INFORMAZIONE - Studi Filosofici

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1
* Nel numero 30 è stato
inavertitamente omesso
nella redazione il nome
di Clotilde Calabi
31
EDITORIALE
A cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione (1947)
presso l’editore Querido di Amsterdam, la Dialettica
dell’illuminismo di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer é di nuovo al centro dell’interesse degli studiosi,
grazie anche ad una nuova edizione dell’opera presso
Einaudi, a cura di Carlo Galli, che tuttavia mantiene gli
errori e le lacune nella traduzione del testo, presenti già
nella prima edizione (1966).
Fin dalla sua prima apparizione quest’opera ebbe il
merito, anche per via del periodo e del modo in cui
veniva pubblicata, di sottrarsi ad una lettura distaccata
o puramente teoretica, suscitando negli interpreti posizioni controverse, soprattutto riguardo all’analisi del
nazismo e del fenomeno dell’antisemitismo e alla denuncia di totalitarismo della cultura americana. Ma il nodo
teorico su cui si sarebbero affaticati gli interpreti di
allora come quelli di oggi resta l’intreccio di mito e
illuminismo, il reciproco ribaltarsi dei termini l’uno
nell’altro, che fonda il processo di civilizzazione come
progressivo dominio dell’uomo sulla natura esterna e
sulla propria natura interna. Modello di questa dialettica di dominio e autodominio é l’Ulisse omerico, sulla cui
vicenda, in un breve Excursus rimasto famoso, Adorno
concentrava i caratteri, le aspirazioni, i desideri, le
rinunce e tutte le idiosincrasie e barbarie dell’individuo
moderno.
In omaggio a questa interpretazione dell’eroe omerico,
alla particolare suggestione linguistica e teoretica che
queste pagine adorniane continuano a serbare per il
lettore di oggi, presentiamo qui di seguito uno dei brani
più noti (Dialettica dell’illuminismo, trad. it., Einaudi
Torino 1966, pp. 67-69).
la maledizione. Ogni diritto della storia passata reca i
segni di questo schema. Nel mito ogni momento del ciclo
ripaga quello che lo precede e collabora cosí a insediare
come legge il nesso della colpa. A ciò si oppone Odisseo.
Il Sé rappresenta l’ universalità razionale contro l’ineluttabilità del destino. Ma trovando egli l’universale e
l’ineluttabile già strettamente intrecciati fra loro, la sua
razionalità assume necessariamente forma restrittiva:
quella, cioè, dell’eccezione. Egli deve sottrarsi ai rapporti giuridici che lo circondano e lo minacciano da ogni
parte, e che sono inscritti, per cosí dire, in ogni figura
mitica. Egli soddisfa alla norma giuridica in modo che
essa perda il suo potere su di lui nell’atto stesso in cui egli
glielo riconosce. E’ impossibile udire le Sirene e non
cadere in loro balia: esse non si possono sfidare impunemente. Sfida e accecamento sono la stessa cosa, e chi le
sfida è già vittima del mito a cui si espone. Ma l’astuzia
è la sfida divenuta razionale. Odisseo non tenta di seguire
un’altra via da quella che passa davanti all’isola delle
Sirene. E non tenta neppure di fare assegnamento sul suo
sapere superiore e di porgere libero ascolto alle maliarde,
nell’illusione che gli basti come scudo la sua libertà. Egli
si fa piccolo piccolo, la sua nave segue il suo corso fatale
e prestabilito, ed egli comprende che, per quanto possa
distanziarsi consapevolmente dalla natura, le rimane,
come ascoltatore, asservito. Egli osserva il patto della
sua dipendenza, e si divincola ancora, dall’albero della
nave, per gettarsi nelle braccia di quelle creature di
perdizione. Ma egli ha scoperto una lacuna nel contratto,
attraverso la quale, mentre adempie al decreto, nello
stesso tempo gli sfugge. Nel patto originario non è
previsto se chi passa ascolterà legato o non legato il
canto. L’uso di legare appartiene solo a uno stadio dove
il prigioniero non è piú ucciso immediatamente. Proprio
in quanto - tecnicamente illuminato - si fa legare, Odisseo riconosce la strapotenza arcaica del canto. Egli si
china al canto del piacere, e lo sventa, cosí, come la
morte. L’ascoltatore legato è attirato dalle Sirene come
nessun altro. Solo ha disposto le cose in modo che, pur
caduto, non cada in loro potere. Con tutta la violenza del
suo desiderio, che riflette quella delle creature semidivine, egli non può raggiungerle, poichè i compagni che
remano, con la cera nelle orecchie, non sono sordi solo
alle Sirene, ma anche al grido disperato del loro capitano.
Le Sirene hanno quel che loro spetta, ma già ridotto e
neutralizzato - nella preistoria borghese - al rimpianto di
chi prosegue. L’epos non dice che cosa accade alle
cantatrici dopo che la nave di Odisseo è scomparsa. Ma
nella tragedia sarebbe stata certo la loro ultima ora, come
per la Sfinge quando Edipo risolve l’indovinello, eseguendo il suo ordine e cosí rovesciandola. Poiché il
diritto delle figure mitiche, che è il diritto del piú forte,
vive solo dell’ineseguibilità delle loro norme. Se esse
vengono soddisfatte, i miti si dissolvono fino alla piú
lontana posterità. Dall’incontro felicemente mancato di
Odisseo con le Sirene tutti i canti sono feriti, e tutta la
musica occidentale si arrabatta di fronte all’assurdità del
canto nella civiltà, assurdità che è tuttavia, ad un tempo,
l’ispirazione di ogni musica d’arte.
E la formula dell’astuzia di Odisseo è proprio quella che
lo spirito separato, strumentale, aderendo docilmente
alla natura, dà ad essa quello che le appartiene e cosí
facendo la inganna. I mostri mitici nel cui raggio d’azione egli capita. rappresentano ogni volta, per cosí dire,
contratti pietrificati, diritti preistorici. E’ cosí che la
religione popolare piú antica si presenta, nei suoi sparsi
relitti, all’età patriarcale avanzata: sotto il cielo olimpico, essi sono divenuti emblemi del destino astratto, della
necessità vuota di senso. Che non si potesse scegliere
altra via che quella fra Scilla e Cariddi, si può interpretare
- razionalisticamente - come trasposizione mitica dell’irresistibilità della corrente marina per le piccole navicelle
arcaiche. Ma nella trasposizione e oggettivazione mitica
il rapporto naturale di forza e impotenza ha già assunto
il carattere di un rapporto giuridico. Scilla e Cariddi
hanno un diritto su tutto ciò che capita sotto le loro
unghie, come Circe ha il diritto di trasformare chi non è
immunizzato, o Polifemo di divorare i suoi ospiti. Ognuna delle figure mitiche è tenuta a fare sempre la stessa
cosa. Ognuna consiste nella ripetizione: il cui fallimento
segnerebbe la sua fine. Hanno tutte qualcosa di ciò che nei miti di punizione degli inferi: Tantalo, Sisifo, le
Danaidi - è motivato da un verdetto olimpico. Sono
immagini di coazione: le atrocità che commettono sono
la maledizione che pesa su di esse. L’ineluttabilità mitica
è definita dall’equivalenza fra quella maledizione, il
delitto che la paga e la colpa che ne deriva e che riproduce
2
SOMMARIO
5 RESOCONTO
46 Le meditazioni metafisiche di Cartesio
5 Theodor W. Adorno: Mito, mimesi e critica della cultura
46 I vizi per Tommaso D’Aquino
47 Verità e vita in Montaigne
11 PROFILO
48 La concezione dello spazio in Husserl
11 Attualità di Nicola Abbagnano
49 L’ontologia sensibile di Merleau-Ponty
50 La fenomenologia di Friburgo
17 INTERVISTA
51 L’estetica di Schelling
17 Sulla competenza lessicale
52 L’eliocentrismo di Copernico e Galilei
21 AUTORI E IDEE
55 CONVEGNI E SEMINARI
21 L’itinerario filosofico di Labriola
55 Sull’educazione
23 Tempo della vita e tempo del mondo in Blumenberg
55 Filosofi e scienziati in dialogo
24 L’ispirazione filosofica
57 Itinerari nel pensiero di Nietzsche
24 Ricoeur e il male
58 L’immaginazione
25 Metafisica ed etica del tempo
58 Individuo e comunità
26 Etica e saggezza greca
59 La filosofia russa tra Ottocento e Novecento
27 Sulla stanchezza
60 Filosofia e filologia classica
28 Realtà, linguaggio, pratica
60 La filosofia di Saul Kripke
29 Ripensando Carl Schmitt
61 Finitezza e trascendenza
29 Linguaggi matematici e matematiche del linguaggio
62 Scienza e filosofia in Francia e in Italia
30 Prini: il desiderio di essere
63 Cassirer, cinquant’anni dopo
30 Critica dell’interpretazione scientifica del mondo
64 Cristianesimo e modernità
31 Ermeneutica ed estetica
65 Filosofia a Bariloche
65 Bicentenario rosminiano
33 TENDENZE E DIBATTITI
67 Agostino interprete dell’Occidente
33 Sul mestiere dello storico
34 Poesia e filosofia
73 DIDATTICA
34 Nuovi studi di filosofia politica
73 Nuovi manuali di filosofia
35 Hegelismo francese
74 Strumenti
36 Le forme dell’ermeneutica
75 Convegni
37 Metafisica, epistemologia e storia
79 Primo piano: Per un confronto di opinioni
38 Contro la logica dell’identità
39 Filosofia ed esperienza di Dio
80 STUDIO
40 Natura e storia
80 La filosofia della religione
80 Il pitagorismo
41 PROSPETTIVE DI RICERCA
81 Sociologia della cultura
41 Eresia e amor puro in Fénelon
82 RASSEGNA DELLE RIVISTE
43 Dispute medievali
44 Emilio contro ‘Emilio’
87 NOVITÀ IN LIBRERIA
45 Amore e filosofia in Kierkegaard
45 Le parole di Foucault
3
RESOCONTO
Theodor Wiesengrund Adorno
4
RESOCONTO
O r g a n i z z a to
dalla rivista
«Nuova corrente» (che ne
pubblicherà gli
atti) e dal Goethe Institut di
Genova, in coldi
laborazione
Giuseppe Cospito
con l’Istituto
Italiano per gli
Studi Filosofici e la Provincia di Genova,
nei giorni 4 e 5 aprile 1997 si è tenuto a
Genova un convegno internazionale di studi dal titolo: “Per una rilettura di Theodor
W. Adorno. Mito, mimesis e critica della
cultura”, che è stato anche un’occasione
per riflettere sull’eredità e l’attualità della
Dialettica dell’illuminismo (Amsterdam
1947) di Max Horkheimer e Theodor W.
Adorno a cinquant’anni dalla sua prima
edizione.
Come hanno rilevato Andrea
Borsari e Santino Mele, ai
quali si deve il progetto scientifico e l’organizzazione del convegno genovese, «Adorno rappresenta l’intransigenza di una
teoria che prende corpo criticamente, ovvero eticamente, tanto nella resistenza ai processi
pervasivi di integrazione, quanto in una ricerca che non rinuncia a circoscrivere l’umano nella sua interezza, interrogandosi
sulle ambivalenze di un’antropologia tesa fra autoconservazione e creatività della vita». Di
fatto, continuano Borsari e
Mele, «dopo lunghi anni di
mode, di usi ideologici, di oblio
o di tran tran accademico, per
riproporre oggi in Italia la lettura di Theodor W. Adorno (19031969) basterebbero ragioni
scientifiche». E queste ragioni
sono innanzitutto di ordine editoriale: dopo che è giunta a compimento
l’edizione delle Gesammelte Schriften
(Scritti completi, voll. 1-20, a cura di R.
Tiedman, Francoforte s/M. 1970-86) è iniziata, a cura dell’Adorno-Archiv di Francoforte, la pubblicazione delle Nachgelassen Schriften (Scritti postumi), tra cui, particolarmente interessante, figura la trascrizione delle lezioni del semestre estivo 1963,
Probleme der Moralphilosophie (Problemi di filosofia morale, Francoforte s/M.
1996).
A queste ragioni si aggiungono poi motivi
inerenti alla ricezione critica dell’opera
adorniana, che è stata ultimamente tacciata
di “sfrenato scetticismo della ragione” (J.
Habermas), o considerata condizione per
una ripresa radicale della teoria critica (Ch.
Türcke), o messa a confronto con l’opera di
Michel Foucault (A. Honneth), o utilizzata
come un orientamento per la critica del
post-moderno (F. Jameson).
Nella sua ricostruzione del rapporto tra
Per una rilettura
di Theodor
W. Adorno. Mito,
mimesis e critica
della cultura
l’estetica di Adorno e il “secolo dell’estremo”, Rolf Wiggershaus ha preso le mosse
dal celebre aforisma adorniano secondo il
quale «scrivere una poesia dopo Auschwitz
è una barbarie», mostrando come né l’accezione originaria di “barbaro”, né quella
impiegata da Adorno siano da intendersi
soltanto in senso negativo. In sostanza,
Adorno non teorizza la fine dell’arte dopo
gli orrori della seconda guerra mondiale e
dell’Olocausto, ma ne distingue due possibili forme: una “radicale”, anche dal punto
di vista formale (il primo Schönberg, il
Picasso di Guernica), che non cela alcuna
verità, anche la più terribile e “scandalosa”; l’altra che, con il suo andamento estetizzante (le poesie di Celan e Sachs), partecipa alla rimozione e alla mistificazione
collettive dell’esperienza traumatica. In
questo senso va intesa l’affermazione della
Dialettica dell’illuminismo secondo la quale
sessantottesco. Esponenti del “marxismo
critico”, invece, pur rifiutandone alcuni
aspetti estremistici, videro nel movimento
francofortese una possibile alternativa al
marxismo ortodosso di stampo sovietico.
Infine, dopo “il periodo di latenza” degli
anni Ottanta, oggi, con l’affermarsi delle
tematiche postmoderne e del “pensiero
debole”, la critica di irrazionalismo a suo
tempo rivolta alla Dialettica si è significativamente rovesciata in accusa di eccessivo
razionalismo. Petrucciani, anche se rifiuta
la revisione della teoria critica operata da
Habermas, non condivide tali esiti sostanzialmente scettici.
La relazione di Josef Früchtl è stata rivolta
a mettere in evidenza come l’originaria
teoria critica della cultura francofortese,
con la sua pretesa di insegnare qual è la vera
cultura e di distinguerne forme “alte” e
“basse”, appaia del tutto inadeguata nella
società postmoderna. Früchtl si
è soffermato in particolare sul
saggio di Marcuse Sul carattere affermativo della cultura,
mostrando come il concetto di
cultura analizzato da Marcuse
sia caratterizzato dall’offerta di
uno spazio, sia pure “falso”, a
quelle esigenze di individualità
e felicità che non possono essere realizzate nella vita reale della società capitalistica: si tratta
quindi di una cultura “idealistica” e come tale da superare. La
ricerca sociologica e filosofica
contemporanea (Foucault, Rorty, Taylor), ma anche i più recenti sviluppi della stessa teoria
critica (Habermas) hanno tuttavia mostrato come oggi sia più
opportuno parlare di carattere
“ideal-simbolico” e “post-affermativo” della cultura: «la vecchia etica del dovere e del lavoro esercita ancora la sua influenza, ma è più forte quella della
nuova etica dell’autenticità».
Il concetto adorniano di mimesis è stato
oggetto di numerosi interventi. Ispirandosi
ai più recenti risultati dell’antropologia filosofica, della storiografia delle Annales e
della ricerca etnologica, ma anche della
psicanalisi di Freud, Christoph Wulf ha
sottolineato come Adorno sia stato tra i
primi a cogliere il carattere complesso e
ambivalente della mimesis, non semplice
imitazione, ma anche creazione. Carlo
Gentili ha segnalato come il carattere mediano dell’attività mimetica (già presente
nella Poetica di Aristotele) permetta la
medietà stessa dell’arte, di cui la mimesis è
organo, tra la magia e la razionalità. Essa
quindi rimane in equilibrio precario tra le
due, senza identificarsi con alcuna di esse,
così come resta distinta dalla natura da cui
pure trae ispirazione e di cui conserva il
ricordo, producendo quel qualcosa di più
(Mehr) e di distinto rispetto all’empirico,
in cui consiste il suo specifico godimento.
Theodor W. Adorno:
Mito, mimesi e
critica della cultura
con interventi di
Remo Bodei
Fabrizio Desideri
Josef Früchtl
e Rolf Wiggershaus
a cura di Riccardo Ruschi
«le opere d’arte sono ascetiche e senza
pudore; l’industria culturale è pornografica e prude»; quest’ultima inoltre appare
strettamente connessa all’antisemitismo, in
quanto entrambi sono «risultato e sintomo
di una Zivilisation fallita».
Stefano Petrucciani ha ripercorso la storia
della ricezione italiana della Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno a
partire dalla sua traduzione nel 1966 (ma i
primi interventi di Cases e Solmi risalgono
al ’54), che è anche «una microstoria di
alcuni aspetti e tendenze non secondarie
della cultura filosofica italiana» nel suo
insieme. I marxisti “ortodossi” videro in
quest’opera una critica romantica e irrazionalistica alla società moderna, che ignora
gli aspetti positivi dell’ideologia illuminista e la natura materiale della reificazione
capitalistica; posizione per certi versi analoga a quella della cultura laico-progressista, che accomunò in un unico giudizio di
condanna pensiero negativo e movimento
5
RESOCONTO
Tale concezione dell’arte appare esemplificata nell’analisi svolta nella Dialettica
dell’illuminismo dell’episodio del “canto
delle Sirene” del XII libro dell’Odissea:
proprio grazie al noto espediente di farsi
legare all’albero della nave, Ulisse può
avvicinarsi al mana, alla natura, al mito
primordiale, riprovarne il brivido, senza
tuttavia venirne riassorbito.
La proposta di una ripresa della teoria
critica francortese in una prospettiva diversa da quella “normativa” habermasiana è stata al centro anche della relazione di Rino Genovese: occorre superare l’idea, di matrice hegeliana, di una
possibile conciliazione tra mito e illuminismo, arcaico e moderno, sostituendo a
tali coppie concettuali quella di mimesi
e autoconservazione. Si tratta di due categorie al contempo naturali e storiche;
anzi di due impulsi del vivente: l’uno ad
adeguarsi all’ambiente esterno, l’altro a
conservare la propria identità, manifestando tuttavia un’eccessiva tendenza
all’autonomizzazione e a pervertire la
stessa mimesi con esiti catastrofici (paranoia razzista).
La Teoria estetica di Adorno è stata letta da
Fabrizio Desideri non solo come «l’esito
della “teoria critica” e in questo il punto di
massima esposizione delle sue interne aporie», ma anche come «l’inizio di una riflessione post-dialettica», in direzione di quell’“atematismo” che Adorno vedeva incarnato nella “nuova musica”, così come nella
ricerca filosofica dell’amico Benjamin. Dal
momento che «l’atteggiamento estetico è la
capacità di percepire nelle cose più di quel
che esse sono», la produzione artistica si
rivela da un lato come «mimesis di qualcosa
che non c’è: la natura», dall’altro come «techne dell’irriproducibile».
Gli ultimi interventi sono stati dedicati a un
altro tema fondamentale della ricerca adorniana: il concetto di mito. David Roberts ha
sottolineato come l’identificazione del mito
con la natura originaria in Adorno corrisponda al ritorno all’Essere propugnato negli
stessi drammatici anni da Heidegger: si tratta degli ultimi esiti del movimento romantico tedesco e del suo tentativo di una sintesi
dialettica tra natura e storia, cui partecipano
anche Lukács e Benjamin. Adorno è tuttavia
l’unico a resistere alla tentazione del “salto
politico” di sostituire al dio che è morto una
nuova entità suprema: «il comunismo per
Lukács, il nazionalsocialismo per Heidegger
o il matrimonio di Benjamin tra messianismo e materialismo storico», rimanendo fedele a quella che Lukács definì come “ideologia del modernismo”.
Francisco Jarauta ha messo ha confronto le
circostanze nelle quali Horkheimer e Adorno abbozzarono la Dialettica dell’illuminismo (nel 1944, durante l’esilio americano)
con le riflessioni di Max Weber sulla prima
guerra mondiale appena conclusa: di fronte
alla vera sconfitta, quella della ragione, della
ragione pratica, l’unica possibile risposta
parve essere a Weber quella di una revisione
del programma delle scienze sociali, che
aggiungesse alla semplice analisi della so-
cietà una sua interpretazione e critica. Un
obbiettivo analogo si posero i due francofortesi nel loro tentativo di ripensare la modernità che, depurato dagli errori in cui anch’essi incorsero (per esempio nell’interpretazione della figura sadiana di Juliette come critica intransigente della ragion pratica), si presenta ancor oggi tanto impossibile quanto
necessaria.
Remo Bodei ha infine operato un articolato
tentativo di “scarnificare” la Dialettica dell’illuminismo ed enuclearne alcuni punti
chiave: il “rischiaramento” illuminista vuole
liberare gli uomini dalla paura, ma li allontana dalla natura e crea una coscienza che è il
presupposto del dominio e del totalitarismo.
Il tentativo di ripristinare il rapporto tra l’individuo e il tutto, espiando la colpa originale
del distacco, sfocia nel sacrificio-scambio
dell’individuo stesso, vero e proprio omicidio razionalizzato. Tuttavia, affinché l’emancipazione umana non sia solo mitica, utopica, occorre trovare una conciliazione tra
mythos e logos, per realizzare la quale la
riflessione filosofica può utilizzare, pur mantenendo le proprie peculiarità, alcune modalità dell’esperienza artistica quali sensibilità
e fantasia.
Presentiamo qui di seguito brani del testo di
alcune relazioni lette al Convegno. Il testo
integrale, insieme ad altri interventi, verrà
pubblicato nel n. 119-120 della rivista «Nuova Corrente» (Tilgher ed., v. Assarotti 31/
15, 16122 Genova, tel. 010-8391140 e fax
010-870653).
specie di talismano, un vade retro pronunciato nei confronti della natura. Nella nascita della ragione e della
coscienza, o meglio nel progressivo passaggio dalla
magia al mito e poi alla ragione, vi è un eccesso di
legittima difesa nei confronti della natura. Un atto originario che marchia non soltanto la civiltà dell’Occidente,
ma la coscienza umana in quanto tale. Tale prepotenza
originaria consiste nel gesto d’imperio con cui coscienza
e dominio si identificano.
Ogni coscienza, ogni forma di ragione è una presa di
possesso della natura interna e esterna all’uomo. Lavoro
e ragione, lavoro e rischiaramento, sforzo fisico e “fatica
del concetto”, sono apparentati. Il lavoro, come la ratio,
è una necessità che ha preso si è resa autonoma dai suoi
scopi, che è stata scambiata per fine invece di essere
considerata semplicemente come mezzo. I Minima moralia contengono uno splendido frammento intitolato
Sur l’herbe, con riferimento a una novella di Maupassant. In esso Adorno sostiene l’esistenza in ciascuno di
noi della voluttà di regredire a un mondo di inattività e di
abbandono alla natura, di ritorno alla mitica età dell’oro,
in cui gli uomini stanno stesi sull’erba, sotto i platani,
come nello scenario del Fedro di Platone. Questo abbandono è indice del desiderio permanente di non continuare
la lotta contro la natura in favore di un eccessivo rafforzamento della propria identità, di abbandonare la rincorsa continua verso un progresso che mira a trasformare ciò
che è naturale fino a renderlo irriconoscibile. Bisogna
La dichiarazione di apertura della Dialettica dell’illuminismo di
Adorno e Horkheimer, è che l’illuminismo - o il «rischiaramento», come preferirei tradurre - ha
perseguito da sempre l’obiettivo
di togliere agli uomini la paura e
di
di renderli padroni di se stessi. Di
Remo Bodei
che tipo di paura si tratta? Da
dove proviene? Non è proprio,
come in Hans Blumenberg, il carattere “assolutistico”
della realtà che spinge gli uomini a creare dei miti come
secrezione contro le potenze terribili e sconosciute del
mondo. È piuttosto la paura di ricadere nell’amorfo dopo
aver conquistato un barlume di coscienza di sé; è il
panico, nel senso etimologico del dissolversi nel tutto.
Secondo una lettura dei capitoli famosi della Fenomenologia dello Spirito di Hegel “Autocoscienza” e “Signoria/
servitù” (molto diversa da quella di Kojève e Sartre),
l’uomo è diventato uomo e la coscienza è nata e si è
sviluppata soltanto perchè ha reciso il cordone ombelicale con la natura, perché nella sua prepotenza, nella sua
hybris, nel suo desiderio di emancipazione e libertà, ha
tagliato e dimenticato i rapporti con la natura. La ratio di cui peraltro Adorno e Horkheimer danno un’immagine
francamente caricaturale, riducendola a uno strumento
degli strumenti, ad attività di manipolazione e di oppressione, a «prolungamento del braccio» - diventa una
Le ombre
della ragione.
Emancipazione
come mito
6
RESOCONTO
dunque, aver presente questa paura primigenia che vive
dentro la ragione - quella cioè di annullare il confine tra
se stessi e la vita - per intendere il carattere antinomico
dell’essere contemporaneamente cieca volontà di restare
identici a se stessi, cioè di staccare la coscienza dal flusso
della natura, e, insieme, volontà di dissolvimento, di
perdita di sé [...].
Con accenti freudiani, la civiltà si presenta così in
Adorno come opposizione della coscienza al contesto
della natura mediante un rigido rituale di sacrificio.
Noi costituiamo cioè noi stessi attraverso il sacrificio
delle nostre tendenze naturali, della nostra natura. La
coscienza si mantiene identica negandosi, negando il
rapporto con la naturalità. Perché nel ritornare al mito,
o nel rifiutare il mito, comunque sia, si cade allora
nella nemesi? Adorno, nel commento all’Ifigenia di
Goethe, dice che quanto più Oreste rifiuta il mito,
tanto più vi ricade, perché l’illuminismo che sfugge a
se stesso, che non custodisce nell’autoriflessione il
nesso naturale da cui si separa attraverso la libertà,
diventa colpevole nei confronti della natura. La conciliazione non è nuda antitesi al mito, bensì giustizia
nei suoi confronti di questo. L’errore, in termini storici, o della ragione illuminata, aufgeklärte, in termini
generali, da Odisseo in poi, è quello di combattere il
mito, è di combattere la natura, invece di accettare che
dentro la razionalità stessa, convivente con essa, vi sia
spazio per il riconoscimento della nostra naturalità,
del nostro nesso con la natura, del nostro essere esseri
naturali e del fatto che il “racconto”, il mythos, non
contrasta con il logos. [...]
Adorno amava molto Schubert e sapeva che musica e
pianto sono legate nell’abbandono: «l’uomo che si
lascia defluire in pianto e in una musica che non gli
somiglia più in nulla, lascia contemporaneamente
refluire in sè la corrente di ciò che egli non è e che
aveva ristagnato dietro lo sbarramento del mondo
degli oggetti concreti. Col suo canto e il suo pianto
egli penetra nella realtà alienata». Soltanto quando si
rinuncia a un dominio sulla natura, quando si accetta
che il mondo delle cose, dell’alterità, sia presente in
noi, quando si accetta un minimo di passività rispetto
all’attivismo continuo, le cose possono parlare e noi
stessi rinasciamo da questo contatto con il mondo.
91). Decisiva non è la tradizionale distinzione - orientata
in primo luogo ai generi artistici, ai luoghi e agli stili di
ricezione istituzionalizzati - tra arte alta e bassa o tra arte
e cultura popolare o tra musica classica e deteriore;
decisivo è distinguere se le opere d’arte, o meglio comportamenti culturali o estetici, possono acuire od offuscare il senso per le immagini di felicità come pure le cause
della sua negazione.
Nei due saggi, “Industria culturale” e “Elementi dell’antisemitismo”, che nella Dialettica dell’illuminismo seguono al saggio introduttivo con i suoi due Excursus, è
contenuta l’elaborazione dell’esperienza americana e di
quella tedesca in diretta vicinanza. Industria culturale e
antisemitismo non sono poste con ciò a un diverso livello.
La connessione qui indicata è piuttosto questa: l’antisemitismo non è da classificare come qualcosa di anticivilizzatorio, a differenza della cultura di massa come fenomeno scadente di civilizzazione. Entrambi valgono come
risultato e sintomo di una civilizzazione mancata. L’industria culturale viene concepita da ultimo come pseudodemocratizzazione della cultura, con cui viene promesso
il piacere, di cui tuttavia viene ancora una volta offerta
solo la negazione, imposta costantemente dalla civilizzazione. Industria culturale non significa partecipazione
alla cultura e acuizione del senso per la sua promessa di
una vita senza dettato socialdarwinistico, ma consumo di
merci standardizzate, che promette felicità, senza che si
debba cambiare qualcosa.
L’antisemitismo viene da ultimo concepito come ribellione a una civilizzazione che alle negazioni non fa
seguire le soddisfazioni promesse; come espressione, o
meglio esplosione del “risentimento del soggetto, a sua
volta dominato, del dominio sulla natura”. La natura, che
dalla civilizzazione viene sottomessa invece che sublimata, si ribella, e questa ribellione viene presa in appalto
dall’ordine fascista, che invece del dominio del popolo
offre partecipazione al domino della natura. Ciò che
ricorda la sottomissione del proprio desiderio - qualcosa
che sembra dar corpo a una felicità senza potere, una
ricompensa senza lavoro, una patria senza pietre di confine, una religione senza mito - attira su di sé il piacere
dello sterminio di coloro che non hanno saputo mai del
tutto portare a compimento il doloroso processo della
civilizzazione e dominano la natura solo in modo spasmodico. Lo schema del modo di reazione antisemitico è
la liberazione collettiva, razionalizzata, autoritaria di
moti impulsivi proibiti e disprezzati. «In quanto disprezzata e sprezzante di sé, la funzione mimetica viene
assaporata malignamente. Chi fiuta odori, per eliminarli,
può imitare a suo piacere l’atto di annusare, che ha
nell’odore il suo piacere irrazionalizzato. Nel mentre il
civilizzato neutralizza l’impulso negato, identificandosi
incondizionatamente con l’istanza che lo nega, questo
impulso viene ammesso. Quando esso varca la soglia,
esplode il riso» (Dialettica dell’illuminismo, cit., p. 217;
trad. it. cit., p. 197). Nei campi di concentramento i
detenuti venivano spinti a prender parte alla repressione,
o meglio alla denigrazione del mimetico. Ridicoli errori
nell’allineamento delle file o nell’ordine di altezza dei
detenuti durante l’apello, minimi movimenti, tosse, starnuti ecc. suscitavano nelle SS eccessi selvaggi. Il supera-
«Le opere d’arte sono ascetiche e
senza pudori, l’idustria culturale
è pornografica e prude» - si dice
nel capitolo sull’industria culturale nella Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno
(Amsterdam 1947, p. 167; trad.
di Rolf
it., Torino 1966, p. 151). Le opeWiggershaus
re d’arte danno corpo a un desiderio di felicità che non si lascia
saziare con conpensazioni. Non trasfigurano rapporti che
impongono sacrifici, né compensazioni per una felicità
irraggiungibile. Adorno definisce in tal senso l’arte, nella
Teoria estetica, come «rifugio del rapporto mimetico»
Francoforte s/M. 1973, p. 86; trad. it., Torino 1977, p.
Arte come
trauma.
L’estetica di
Adorno e il secolo
dell’estremo
7
RESOCONTO
mento e l’annullamento della distanza culturale nel corpo
proprio, nel corpo degli altri, nella natura e nelle sue
provocazioni avveniva in condizioni insopportabili, che
avrebbero avuto per sempre un effetto di derisione sulla
vicinanza creaturale e la comunicazione intima. L’ordinamento del campo di concentramento era una parodia di
rigido addestramento militare; la costrizione in comportamenti senza pudore, privi di rispetto, egoistici, calcolatori, una derisione del desiderio di liberazione dalle
coazioni della civilizzazione.
mal rationale”, Francoforte s/M. 1992, pp. 166 e 168).
Moderna è una cultura e la sua critica quando essa, per
dirla con Hans Blumenberg, può esporre la sua propria
legittimità. La critica culturale, la critica della cultura in
senso ideale-simbolico, come in senso olistico, è dunque
oggi possibile solo se la critica si rapporta in primo luogo
sempre anche a se stessa, se cioè si presenta in modo
riflessivo, e se, in secondo luogo, può di volta in volta
internamente, attraverso la critica, giustificare a se stessa
il suo legittimo giudicare e condannare. A queste condizioni può certo richiamarsi un critico della cultura del
tipo sia di Rorty, sia di Habermas. La questione se il
criterio critico sia da desumere ogni volta dalla prassi
olistico-culturale o sia da fissare in modo culturalmente
invariante, se dunque il contestualismo e il relativismo
culturale o l’universalismo sia la concezione adeguata
del (post-)moderno, si può perciò rendere innanzitutto
comprensibile con una decisione fondata se si connette la
critica della cultura con la critica della ragione o della
razionalità. I concetti di ragione, di critica e di cultura,
riuniti dall’illuminismo del XVIII secolo, restano allora
assegnati l’uno all’altro, ma la loro connessione necessita
di una nuova, approfondita analisi.
Motivo per una revisione della
vecchia concezione di teoria critica e del suo concetto di cultura
offre anche la concezione propria della critigê della cultura.
La teoria della cultura di tipo
critico-teoretico si pone nel contesto di una teoria della totalità
di Josef Früchtl
sociale, condivide però con la
critica della cultura borghese le
due premesse centrali: essere normativo-dogmatica da
una parte, cioè sostenere l’affermazione di disporre di un
concetto di vera cultura; dall’altra essere gerarchicoelitaria, cioè di conferire alla cosiddetta alta cultura la
priorità nei confronti della bassa cultura. Conformemente a ciò, due sono le domande da porsi: si deve mantenere
l’affermazione di ciò che la cultura sia in verità, e se sì in
quale forma? In secondo luogo, si deve mantenere la
gerarchizzazione degli ambiti culturali?
Per quanto riguarda la prima domanda, avere una cognizione della vera cultura significa poter indicare un criterio che permetta una critica della falsa cultura. Per la
teoria critica, rappresentata da Horkheimer, Adorno e
Marcuse, ciò significa in particolare, alla scuola di Hegel
e Marx, esercitare la critica dell’ideologia come una
forma di critica immanente. Con questo, la cultura, sotto
le pretese immanenti dell’ideale culturale, trapassa in
critica della cultura e conseguentemente in sostitutivo
della critica della società. Nel mentre la cultura (idealesimbolica e idealistica) afferma la validità del principio
di armonia, non può evitare il confronto con la realtà
sociale o la cultura nella sua totalità. Dal momento però
che queste tesi non sembrano più convincere, si pone
nuovamente la questione di un criterio per la cultura o di
un nesso interno tra cultura e critica.
In riferimento a questo vorrei collegarmi alla tesi di
Herbert Schnädelbach, «che solo in culture che [...] si
fanno un concetto di se stesse come cultura e sono
divenute in tal senso riflessive può sussistere un nesso [...]
interno tra cultura e critica della cultura». In modo
esplicito ciò fa ingresso nella tradizione occidentale
attraverso l’antica sofistica. Non solo riflessive, ma anche moderne - così suona la conseguente tesi di Schnädelbach, orientata verso Habermas - «sono innanzitutto
quelle culture in cui la critica della cultura non si orienta
più verso autorità mitiche, religiose o trascendenti, ma ha
conseguito la coscienza che i criteri e le norme da cui essa
segue devono essere legittimati essi stessi all’interno del
discorso critico-culturale» (Zur Rehabilitierung des “aniSul carattere
postaffermativo
della cultura
C’è mimesi solo in relazione
all’alterità: si mima ciò che non Mimesi
si è. Di qui deriva non solo e techne nella
l’onniperformatività dell’atteg- Teoria estetica
giamento mimetico, ma anche
la sua differenza-distanza dal
puro ri-produrre. Quest’ultimo,
il riprodurre, è più questione di
dell’autonomia della techne che Fabrizio Desideri
della mimesis. Seppur bisogna
dire che anche la mimesis «è una specie di produzione» «e gar pou mimesis poiesis tis estin» - come leggiamo nel
Sofista platonico (Soph., 265b) - nel suo strato bio-logico
lo è come poiesis improduttiva: al limite dell’a-intenzionalità, alla soglia dell’aisthesis. Per cui è proprio nell’arte
come techne dell’irriproducibile - in quella che Kant
chiama arte bella: nel suo carattere di quasi-natura - che
si mostra in aporetica unità il rapporto tra techne e
mimesis. A questo proposito evidente è il debito di
Adorno nei confronti del Benjamin che, in Di alcuni
motivi in Baudelaire, riconduce il carattere imitativoriproduttivo dell’opera d’arte all’idea di bello come «oggetto dell’esperienza nello stato della somiglianza» (W.
Benjamin, Angelus Novus, a cura di R. Solmi, con un
saggio di F. Desideri, Einaudi, Torino 1995, p. 118 n.). Ed
entrambi sono debitori al Valéry che intende il bello
come quanto esige «l’imitazione servile di ciò che è
indefinibile nelle cose». Solo che, ancora una volta, si
tratta di cogliere la tensione tra questo “indefinibile”, la
sua in-determinabilità (il suo carattere sfuggente ed incommensurabile) e la sua mimesis. Tale tensione è colta
perfettamente da Adorno, nel momento in cui sottolinea
la non intenzionalità dello spirito dell’opera d’arte come
“Mnemosyne”: memoria involontaria del brivido arcaico
(cfr. Th.W. Adorno, Teoria estetica [Ästhetische Theorie], a cura di E. De Angelis, Einaudi, Torino 1975, p.
8
RESOCONTO
115) nella sua obiettivazione mimetica. A questo proposito Adorno non si nasconde che il brivido stesso è una
sorta di prima mimesis ancora tutta sotto il segno della
passività: quell’impulso ancora intrinseco al corpo come
organon immediato (cfr. per questo Platone, Soph., 267a
- che distingue il phantasma mimetico prodotto per
mezzo di strumenti e quello «che si ha quando il produttore del fantasma offre se stesso come strumento»);
quell’impulso che “mette in moto” l’atteggiamento estetico come qualcosa d’irriducibile alla dimensione logotetica dell’Io. Così, «alla fin fine l’atteggiamento estetico
sarebbe da definire come la capacità di rabbrividire in un
qualche modo, come se la pelle d’oca fosse la prima
immagine estetica» (Th.W. Adorno, Teoria estetica, cit,
p. 466). La coscienza che dimentica questo brivido è
“reificata” non solo perché s’illude di liberarsi della sua
origine, ma anche perché così si dimentica della sua
stessa natura, in un senso più esteso di quanto si potrebbe
pensare: «ciò che più tardi si chiama soggettività», che si
distacca dalla cecità a-intenzionale del brivido, non è
altro «al tempo stesso che il vero e proprio dispiegamento
di questo» (ibid.). Il dispiegamento di quell’urto con l’in
sé della cosa, di quell’esser toccati da altro che è inassimilabile ad ogni futura identità: irriducibile alla soggettività che qui «si muove senza già esserci».
Alla luce di questo rapporto di reciproca implicazione tra
la mimesi e il non-identico si chiarisce la stessa idea di
affinità come implicante una dialettica tra spirito e natura
ancora più radicale di quella tra Aufklärung (illuminismo) e mythos. C’è affinitas e dunque verità solo nel
presupposto dell’alterità che si annuncia nell’aisthesis,
ma ritraendosi in sé. Qui quanto osservato da Adorno in
conclusione al suo grande saggio su Hölderlin, ossia che
Com’ è noto,
Horkheimer e
Adorno, i fondatori della teoria critica, pur
occupandosi
ampiamente di
problemi moradi Ulrich
li in vari punti
Kohlmann
delle loro opere, non hanno
mai elaborato un’etica. Per questo motivo da
alcuni anni il vivace dibattito sulla forma
adeguata della teoria critica si è concentrato
sulla questione se la sua prosecuzione attuale
richieda un’integrazione per mezzo di un’etica. Mentre Habermas, Benhabib e altri
hanno risposto affermativamente a questo
interrogativo, la legittimità e il bisogno di un
riarmo normativo della teoria critica è stato
messo in dubbio da alcuni studi recenti. In
questa situazione la recente pubblicazione di
un corso di lezioni di Adorno sulla filosofia
morale, Probleme der Moralphilosophie
(Problemi della filosofia morale, a cura di
Thomas Schröder, «Nachgelassene Schriften», sez. IV, vol. 10, a cura dello AdornoArchiv, Suhrkamp, Francoforte s/M. 1996),
tenuto nel 1963 all’Università di Francoforte, è particolarmente rilevante.
Oltre l’etica
normativa:
la sfida della
filosofia morale
di Th. W. Adorno
senza l’affinità, come voleva Platone, non è possibile
l’esperienza dell’altro (cfr. Th.W. Adorno, Note per la
letteratura [Noten zur Literatur], vol. II, 1961-1968, tr.
it. di E. De Angelis, Einaudi, Torino 1979, p. 169), può
esser rovesciato nel suo opposto. L’affinitas suppone,
quindi, sia l’esperienza del confine dove si annuncia la
comunità con l’altro nella sua irriducibilità, sia l’oscuro
fondo naturale di ogni eterogeneo. Appunto di questa
affinitas può esservi soltanto mimesis come l’unica possibilità di una methexis alla sua oscurità e, dunque, al suo
carattere incommensurabile, improducibile: non oggetto
di techne. O meglio oggetto di techne come mimesis
improduttiva della natura e non come sua “perfezione”.
Mimesis di qualcosa che non c’è: «la natura, alla cui
“imago” l’arte si abbandona, ancora non c’è affatto;
nell’arte è vera una cosa che non c’è» (Th.W. Adorno,
Teoria estetica, cit, pp. 188-189). Di qui il carattere di
apparenza della sua stessa verità: l’opera d’arte è «”res”
che nega il mondo delle “res”» (ibid., p. 172) e dunque
nega se stessa, ma per rammemorare il brivido che la
potenza della cosa in sé - come un Altro che «non è unità
e concetto, bensì un plurimo» (ibid., p. 189) - ha lasciato
come traccia nell’esperienza. Qualcosa d’analogo possiamo osservarlo del bello - e Adorno lo fa a più riprese;
in questo caso il carattere d’apparenza, che ancora ha a
che fare con il terribile, è tutto interno all’aisthesis: è
l’immagine che ce lo rende sopportabile sostituendo il
suo sottrarsi, misurando apparentemente la sua incommensurabilità. Quest’immagine - lo stesso carattere di
apparenza del bello - è mimema di qualcosa che non c’è;
mimesis la cui negatività è indifferente al “non più” e al
“non ancora”, crisi immanente ad ogni sintesi.
