latini.
La Grecia a cui i poeti augustei guardano è quella “classica”.
I poeti romani non si accontentano di imitare i greci. Dichiarano le loro fonti, le
espongono in bella vista, per rendere più interessante la gara e più appetibile
la vittoria.
Il canto della realtà contemporanea
I poeti augustei si rivelano molto attenti al mondo circostante e ai suoi temi.
Nelle Bucoliche I, IV e IX Virgilio dà voce al dramma delle guerre civili e alla
conseguente aspirazione a un mondo rigenerato, ma senza usare toni
drammatici.
La poesia di Augusto fu anche poesia “privata”, attribuì cioè uno spazio
preferenziale alla dimensione interiore.
Universalità e classicità
La poesia augustea si fonda sul tentativo di sintesi tra poli discordanti: l'io e la
dimensione della civitas.
Il manifesto teorico di questa sintesi è stato delineato da Orazio nell'Ars poetica
in famosi precetti, divenuti canonici per la successiva cultura poetica europea:
-mescolare all'utile il dolce
-dilettare e insieme istruire
-valorizzare il talento individuale e insieme sottoporlo al duro tirocinio dell'ars
-riprodurre il vero e il verosimile
-rifuggire il fantastico e l'irrazionale con logica, unità e semplicità
-evitare ogni eccesso e seguire il giusto mezzo, per non cadere in una falsa
apparenza, in un divertimento futile.
Arte e moralità alla fine si fondono in una sintesi perfetta.
Grazie a questi elementi, Orazio, Virgilio e gli altri poeti augustei sono riusciti
ad attingere a una dimensione di universalità e classicità.
Con Ovidio le cose cominciano a cambiare: bellezza ed eleganza nelle sue
opere sono spesso ricercate per se stesse. Inizia a venir meno la sintesi
delineata nell'Ars poetica, dove il bello non poteva sussistere se non come
espressione del bene. Perciò Ovidio si pone già oltre il classicismo augusteo:
con lui, in un certo senso comincia la nuova letteratura dell'età imperiale.
La cultura non allineata
Gli intellettuali indipendenti
Nella Roma augustea spiccano almeno due personaggi indipendenti da Augusto
ma animatori come Mecenate della vita culturale. Sono due intellettuali di
primo piano come Asinio Pollione e Messalla Corvino.
Il maggior merito di Pollione è la scoperta del talento poetico di Virgilio, inoltre
fece aprire la prima biblioteca pubblica di Roma. Fu sempre Pollione a
diffondere a Roma la moda delle recitationes (letture pubbliche), leggendo in
pubblico le proprie opere.
Un vero circolo di poeti e letterati costituì attorno a sé Messalla. Era una
personalità molto in vista, pur se non ben integrata (sembra per sua scelta)
nella cerchia degli amici di Ottaviano. Dai contemporanei era ritenuto uno dei
massimi oratori viventi, di tendenza atticista come Pollione. La sua fama
maggiore è dovuta al fatto che fu il patrono di Tibullo, di Ovidio giovane e di
altri minori: poeti tutti appartati rispetto alle tendenze promosse da Mecenate,
perché restii a praticare un'arte impegnata su temi civili. Lo stesso Messalla
compose poesie d'amore e bucoliche in greco, il che lo collega ulteriormente a
Tibullo e al clima un po' elitario del suo circolo.
Il silenzio sugli oppositori
Il governo di Augusto ebbe l'effettivo merito di soddisfare l'esigenza
universalmente sentita della pax. Per essa a molti parve che fosse sacrificabile
la stessa libertas. Poche e rapidamente condannate al silenzio furono le voci
degli oppositori, nostalgici della repubblica. I vincitori si premurarono di
cancellare ogni loro traccia, così che poco o nulla ne è rimasto.
Esemplare il caso di Ovidio, che l'8 d.C. fu condannato all'esilio e i suoi libri
furono esclusi dalle biblioteche: il poeta aveva rivelato che nel mondo di lussi,
di piacere, di libero amore che animava la capitale, non c'era più posto per le
virtù originarie – fedeltà alla famiglia, purificazione dei costumi, sanità di vita –
celebrate dal principe.
La condanna di Ovidio fu l'unica, al tempo di Augusto, che riguardò un poeta.
Tuttavia il dissenso covava in almeno altre due categorie di intellettuali, cioè gli
oratori e i filosofi. Alcuni oratori vollero opporsi all'atticismo trionfante dandosi
all'asianesimo e unendo l'amore per le libertà repubblicane.
I nuovi volti della libertas
Nell'età di Augusto era lui che pensava allo stato e decideva per tutti. Cominciò
così gradualmente e malgrado le iniziative di Augusto, a venire meno quello
slancio di partecipazione politica che aveva segnato in profondità la tradizione
romana. Dopo le guerre civili e la nascita del principato, la vita della civitas
venne avvertita come una realtà distante ed estranea. Ormai l'unica libertas
che sembrava davvero importante era quella interiore.
Tramontato il tempo della severa religione di stato, il futuro sembrava dunque
appartenere alle filosofie e alle religioni orientali. L'ascesa delle religioni
misteriche fu inarrestabile.
Ampia diffusione ebbero i temi filosofici. Le fonti ci hanno tramandato
l'interesse personale di Augusto verso la filosofia e in particolare per il pensiero
stoicheggiante: esso postulava l'esistenza nel cosmo di un ordine
provvidenziale, di natura divina, che tutto regola con razionalità; è appunto il
princeps a incarnare per lo stato una simile guida provvidenziale.
Virgilio e Orazio inclinavano, almeno in privato, verso la filosofia epicurea,
depurata però dell'ateismo di partenza, riconvertito a fondo di saggezza
quotidiana, come generica aspirazione alla tranquillità dell'animo.
La filosofia è concepita come ricerca di perfezionamento interiore.
Il filosofo Quintio Sestio con alcuni seguaci diede vita a una scuola di
orientamento stoico-pitagorico (scuola dei Sesti): essi rappresentano il caso
emblematico di un gruppo di intellettuali amanti della libertas, ma poco
disposti a esercitarla in competizione o in opposizione con il regime al potere,
una libertà perseguita nell'isolamento, nel dialogo con se stessi.
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