Già il titolo di queste lezioni segnala che
Adorno non intendeva né la costruzione di
una nuova etica normativa, né il congedo
frettoloso dalle questioni morali. Attraverso
analisi esemplari di alcuni concetti centrali
della filosofia morale egli cerca piuttosto di
promuovere una riflessione critica sui problemi morali che rende perspicua l’intrinseca «problematicità delle categorie morali»
(op. cit., p. 15).
Il corso adorniano è diviso in due parti di
estensione ampiamente differente: nella prima parte Adorno spiega problemi fondamentali della filosofia morale in base a una
interpretazione rigorosa di alcuni punti nodali dell’opera di Kant; e solo nell’ultima
lezione tematizza esplicitamente la questione della giusta forma di una filosofia morale
per i nostri tempi. Nella sua analisi della
filosofia morale di Kant Adorno dà il massimo peso alle argomentazioni della Critica
della ragion pura svolte da Kant nella discussione della terza antinomia e al rapporto
tra massima e legge universale. L’aspetto
della lettura adorniana di Kant che qui forse
richiede la maggiore attenzione è il suo approccio metodico: Adorno cerca infatti di
elaborare con rigore i motivi teorici razionali
anche e soprattutto per le antinomie, le contraddizioni e i dilemmi in cui la filosofia
9
morale di Kant s’impiglia, che pur rimangono esposti alla critica adorniana. Benché
Adorno sostenga che «la non-inclusione della realtà» (ibid.., p. 242) nella «radicale etica
della coscienza» (ibid.., p. 218) di Kant
«rovesci le conseguenze empiriche su cui
insiste la volontà pura» (ibid.., p. 242) non si
schiera peró dalla parte di una pura etica
della responsabilità, perché «mediante l’attenzione alle conseguenze, la filosofia morale in un certo senso si rende dipendente
dall’oggetto e tende a un’intesa troppo ampia con il mondo così com’esso è sino ad ora
divenuto» (ibid.., p. 243). Se, dunque un’etica della coscienza implica la tendenza a
conseguenze pratiche fatali e un’etica della
responsabilità, quella di un adattamento troppo condiscendente nei confronti del corso
del mondo, una riflessione critica della filosofia morale conduce necessariamente a un
dilemma e «la questione che sta veramente
di fronte oggi alla filosofia morale» è perciò
«il modo in cui essa deve rapportarsi nei
confronti di tale dilemma» (ibid.., p. 247).
Il tentativo adorniano di sostituire un pensiero etico alla ricerca di fondamenti giustificativi con un lavoro che faccia emergere la
coscienza della situazione di crisi della filosofia morale può essere fruttuosamente ricostruito sulla base delle lezioni universitarie
RESOCONTO
del 1963 appena pubblicate. Tuttavia questo
corso non basta da solo a favorire una comprensione più ampia e sistematica della filosofia morale adorniana. A tal fine occorre
sempre rifarsi alle Gesammelte Schriften,
come pure al suo primo corso di “filosofia
morale (tenuto nel semestre invernale 195657 e conservato nell’Adorno-Archiv di Francoforte). Una differenza decisiva tra i due
corsi di lezioni dedicati alla filosofia morale
sta nel fatto che solo nel primo dei due (195657) Adorno accoglie il progetto, avanzato da
Nietzsche in «Aurora», di una critica della
morale - ovvero nella terminologia odierna -
di una critica dell’etica, “a partire da motivazioni morali”. «In una effettiva critica della
morale» - affermava Adorno - «non ci si può
limitare a rigettare, a distruggere semplicemente la morale, ponendo qualcos’altro al
suo posto; la morale va invece confrontata
con il suo proprio concetto, e ci si deve
chiedere: è morale la Morale, soddisfa essa
davvero i principi che contiene in se stessa?»
(Probleme der Moralphilosophie [Vorlesung
1956/57], p. 01513). Nonostante il carattere
programmatico di questa formulazione, la
questione di una “dialettica della morale”
(ibid.., p. 01513), di una Aufhebung der
Il compito della filosofia morale
odierna, sostiene Adorno, «consisterebbe nel tentativo [...] di portare alla consapevolezza più piena la
coscienza delle sue antinomie. Io
credo che, onestamente, non si
di
possa promettere niente di più.
Theodor
Innanzitutto non si può promettere
W. Adorno
che le considerazioni del tipo di
quelle avanzate nell’ambito della
filosofia morale possano, da parte loro, fornire un canone
della vita giusta, in quanto la vita stessa è oggi così deformata e stravolta che in fondo nessuno riesce a viverla in modo
giusto, realizzando in essa la sua autentica destinazione
umana; anzi, vorrei quasi dire: il mondo è costituito in modo
tale che già anche la più semplice esigenza di integrità ed
onestà quasi per chiunque deve condurre alla ribellione. Io
credo soprattutto che solo la consapevolezza di questa
situazione coattiva - e non il fatto di nascondersela - possa
creare le condizioni che permettano di porre in modo
corretto la questione di come sia mai possibile vivere oggi.
L’unica cosa che forse si può dire è che la vita giusta consiste
nella resistenza contro le forme di una vita falsa, rese
manifeste e risolte criticamente dalla coscienza più progredita. Non è effettivamente possibile fornire altro se non
questa indicazione negativa. [...] Con ciò io intendo la
negazione determinata della cattiva realtà che si è compresa
e, insieme, la forza della resistenza contro tutto quanto ci
viene imposto, contro ciò che il mondo ha fatto e, ancor più,
vuole fare di noi. Non ci resta altro che la riflessione su
questa problematica e il tentativo di contrastarla avendo fin
dall’inizio ben presente la propria impotenza oggettiva; e
questa resistenza contro ciò che il mondo ha fatto di noi, non
è davvero solo una diffidenza nei confronti del mondo
esterno, di fronte a cui noi dovremmo metterci dalla parte
del giusto - qualunque tentativo del genere si limiterebbe
infatti a rafforzare il principio del corso del mondo, che è in
ogni caso attivo in noi, e in tal modo contribuirebbe al
rafforzamento del male - bensì questa resistenza dovrebbe
manifestarsi, essere in gioco in noi stessi, contro tutto ciò a
cui noi tendiamo. Vorrei quasi dire che anche un’attività
apparentemente così innocente come l’andare al cinema, a
cui noi ci condanniamo, dovrebbe per lo meno essere
accompagnata dalla coscienza che un tale impiego del
nostro tempo, se lo impieghiamo così, costituisce in effetti
già una sorta di tradimento rispetto a quanto abbiamo
riconosciuto e che, verosimilmente - anche se solo in misura
Ethik lungo il cammino della propria autoriflessione, sarà però realmente affrontata e
sviluppata da Adorno solo nelle Gesammelte Schriften e non ancora nel corso della metà
degli anni Cinquanta. In tali ulteriori sviluppi del suo pensiero Adorno acumina la questione tradizionale circa il bene al punto da
rendere problematica l’etica stessa, identificata dalla conoscenza come illegittima legittimazione, per quanto sublimata teoreticamente, di una forma di coazione contro l’uomo.
Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti da
Probleme der Moralphilosophie (Suhrkamp,
Francoforte s/M. 1996, pp. 248-251).
infinitesimale, tuttavia certamente con effetto cumulativo può irretirci sempre più proprio in ciò che si vuole che noi
diventiamo, e che noi stessi chiaramente diveniamo in
misura sempre maggiore, al fine di sopravvivere, al fine di
adattarci. Io penso infatti che per la situazione attuale sia
decisivo che questo momento dello “stare al gioco”, di cui
ho parlato, è qualcosa che nessuno che semplicemente
voglia sopravvivere può evitare del tutto, a meno che non si
tratti di un santo - ma anche l’esistenza di un santo oggi è
qualcosa di assai precario. [...] Forse però le cose stanno
così, che se questo “stare al gioco” è assunto nella riflessione
e noi sappiamo quali conseguenze esso comporti, allora
tutto ciò che facciamo - che facciamo sapendo che contribuisce al falso - diventa leggermente diverso da come sarebbe
di per sé. [...] A questo riguardo siamo effettivamente
davvero all’interno di una situazione antinomica. Ci si deve
attenere al carattere normativo, all’autocritica, alla questione del giusto e del falso e, al contempo, bisogna tenere
presente la critica della fallibilità dell’istanza che un tale
genere di autocritica ritiene di poter affidabilmente avanzare. [...] Se debbo impiegare qui infine quest’espressione, ad
un’umanità capace di autoriflessione apparterrebbe in ogni
caso il non lasciarsi distogliere, un momento di imperturbabilità, di fermezza in ciò che uno crede infine di avere
esperito, come d’altra parte, anche proprio quel momento
non solo dell’autocritica, bensì anche della critica alla
rigidità e inesorabilità che vuole imporsi in noi. Apparterrebbe inoltre anche, prima di tutto, la coscienza della propria
fallibilità e, con ciò, direi, che è il momento dell’autoriflessione ad aver assunto oggi l’eredità di quelle che una volta
erano chiamate le categorie morali. Ovvero, nella misura in
cui oggi esiste dal lato della soggettività qualcosa come una
soglia, una distinzione tra vita vera e vita falsa, essa va
ricercata probabilmente in questa alternativa: se uno agisce
ciecamente all’esterno - e pone se stesso e il gruppo a cui
appartiene come positivo, negando ciò che è diverso - o se
invece impara riflettendo sulla propria condizionatezza a
concedere giustizia anche a ciò che è diverso, e ad avvertire
che la vera ingiustizia risiede effettivamente sempre nel
ritenersi ciecamente dalla parte del giusto e nel pensare gli
altri dalla parte del torto. Questo non-imporre-se stessi - e
ciò si estende sino alla metafisica della morte e all’ostinazione dell’essere a tutti costi se stessi, rintracciabile ancora, ad
esempio, nella dottrina heideggeriana dell’Entlossenheit
(risolutezza) - questo mi pare davvero l’elemento centrale in
merito a ciò che oggi si può in assoluto esigere dal singolo
individuo». (trad. it. di Tommaso Cavallo)
Problemi
di filosofia
morale
10
PROFILO
L’eco provocata da quotidiani e periodici in occasione del convegno commemorativo sulla
figura e l’opedi
ra di Nicola
SilvioPaoliniMerlo
Ab b a g n a n o
(Salerno 1901
- Milano 1990), tenutosi a S. Margherita
Ligure nei giorni 29 e 30 marzo 1996 e
incentrato sul tema della “finitudine dell’uomo”, suggerirebbe una fase di “riscoperta” dell’esistenzialismo positivo. Ai trafiletti comparsi sui maggiori organi di diffusione della carta stampata nazionale, di
semplice registrazione dell’evento, si sono
affiancati interventi della più diversa natura: rievocazioni più o meno apologetiche,
ripensamenti globali, cenni di
dibattito, in qualche caso proposte tematiche e anticipazioni
di discussione introdotte da alcuni fra gli stessi partecipanti al
convegno - Aniello Montano,
Gianni Vattimo, Franco Volpi,
Giuseppe Cacciatore, Giovanni De Crescenzo. Non meno
significativa la valutazione venuta da esponenti e raggruppamenti di ogni area culturale del
paese, di destra e di sinistra, di
estrazione laica quanto cattolica, concordi nell’assegnare ad
Abbagnano un ruolo d’indiscutibile maestro e d’innovatore
originale. E questo mentre si
apprestano riedizioni antologiche, aggiornamenti e traduzioni finanche in lingua ungherese
di molti fra i suoi principali
scritti.
Dunque Abbagnano torna alla
generale attenzione delle coscienze? Può darsi. Certo bisogna augurarsi che si tratti di un’attenzione
diversa: attenzione che significhi prima di
tutto il definitivo abbandono dell’equivoco, finora largamente invalso, secondo il
quale la fortuna e in pratica la stessa reale
capacità d’incidenza del filosofo coinciderebbero con la maggiore o minore fortuna
ottenuta in Italia dall’esistenzialismo occidentale, ormai svanita da oltre un trentennio. Questa coincidenza è affatto apparente: non è possibile in realtà parlare “solo” di
esistenzialismo quando si parla dell’esistenzialismo di Abbagnano. Privo, come
sostanzialmente è rimasto, di una precisa
collocazione storica e di una propria legittima fisionomia filosofica, l’esistenzialismo (o forse meglio la “componente esistenziale”) di Abbagnano non è una filosofia, ma un “atteggiamento” filosofico, un
luogo obbligato di partenza e di ritorno
dell’uomo che ha assistito al crollo di tutti
i valori, il crocevia di molti generi differenti di filosofia lungo il quale si riversano e si
Abbagnano
e oltre
l’esistenzialismo
confondono ottimismo e pessimismo, umanismo e antiumanismo, razionalismo e antirazionalismo, eticismo ed estetismo, ontologismo e psicologismo, e molto altro
ancora. A sua volta “positivo”, nel senso di
non-negativo e di non-nichilistico, un esistenzialismo potrà esser detto in contesti e
secondo accezioni anche radicalmente alternative a quelle seguite da Abbagnano: la
forte eticità dell’uomo “in rivolta” camusiano, il “Tu assoluto” di Marcel, la “teologia della caduta” di Enrico Castelli, la stessa “fede nell’assurdo” kierkegaardiana
sono, a loro modo, connotazioni “positive”
di ciò che comunemente intendiamo per
esistenzialismo. Abbagnano è in questo
senso collocato da subito al contempo “entro” e “oltre” la tradizionale riflessione
esistenzialista. Il vero obiettivo che egli ci
ha indicato non è recuperare, cogliere o
interpretare estaticamente l’essere nella sua
dal proprio interno tutta intera la razionalità occidentale seguita al tramonto del positivismo e dell’idealismo ottocenteschi. Insegnamento, tuttavia, che nella sua integrale complessità non ha nome esistenzialismo, o esistenzialismo positivo, ma “neoilluminismo”.
Se in questo senso la “finitudine esistenziale” può rappresentare uno dei temi meglio
adatti a introdurre il problema di una riconsiderazione complessiva della personalità
e del pensiero di Nicola Abbagnano, è
necessario aggiungere che questa “finitudine”, quale primo fondamentale risultato
del passaggio da una considerazione pensante necessaria ad una problematica, è
nozione delle più precise e inequivocabili.
Intanto, essa viene tenuta nettamente distinta sia dalla “finitezza”, che è il consumatum, il totalmente compiuto dell’essere
parmenideo e dell’universo aristotelico, sia
dalla “finità”, in cui consiste il
puro stato fisico dei corpi nello
spazio. Analogamente, essa si
articola in almeno tre specie o
condizioni differenti: una finitudine intesa come resa e condanna al finito, come ciò che ha
perduto, venendone via, una sua
certa originaria perfezione (ne
sono esempi lo Scheitern jaspersiano e la sartriana néantisation); una finitudine, apparentemente opposta alla prima,
intesa come “momento o rivelazione dell’infinito”, attributo
transitorio, ma indispensabile,
del futuro riscatto (riferita a
certo esistenzialismo teologico
e ai provvidenzialismi storici
d’estrazione crociana e gentiliana); una finitudine, infine,
intesa solo come realizzazione
e consolidazione del finito in
quanto tale. Di queste, l’unica
finitudine che Abbagnano riconosca conforme ad un esistenzialismo di tono “positivo”, neoilluministico e metodologico, disilluso ma operoso,
senza esaltazioni né disperazioni, quale
egli lo venne elaborando da La struttura
dell’esistenza (1939) in poi, è l’ultima.
Duplice dunque potrebbe esser detta, o
polivalente, questa finitudine “positiva” di
Abbagnano, che è problema ma nello stesso tempo fondamento, che è crisi, scepsi
radicale, messa al bando di ogni certezza
sul piano cognitivo, ma è insieme strumento di discernimento, dialogo, proposta, intesa e contesa. Duplice, perciò, di una duplicità che non è doppiezza, come non è
conciliazione, ma aequitas.
Nell’aver tratteggiato un primo circostanziale panorama dell’importante nozione di
finitudine, fornendo elementi utili per sottrarla alle reiterate accuse di quanti non vi
hanno mai visto altro che impotenza, solipsismo e nullismo, il convegno di Santa
Margherita Ligure, presieduto e coordinato da Giovanni Fornero, ha conseguito
Attualità
diNicolaAbbagnano
intervengono
Giovanni Fornero
e Dario Antiseri
a cura di Riccardo Ruschi
totalità, ma “strutturarlo” in una sua specifica possibilità esistenziale costitutiva: possibilità di essere-vissuto, essere-conosciuto, essere-realizzato, essere-perduto e così
via. Diverso dunque è l’“esistere” di Abbagnano perché diverso è l’“essere” al quale
si rapporta: un essere che non si trova in
disparte, o “al di là” dell’esistenza concreta
dell’uomo, ma direttamente in ognuna delle infinite piccole cose che possono costituirla in quanto tale, in tutto ciò che si
media “attraverso e per mezzo” di essa.
Non è allora Abbagnano filosofo “positivo” perché esistenzialista, ma filosofo “esistenzialista” perché metafisico strutturale
dell’esistenza, perché tecnico della finitudine lato sensu. In questo, molto probabilmente, la ragione profonda della sorprendente vitalità trasmessa dal suo insegnamento: non solo la grande problematicità
che lo rende ancora interamente aperto, ma
il significato e il limite propriamente umani
da esso ricercati nel tentativo di riformare
11
PROFILO
Nicola Abbagnano
12
PROFILO
forse il suo risultato maggiore. Significativo il particolare risalto che relazioni pure
fra loro diverse hanno dato agli scritti dell’Abbagnano più maturo. Scritti altrimenti
detti “della saggezza”, dove più vivo si è
fatto l’interesse per le circostanze del comune vivere quotidiano. Se Gianni Vattimo, attraverso una comunicazione, vi ha
ravvisato «l’esito logico e conseguente» di
tutto un certo iter speculativo anteriore,
Giulio Giorello ha tratto interamente dal
binomio “saggezza” - “finitudine” il nesso
implicito e indisgiungibile dell’altro fondamentale binomio abbagnaniano, quello
di “scienza” - “esistenza”. Binomio del
quale, giustamente, Giorello ha scandito
l’assoluta originalità. Tanto è stato forte, ha
questi evidenziato, l’impegno congiunto
del filosofo nel, da un lato, denunciare
ambizioni idealistiche di globale interpretazione del mondo e, dall’altro, promuovere la ricerca di nuove efficienti tecniche di
controllo, in armonia coi mezzi sempre più
sofisticati di cui l’uomo dispone, che ben
potrebbe dirsi essere Abbagnano andato al
di là sia del positivismo che del fallibilismo.
Altrettanto propositivo è parso a Bruno
Maiorca l’atteggiamento insieme d’assenso e dissenso mantenuto per John Dewey
che pure tanta parte ebbe nell’auspicata e
mai raggiunta svolta “neoilluministica”
della cultura italiana, di cui l’Abbagnano
fu anima trainante. Di Dewey venivano
accolti infatti l’abito operativo e il carattere
“pubblico” del pensiero, ma non la pretesa
ch’esso potesse colmare le distanze fra sé e
il mondo della vita, quasi a farsi, oltreché
“valido”, automaticamente “vero”. Se è
certo che Abbagnano vedeva nel naturalismo del filosofo americano residui di millenarismo cosmico e nella stessa decisiva categoria del “possibile” altrettante insidie di ricaduta assolutizzante, ciò non avviene per smentire, ma anzi per riaffermare
la “futurità” dei progetti, non perché stemperi ma perché s’accresca l’idea d’impegno e di lotta del filosofare.
Non meno istruttiva in questo senso si è
dimostrata la lettura che Giovanni De
Crescenzo ha proposto del singolarissimo
approccio di Abbagnano al fenomeno religioso. Coscienza sinceramente laica, Abbagnano accoglie il riconoscimento della
“possibilità” di Dio e del trascendente come
ciò che può saldare anziché opporre le “due
vie” della ricerca (interpretazione esistenziale della fede) e della credenza (interpretazione ontologica). Questo riconoscimento - che, vorremmo aggiungere, permane
invariato in tutta l’opera di Abbagnano - è
per l’appunto il riconoscimento che la finitudine esistenziale compie di se stessa,
nello scegliere e appassionarsi al proprio
compito. Riconoscimento vale a dire che
«non comporta alcun “salto” dalla ragione
e dalla ragionevolezza alla non ragione e
non ragionevolezza», poiché fonda le proprie argomentazioni, parimenti a scienza e
filosofia, più che sui risultati, dove l’indagine si arresta, sui problemi, sulle incertezze, le ignoranze e i dubbi che sempre vi
restano connessi.
Cogliere e rimarcare il grande equilibrio
mantenuto dalla riflessione abbagnaniana,
segnatamente in ambito di storicità e di
temporalità esistenziale, è stato anche uno
degli obbiettivi di Antimo Negri. Riflessione da un lato protesa a fare dell’esistere
un essere “diviso” e “cronotopico”, un essere che nell’uscire dalla propria radicale
indeterminazione «cade nel tempo» e heideggerianamente si scopre “gettato” nel
mondo. Dall’altro, con pari coerenza e lucidità, decisa a fare di questa indeterminazione di fondo (che è la finitudine) non un
“finire”, ma un “nascere. Non un chiudersi
all’altro ma un interrogarlo e ascoltarne le
risposte, fondando storicità e ricerca storica entro una “trascendenza coesistenziale”
che diviene la condizione stessa; fondamentale e ineliminabile, della humus, dell’umiltà quale sanguinea ricchezza della
condizione terrena.
Concentrandosi intorno ai temi del valore,
della solidarietà e della coesistenza, Giuseppe Cacciatore ha individuato nella dimensione “etico-pratica” del lavoro di
Abbagnano, prevalsa definitivamente con
gli ultimi scritti, il «filo conduttore» e la
«costante disposizione» comune a ognuna
delle tappe del suo percorso intellettuale.
Graziella Federici Vescovini si è brevemente soffermata sul riferimento allo spessore teoretico del fondamentale apporto in
campo storiografico e pedagogico della
produzione di Abbagnano, culminata nel
noto manuale e nel mirabile Dizionario di
filosofia. Non è la storia di Abbagnano,
crocianamente, «storia di ciò che è vivo e di
ciò che è morto», ma storia precisatasi in
un’indagine che saldi il passato al futuro
nel presente.
In ideale sintonia col richiamo di Vescovini la comunicazione di Nino Langiulli,
pervenuta da New York, in cui si è evocata,
nella bella immagine di un filosofo che
serenamente «naviga fra il tutto e il nulla»,
l’instancabilità del dialogare abbagnaniano. Pertanto «è vero che i filosofi appartengono alla propria epoca, ma Kant dialoga
con Platone, Hegel con Kant, e noi con
loro». È tuttavia con l’agile e intensa relazione dell’ungherese Tibor Szabò, ordinario di Scienze sociali all’Università di Szeged, studioso traduttore e divulgatore delle
opere del filosofo in terra magiara, che il
convegno ha trovato nei modi più consoni
il proprio epilogo. Szabò ha individuato,
nelle ultime fatiche di Abbagnano, l’esito
finale di un’unica persistente scommessa:
quella per una forma di filosofia “operante”, applicata, pluralista e geoetnica, duttile, ma al contempo rigorosamente configurata.
Bibliografia delle opere in volume di Nicola Abbagnano
Opere storiografiche e didattiche
La filosofia di E. Meyerson e la logica dell’identità,
Perrella, Napoli-Città di Castello 1929.
Guglielmo d’Ockham, Carabba, Lanciano 1931.
La nozione del tempo secondo Aristotele, Carabba,
Lanciano 1933.
Bernardino Telesio, Bocca, Milano 1941.
Compendio di storia della filosofia, Paravia, Torino,
vol. I, 1945; vol. II, 1946; vol. III, 1947.
Storia della filosofia, Utet, Torino, vol. I, 1946; vol.
II, 1948; vol. III, 1950; ried. 1993 (voll. I-III dell’Autore, vol. IV, tomo 1, di G. Fornero, 1993; vol. IV,
tomo 2, di G. Fornero, F. Restaino e D. Antiseri,
1994). Rist. in ed. econ., Tea, Milano, 1995.
Storia del pensiero scientifico, Paravia, Torino, vol.
I, 1951; vol. II, 1952; vol. III, 1953.
Linee di storia della pedagogia (con A. Visalberghi), Paravia, Torino, vol. I, 1957; voll. II-III, 1958;
4a rist. 1961.
Linee di storia della filosofia, Paravia, Torino, voll.
I-III, 1960; ried. 1970.
Dizionario di filosofia, Utet, Torino, 1961; ried.
1971 (rist. 1993); rist. in ed. econ., Tea, Milano 1993.
Filosofi e filosofie nella storia (con G. Fornero),
Paravia, Torino, voll. I-III, 1986; ried. 1992
Il nuovo idealismo inglese e americano, Perrella,
Napoli 1927.
Opere divulgative e di raccolta
Opere teoretiche
Le sorgenti irrazionali del pensiero, pref. di A.
Aliotta, Perrella, Genova-Napoli 1923.
Il problema dell’arte, Perrella, Genova-Napoli-Città di Castello 1926.
La fisica nuova. Fondamenti di una Teoria della
Scienza, Guida, Napoli 1934.
Il principio della metafisica, Morano, Napoli 1936.
Lineamenti di pedagogia, Morano, Napoli, 1936
La struttura dell’esistenza, Paravia, Torino 1939;
ried. in Scritti esistenzialisti, a cura di B. Maiorca,
Utet, Torino 1988.
Introduzione all’esistenzialismo, Bompiani, Milano
1942; ried. Mondadori, Oscar Saggi, Milano 1989;
ried. in Scritti esistenzialisti, cit.
Filosofia religione scienza, Taylor, Torino 1947;
ried. in Scritti esistenzialisti, cit.
Esistenzialismo positivo. Due saggi, Taylor, Torino
1948; ried. in Scritti esistenzialisti, cit.
Possibilità e libertà, Taylor, Torino 1956.
Problemi di sociologia, Taylor, Torino 1959; 2a ed.
ampl. , 1967.
13
Scritti scelti, intr. di N. Bobbio, a cura di G. De
Crescenzo e P. Laveglia, Taylor, Torino 1967.
Per o contro l’uomo, Rizzoli, Milano 1968.
Fra il tutto e il nulla, Rizzoli, Milano 1973.
Questa pazza filosofia ovvero l’io prigioniero, Editoriale Nuova, Milano 1979.
L’uomo progetto Duemila. Dialogo con Giuseppe
Grieco, Dino Editori, Roma 1980.
La saggezza della vita, Rusconi, Milano, 1985 (13a
ed. 1988); ried. con intr. di F. Minazzi, 1994.
La saggezza della filosofia. I problemi della nostra
vita, Rusconi, Milano 1987; ried. con intr. di F.
Minazzi, 1994.
Scritti esistenzialisti, cit.
Ricordi di un filosofo, a cura di M. Staglieno, Rizzoli, Milano 1990.
L’esercizio della libertà. Scritti scelti 1923-1988,
nuova ed. a cura di B. Maiorca, Boni, Bologna 1990.
Rassegne bibliografiche
Bibliografia degli scritti di e su Nicola Abbagnano
(1923-1973), a cura di B. Maiorca, Giappichelli,
Torino 1974.
Bibliografia degli scritti di Nicola Abbagnano (19221992), a cura di B. Maiorca, Laterza, Roma-Bari
1993 (fuori commercio).
PROFILO
Sull’attualità
del pensiero
di Nicola
Abbagnano
di
Giovanni Fornero
Vi sono temi del pensiero di Abbagnano che, al di là della loro “attualità” o meno, risultano particolarmente significativi e meritevoli
di non cadere nell’oblio. Fra i molti
possibili, mi limito a sottolinearne
alcuni.
scandalo dell’esistenza, Abbagnano si era valso, e si sarebbe
valso [...] per tracciare le linee di un umanesimo costruttivo,
lontano tanto dall’ottimismo trionfante come dal pessimismo eroico» (N. Bobbio). Questa sottolineatura della costituiva finitezza dell’uomo (su cui Semerari e Santucci hanno
scritto alcune delle pagine più belle) spiega la specifica
fisionomia del neoilluminismo di Abbagnano, il quale, pur
appellandosi alla ragione e ai suoi poteri, rifiuta ogni enfatizzazione di essa, perseguendo l’obiettivo di un illuminismo che «smessa l’illusione ottimistica dell’illuminismo
settecentesco e il pesante dogmatismo del razionalismo
ottocentesco, vede nella ragione ciò che essa è, una forza
umana diretta a rendere più umano il mondo». Un
(neo)illuminismo, è bene aggiungere, consono a un tipo di
esistenzialismo che non intende partecipare né «al mito
della Scienza, né al mito dell’Anti-scienza, né al mito della
Tecnica, né al mito dell’Anti-tecnica».
La concezione dell’uomo in termini di problematicità e possibilità. Per Abbagnano l’uomo è costituito da un insieme di
possibilità ed è, lui stesso, la possibilità delle possibilità in
suo possesso. Tale situazione costituisce la “struttura” dell’esistenza e si identifica con il modo d’essere proprio
dell’uomo, inteso come problematicità autoreferenziale,
ossia come un problema che attraverso le sue soluzioni si
riconferma come tale: «L’uomo vive essenzialmente come
problema, il problema è il suo modo d’essere fondamentale,
la sua esistenza specifica». Da ciò il privilegiamento della
“categoria delle possibilità”, intesa come il principale strumento di analisi e interpretazione del reale.
La tesi della stretta connessione tra esistere e filosofare e
l’idea della filosofia come “uso del sapere a vantaggio
dell’uomo”. Secondo Abbagnano non ci sarebbe la filosofia
dei filosofi, cioè non ci sarebbero i problemi tecnici della
filosofia se l’uomo non fosse condotto a filosofare dalla sua
stessa vita di uomo: «trattare oggi della natura della filosofia
significa ritenere già fermamente stabile un punto essenziale: la necessità per l’uomo, per ciò che egli “è”, per ciò che
“deve” essere, del filosofare. Perché, se la filosofia fosse il
giardino di Epicuro dove si potesse vivere in disparte, al di
fuori delle vicende e dei colpi duri, noi dovremmo ritenerla,
oggi, indegna di noi. Ma essa non è il giardino di Epicuro.
Non è l’aristocratica esercitazione di pochi spiriti oziosi, né
la stratosferica regione dove si possa trovare rifugio e
conforto per i mali e le delusioni della vita. C’è un senso ed è un senso assai antico - in cui il filosofare si identifica con
l’esistenza stessa dell’uomo e in cui (come Platone voleva)
non si può essere uomo senza essere filosofo». Nel dopoguerra (parallelamente all’«incontro con Dewey») la convinzione secondo cui l’uomo non possa fare a meno di
vivere e pensare senza, con ciò stesso, di filosofare si è
accompagnata alla tesi della filosofia come “attività direttiva” e strumento di modificazione e correzione del mondo
naturale e umano. Tesi che Abbagnano non abbandonerà
più. «Secondo un’interpretazione abbastanza diffusa del
suo pensiero, condivisa da taluni suoi discepoli» - chiesi un
giorno ad Abbagnano - «la filosofia si ridurrebbe sostanzialmente a metodologia. Lei è d’accordo con questa interpretazione?» «No» - rispose Abbagnano. «Questa lettura è
troppo riduttiva. Per me la filosofia è piuttosto “metodologia
dell’esistenza”, cioè riflessione globale sulla vita e sui modi,
le “tecniche” atte a orientarla». (Con questa espressione
“inedita”, socraticamente fiorita nel corso di una conversazione, Abbagnano non faceva che ribadire quel concetto
della filosofia come “guida della scelta” che è tipica del suo
pensiero.) Coerentemente con l’immagine della filosofia
come “uso del sapere a vantaggio dell’uomo”, l’ultimo
Abbagnano è andato sviluppando un tipo di “filosofia
applicata” (come l’ha definita lo studioso ungherese Szabò
Tibor) che si misura con i problemi della vita quotidiana
(l’amore, il matrimonio, l’educazione dei figli ecc. ) e che si
rivolge, tramite i giornali, a un pubblico più vasto di quello
degli specialisti. In questa pratica della filosofia come
L’insistenza sulle nozioni di scelta, progetto e rischio. La
visione problematicistica dell’esistenza si concretizza in
una “filosofia della libertà” incentrata sulle nozioni di scelta,
progetto e rischio. Abbagnano ritiene che la scelta, sia pur
all’interno di una serie più o meno ampia di condizionamenti, sia operante a tutti i livelli della nostra umanità ed esista
solo dove il possibile presenta le sue “alternative”: «Di
fronte al necessario non c’è nulla da fare né da dire. Il
possibile è la libertà: di fronte a esso l’uomo può scegliere».
Ne segue che l’uomo - secondo una tesi che Abbagnano è
andato approfondendo lungo un percorso di pensiero che va
da La struttura dell’esistenza ai Ricordi di un filosofo - non
è soggetto a una forza necessitante che ne determini univocamente il comportamento e lo sviluppo ma è un processo
sempre aperto che può procedere in direzioni diverse e
contraddittorie. Da ciò la teorizzazione del rischio e della
progettazione “responsabile”.
L’affermazione dei limiti dell’uomo e l’accettazione lucida
e appassionata della finitudine. Il pensiero di Abbagnano è
permeato da un “senso del limite” che si esprime nell’energico rifiuto di ogni infinitizzazione dell’esistenza e delle sue
capacità: «Vedo nell’uomo la finitudine e nell’accettazione
della finitudine l’unica vera scelta». Questa “ermeneutica
della finitudine” (per usare un’espressione che Abbagnano,
in un corso universitario degli anni Quaranta, adopera in
riferimento a Kant) non riveste significati negativi, tragici o
nichilistici, poiché nell’esistenzialismo “positivo”, com’è
noto, il limite non è soltanto scetticamente constatato, ma
anche criticamente accettato e posto alla base di ogni
possibilità o valore dell’esistenza. Anzi, l’originalità dell’“esistenzialismo critico” di Abbagnano, che si mantiene in
una posizione equidistante dall’ottimismo e dal pessimismo, è stata proprio quella di aver cercato di fondare la
“validità” (o la “positività”) dell’esistenza sui “limiti” stessi
dell’esistenza: «Di quelle stesse categorie filosofiche, che
erano servite ai primi esistenzialisti e ancor più crudamente
agli esistenzialisti letterari, a proclamare l’insufficienza
dell’uomo, lo scacco di ogni sforzo verso l’essere, lo
14
PROFILO
“scuola di saggezza” - che non può essere ridotta a una
forma di moralismo spicciolo scaturente da una sorta di
involuzione senile del suo pensiero - Vattimo ha giustamente scorto «l’esito logico e coerente» di tutta l’opera di
Abbagnano.
tazioni filosofiche” esistono, e sono irriducibili a problemi,
teorie e argomentazioni di qualsiasi altro tipo.
Le “teorie filosofiche” esistono. Ed esistono perché esistono i “problemi filosofici”. In realtà, la storia del pensiero
filosofico è l’affascinante e tortuosa storia di teorie su “Dio”
(teodicee o differenti forme di ateismo), sull’“uomo” (antropologie filosofiche), sulla “storia” (filosofie della storia),
sulla “morale” e la “politica” (filosofia morale e teorie dello
Stato e del diritto), sulla “conoscenza” (gnoseologie), sulla
“scienza” (epistemologie), sull’“universo” (cosmologie)
ecc. Queste teorie sensate e significative per l’individuo, e
socialmente spesso del massimo rilievo, non pretendono solamente “forza pragmatica” (cioè funzioni psicologiche o sociopolitiche), ma hanno avanzato e avanzano “pretese di verità”:
pretendono di dimostrare che l’universo è oppure che esso non
è solo quello empirico; pretendono di narrarci la natura dell’uomo (l’uomo è anima e corpo, l’uomo è il suo inconscio, l’uomo
è i suoi comportamenti osservabili ecc.); di svelarci le leggi che
sottenderebbero lo sviluppo della storia (la storia è guidata da
leggi di “decadenza”, la storia è progresso dialettico ecc.); di
esibire il fondamento della conoscenza (pensiamo alle “sensazioni” della tradizione empirista, o ai “principi autoevidenti”
della tradizione razionalistica); di stabilire i fondamenti razionali delle norme etico-giuridiche (si rammenti la tradizione del
giusnaturalismo).
Queste teorie non sono nate e non nascono per caso: sorgono
per risolvere problemi urgenti - i problemi più urgenti (i
quali sgorgano dalla religione e dalla scienza, dalla politica
e dall’arte: insomma da ambiti extra-filosofici) -, sono teorie
che formano il tessuto della storia della filosofia, ma che
simultaneamente in-formano (danno forma) alla storia
umana. Che lo si voglia o meno, “noi tutti viviamo immersi
dentro a teorie filosofiche”: se oggi un giudice ha emesso
una sentenza, egli l’ha emessa in base ad un presupposto
puramente metafisico, in base cioè al presupposto che
l’uomo è capace di intendere e di volere. Magari non lontano
dal tribunale opera uno psicanalista che cura una persona in
preda all’angoscia e la cura presupponendo l’idea che
l’uomo è il suo inconscio. Le nostre scelte politiche, le
ideologie dei partiti comportano immagini dell’uomo, concezioni della giustizia, idee di libertà, visioni della storia. E
sappiamo tutti che la Terra è inzuppata di sangue versato in
nome di idee metafisiche, di metafisiche del sangue o della
razza o di metafisiche di classi in possesso di verità presunte
o assolute o di giusti e ineluttabili sensi della storia.
Come le teorie scientifiche esistono perché esistono i problemi scientifici, così le teorie filosofiche esistono perché
esistono i problemi filosofici: esiste Dio? la storia ha un
senso? i valori possono venire razionalmente fondati? quali
sono i fondamenti teorici della democrazia? che cos’è la
verità? la scienza può dare certezze? conosciamo attraverso
il metodo induttivo? il metodo delle scienze storico-sociali
è lo stesso di quello delle scienze fisico-naturalistiche? ecc.
Supponiamo ora che il criterio di falsificabilità (anch’esso
una teoria filosofica!) sia un buon criterio di demarcazione
fra teorie scientifiche e teorie non scientifiche. Ebbene, a
questo punto il primo problema che emerge immediatamente è il seguente: le teorie scientifiche proposte quali soluzioni di problemi si controllano e si selezionano con il ricorso
ai “fatti”: se le conseguenze di una teoria corrispondono a
quegli asserti che, per quanto ne sappiamo, descrivono fatti,
La proposta di una concezione storiografica rispettosa della
specificità e pluralità del discorso filosofico. Rifiutandosi di
ridurre la storia della filosofia ad “altro” da essa (a storia
economica, sociale, culturale ecc.), Abbagnano ha difeso la
specifica identità e la reale consistenza del discorso filosofico e ha concepito lo storico della filosofia non come un
arrogante depositario di qualche verità assoluta intorno al
passato, ma come un “modesto dossografo” - nel senso
etimologico e non dispregiativo del termine - impegnato a
riportare le idee altrui nel modo più onesto e scrupoloso
possibile (l’espressione fra virgolette è nostra, ma piacque
al Maestro). Inoltre, contro la tendenza (tipica di certa
storiografia idealistica, cattolica e marxista) a privilegiare
“una” posizione filosofica a scapito delle restanti, Abbagnano
ha insistito sulla “pluralità” delle voci che compongono il
grande dialogo della storia della filosofia e sul principio del
“rispetto” di tutte le posizioni filosofiche, ossia dei vari
modi in cui l’uomo può interpretare la realtà e atteggiarsi di
fronte a se stesso, agli altri, al mondo e a Dio. Certo,
Abbagnano non è sempre stato fedele a queste direttive e, in
certi casi, ha privilegiato taluni filosofi rispetto ad altri (ad
esempio i “filosofi della possibilità” rispetto ai “filosofi
della necessità”) e ha fatto pesare le proprie opzioni teoretiche o la propria antipatia verso determinate figure o
correnti (ad esempio nei confronti di Hegel o della Scuola
di Francoforte). Ma ciò costituisce un limite “di fatto” della
sua storiografia filosofica, che non infirma la validità “di
diritto” degli ideali a cui essa si ispira (e a cui “deve”
ispirarsi, a nostro avviso, chiunque voglia prendere come
modello la sua opera).
Scrive Giovanni Fornero: «Rifiutandosi di ridurre la storia della
filosofia ad “altro” da essa (a storia
economica, sociale, culturale ecc.
), Abbagnano ha difeso la specifica identità e la reale consistenza
del discorso filosofico».
di
Della difesa della specifica idenDario Antiseri
tità e della reale consistenza del
discorso filosofico ai nostri giorni non pare esservi urgente bisogno; eppure, negli anni
del secondo dopoguerra tale difesa fu necessaria preziosa. La filosofia, allora, o veniva negata in nome della
scienza (neopositivismo, varie forme di scientismo) o
veniva considerata come un pezzo di sovrastruttura di
una più profonda struttura economica (marxismo), ovvero ancora, più tardi, si cercò di diluirla tra le “scienze
umane” (psicologia, sociologia, antropologia); ci fu addirittura qualche tentativo di cancellarla dai programmi
di scuola media superiore.
Abbagnano - a ragione - intese tenere fermo il discorso sulla
specificità e autonomia della filosofia. A ragione, perché i
“problemi filosofici”, le “teorie filosofiche” e le “argomenNicola Abbagnano
e la difesa
della specifica
identità
della filosofia
15
PROFILO
allora diciamo che la teoria è per il momento confermata; se
invece qualche conseguenza di una teoria urta contro qualche fatto, dobbiamo seriamente pensare a cambiare la teoria.
Questo, detto così per summa capita, vale per le teorie
scientifiche, per le teorie fattualmente confutabili. Le teorie
filosofiche, però, sono tali proprio perché infalsificabili,
perché fattualmente non falsificabili. E, allora, come è che
noi possiamo controllare , scartare o magari stabilire la
“verità” di teorie filosofiche fattualmente non falsificabili?
Forse che, di volta in volta e per sempre, una teoria metafisica vale l’altra e tutte valgono cognitivamente zero? Ovvero c’è da supporre che, di volta in volta, in epoche precise (in
un determinato “ambiente culturale” fatto di certi valori etici
e religiosi, di certo sapere comune, di quella scienza e di una
determinata tecnologia, di certe istituzioni ecc. ), una metafisica possa esibire “indizi di verità” che a essa provengono
da “appoggi” e “consensi” di pezzi e aspetti di quell’ambiente culturale in cui è sorta e si sviluppa (e magari è stata
eliminata)? Dobbiamo davvero cancellare dalla mente il
pensiero che le teorie metafisiche sono fuori dalla razionalità perché non sono scientifiche?
La realtà è che la storia del pensiero filosofico è una storia
di una lotta fra teorie filosofiche: si scorge una vita, uno
sviluppo, una selezione delle teorie filosofiche, che assomiglia allo sviluppo e alla selezione delle specie viventi. E in
questa lotta tra pensieri (quando la battaglia non si risolve,
per esempio, con la sola forza politica) si cercano argomenti
ovunque se ne trovino. C’è, insomma, una selezione storica
delle teorie metafisiche. E questa selezione è non di rado una
selezione razionale. Ma cosa vuol dire selezione razionale
delle teorie metafisiche, se queste, essendo infalsificabili,
non possono venire scalzate dai fatti? Ebbene, la selezione
razionale delle teorie metafisiche significa che le teorie
metafisiche possono “venire criticate” (e quindi selezionate) sebbene non possano venire falsificate. La razionalità
delle teorie scientifiche consiste nella loro confutabilità
fattuale. La razionalità delle teorie metafisiche consiste
nella loro criticabilità. Ma ancora: cosa vuol dire “criticabilità” delle teorie metafisiche? Con quali “attrezzi” (tipi di
argomenti) è possibile criticare e selezionare teorie fattualmente inconfutabili? E qual è il valore di questi attrezzi?
Nell’“Epilogo metafisico” del Poscritto alla logica della
scoperta scientifica, Karl Popper ha scritto: «Ogni teoria
razionale, non importa se scientifica o metafisica, è tale solo
perché è in rapporto con qualcos’altro, perché è un tentativo
di risolvere certi problemi, e si può discutere razionalmente
solo “in rapporto alla situazione problematica” con cui è
collegata. Ogni discussione critica di essa consisterà, soprattutto, nell’esaminare in che misura lo faccia meglio di
varie teorie rivali; se non crei delle difficoltà maggiori di
quelle che intende dissipare; se la soluzione sia sempre
semplice, quanto feconda nel suggerire nuovi problemi e
nuove soluzioni, e se non sarebbe eventualmente possibile
confutarla mediante controlli empirici. Quest’ultimo metodo non è, beninteso, applicabile se la teoria è metafisica. Ma
gli altri metodi possono ben essere applicabili. Ecco perché
è possibile la discussione razionale critica di alcune teorie
metafisiche. (Beninteso, possono esserci altre teorie metafisiche che non sono suscettibili di discussione razionale.)».
Non diversamente da Popper (che su questo punto pare
avere dei debiti nei confronti di Bartley), William Bartley
asserisce che l’importante non è demarcare tra ciò che è
empirico e ciò che non lo è, ma «fra ciò che è razionale e ciò
che è irrazionale, fra ciò che è critico e ciò che non è critico».
E questa demarcazione, dice Bartley, implica una idea di
“ecologia della razionalità”: le teorie (siano esse scientifiche, etiche o metafisiche) sono in funzione di problemi;
lottano con idee alternative; e questa lotta si svolge in un
determinato “ambiente culturale”, all’interno di specifiche
e determinabili zone culturali del «mondo 3». La vita di una
idea e il suo sviluppo, il suo successo e il suo fallimento, il
destino insomma di una teoria, la decisione sul suo essere
una buona o cattiva teoria si gioca all’interno di un ambiente
critico e creativo in evoluzione. Possiamo criticare una
teoria filosofica se guardiamo al problema (concettuale,
politico, morale, religioso ecc. ) che intende risolvere in quel
determinato “ambiente culturale” in cui viene proposta, e al
modo e agli “attrezzi” usati per risolverlo.
La razionalità delle teorie metafisiche o filosofiche equivale, dunque, alla loro “criticabilità”. E le teorie filosofiche
sono criticabili quando possono urtare contro qualche pezzo
di mondo 3 (una teoria scientifica, un teorema logico, un
risultato di matematica, un’altra teoria metafisica ecc.)
all’epoca consolidata e al quale non siamo disposti, all’epoca, a rinunciare. Così, se vale la legge di Hume, allora crolla
il giusnaturalismo; se è valida la teoria evolutiva della vita
sulla faccia della Terra, allora va in frantumi la filosofia
idealistica; se è impossibile la costruzione di un autopredittore scientifico, allora è pure infondata la pretesa di tutte
quelle filosofie della storia nelle quali si afferma di essere
venuti in possesso di leggi ineluttabili dello sviluppo della
storia umana nella sua totalità; la costruzione della geometria non euclidea rende impossibile concepire gli assiomi
della geometria euclidea quali principi autoevidenti e li
trasforma in cominciamenti; se vale l’assunto kantiano per
cui la categoria di causalità funziona soltanto nell’ambito
del fenomenico, allora crollano tutte le proposte di ogni
teologia razionale. Questi sono solo alcuni esempi di critica
di teorie filosofiche. La razionalità è più ampia di quelle
delle teorie scientifiche. Questo sembra essere un risultato
banale; ma quando Nicola Abbagnano vi insisteva, le idee
di autonomia, specificità e razionalità del discorso filosofico erano (tutte insieme o disgiuntamente) delle “impossibilità” per tanti “filosofi”. La stessa idea di sensatezza del
discorso filosofico era una “impossibilità” per alcuni di loro.
La difesa della filosofia non è uno degli ultimi meriti di
Abbagnano. Per lui la storia della filosofia è la storia degli «sforzi
che mirano a rendere chiara per quanto è possibile la condizione
e il destino dell’uomo»; e «ogni vero filosofo è un maestro o
compagno di ricerca, la cui voce ci giunge affievolita attraverso
il tempo, ma può avere per noi, per i problemi che ora ci
occupano, un’importanza decisiva». La realtà - dice ancora
Abbagnano - è che «il problema di ciò che noi siamo e
dobbiamo essere è fondamentalmente identico col problema di ciò che furono e vollero essere, nella loro sostanza
umana, i filosofi del passato». I filosofi sono «persone che
dialogano intorno al loro destino; e le dottrine non sono che
espressioni di questo dialogare ininterrotto, domande e
risposte che talora si richiamano e si corrispondono attraverso i secoli. La più alta personalità filosofica di tutti i tempi,
Platone, ha espresso nella stessa forma letteraria delle sue
opere - il dialogo - la natura vera del filosofare».
16
INTERVISTA
In che cosa consiste la nostra abilità nell’usare le paro- ‘picchiare’. Questa scelta aveva due ragioni. Da un lato,
le? Cosa intendiamo con “competenza lessicale”? Qual i programmi di ricerca nati nell’ambito della semantica
è la differenza tra un sistema in grado di comprendere il filosofica di tradizione freghiana, il cui punto di vista
linguaggio e uno non in grado di farlo? Perché molti sullo studio del significato nelle lingue naturali mi pareva
degli approcci al significato delle parole falliscono nel di gran lunga il migliore, non sembravano dar conto in
dare una spiegazione su un aspetto essenziale della modo adeguato del significato delle parole (la natura di
nostra competenza linguistica, ovvero la nostra abilità tale inadeguatezza, e alcune sue radici, sono esplorate nel
nell’applicare parole al mondo reale? A queste e molte Cap. 1). La semantica lessicale era percepita da molti
altre questioni risponde l’ultimo lavoro di Diego Marco- come un’area problematica per la semantica modellistica
ni, Lexical Competence (MIT Press, Communication e per gli altri programmi di ricerca incentrati sulla nozioseries, Bradford Book, Cambridge 1997, 216 pp.).
ne di condizioni di verità. Sembrava inoltre che questa
La tesi di fondo di questo studio è la visione dualistica inadeguatezza al livello lessicale fosse almeno in parte
della competenza lessicale umana, nella quale le abilità responsabile della difficoltà di ricavare dalla tradizione
inferenziali sono separate da quelle referenziali. Tesi fregeana risposte davvero soddisfacenti ai problemi della
confermata dai recenti studi di neuropsicologia su per- competenza. La tradizione tendeva a identificare la conosone cerebrolese, in cui le due capacità sembrano essere scenza del significato (cioè la competenza semantica)
separate. Secondo l’autore, i sistemi artificiali per la con la conoscenza delle condizioni di verità degli enuncomprensione del linguaggio naturale farebbero un gros- ciati. Ma quelle condizioni di verità erano specificate in
modo tale che era difficile
so passo avanti, come emuidentificarne la conoscenlatori della comprensione,
za con una competenza sese si conformassero a quemantica piena; e una ragiosta visione dualistica della
ne sembrava essere che i
competenza.
valori semantici della magTra gli argomenti trattati,
gior parte delle unità lessitemi da sempre centrali nelcali non venivano specifila filosofia del linguaggio e
cati. [...]
nella filosofia della mente:
la “dicotomia analitico/sinDall’altro lato, il fatto che
tetico”, le “teorie causali
il problema venisse posto
del riferimento”, l’“olismo
in termini di comprensiosemantico”, le “teorie duane e competenza portava
con un’intervista a
li”, la “pubblicità”, il “veimmediatamente in primo
Diego Marconi
rificazionismo”, la “stanpiano le parole. Sembrava
za cinese di Searle”.
chiaro, ad esempio, che non
si potesse considerare competente un sistema artifiDall’Introduzione
ciale che fosse capace di
a Lexical
elaborare in vari modi gli
Competence
enunciati di un linguaggio
naturale ma ignorasse i sia cura di Luisa Santonocito
gnificati dei loro costituenti
lessicali,
comunque
tali
significati
andassero identificaQuesto libro si occupa di un sinti.
Un
tale
sistema
non
avrebbe
saputo
distinguere tra ‘Il
golo problema filosofico, e cioè
di Diego Marconi
gatto
è
sul
tappeto’
e
‘Il
libro
è
sul
tavolo’;
o comunque
della differenza tra un sistema
non
nel
senso
in
cui
avrebbe
saputo
farlo
un parlante
(naturale o artificiale) di cui si
umano
competente.
Era
chiaro
che
la
competenza
lessipuò dire che comprende un linguaggio naturale e un
cale
la
capacità
di
usare
le
parole
era
un
ingrediente
sistema di cui non lo si può dire. Inizialmente, il problema
mi si è posto in connessione con i sistemi artificiali di essenziale della competenza semantica. La domanda
elaborazione del linguaggio naturale che mi era avvenuto diventava allora: in che cosa consiste la nostra capacità di
di studiare all’inizio degli anni Ottanta. Che cos’avevano usare le parole? Su quali conoscenze e capacità essa si basa?
che non andava? Perché a tanti sembrava così chiaro che Mi è sembrato che essere capaci di usare una parola sia,
quei sistemi non comprendessero davvero il linguaggio? da un lato, avere accesso ad una rete di connessioni tra
Si poteva fare qualcosa per dotarli di una competenza quella parola e altre parole ed espressioni linguistiche: è
semantica autentica, e che cosa? Era naturale pensare sapere che i gatti sono animali, che per arrivare da
che, per rispondere a queste domande, fosse almeno utile qualche parte ci si deve muovere, che una malattia è
analizzare la nostra competenza semantica, cioè doman- qualcosa da cui si può guarire, e così via. Dall’altro lato,
darsi quali conoscenze e capacità rendono possibile a noi essere capaci di usare una parola è saper mettere in
corrispondenza le unità lessicali col mondo reale, cioè
la comprensione del linguaggio.
Fin dall’inizio mi sono concentrato sulla comprensione essere capaci di denominazione (la selezione della parola
delle parole: non di parole come ‘tutti’, ‘e’ o ‘necessaria- giusta in risposta ad un dato oggetto o circostanza) e di
mente’, ma invece di parole come ‘giallo’, ‘libro’ o applicazione (la selezione dell’oggetto o della circostan-
Sulla competenza
lessicale
17
INTERVISTA
za giusta in risposta ad una data parola). Le due capacità meno provvisoria e più solida e sicura della ricerca
sono largamente indipendenti l’una dall’altra; sono de- scientifica. Trovo che l’idea che la filosofia debba essere
scritte in dettaglio nel Cap. 3. La prima capacità può in qualche modo preservata dalle vicissitudini della coessere chiamata ‘inferenziale’, perché soggiace alle no- noscenza empirica derivi da un pregiudizio platonico: si
stre prestazioni inferenziali (per esempio, interpretare presuppone che la ricerca filosofica riguardi un dominio
una normativa relativa agli animali come applicantesi ai separato di oggetti, o che abbia, non si sa come, la fortuna
gatti); la seconda può essere chiamata “referenziale”. I di accedere direttamente ai suoi oggetti (quali che essi
sistemi di “comprensione” del linguaggio naturale di tipo siano), o entrambe le cose. Nulla di tutto ciò è vero. La
standard possono allora essere descritti come inferenzial- filosofia è la compagna fedele (ancorché instancabilmente confinati: essi sono incapaci di prestazioni referen- mente critica) della scienza, con qualunque tempo,
ziali, perché hanno accesso al mondo solo attraverso buono o cattivo.
descrizioni linguistiche. Quei sistemi possono fare passi Nella seconda metà degli anni Settanta e negli anni
avanti nella direzione di una
Ottanta, molti ricercatori
comprensione autentica
hanno proposto immagini
solo a condizione di essere
“duali” del significato (anconnessi al mondo in un
che se non della competenmodo che assomigli di più
za). Tuttavia, quella che
al modo in cui noi siamo
viene chiamata “semantica
connessi al mondo, cioè
dei due aspetti” in senso
attraverso la percezione e
stretto - la teoria sostenuta
l’azione. Qualche suggerida McGinn, Block, Loar,
mento in questa direzione
Fodor (ad un certo punto) e
si trova nel Cap. 6.
altri - non può fare da base
Più tardi, mi è accaduto di
ad un’immagine duale delscoprire, grazie a Glyn
la competenza come quella
Humphreys e ad altri neuche io propongo, perché
ropsicologi, che la ricerca
nella semantica dei due
empirica sui pazienti cereaspetti il componente refebrolesi confermava, in una
renziale è concepito estercerta misura, l’immagine
nisticamente. Anzi, la teointuitiva della competenza
ria dei due componenti è
lessicale che avevo abbozstata in parte motivata prozato. Le capacità inferenprio dalla convinzione che
ziali e quelle referenziali
Putnam e altri avessero fatrisultavano essere separato vedere che almeno un
te: erano stati descritti molaspetto del significato non
ti casi in cui una competenera “nella testa”: esso era
za inferenziale intatta andeterminato da circostanze
dava insieme a gravi menoesterne, naturali e sociali.
mazioni delle capacità reAl contrario, la competenferenziali. Recentemente è
za referenziale è una capastato descritto anche il caso
cità cognitiva della mente
complementare: il caso di
umana, e in questo senso è
una donna del tutto incapainteramente “nella testa”.
ce di caratterizzare verbalIl riferimento, così come è
Diego Marconi
mente oggetti di uso comuconcepito nella semantica
ne di cui pure conosce il
dei due aspetti, è una pronome. Per questa donna, un telefono è solo questo: un prietà oggettiva delle parole: non c’è nessuna garanzia
oggetto chiamato ‘telefono’, e nient’altro. Questi casi, e che la competenza referenziale di un parlante - di qualsil’immagine della competenza lessicale che se ne può asi parlante - relativa ad una parola sia mai adeguata al
derivare, sono descritti nella seconda parte del Cap. 3.
riferimento di quella parola. Dunque la competenza
Si sostiene a volte che la filosofia non dovrebbe occuparsi referenziale nel mio senso non può essere identificata
dei risultati minuti e quotidiani della ricerca scientifica, con la conoscenza del riferimento nel senso dei dualiche sono notoriamente instabili, di dubbia interpretazio- sti (o, più in generale, nel senso degli esternisti). Anzi,
ne e spesso forzati nel letto di Procuste dei pregiudizi un esternista particolarmente aggressivo direbbe che,
teorici di ciascun singolo ricercatore. La filosofia - si dice usata come la uso io, l’espressione “competenza refe- non dovrebbe essere messa alla mercé di materiali così renziale” è fuori luogo.
dubbi. Ora, anche ammettendo che i risultati della ricerca Questo contrasto ammette una facile via d’uscita, che
scientifica siano effettivamente precari (alcuni, in verità, consiste in una netta separazione tra teoria della compemeno di altri), non sono d’accordo con la tesi generale: tenza e teoria del significato. Si potrebbe concedere il
non credo che la filosofia debba essere concepita come significato agli esternisti, o ai dualisti; si potrebbe cioè
18
INTERVISTA
ammettere che la competenza semantica lessicale, intesa
come complesso di conoscenze e capacità (individuali),
resti al di qua della conoscenza del significato, dove il
significato, o una parte del significato, è concepito esternisticamente. Ciò non escluderebbe che la competenza, e
anche la competenza referenziale, sia un oggetto di
ricerca del tutto rispettabile. Tuttavia, non sono sicuro
che questa facile soluzione sarebbe soddisfacente, perché mi sembra che ci sia un terreno di intersezione - e
dunque di possibile disaccordo - tra la teoria della competenza e la concezione esternistica del significato, e che
esso sia rappresentato dai fenomeni dell’uso del linguaggio. Come si deve descrivere l’uso del linguaggio? Per
esempio, dobbiamo dire che Putnam in realtà usa la
parola ‘elm’ per riferirsi agli olmi, anche se confonde
sistematicamente gli olmi con i faggi (sicché gli avviene
di dare appuntamento ad un amico “sotto il grande olmo”
e di comparire, all’ora giusta, sotto un faggio)? O dobbiamo dire che il Bert di Burge, che crede che l’artrite sia una
malattia che investe sia le articolazioni sia i muscoli,
condivide in realtà il concetto di artrite dell’esperto,
nonostante le sue credenze erronee? O ancora - il caso
paradigmatico - gli abitanti di Terra Gemella si riferivano
a XYZ (e mai a H2O) usando la parola ‘acqua’ anche
prima del 1750, quando nessuno sarebbe stato in grado di
distinguere le due sostanze, e qualsiasi abitante di Terra
Gemella avrebbe chiamato l’H2O ‘acqua’? In tutti questi
casi, mi pare, la teoria della competenza e l’esternismo (e
il dualismo) tendono a prendere strade diverse. Nei
Capitoli 4 e 5 cerco di far vedere che si possono descrivere i fenomeni dell’uso del linguaggio in termini di
competenza, tenendo conto dell’ambiente normativo
nell’ambito del quale sono collocate le competenze individuali. Quell’ambiente normativo, a sua volta, può essere descritto in termini quasi-naturalistici, senza presupporre l’esistenza di norme e standard assoluti. Naturalmente, una tale descrizione, anche se fosse soddisfacente, non sarebbe una confutazione dell’esternismo: il suo
effetto sarebbe piuttosto, secondo le mie intenzioni, di
fare del significato degli esternisti una ruota che gira a
vuoto, che non svolge nessuna funzione utile nella descrizione dell’uso del linguaggio. Tuttavia, poiché per questo
aspetto il mio è un tentativo di ricondurre la semantica dal
cielo alla terra, mi immagino che molti saranno insoddisfatti; dato che, come è ovvio, in cielo si sta molto meglio.
petenza lessicale” si richiama direttamente al modello
chomskyano e in cosa se ne distingue?
R. Parlo di competenza semantica lessicale per intendere
la nostra capacità di usare le parole in modo (più o meno)
socialmente adeguato. Certamente il contenuto della
competenza così intesa dipende anche, come tu dici, dal
“contesto culturale specificato”; e questa è una differenza
rispetto alla nozione chomskyana. Io ho cercato di caratterizzare non il contenuto di una competenza semantica
lessicale, che è estremamente variabile, ma la “forma” di
una tale competenza, cioè di chiarire “che tipo di ingredienti” entrano a costituirla, di che tipo di informazioni e
abilità deve disporre un parlante perché si possa dire che
sa usare il lessico. Peraltro, rispetto al contenuto io sono
persuaso (come Chomsky, credo) che non pochi suoi
aspetti siano innati e “cablati” nella mente: che il nostro
bagaglio genetico ci predisponga ad avere concetti di un
certo tipo e non di un altro, per esempio; e che il nostro
apparato percettivo renda possibili certe procedure di
applicazione delle parole e non altre. Ma di questi problemi nel libro non mi occupo, sia perché non ne so ancora
abbastanza, sia perché mi sono concentrato su problemi
di forma della competenza.
D. Sostieni, a ragione, che Quine è stato uno dei primi a
riabilitare la distinzione fregeana tra senso e riferimento,
distinguendo teorie del senso e teorie (tarskiane) del
riferimento; d’altra parte, è proprio Quine a criticare
l’uso di nozioni intensionali in logica. Perché dunque
Quine fa tale distinzione, se poi gli serve a buttare a mare
uno dei due concetti (quello di senso o intensione)?
R. È una domanda difficile; bisognerebbe chiederlo a
Quine. Comunque, la mia impressione è che, quando
Quine (all’inizio degli anni Quaranta) ribadisce la distinzione di Frege, considerandola ben fondata nei fenomeni
del linguaggio, la sua sia una mossa all’interno di una
strategia argomentativa il cui obiettivo principale è screditare certe nozioni modali, specialmente le nozioni di
“possibile” e “necessario” applicate a cose (le cosiddette
modalità de re). Quine, per esempio, vuol far vedere che
la nozione di “individuo possibile” nasce - tra l’altro - da
un ragionamento come il seguente: la parola ‘Pegaso’ ha
un significato; ma Pegaso non esiste; quindi ‘Pegaso’
deve denotare un individuo possibile, altrimenti non si
capirebbe come facciamo a usare la parola. Quine osserva che il ragionamento è basato sulla confusione tra senso
e riferimento: ‘Pegaso’ ha un senso - e noi usiamo la
parola in base a questo senso - ma non ha un riferimento.
Solo se si identificano senso e riferimento può venire in
mente di dire che il caso di ‘Pegaso’ richiede che si
ammettano individui possibili. Che poi Quine abbia
ritenuto - a partire dall’inizio degli anni Cinquanta, credo
- che sia molto difficile dare una teoria scientifica del
senso non vuol dire che si sia messo a pensare che il
valore semantico di un’espressione linguistica possa
ridursi al suo riferimento. All’inizio degli anni Ottanta,
per esempio, Quine rileva che i tentativi di ridurre l’identità di significato a identità d’uso si scontrano con la
vaghezza della nozione, e con la difficoltà di trovare due
D. Il termine “competenza” è stato introdotto in linguistica da
Chomsky come esplicazione della capacità di produrre frasi grammaticali. La competenza è rappresentabile per Chomsky in un
insieme finito di regole grammaticali. Chomsky ha introdotto il
di Carlo Penco
termine limitatamente agli aspetti
universali sintattici-combinatori
della facoltà del linguaggio. Si può estendere questo
modello agli aspetti lessicali, che apparentemente dipendono più dal contesto culturale specificato che non dalla
grammatica universale? In cosa il tuo concetto di “com-
Intervista
a Diego Marconi
19
INTERVISTA
espressioni che abbiano esattamente lo stesso uso; ma
non sembra avanzare obiezioni di principio contro il
tentativo. Notoriamente, gli argomenti di principio di
Quine - come l’argomento di indeterminatezza di Parola
e oggetto - non riguardano più il senso che il riferimento,
anzi, si rivolgono in primo luogo al riferimento.
mentale e una direttamente referenziale. Che differenza
c’è tra queste semantiche e la tradizionale distinzione tra
senso e riferimento? Qual è la tua posizione rispetto a tali
teorie semantiche?
R. Nella teoria semantica tradizionale (Frege), il senso
determina il riferimento: conoscere il senso di un’espressione linguistica è essere in grado di determinarne il
riferimento. Nelle semantiche duali, i due componenti
sono indipendenti: il riferimento ad esempio di una
parola come ‘acqua’ è determinato da circostanze esterne
(i campioni di materia con cui la comunità linguistica è
stata ed è di fatto in rapporto), che possono essere in parte
sconosciute a ciascun parlante e alla comunità nel suo
insieme, e che quindi non sono necessariamente rappresentate nell’ente mentale associato alla parola. Perciò, in
queste semantiche il contenuto mentale associato ad
‘acqua’ (il “senso” della parola ‘acqua’) non determina il
suo riferimento (non determina che cosa, nel mondo, è
acqua). La mia prospettiva è diversa: io non parlo (come i
teorici “duali”) di due componenti del significato, ma di due
aspetti della “competenza” semantica lessicale, cioè dell’organizzazione delle capacità di usare il lessico di cui è
dotato il singolo parlante. Entrambi gli aspetti della competenza - quindi anche quello referenziale - sono “nella testa”.
Esattamente come la mia capacità di avvitare viti è “nella
testa”, anche se il suo esercizio comporta un’interazione col
mondo reale, allo stesso modo la mia capacità di applicare
la parola ‘gatto’ è nella mia testa, anche se il suo esercizio
ha a che fare con animali in carne e ossa.
D. Uno dei temi più dibattuti in questi anni, specie dopo
la pubblicazione del libro di Fodor e Lepore, è stato
quello dell’olismo. Tu prendi le distanze dalla visione
olista (almeno dall’olismo del significato) per una forma
di molecolarismo alla Dummett. Eppure parli di “verità
nell’olismo”. Come potresti riassumere la tua critica
all’olismo e qual è la verità presente nella posizione
olistica, che vuoi salvare?
R. Secondo me, una delle difficoltà maggiori dell’olismo
semantico è che non riesce a rendere ragione della comprensione del linguaggio. Noi concepiamo la comprensione di un enunciato (come ‘La matita è nel cassetto’)
come un processo di elaborazione il cui input è rappresentato dai significati delle parole. Se questa immagine
sembra troppo “computazionale” la si può indebolire in
vari modi, ma è difficile rinunciare all’idea che la comprensione di un enunciato sia basata sulla comprensione
delle parole, sulla conoscenza del loro significato. Ora, se
hanno ragione gli olisti, la conoscenza del significato di
una parola chiama in causa (come, non è chiaro; ma che
sia così, è parte dell’olismo) la conoscenza dell’intero
linguaggio. Quindi la comprensione di un singolo enunciato richiede la mobilitazione dell’intera competenza
semantica. Se così fosse, tuttavia, la comprensione di un
enunciato sarebbe un processo praticamente impossibile
per un sistema dotato delle risorse di memoria e di calcolo
di cui dispone la mente umana. Dunque gli olisti non
possono avere una teoria della comprensione plausibile:
la loro teoria del significato non è compatibile con una
teoria della comprensione. Per me, questo basta a confutare una tesi semantica. Ho parlato di “verità nell’olismo”
(oltre che per il caso particolare dell’olismo strutturale,
che qui tralascio) a proposito dell’idea che la nostra
conoscenza del significato di una parola (come ‘rosa’) è
arricchita dalla conoscenza del significato di altre parole
con cui essa è connessa (come ‘fiore’). Nella mia immagine, la cosa funziona così : essere competenti su ‘rosa’
è (tra l’altro) sapere che le rose sono fiori; questa conoscenza, a sua volta, è arricchita dal fatto di sapere che i
fiori sono vegetali, che i vegetali sono esseri viventi ecc.
Quando parlo di “arricchimento” intendo che chi dispone
di queste conoscenze è in grado di compiere più inferenze, a partire da un enunciato in cui compare ‘rosa’, di uno
che non ne disponga. Ciò non vuol dire che la competenza
su ‘rosa’ richieda o presupponga la competenza - o
un’uguale competenza - su tutte le parole con cui ‘rosa’
è associata, e su tutte le parole con cui queste parole sono
associate, e così via fino a coprire l’intero lessico, come
vorrebbe un olista.
D. Parli della visione artificiale, delle possibilità di macchine “pensanti” e “vedenti”. Quanto la tua analisi della
competenza lessicale è rivolta alla costruzione di un
sistema artificiale, e quanto questa analisi mostra un
limite di una tale costruzione? Che scopo ha la tua
filosofia? Costruire macchine che comprendono?
R. La mia analisi vuol far vedere che una ragione - forse
la ragione principale - per cui i sistemi artificiali attuali
non comprendono “davvero” il linguaggio naturale è che,
a differenza di noi, non hanno un accesso percettivo al
mondo e quindi non hanno competenza referenziale. Al
tempo stesso, l’analisi mostra che una competenza referenziale come quella umana è comunque molto difficile
da approssimare con strumenti artificiali. Quindi, quel
che io sostengo è da un lato che i sistemi artificiali
farebbero un grosso passo avanti - come emulatori della
comprensione - se venissero dotati di un rudimento di
competenza referenziale; dall’altro, che molte cose restano da capire su come funziona la nostra competenza
prima che il passo avanti possa essere decisivo, cioè
prima che sia possibile costruire sistemi la cui competenza complessiva verrebbe giudicata una buona approssimazione di quella umana. Il mio scopo non è costruire
macchine che comprendono, ma chiarire i problemi della
semantica. Se quel che dico dà delle idee agli informatici
e serve a costruire sistemi di comprensione più convincenti, ne sono contento e lo considero una conferma
indiretta del mio lavoro.
D. Dopo l’articolo di Putnam sul “significato di ‘significato’” vi è stato un fiorire di “semantiche duali”, che
vedono il significato distinto in due componenti, una
20
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
L’itinerario filosofico di Labriola
Nel volume dal titolo ANTONIO LABRIOLA
FILOSOFO E POLITICO (Guerini e Associati,
Milano 1996), a cura di Luigi Punzo,
vengono raccolti saggi di diversi autori che analizzano l’itinerario filosofico
di Labriola dalla sua formazione alla
maturità, ripercorrendo i suoi rapporti
con Spinoza, con Kant e il neokantismo, con Hegel, con Herbart, con Croce e Gentile ed esaminando il significato della sua adesione al materialismo storico di Marx.
Come sottolinea Giuseppe Lissa nel suo
saggio Labriola e il positivismo, la filosofia di Antonio Labriola è caratterizzata da
due tendenze contrapposte. Se da un lato
Labriola identifica la sua ricerca filosofica
con una inesauribile attività di continua
interrogazione, dall’altro tende ad approdare ad un sapere che sia in grado di ricostruire il reale secondo un’immagine di
totalità, in grado di rispondere ad un rigoroso impegno morale. In base a questa
prospettiva, sia l’idealismo, sia il positivismo mirano a ricondurre il reale ad un
principio unitario, anche se definito in
maniera differente. Entrambi i sistemi appaiono tuttavia a Labriola estremamente
negativi, perché compromettono seriamente
la realizzazione della libertà e la fondazione di una moralità. Come rileva Edoardo
Massimilla nel suo scritto L’etica kantiana negli scritti sulla morale e sulla libertà
in Antonio Labriola, la componente morale ricopre una posizione importante nella
teoria filosofica di Labriola. Muovendo
dalla filosofia di Kant, intesa come una
“grande riforma dell’etica” in quanto solleva la questione della libertà del volere dopo
la sua “liquidazione” da parte di Hobbes,
Spinoza, e Hume, Labriola riprende la teoria etica di Herbart, sostenendo che il compito dell’etica è quello di mostrare come le
idee, nella «loro originaria purezza e determinatezza» che mette in evidenza i legami
reciproci tra gli atti volontari, determinino
«un giudizio di approvazione tanto universale quanto immediato».
Nel suo saggio Natura e funzioni del diritto
e dello stato nel primo Labriola Luigi
Punzo mostra inoltre come Labriola, aven-
do individuato un rapporto “indissolubile”
tra diritto e morale, conferisca allo stato
una funzione etica e pedagogica. Egli infatti, criticando sia il liberalismo, per il suo
fondamento individualistico, sia una visione totalitaria dello stato inteso come entità
eterna e assoluta, considera lo stato come
una «formazione storica, determinata, positiva e mutabile».
Per Rossella Bonito Oliva, che interviene
con uno scritto dal titolo Psicologia e filosofia della storia: continuità e differenze.
Una riflessione sul rapporto tra Labriola e
Hegel, esiste un legame tra la concezione di
Labriola della storia e la costruzione sistematica di Hegel. L’analisi della filosofia di
Hegel da parte di Labriola ha un significato
propedeutico per la sua futura adesione al
materialismo storico di Marx attraverso lo
strumento della dialettica che gli permette
di cogliere «l’intreccio tra unità e divenire
che sempre presenta la realtà storica». A
questo proposito, come rileva Maurizio
Martirano nel suo saggio Le idee nella
storia: Antonio Labriola, Labriola ritiene
che il metodo storico debba realizzare un’armonia tra “l’oggettività del fatto storico” e
“la soggettività dell’atteggiamento interiore dello storico”. Infatti, per Labriola, gli
eventi storici non devono essere “dedotti”,
ma “compresi” attraverso uno strumento
metodologico che sappia cogliere l’evoluzione della forma nella storia.
Come sottolinea Dino Fiorot nel suo scritto
Il rapporto tra Loria, Turati e i socialisti
italiani nella corrispondenza di Antonio
Labriola, l’influenza della concezione di
Loria ha determinato nella teoria labriolana l’intento di conciliare logica e storia,
fatti e teorie in modo tale da stabilire un
legame stretto tra l’economia e le scienze
storico-sociali. Infatti, come rileva Maria
Donzelli nel suo saggio Il concetto di scienza
in Antonio Labriola, Labriola, sebbene rifiuti l’ideologia del sapere scientifico per la
sua pretesa di comprendere in modo assoluto il reale, tuttavia recupera l’attività concreta delle scienze particolari che realizza
il bisogno di scientificità nell’ambito della
storia. Secondo Corrado Ocone, come traspare dal suo scritto Croce e Labriola sul
tema dell’utile. Motivi di dissenso di Labriola rispetto a Croce, il suo distacco da
Croce si misura anche dal diverso modo di
21
concepire la scienza. Infatti, Labriola in
base alla sua concezione prassistica ritiene
che la scienza sia uno «strumento di emancipazione piuttosto che di disinteressata e
distaccata comprensione».
Inoltre, come rileva Mario Agrimi nel suo
saggio Labriola tra Croce e Gentile, nella
formazione filosofica di Labriola ha inciso
il dibattito tra Croce e Gentile le cui linee
filosofiche sono divergenti. Infatti, se da un
lato Croce è interessato ad analizzare la
filosofia come attività di riflessione critica
anche nelle sue implicazioni etico-politiche, Gentile, dall’altro lato, è interessato
all’attività di riflessione come «coerente e
sistematico approfondimento concettuale»
dominata dall’aspetto logico-formale.
Nella formazione di Labriola, osserva Antonello Gugliano nello scritto Appunti su
Labriola e il neokantismo, ebbe influenza
anche il neokantismo, da cui Labriola desume, contro le visioni unilaterali e totalitarie, l’importanza della tendenza critica
della ricerca filosofica. D’altra parte Stefano Poggi mette in risalto, nel suo saggio
Labriola e la filosofia del suo tempo, come
Labriola, che si accosta al marxismo partendo da riflessioni di carattere etico-morale, rappresenti uno dei protagonisti all’interno del dibattito sulla crisi del marxismo
e sul revisionismo. Per Labriola, infatti, è
centrale la questione della libertà interiore
in contrapposizione alla prospettiva del
determinismo fatalistico; una concezione
della libertà, questa, in cui confluisce anche la sua interpretazione di Spinoza. Seguendo questa linea interpretativa Labriola
ritiene che il fondamento del pensiero di
Marx sia la filosofia della prassi che si
concretizza nel lavoro.
La concezione marxista fornisce a Labriola
anche la chiave per una diversa visione
della storia. Come sottolinea Filippo Mignini nel suo scritto Antonio Labriola lettore di Spinoza, Labriola trova nella concezione marxista della storia la possibilità di
un suo radicamento nell’uomo inteso come
creatore dei suoi strumenti di lavoro. Per
Giuseppe Cacciatore, che interviene con
un saggio su Labriola: da un secolo all’altro, anche se risulta evidente che Labriola
non si distacca dal classico schema marxista della formazione di una nuova società
senza classi in base alle contraddizioni
AUTORI E IDEE
Pieter Bruegel, Torre di Babele (1536, part.)
22
AUTORI E IDEE
delle precedenti fasi storiche, tuttavia egli
cerca di apportare alcune correzioni a questo schema in una direzione che predilige il
metodo storico-genetico e “il pluralismo
degli elementi strutturali”. M.Mi.
Tempo della vita e tempo
del mondo in Blumenberg
Di Hans Blumenberg è stata pubblicata l’edizione italiana di TEMPO DELLA VITA
E TEMPO DEL MONDO (trad. it. di B. Argenton, a cura di G. Carchia, il Mulino,
Bologna 1996), in cui il filosofo, scomparso il 28 marzo 1996, proseguendo il
proprio confronto con Husserl, mette
a fuoco il problema della divergenza
fra la temporalità della coscienza individuale e quella degli eventi storici e
naturali.
Nato il 13 luglio 1920 a Lubecca, Hans
Blumenberg compie il proprio cursus studiorum fino all’abilitazione (1950) nell’Università di Kiel e successivamente diviene docente a Amburgo, Giessen, Bochum e, infine, Münster. Per l’ampio uso di
materiali provenienti dalla storia e dalla
letteratura, nelle sue opere prende corpo
una filosofia della cultura che si configura
come una fenomenologia della comprensione, da parte dell’uomo, della propria
posizione nel cosmo e nella storia. Die
Genesis der kopernikanischen Wende (La
genesi della svolta copernicana, 1975) mette
a fuoco la duplice valenza dell’atto inaugurale dell’età moderna: la rimozione dell’uomo dalla sua posizione privilegiata al
centro del cosmo cede il passo, attraverso
l’ideale legislativo prospettato per la scienza, alla riappropriazione della natura da
parte del soggetto galileiano-cartesiano, che
la conosce in quanto la pianifica.
La questione dell’essenza e della specificità dell’età moderna costituisce, anche, il
tema dell’opera più celebre di Blumenberg: Die Legitimität der Neuzeit (La legittimità dell’età moderna, trad. it. di C. Marelli, Genova 1992), in cui il filosofo polemizza con la cosiddetta “tesi della secolarizzazione” (sostenuta, fra gli altri, da Karl
Löwith e Carl Schmitt), secondo la quale le
categorie interpretative della realtà e della
storia, tipiche dell’età moderna, non consisterebbero se non in una secolarizzazione,
senza alcuna ulteriore soluzione di continuità, rispetto alle configurazioni concettuali teologiche dell’epoca precedente.
Contro questa tesi, Blumenberg individua
nella nozione di autoaffermazione l’elemento attraverso il quale l’uomo definisce
la propria posizione nei confronti dell’universo cosmo-storico, nonché il tratto specifico che caratterizza l’età moderna nei confronti di quella precedente. La nozione di
“età moderna” appare del resto, nella prospettiva blumenberghiana, come una figu-
ra concettuale afferente a una categoria
interpretativa più che come l’indicazione
di un momento storicamente determinato.
Il rapporto tra “prospettiva storica” e prospettiva mitica rappresenta il nucleo tematico di Arbeit am Mythos (Elaborazione del
mito, trad. it. a cura di B. Argenton, Bologna 1991), opera pubblicata nel 1979. Lo
sguardo storico appare qui come un’articolazione dell’“elaborazione del mito”, caratterizzata dal fenomeno della “complicatezza”: il lavoro del mito tende a dissimulare la propria origine e i propri presupposti
(i fatti, gli interessi, gli agenti storicamente
determinati), e così fa pure lo sguardo storico, quando pretende di epurare da sé il
proprio carattere “mitico” marcando, attraverso un gesto autoaffermativo, la propria
distanza dall’esperienza mitica. Tale gesto
autoaffermativo non trova, del resto, altra
legittimità se non in sé medesimo, e nella
propria pretesa a una specificità che soltanto esso afferma e riconosce. In altri termini:
è l’interpretazione di sé medesima (e soltanto essa), avviata dalla modernità, a costituirla come tale.
Qui la figura dell’interpretante si pone
nei confronti dell’universo cosmo-storico come un lettore, ma rischia la propria
sovrapposizione con chi questo grande
libro dell’universo lo ha scritto: così
accade appunto nella ricezione del paradigma concettuale che considera il mondo come un libro, esaminato da Blumenberg in Die Lesbarkeit der Welt (La leggibilità del mondo, trad. it. di B. Argenton, a cura di R. Bodei, Bologna 1984)
nel 1981. Del resto, come Blumenberg
mostra in Schiffbruck mit Zuschauer.
Paradigma einer Daseinsmetapher
(Naufragio con spettatore. Paradigma
di una metafora dell’esistenza, trad. it.
di F. Rigotti e B. Argenton, Bologna
1985), del 1979, l’elaborazione narrativa della celebre metafora lucreziana si è
orientata, nel corso dei secoli, al rifiuto
della figura dello spettatore, in quanto
concepito come non coinvolto nella azione della quale è testimone. In Höhlenausgänge (Buchi d’uscita, 1989), imponente “variazione sul tema” del mito
della caverna platonico, emerge in modo
marcato l’orizzonte antropologico e
umanistico della prospettiva blumenberghiana, frutto anche del debito, riconosciuto dallo stesso Blumenberg, nei confronti della riflessione di Ernst Cassirer.
In Tempo della vita e tempo del mondo,
traduzione italiana di Lebenszeit und
Weltzeit del 1986, Blumenberg sviluppa
ulteriormente il confronto con il pensiero di Husserl. Come sottolinea, nella sua
“Introduzione”, Gianni Carchia, curatore dell’edizione italiana dell’opera, la
stessa nozione di Selbstbehauptung (autoaffermazione) è di ascendenza husserliana. Il concetto di autoaffermazione
non indica affatto un’esaltazione della
ragione, nella caratterizzazione che ne
23
ha dato l’Illuminismo; piuttosto, l’ “autoaffermazione” segnala l’uscita della
modernità dalla visione di sé e del mondo che l’uomo medievale assume come
ovvietà delle cose. Questa uscita appare
vicina a quella che Husserl prevede nei
confronti del “mondo della vita”.
In quest’opera Blumenberg mette a fuoco la “forbice temporale” che si apre fra
la temporalità dell’esperienza della coscienza individuale e quella degli eventi
storici. Laddove in Die Genesis der kopernikanischen Welt viene tematizzato
lo spaesamento dell’uomo nello spazio
del mondo, qui lo spaesamento dell’uomo deriva dall’incommensurabilità fra
il tempo che egli riconosce come proprio
e quello del mondo in cui vive. La nostra
esperienza percepisce, infatti, uno scorrere del tempo che è differente dal tempo
“oggettivo”, “nel quale” viviamo; quest’ultimo viene attinto mediante idealizzazioni di carattere scientifico. La percezione della differenza tra l’esistenza e
il mondo rinvia ora alla contrapposizione fra l’esistente e la realtà mondana che
gli si oppone; quest’ultima incarna il
dominio di ciò che, nei confronti dell’esistente, è indifferente e senza senso.
In questa prospettiva, il tempo del mondo appare come il fenomeno in cui si
manifesta l’assolutismo dell’universo nei
confronti dell’uomo.
In Tempo della vita e tempo del mondo
Blumenberg riprende il motivo, già presente in Elaborazione del mito e ne La
leggibilità del mondo, della perdita di
significato dell’universo dopo la caduta
dei valori mitici e metafisici. Lo husserliano “mondo della vita” resta, dopo
questa caduta di valori, il solo ambito
nel quale l’uomo possa sentirsi “a casa
propria”: l’uscita da esso comporta, secondo Blumenberg, l’aprirsi della “forbice temporale” e lo sprofondare nel
baratro che si apre fra l’esistente e il
sussistente. Del resto per Blumenberg la
filosofia deve essere considerata agli
antipodi del mondo della vita; qualunque riflessione filosofica non può che
inaugurarsi con l’uscita da questo mondo e comporta, di conseguenza, proprio
la caduta in quel baratro. Nel suo momento iniziale, tale uscita si configura,
secondo Blumenberg, sotto le spoglie
dell’epoché husserliana. Tuttavia, rispetto a Husserl, la “messa fra parentesi” del
mondo della vita assume in Blumenberg
un carattere affatto più problematico:
essa non appare, infatti, mai come un
atto compiuto; la resistenza che l’ente
del mondo oppone alla riduzione da parte del soggetto fa segno alla sua irriducibilità, e al conseguente dualismo che
disegna, per l’esistente, uno scenaro di
tragicità. F.C.
AUTORI E IDEE
L’ispirazione filosofica
L’insorgenza prepotente della nozione di alterità nel dibattito filosofico
contemporaneo ha dato luogo a schieramenti contrapposti, a seconda che
si prediliga l’interpretazione di Heidegger o quella di Levinas. Contro
questa tendenza si leva la voce eccentrica e polemica, a tratti beffarda, dell’israeliano Amin Bouganim, che ne LA
RIME ET LE RITE. ESSAI SUR LA PRECHE PHILOSOPHIQUE (La rima e il rito. Saggio sulla
predica filosofica, L’Harmattan, Parigi
1996) ripercorre la vicenda della fenomenologia, per un verso, e delle filosofie del dialogo di ascendenza ebraica,
per l’altro, spingendo l’una e le altre
alla coerenza. La fedeltà della filosofia
all’ispirazione dei testi profetici è invece al centro dell’attenzione di Catherine Chalier, di cui si segnala lo studio
L’INSPIRATION DU PHILOSOPHE. L’AMOUR DE
LA SAGESSE ET SA SOURCE PROPHÈTIQUE
(Albin Michel, Parigi 1996)
Voce difficilmente classificabile quella di
Amin Bouganim, scrittore e filosofo israeliano di origine marocchina e di lingua
francese, autore di uno studio su La rime et
le rite, che parrebbe un pamphlet dagli
accenti sarcastici se le sue 350 pagine non
rivelassero un’analisi attenta e puntuale,
criticamente equidistante, anche se talora
dispersiva, degli autori trattati: da Husserl
a Heidegger, a Levinas, sul versante fenomenologico; da Cohen a Rosenzweig, a
Buber e ancora a Levinas, su quello “confessionale”.
La riflessione di Bouganim muove dallo
sconcerto di fronte a una nozione come
quella di alterità, che appare oggi, nel dibattito contemporaneo, tanto misteriosa da
sottrarsi a ogni possibilità di indagine, tanto pervasiva da paralizzare ogni critica.
Una nozione tipica di una letteratura «parafilosofica, pseudo-filosofica e meta-filosofica», osserva Bouganim, che trova il suo
pendant in una parallela letteratura (o chiacchiera?) dell’Essere: entrambe sono caratterizzate dal linguaggio iniziatico, dall’andamento paradossale, a-logico, talora ripetitivo, più simile all’oscura predicazione
che all’analisi filosofica; il tutto sullo sfondo di un generale rigetto della filosofia
occidentale, la cui essenza si esprimerebbe
nell’equazione: idealismo = intellettualismo = totalitarismo.
Il lavoro di Bouganim si articola in una
parte dedicata alla fenomenologia, dove
viene privilegiata una certa continuità della
speculazione di Heidegger su quella di
Husserl, e in una parte riservata alle filosofie del dialogo, limitata però a quelle di
matrice ebraica sia per il maggior fascino
che queste rivestirebbero rispetto a quelle
cristiane, sia per quel tocco suppplementare di “patetismo”, che «tradisce l’esaltazione religiosa solo per meglio acconciare lo
scoramento intellettuale che intima l’invo-
cazione - a mio parere eminentemente anarchica - di Dio». Troneggia su tutto la querelle tra Heidegger e Levinas, non solo per
l’accanimento del confronto tra i due, ma
anche perché in essa si esprimerebbe la
reale antinomia della filosofia occidentale
al volgere del secondo millennio: l’opposizione tra paganesimo, rappresentato dal
pensiero di Heidegger, e monoteismo, proclamato da un Levinas che contrappone
alla dialettica essere-non essere la dinamica finito-infinito.
Bouganim affronta le circostanze che hanno determinato questo risorgere della nozione di alterità, tentando di verificarne la
portata e soprattutto l’ambito di pertinenza
e, su questa falsa riga, saggiare l’autonomia della riflessione filosofica, per approdare in ultima istanza a una posizione che,
pur nella critica sempre vigile, sembra sposare un “levinasianesimo” radicalmente
creaturale, un monoteismo senza dio, che
trova riscontro in una delle letture preferite
da Levinas, Dostoevskj. La ripresa, da parte di Levinas, della figura del peccato originale elaborata da Dostoevskj e la sua
radicalizzazione in forma di responsabilità
consentirebbe di spostare il senso del discorso da Dio (ivi compresa la sua esistenza) all’uomo: un antropocentrismo del tutto opposto a quello heideggeriano, in cui il
Da-Sein (Esserci) è teso alla realizzazione
egocentrica di sé, e che anzi volge l’aspirazione all’infinito in etica.
Un’aperta rivendicazione della vocazione
più intima della filosofia nella sua fedeltà
all’ispirazione, segnatamente dei testi profetici di tradizione ebraica è quella che
proviene invece dallo studio di Cathérine
Chalier (allieva e interprete pregevole di
Levinas), L’inspiration du philosophe, che
non propone «una dubbia compromissione
[...] con l’irrazionale e l’insensato», né la
rinuncia allo strumento privilegiato del
concetto, ma invita a pensare «la tensione
vivente e continua» tra filosofia e parola
profetica in un reciproco arricchimento,
che mentre evita lo scadimento del profetismo in idolatria, sottrae la filosofia al suo
ruolo di puro esercizio intellettuale, finalizzato al dominio sull’alterità, restituendola al suo significato originario di “amore
per la saggezza”.
Il profeta biblico, osserva Chalier, non rivela una verità nascosta, ma si abbandona
alla voce che lo abita, trasmettendola ad
altri, proprio perché non se ne impossessa.
Ascoltare la profezia significa essere segnati «dalla traccia della rivelazione nel
pensiero»: parola assolutamente altra, indispensabile alla filosofia perché capace di
ricordarle ciò che essa sempre dimentica,
«l’apertura su un’anteriorità fondatrice del
senso delle parole e dei concetti [...] che
orienta i significati che l’uomo pensa di
poter dare alle cose», e insieme di aprire
l’ambito della morale, creando la tensione
alla giustizia e al bene. K.B.
24
Ricoeur e il male
Il male nel pensiero sulla giustizia e in
quello filosofico è il tema attorno a cui
ruotano gli ultimi lavori di Paul Ricoeur: LE JUSTE (Il giusto, Editions Esprit,
Parigi 1996), REFLÉXION FAITE (Riflessione fatta, Editions Esprit, Parigi 1996),
LA CRITIQUE ET LA CONVINCTION (La critica
e la convinzione, Calmann-Levy, Parigi 1996), a cui fa riscontro, con il titolo: KIERKEGAARD, LA FILOSOFIA E L’ECCEZIONE (Morcelliana, Brescia 1995), l’edizione italiana di due saggi di Ricoeur,
comparsi originariamente nel 1992 in
«Lectures 2», ma composti ancora nel
1963.
La conoscenza del giusto, spiega Paul Ricoeur nel suo Le juste, deriva da un’esperienza vissuta originariamente nella sua
negazione, l’ingiustizia. Il concetto di giustizia si definisce attraverso il suo contrario, un torto, un male subito, che percepiamo, fin dall’infanzia, a “nostre spese”. Da
qui si origina la riflessione etico-politica
sul male, che secondo Ricoeur rappresenta
un problema proprio del nostro tempo,
«scioccato dalla liberazione della violenza
durante quest’orribile XX secolo». Affrontare questo problema implica per Ricoeur
due possibilità: vedere il giusto nelle sue
applicazioni politiche o in quelle giuridiche. Nel primo caso il concetto di giusto
viene analizzato dalla filosofia politica all’interno di strategie di potere e di affermazione di sé che possono portare alla degenerazione della politica stessa, alla guerra.
Nel secondo, invece, la giustizia si sottrae
alla logica delle parti e si fa Terzo, mediazione tra due contendenti, a pari distanza
tra le parti.
Questa riflessione si articola ulteriormente
in Réflexion faite e ne La critique et la
convinction, che sottolineano in particolare il carattere fenomenologico dell’ermeneutica di Ricoeur. Soprattutto Réflexion
faite, che si presenta come un’autobiografia intellettuale, mette in evidenza una fenomenologia della morale e del giuridico,
intesa come “fenomenologia dell’agire”.
Il pensiero di Kierkegaard nei confronti
del male viene invece affrontato da Ricoeur nei due scritti che compongono il Kierkegaard. La filosofia e l’eccezione, il primo dei quali prende in esame due testi
kierkegaardiani, Il concetto dell’angoscia,
del 1844, e La malattia mortale, del 1849.
Secondo Ricoeur il male è il punto critico
di ogni pensiero filosofico e, in Kierkegaard, è ciò che più si oppone al sistema,
inteso come il “sistema” per eccellenza, la
filosofia hegeliana.
I due scritti kierkegaardiani, osserva Ricoeur, sono costruiti sulla base di due sentimenti: l’angoscia e la disperazione. L’angoscia è la realtà della libertà, perché «ne è
la possibilità»; è il nulla come possibilità di
potere, come ex-sistere, uscir fuori. Il superamento di questo stato della possibilità
AUTORI E IDEE
assoluta è il salto, la scelta drastica tra due
vie (l’aut aut). Ma se l’angoscia è un salto,
la disperazione è uno stato, «il male del
male», precisa Kierkegaard. Infatti il disperato è colui che parla del male come di
uno stato di cose, come ciò che in-siste, che
sta dentro, e da cui ci si domanda come
uscirne.
In questo proporre una dialettica spezzata,
non conciliata, senza mediazioni, Kierkegaard si dimostra, secondo Ricoeur, assolutamente anti-hegeliano. Il sospetto è tuttavia che questa dialettica possa avere più
affinità con la dialettica di Hegel che con i
suoi presunti eredi. Si può infatti pensare
una dialettica spezzata senza una filosofia
della mediazione? «L’opposizione tra dialettica hegeliana e kierkegaardiana» - afferma Ricoeur - «diviene essa stessa una
figura dialettica che chiede di essere compresa per se stessa e di costituire una nuova
struttura del discorso filosofico». Ma proprio in ciò che non riesce a comunicare,
nella sua esistenza incomunicabile, Kierkegaard inaugurerebbe, secondo Ricoeur,
una post-filosofia: egli ci imbarazza perché
si trova, rispetto la filosofia, al di dentro e
al di fuori.
In Briciole di filosofia, Kierkegaard ci fa
un inventario di tutta una serie di categorie - eternità e istante, individuo ed esistente, la scelta, l’unico, la soggettività,
il dinanzi a Dio, l’assurdo - al punto che,
sospetta Ricoeur, qui non ci troviamo
più nella non-filosofia o nell’anti-sistema, ma, viceversa, nell’iperfilosofia,
nell’ultra filosofico, tanto che è possibile pensare che Kierkegaard stia consapevolmente tracciando una caricatura del
filosofico. Con Kierkegaard, sottolinea
Ricoeur, possiamo arrivare solo a risposte parziali; in lui la filosofia è sempre in
relazione con la non-filosofia, tanto che
laddove vien meno il suo legame vitale,
la filosofia corre il rischio di non essere
più che un gioco di parole o una grottesca manifestazione di concetti da cui
ironicamente allontanarsi.
Un utile strumento di approfondimento
del pensiero di Ricoeur è offerto da
un’opera collettiva a cura dell’Istituto
Cattolico di Parigi, Paul Ricoeur, l’hérmeneutique à l’école de la phénomenologie (Paul Ricoeur, l’ermeneutica alla
scuola della fenomenologia, Beauchesne, Parigi 1996), che raccoglie atti di
convegni tenutisi tra il 1992 e il 1993. In
questi contributi, osserva Jean Greisch,
curatore del volume, emerge come alla
fine di una lunga traversata dalla semantica alla pragmatica del linguaggio e poi
alla semantica dell’azione, Ricoeur
scommetta sulla possibilità di un’alleanza nuova fra la tradizione analitica e la
tradizione fenomenologica ed ermeneutica. G.Di L.
Metafisica ed etica del tempo
La ripubblicazione del volume di Aldo
Masullo, METAFISICA. STORIA DI UN’IDEA
(Donzelli, Roma 1996), uscito in prima
edizione nel 1980 e da tempo esaurito,
consente di analizzare quello che per
Masullo rappresenta il nucleo del progetto filosofico della ragione occidentale. La pretesa di elaborare un’ordinata rappresentazione del mondo
umano, il cui principio ordinatore immanente viene identificato nella teoreticità, è presentato da Masullo come
il limite intriseco della metafifica tradizionale. L’esame dell’intima crisi del
progetto della metafisica funge da premessa storica per le analisi contenute
in un’altro studio di Masullo, IL TEMPO E
LA GRAZIA. PER UN’ETICA ATTIVA DELLA SAL VEZZA (Donzelli, Roma 1995), in cui l’autore persegue una riabilitazione dell’etica a partire dalla centralità del tema
del tempo.
Pur riconoscendo la complessità e la ricchezza della vicenda culturale che va sotto
il nome di “metafisica”, Aldo Masullo
propone il privilegio della ragione teoretica come chiave di lettura unitaria dell’intenzione fondamentale che ha sostenuto lo
svolgimento del pensiero metafisico. Attraverso l’istituzione del logos nelle poleis
greche, fa la sua comparsa nella storia
dell’Occidente la potenza dell’astrazione
concettuale, decisiva, secondo Masullo, allo
stabilirsi d’una prospettiva teorica che pretende di ritrarsi da ogni coinvolgimento
immediato con il mondo, al fine di individuarne le costanti fondamentali e universali. L’esperienza umana, nella sua instabilità e indeterminatezza, viene depurata dalle
scorie empiriche e temporali e ricondotta
alla sua struttura permanente e stabile.
Alla “via della notte”, cui corrisponde il
mutevole e cangiante sapere della doxa
(opinione), riguardante anche il mondo
umano, Parmenide contrappone la “via
del giorno”, nella quale il sapere scientifico
dell’episteme (conoscenza certa), attraverso l’astrazione concettuale, stabilizza
l’esperienza. In Parmenide, tuttavia, l’equivalenza tra pensare ed essere non ha, secondo Masullo, la pretesa di applicarsi al
campo dell’esperienza umana. È precisamente a partire dal “parricidio” platonico
che nasce la metafisica, il progetto cioè di
sottoporre la totalità dell’esperienza umana a una “logica generale delle misure
assolute”. A partire da questa premessa,
continua Masullo, la storia della metafisica
è la storia di una hybris (presunzione) teoretica, consistente nel cedere alla tentazione di guardare “dall’esterno” al mondo
dell’esperienza comune, come se fosse possibile acquisire la prospettiva panoramica
d’uno spettatore disinteressato. Proprio
l’evidente irrealizzabilità di questo progetto, che in ultima analisi consiste nel negare
la temporalità dell’esistenza e del pensiero
25
che la anima, rende ragione da un lato delle
fratture e delle svolte che costellano la
storia dell’idea metafisica e dall’altro della
sua autodissoluzione nel pensiero post-kantiano.
L’intima crisi della metafisica è dunque
connessa all’insorgenza sempre più esplicita della centralità del tema del tempo.
Tuttavia, osserva Masullo nel saggio su
Il tempo e la grazia, il riconoscimento
della temporalità autentica della nostra
esistenza, pur avviato dalla filosofia postkantiana, non riesce ad attingere la sua
radicalità, in quanto resta prigioniero di
una comprensione idealizzante del tempo, cioè di una subordinazione del vissuto temporale alla sua rappresentazione
conoscitiva. Il paradosso del tempo, già
segnalato da Agostino, riguarda la sua
immediata e originaria afferrabilità come
sentimento ed emozione e, nel contempo, l’impossibilità di una sua rappresentazione concettuale. Scavando in siffatto paradosso, Masullo riconduce l’immediatezza del tempo vissuto all’indicibilità sempre e solo individuale di un
phatos incomunicabile, che conduce alla
zona oscura e inquietante di un’“autoreferenzialità muta”. Il tempo idealizzato
della filosofia resta nonostante tutto un
tempo conoscibile e rappresentabile,
mentre la carica eversiva del tempo selvaggio, in cui è immersa l’esistenza
umana, non si lascia rappresentare, cioè
stabilizzare dalla ragione teoretica: esso
viene da noi costantemente vissuto e
avvertito, secondo Masullo, come destabilizzazione e perdita. L’affettività originaria, grazie alla quale avvertiamo il
cambiamento e che chiamiamo tempo, è
la falda originaria della soggettività; la
dimensione del pratico che precede il
semantico, il livello inaugurale del sé
ove nell’uomo insorge il primordiale
sensus sui, più antico della conoscenza
oggettivante. Di qui Masullo riconosce
al tempo l’autentica dimora dell’uomo,
originaria e infondabile, che nella sua
fattualità “senza ragione” si sottrae alla
ricerca metafisica delle ragioni ultime e
viene inscritta nella categoria della grazia.
L’indagine di Masullo si conclude nella
formulazione della centralità filosofica
dell’etica, che non consiste nell’attribuire a quest’ultima l’antico progetto metafisico di salvarci dal tempo, ma consiste invece nel compito “attivo” di salvare il tempo, insegnando all’uomo a eleggere come propria dimora l’indeterminatezza del puramente fattuale, senza
eludere l’enigmatica infondatezza dell’esperienza. L’uomo deve vivere, secondo Masullo, la passione assoluta come
riconoscimento della grazia, di ciò che è
altro rispetto alla ragione teoretica. F.Ci.
AUTORI E IDEE
Etica e saggezza greca
Il ritorno alla filosofia classica può costituire una risposta ai mali e alle incertezze che affliggono l’uomo contemporaneo. Ne LA FRAGILITÀ DEL BENE (il
Mulino, Bologna 1996) Martha C. Nussbaum sottolinea che solo una mediazione tra la virtù e la buona sorte,
come avveniva nella tragedia e nella
filosofia greca, può rappresentare una
strada per la felicità dell’uomo. I valori
dell’antichità all’interno di un’ottica
escatologica costituiscono, invece,
l’oggetto di studio di Giovanni Reale,
che nella SAGGEZZA ANTICA (Cortina, Milano 1995) ritrova una terapia per i
mali dei nostri tempi.
Saggezza e fortuna costituiscono in eguale
misura gli ingredienti necessari per riuscire
a vivere felicemente: questa è la tesi dello
studio di Martha Nussbaum, La fragilità
del bene, che offre un’analisi dettagliata
del pensiero greco attraverso le voci di
Eschilo, Sofocle ed Euripide, accostati a
Platone e Aristotele. Il metodo d’analisi è
rigorosamente storico e permette di fare sia
confronti di ordine cronologico tra i diversi
autori, sia considerazioni all’interno dello
stesso autore attraverso l’evoluzione del
suo pensiero. Da notare, nell’impostazione
metodologica, è anche l’assenza di cesura
tra tragedia e filosofia, considerate in un
continuum, rivolto più ai contenuti che alle
forme di rappresentazione, dal momento
che entrambe si fondano sulla consapevolezza che solo l’accordo del bene con la
fortuna può portare l’individuo al ritrovamento della felicità.
I primi tragici, Eschilo e Sofocle, sono
presentati da Nussbaum in funzione del
conflitto tra valori che, nelle loro tragedie,
pervade la vita dell’individuo. Se in Eschilo l’uomo è spesso portato a scegliere una
strada sbagliata a causa di circostanze non
Athena Varvakion (copia romana, sec. II a.C., part.)
26
volute, in Sofocle l’individuo resta paralizzato dal conflitto tra valori diversi che lo
conducono, necessariamente, a peccare
contro qualcuno. Il conflitto tra pietà e
rispetto delle leggi dell’Antigone, infatti,
mostra il politeismo di valori che rappresenta la contraddizione più grande tra volontà e necessità. In Platone la filosofia
sembra risolvere il conflitto, ma l’esigenza
di farlo resta un’illusione: nella Repubblica la virtù è data dalla ragione, in grado di
cancellare i bisogni e le emozioni, mentre
nel Simposio proprio la più forte delle emozioni, l’amore, diventa strumento di comprensione filosofica. Il fallimento razionalistico compare, però, nel Fedro, dove la
filosofia stessa è presentata come follia e
irrazionalità. Solo Aristotele, e in parte
Euripide, nota Nussbaum, riescono a conciliare etica e fortuna, che si incontrano
nella deliberazione, ovvero nell’azione che
si conforma alle sensazioni in una sorta di
saggezza pratica. La virtù razionalistica
appare qui in tutta la sua debolezza per
lasciare il posto ad una ragione antropocentrica che solo nell’incontro quotidiano può
indirizzare l’uomo alla felicità.
Rivolto direttamente all’uomo contemporaneo più che all’uomo greco, Saggezza
antica costituisce una sorta di trattato “farmacologico” per il nichilismo che affligge
l’umanità contemporanea. Dopo aver descritto la genesi del nichilismo e gli effetti
devastanti prodotti sull’uomo moderno,
Giovanni Reale tenta in questo suo studio
di proporre una sorta di ritorno al platonismo come strumento di salvezza. L’intento
di Reale è dunque quello di riportare l’individuo al pensiero greco, nella sua versione
escatologica, che solo sembra in grado di
salvare l’uomo dalla morte di Dio e dalla
conseguente caduta del concetto di Bene e
di Verità.
Il metodo è qui rigorosamente dialettico:
per ogni male dell’uomo viene proposto un
rimedio che scandisce il recupero dei valori
tradizionali cristiani e platonici. I dieci
capitoli in cui è diviso il libro si riferiscono,
infatti, ad altrettanti mali, e alle rispettive
“terapie”, che caratterizzano l’uomo contemporaneo. Il riferimento più ricorrente è
a Platone, che offre una soluzione, ad
esempio, al materialismo, allo smarrimento delle forme e all’assenza di finalità che
affliggono l’uomo. Il ritorno ad una visione
dualistica in cui, da una parte, l’anima
rappresenta il fine della vita e, dall’altra,
l’armonia sovrasensibile diventa il modello di armonia etica ed estetica, permette di
recuperare, secondo Reale, una direzione e
un senso nel caos nichilistico in cui vive
l’umanità. Solo ricercando l’interiore a discapito dell’esteriore e l’essere al posto
dell’avere, nota Reale, è possibile guarire
dal nichilismo contemporaneo e tornare a
quei valori eterni in grado di fornire felicità
e salvezza all’uomo. A.S.
AUTORI E IDEE
Salvador Dalí, La persistenza della memoria (1931, part.)
Sulla stanchezza
Oggetto di insistenti cenni lungo tutta
la tradizione filosofica, l’esperienza
della stanchezza viene indagata in
modo autonomo e fondamentalmente filosofico da Jean-Louis Chrétien
nel suo studio dal titolo: DE LA FATIGUE
(Sulla stanchezza, Minuit, Parigi 1996),
che di questo concetto disegna in
modo agile e denso di riferimenti il
quadro fenomenologico e la genealogia storico-filosofica.
Che cosa c’è di più comune e insieme di più
sfuggente della quotidiana esperienza della
stanchezza? Da quella concreta e fisica, generata dal lavoro manuale o dalla prestazione sportiva, a quella altrettanto pervasiva,
non solo a livello mentale, del lavoro intellettuale, alle varie forme di stanchezza psicologica - esaurimento, esasperazione, ossessione - che ci affliggono ogni giorno, fino
all’ontologica stanchezza di vivere: l’esperienza della fatica si declina quotidianamente in una “pluralità” di fenomeni, sui quali le
scienze del corpo e della mente, dai rispettivi
parziali punti di vista, tuttora si esercitano.
Anche la filosofia registra il ricorrere, periferico ed episodico, ma tuttavia insistente,
della fatica, della stanchezza e del loro termine antitetico, l’infaticabile: da Aristotele a
Levinas, passando per Nietzsche, la storia
del pensiero filosofico sembra riservarci, a
margine o tra le righe, una variegata e mute-
vole fenomenologia della stanchezza, che ci
restituisce anche una diversa concezione della
condizione umana.
Lo studio di Jean-Louis Chrétien non consiste semplicemente nel tratteggiare una genealogia della fatica, ma più profondamente
nel lasciar emergere, attraverso un’analisi
eminentemente filosofica, ciò che fondamentalmente chiama in causa il nostro rapporto con il corpo, con il tempo e con la
morte. L’espressione “esperienza” rischia
tuttavia di descriverla male: la fatica, infatti,
non ha un’origine riconoscibile, un’istante
inaugurale, ma anzi ci ha ha sempre già presi,
«c’è sempre stata... prima ancora di dire io».
Inoltre la stanchezza non sembra isolabile in
quanto oggetto autonomo, indipendente dall’esistenza umana; al contrario, le è coessenziale: non esiste la stanchezza in sé, si è
sempre stanchi “di” qualche cosa. In questo
senso «essa costituisce una dimensione della
condizione umana in quanto tale, in cui si
ritrovano il suo rapporto con il tempo e con
la morte, con lo sforzo e il lavoro, con il senso
e il non-senso».
A partire da questo suo carattere essenziale,
la stanchezza diventa il tema di un pensiero
che non si vuole oggettivante, ma che da essa
si lasci afferrare e condurre. In tal senso, la
genealogia di Chrétien si scandisce secondo
figure storiche, che rappresentano altrettante
«possibilità essenziali in cui si declina ogni
volta l’essere dell’uomo», e che possono
essere sintetizzate in tre tappe principali: il
pensiero greco, quello giudaico-cristiano e
27
infine quello moderno.
La filosofia greca concepisce il divino come
l’infaticabile per eccellenza, relegando fatica e stanchezza nell’ambito umano e facendone la cifra stessa della vita (in greco la
parola kekmékotes, che indica i defunti, è
participio passato del verbo kamno, stancarsi appunto); Aristotele approfondisce in
modo decisivo tale distinzione, identificando il motore immobile con il puro pensiero e
dunque legando la stanchezza dell’umano al
suo dover passare dalla potenza all’atto - che
implica appunto il rapporto con la materia e
con il corpo - e al suo compito specifico:
contemplare il divino. In questo modo, «la
possibilità della stanchezza non è una possibilità tra le altre [...] è la possibilità in quanto
tale, la potenzialità in quanto tale, l’essere in
potenza che deve diventare atto [...] essa si
radica nelle condizioni ontologiche di ogni
esperienza umana».
Su questa dimensione specifica dell’umano
torneranno a riflettere la tradizione spiritualista - da Agostino a Barth - come pure quella
moderna - da Cartesio a Husserl a Sartre passando per la grande e tragica esperienza
del nichilismo nietzscheano, ridotto a un
maldestro tentativo di affrancarsi da un Dio
di cui non sa e da cui non può, per definizione, liberarsi: pur non potendosi dire, secondo
Chrétien, che il nichilismo porti il lutto della
morte di Dio, giacché solo la fede cristiana è
in grado di portarlo avendone fatto un articolo di fede, resta nondimeno il fatto che «la
stanchezza nichilista non può essere descritta
AUTORI E IDEE
senza fare appello a quella fede che ha perduto».
Molte altre suggestioni completano il quadro offerto da Chrétien, evocando un vasto
panorama non solo filosofico e mistico, ma
anche letterario (Beckett, Handke, Pessoa
ecc.). È tuttavia dalla tradizione ebraicocristiana che questo studio trae la propria
chiave d’approccio al tema della stanchezza:
il legame essenziale che in essa è posto tra il
divino infaticabile e la creatura, perché è per
noi che instancabilmente Dio si affatica. «La
fatica cristiana, che muore e resuscita tutti, è
il luogo della lucidità dell’amore, dove palpita l’infaticabile grazia.» In questo contesto, un rilievo particolare, da un punto di
vista strettamente filosofico, viene dato a
Levinas, oggetto di diversi studi da parte di
Chrétien, che legge la stanchezza come «uno
sfasamento dell’essere in rapporto a se stesso», marcando l’evento stesso della nascita:
tutto comincia, precisa Chrétien, con «lo
sprofondamento in sé, con l’oppressione sotto
se stessi, sotto il proprio peso»: l’essere-peraltri instancabilmente e senza pretesa di
reciprocità è la chiave per risolvere positivamente questa essenziale dimensione dell’umano. K.B.
Realtà, linguaggio, pratica
Nel contesto di riflessione sul problema della comunicazione, ne L’INCOMPRENSIONE LINGUISTICA (trad. it. di F. Casadei, Laterza, Roma-Bari 1996) Talbot J. Taylor accusa le teorie del linguaggio di assumere la comprensione comunicativa come una premessa
autoevidente, giungendo a sostenere
che l’unico modo per ovviare allo scetticismo sia una soluzione antirealistica, in cui la comprensione è in realtà
un problema pratico all’interno di un
determinato processo comunicativo.
In INTERPRETATION RADICAL BUT NOT UNRULY
(Interpretazione radicale ma non sregolata, University of California Press,
Berkeley 1995) Joseph Margolis concentra invece la propria attenzione sul
momento dell’interpretazione, affermando che il rapporto fra verità e realtà è risolvibile solamente all’interno
delle pratiche intenzionali di una comunità culturalmente definita.
Le teorie del linguaggio, esordisce Talbot J.
Taylor ne L’incomprensione linguistica, si
preoccupano di stabilire “cosa” e “come”
comprendiamo, ma non si chiedono “se”
veramente comprendiamo; è qui che emerge
allora l’importanza dello scetticismo comunicativo, che invece viene solitamente annullato dall’affermazione pre-teorica della
comprensione comunicativa. In realtà il linguaggio ci appare come una pratica normativa, la cui regolarità siamo noi stessi a creare
e rinforzare nell’esecuzione concreta di questa pratica. Nel confronto con lo scetticismo
Taylor rivolge la sua attenzione su quello che
definisce “discorso metacomunicativo”, discorso puntato sulla riuscita o l’insuccesso
della comprensione comunicativa. John
Locke individua secondo Taylor l’inadeguatezza dell’agente linguistico nell’assicurare la comprensione comunicativa, giungendo al paradosso che nonostante il linguaggio funzioni per gli scopi ordinari in
realtà non ci capiamo reciprocamente.
Le cosiddette teorie dei “codici comunicativi”, per cui il linguaggio fornisce segni che
sono estranei all’uso che ne facciamo, introducono secondo Taylor nei loro modelli la
comprensione come ipotesi empiricamente
giustificata; in realtà si tratta di una tesi
introdotta surrettiziamente: la domanda sul
“come” avviene la comprensione comunicativa si sposta sul “cosa”, diventa cioè una
domanda relativa ai codici linguistici. Esempi di questo tipo di teorie sono per un verso
il naturalismo filogenetico di Condillac o il
naturalismo ontogenetico della linguistica
generativa di Chomsky, per un altro lo strutturalismo di De Saussure. In realtà, lo scetticismo non è messo in difficoltà da questo
tipo di teorie, che all’insegna del “dogma”
della comprensione comunicativa mostrano
che le lingue sono ciò che fa funzionare la
comunicazione. Per mettere fuori gioco lo
scetticismo, osserva Taylor, occorrerebbe
dimostrare che esistono motivi indipendenti
dall’assunto della comprensione comunicativa. Così, per tenere correlati la comunicabilità dei pensieri e l’oggettività della verità,
Frege replicherà allo scetticismo sostenendo che i “significati” delle parole e delle
proposizioni devono essere indipendenti dai
soggetti che comunicano. Ritenendo la significazione al di fuori del controllo del
singolo agente, anche l’epistemismo viene
classificato da Taylor all’interno delle teorie
del codice. Un’importante forma di transizione si ha con l’epistemismo di Dummett,
che rivolge l’attenzione alla pratica dell’attività comunicativa operando uno spostamento dal “riduzionismo linguistico” delle teorie
del codice ad una “riduzione alla pratica”.
Alternativa alle teorie del codice è la teoria
pragmatica di Dugald Stewart e Alan Gardiner; ma anche il determinismo pragmatico non fa altro che riprodurre le strategie
deterministiche naturali e sociali dei teorici
del codice. L’unica via d’uscita, secondo
Taylor, è l’adozione di una soluzione antirealistica, che assumendo come punto di
partenza la posizione dello scettico giunga a
delineare una forma di teoria linguistica «basata sull’indagine empirica delle pratiche
pubbliche delle comunità e sull’indagine
delle condizioni di asseribilità alle quali le
singole comunità fanno riferimento nella
descrizione verbale di quelle pratiche». Per
dimostrare il successso della comprensione
non è necessario far riferimento all’esistenza
di significati o norme oggettive, ma semplicemente al giudizio di una comunità: il primo teorico di questa soluzione, osserva
Taylor, è stato Saul Kripke.
Nel prendere in considerazione le teorie antirealistiche del linguaggio e dell’interpreta28
zione, Taylor si sofferma sul relativismo di
Derrida e di Stanley Fish, che, pur individuando gli stessi paradossi logici della teoria
realistica del linguaggio, non riescono a spiegare perché le persone che comunicano
agiscano come se si capissero davvero. L’antirealismo più efficace è quello dell’etnometodologia di Garfinkel e Heritage, contraddistinto dalla funzione fondamentale attribuita all’agente individuale nell’interazione
comunicativa, a differenza delle teorie naturalistiche, strutturalistiche ed epistemiche,
che negano un controllo volontario sulla
significazione. Qui la comprensione comunicativa è vista come un «risultato locale e
pratico raggiunto da particolari agenti dotati
di volontà che agiscono all’interno di un
particolare contesto d’interazione. Non c’è
dunque alcuna spiegazione generale, di principio, di “come” si verifichi l’ordine comunicativo; esistono solo casi particolari, contingenti, di particolari parlanti che riescono a
capirsi».
In Interpretation Radical but Not Unruly
Joseph Margolis si pone la questione se la
realtà sia caratterizzata da una struttura invariante o sia piuttosto concettualizzabile come
un “flusso”. La soluzione corretta deve essere individuata nell’interpretare ogni realtà
come un “costruire” degli esseri umani, formato e definito, all’interno di succedentisi
orizzonti storici: una realtà determinata è un
“manufatto” delle pratiche consensuali di
comunità umane vitali.
Il costruttivismo storico viene difeso da
Margolis soprattutto nei confronti della filosofia analitica, ricorrendo a diversi elementi
presenti in pensatori quali Peirce, Wittgenstein, Foucault, Gadamer, Derrida, e soprattutto applicandolo ai testi letterari, alle opere
d’arte e agli eventi storici. In questo, il ruolo
centrale dell’“interpretazione” si evidenzia
nell’identificazione e nella “produzione” di
quelle entità particolari che sono i testi; il
costruttivismo, anzi, non è nient’altro che la
generalizzazione di questa funzione: «l’interpretazione è una pratica produttiva mediante la quale un mondo intero è costituito».
Sono i teorici del postmoderno e del costruzionismo come Paul de Man che, secondo
Margolis, una volta afferrato il messaggio
costruzionista, stravolgono i risultati di Derrida e negano che le parole possano mai far
riferimento a qualcosa presente nel mondo,
giungendo così a negare qualsiasi distinzione tra fatto e finzione, tra storia e leggenda.
L’elemento decisivo del costruttivismo storico sta nella natura collettiva dell’elemento
culturale. Le “letture”, di qualunque argomento trattino, perché siano intelligibili al
prossimo e a noi stessi, devono stare all’interno di “tradizioni”, “modi di vita”, che in
ogni determinata situazione storica formano
e prefigurano le interpretazioni di prodotti
culturali determinati. Da ciò deriva che l’interpretazione, sebbene “radicale”, non è senza regole. In tal senso Margolis rivolge una
serrata critica a quegli autori che si situano a
metà strada fra la filosofia analitica e il
decostruttivismo, incapaci di portare a radi-
AUTORI E IDEE
cale conclusione ciò che apprezzano della
filosofia analitica a causa della vecchia concezione che hanno dell’interpretazione come
attività secondaria. Secondo Margolis non ci
sono verità socio-scientifiche e “semplici
cose reali” astraendo dalle pratiche “intenzionali” di comunità culturalmente individuate. M.B.
Ripensando Carl Schmitt
Due nuovi testi si aggiungono ai numerosi recentemente pubblicati sul
pensiero di Carl Schmitt, oggetto di
nuova e ancor più imparziale considerazione da parte di filosofi, giurisperiti e politologi. Si tratta dello studio
di F*** Balke, DER STAAT NACH SEINEM
ENDE . DIE VERSUCHUNG CARL SCHMITTS
(Lo stato dopo la sua fine. Il tentativo di Carl Schmitt, Wilhelm Fink,
Monaco di Baviera 1996) e della traduzione italiana di un saggio di Schmitt del 1943 che appare con il titolo: LA CONDIZIONE DELLA SCIENZA GIURIDICA EUROPEA (Antonio Pellicani Editore, Roma 1996), preceduto da un’introduzione di Agostino Carrino.
Lo studio di F*** Balke si colloca in linea
con la recente “Schmitt-Renaissance” che ha
finalmente reso possibile una lettura antiideologica dell’opera di Carl Schmitt; un’esigenza, questa, nata dalla consapevolezza
contemporanea di quella fine dello ius publicum Europae che Schmitt aveva prefigurato,
denunciando l’eutanasia tecnica del Diomortale, dello Stato-Leviatano.
Nell’opera di Schmitt Balke rintraccia una
visione prospettica, composta e stratificata
della realtà, secondo i suggerimenti forniti
da Deleuze e Guattari in Mille piani. A
questo proposito, torna utile per Balke la
distinzione schmittiana di causa e occasio,
enunciata in Politische Romantik (Romanticismo politico) del 1925, e in particolare
il modo in cui Schmitt si muove tra le due
istanze, attento alla concatenazione immanente di elementi eterogenei e preoccupato
dell’effetto neutralizzante che i media, il
mercato e la tecnica hanno esercitato sulle
coppie opposizionali di Stato/società, nemico/amico, interno/esterno, criteri irriducibili, dotati di valore esistenziale, a cui è
possibile ricondurre le azioni e i motivi
politici. Alla luce di questo contesto di
riflessione, benché sia da ritenersi un pericolo del tutto improbabile nella società
contemporanea un’intervento del Sovrano
o del Dittatore del tipo descritto da Schmitt
per porre termine al mondo superficiale e
inconsistente della tecnica, Balke dimostra
come il Potere sembri comunque in grado
di individuare nuove vie di autoaffermazione più nascoste, e per questo più minacciose ed efficaci, quali i canali digitali e il
“bio-potere”, la produzione della vita secondo lo standard dell’analisi genetica.
Di particolare interesse per una rivisitazione obiettiva del pensiero di Carl Schmitt
risulta anche la traduzione in italiano di un
suo saggio risalente al 1943, Die Lage der
europeischen Rechtswissenschaft (La condizione della scienza giuridica europea). Il
saggio consente di costatare la struttura
principalmente giuridica del pensiero schmittiano, ulteriormente confermata dalla
data di composizione, che colloca questo
scritto nella fase matura dello sviluppo
spirituale di Schmitt, quando la sua interpretazione della storia della scienza del
diritto europea come “ricezione” del diritto
romano lo pone in netto contrasto con il
nazismo, avversario irriducibile del diritto
romano stesso.
Da questo scritto affiora indubitabilmente
tutto il realismo del giurista tedesco, per il
quale il diritto è innanzitutto Sein (essere),
non mero Sollen (dovere): seguendo la
lezione della scuola storica di von Savigny,
Schmitt sostiene infatti che il diritto, come
ordinamento concreto, non può essere isolato dalla sua storia e sorge in un’evoluzione involontaria, vivendo storicamente nelle elaborazioni della scienza giuridica, non
come suo prodotto, ma come “dato” da essa
pensato. Si comprende in tale contesto l’avversione di Schmitt per il positivismo giuridico, anche nella sua versione kelseniana,
che egli accusa di legalismo giuridico e, in
ultima analisi, di “statualismo”. In tutta
l’opera di Schmitt, pur segnata da grandi
contraddizioni, è infatti sempre presente la
convinzione della superiorità del mondo
spirituale e in particolare della natura spirituale del diritto, che costituisce un frutto
del grande albero della storia e non è perciò
subordinabile ad altri scopi se non a se
stesso. A tale considerazione esistenziale
del diritto il positivismo giuridico contrappone invece una concezione strumentale
dello stesso, perché «la sua mira ultima è il
dominio e la calcolabilità».
In questo scritto Schmitt denuncia inoltre
l’impotenza e la confusione che regnano
nella Modernità come conseguenze dell’erosione della sovranità prodotta dalla socializzazione dello Stato e dalla statalizzazione
della società; la crisi della legalità statale, già
iniziata nel XIX secolo, ha trovato la sua
massima espressione nel “legislatore motorizzato” del XX secolo, inverando l’argomentazione di von Kirchmann secondo cui
la giurisprudenza mancherebbe di scientificità. Il procedimento legislativo nel nostro
secolo si è infatti semplificato e velocizzato,
cosicché decreti e ordinanze si sono sostituiti
alla legge generale. Nonostante ciò, Schmitt
è convinto che oggi più che mai la scienza
giuridica abbia ragion d’essere come ultimo
asilo della coscienza giuridica, poiché «la
legge è sempre più avveduta del legislatore»
e la giurisprudenza si sottopone sì positivisticamente alla legge volta a volta in vigore,
ma parla in nome di quella stessa legge
obiettivata, isolata dalle sue motivazioni soggettive. L.R.
29
Linguaggi matematici
e matematiche del linguaggio
Considerata sin dai tempi di Platone un
adeguato strumento di interpretazione
della realtà, la matematica diventa oggi,
attraverso la logica e l’analogia che la
caratterizzano, uno dei più efficaci linguaggi di conoscenza e analisi, in grado
di spiegare la complessità dei fenomeni. Ne LA VISIONE MATEMATICA DELLA REALTÀ
(trad. it. di G. Israel, Laterza, Bari-Roma
1996), Giorgio Israel traccia i limiti di
questa concezione. Un esempio di traduzione del mondo empirico nel linguaggio logico matematico è invece
quello offerto dallo studio di Roberto
Casati e Achille C. Varzi, BUCHI E ALTRE
SUPERFICIALITÀ (Garzanti, Milano 1996).
Teorizzata per la prima volta da Pitagora,
la matematizzazione della natura ha fornito
per due millenni sia una teoria di fondo
utile per l’interpretazione della natura, sia
uno strumento di verità. Con l’evoluzione
delle scienze, e in particolare con la relativizzazione della meccanica newtoniana e
delle geometrie euclidee, il modello matematico classico è andato in crisi. A questa
situazione reagisce Giorgio Israel, che ne
La visione matematica della realtà propone un nuovo modello di matematizzazione
della natura, che intende superare i limiti
delle posizioni precedenti. In tal senso, la
visione matematica della realtà diviene, da
una parte, la storia della matematizzazione
della realtà da Platone a Newton, con i suoi
pregi e i suoi limiti, dall’altra ciò che oggi
si definisce modellistica matematica.
Eretta su base platonica, la natura di Galileo e Newton era caratterizzata da quegli
elementi che hanno costituito la rivoluzione scientifica. La natura si presentava “scritta in caratteri matematici”, che fornivano
un’immagine unificata e semplificata dei
fenomeni. Un’interpretazione riduzionistica di tal genere, osserva Israel, aveva come
fondamento la meccanica classica, secondo cui le leggi della natura procedevano in
un ordine meccanicistico, analizzabile dall’osservatore. Quest’immagine del mondo
comincia a vacillare, da una parte, con la
scoperta delle geometrie non-euclidee e,
dall’altra, con la meccanica quantistica,
che mettono in crisi sia la concezione dello
spazio, sia la neutralità dell’osservatore,
che entrava in discussione nell’analisi dei
fenomeni. Per di più, nota Israel, lo sviluppo di scienze non matematiche come la
biologia e l’economia fornivano un nuovo
approccio ai fenomeni non rigidamente
quantitativo, ma pur sempre efficace. Da
questa crisi dei fondamenti nasce un nuovo
modello assiomatico della natura che, pur
non fornendo una visione unificata della
realtà, ne costituisce un linguaggio efficace. La nuova modellistica si definisce come
rappresentazione in un linguaggio matematico della realtà che resta suscettibile di
altre interpretazioni e che, per questo, non
AUTORI E IDEE
si esaurisce nella matematica. Questo linguaggio si serve dell’analogia tra fenomeni
diversi che vengono di volta in volta raccolti in forme vuote, prodotte dall’osservatore. In altre parole, il nuovo linguaggio
tiene conto dell’osservatore che descrive il
mondo complesso dei fenomeni attraverso
l’uso di metafore e analogie prodotte diversamente di volta in volta. La logica sintattica perde qui il carattere di linguaggio
universale per diventare uno dei tanti linguaggi possibili ad usum di interpretazione
della realtà.
A questo proposito, lo studio di Roberto
Casati e Achille C. Varzi, Buchi e altre
superficialità, propone un’interpretazione
empirica, filosofica e logica al tempo stesso, del concetto di “buco”. La questione è
se il buco sia un ente realmente esistente,
un’illusione percettiva o, piuttosto, un’entità metafisica. Infatti, se da una parte i
buchi possono essere localizzati nello spazio e nel tempo come qualsiasi altro oggetto reale, dall’altra non ricevono un’identità
dal materiale di cui sono formati. Per definire il buco, osservano allora Casati e Varzi, occorre analizzarne le forme, le capacità
di interagire con gli altri oggetti, la provenienza. Il risultato di questa analisi è l’identificazione del buco come un individuo
parassitario, in quanto dipende dal contorno, e immateriale.
L’analisi ontologica a cui Casati e Varzi
sottopongono il concetto di buco è accompagnata da una morfologica, che cerca di
analizzare la formazione percettiva del
buco, invisibile in un mondo a due dimensioni, tipo quello di Flatlandia, o carico di
illusioni percettive, tipo quelle del vaso di
Rubin, in cui il vuoto e il pieno si confondono e si inseguono all’infinito. Una volta
analizzato il concetto di buco dal punto di
vista verbale, viene fornito un quadro esauriente del concetto di buco anche a livello
geometrico. Lo studio si chiude infatti con
un’appendice di logica formale, in cui i
concetti di vuoto, pieno, esistente, non esistente, e così via, appaiono in un ordine
assiomatico e deduttivo. La logica diventa
così un modo per cercare di cogliere quest’entità, sfuggente al pensiero razionale,
nel modo più semplice possibile. A.S.
Prini: il desiderio di essere
Nel volume dal titolo IL DESIDERIO DI
ESSERE. L’ITINERARIO FILOSOFICO DI PIETRO
PRINI (Edizioni Studium, Roma 1996)
vari autori esaminano l’opera filosofica di Pietro Prini mostrando come egli
abbia cercato di coniugare la fede con
la ragione, radicando l’esistenza umana nel vissuto corporeo e aprendola al
mistero della fede attraverso il superamento sia dello spiritualismo astratto, sia del positivismo razionalista. Ne
emerge così un ampio quadro della
filosofia di Prini, il cui nucleo centrale
è costituito dal desiderio di essere in
contrapposizione al bisogno di avere,
un desiderio inteso anche come “contemplazione creatrice” rivolta a Dio.
Come sottolinea Dario Antiseri nel suo
scritto Diritti della ragione e spazio della
fede, Pietro Prini si oppone sia allo spiritualismo dei metafisici cattolici, sia al razionalismo del positivismo e del neopositivismo,
con lo scopo di cogliere la peculiarità dell’esperienza religiosa. Secondo Prini, infatti,
la filosofia cristiana, lungi dal saldarsi con la
metafisica dogmatica, come credono certi
filosofi cattolici, è perfettamente conforme
alla dimensione contingente e finita dell’essere umano: la fede è un «mondo ontologicamente contingente».
Con questo tuttavia, come osserva Giuseppe Riconda nel suo saggio Esistenzialismo e
nichilismo, Prini non approda al nichilismo;.
anziché rappresentare uno sbocco naturale
del pensiero contemporaneo, il nichilismo,
per Prini, può costituire un momento di
passaggio per scoprire il senso autentico
dell’essere. Come rileva Andrea Gonzi nel
suo scritto L’ambiguità dell’essere e l’uscita
dalla circolarità ontologica, per Prini l’enigma più sconvolgente dell’essere è il suo
svelarsi nascondendosi e il suo essere sia
identico a sé sia differente da sé. L’essere,
come mette in chiaro Guido Traversa nel
suo saggio Necessità e libertà: le articolazioni dell’essere nella “domanda fondamentale”, è caratterizzato da una originaria “ambiguità”, dovuta al fatto che l’essere si fonda
contemporaneamente su tre principi: il principio di identità (Parmenide), il principio di
ragion sufficiente (Leibniz) e il principio di
coincidenza degli opposti (Cusano). In Prini
questi principi si completano l’uno con l’altro, determinando la sintesi di necessità,
libertà e finalità. Nella prospettiva di Prini,
precisa Angela Maria Isoldi nel suo scritto
Il paradosso umano: l’ascolto dell’essere e
il discorso metafisico, l’affermazione
dell’“ambiguità” dell’essere deve essere considerata come manifestazione della necessità di sostenere l’essere di ogni esistente
contro la possibilità del suo “annientamento
ideale”.
Con uno scritto dal titolo Pensare è desiderare, Marianna Gensabella Furnari mette
invece in evidenza come Prini esamini la
dialettica tra bisogno e desiderio, sottoline30
ando la superiorità del desiderio sul bisogno.
Il desiderio di essere, sostiene Prini con
Gabriel Marcel, esprime il consenso umano a essere e coincide con la corporeità
vissuta. Come precisano Isabella Lucchese
e Nicola Grana in Situazione ed alterità del
discorso, il logos diviene in Prini “intelletto
d’amore” e, quindi, desiderio dell’altro: l’uomo si deve realizzare nella propria interiorità
stabilendo un legame tra logos ed eros, che
rappresenta «il fondo intimo e misterioso
della nostra umanità».
D’altra parte, sottolinea Lidia Giancola nel
suo saggio Plotino e l’identità della contemplazione e dell’azione, Prini riprende la filosofia di Plotino, mostrando come la contemplazione coincida nello stesso tempo con
l’essere e il fare, originando il pensiero inteso come “contemplazione creatrice”. Il platonismo di Prini, osserva Antonio Pieretti,
che interviene su Platonismo ed umanesimo
interiore: Plotino, Rosmini, Marcel, è caratterizzato dall’idea della liberazione dalle
passioni in modo tale che l’anima possa
ritornare nella propria interiorità. Infatti, è
nella propria interiorità che l’anima trova il
suo fondamento ontologico, il cui autentico
significato è quello di realizzare la partecipazione mistica all’essere di Dio. D’altra parte,
l’interpretazione del pensiero di Gabriel
Marcel, rileva Aurelio Rizzacasa nel suo
scritto L’interprete di Gabriel Marcel, spinge Prini a rivalutare la dimensione del corpo
vissuto in contrapposizione a quella del corpo oggetto, considerandola come essenziale
apertura al mistero dell’essere. Così l’itinerario filosofico di Prini, riprendendo la tradizione platonico-agostiniana, giunge all’affermazione di una sorta di “empirismo mistico” all’interno della filosofia esistenziale,
che propone la “scelta dell’essere” e il superamento dell’avere. M.Mi.
Critica dell’interpretazione
scientifica del mondo
È ormai opinione diffusa che la visione
scientifica del mondo costituisca solo
una delle possibili interpretazioni della natura. Con questa tesi Babette E.
Babich, in NIETZSCHE E LA SCIENZA (trad.
it. di F. Vimercati, Cortina, Milano
1996), riprende la filosofia nietzscheana e mostra lo scacco della scienza nei
confronti dell’arte, unico sguardo esaustivo sull’esistenza umana. In linea
con questa interpretazione si pone lo
studio di Alan Cromer, L’ERESIA DELLA
SCIENZA (trad. it. di M. Pasi, Cortina,
Milano 1996), che affronta il problema
della genesi accidentale della scienza
dalla concezione animistica che originariamente caratterizzava il rapporto
dell’uomo con la natura.
Strutturato in modo sistematico e chiaro, lo
studio di Babette E. Babich riprende il
rapporto nietzscheano tra scienza e arte nei
AUTORI E IDEE
confronti della vita. L’interesse di Nietzsche
per la scienza è sempre stato filtrato da una
profonda critica che intendeva smascherare
l’impresa scientifica dalla sua apparente innocenza. Seguendo quest’impostazione,
Babich sottolinea tre elementi fondamentali,
intorno ai quali ruota la concezione nietzscheana della scienza. In primo luogo, la
critica del concetto di verità oggettiva e
assoluta della scienza che, da baluardo del
positivismo, diventa uno strumento fazioso
e limitato in mano all’uomo contemporaneo.
«Non esistono fatti, ma solo interpretazioni», ricorda Nietzsche, sottolineando come
l’oggettività comporti sempre una scelta del
soggetto nell’interpretazione dei fatti che
condiziona a priori l’idea stessa di oggettività. Secondo Babich, lo scopo della scienza,
nella sua ricerca di realtà immutabili e permanenti, è conseguenza di una sorta di malattia culturale, che esige regolarità e calcolabilità all’interno della natura in continuo
divenire. La scienza diventa in tal senso
l’ultima espressione della morale ascetica
che pervade l’Occidente. Abbagliata dal mito
della felicità, la scienza pretende di conservare la vita nella sua immobilità, fuggendo
dal dolore e dalla morte che, al contrario, la
caratterizzano nella sua più intima essenza.
Da questa analisi Babich ricava il fondamentale carattere limitativo della scienza, inadeguata di fronte alla vita e alla sua complessità. Solo l’arte, ed è questa la conclusione di
questo studio, riesce a tener conto del carattere dionisiaco della vita, a dar voce all’amor
fati, unico approccio possibile all’esistenza.
L’ideale estetico è quello dell’annientamento della soggettività, del piacere del divenire
in tutte le sue componenti vitali, compresa
l’esperienza del dolore. L’arte, osserva Babich, perde di vista l’illusione della felicità
immobile e decadente della scienza, per cogliere l’attimo nella sua autenticità e fuggevolezza.
Ne L’eresia della scienza, in cui l’impresa
scientifica appare esclusivamente come sviluppo casuale del pensiero greco e occidentale, Alan Cromer intende dimostrare come
la tendenza naturale dell’uomo porti in direzioni radicalmente opposte all’impresa scientifica. La tendenza innata dell’uomo, ricorda
Cromer, è soggettivistica e animistica in
quanto l’individuo, essenzialmente egocentrico, tende ad attribuire a sé l’operato del
mondo. Questo spiega l’abitudine alla credenza e alla magia tipiche delle religioni e
delle culture anche orientali. In Occidente, al
contrario, lo sviluppo del pensiero greco,
caratterizzato dalla riflessione critica e dal
principio di non contraddizione, ha allontanato l’uomo dalla sua natura.
Con atteggiamento darwinista, Cromer fa
notare come determinate componenti biologiche e condizioni fortuite abbiano condotto,
nella filosofia greca, allo sviluppo della matematica e, di conseguenza, al sapere scientifico. In tal senso, lo sviluppo della democrazia e del sapere pubblico avrebbero rafforzato l’impresa scientifica, che affonda le
sue radici proprio nel controllo ripetuto delle
sue asserzioni, diversamente dalla credenza,
che esclude qualsiasi dimostrazione oggettiva e universale. In altre parole, il successo
della scienza, secondo Cromer, sarebbe dovuto non ad una necessità della storia, bensì
al concorso di determinati fattori, come la
fiducia nel controllo intersoggettivo, che la
hanno favorita. In tal modo, la scienza moderna perde, da un lato, la tipica connotazione di percorso obbligato del pensiero occidentale e la sua conseguente universalità,
dall’altro diventa una deviazione fortuita e
accidentale, e quindi particolare, del pensiero greco. A.S.
Ermeneutica ed estetica
Nel volume
ERMENEUTICA E METODICA.
STUDI SULLA METODOLOGIA DEL COMPRENDE-
(Marietti, Genova 1996) Carlo Gentili contrappone l’ermeneutica adialogica di Gadamer, basata sulla continuità tra passato e presente, all’ermeneutica di Jauss, fondata sull’apertura
al futuro e sulla possibilità del dialogo
che implica il riconoscimento dell’alterità di ciò che viene interpretato. In
MALINCONOIA ED EPOCHÈ (Mercurio, Vercelli 1995) Livio Bottani mette invece
in risalto come i limiti dell’ermeneutica gadameriana risiedano nell’importanza eccessiva conferita alla componente conoscitiva. Evidenzia così
l’enigma dell’opera d’arte che pone la
coscienza di fronte alla nullità del
mondo aprendo una ferita non rimarginabile.
RE
Secondo Carlo Gentili, l’ermeneutica filosofica di Gadamer si pone in contrapposizione alla tradizione storica dell’ermeneutica, intesa come tecnica e perciò come attuazione di un metodo. Solo con Schleiermacher l’ermeneutica perde, secondo Gadamer, il carattere di tecnica per acquisire la
«dignità di una riflessione sul comprendere
in generale». Tuttavia, secondo Bolher, fa
notare Gentili, l’ermeneutica filosofica di
Gadamer, come pure quella di Schleiermacher, risulta essere a-dialogica, caratterizzata dalla continuità rispetto al passato e quindi
essenzialmente a-critica. Nella prospettiva
gadameriana la contemporaneità è già posta
dal testo, considerato come «eterno presente». In tal senso Gadamer riconduce la storicità del comprendere alla dimensione “sostanzialistica” della continuità, che priva la
comprensione della componente “dialogica”, originando un’ermeneutica che non comporta la domanda e la risposta.
L’ermeneutica di Jauss può essere considerata per Bolher un completamento della prospettiva avviata da Gadamer. Jauss infatti,
osserva Gentili, si appropria, modificandolo, di uno dei concetti fondamentali della
teoria gadameriana, la concezione per cui
l’esperienza estetica modifica colui che la
31
compie. Esiste infatti, per Gadamer, un distacco temporale tra il testo e l’interprete,
che può essere “produttivamente utilizzato”,
anche se la modificazione del soggetto interpretante può avvenire per Jauss solamente se
l’oggetto estetico o il testo si rivelano radicalmente diversi. In base a questa prospettiva la comprensione può verificarsi solo nel
caso in cui venga riconosciuta l’alterità di ciò
che deve essere compreso: solo in questo
modo, sottolinea Gentili, viene difeso il carattere “dialogico” che consegue dall’ammissione dell’autentica diversità degli interlocutori. In tal senso, quella di Jauss può
essere definita un’ermeneutica dell’alterità.
Inoltre per Jauss, fa notare Gentili, il compito
gadameriano della comprensione si realizza
effettivamente nell’esperienza estetica e quindi nella ricezione dell’opera d’arte. Qui il
significato dell’opera d’arte non viene stabilito definitivamente in maniera univoca, ma
si costituisce a partire da un’“opacità” che
lascia sempre aperta la possibilità di svelare
tale significato.
Sui rapporti tra ermeneutica ed estetica interviene anche Livio Bottani, che pur riconoscendo a Gadamer il merito di aver evidenziato come l’estetica consenta di determinare un cambiamento profondo nella vita quotidiana dell’uomo, lo accusa di attribuire
troppa importanza alle componenti “mimetico-riconoscitive” dell’arte. Per quanto
l’estetica gadameriana determini infatti una
giusta comprensione dell’“ontologicità” dell’esperienza dell’arte, per ridurre il peso
della conoscenza che in tal modo viene chiamata in causa è necessario recuperare l’estetica kantiana che considera l’opera d’arte in
primo luogo come «sospensione di ogni
giudizio e di ogni riconoscimento di ordine».
Secondo Bottani, l’opera d’arte rivela il suo
carattere enigmatico solamente se viene interpretata da un’ermeneutica del mistero e
dell’enigma. Analizzando le tonalità affettive della noia, dell’acedia e della malinconia
in diverse concezioni filosofiche, Bottani
mostra come in esse la coscienza venga
posta in relazione con la possibilità del nulla
mondano e dell’assenza di significato. Così
se la noia evidenzia la condizione emotiva
del «ristare del tempo», l’acedia, invece,
coincide con la noia mortale, mentre fa parte
della melanconia sperimentare il senso dell’orrore che sorge dalla consapevolezza del
nulla che vanifica ogni attività umana. Nella
melanconia si attua una sorta di epochè e di
distanziamento da ogni «ente semplicemente presente», che rivela il suo carattere fondamentalmente libero. Infatti, osserva Bottani,
la ferita causata dallo sguardo melanconico
sul nulla non potrà mai essere rimarginata
definitivamente. Ne consegue che la coscienza del melanconico si trova in un continuo movimento di “spossessamento” e di
“riappropriazione”; la sua ironia è privazione di ogni garanzia e di ogni certezza, in
quanto produce un’insanabile “lacerazione”
e rivela così il suo volto demoniaco. M.Mi.
TENDENZE E DIBATTITI
Albrecht Dürer, L’imperatore Carlo Magno (part.)
32
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Sul mestiere dello storico
Nella seconda metà del 1996 hanno
visto la luce in Francia varie opere che
tendono a riaprire un dibattito intorno
alle discipline storiche, in cui storici di
professione s’interrogano sui riflessi
delle proprie convinzioni politiche o
religiose, sul “mestiere” che esercitano e sul ruolo del sapere storico nell’orizzonte della contemporaneità. Tra
queste opere si segnalano L’HISTORIEN
ET LA FOI (La storia e la fede, Fayard,
Parigi 1996), di Jean Delumeau; ENTRE
MYTHE ET POLITIQUE (Tra mito e politica,
Seuil, Parigi 1996), di Jean-Pierre Vernant; MYTHES GRECS, AU FIGURÉ DE L’ANTIQUITÉ AU BAROQUE (Miti greci, il senso
figurato dall’Antichità al barocco, Gallimard, Parigi 1996), di Jean-Pierre
Vernant e Stella Georgoudi; SUR LA
“CRISE DE L’HISTOIRE” (Sulla “crisi della
storia”, Belin, Parigi 1996), di Gérard
Noiriel.
Noto specialista di storia dei sentimenti e
delle rappresentazioni religiose, autore di
Histoire de la peur en Occident (Storia
della paura in Occidente) e di Histoire du
Paradis (Storia del Paradiso), Jean Delumeau ha raccolto in volume le risposte
ottenute da una nutrita schiera di colleghi a
due domande di notevole rilevanza: la prima, sull’influenza delle convinzioni religiose di ciascuno nell’esercizio del mestiere di storico; la seconda, sui riflessi della
familiarità con la storia religiosa sulle posizioni personali dello storico credente.
Secondo Delumeau, la tipologia dello studioso di storia religiosa è molto cambiata
dagli anni Sessanta a oggi; non sembra
infatti esservi una distinzione tra storia
sacra, che godrebbe di uno statuto privilegiato, e storia profana; ma esisterebbe
un’unica storia, la Storia, che non può
sfuggire a un metodo di analisi critica. La
fede in sé non sembra offrire uno strumento
euristico in più allo storico della religione:
se lo storico della religione non avesse
alcuna sensibilità per i fatti spirituali, rischierebbe di non coglierne l’essenziale; la
sua sensibilità deve servirgli a evitare di
interpretare semplicisticamente, in termini
riduttivi, fenomeni controversi come l’In-
quisizione. Tutti gli studiosi, osserva Delumeau, sembrano tuttavia riconoscere alla
propria fede il merito di averli tenuti lontani da spiegazioni totalizzanti e ideologicamente riduttive, soprattutto da quelle di
ascendenza marxista, al cui richiamo solo
gli storici cristiani sembrano avere resistito. Paradossalmente la fede, nel momento
in cui presuppone il fatto che la storia sia
dotata di un senso, mette gli studiosi credenti al riparo dall’inclinazione ad assolutizzare un ambito che sembra essere anzitutto quello del relativo. Lo storico credente, fa notare Delumeau, non deve fare astrazione dalla propria fede, ma cercare, basandosi su di essa, di capire le posizione diverse o avverse, lottando contro ogni forma di
dogmatismo e contro l’autocompiacimento precoce nel lavoro di scavo e di interpretazione delle fonti. Sul piano teologico, la
conoscenza storica, attraverso la ricostruzione dell’origine di dogmi e contrasti,
mostra il ruolo di fattori contingenti nel
loro emergere, svolgendo in questo modo
una funzione demistificante.
Nella sua autobiografia Jean-Pierre Vernant rivela di essersi dedicato allo studio
della Grecia antica non solo a causa della
sua ammirazione per la letteratura classica
in generale e per Platone in particolare, ma
anche per evitare quei condizionamenti
che, data la sua fede politica marxista,
vedeva in agguato nello studio e nell’interpretazione della contemporaneità. Il suo
rapporto con il marxismo voleva essere
dinamico e differenziato, muovendo dall’utilizzo e dalla riattualizzazione del pensiero di Marx, in quanto teoria critica, al
rifiuto di ogni dogmatismo, in special modo,
del messianismo inerziale legato ai partiti
comunisti.
Punto di convergenza tra le proprie aspirazioni di militante antifascista e quelle di
storico dell’ellenismo risiede nell’investigazione di un particolare tipo di razionalità
nella Grecia classica, la ragione democratica. La sua indagine sull’antichità non ha
potuto non avere, come conseguenza di più
ampio raggio, un chiarimento e una messa
in prospettiva degli aspetti e dei problemi
della democrazia contemporanea. Centrale
è la riflessione condotta da Vernant su una
nozione-chiave del mondo classico, quella
di philia, la cui funzione per gli antichi
33
Greci era di rendere omogeneo un gruppo
senza tuttavia escludere le tensioni, o addirittura le rivalità interne: «Il sentimento
profondo della comunità di eguali» - scrive
Vernant - «include sempre l’idea di una
competizione». La democrazia significa
discussione, implica la possibilità del conflitto, e l’amicizia, la condivisione di un
percorso con altri, racchiude al proprio
interno l’eventualità di una rottura, di una
divisione, maturata sulla base di una «fedeltà a se stessi» e ai propri ideali di partenza, inizialmente condivisi con il gruppo.
Gli altri interlocutori, idealmente amicirivali, con cui Vernant si confronta in questo “diario di viaggio” nel mestiere di storico, sono Martin Heidegger, a proposito
dell’interpretazione dei presocratici, e
Louis Althusser, fautore di una concezione della storia come “processo senza soggetto”. Il percorso esistenziale e scientifico
di Vernant sembra dunque confermare le
conclusioni dell’inchiesta di Delumeau sul
potere demistificante della storia: anche
per chi, come lui, sceglie un terreno di
indagine “lontano nel tempo”, il mestiere
di storico si è rivelato un deterrente contro
gli accecamenti dell’ortodossia.
La riflessione di Gérard Noiriel, storico e
sociologo che si è occupato della questione
dell’immigrazione e del diritto di asilo, è
invece volta a individuare e descrivere ciò
a cui si riferiscono gli specialisti quando
parlano di “crisi della storia”. In particolare, Noiriel s’interroga sull’apparente contraddizione tra due versanti, quello della
scrittura commemorativa e quello della trasmissione didattica dei saperi e dei metodi,
in cui sembrano scindersi le produzioni
degli storici professionisti contemporanei.
Secondo Noiriel, fin dal XIX secolo la
pratica della storia è riconoscibile come
pratica plurale: pratica dei saperi e delle
competenze che costituiscono l’oggetto
stesso del mestiere di storico; pratica di
potere, legata alla funzione di trasmissione, ossia all’insegnamento; pratica della
memoria, legata alle comunità a cui i singoli studiosi appartengono. L’equilibrio tra
questi diversi livelli diventa problematico
nel momento in cui, con la nascita di una
comunità scientifica definita da una identità professionale (nelle università tedesche
del XIX secolo), questi livelli si trovano
TENDENZE E DIBATTITI
riuniti e intrecciati in un’unica attività.
La professionalizzazione della storia, osserva Noiriel, mette in luce la tensione
esistente tra lo storico come “pubblico funzionario”, sottoposto a condizionamenti da
parte dello Stato da cui dipende, e l’autonomia di una pratica conoscitiva intesa come
sapere critico. Si è assistito così, soprattutto nel secondo dopoguerra e per ragioni
burocratiche, all’aprirsi di un divario tra
storici organici all’establishment e outsiders, divario ulteriormente accresciuto dalle
attuali discussioni sull’oggetto e la natura
della conoscenza storica. Polemiche teoriche che si sono incentrate via via sulla
svolta linguistica, sulla svolta critica o su
quella epistemologica, per mettere in questione l’obiettività o verità storica, i rapporti tra realtà e finzione, tra descrizione
scientifica e racconto, facendo slittare i
termini del confronto dal terreno dei metodi a quello della scrittura storica. Secondo
Noiriel, gli storici dovrebbero abbandonare questi “vani” dibattiti speculativi, per
tornare a riflettere collettivamente sull’insieme delle loro pratiche concrete, perché
la “funzione sociale” della storia si fonda
sulla sua capacità di distruggere le falsificazioni, fornendo una conoscenza il più
possibile “adeguata” di ciò che è stato,
attraverso un vero e proprio “lavoro sul
campo”. D.F.
Poesia e filosofia
L’opposizione che da sempre esiste
tra poesia e filosofia, come quella tra
mito e logos, sembra essere, ultimamente, meno evidente. Ne parlano,
inserendosi nel dibattito contemporaneo, diversi autori nell’annuario FILOSOFIA ’95, (Laterza, Bari-Roma 1996),
curato da Gianni Vattimo.
La caduta dei grandi sistemi e il conseguente indebolimento della filosofia come
scienza specifica hanno ridotto le distanze
che separavano la filosofia stessa dalle
altre discipline. Se un tempo era improponibile accostare la poesia alla filosofia, e
pertanto l’immaginazione alla ragione, oggi
il discorso diventa possibile se non auspicabile. Gianni Vattimo, nell’introduzione
a Filosofia ’95, si chiede se l’accostamento
sia dovuto ad una questione di utilità o di
necessità. Nel primo caso, la poesia e il
pensiero per immagini risultano uno strumento di divulgazione e quindi utile al
logos, alla maniera del mito in Platone; nel
secondo caso, la poesia diventa uno strumento indispensabile alla filosofia in quanto costituisce la capacità di pensare per
immagini, fondamentale per il pensiero
logico alla maniera di Aristotele nel De
Anima.
Esaminando l’opera di Vico e di Leopardi, Sergio Givone nota il forte legame
tra verità e bellezza, e quindi tra filoso-
fia e immaginazione, che conduce ad
una posizione di deciso nichilismo. In
Vico lo sviluppo circolare dell’umanità
si fonda sull’immaginazione che, pur
costituendo l’errore e l’illusione, fornisce la base necessaria per produrre la
ragione e la filosofia: la «riflessione con
mente pura» deve la sua esistenza «all’animo perturbato e commosso», che
diventa da una parte la dimensione da
superare e correggere perché ingannevole, dall’altra la base della ragione stessa. In Leopardi poesia e filosofia conducono al nulla, ovvero alla dimensione
d’essere dell’uomo. Se la poesia e la
bellezza portano alle illusioni della giovinezza, la filosofia e la verità portano al
disinganno, che apre, senza via di scampo, la dimensione del nulla.
Meno tragica e più esistenziale è la posizione di Gaetano Chiurazzi che analizza il concetto di possibilità all’interno
del discorso ontologico. Chiurazzi confronta la modalità, e quindi la categoria
della possibilità, tipica della poesia e del
mondo dell’immaginazione, nel pensiero di Kant e di Heidegger. Se nel primo
la possibilità risulta essere solo una categoria dell’intelletto e quindi accidentale, nel secondo la possibilità diventa un
esistenziale, un modo d’essere del Dasein che è colto anche e soprattutto nella
tonalità emo tiva. In a ltre parole,
Heidegger si rende conto che anche la
comprensione e il processo razionale
necessitano di quella Stimmung che diventa costitutiva dell’esserci. Lo sviluppo di questo pensiero, nota Chiurazzi,
porterà Heidegger alla svolta e alla teorizzazione della poesia che apre alla verità e alla costituzione del senso, fondato, quindi, sull’immaginazione.
Non solo poesia e filosofia, ma anche
matematica e filosofia costituiscono l’oggetto di riflessione di Maurizio Ferraris, che cerca un legame costitutivo tra
queste dimensioni del pensiero: la matematica diventa una costruzione sulla “tabula mentale” attraverso le immagini
che presuppongono lo scorrere nel tempo. Lo stesso discorso vale per la poesia
e la filosofia che, pur utilizzando da una
parte le intuizioni e dall’altra i concetti,
necessitano di un processo costruttivistico che presuppone, ancora una volta,
il tempo. In altre parole, secondo Ferraris esiste una corrispondenza tra il sentire nella tabula e il pensare delle forme a
priori che prescinde da qualsiasi priorità. In questo modo, la soluzione diventa
una sorta di corrispondenza leibniziana,
in cui l’a priori e l’a posteriori si intrecciano l’un l’altro in una corrispondenza
senza fine. A.S.
34
Nuovi studi di filosofia politica
Tra i recenti studi di filosofia politica
ve ne sono alcuni orientati a rimettere
in discussione i paradigmi stessi di
costituzione del politico; altri intendono ripercorrere gli autori fondamentali da cui questi stessi paradigmi derivano, nell’esigenza di verificarne ancora la portata: è questo il caso dell’antologia di scritti curata da Roberto
Esposito, OLTRE LA POLITICA (Bruno Mondadori, Milano 1996), in cui viene riproposta una messa in discussione
radicale del concetto stesso di “politico”. Un’altra schiera di studi si propone invece di fornire nuove letture complessive di grandi pensatori: LA FILOSOFIA POLITICA DI KANT (FrancoAngeli, Milano 1996), di Filippo Gonnelli; ROUSSEAU. LA POLITICA E LA STORIA, (Guerini e
Associati, Milano 1996), di Alberto
Burgio; RAZIONALITÀ E POLITICA. FONDAMENTI DELLA RIFLESSIONE DI HEGEL E DI WEBER SULLA BUROCRAZIA (FrancoAngeli,
Milano, 1996), di Cristiana Senigaglia;
CARL SCHMITT E LA TRADIZIONE MODERNA
(Laterza, Roma-Bari 1996), di Geminello Preterossi.
Perché andare oltre il politico? Secondo
Roberto Esposito , il “politico” è costitutivamente esposto alla negazione dei suoi
stessi valori-guida: sono la sua stessa opera di politicizzazione, insieme al nesso
potere/bene, che necessariamente divorano i suoi presupposti. La salvezza del politico sta fuori di esso, nell’«impolitico»,
che non significa «spoliticizzazione», in
quanto questa è ancora una categoria interna al politico stesso. L’«impolitico» assume che il bene non è rappresentabile dal
potere e assegna unicamente a quest’ultimo la sfera della forza. Di conseguenza,
sostiene Esposito, esso rappresenta lo stesso realismo politico visto da una prospettiva rovesciata.
L’«impolitico» non è antagonistico al politico, ma «altro» rispetto a esso. Così le vie
dell’impolitico possono essere o quella
“ascetica”, percorsa da Simone Weil, o
quella “estatica”, a cui si rifà Bataille.
Comprendere e uscire dal politico significa, per Esposito, guardare ai pensatori che
con esso hanno intrattenuto una sorta di
rapporto di implicazione essenziale a distanza, che lo hanno attraversato con un
bagaglio formativo e concettuale a esso
non assimilabile, sebbene da esso permeabile.
Nel suo studio monografico su Kant, Filippo Gonnelli ripercorre le diverse letture
con cui il pensiero politico di Kant è stato
di volta in volta proposto o come ambito di
riferimento dei fondamentali postulati liberali, o come concezione inassimilabile a
un’ottica genuinamente liberale. Emerge
così un’immagine frantumata di Kant, contro cui si tratterebbe invece di far valere le
linee interne di composizione. Gonnelli
TENDENZE E DIBATTITI
non manca di evidenziare le fratture e i
passaggi presenti nel discorso kantiano lungo il corso della sua elaborazione, sebbene
con ciò non si pervenga a risultati di carattere aporetico. Il luogo particolarmente critico è quello in cui Kant pone l’esigenza di
saldare la libertà individuale con la sovranità popolare.
Contro il giudizio, risalente già a Voltaire,
ma avvalorato da un critico della statura di
Starobinski, per cui la visione teorica di
Rousseau risulterebbe antistorica (naturalistica) e antimoderna, lo studio di Alberto
Burgio intende invece mostrare come la
storia costituisca un elemento centrale nella filosofia politica rousseauiana. A Rousseau, sottolinea Burgio, andrebbe tolta la
pesante accusa di “capostipite del totalitarismo democratico” e riconosciuta la facoltà di critico della società e del “progresso
incompiuto” nello stesso processo di emancipazione, che rischia di lasciare ai margini
tutta la schiera di coloro che non possiedono né abilità né talento. Da qui il suo ideale
di democrazia che si indirizza al godimento
realmente universale dei diritti politici e
del benessere sociale.
La teoria politica di Rousseau appare, secondo Burgio, come una prima formulazione, critica per un verso e propositiva per
l’altro, di ordinamento politico visto dall’ottica dei proletari. Sulla base di questo
stesso approccio interpretativo, ci si dovrebbe allora chiedere perché la democrazia rousseauiana non assuma tratti di un
sistema che postula appunto la “dittatura
degli uguali”. In effetti, osserva Burgio, il
nesso tra volonté générale e giacobinismo
(che non troviamo in Rousseau) non è così
facilmente risolubile senza cadere fatalmente nella improponibile volonté des tous
(che è invece lo statuto ineliminabile delle
democrazie inegualitarie o “liberali”). Pare
difficile perciò riproporre la validità del
discorso rousseauiano senza assumerne
contemporaneamente anche la radicalità:
la democrazia non è solo consenso generale; ma proprio perché vuole essere tale al di
là dei particolarismi, essa non può che
postulare l’atto di forza delle minoranze
che credono di interpretare un bene comune altrimenti non rinvenibile.
Cristiana Senigaglia propone invece un
confronto tra la concezione di Hegel e le
formulazioni di Max Weber in fatto di
burocrazia che entrambi intendono come
una configurazione centrale dello Stato
moderno, in grado di esprimerne il suo
carattere di razionalità. Ma mentre per
Hegel lo Stato, attraverso il ceto dei funzionari, fa propria la capacità di penetrare
l’intero cogliendo in uno sguardo complessivo l’intera strutturazione della società,
per Weber la burocrazia diventa un momento, per quanto caratterizzante dell’attività statale, privo di qualsiasi riferimento
sostanziale al perseguimento dell’interesse
comune; a garantire il suo carattere di generalità basta infatti il solo riferimento formale alle procedure legali-razionali. Dunque,
osserva Senigaglia, è a proposito del valore
da attribuire alla razionalità burocratica
che le posizioni dei due pensatori divergono notevolmente: se in Hegel è presente
una connotazione fortemente etica della
burocrazia, interprete della volontà generale dei cittadini, per Weber la razionalità
burocratica perde qualsiasi riferimento rispetto ai valori e si connota essenzialmente
come razionalità di scopo, connessa a funzioni interamente formali.
Per Hegel si tratta ancora di trovare il luogo
costitutivo della volontà generale; Weber
sembra presagire invece i pericoli insiti
nella moderna costituzione della sovranità
politica, proprio nella misura in cui essa
vuole darsi come espressione di una volontà generale. La critica della burocrazia in
Weber, che si snoda parallelamente alla
sua profonda sfiducia rispetto a ogni soluzione di carattere genuinamente democratico, mostra già l’eclisse della volontà generale come paradigma costitutivo della
sovranità politica.
Proprio con Schmitt, rileva Geminello Preterossi, emerge il carattere non costitutivamente liberale insito tanto nell’idea di rappresentazione, quanto in quella di volontà
generale. Nel suo studio su Carl Schmitt e la
tradizione moderna, Preterossi ci offre una
ricostruzione dell’evoluzione intellettuale
complessiva di Schmitt, basata su alcuni
nuclei tematici rilevanti, quali quelli di “costituzione”, “sovranità”, “neutralità”, che
consentono di collocare il giurista tedesco
all’interno della tradizione giuridico-politica moderna. Mettendo in luce i presupposti
filosofici e antropologici della moderna dottrina dello Stato, Schmitt stesso avrebbe
contribuito più che altri proprio al definirsi
della “modernità politica” in quanto tradizione i cui paradigmi classici sono dati da
Hobbes, Descartes, Hegel e la cui modellistica giuridica si rifà alla dottrina tedesca dello
Stato dell’Ottocento. G.B.
Hegelismo francese
A testimonianza del rinnovato interesse per la ricezione del pensiero di
Hegel in Francia, dovuta a pensatori
quali Jean Hyppolite, Alexandre
Kojève, Alexandre Koyré, Jean Wahl,
la rivista «FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ» (n.
2-3, XVIII, 1995) pubblica due saggi di
Jean Hyppolite, inediti in Italia, dedicati a Martin Heidegger e alla sua interpretazione di Hegel, e gli atti del
convegno “Lo hegelismo francese: bilancio di una ricezione filosofica”, organizzato dal Seminario permanente
di filosofia contemporanea e tenutosi
presso l’Istituto filosofico Aloisianum
di Gallarate (17-18 novembre 1995).
Tra i vari contributi presenti nel fascicolo
di «Fenomenologia e società» dedicato
35
allo hegelismo francese, Judith Revel ricorda che nella Francia degli anni Trenta la
ricezione del pensiero di Hegel appare funzionale a una reazione nei confronti, anzitutto, del positivismo e dello spiritualismo,
allora prevalenti nella cultura e nella riflessione filosofica francese. Per Kojève, la
Fenomenologia dello spirito è il “libro dei
libri”, che compendia e racchiude in sé la
possibilità per ogni ulteriore elaborazione;
dopo di essa, alla fine della storia, la riflessione può essere soltanto commento, ripetizione all’infinito del già detto. Ciò spiega
l’imporsi in Kojève di un linguaggio “romanzesco”, nonché la genesi dei romanzi
“hegeliani” di Raymond Queneau.
Come sottolinea Adelino Zanini nel suo
contributo, spesso la “scoperta” di Hegel in
Francia si sviluppò a partire da prospettive
che non sono hegeliane. Hegel viene riscoperto con e per mezzo dei suoi avversari,
osservava Hyppolite: lo Hegel di Jena e
della Fenomenologia viene letto insieme
agli inediti del giovane Marx. Nella sua
posizione Hyppolite, osserva Zanini, sintetizza alcune delle letture hegeliane più importanti dell’epoca, finalizzandole a un
confronto con i filoni di pensiero che erano,
all’epoca, più vicini a Hegel: il pensiero
marxiano e quello esistenzialista. Partendo
dal primato conferito da Hegel alla dimensione tragica dell’esistenza umana, Hyppolite giunge, anche attraverso l’influsso
di Heidegger, a conferire primato all’aspetto logico. In questa prospettiva la teoria
marxiana dell’alienazione diventa, per
Hyppolite, un caso particolare della teoria
hegeliana dell’oggettivazione, sebbene,
secondo Zanini, Hyppolite pecchi qui di
considerazione riduttiva del pensiero
marxiano, a cui fa riscontro una considerazione altrettanto riduttiva dello stesso pensiero hegeliano.
Secondo Flavio Cassinari, l’evolversi della lettura hyppolitiana di Hegel nel corso
degli anni Cinquanta, con il conferimento
al sapere logico del primato nei confronti
di quello fenomenologico, testimonia l’influsso del pensiero di Heidegger sulla riflessione di Hyppolite. Il permanere dell’interesse di Hyppolite per la Fenomenologia dello spirito richiama un contesto in
cui il riferimento non va al «pensiero dell’essere», prefigurato negli scritti heideggeriani dopo gli anni Venti, bensì a Essere
e tempo. Ciò si spiega, secondo Cassinari,
con la centralità che, nell’ultima fase della
riflessione di Hyppolite, acquisisce la questione della finitezza umana, nella sua connessione con quella della storia.
Mettendo a fuoco i rapporti tra Kojève e
Strauss, Mario Piccinini individua l’esistenza, fra i due autori, di un retroterra
comune, costituito, in primo luogo, dall’interpretazione antropologica della Fenomenologia hegeliana da parte di Kojève, da un
lato, e dalla lettura di Hobbes, sviluppata
da Strauss, dall’altro. Sulla base della collaborazione con la rivista di Kojève, «Récherches philosophiques», in Strauss emer-
TENDENZE E DIBATTITI
ge per la prima volta in maniera dichiarata
l’urgenza di una riconsiderazione di Platone e comincia a prender forma la successiva interpretazione di Hobbes. Da questo
stesso terreno nascono anche, secondo Piccinini, le molteplici modalità attraverso le
quali Kojève, negli anni successivi, avrebbe declinato il tema della “fine della storia”.
Affinità e differenze tra la posizione di
Kojève e quella di Husserl sono invece al
centro del contributo di Luigi Franco. Secondo Kojève, il metodo autenticamente
filosofico e hegeliano consiste nell’assicurare l’adeguazione del pensiero all’essere,
così che il corretto atteggiamento del saggio corrisponde alla pura e passiva contemplazione. Nel pensiero di Kojève, il pensiero proiettato verso l’avvenire dà vita a una
filosofia della storia che ne prevede il compimento e, dunque, una chiusura; in Husserl, al contrario, pare proporsi un’apertura
costante. Punto di contatto tra Kojève e
Husserl, osserva Franco, è la questione del
tempo. L’apertura del futuro rappresenta
un tema decisivo nella riflessioni husserliane, in quanto essa fonda la possibilità di
un tempo “storico”.
Nel suo contributo Maria Laura Lanzillo
mette in evidenza come la sua concezione
della storia e il problema della fine della
storia in Hegel diano avvio al dibattito tra
Wahl, Hyppolite e Kojève sul reale rapporto tra filosofia della storia e filosofia della
vita. In tal senso la Fenomenologia viene
letta come tentativo di comprendere il proprio tempo quale meta e termine ultimo
della storia umana; la storia diventa qui, al
tempo stesso, soppressione della storia; ma
la storia è anche la presa di coscienza di sé,
che culmina nel sapere assoluto. Per questo, osserva Lanzillo, la fine della storia
coincide con l’ottenimento della conformità tra realtà e discorso; si offre, cioè, un
criterio di valutazione a chi pretende di
giudicare il mondo.
Dopo aver sottolineato l’estraneità dell’indagine kojèviana alle problematiche trattate nella filosofia del diritto di Hegel, Massimiliano Guareschi ha individuato nel
Concetto del politico di Carl Schmitt il
testo a partire dal quale si sviluppa il tentativo di Kojève di definire l’ambito del
diritto. Tra gli elementi di temporalizzazione che Kojève introduce nella propria fenomenologia del diritto, al fine di storicizzarla, rileva Guareschi, vi è, anzitutto, la distinzione fra diritto in potenza e diritto in
atto, e la ripresa delle tematiche di antropologia filosofica che il filosofo francese aveva messo a punto, a partire dalla Fenomenologia dello spirito. Le figure della giustizia sono ricalcate su quelle della dialettica
del riconoscimento, e dunque corrispondenti a esse: giustizia dell’uguaglianza (signore), dell’equivalenza (servo) e, come
risultante della loro dialettica, giustizia
dell’equità (stato universale e omogeneo).
La ricezione, in Kojève, della figura di
Hegel come di un fenomenologo descritti-
vo di impronta husserliana, è al centro
dell’intervento di Victor Descombes. Nella grammatica di Port-Royal, sottolinea
Descombes, attraverso una ripresa della
nozione scolastica dell’intenzionalità, il
verbo viene definito come l’azione intenzionale, laddove vengono a identificarsi la
forma passiva e quella attiva; il soggetto è
qui colui che subisce l’oggetto dell’azione
medesima. È su questo terreno che si fonda, in Kojève, l’idea di una storia intenzionale degli oggetti. Questo tema, osserva
Descombes, rappresenta la traduzione, in
ambito fenomenologico, dell’idea di una
realtà che si costituisce attraverso la storia
degli attori umani: poiché l’accadimento
intenzionale per eccellenza è l’imposizione del nome alle cose, la realtà viene costituita e mutata in forza dei discorsi su di
essa. Anche in Derrida, rileva Descombes,
si ripropone l’idea della storia intenzionale, laddove si sottolinea il fatto che la storia
degli oggetti matematici consista nella storia delle intenzioni dei matematici, che
danno così luogo all’oggetto (matematico)
della loro conoscenza. M.C.
Le forme dell’ermeneutica
Con tre studi di carattere espressamente teoretico: ORFEO E IL SUO CANTO,
di Vittorio Mathieu; ONTOLOGIA DELL’ESSERCI, di Dario Vicari; IL RITORNO DEL
POSSIBILE, di Ugo Ugazio (Zamorani,
Torino 1996) hanno preso avvio i «Quaderni di ermeneutica filosofica», promossi dal Dipartimento di Ermeneutica filosofica e tecniche dell’interpretazione dell’Università di Torino. I volumi intendono contribuire allo sviluppo del dibattito filosofico che, a vario
titolo, si può ricondurre all’ermeneutica, intesa non solo come un’efficace
chiave interpretativa delle più diverse
prospettive filosofiche, ma anche e
soprattutto come un approccio teorico che getta ponti tra diverse tradizioni ed esplora variamente la filosofia e
la sua storia.
Con Orfeo e il suo canto, Vittorio Mathieu propone una raccolta di saggi dal
1950 al 1993 (una riflessione su Galileo
filosofo, ma anche sul rapporto poesiaverità in Vico, sulla teoria delle idee di
Schopenhauer, sul binomio tempo-eternità
in Bergson e Proust), il cui filo conduttore
può forse essere individuato, come nota
Guglielmo Gallino nella “Postfazione” al
volume, nell’unità della scrittura che si fa
ricerca di stile per mostrare i limiti di una
realtà che non è mai completamente rappresentabile. La ricerca di Mathieu è prima
di tutto il risultato di una sintesi tra impegno teoretico e storico, ma, anche, tra discipline profondamente differenti, quali estetica, morale, diritto, e ancora matematica,
36
fisica, economia e biologia. In questo frastagliato panorama teorico, il progetto ermeneutico, oltre che il ruolo dell’interprete, si rivelano essenziali, dal momento che
formano il nucleo decisivo attorno a cui si
gioca la “tenuta” dell’intera ricerca.
L’ermeneutica di Mathieu si colloca nell’ambito della fenomenologia, tuttavia non
appartiene ad una fenomenologia di stampo husserliano, quanto piuttosto ad una
prospettiva che si richiama direttamente a
Hegel. La ricerca di senso si attua in Mathieu all’interno di un orizzonte aperto, in
cui non tutto è soggetto a spiegazione, e in
cui la funzione dell’interprete, partecipe di
una ben precisa dimensione storica, si fa
essenziale. Siamo sulle orme di Heidegger,
Gadamer e Ricoeur: il filosofo è condizionato dal sistema dei propri pregiudizi, tuttavia tale situazione, ricorda Mathieu, non
impedisce l’emergere del senso, purché
l’interprete stesso decida di intervenire sul
complesso dei condizionamenti, assumendosi l’impegno di modificarli a seconda
della normatività richiesta di volta in volta
dall’atto interpretativo.
Lo studio di Dario Vicari, Ontologia dell’esserci, ha come oggetto i primi anni di
insegnamento di Heidegger (dalla tesi di
abilitazione del 1916 fino al 1923, anno in
cui il filosofo tedesco tenne il suo ultimo
corso a Friburgo) e si sofferma soprattutto
sulla riproposizione della “domanda sull’uomo”, ovvero su quell’ontologia dell’esserci che Heidegger andava sviluppando proprio in questo periodo: la nostra
epoca, l’epoca del definitivo imporsi delle
scienze e dello sviluppo delle ontologie
parziali, non è stata in grado, secondo Vicari, di rispondere al quesito centrale su che
cosa sia l’uomo. Il succedersi di visioni del
mondo, tutte parziali e relative, è testimone
del fallimento delle più tradizionali posizioni antropologiche: quella dell’uomo
possessore della ratio (dunque, la filosofica), quella dell’uomo come imago dei (ovvero la cristiano-teologica), e infine quella
dell’antropologia scientifica, che pone gli
individui sul gradino più alto della scala
evolutiva.
I lavori heideggeriani degli anni Venti e,
più in particolare, del periodo di Friburgo,
sarebbero da interpretarsi, secondo Vicari,
non tanto come la volontà di elaborare una
nuova Weltanschauung (visione del mondo) antropologica, in opposizione a quelle
dalla tradizione, bensì come il tentativo di
progettare una “ontologia dell’esserci” che
abbia come fondamento la distruzione dell’idea di un uomo come animale razionale,
per lasciar semplicemente vedere l’ente in
questione (l’uomo) a partire dal suo manifestarsi.
Ancora d’argomento heideggeriano è il
lavoro di Ugo Ugazio, Il ritorno del possibile, che esamina le ragioni della metafisica in tutto il suo svolgersi storico. Da sempre, nota Ugazio, il problema più rilevante
per il pensiero metafisico non è la salvezza
dell’uomo o dell’ente in generale, bensì
TENDENZE E DIBATTITI
l’apertura dell’essere come verità. Per questo la filosofia non può concludersi, perché
il suo oggetto non è qualcosa che possa
trovare un compimento, e, di conseguenza,
l’interrogazione metafisica si deve necessariamente articolare nella ripetizione.
L’uso pragmatico, infatti, non esaurisce
affatto il pensiero e, al di là della prassi,
tutto ciò che resta è la domanda sull’essere
che costituisce fin dalle origini il problema
stesso del pensiero; esso infatti, sospendendo il proprio uso pratico e sopportando
l’angoscia data dal “nulla di utilizzabile”,
non scopre una realtà semplicemente presente, bensì la forza di un interrogativo cui
non si può rispondere richiamandosi alla
pura utilizzabilità.
In questa prospettiva, sostiene Ugazio, il
problema metafisico è quello del “perché”
aristotelico, piuttosto che quello della “certezza” cartesiana. A partire da Cartesio, la
filosofia ha creduto di potere porre con più
radicalità i propri interrogativi; tuttavia è
proprio con Cartesio e con tutta la filosofia
moderna che il pensiero dimentica le sue
origini e il suo legame con la vita. Perciò, il
tentativo fatto dalla filosofia moderna di
stabilire i propri fondamenti prescindendo
dal pensiero greco rappresenta l’errore specifico e fondamentale. T.A.
Metafisica, epistemologia
e storia
Due opere di ricostruzione storico-critica delle interazioni tra metafisica,
epistemologia e storia nella cultura
francese del primo Novecento: BERGSON ET BACHELARD (Bergson e Bachelard, Presses Universitaires de France,
Parigi 1995), di Marie Cariou, ed EPISTEMOLOGIA E STORIA. UN PENSIERO ALL ’APERTURA NELLA FRANCIA TRA LE DUE GUERRE
(FrancoAngeli, Milano 1996),
di Enrico Castelli Gattinara, richiamano in primo piano l’esperienza francese dell’intreccio tra storia ed epistemologia per una più articolata riflessione sulle forme della razionalità
scientifica. Ad arricchire l’indagine
sulle origini dell’epistemologia francese e sul rapporto metafisica-epistemologia contribuisce l’edizione italiana del noto volume di Henri Bergson,
MATERIA E MEMORIA, SAGGIO SULLA RELAZIONE TRA IL CORPO E LO SPIRITO (a cura di A.
Pessina, Laterza, Roma-Bari 1996).
MONDIALI
Alla presentazione dell’atmosfera culturale francese degli anni Venti, nell’intreccio
tra sapere storico, filosofia ed epistemologia, è dedicato lo studio di Enrico Castelli
Gattinara, che ricostruisce il tessuto di
interazioni tra cultura storica ed epistemologica francese nel periodo tra le due guerre, al fine di individuare i modi in cui è stata
affrontata in Francia la questione della “crisi
della ragione”, rimarcando l’esito positivo
e “forte” che tale crisi ha avuto nella cultura
francese e che ha condotto al consolidamento di un “pensiero dell’apertura”, ovvero di una nuova razionalità storica ed
epistemologica.
Mentre nel mondo culturale mitteleuropeo
si sviluppa un pensiero negativo intorno al
tema della “crisi della ragione”, che si
allontana consapevolmente dal sapere
scientifico, in Francia si realizza un originale intreccio di proposte provenienti da
filosofi, epistemologi e storici sul problema della scientificità della storia e sul metodo storico. Nel ricostruire tale dibattito,
Castelli Gattinara indica come paradigmatico della nuova epistemologia il nascere a
contatto con la nuova scientificità relativistica e quantistica; sul versante delle scienze umane la nuova fisica produce una rivoluzione concettuale che investe la gnoseologia tradizionale e impone la nascita di un
terreno autonomo per l’epistemologia. La
“doppia articolazione” fra storia ed epistemologia produce ripercussioni profonde
sull’indagine storiografica, sugli interrogativi filosofici e sulla ricerca epistemologica sul metodo scientifico. Il riconoscimento del carattere storico e aperto della
ragione si presenta quindi come l’esito più
maturo di una filosofia della scienza che,
pur legata alle sue origini cartesiane e positiviste, intende la necessità di un rinnovamento del razionalismo classico.
Entrando nell’ambito specifico della cultura storica Castelli Gattinara si sofferma su
alcune delle principali tendenze della storiografia francese del Novecento. Un’attenzione particolare viene rivolta alla “filosofia della sintesi” di Henri Berr, ritenuto
elemento di cerniera fra gli epistemologi,
gli scienziati e gli storici. Parimenti viene
esaminato l’apparato concettuale della nouvelle histoire , con analisi specifiche delle
posizioni di Lucien Febvre e di Marc
Bloch. Uno spazio a sé stante assume nella
ricostruzione di Castelli Gattinara la storia
delle scienze, letta nel suo duplice asse
francese: l’epistemologia storica di Gaston Bachelard e la storia epistemologica
e fenomenologica di Alexandre Koyré.
La storia delle scienze si presenta dunque
in Francia come “laboratorio” della filosofia, permettendo di intendere la dialettica
tra reale e razionale e di assumere la verità
scientifica nel suo sviluppo storicamente
diversificato.
Sempre nella direzione di una ricostruzione problematica della fase nascente
dell’epistemologia storica, il saggio di
Marie Cariou si propone di mettere in
atto un’indagine retrospettiva sulla storia dell’epistemologia francese leggendo l’opera di Bachelard alla luce delle
concezioni di Bergson. Ne emerge la
proposta di una duplice ricongiunzione:
tra la dimensione della rêverie e quella
della scienza all’interno della produzione bachelardiana, e tra il crepuscolo della metafisica testimoniato da Bergson e
37
l’aurora dell’epistemologia apparsa con
Bachelard.
Pur celate dietro una presa di posizione
polemica, le tesi centrali del pensiero bachelardiano paiono a Cariou ritrovare il
loro fondamento nell’opera di Bergson: il
carattere storico e approssimato della scienza, l’immaginazione creatrice e aperta, la
connessione tra il sapere scientifico e la
metafisica sono tratti del “nuovo spirito
scientifico” già evidenziabili negli scritti
bergsoniani. Cariou analizza con attenzione i principali testi dei due pensatori, liberandosi dalle consuetuduni critiche consolidate che valorizzano la prospettiva metafisica di Bergson e quella epistemologica
di Bachelard. Notevole interesse assume la
riconsiderazione del dibattito tra Bergson e
Albert Einstein. In Durée et simultanéité
(Durata e simultaneità, 1922) Bergson sostiene che la teoria della relatività ristretta,
nel suo meccanicismo allargato e corretto,
propone una concezione della simultaneità
come entità fittizia e relativa esclusivamente ai diversi “punti di vista”, mentre la
simultaneità intuitiva prodotta dalla nostra
esperienza temporale non dipende da convenzioni matematiche e da dispositivi tecnici. Illuminante risulta su questo punto il
confronto con Bachelard, che coglie a
pieno il “surrealismo” della teoria della
relatività. La teoria einsteiniana conduce ricorda Bachelard - a un “razionalismo di
seconda posizione” che nega ogni carattere
assoluto della realtà e corregge l’empirismo sommario dell’esperienza comune
dello spazio e del tempo. Bachelard coglie
quindi, a differenza di Bergson, tutte le
conseguenze epistemologiche e filosofiche della nuova dimensione di realtà sviluppata dal surrazionalismo relativistico
contrapponendola al livello di realtà del
senso comune.
Il rinnovato interesse per l’opera di Bergson si misura anche in Italia con la recente
riproposizione di Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito
(1896; edito in prima edizione italiana nel
1983). Dopo l’edizione delle Opere 18891896 (contenente il Saggio sui dati immediati della coscienza, Materia e memoria,
L’idea di luogo in Aristotele, le Lettere, a
cura di P.A. Rovatti, trad. it. di F. Sossi,
Milano 1986) questa traduzione permette
di avvicinarsi integralmente al secondo dei
quattro capolavori bergsoniani, presentando la teoria bergsoniana della memoria,
fulcro della relazione tra materia e spirito:
si tratta di oltrepassare il materialismo (e lo
spiritualismo) tramite la separazione tra i
due ordini nettamente distinti della realtà
materiale e di quella spirituale, che trova
nella memoria la sua “verifica sperimentale”. Bergson introduce qui la sua teoria
della temporalità nella nota dimensione del
ricordo puro, serbatoio profondo e nascosto della coscienza, e prospetta una teoria
dell’immaginazione che sarà tra l’altro un
riferimento costante per la poetica bachelardiana dell’immaginazione. G.Po.
TENDENZE E DIBATTITI
René Magritte, I giorni giganteschi (1928, part.)
Contro la logica dell’identità
Nel suo studio LE POLITICHE DELLA DIFFE(Feltrinelli, Milano 1996) Iris
Marion Young, mostra come nella
società attuale sia prevalsa la “logica
dell’identità” di tipo maschile che riconduce a unità le differenze, ispirandosi al modello illuministico della ragione. I saggi raccolti nel volume dal
titolo FEMMINILE E MASCHILE TRA PENSIERO
E DISCORSO (a cura di P. Cordin, G. Govi,
P. Giacomoni, A. Neiger, Università
degli Studi di Trento, Trento 1995)
intendono scardinare la centralità del
maschile come unico polo di riferimento che impedisce di cogliere le
peculiarità proprie del femminile. Infine, lo studio di Cettina Militello, IL
VOLTO FEMMINILE DELLA STORIA. MADRI E
AMANTI , MONACHE E RIBELLI (Piemme,
Casale Monferrato 1995), mette in
rilievo l’importanza della donna nella cultura e nella Chiesa.
RENZA
Ne Le politiche della differenza, Iris Marion Young si propone, all’interno di
un’analisi generale della società, di sottolineare come fenomeni quali il razzismo, il
sessismo, l’omofobia non costituiscano il
prodotto di antiche superstizioni medievali, ma siano invece il risultato del discorso
scientifico e filosofico moderno. Secondo
Young, la cultura scientifica, estetica e
morale dell’ Ottocento e del primo Novecento hanno classificato alcuni gruppi come
“corpi brutti e degenerati” in contrapposizione alla “purezza e rispettabilità” di altri
gruppi identificati come soggetti “neutri e
razionali”. Le teorie critiche della ragione
strumentale, la critica del post-moderno
dell’umanesimo e del soggetto cartesiano e
la critica femminista alla «freddezza incorporea della razionalità moderna» hanno
contribuito a mettere in luce l’inadeguatezza dell’autorità della ragione scientifica
moderna. Fondandosi sulla “logica dell’identità”, il soggetto scientifico analizza
la pluralità degli attributi riducendoli a
38
unità: gli scienziati moderni, sottolinea
Young, concepiscono la natura come una
«femmina sottoposta al dominio e all’attività indagatrice del maschio». Così la ragione non viene più considerata, come nel
mondo antico, una facoltà contemplativa,
ma una funzione mirante a scandagliare
l’attività della natura con l’obiettivo di
indirizzarne i suoi processi verso la produzione. In questa situazione, osserva Young,
i gruppi privilegiati si trasformano in entità
incorporee, in quanto superano la particolarità e la materialità e agiscono in base ad
una prospettiva universale; i gruppi oppressi vengono invece rinchiusi nei loro
“corpi oggettivati”, identificandosi con individui degenerati e fisicamente deboli.
Il volume dal titolo Femminile e maschile
tra pensiero e discorso, raccoglie saggi che
si occupano di analizzare la coppia femminile-maschile nell’ambito della cultura, col
proposito di scardinare la centralità del
maschile come unico polo di riferimento
che impedisce di cogliere le peculiarità
proprie del femminile.
Secondo Adriana Cavavero (Un soggetto femminile oltre la metafisica della
morte) esiste un legame tra il soggetto
maschile universale e razionale e la
morte, in quanto l’uomo non partorisce.
In contrapposizione al pensiero della
morte, Cavavero sottolinea come Hanna Arendt abbia sostenuto il pensiero
della nascita come caratteristica tipica
del femminile. Rispetto alla predominanza del maschile con la sua pretesa di
universalità e obiettività, Paola Giacomoni, nel suo saggio Femminile/maschile: concentrazione e differenziazione in
Georg Simmel, mostra come Simmel evidenzi la necessità di riconoscere al femminile la possibilità di formulare un altro criterio per giudicare l’umanità che
abbia pari dignità di quello maschile: è
necessario abbandonare il criterio “monolitico” di valutazione della cultura per
difendere una visione diadica, che non
tolga niente, ma anzi aggiunga qualcosa.
Secondo Rosi Braidotti, che interviene
su Soggetto nomadico, ormai si è verificata la crisi del soggetto tradizionale a
vantaggio di un nuovo tipo di soggettività, nomadica, che non si fossilizza in un
momento di passaggio, ma che trascorre
continuamente dall’uno all’altro soggetto
e può quindi conseguire una conoscenza
più intima e più profonda della donna.
Un aspetto importante del femminile è il
rapporto con la lingua, come sottolinea
Gianna Marcato nel suo scritto Il lessico al femminile ’800 e ’900. La “semantica” del femminile trasmette in modo
non neutro “immagini”, “idee”, “valori”
e “pregiudizi” che indicano determinate
svalutazioni sociali e culturali della donna. Nel suo saggio Linguaggio femminile e scrittura popolare in diari e memorie di donne trentine (1914-1917), Patrizia Cordin, analizzando testi in lingua femminile che appartengono alla
TENDENZE E DIBATTITI
cultura popolare, mette in luce come non
esistano delle caratteristiche peculiari
che diversifichino in modo netto i due
linguaggi; l’unica diversità riguarda un
certo modo di strutturare il testo proprio
del femminile, caratterizzato dalla tendenza alla marginalizzazione del soggetto e quindi a concedere all’io uno
spazio esiguo. Non si tratta - come sostiene Maria Rosa Cutrufelli nel suo
scritto Il filo della scrittura - di stabilire
se esiste una “qualità femminile o maschile” del testo, ma di comprendere
come nella scrittura si concretizzi l’esperienza della corporeità di chi scrive. Nella
storia della cultura si è verificata la cancellazione del corpo femminile, tenuto
in una zona separata rispetto al sapere
creativo dell’uomo. Negli anni Settanta,
tuttavia, il femminismo ha permesso alle
donne di esprimersi rompendo con le tradizioni letterarie e culturali del passato.
Intervenendo su Soggettività decolonizzante, teorie storicizzate: la cyborg delle Filippine, Giovanna Covi mostra
come sia molto importante lo sforzo di
conservare una posizione situata al confine tra maschile e femminile, affinché il
mondo possa essere considerato relazionale anziché oppositivo o complementare. Bisogna quindi evitare il rischio di
sostituire alla definizione universalistica del maschile un’altra femminile altrettanto oggettivante e limitante. Nel
suo saggio Nata, l’eroe femminile della
verghiana tigre reale, Ada Neiger sottolinea come Nata possa essere definita
“eroe-femmina”, in contrapposizione al
termine eroina, per evitare l’evocazione
di caratteristiche femminili come quelle
di debolezza, passività, di bisogno e di
dipendenza. Parlando di “eroe- femmina” Neiger intende parlare di un tipo di
donna che non si adegua alla femminilità voluta dagli uomini, ma «vuole solo
dare ascolto a ciò che sente».
Nel suo studio, Il volto femminile della
storia, Cettina Militello recupera il tema
del legame tra parola e femminilità, rivelando come nella storia della cultura e
della chiesa le donne abbiano manifestato la loro “soggettualità profetica”, presentando così un rapporto stretto tra la
donna e la parola come costitutivo del
cristianesimo e altrettanto importante di
quello tra l’uomo e la parola. È necessario, sottolinea Militello, ricondurre il
paradigma della parola e della corporeità a quello della “reciprocità”: uomo e
donna non sono antagonisti di fronte a
Dio ma si rapportano entrambi condotti
all’espressività propria della parola e
del dialogo, e all’espressività del corpo.
M.Mi.
Filosofia ed esperienza di Dio
Il significato dell’esperienza di Dio è al
centro dei contributi al volume L’ESPERIENZA DI DIO. FILOSOFI E TEOLOGI A CONFRONTO (a cura di E. Morandi e R. Panattoni,
Il Poligrafo, Padova 1996). Nel suo studio, CONFESSIO THEOLOGI. AI FILOSOFI (Cronopio, Napoli, 1996), Bruno Forte riprende la riflessione sul significato della fede considerata non come acquisizione di certezze, ma come ricerca drammatica del senso dell’esistenza. In FILOSOFIA E TEOLOGIA DI FRONTE A CRISTO (Cronopio, Napoli, 1996), Eugenio Mazzarella
riprende la tematica della “rivelazione”, sottolineando l’importanza per la
religione dell’incarnazione di Dio in Cristo.
Nel volume collettaneo L’esperienza di Dio.
Filosofi e teologi a confronto, vari autori
s’interrogano sull’esistenza divina proponendo differenti prospettive teologiche. Nel
suo saggio Argomento ontologico ed esperienza di Dio, Johannes B. Lotz sostiene
che l’unica prova possibile per la dimostrazione dell’esistenza divina è quella “trascendentale”. Non si tratta tanto di dimostrare
l’esistenza divina, quanto di mostrare come
l’esistente sia “divino”, così il procedimento
della prova trascendentale non consiste nell’aggiungere qualcosa di esterno alla realtà
umana, ma di sviluppare ciò che è insito in
essa. Sul percorso filosofico di Lotz si sofferma Massimo Marassi in Esperienza e riflessione trascendentale in Johannes B. Lotz.
La concezione di Lotz conduce alla rivalutazione del pensiero di S. Tommaso attraverso
la riflessione sui problemi che Heidegger
aveva esplicitato, dove l’esperienza “trascendentale” costituisce la dimensione principale, in quanto in essa è possibile individuare le caratteristiche di ricettività e spontaneità che qualificano i diversi gradi dell’esperienza.
Nel suo contributo, Trascendenza immanente (note sul rapporto tra Dio e il mondo),
Vittorio Possenti sostiene che la “trascendenza presenziale” non solamente impedisce l’intero dissolvimento dell’essente, ma
favorisce anche la valorizzazione del suo
aspetto estetico. Se, invece, si ipotizzasse la
totale separazione tra Dio e il mondo, fa
notare Possenti, non esisterebbe l’arte, dal
momento che essa scopre nella natura quella
dimensione spirituale che anima i fenomeni
sensibili. Così nella forma finita brilla la luce
divina. Rifacendosi alle tesi di Levinas e
contro la “trascendenza immanente” a cui fa
riferimento Possenti, Luigi Marcolungo,
nel suo saggio Il Dio che viene dall’idea,
accentua la radicalità della trascendenza che
si rivela totalmente altra rispetto all’uomo,
tanto da rendere fallimentare ogni tentativo
razionale di comprenderla e sottolinea l’importanza in Levinas dell’aspetto etico, in
quanto la trascendenza investe l’uomo di
Salvador Dalì, Crocifissione (1954, part.)
39
TENDENZE E DIBATTITI
una notevole responsabilità etica che non
può essere assolutamente elusa.
In La riscoperta dell’oggetto puro: ‘Deus
dixit’, la svolta di Karl Barth, Bruno Forte
mette in risalto come in Barth l’alterità di
Dio determini l’impossibilità di una sua riduzione all’identità, senza implicare la negazione di ogni possibile comunicazione di
Dio, come avviene nel tardo Schelling. In
contrapposizione a Schelling e a Hegel, la
rivelazione rappresenta per Barth il luogo
nel quale l’alterità divina si manifesta nel
mondo anche se non si riduce a esso. La
rivelazione costituisce un evento fondamentale dell’esperienza religiosa anche nei contributi di Umberto Sancini, Prospettive preliminari ad una ermeneutica fenomenologica del testo biblico, dove lo stile evangelico
si rivela di tipo fenomenologico in quanto
rivela quella religiosità naturale propria della realtà umana, e di Piero Coda, Rivelazione cristologica ed esperienza di Dio, per il
quale l’avvento di Gesù Cristo ha modificato
la relazione dell’uomo con Dio. Nel suo
contributo Esperienza (di Dio) e differenza
femminile, Luisa Muraro mostra che negare la possibilità dell’esperienza di Dio significa negare l’esperienza della donna e della
sua differenza. Tematica questa ripresa anche da Umberto Regina, Soren Kierkegaard. Il felice incontro di ragione e paradosso. Per Kierkegaard, infatti, la crisi della
metafisica, intesa come “logica dell’identità”, determina la riacquisizione da parte dell’uomo della capacità di cogliere la differenza: se la religione è la “differenza irriducibile
all’identità”, il cristianesimo, per Kierkegaard, rappresenta il “paradosso” generato
dalla passione del pensiero.
Chiude il volume collettaneo il contributo di
Emmanuele Morandi: Morte dell’uomo e
presenza di Dio. La teologia come “rapporto”
in Divo Barsotti, dove la morte è la massima
realizzazione dell’uomo e insieme la più valida
dimostrazione dell’esistenza divina.
Lo studio di Bruno Forte, “Confessio Theologi”. Ai filosofi, è una raccolta di aforismi
che intende sottolineare come il teologo non
possieda un “pensiero totalizzante” e non sia
esente dalle sofferenze causate dalla ricerca
di Dio. La fede in Dio non implica per
l’autore l’abbandono della lotta con Dio,
poiché l’autentico credente è colui che sperimenta la stessa tragedia propria dell’ateo
che non ha trovato Dio. Pertanto, osserva
Forte, la condizione del religioso è quella del
“pellegrino”, in costante ricerca della “patria
lontana” e che considera una “malattia mortale” la certezza di essere giunti alla meta.
In Filosofia e teologia di fronte a Cristo
Eugenio Mazzarella mostra come la differenza tra filosofia e teologia risalti in modo
più evidente non con Dio, ma con l’identificazione di Cristo in Dio. Solamente con
Cristo la promessa della resurrezione dopo la
morte è “piena”; in tale prospettiva il cristianesimo si rivela non come «mortificazione
della carne», ma come «strenua difesa della
carne; suo intorpidito esserci naturale secondo la carne». M.Mi.
Natura e storia
All’approfondimento dei concetti di
natura e storia all’interno della riflessione filosofica e scientifica occidentale è dedicato il volume collettaneo
NATURA E STORIA, SAGGI DI FILOSOFIA (Edizioni Sestante, Ascoli Piceno 1996),
che raccoglie i contributi presentati in
occasione del secondo Convegno filosofico di Sansepolcro.
Nel suo contributo, Alessandra Bertini
Malgarini prende in esame alcuni aspetti
della physis (natura) negli scritti del Corpus
Hippocraticum, dove giunge a compimento
il processo di “laicizzazione” del concetto di
natura e di affrancamento da ogni dimensione “soprannaturale” avviato con i pensatori
milesii, che rappresenta la condizione necessaria allo sviluppo dell’indagine medica e
scientifica. Maria Mucillo si sofferma invece sull’opera di Francesco Patrizi da Cherso, pensatore di epoca rinascimentale, e in
particolare sui suoi dialoghi Della Historia e
Della Retorica, in cui viene chiaramente alla
luce una rinnovata e moderna trattatistica
dell’“arte storica”. Sul Rinascimento si sofferma anche il contributo di Giuseppina
Saccaro Del Buffa, in particolare sul concetto di rinascimento come si presenta nell’interpretazione degli storici della filosofia
tra Cinquecento e Seicento, e sul problema
storico del passaggio tra due epoche (Medioevo e Rinascimento) soprattutto alla luce del
dibattito filosofico, teologico e scientifico
del tempo (Lorenzo Valla, Mario Nizolio,
Gianfrancesco Pico ecc. ), in cui sono in
gioco la libertà di pensiero, la formulazione
di nuovi sistemi filosofici e la rifondazione
delle scienze della natura.
Il saggio di Stefania Mariani, dedicato invece al dibattito filosofico-scientifico ottocentesco, propone un serrato confronto tra i
diversi modi di concepire la ricerca storica e
il rapporto tra natura e società in Auguste
Comte e Hyppolite Taine, evidenziando il
diverso ancoraggio culturale dei due pensatori, più legato alla scienza biologica il primo, alla scienza psicologica il secondo. Le
concezioni della natura e della storia nell’elaborazione teorica di Marx ed Engels
sono invece al centro dell’intervento di Giuseppe Turco Livieri, che sottolinea il processo di stretta connessione e reciproca determinazione esistente tra le nozioni di natura, storia, economia e politica nella prospettiva teorica e pratica del comunismo, sgomberando il campo da ogni concezione ingenua o mistificante. In un’ottica psicoanalitica, Guido Coccoli esamina la questione
natura/storia all’interno dell’eziologia della
nevrosi freudiana, a partire dal concetto di
“serie complementari”, sottolineando come
nel prodursi della patologia psichica giochino un ruolo centrale sia la sfera della costituzione individuale, l’ereditarietà, sia la sfera
dell’influenza ambientale, all’interno della
pur sempre prevalente dimensione della sessualità.
40
Il contributo di Giuseppe Saponaro approfondisce l’insolito rapporto tra Husserl e
Kandinsky, accomunati da una messa in
discussione tanto del cosiddetto mondo naturale, con cui abbiamo quotidianamente a
che fare, quanto del nostro spontaneo “atteggiamento naturale”. Sui concetti di storia e
natura nel dibattito storiografico italiano del
primo Novecento, e sulle discussioni intorno
alla questione della “razionalità” o “irrazionalità” della storia in Rodolfo Mondolfo,
Corrado Barbagallo e Giuseppe Rensi si
sofferma Franco Ratto, che sottolinea come
per questi autori i due concetti siano strettamente dipendenti l’uno dall’altro: per Mondolfo e Barbagallo sono parti di un’unica
realtà superiore; per Rensi, anche se distinti,
tendono a identificarsi.
Di taglio linguistico è invece il contributo di
Caterina Marrone, volto a cogliere l’opposizione tra storicità e naturalità nella riflessione di Ferdinand de Saussure, che ribadisce continuamente la storicità delle categorie linguistiche, togliendo spazio alla referenzialità, alla fisicità delle cose e cercando
così di eliminare dalla propria teoria linguistica ogni possibile equivoco naturalistico.
Al centro dell’intervento di Massimo Prampolini troviamo il pensiero di Wittgenstein
e le sue continue riflessioni sul problema del
tempo.
Sulla filosofia della storia di Walter Benjamin e sulle sue peculiarità teoriche interviene Dino Ferreri, che sottolinea come dal
pensiero benjaminiano emerga una teoria
della soggettività umana volta all’emancipazione dai limiti della coscienza naturalisticamente intesa, sulla base di un appello alla
dimensione storica della “memoria”, che è
decifrazione del passato e insieme orizzonte
di attesa. Ad un altro importante pensatore
tedesco del Novecento, Ernst Cassirer, dedica il suo contributo Fiorella Bassan, che si
sofferma sugli anni americani e sulle problematiche del mito, dell’arte e della storia, in
cui Cassirer ravvisa le forme privilegiate per
indagare la natura umana. Anna Ludovico
sposta invece il discorso sul versante scientifico e naturalistico, parlando dei processi di
formazione delle forme naturali e organiche
secondo un «principio di generazione di
ordine dinamico». Ancora da un punto di
vista scientifico, Elena Gagliasso indaga sui
presupposti metodologici della conoscenza
scientifica istituendo alcuni confronti tra
metodologia e storia, tra norme e valori sul
terreno della cultura, del senso comune e
della scienza. Chiude il volume il saggio
etnologico di Rodolfo Calpini, che riflette
sulle contraddizioni della civiltà occidentale, contemporaneamente impegnata nella
costruzione di musei demologici ed etnologici e nella distruzione delle diverse culture
indigene e primarie del pianeta. G.P.
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Eresia e amor puro in Fénelon
«L’amore per Dio solo, considerato in
se stesso e senza che vi sia mescolato
alcun interesse, né timore, né speranza, è il puro amore o la perfetta carità»:
così descriveva il tema centrale della
propria dottrina François de Fénelon
(1651-1715), autore di rilievo nella tradizione del misticismo religioso dell’età moderna, arcivescovo di Cambrai
e spirito profondamente inserito nel
dibattito dottrinale a lui contemporaneo. Una buona introduzione alla sua
opera è ora costituita dal volumetto di
Denise Leduc-Fayette, FÉNELON ET
L’AMOUR DE DIEU (PUF, Parigi 1996), centrato sulla dottrina dell’amor puro e
sulla “sistemazione” offertane da Fénelon.
Lo studio di Denise Leduc-Fayette intende
presentare una ricostruzione sistematica della dottrina dell’“amor puro” di Fénelon, una
dottrina “scomoda”, avversata dalla Chiesa
cattolica in quanto minacciava di sostituire
l’esperienza mistica individuale all’autorità
dottrinale, cosa che attirò su Fénelon gli
attacchi di Bossuet e, successivamente, la
condanna papale di alcune proposizioni contenute nella sua Explication des maximes des
saints sur la vie intérieure (Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore,
1697). È in particolare il tema dell’itinerarium, dello sforzo dell’uomo per giungere
alla contemplazione dell’amor puro e disinteressato e liberarsi da ogni costrizione che
non sia la “perfetta carità” che pone la mistica di Fénelon a confronto con l’eresia quietista e con la dottrina etica della Chiesa.
Dal punto di vista dottrinale, osserva LeducFayette, l’importanza di Fénelon consiste
soprattutto nell’esser stato il primo a elaborare un sistema di teologia mistica, ovvero
una “scienza mistica” intorno ad una nozione cardine, “pura e semplice: l’amore disinteressato”. Nel clima di rinnovamento spirituale che caratterizzava la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, Fénelon subisce l’influsso della mistica di Teresa d’Avila
e di Juan de la Cruz, e con essi l’insegnamento di Pierre de Bérulle, il creatore dell’Oratorio francese. Nell’insieme di tali influenze,
cruciale appare tuttavia la questione del rapporto con il movimento quietista, a cui Fénelon si sarebbe avvicinato tramite Jeanne de
Guyon (1648-1717).
La teologia mistica, da Dionigi l’Aeropagita
a Francesco di Sales, viene distinta dalla
teologia speculativa per il fatto che questa
tende alla conoscenza intellettuale di Dio,
mentre quella ne ricerca l’amore. A tale
tradizione si ispirava anche Miguel de Molinos (1628-1696), padre spirituale di quel
Quietismo che Leibniz ebbe a definire obscura res e di cui si deve a J.-R. Armogathe
una caratterizzazione secondo uno schema
quadruplice: amor puro, abbandono in Dio,
stato di continua contemplazione e innecessarietà di rinnovare l’atto di fede, carattere
secondario delle opere. Tuttavia, fa notare
Leduc-Fayette, se Molinos si spingerà ad
affermare che la scienza mistica non si apprende, né si studia, ma la si riceve direttamente dal Cielo, Fénelon considera l’esperienza mistica come accessibile a tutti e non
affatto ristretta ad una élite di iniziati.
Per Fénelon la dotta ignoranza, la science de
l’amour, si impara attraverso il progressivo
abbandono e la mortificazione dell’amor
proprio. Per il mistico Fénelon, sottolinea
infatti Leduc-Fayette, Dio dev’essere agostinianamente cercato intimior intimo meo, e
non “trovato” in un’illuminazione ricevuta
senza la sofferenza della ricerca e dell’ascesi. È questo processo di continuo perfezionamento, queste continue “conversioni” che
permettono di elevarsi al livello dell’amor
puro e disinteressato, secondo un’esperienza
ascetica di altissimo spessore etico. L’uomo
possiede infatti dentro di sé tanto la “diabolica potenza dell’amor proprio”, quanto la
capacità di considerarsi privo di importanza,
di estraniarsi a se stesso e di realizzarsi
interamente nell’infinita alterità del divino:
in questa possibilità risiede lo spazio per la
libertà. La libertà dell’uomo costituisce quindi
uno dei punti capitali della mistica féneloniana; qui egli si riallaccia all’agostinismo;
qui si radica la sua avversione al giansenismo e, finalmente, la sua distanza dal quietismo di Molinos. Per Fénelon il processo
ascetico è, al di là della grazia, una responsabilità del singolo uomo, e non un privilegio
riservato a pochi eletti.
Se per Malebranche, osserva Leduc-Fayet41
te, l’amore verso Dio non può venir disgiunto dal desiderio dell’uomo di trovarvi piacere, Fénelon appare invece come un “estremista” dell’amor puro: l’amor proprio, «cieco,
sfrenato, insaziabile, tirannico, vuol tutto per
sé solo, ci rende idolatri di noi stessi, fa che
noi si voglia essere il centro del mondo
intero, e che Dio stesso non sia che per
lusingare i nostri vani desideri»; l’amor conduce invece chi lo raggiunge ad un’identificazione totale con l’oggetto del proprio amore. La “potenza estatica dell’amore”, il primato dell’agire divino, in quanto esso è
eminentemente amore: ecco secondo Leduc-Fayette il pensiero che guida l’intero
sistema di Fénelon. Quella di Abramo è agli
occhi di Fénelon l’esperienza simbolica che
meglio illustra l’estaticità dell’agapè: abbandonando il proprio “io” il Patriarca si dà
interamente a Dio, ed è questo originario
darsi incondizionato che dà inizio all’esperienza biblica. Abramo è il simbolo e la
piena realizzazione dell’abbandono che apre
la via dell’amor puro: fiducia totale in colui
che si ama, che diviene la guida dei nostri
atti, della nostra volontà, motore della nostra
stessa esistenza. Nulla che sia voluto per se
stessi condiziona il rapporto d’amore, che assorbe in sé l’interezza della volontà e ne prende
il posto: «amare Dio è volere la Sua volontà».
Qui sta l’identificazione tra amor puro e
Spirito Santo che compie la teologia mistica,
sostituzione della volontà dell’Amato alla
nostra propria volontà. Questa centralità della volontà, sottolinea Leduc-Fayette, Fénelon la riceve direttamente da Francesco di
Sales e segna il confine invalicabile con
l’abbandono quietista, tenendo Fénelon al di
qua della soglia di eresia. Lo stretto legame
che identifica volontà e amore richiama quella
centralità del “cuore” nell’avvicinarsi al divino che da Sales a Pascal il Seicento esplora
così profondamente.
Passività, insomma, purificazione dalle passioni è la condizione privilegiata per aprirsi,
per accogliere in sé quegli impulsi che devono prendere nell’animo il posto dell’amor
proprio. Patire, fa notare Leduc-Fayette, diventa dunque innanzitutto un atto dell’uomo. Passività diviene sinonimo di «un uso
assai libero della nostra volontà perché essa
venga condotta da quella di Dio». Essa non
è più un non-agire, ma un «lasciarsi agire da
PROSPETTIVE DI RICERCA
Alberto Magno (affresco di Tommaso da Modena, part.)
42
PROSPETTIVE DI RICERCA
Dio»; è questa un’altra differenza profonda
dal quietismo di Molinos. Se la carità, strumento dell’amor puro, è il totale annullamento della personalità nella Rivelazione, il
mistico, agito da Dio, agisce. La passività,
l’indifferenza è dunque un continuo “agire
divinamente”, uno stato di continua e incessante preghiera. Per il mistico l’unione si
compie attraverso la preghiera, ininterrotta e
incessante tendenza della volontà verso Dio:
ecco lo strumento dell’ascesi, ciò che rinsalda il continuo processo di liberazione dell’animo dall’amor proprio. La preghiera mistica è il legame tra l’uomo e Dio.
Il carattere “strutturalmente estatico” dell’amore, spiega Leduc-Fayette, permea di sé
la concezione e il ruolo della filosofia in
Fénelon, distanziandolo da Descartes e dalla
teologia speculativa di Malebranche. Il compimento della filosofia è la sua transfigurazione. Soltanto così l’anima perviene al “gusto profondo della verità”, al “sapore della
divina saggezza”. Per Fénelon «la concezione della filosofia è indissolubilmente unita
alla dottrina dell’amor di Dio». La filosofia
è essenzialmente mistica perché essa si compie solo trasfigurandosi e inverandosi nella
“perfetta carità”. La libido sciendi non è che
espressione dell’amor sui; per Fénelon, anche in filosofia l’ordine esistenziale ha il
primato su quello razionale. E l’erudizione
fine a se stessa aspira non tanto alla scienza
quanto alla celebrazione di se stessi. L.Sc.
Dispute medievali
Nel suo studio
LA QUERELLE DES UNI -
VERSAUX . DE PLATON À LA FIN DU MOYEN
(La disputa degli universali. Da
Platone alla fine del medioevo, Seuil,
Parigi 1996), Alain de Libera sembra
essere partito dall’assunto deleuziano secondo il quale «gli universali
non spiegano niente, ma devono
essere essi stessi spiegati». Questa
spiegazione de Libera la cerca in un
inquadramento della tematica all’interno di un ampio arco di tradizione
storico-filosofica, dal V al XV secolo,
cioè dalla tarda antichità agli inizi dell’età classica, quando il problema, così
com’era stato dibattuto per tutto il
Medioevo, viene apparentemente accantonato, in seguito alla critica moderna dei modelli speculativi aristotelico e platonico. Altro problema che ha
origine nell’esegesi della composita
tradizione aristotelica è il rapporto fra
l’essenza e la sostanza, tra l’essenza e
l’essere. Ne dà testimonianza il volume dal titolo: L’ÊTRE ET L’ESSENCE. LE
VOCABULAIRE MÉDIÉVAL DE L ’ ONTOLOGIE
(L’essere e l’essenza. Il vocabolario
medievale dell’ontologia, Seuil, Parigi 1997), primo titolo di una collana diretta da Alain Badiou e Barbara
Cassin.
ÂGE
Secondo Alain de Libera le questioni sollevate nel periodo di massimo splendore
del dibattito sugli universali, che al pensiero contemporaneo possono sembrare talvolta oziose, sono tutt’altro che futili: nella
valutazione e nella interpretazione instancabile dei dettagli speculativi e delle conseguenze teoretiche di dottrine di ascendenza
greca, nella forma, tanto cara al medioevo,
del commento - e nella differenza tra le
varie glosse ai testi canonici - si nascondono in realtà, sotto forma di slittamenti infinitesimali di significato e dello stile di
pensiero, vere e proprie rivoluzioni del
senso che hanno operato il passaggio dalla
filosofia antica a quella moderna. Di fatto,
osserva de Libera, nella discussione sugli
universali si esprimono le tappe principali
della «lunga marcia del pensiero da Oriente
a Occidente», e «si nascondono le scelte e
le articolazioni disciplinari (rispettivamente
ontologia, semantica o psicologia)», che
corrispondono a differenti sintesi delle problematiche filosofiche, a seconda che si
affermi il primato teorico delle cose, delle
parole o dei concetti. Insomma, la disputa
degli universali è l’immenso laboratorio
alchemico in cui si è forgiata, in sordina, la
filosofia moderna.
Per capire il senso di un dibattito minuziosamente protrattosi per secoli, è necessario
per de Libera pensare il problema degli
universali all’interno della translatio studiorum, ovvero di quel lungo processo
tramite cui la filosofia greca, attraverso
traduzioni e adattamenti, è stata trapiantata
dapprima a Roma, poi nel mondo arabo e
infine, di qui, nell’Occidente latino. De
Libera vede in questo passaggio la continuazione della «gigantomachia fondatrice
della storia della metafisica occidentale»,
ovvero di quella contrapposizione tra Platone e Aristotele che si è giocata nel corso
dei secoli non come superamento del platonismo da parte dell’aristotelismo, ma come
contaminazione tra le due scuole dottrinali.
In questo senso, una figura emblematica è
quella di Porfirio, discepolo del neoplatonico Plotino, che, con la sua introduzione
alle Categorie di Aristotele, ha delimitato
il terreno di una possibile intesa tra le due
scuole, platonica e aristotelica, e formalizzato il dibattito per un millennio a venire.
Di fatto, sottolinea de Libera, la disputa
degli universali, così come siamo abituati a
pensarla, esplode nel XII secolo sotto forma di contrasto tra nominalisti e realisti.
Per i nominalisti, come Roscellino di Compiègne, gli universali non sono che un
flatus vocis; a essi non corrisponde nulla di
reale, mentre per i realisti, ovviamente, si
tratta di entità non esclusivamente linguistiche o concettuali. Al volgere del secolo,
con l’arrivo nell’Occidente latino di nuove
fonti - alcuni testi aristotelici tradotti direttamente dal greco e le traduzioni dall’arabo
dei grandi testi della filosofia musulmana , i termini del dibattito cambiano. Così,
Alberto Magno può risalire a Platone per
il tramite di Avicenna e Tommaso d’Aqui43
no può rifersi ad Aristotele con la mediazione di Averroè. Si assiste alla nascita
della scolastica.
Per Averroè, gli universali non sono una
sostanza, né sono parti delle cose o della
loro sostanza, ma, grazie a essi, si possono
conoscere le cose: definizione che sarà al
centro della disputa tra Occam e Duns
Scoto, nel XIV secolo. Il realismo di Duns
Scoto e il nominalismo di Occam si affrontano, forti delle nuove conoscenze a disposizione (fonti greche e arabe), e costruiscono, nella disputa, la struttura formale di una
filosofia che cresce su se stessa in un movimento di critica, decostruzione e confutazione delle posizioni avversarie, non mancando però di assorbirle e rigiocarle al
proprio interno. Il problema degli universali, fa notare de Libera, è un “catalizzatore
di innovazioni”, nella misura in cui, attraverso il dibattito tra posizioni contrapposte, si formano e si codificano nuovi linguaggi teorici e nuovi modelli e strumenti
analitici. La storia di questo problema consente pertanto di assistere alla nascita di
categorie concettuali e stili di pensiero che
caratterizzeranno la tradizione occidentale
nei secoli successivi. Il luogo di nascita
della nuova attrezzatura concettuale sono
le scuole, le sette e le correnti che si combattono e si avvicendano nel corso del
tempo, ciascuna con i suoi peculiari interessi e le sue strategie. È all’interno di un
simile orizzonte - ontologico, logico, teologico e semantico - che nascono le teorie
dell’intenzione e le distinzioni tra universale e predicabile.
L’opera di ricostruzione storica di de Libera mostra, in sostanza, come una questione
nodale come quella degli universali non
vada ricondotta all’alternativa filosofica
atemporale sulla possibilità di interpretare
o meno le proprietà comuni a cose reali
come cose reali a loro volta (realismo) o
semplici nomi che ci consentono di riferirci
a un determinato insieme di oggetti (nominalismo), con o senza la mediazione di altre
entità (i concetti). Non si tratta di formulare
il problema in maniera sovrastorica; il problema degli universali, ribadisce de Libera,
non esiste «al di qua» della sua formulazione storica, esiste solo «al suo interno», e
questo interno ci mostra come un tale problema si costituisca proprio nell’alea delle
traduzioni, nelle ambiguità definitorie dei
frammenti e dei testi di cui si dispone, nei
conflitti tra le varie istituzioni e scuole,
nelle vicissitudini dei manoscritti, negli
errori di trascrizione. Riportando la filosofia ai suoi fattori materiali (stato delle fonti,
interessi delle scuole), de Libera mostra in
atto una “logica dell’invenzione”: è infatti
nel modo in cui risponde alle lacune, alle
contraddizioni e alle ambiguità dei testi
assunti come canonici che il pensiero si
rinnova. Nel modo in cui vengono gestiti
gli scarti della trasmissione storica si forgia
un destino concettuale, proprio nel momento in cui si insiste, peraltro, sulla fedeltà e sul ritorno alle origini, cioè nel momen-
PROSPETTIVE DI RICERCA
to in cui l’attività speculativa non si percepisce come innovativa ma come glossa,
commento. D.F.
Sul problema, invece, del rapporto fra l’essenza e la sostanza, l’essenza e l’essere,
che pure deve la sua origine all’esegesi
della composita tradizione aristotelica,
offre un interessante materiale documentativo il volume dal titolo: L’être et l’essence. Le vocabulaire médiéval de l’ontologie, che raccoglie le traduzioni (con testo latino a fronte) del De ente et essentia
(a cura di C. Michon) di Tommaso d’Aquino e del De ente et essentia (a cura di A. De
Libera) di Dietrich von Freiberg, che si
oppose alla teoria di Tommaso. Ancora
una volta, la distinzione fra sostanza prima
e sostanza seconda delle Categorie di
Aristotele rende problematico il rapporto
fra la sostanza e l’essenza, e comporta
difficoltà di traduzione oltre a tensioni
concettuali. Essentia, una delle varie traduzioni di ousia, si applica meglio alla
sostanza seconda, al genere e alla specie, e
di conseguenza alla quidditas; l’eidos è
certo ciò per cui una cosa è ciò che è;
tuttavia indica di più la forma individuale
del composto e, in un certo senso, si applica piuttosto alla sostanza, substantia, altra
traduzione di ousia. Per Tommaso, d’altra
parte, l’essenza è equivalente alla forma e
costituisce, con l’essere, una delle componenti ontologiche della sostanza. È l’essere che attualizza l’essenza, la quale rispetto all’essere è in potenza; esse è dunque
l’atto di ogni sostanza. Quest’interpretazione viene criticata da Dietrich von Freiberg, per il quale l’esse è equivalente
all’essenza e quindi all’ens o entitas, termine che egli rivendica come espressione
del carattere d’essere di una sostanza.
Questo dibattito comporta dunque una
riflessione su ciò per cui una cosa è ciò
che è (per Tommaso l’esse come atto e
forma d’attualità ; per Dietrich l’essentia) e sulla distinzione fra ciò che una
cosa è e il fatto che è nel senso di un
individuo concreto (fra l’essenza e la
sostanza, la sostanza seconda e la sostanza prima). Un glossario annesso al
volume permette di meglio reperirsi nelle traduzioni; una raccolta di testi sulle
fonti della querelle e un altra raccolta
sulle conseguenze della disputa contestualizzano e approfondiscono lo spessore filosofico del problema. F.M.Z.
Jacob Bernays: filologia
e filosofia dell’antichità
Nella Germania del XIX secolo la
filologia anticha era al contempo uno
dei luoghi in cui si affermava risolutamente il metodo critico e le innovazioni della scienza tedesca e uno
dei luoghi in cui si elaborava la co-
struzione dei miti politici che avrebbero conferito alla “nazione ritardatrice” una legittimità culturale incontestabile, anche se ambigua. Su
questi aspetti interviene il volume
collettivo dal titolo: JACOB BERNAYS . UN
PHILOLOGUE JUIF (a cura di J. Glucker e
A. Laks, Presses Universitaires du
Septentrion, Lille 1996), che raccoglie gli atti di un convegno dedicato
al filologo Jacob Bernays (18241881), corredato da un insieme di
aforismi inediti del medesimo a cura
di B. Kytzler, K. Gruender e A. Laks.
Di Jacob Bernays si deve ricordare innanzitutto il contributo decisivo all’interpretazioe della tragedia greca e in
particolare dell’idea di katharsis nella
Poetica di Aristotele (1449b 24-28).
Allorché con Lessing l’Illuminismo scorgeva nella katharsis la dimensione pedagogica e moralizzatrice della tragedia, il
cui effetto sullo spettatore avrebbe dovuto essere di «trasformare le passioni
in disposizioni virtuose» e dunque di
“purificare” l’anima, Goethe e un certo
Romanticismo vi scorsero l’affermazione dell’autonomia e della sovranità dell’arte, nel suo carattere produttivo. Bernays pose invece la questione della katharsis sul terreno medico, come purgazione delle passioni ed evacuazione necessaria degli affetti violenti. La sua
interpretazione si situa dunque sul piano
di una economia generale degli affetti,
contro le restrizioni razionaliste, con l’intento di dare spazio alle passioni “inconsce”. Così Bernays conduce, suo malgrado, Nietzsche sulla via dell’interpretazione dionisiaca del tragico e forse
fornisce a Freud elementi decisivi per la
sua concezione del “metodo catartico”.
L’economia delle pulsioni veniva così
presa in conto ben prima dell’approccio
psicoterapeutico.
Non meno preziosa è l’opera di Bernays
nell’ambito della filosofia antica. A lui
si deve un’importante messa a punto
della problematica degli scrittti esoterici
di Aristotele, in un momento storico in
cui l’idea di un Aristotele autore di dialoghi perduti non si confaceva assolutamente all’immagine corrente della coppia Platone/Aristotele: artista filosofo
l’uno, empirista laborioso l’altro. Bernays rifiutava questo cliché e i suoi lavori su Teofrasto hanno aperto piste importanti per la ricerca sul razionalismo della
tradizione aristotelica. Altrettanto innovatori sono stati i suoi interventi su Antistene, Luciano, Focione o Filone.
Infine, riguardo alla riflessione politica
e storica, di Bernays va ricordata la lucidità con cui considerava l’impossibilità
di un’“armonia” fra ebrei e tedeschi nell’accrescersi dell’odio razziale che accompagnava la consolidazione dell’impero bismarckiano. In questo contesto è
da rilevare l’atteggiamento precorritore
44
di Bernays, che non si aspettava nulla
dai “diritti” o dall’emancipazione politica, che leggeva già in Tacito l’incomprensione per i semiti dalla parte degli
“indo-germani”, che concepiva la classe
politica come una banda di briganti e
scorgeva, soprattutto nella nascita dell’impero bismarckiano, una quinta età
del mondo.
La riflessione sulla storia nasce in Bernays all’interno del suo lavoro filologico sugli antichi. Contro la Grecia ideologizzata come la patria dei filosofi e dei
poeti, modello della nazione e della vita
civica, Bernays voleva riabilitare il mondo ellenico quale Alessandro e Aristotele l’avevano concepito a oriente. Seguiva così la linea interpretativa di Droysen, ma senza prospettare una sintesi
neo-hegeliana; la sua antichità era invece percorsa dalla tensione fra Atene e
Gerusalemme, unificate in un quadro
universale e cosmopolita. Per Bernays,
anche se “democratico”, il ripiegamento
sulla polis lasciava la porta aperta a un
nazionalismo intollerante, allorché
l’apertura all’impero significava la trasformazione del senso stesso dell’antichità classica, facendole guadagnare
un’universalità più vera di quella di
un’età classica idealizzata. D.T.
Emilio contro ‘Emilio’
Per la prima volta in edizione italiana, è stato pubblicato il seguito
dell’‘Emilio’ di Jean Jacques Rousseau con il titolo: EMILIO E SOFIA O I
SOLITARI (a cura di G. Merlino, Cronopio, Napoli 1996). Qui l’autore, nei
panni di Emilio, racconta al suo precettore le vicende capitategli una
volta entrato nella società.
Jean Jacques Rousseau aveva probabilmente intenzione di scrivere un intero
romanzo epistolare in cui narrare le vicende di Emilio e Sofia, una volta terminato il processo educativo e iniziata la
vita in società. Il progetto è rimasto incompiuto: restano solo due lettere in cui
Emilio racconta al suo precettore la rottura del matrimonio con Sofia e, tra le
righe, il fallimento dell’ideale pedagogico con cui era stato cresciuto. Tutti
ricordiamo i principi educativi dell’Emilio che rappresentano il punto di riferimento della pedagogia contemporanea.
A questo proposito, la nuova edizione
italiana di quest’opera a cura di Emma
Nardi (La Nuova Italia, Firenze 1995),
corredata da un’ampia sezione di sintesi
e note, metteva in luce i motivi essenziali dell’opera di Rousseau nel suo intento
di indicare il corretto sviluppo dell’adolescente, attraverso l’educazione naturale e negativa. L’educazione in campa-
PROSPETTIVE DI RICERCA
gna, spontanea e priva di premi, punizioni e costrizioni di ogni tipo, costituiva il
modo migliore per sviluppare la bontà
originaria del bambino, che in tal modo
sarebbe diventato un individuo sano e
guidato da solidi principi.
D’altra parte, già l’Emilio era caratterizzato da evidenti contraddizioni che, se da un
lato, sottolineavano la personalità complessa di Rousseau, dall’altro ne mettevano in luce i dubbi e le aporie. Ricordiamo
che Rousseau aveva abbandonato i suoi
cinque figli in orfanotrofio e le sue esperienze educative erano state disastrose: per
questo l’Emilio risultava assolutamente
astratto e teorico. Inoltre i principi educativi, se da un lato, apparivano del tutto naturali e spontanei, dall’altro denotavano la
necessità di un pubblico d’élite per comprenderli. In ogni caso, le contraddizioni
esplodono in questo Emilio e Sofia o i
solitari, nel quale l’educazione naturale
risulta inadeguata per la vita reale all’interno della società civile.
Con tono accorato e meditativo, Emilio racconta la vita di Parigi, dove il divertimento e
la chiacchiera hanno distolto i due sposi dai
valori originari nei quali erano cresciuti. Se
Emilio si è dato alla mondanità e ai salotti,
Sofia ha manifestato il suo istinto naturale di
seduzione, tradendo il marito. La reazione di
Emilio è tragica: l’educazione naturale non
lo ha preparato al dolore del tradimento che
lo devasta nella sua identità personale. Emilio si dà al vagabondaggio notturno per Parigi, che lo accoglie nella dissipazione e nel
tormento. L’educazione ha dunque fallito: la
prova della civiltà, con la corruzione che
comporta, si rivela fatale per i due sposi, che
non reggono alla tentazione della quotidianità. Il volume si conclude con due finali che
rivelano entrambi la consapevolezza del fallimento dell’educazione, ma anche l’impossibilità di vivere in una civiltà così lontana
dai principi in cui i due erano stati cresciuti.
Nel primo finale Emilio sceglie di vivere alla
giornata senza alcun tipo di progettualità
etica o civile; nel secondo si ritira in un
viaggio senza fine nei paesi selvaggi nei
quali la civiltà non ha ancora compiuto il suo
ingresso.
Il fallimento dell’ideale educativo emerge in
tutta la sua drammaticità e rivela le contraddizioni di fondo già espresse nell’Emilio e,
del resto, anche nell’opera politica di Rousseau. Probabilmente, quello che spinge Rousseau a teorizzare, da una parte, orizzonti
idilliaci e, dall’altra, conclusioni aberranti, è
la consapevolezza che l’elemento del “buon
selvaggio”, che pervade le sue opere, rimane
solo un ideale regolativo. In fondo, la civiltà
corrompe Emilio e Sofia perché alimenta, al
suo interno, elementi marci e totalmente
estranei ai suoi ideali. In altre parole, la
filosofia di Rousseau ruota intorno al mito
della bontà originaria che, se da un lato
costituisce lo spunto per la ricerca di un
ideale pedagogico e politico di felicità, dall’altro nasconde il suo carattere utopistico.
A.S.
Amore e filosofia
in Kierkegaard
Caratterizzati da una sottile ironia,
vengono pubblicati in traduzione italiana due scritti minori di Søren Kierkegaard: IN VINO VERITAS (trad. it. di D.
Borso e S. Davini, Tranchida Editore,
Milano 1996), che, alla maniera del
‘Simposio’ platonico, costituisce un
dialogo sull’amore, e di JOHANNES CLI MACUS O DE OMNIS DUBITANDUM EST (a
cura di S. Davini, ETS, Pisa 1996), un
racconto autobiografico che narra dei
piaceri offerti dalla filosofia.
In vino veritas costituisce il primo dei tre
scritti che compongono gli Stadi sul cammino della vita, forse una delle più celebri
opere di Søren Kierkegaard. Concepito
originariamente come scritto autonomo, il
dialogo si svolge durante un banchetto in
cui i partecipanti disquisiscono sull’amore.
I cinque invitati, accompagnati dai suoni
della musica e immersi nel verde di un
bosco, tra un boccone di cibo e un bicchiere
di vino raccontano le proprie esperienze,
tracciando i confini di quella che è l’esperienza amorosa.
Più che un dialogo sull’amore, In vino
veritas è forse un pamphlet sulle donne,
protagoniste del dialogo ma assenti al banchetto. Attraverso quel linguaggio ironico
che caratterizza la prosa kierkegaardiana,
la donna è descritta come un essere debole
e soprattutto contraddittorio. Tuttavia, per
quanto una strutturale inattendibilità sembri rappresentare una manifestazione della
fragilità femminile, ad una attenta lettura lo
stesso carattere rivela la sua forza quasi
diabolica. La donna - afferma infatti Kierkegaard - è stata creata dagli dei per indebolire l’uomo, per incantarlo e sedurlo attraverso la sua apparente innocenza. La
misoginia di Kierkegaard si mostra qui in
tutta la sua complessità: la donna è necessaria quanto pericolosa per l’uomo che non
riesce a farne a meno e contemporaneamente la teme. Lo stesso avviene per
l’esperienza amorosa, che si mostra, da
un lato, come un pericolo e, dall’altro,
come un evento ridicolo, deriso dall’osservatore. L’amante che si annulla nel
desiderio dell’amata vuole annullare il
suo io che, d’altro canto, si mostra solo
nell’unione con l’altro.
Se per Kierkegaard l’amore offre un piacere solo apparente all’uomo, causandogli in
realtà dolore e scherno, lo stesso non si può
dire per la filosofia, che costituisce l’unico
vero piacere per l’individuo. Questo è l’oggetto di un racconto autobiografico incompiuto di Kierkegaard, Johannes Climacus,
in cui la filosofia costituisce una passione
profonda e fonte di soddisfazione per l’individuo. Il racconto costituisce di fatto una
sorta di esercizio intellettuale, in cui il
protagonista procede di pensiero in pensiero, complicando via via il proprio cammino
sino a far diventare il pensiero stesso il
45
proprio oggetto d’amore. Filo conduttore
del racconto è il dubbio, che costituisce, da
una parte, l’elemento portante della filosofia e, dall’altra, l’elemento scatenante la
passione di Johannes.
La prima parte del racconto, che complessivamente doveva constare di tre parti di
cui solo la prima e parzialmente la seconda
sono state ultimate da Kierkegaard, prende
le mosse dal dubbio cartesiano che rappresenta l’inizio della filosofia moderna. Partendo dal dubbio, Johannes inizia il suo
percorso intellettuale che lo porta a chiedersi se il dubbio permetta l’inizio della
filosofia o se, piuttosto, ne costituisca la
sua prima manifestazione. Di questo passo,
passando da un pensiero all’altro, il protagonista arriva a comprendere che, in ogni
caso, il dubbio costituisce l’essenza vera e
propria della filosofia, che dunque ha senso
solo come esercizio spirituale personale.
Per questo, la seconda parte rappresenta
una ricerca personale da parte di Johannes
che si addentra nei meandri del dubbio sino
a cogliere i concetti di ripetizione e di
ricordo, finché il racconto non si interrompe. Come nota Simonella Davini nell’“Introduzione”, Kierkegaard interrompe
il racconto mentre affronta il concetto di
ripetizione, che costituirà l’oggetto dello
scritto successivo, intitolato, peraltro, La
ripetizione. L’interruzione del racconto non
indica pertanto un fallimento nell’intento
dell’autore, quanto piuttosto una manifestazione vera e propria dell’esercizio filosofico. In altre parole, l’addentrarsi nel
pensiero e nella speculazione porta Kierkegaard a cominciare un’ulteriore ricerca,
sulla ripetizione appunto, che, a costo di
interrompere il lavoro iniziato, ne manifesta l’intima essenza, ovvero l’esigenza,
imprescindibile, di procedere nel pensiero
e nella ricerca intellettuale. A.S.
Le parole di Foucault
La forza della parola è forse l’elemento
che meglio caratterizza il pensiero di
Michel Foucault. Ne sono testimonianza due volumi in cui il linguaggio si
mostra in tutta la sua capacità critica.
Si tratta degli SCRITTI LETTERARI (a cura di
C. Milanese, Feltrinelli, Milano 1996),
in cui vari saggi sulla letteratura descrivono la scrittura come l’ultimo elemento della trasgressione, e di DISCORSO E VERITÀ (trad. it. Di A. Galeotti,
Donzelli, Roma 1996), in cui Foucault
spiega come la verità esponga l’individuo al rischio e al pericolo.
Se ne Le parole e le cose (Milano 1967)
Michel Foucault rivela il carattere dissacratorio della parola, che riesce a rompere
gli equilibri di potere, negli Scritti letterari
offre una dimostrazione concreta del potere dirompente della parola. La scrittura,
PROSPETTIVE DI RICERCA
infatti, diventa la voce dell’Altro che parla
dal di fuori e mette fine al pensiero antropocentrico. La trasgressione si rivela nell’atto
dello scrivere che, non rimandando ad alcun
contenuto, diventa il gioco fine a se stesso dei
significanti. Foucault scompare così nella
messa in opera della scrittura che riflette su
se stessa all’infinito e perde il significato
denotativo e connotativo. Come la sessualità
che supera, trasgredendo l’ordine, la morte
di Dio, così la scrittura rivela il gioco continuo dell’inconscio che mette fuori uso il
soggetto cartesiano e apre la parola agli
orizzonti dell’infinito.
Il decentramento del soggetto e delle categorie metafisiche fanno da sfondo anche a
Discorso e verità in cui Foucault, descrivendo la problematizzazione di un tema, sposta
l’attenzione sugli elementi marginali e nascosti delle società. In questo scritto Foucault affronta il concetto di verità che, emergendo come “problema” nell’antica Grecia,
apre una serie di questioni decisive sia dal
punto di vista logico (quando una proposizione è vera?) sia da quello pratico (che ruolo
ha nella società la verità?). Attento a questo
secondo aspetto del problema, Foucault affronta le conseguenze della verità in un individuo pronto a modificarsi con le esperienze
della vita e in grado di abbandonare quell’identità fondativa tipica del cartesianesimo
e della metafisica. Il concetto analizzato da
Foucault è la parresìa, ovvero la verità intesa
come quel dovere che implica un rischio da
parte del parlante. Colui che usa la parresìa
si trova sempre in una condizione di inferiorità rispetto all’interlocutore e perciò, smantellando la forza di questi, mette a rischio la
propria incolumità.
L’analisi di Foucault parte dalla tragedia di
Euripide per arrivare al mondo cristiano in
cui è possibile riscontrare legami con quello
moderno. Euripide ha il merito di aver svelato la verità come problema: grazie alla
parresìa, infatti, l’uomo è riuscito a smascherare i giochi degli dei e a riabilitare se
stesso. Dello stesso tono è l’opera di Dione
Crisostomo, che mostra la ribellione di Dionigi nei confronti di Alessandro Magno,
impossibilitato a esercitare il suo potere di
fronte alla forza della verità. Diverso è il
discorso per quanto riguarda il mondo cristiano, dove la verità costituisce uno strumento di ascesi e di ri-unione con la divinità.
In questo modo, Foucault torna ai temi già
affrontati nell’analisi dell’età moderna come
la moralizzazione e la critica alla sessualità.
Se infatti questi temi, durante il monachesimo, costituivano la garanzia dell’affermazione dell’individuo, nell’età moderna nascondono il potere moralistico delle istituzioni che soffocano l’autonomia dell’uomo.
La verità diventa, così, un esercizio per la
cura di sé in grado di decostruire l’identità
sociale e raggiungere un vero e proprio autogoverno. In altre parole, la scoperta della
verità costituisce un esempio di autonomia
dell’individuo che, a proprio rischio e pericolo, affronta le contraddizioni dell’esistenza e riesce a scardinarsi dalla società. A.S.
Le meditazioni metafisiche
di Cartesio
Fino a che punto Cartesio ha influenzato la filosofia post-cartesiana e in
quali ambiti possiamo ancora osservare le tracce di questa influenza? A
questo tema è dedicata una raccolta di
saggi critici, contenuta in un volume a
cura di David Weissman, METAPHISICAL
MEDITATIONS (Yale University Press, New
Haven e Londra 1996), che oltre alle
‘Meditazioni metafisiche’ e al ‘Discorso sul Metodo’ di Cartesio offre un
valido contributo critico all’approfondimento di alcuni temi cartesiani riguardo alla metafisica, l’epistemologia, la fisica, la matematica, l’etica e
l’antropologia.
Tra i vari contributi raccolti nel volume,
David Weissman interviene con un saggio sulle radici cartesiane della metafisica da Leibniz a Russell e Wittgenstein e
con uno sulla nozione cartesiana di coscienza e sul rapporto fra fisico e psichico. Seguono interventi di Stephen Toulmin su Descartes and his Time (Cartesio
e il suo tempo), di John F. Post su
Epistemology (Epistemologia), di Lou
Massa su Physics and Mathematics (Fisica e matematica), di William T. Bluhm
su Political Theory and Ethics (Teoria
politica ed etica), di Thomas Pavel su
Literature and the Arts (La letteratura e
le arti).
L’idea di fondo che guida questa raccolta di saggi è che le teorie filosofiche
sono sempre dotate di una storia e non
possono essere studiate in un presente
senza tempo. Questa storia è la storia
della trasformazione di concetti chiave;
una trasformazione che può portare a
profonde modificazioni dei concetti originari, al punto da non riuscire più a
riconoscere questi ultimi nella loro “progenie”. Si prenda, per esempio, l’ontologia “psicocentrica” di Cartesio: la convinzione che “Io sono, Io esisto” è vera
tutte le volte che la pronuncio o la concepisco mentalmente. Alcuni discendenti
di Cartesio rendono il cogito autosufficiente, riducendo tutto il resto a semplici
qualificazioni della mente - la mente
assume una funzione creativa, sul modello di quella divina; altri, invece, più
cautamente, riprendono la sua enfasi sul
rigore e logico e l’economia concettuale, proponendo un’ontologia forse più
ascetica, fatta di idee, giudizi, proposizioni. In questa seconda tradizione il
rigore finisce col trasformarsi in un esasperato scetticismo, che dissolve tutto
ciò che non può essere ricondotto a percezione: ciò che esiste sono solo le impressioni e le loro più deboli copie.
Ora, l’uno come l’altro filone hanno il
cogito come proprio punto di partenza,
ovvero la capacità di esercitare l’autoriflessione. Riflettendo su se stessa la
46
mente analizza le idee oscure, costruisce
il complesso a partire dal semplice, dà il
proprio assenso ai contenuti che trova in
se stessa oppure li nega. Se si sottolinea
l’aspetto dell’autoriflessione e il ruolo
della volontà, è breve il passo che porta
dal cogito cartesiano alle monadi leibniziane e all’unità trascendentale dell’appercezione di Kant, a Fichte e all’assoluto di Hegel; se, invece, si ignora l’autoriflessione e si sottolinea piuttosto l’analisi delle idee, così come la loro organizzazione logica, da Cartesio si arriva a
Locke, Berkeley, Hume, Russell e i positivisti.
Anche riguardo all’altro filone interpretativo, quello analitico, lo psicocentrismo cartesiano, osserva Weissman, si
evolve nella direzione dell’idealismo. In
questo senso: se in una prima fase sono
dotate di esistenza solo le cose che sono
rappresentate da percezioni e idee, in
seguito lo scetticismo limita l’esistenza
alla mente e ai suoi prodotti, per poi
confinarla soltanto alle impressioni. L’ultimo passo di questo processo consiste
nel rendere l’esistenza funzione di un
impegno linguistico o grammaticale: ci
sono tanti generi di cose nell’universo
quanti sono i termini predicativi del linguaggio che è utilizzato; sintatticamente
l’esistenza è costruita come il valore di
una variabile vincolata. E questa evoluzione si ispira alla concezione cartesiana
dell’esistenza: x esiste nella misura in
cui è percepito (conosco me stessa per
conoscenza diretta) oppure perché vi è
una teoria, consistente con altre teorie,
che ne asserisce l’esistenza. In questo
secondo caso nulla può esistere se non
all’interno di un linguaggio o di una
teoria. C.C.
I vizi per Tommaso D’Aquino
La nuova traduzione, con testo latino a fronte, de I VIZI CAPITALI (a cura di
U. Galeazzi, Rizzoli, Milano 1996),
uno dei contributi filosoficamente
più originali e meditati della colossale produzione filosofica di Tommaso D’Aquino, intende mettere in
luce l’attualità del pensiero morale
di Tommaso e l’acutezza con cui
quest’ultimo riconduce ai loro fattori teoretici originari questioni di vasta portata e incidenza sociale, come
i sette vizi capitali.
Secondo Umberto Galeazzi, le Quaestiones disputatae de malo, di cui De
vitiis capitalibus (I vizi capitali) rappresentano la seconda parte, costituiscono
l’espressione più ampia, approfondita e
rigorosa del pensiero di Tommaso
D’Aquino, frutto del suo insegnamento,
soprattutto all’Università di Parigi, che
si affianca a una straordinaria produzio-
PROSPETTIVE DI RICERCA
ne scientifica lungo un arco di circa
sedici anni, dal 1256 al 1272. L’opera,
sottolinea Galeazzi, si presenta organica
sia alle esigenze dell’insegnamento, sia
a quelle della ricerca; non si discosta
infatti da quel metodo del dialogo e del
lavoro in équipe che caratterizza lo stile
proprio della quaestio, articolata nei suoi
tre momenti strutturali: la discussione,
la soluzione o risposta e, infine, la redazione definitiva con l’edizione di competenza del maestro.
Applicando un simile metodo al tema
dei vizi capitali, Tommaso ci offre una
dettagliata disamina delle limitazioni e
delle imperfezioni a cui l’uomo è soggetto nell’avventura morale che ne caratterizza la condizione e l’esistenza.
L’analisi della superbia, della vanagloria, dell’invidia, dell’accidia, dell’ira,
dell’avarizia, della gola e della lussuria
finiscono, così, per essere punto di accesso - per via negativa - a ciò che è
“capitale” per la vita stessa del pensiero,
la questione del fine ultimo. Al di là,
infatti, di una semplice ed elenchica ricognizione fenomenologica della vita
morale dell’uomo, con i suoi problemi e
le sue contraddizioni, quest’opera ci conduce, come rileva Galeazzi, all’interno
della natura stessa del problema come
una questione di principio. Persino il
ricorrere dell’aggettivo “capitali”, a fianco del sostantivo “vizi”, indica l’attestarsi di questi non a livello della tenuta
dell’agire umano, entro il criterio etico
della coerenza morale, bensì sul piano
della suprema vocazione del pensiero
alla questione del principio.
Con Tommaso, osserva Galeazzi, il pensiero di natura, proprio attraverso la disamina dei suoi vizi, viene a configurarsi come pensiero-facoltà del principio e,
in quanto tale, come segnato da uno
statuto genuinamente morale; il pensiero è infatti facoltà del bene. In questa
prospettiva Tommaso si segnala come
colui che, stigmatizzando lo statuto morale del pensiero, lo ha restituito alla sua
suprema vocazione speculativa, liberandolo da inutili pastoie etico-moralistiche. In questa prospettiva Galeazzi individua il nucleo centrale di un possibile
confronto critico con i presupposti teoretici della filosofia moderna e contemporanea.
Nel volume compare anche una puntuale
bibliografia riguardo alle note presenti
nel testo. Il testo latino a fronte riproduce la versione critica dell’edizione leonina; la traduzione di Galeazzi ha tenuto
presenti sia il testo dell’edizione Marietti, sia quello a cura di R. Busa, oltre alle
versioni in lingua francese (Parigi 1992)
e in lingua inglese (Indiana 1983). G.F.
Verità e vita in Montaigne
In PICTA HISTORIA. LETTURA DI MONTAIGNE E
NIETZSCHE (QuattroVenti, Urbino, 1995),
Nicola Panichi mette in evidenza, attraverso l’analisi dell’opera di Montaigne, una concezione della filosofia
come “arte di vivere”. In OH, UN AMICO!
IN DIALOGO CON MONTAIGNE E I SUOI INTERPRETI (FrancoAngeli, Milano, 1996),
Sandro Mancini mostra invece come
nei ‘Saggi’ di Montaigne traspaia non
solamente una componente fenomenologica, ma anche una componente
dialettica che, tuttavia, non culmina in
una sintesi capace di sanare tutte le
lacerazioni, ma lascia sussistere i misteri e le ambiguità dell’esistenza.
Nel ricostruire la filosofia che sta alla base
dei Saggi di Montaigne, Nicola Panichi
mostra come il filo conduttore di quest’opera sia costituito dall’affermazione del carattere attivo della conoscenza filosofica.
Montaigne, infatti, polemizza con l’astratta speculazione filosofica per la mancanza
di un suo concreto riferimento all’esperienza vissuta, rivelando così l’impronta
fenomenologica del suo argomentare. Come
sottolinea Panichi, la filosofia “autentica”
deve immergersi, per Montaigne, nella profondità della condizione umana, saldandosi all’etica e qualificandosi come “pittura
del passaggio” e non dell’essere.
D’altra parte, Montaigne tende a mettere in
crisi, nella sua opera, l’idea di una natura
umana immodificabile, evidenziandone
invece il suo carattere mutevole e la sua
condizione di instabilità e di incertezza.
Pertanto nella vita umana risulta predominante la capacità dell’uomo di costruire la
propria vita cercando di conseguire una
“soggettività consapevole” e manifestando la propria libertà. Da questo punto di
vista rilevanti sono per Panichi i punti di
contatto di questa concezione con la filosofia di Nietzsche, che mettono in luce l’estrema modernità del pensiero di Montaigne.
Come Nietzsche, anche Montaigne ritiene
che la filosofia debba radicarsi nella corporeità, non dovendo mai prescindere dai
suoi legami con l’ambito esperienziale dell’esistenza. D’altro canto, entrambi i pensatori ricercano «le parole che agiscono»,
«le parole che sanguinano»; ogni parola
viene in loro vissuta profondamente come
fosse incisa nella corporeità umana. Così
l’io che essi sostengono, fa notare Panichi,
è un io “lacerato”, “diviso”, “pieno di molteplici parole”, di diversi stili e di mutevoli
stati d’animo. Per Nietzsche, come per
Montaigne, l’uomo, non essendo in grado
di entrare in contatto con l’essere, assume
come realtà il continuo divenire. In tale
prospettiva all’eterno ritorno di Nietzsche
corrisponde il carattere ciclico attribuito da
Montaigne al corso della storia. D’altro
canto, sarà lo stesso Nietzsche a elogiare
Montaigne, mostrando come nella personalità dell’autore dei Saggi siano compre47
senti una forte vitalità e una profonda saggezza, che si rivelano nel suo piacere di
filosofare e nel suo sereno stato d’animo.
La ricostruzione che Sandro Mancini compie del percorso filosofico presente nei
Saggi ha lo scopo di mettere in evidenza
come nella filosofia di Montaigne sia possibile rintracciare non solamente una componente fenomenologica, come vari pensatori hanno già sottolineato, ma anche una
componente dialettica. Già Merleau-Ponty aveva messo in luce la dimensione fenomenologica presente nell’opera di Montaigne, mostrando come essa delinei un rapporto “costitutivo” tra la vita della coscienza e quella del corpo. D’altra parte, anche
Starobinsky ha avuto il merito di individuare il “movimento” che pervade la filosofia di Montaigne, impedendole di cristallizzarsi in una forma stabile e immutabile.
Tuttavia, osserva Mancini, entrambi non
hanno saputo cogliere la “dialettica dell’espressione” che si rivela nei Saggi secondo un percorso caratterizzato da tre
fasi.
Se in una prima fase Montaigne afferma la
tesi dell’esistenza delle apparenze, nella
fase dell’antitesi tenta di vanificarle, per
sancire alla fine, nella sintesi, l’impossibilità della negazione delle apparenze e la
necessità di una riconciliazione con esse.
Tuttavia questa dialettica, sottolinea Mancini, si distacca nettamente da quella hegeliana, poiché la sintesi non determina una
soluzione definitiva della posizione iniziale. Se nel corso del secondo movimento
l’identità sostanziale si converte nell’opposta polarità della “differenza”, la sintesi
finale non implica la riaffermazione del
carattere sostanziale del soggetto, ma semmai fornisce nuovo “spessore” al senso
dell’esistenza. Infatti, la filosofia di Montaigne non elimina “l’opacità” e “l’ambiguità” dell’esistenza, lasciando piuttosto
sussistere tutti i suoi iati e tutte le sue
lacerazioni, senza per questo spalancare il
baratro del vuoto abissale di senso, ma
rivelando invece un carattere “fenomenista” e non nichilista.
Sia Baroz che Starobinsky hanno d’altra
parte mostrato come lo scetticismo di Montaigne sia consono alla riflessione sull’«esperienza primordiale del corpo vissuto». Inoltre, Merleau-Ponty ha evidenziato come Montaigne abbia promosso un
movimento di ricerca della verità volta «a
mettere tra parentesi i presupposti categoriali», non con uno scopo distruttivo, ma
con l’intento di far emergere le manifestazioni originarie dell’esperienza. Così lo
scetticismo fenomenologico di Montaigne
finisce con l’enucleare tutti i “paradossi
della ragione dialettica”: partendo dall’affermazione del carattere contradditorio
della verità Montaigne conclude che «la
contraddizione è verità». M.Mi.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Edmund Husserl
La concezione dello spazio
in Husserl
Nel volume dal titolo: LIBRO DELLO SPA(Guerini e Associati, Milano 1996)
vengono raccolti, a cura di Vincenzo
Costa, alcuni testi di Husserl che erano
stati preparati in previsione della pubblicazione di uno studio sullo spazio e
sulla geometria. Il volume costituisce
un valido contributo per la comprensione della concezione fenomenologica husserliana.
ZIO
Negli scritti raccolti in Libro dello spazio, Edmund Husserl si propone di
mostrare come sia possibile giungere
alla percezione dello spazio tridimensionale. Per Husserl lo “spazio geometrico” è il prodotto di una rappresentazione concettuale. In questo egli si differenzia dalla prospettiva kantiana, secondo cui la rappresentazione dello spazio
che sta alla base della geometria è generata da un’intuizione.
Già Platone, sottolinea Husserl, aveva
mostrato il carattere “bastardo” dello
spazio, che pur non potendosi manifestare, costituisce tuttavia l’orizzonte entro cui si manifestano le cose. Bisogna
allora partire dalla “costituzione della
cosa spaziale” per poter delineare la formazione dello spazio obiettivo. In tale
prospettiva lo spazio si manifesta attraverso le percezioni visive, tattili, che
costituiscono l’oggetto spaziale in quanto, a differenza di altre percezioni, come
ad esempio quelle acustiche, «riempiono l’oggetto in senso pieno ed autentico», facendo emergere dallo sfondo indefinito la cosalità dell’oggetto nella sua
struttura globale. A queste si aggiungono le sensazioni cinestetiche, che testimoniano del legame essenziale tra il campo visivo e i “decorsi cinestetici”, legame che implica la corrispondenza tra la
posizione dell’oggetto e la rispettiva sensazione oculare. In tal senso, il cambiamento di posizione nel campo visivo
favorisce la costituzione delle “forme di
obiettivazione”. Non bastano però l’avvicinamento e l’allontanamento; basilare è il processo di “rotazione su di sé”
dell’oggetto per poterne determinare la
percezione della tridimensionalità nello
spazio.
In tale processo di rotazione dell’oggetto si realizza un movimento “ciclico”
generato dal passaggio continuo dal “coprimento” al “disvelamento”, in base al
quale l’immagine non scompare dal campo visivo, ma viene semplicemente “coperta” da un’immagine dello stesso oggetto. Attraverso la rotazione su di sé
l’oggetto rivela sempre nuovi suoi lati
determinando la sua percezione come
“corpo chiuso”.
Quando un oggetto ha acquisito la sua
collocazione insieme agli altri oggetti
nel campo attuale, per Husserl, viene
48
conservato nella coscienza individuale.
Pertanto, attraverso le relative circostanze cinestetiche nel mondo, esso rappresenta “un’orizzonte sempre presente”
anche nel caso in cui visivamente di esso
non sia data alcuna immagine. D’altra
parte, per Husserl la percezione delle
cose è dovuta ad un “me” che non si
colloca nello spazio nella stessa maniera
delle altre cose. Il punto di partenza
della percezione è in verità il “corpo
proprio” che coglie il passaggio dal “qui”
inteso come la sua posizione nello spazio al “qui” inteso come “forma intercambiabile” attraverso il camminare. In
tale prospettiva d’indagine, ricopre un
ruolo essenziale lo “spazio-ambiente”.
Infine, mentre Kant negava l’esistenza
dello spazio vuoto poiché, essendo la
spazialità una dimensione della ricettività, rendeva impossibile la sensazione
del vuoto, Husserl, considerando la spazialità una componente della “spontaneità cinestetica”, ritiene possibile la
sensazione del vuoto. In quest’ottica il
vuoto si configura come “potenzialità di
oggetti”. M.Mi.
PROSPETTIVE DI RICERCA
L’ontologia sensibile
di Merleau-Ponty
L’opera postuma di Maurice MerleauPonty, LA NATURA (trad. it. di M. Mazzocut-Mis e F. Sossi, a cura di M. Carbone, Cortina, Milano 1996) mette a disposizione i testi dei corsi di lezione
tenuti dal filosofo nell’ultimo periodo
della sua riflessione, dedicati al tema
della natura. Essi testimoniano del
deciso orientamento ontologico della
ricerca merleaupontyana in questo periodo, la quale si concreta nel tentativo di coniugare l’istanza ontologica a
quella sensibile. A questi stessi temi è
dedicata l’opera di Mauro Carbone, IL
SENSIBILE E L’ECCEDENTE. MONDO ESTETICO,
ARTE, PENSIERO (Guerini e Associati, Milano 1996), che, in forza anche delle
indicazioni di Merleau-Ponty, propone, con taglio critico, una “presa di
partito” per il sensibile.
Pubblicato per la prima volta in Francia nel
1995 e ora disponibile in edizione italiana
(con alcune revisioni rispetto al testo stabilito dal curatore dell’edizione francese), La
nature raccoglie i testi del corso di lezioni
tenuto da Maurice Merleau-Ponty al Collège de France nel 1956-57, dedicato a “Il
concetto di natura”, e di quello tenuto nel
1959-60, dedicato al tema “Natura e logos:
il corpo umano”.
La natura è qui “il primordiale”, “il noncostruito”, ciò che non può mai stare davanti all’uomo come un oggetto, perché
non è un oggetto. Piuttosto - afferma Merleau-Ponty -, essa “sostiene” l’uomo, in
quanto ne costituisce il “suolo”, cioè quel
fondamento che è sempre dato “con” l’uomo, e mai “di fronte” a esso. La natura è
dunque ciò che è altro dall’uomo, pur riguardandolo intrinsecamente; la natura è il
“differente” dall’uomo. Per Merleau-Ponty, non si tratta di dar luogo a una “teoria
della conoscenza della natura”; del resto,
egli rigetta anche la configurazione di una
“filosofia della natura”, concepita come
una sorta di “super-scienza”, a sé stante,
peculiare e separata. Il concetto di natura
gode invece, per Merleau-Ponty, di un legame inscindibile con quello di “uomo” e
quello di “Dio”, in quanto essa rappresenta
«un foglio dell’essere totale». L’ontologia
della natura è perciò la via d’accesso privilegiata per l’ontologia in quanto tale: il
concetto stesso di natura costituisce
«l’espressione privilegiata» dell’ontologia.
Questi scritti merleaupontyani testimoniano dello sforzo, da parte del filosofo, per
giungere, negli ultimi anni della sua riflessione, a un concetto di ontologia che sappia
scorgere il nesso, intrinseco alla dimensione fondativa che la natura riveste nei confronti dell’uomo, fra attività e passività.
Non è un caso se, su questa strada, come
sottolinea nella sua “Presentazione” dell’opera Mauro Carbone, Merleau-Ponty
si imbatte in Schelling, quale suo interlocu-
tore privilegiato. Il tema della circolarità
del rapporto che vincola l’uomo alla natura
rinvia, infatti, a un’indivisione fra i due
poli della relazione attivo-passivo, da guadagnarsi, attraverso la riflessione, dopo
che proprio quest’ultima l’ha determinata.
I testi di questi corsi di lezione, rileva
Carbone, vanno letti in stretta connessione
da un lato con i materiali pubblicati ne Il
visibile e l’invisibile, dall’altro con le note,
tutt’ora inedite, che il filosofo aveva approntato per il suo ultimo corso, prima
dell’improvvisa scomparsa, dedicato al
tema “L’ontologia cartesiana e l’ontologia
odierna”. Queste note vengono ora prese
in esame da Carbone nel suo saggio Il
sensibile e l’eccedente. Mondo estetico,
arte, pensiero, al fine di mostrare come
Merleau-Ponty, in particolare nell’ultima
fase della sua riflessione, fornisca indicazioni rilevanti in merito al problema del
rapporto tra attività e passività dell’esperienza umana. Per quanto quest’esperienza rinvii all’elemento sensibile che connota la conoscenza umana, il riconoscimento
del carattere passivo, ovvero ricettivo, di
quest’ultima non ha storicamente comportato un corrispondente e correlato riconoscimento, decisivo e fondante per la conoscenza, dell’elemento sensibile. Quest’ultimo appare anzi, secondo Merleau-Ponty,
come il vero e proprio impensato dell’ontologia contemporanea: occorre dunque
“prendere partito” per il sensibile.
Carbone ritrova le tracce di questa presa di
posizione già nelle considerazioni di Husserl dedicate alla Einfühlung (empaia), nelle
quali emerge una decisiva attenzione per la
corporeità. Al mondo sensibile viene riconosciuta una significatività sua propria,
riconoscimento che appare come inconciliabile con l’assunzione di un’impostazione soggettivista, in quanto quest’ultima
rimuove (o, comunque, relega in secondo
piano) il carattere passivo della conoscenza umana. Occorre invece mettere ulteriormente in rilievo la caratterizzazione patica,
ovvero sensibile, della conoscenza, radicando quest’ultima in una configurazione
ontologica adeguata. In questo senso, osserva Carbone, le indicazioni più rilevanti
provengono proprio dall’ultima fase della
riflessione di Merleau-Ponty.
Nei materiali pubblicati ne Il visibile e
l’invisibile e negli inediti del corso dedicato al tema “L’ontologia cartesiana e l’ontologia odierna” Carbone ritrova elementi
atti a enucleare il “pensiero del sensibile”.
Il conato conoscitivo si connota, nella conoscenza intellettiva, come irrimediabilmente coniugato a una prospettiva soggettivista, che comporta, da un lato, la rimozione dell’istanza recettiva della sensibilità, dall’altro quella dell’istanza ontologica,
con l’“oblio dell’essere” già segnalato da
Heidegger. Il “lasciar essere” l’ente da
parte del soggetto, che connota l’“ontologia
sensibile” proveniente dall’opera di Mer-
Maurice Merleau-Ponty
49
PROSPETTIVE DI RICERCA
leau-Ponty, fa riferimento a una prospettiva “estesiologico-ontologica”, in cui il soggetto non riveste più, nella sua attività
concettualizzante, un ruolo appropriativo:
nel primato conferito alla modalità della
aisthesis il soggetto si caratterizza come
autenticamente ricettivo proprio perché
assunto, in primo luogo e in via originaria,
come sensibile. F.C.
La fenomenologia di Friburgo
Il volume 30 della serie “Phänomenologische Forschungen” (Ricerche fenomenologiche), a cura di Ernst Wolfgang Orth, raccoglie, sotto il titolo DIE
FREIBURGER PHÄNOMENOLOGIE (La fenomenologia di Friburgo, Alber, Friburgo in
Brisgovia-Monaco di Baviera 1996), i
contributi presentati al convegno sul
tema omonimo, organizzato a Friburgo in Brisgovia nell’ottobre 1994 dalla
Società tedesca per la ricerca fenomenologica. Con la denominazione di “fenomenologia di Friburgo” viene intesa non solo la fenomenologia dell’ultimo Husserl, ma anche quella dei suoi
allievi e collaboratori come Eugen Fink,
Oskar Becker, Aron Gurwitsch, Hans
Reiner, Jan Patocka, Roman Ingarden,
Fritz Kaufmann, o quella di un pensatore come Maurice Merleau-Ponty, che
dall’ultimo Husserl ha ricevuto numerosi stimoli di pensiero.
Come osserva Ernst Wolfgang Orth
nella “Premessa” al volume, sarebbe riduttivo intendere la filosofia husserliana
del periodo friburghese (dal 1916 al 1938,
anno della morte del filosofo) come la
filosofia di una scuola. È però certamente vero, continua Orth, che l’attività husserliana di ricerca e di insegnamento di
questo periodo ha rappresentato il punto
di partenza di una serie di effetti, che
nell’insieme possono essere considerati
come una risposta più o meno esplicita
alla fenomenologia di Husserl. È questo
il caso di pensatori come Eugen Fink,
Oskar Becker, Aron Gurwitsch, Hans
Reiner e Jan Patocka. All’ultimo periodo della filosofia husserliana si connettono inoltre i contributi offerti da autori
come Maurice Merlau-Ponty e Roman
Ingarden, Fritz Kaufmann e Jean-Paul
Sartre nell’ambito dell’analisi fenomenologica dell’arte e della letteratura, della
percezione e dell’immaginario.
Con le sue analisi sulla fantasia e sulla
coscienza di immagine Husserl aveva
profondamente stimolato le indagini fenomenologiche in ambito estetico e letterario, di cui rendono conto in questo
volume i contributi di László Tengelyi
(sugli studi dedicati da Fink alla coscienza d’immagine e alla coscienza di
irrealtà), Eliane Escoubas e Käte
Meyer-Drawe (sui concetti di coscienza, fenomeno e arte in Merleau-Ponty),
Hans-Reiner Sepp (sulle analisi della
coscienza estetica di immagine sviluppate da Fritz Kaufmann), Lambert Wiesing (sulla fenomenologia dell’immagine in Husserl e Sartre) e Eckhard Lobsien (sulla teoria della letteratura di Ingarden).
Quando ereditò la cattedra che era stata
di Windelband e Rickert, osserva Otto
Pöggeler, Husserl aveva sviluppato la
propria fenomenologia nel senso di una
filosofia trascendentale e non nascondeva la sua prossimità alle tradizioni neokantiane. Gli anni di Friburgo sono per
Husserl gli anni del confronto con il
neokantismo e con l’“antropologismo”
della filosofia della vita che, attraverso
Scheler e Heidegger, aveva lasciato le
sue tracce nella fenomenologia. Ma sono
anche gli anni del passaggio dalla fenomenologia “statica” delle Idee alla fenomenologia “dinamica” delle Meditazioni cartesiane e della Crisi delle scienze
europee. Con le sue ricerche sulla fenomenologia della coscienza interna del
tempo Husserl aveva scoperto che l’io
non è solo il centro di irradiazione di
un’attività riflessiva e critica, ma che
esso si costituisce anche in una dimensione di passività. Con il corso sulla
Filosofia prima (1923-24) egli aveva
ripecorso la via cartesiana, ma per giungere a una monadologia di tipo leibniziano e al riconoscimento della dimensione dell’intersoggettività.
Un aspetto importante della fenomenologia friburghese è il confronto di Husserl con Heidegger. Quest’ultimo, ricorda Pöggeler, aveva letto la Critica
della ragion pura alla luce della fenomenologia husserliana, ma si era distaccato dal maestro con le sue analisi sulla
temporalità dell’esserci (condotte nello
spirito della filosofia di Dilthey) e con il
successivo passaggio in primo piano dei
temi nietzscheani della finitezza e dell’abissalità dell’esserci. Tra le altre “risposte” alla fenomenologia husserliana
del periodo friburghese, Pöggeler considera quella di Ludwig Landgrebe, che
attraverso lo studio del giovane Marx
era arrivato a Hegel e considerava compatibili le filosofie di Husserl e Heidegger, e quella di Eugen Fink, che con il
suo corso del 1946-47 sulla “Filosofia
dello spirito” aveva connesso Husserl e
Heidegger nel segno di Hegel. Particolare importanza Pöggeler attribuisce a
Oskar Becker, che aveva criticato Heidegger per il suo misconoscimento del
senso della matematica e delle scienze
della natura, intendendo la matematica
in senso ermeneutico e trascendentale
come un prodotto dell’attività del “matematizzare”, e aveva trattato, riferendosi a Schelling, il problema della posizione dell’arte nell’insieme della vita
spirituale.
50
Le figure di Husserl, Heidegger e Becker si ripresentano nel contributo di
Wolfhart Henckmann, dedicato al problema della validità intersoggettiva dei
valori in Hans Reiner, che con Husserl
e Becker aveva preparato la tesi di dottorato su Freiheit, Wollen, Aktivität. Phänomenologische Untersuchung in Richtung auf das Problem der Willenfreiheit (Libertà, volere, attività. Ricerca fenomenologica in ordine al problema della libertà della volontà, 1926), e
che dopo l’influsso di Husserl subisce
nella sua elaborazione teorica quello di
Heidegger.
Nella prolusione friburghese del 3 maggio 1917 Husserl individuava nel presente l’epoca di un “impetuoso divenire” che coinvolgeva tutti gli ambiti della
vita culturale, dalla politica all’economia, dalla tecnica alle arti. A quasi ottant’anni dalla prolusione friburghese di
Husserl, sottolinea Pöggeler, bisogna
chiedersi se l’“impetuoso divenire” di
quell’epoca, con i suoi rischi e i suoi
smarrimenti, non abbia prodotto un mondo nuovo, che rende obsoleto il pensiero
di Husserl. Una risposta a questa domanda arriva, oltre che dall’intervento dello
stesso Pöggeler, dal contributo di Ilja
Srubar che, considerando la filosofia
pratica di Jan Patocka, rileva la presenza
di una terminologia fenomenologica in
un pensatore assai distante dalla fenomenologia come Francis Fukuyama.
Questi, nella sua Fine della storia, cercando di mostrare che la storia europea
“finisce” con l’affermazione globale del
mercato capitalistico e della democrazia
liberale, cita un brano di Vaclav Havel,
che fu allievo del fenomenologo Patocka,
oppositore del regime comunista cecoslovacco e membro del movimento per i
diritti umani “Charta 77”. L’opera di
Havel, recepita da Fukuyama come
un’opera volta a difendere i diritti umani, appare dunque profondamente radicata nel pensiero fenomenologico, che
in questo lascia emergere potenzialità
proprie di analisi del presente, che in
modo particolare si sono sviluppate laddove la fenomenologia si è vista costretta ad affermarsi come pensiero “alternativo” al marxismo dogmatico del “socialismo reale”. Tuttavia, all’ipotesi di una
possibile conciliazione tra una visione
“positivistica” della storia, come quella
di Fukuyama, e l’antipositivismo della
fenomenologia Srubar preferisce l’idea
di Patocka che la fenomenologia sia
«l’aspirazione a contrapporre una via
indagante al [...] concetto fondamentale
della modernità»: un’idea secondo cui
nella struttura del mondo della vita sono
impliciti sia momenti che hanno reso
possibile la costruzione e il successo, ma
anche la debolezza e le catastrofi, dell’umanità europea, sia momenti che rappresentano un’alternativa alla fatticità
dell’attuale situazione dell’Europa.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Un elemento comune alle diverse indagini
fenomenologiche del periodo friburghese
sembra essere la problematizzazione delle
analisi fenomenologiche della coscienza
proposte da Husserl nelle Idee. È questo il
caso di Aron Gurwitsch che, osserva Ulrich Melle, ha sviluppato l’analisi intenzionale della coscienza nel senso di una connessione tra fenomenologia e teoria della
Gestalt, giungendo così a una “fenomenologia orientata in senso noematico” già
presente nella sua tesi di dottorato Phänomenologie der Thematik und des reinen
Ich (Fenomenologia della tematica e dell’io puro, 1928) e approfondita nell’opera
The Field of Consciousness (Il campo della coscienza, 1975). Ed è anche il caso di
Eugen Fink, al cui tentativo di elaborare,
su richiesta di Husserl, una Sesta meditazione cartesiana sono dedicati i contributi
di Ronald Bruzina e di Guy van Kerckhoven.
Bruzina considera le analisi husserliane
sulla coscienza trascendentale in quanto
«processo costitutivo della temporalizzazione originaria», come fenomenologia
“radicalizzata e sistematizzata”, che sottopone a indagine le proprie radici, cerca
coerenza e integrazione per le proprie analisi particolari e tenta di autointerpretarsi e
di sottoporre a critica i propri principi.
Riferendosi sia alla Sesta meditazione, sia
a manoscritti inediti, Bruzina mette in luce
come Fink distingua diversi livelli dell’analisi fenomenologica, da quello “mondano” a quello “trascendentale”, e individua la natura “aperta” del sistema di Husserl nella continua interazione tra “analisi” e “speculazione”. La tendenza trascendentale che si risveglia nell’essere umano
e che lo spinge a inibire le validità dell’“atteggiamento naturale” attraverso
l’epoché, implica, secondo Bruzina, una
tendenza al superamento dell’essere umano secondo un processo di de-umanizzazione, in quanto lo schema “mondano”
della correlazione tra soggetto e oggetto
appare inadeguato a cogliere il processo
della costituzione trascendentale. Paradossalmente l’analisi regressiva del trascendentale, intesa come analisi delle “origini”, parla del trascendentale utilizzando
termini che descrivono strutture “umane”,
ma cerca al tempo stesso di “de-umanizzare” queste espressioni. Per esprimere la
dimensione dell’origine - un “al di là”
rispetto all’essere inteso in senso mondano - è invece necessaria, secondo Fink, una
logica “meontica”, cioè una logica della
“mancanza”, del “nulla”, del “non-essere”.
Così, fa notare van Kerckhoven, mettendo in luce l’importanza della Sesta
Meditazione per la filosofia di MerleauPonty, nella fenomenologia trascendentale irrompe la problematica della “mondanizzazione”, che provoca un ampliamento della fenomenologia da “statica”
e “genetica” a “costruttiva”. La fenomenologia si avvicina qui al suo “culmine”:
la consapevolezza dell’impossibilità di
una completa riduzione, poiché la coscienza trascendentale si sviluppa sempre sul terreno dell’esistenza, e ogni pratica teorica dello spettatore trascendentale è sempre impegnata e coinvolta nel
movimento dell’esistenza. La “fenomenologia della fenomenologia” proposta
da Fink mostra dunque che non si dà una
riflessione che sia in grado di lasciarsi
alle spalle il mondo in quanto istanza
ultima dell’individuazione umana. M.M.
L’estetica di Schelling
Quale ruolo abbia l’estetica nella filosofia schellinghiana e come si rapporti
all’idealismo e alla ricerca dell’Assoluto sono gli obbiettivi dei più recenti
studi di Tonino Griffero sulla filosofia
di Schelling. Si tratta di L’ESTETICA DI
SCHELLING (Laterza, Bari-Roma 1996) e
COSMO ARTE NATURA . ITINERARI SCHELLINGHIANI (Cuem, Milano 1996). In questo
contesto di riflessione devono essere
segnalate due pubblicazioni di testi
schellinghiani, ovvero TIMAEUS (trad. it.
di M. D’Alfonso e F. Viganò, Guerini e
Associati, Milano 1996) e CRITICISMO E
IDEALISMO (trad. it. di C. Tatasciore, Laterza, Bari-Roma 1996).
Pur nella sua complessità, la filosofia di
Schelling è strettamente legata all’arte e
all’estetica, per quanto, nell’ultima fase, il
suo pensiero sia caratterizzato da un distacco dall’arte stessa, relegata in secondo piano. Nel suo studio, L’estetica di Schelling,
Tonino Griffero cerca tuttavia di dimostrare che questo distacco è solamente apparente in quanto anche l’ultimo Schelling
considera l’arte determinante nella comprensione filosofica.
Il volume analizza l’evoluzione del pensiero di Schelling a partire dalla opere giovanili fino alle Lezioni di Stoccarda e all’elaborazione della filosofia positiva. All’interno delle opere giovanili del periodo di
Tubinga spicca l’analisi del Timeo platonico, nel quale Schelling, commentando il
mito omonimo, riscontra nell’opera di Platone la capacità di mediare finito e infinito
attraverso la sintesi di idee e cose. Il legame
con l’estetica sta tutto nel concetto di bellezza, che ispira Platone nella sua opera e
che è colta dall’uomo grazie all’intuizione
prodotta dall’anima. Il processo razionale
risulta insufficiente a percepire la conciliazione tra finito e infinito, che viene colta
unicamente nell’intuizione estetica.
L’analisi di Griffero prosegue con la considerazione delle opere fino al 1800, nelle
quali Schelling si è occupato espressamente della natura intesa come organismo. Qui
l’arte, come la storia e come la natura
stessa, diventa sintesi di libertà e necessità
e, pertanto, conciliazione di finito e infini51
to. L’attenzione nei confronti dell’arte raggiunge tuttavia il suo apice nella filosofia
dell’Identità, in cui la Bellezza, attraverso
la teorizzazione del panteismo, diventa sintesi di reale e ideale. Schelling analizza
diverse forme d’arte, dalla musica alla scultura, riscontrando sempre nell’arte l’organo supremo della filosofia in grado di cogliere l’Assoluto. L’abbandono dell’arte
sembra presentarsi nell’ultimo periodo,
quando Schelling, nella filosofia della libertà, afferma la divina follia, ovvero la
prevalenza dell’inconscio anche nella figura di Dio che appare nella sua finitezza e
oscurità. La filosofia diventa, così, abbandono della razionalità e ricerca dell’abisso,
di quell’Abgrund così lontano dall’idealismo e dalla riflessione filosofica. Per quanto, ad una prima lettura, l’arte sembri aver
perso in questa fase di pensiero la sua
funzione di organo della filosofia, Griffero
fa tuttavia notare come anche nell’ultimo
Schelling l’estetica rivesta una funzione
determinante, se non come rivelazione dell’Assoluto, senz’altro come originaria forma delle cose, che si rivelano nella loro
finitezza e malinconia, fissate nella propria
estaticità.
In Cosmo arte natura. Itinerari schellinghiani Griffero contrappone la filosofia
dell’arte e la tendenza essoterica all’intuizione intellettuale, patrimonio dell’inconscio e, pertanto, esoterica. Secondo Griffero, la filosofia di Schelling si è sempre
mossa tra queste due tendenze che, pur
contrapposte, si completano l’una con l’altra. La componente estetica si manifesta
nell’interpretazione dell’universo inteso
come struttura simbolica da decifrare e da
comunicare; per questo Griffero intende
l’estetica la parte essoterica della produzione schellinghiana. La luce, i colori, addirittura le comete e le stelle, diventano
elementi simbolici dell’unità di reale e ideale e quindi manifestazione dell’Assoluto.
D’altra parte, in questo è altrettanto presente la componente extrafilosofica attraverso
l’intuizione intellettuale, che riporta la
meditazione all’inconscio e alla “detronizzazione” dell’io e della coscienza. In altre
parole, nota Griffero, il legame con Fichte
e con la spontaneità originaria dell’io risulta molto evidente e apre la filosofia di
Schelling alla crisi della coscienza, che
troverà il suo apice nella psicoanalisi freudiana. Lo scopo di Schelling, infatti, come
appare anche nello scritto giovanile Criticismo e idealismo, è il superamento del
dualismo kantiano e fichtiano in una dimensione di unità originaria, riscontrabile
nell’intuizione intellettuale. Secondo Griffero, questa tendenza si dirige verso una
dimensione esoterica, e quindi incomunicabile, tipica della filosofia schellinghiana
e della meditazione successiva. A.S.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Sfera armillare
L’eliocentrismo di Copernico
e Galilei
Diffusosi a prezzo di enormi difficoltà,
l’eliocentrismo costituisce il fondamento della scienza moderna. Dedicati ai due padri della rivoluzione astronomica, sono disponibili due studi che
intendono ridiscutere l’elaborazione
della teoria eliocentrica: COPERNICO E LA
QUESTIONE COPERNICANA IN ITALIA (a cura
di L. Pepe, Olschki, Firenze 1996), che
raccoglie una serie di interventi sull’elaborazione dell’ipotesi eliocentrica e CONTRO GALILEI. ALLE ORIGINI DELL’AFFAIRE (Olschki, Firenze 1996), di Massimo Bucciantini, che affronta le motivazioni filosofiche e giuridiche che
portarono Galilei al processo e alla
condanna.
Il volume dal titolo Copernico e la questione copernicana in Italia raccoglie i
principali interventi tenutisi nel 1993,
presso l’Università di Ferrara, in occasione del 450˚ anniversario della morte
dell’astronomo e della pubblicazione del
De Revolutionibus Orbium Celestium.
La tesi che sottende le relazioni presenti
nel testo è la consapevolezza dell’importanza dell’opera di Copernico, rimasta, però, a livello ipotetico e perciò
ancora, parzialmente, legata al mondo
antico. Tra gli altri segnaliamo, a questo
proposito, l’intervento di Francesco
Barone, che si occupa proprio della contestualizzazione di Copernico nel frammezzo tra antichità e modernità. Se infatti Copernico è ancora legato al mondo
antico, in quanto rimane ancorato ad un
universo sferico e finito con derivazioni
religiose ed ermetiche, la sua matematizzazione della natura costituisce la base
per la rivoluzione scientifica operata da
Galilei e da Keplero. Per di più, nota
Barone, l’opera copernicana non deriva
da un lavoro esclusivamente teorico,
bensì da ripetute osservazioni che convalidano le sue ipotesi e che conducono
l’astronomo nell’epoca moderna. La continuità tra Copernico e il mondo antico è
l’oggetto dell’intervento di Paolo Casini, secondo il quale tra Pitagora e Newton
esiste una profonda continuità, riscontrabile nella matematizzazione della natura, della quale Copernico si è fatto il
primo portavoce nell’età moderna.
Pur confermando l’importanza dell’intuizione copernicana, il sistema eliocentrico resta un’ipotesi matematico-teorica sino a quando Galilei, con il cannocchiale, dimostra nei fatti la nuova struttura dell’Universo. È questo l’oggetto
dell’intervento di Leonida Rosino, che
nota come l’opera copernicana riesca,
da una parte, a screditare l’Almagesto di
Tolomeo e a sviluppare le intuizioni dei
pitagorici e di Cusano, ma, dall’altra, si
dimostri insufficiente a fornire prove
certe a suo sostegno. Solo l’osservazio52
ne dei pianeti e gli esperimenti sulla
terra operati da Galilei riusciranno a scardinare del tutto il sistema geocentrico e
a fornire una nuova visione del mondo.
Proprio a causa dell’abbattimento dell’universo geocentrico, Galilei si trova
ad affrontare il tribunale del Sant’Uffizio che lo costringe, alla fine, all’abiura.
È questo l’oggetto dello studio di Massimo Bucciantini che affianca ai documenti processuali le interpretazioni filosofiche e astronomiche in grado di spiegare gli eventi processuali. Pensato come
una riapertura del caso giudiziario e filosofico di Galilei, questo studio, ricco
anche di documenti inediti, fornisce una
nuova interpretazione delle vicende che
videro lo scienziato pisano protagonista
dal 1616 al 1632. Nonostante la riabilitazione operata da Giovanni Paolo II nel
1992, secondo Bucciantini occorre ridiscutere il caso Galilei in modo da cogliere il collegamento tra l’ammonimento
del 1616 e il processo del 1632 per ottenere una nuova considerazione del rapporto scienza-fede.
Tornando agli eventi del 1616, nota Bucciantini, è necessario notare il ruolo decisivo di due personaggi, Tommaso Caccini e Francesco Ingoli. Se il primo va
ricordato per aver denunciato Galilei nel
1615 e dato via al caso, il secondo, grazie alla pubblicazione di diversi libelli,
ha contribuito alla demolizione del copernicanesimo e delle tesi di Keplero.
Più precisamente, l’importanza di Ingoli
sta nell’aver mostrato in che modo il
sistema eliocentrico comportasse un’inversione di rotta morale e religiosa in
grado di svuotare la Chiesa di tutto il suo
potere. Per di più, esisteva la questione
dell’interpretazione allegorica di quel
passo biblico sul movimento del Sole
che sminuiva l’importanza della Bibbia,
sino a quel momento considerata il Libro per eccellenza. Il conflitto tra Scienza e Fede, dunque, assumeva i caratteri
della lotta tra il predominio culturale e la
decadenza della Chiesa: per queste ragioni il caso fu riaperto.
Secondo quest’ottica, l’esame di Bucciantini prosegue nella considerazione
del rapporto tra scienza e fede. Se le
interpretazioni classiche vedono Galilei
a sostegno della scienza e la Chiesa a
difesa della fede, Bucciantini, quasi paradossalmente, nota come in realtà, da
una parte Galilei si sia fatto portavoce di
alcune interpretazioni allegoriche degne
di un teologo contemporaneo, dall’altra
la Chiesa abbia preteso argomentazioni
di rigore epistemologico a sostegno dell’Eliocentrismo. In questo modo, la cesura tra lo scienziato e la Chiesa viene
ricongiunta, sottolineando come il rapporto tra scienza e fede non sia mai stato
di totale separazione, bensì di collaborazione. A.S.
NOTIZIARIO
Dedicato alla ricostruzione del pensiero di GILLES DELEUZE, filosofo francese scomparso nell’autunno del 1995,
è uscito in Germania un volume collettaneo dal titolo Gilles Deleuze - Fluchtlinie der Philosophie (Gilles Deleuze - La linea di fuga della filosofia,
a cura di Friedrich Balke e Joseph
Vogl, Wilhelm Fink Verlag, Monaco
di Baviera 1996). Con la pubblicazione di questo testo, i curatori hanno
cercato di compensare le lacune e talvolta le deformazioni che hanno caratterizzato la ricezione di Deleuze in
Germania (ne sono un esempio le traduzioni assai tardive di sue opere fondamentali quali Differenza e ripetizione, Logica del senso e soprattutto Spinoza e il problema dell’espressione,
risalenti al 1968/69 e uscite in tedesco
dopo quasi vent’anni), nonché di rivedere l’immagine più diffusa del suo
pensiero, che in Germania è stata pesantemente determinata dai frutti dell’intenso sodalizio del filosofo con lo
psichiatra Félix Guattari e in particolare dall’opera scritta con la sua collaborazione L’Anti-Edipo. Il volume comprende, da un lato, i contributi di importanti filosofi e letterati, non solo
tedeschi, redatti in occasione della
pubblicazione del volume e, dall’altro, la riproposizione di alcuni interventi già apparsi altrove (com’è il caso
dell’introduzione, affidata a Pierre
Macherey, autore di un ampio commento all’Etica di Spinoza, e di cui
appare un articolo del 1988 sui rapporti fra Spinoza e Deleuze). L’opera si
articola in tre parti, ciascuna dedicata
a un aspetto particolare della composita produzione del filosofo. Nella sezione “Teatro filosofico” vengono ricostruite le tappe più significative del
confronto deleuziano con la tradizione
filosofica occidentale, concretizzatosi
in importanti studi monografici su
Hume (analizzato nell’intervento di
Bruce Baugh), Spinoza, Leibniz (Christiane Frémont), Kant e Nietzsche. Le
altre sezioni, rispettivamente intitolate “Il politico” e “Logica delle sensazioni” tematizzano invece, attraverso i
contributi di Stefan Hesper, Wolfgang
Schäffner ed Elisabeth Weber (quest’ultima con un intervento sul rapporto fra Deleuze e Lacan), l’originale
approccio teorico di Deleuze alla realtà, quale emerge soprattutto in opere
come L’Anti-Edipo e Mille piani. L’interessante analisi di Alain Badiou espone, sotto forma di due lettere scritte al
filosofo, la concezione deleuziana del
rapporto fra arte e filosofia nella sua
differenza da quella di Heidegger. Infine, il contributo di Friedrich Balke
tenta un confronto sull’idea di politica
in Carl Schmitt e Franz Kafka. A.M.
La casa editrice Schwabe di Basilea ha
inaugurato una nuova collana dal titolo JACOB BURCKHARDT-GESPRÄCHE AUF CASTELEN (Conversazioni con Jacob Burckhardt a
Castelen), con la pubblicazione di due
volumi: Gibt es eine Kunst des Vergessens? (Esiste un’arte del dimenticare?) di Harald Weinrich e Die Musik
und das Mythische (La musica e il
mitico) di Kurt Hübner. I testi riproducono il contenuto di due conferenze
NOTIZIARIO
che hanno dato avvio, nella tenuta di
Castelen presso Basilea, a un’iniziativa culturale che prevede tre incontri
ogni anno. Lo scopo delle “conversazioni con Jacob Burckhardt” è quello
di illustrare temi significativi della
cultura europea con l’aiuto di eminenti
personalità. Il nome del celebre storico svizzero vuole indicare l’orientamento tematico degli interventi proposti. Il testo di Weinrich affronta una
questione interessante quanto apparentemente insolita: esiste, o può esistere, accanto a un’arte della memoria,
già nota ai classici greci e latini, “un’arte
del dimenticare”, e che utilità potrebbe avere? Contrariamente a Umberto
Eco, che in un intervento citato dall’autore, ha negato la legittimità di una
ars oblivionalis, il parere di Weinrich
è positivo. Egli dimostra la sua tesi
ricorrendo a una serie di esempi tratti
da ambiti fra loro eterogenei, che spaziano dalla medicina (con il caso di
ipermnesia analizzato dal neuropsichiatra russo A.R. Lurija), alla letteratura (col racconto di J. L. Borges Funes el memorioso e un riferimento al
Faust di Goethe), alla filosofia (richiamando le considerazioni di Nietzsche
sul rapporto oblio/memoria) e, per finire, alla psicoanalisi di Freud, che
rappresenta il tentativo emblematico
di recuperare, attraverso un’ars oblivionalis, ciò che è stato dimenticato
(rimosso) dalla coscienza, cioè l’inconscio. L’intervento di Kurt Hübner
riguarda invece il rapporto tra musica
e mitologia o, più precisamente, il
ruolo dell’esperienza musicale in quanto trasposizione nella visione mitica
del mondo. A suo avviso, entrambi i
fenomeni sono caratterizzati dalla
medesima fusione del generale astratto con l’individuale concreto, del soggettivo con l’oggettivo, della dimensione profana della temporalità con
quella trascendente dell’eternità. A.M.
della letteratura e, appunto, della filosofia. L’iniziativa è animata da un
intento divulgativo, avvertibile, tra
l’altro, nell’uso di un linguaggio semplice non eccessivamente specialistico e nella presenza di una breve
scheda informativa sulle tappe principali della vita e dell’opera di ogni
autore. Di ciascuno di essi vengono
individuati e discussi pochi temi caratteristici, annodati in un percorso
unitario che, pur essendo necessariamente schematico, non manca per
questo di un certo approfondimento
teorico. È forse questo il maggior
pregio dell’iniziativa: quello di rivolgersi al grande pubblico senza
per questo scadere nella banalità o
nell’approssimazione.
Fra i filosofi contemporanei trattati nella rubrica (come Adorno, Gadamer, Gilson, Heidegger e il filosofo giapponese Nishida), figura
anche Benedetto Croce. Nella ricostruzione del suo pensiero, affidata a H. Helbling e intitolata Deutung als Ordnung (Interpretazione
come ordinamento), emerge in primo piano il motivo antimetafisico
e antidealistico, difeso dal filosofo
anche durante il fascismo, cui fa da
contrappunto il costante e peculiare interesse per la storia. Se il «principio capitale» di Croce - riscontrabile, ad esempio, in Filosofia e storiografia, del 1945 - è quello di riconnettere i principi filosofici alla
loro origine storica, per poi chiedersi contro chi e che cosa siano diretti,
alla filosofia in quanto «metodologia della storia» spetta il compito di
articolare e ordinare i fatti in una
forma coerente, secondo il principio
fondamentale dell’identità dell’universale e del particolare, dell’intelletto e dell’intuizione (di cui anche
l’opera d’arte è espressione). In quanto critica storica, la filosofia non
incarna dunque un sistema ab-soluto; essa è piuttosto un’interpretazione ordinata, in questo senso “sistematica”, del mondo, in costante riferimento alla concretezza. A.M.
A testimonianza della considerazione e dell’interesse che la stampa tedesca dimostra per la filosofia, si
può segnalare una recente iniziativa
del quotidiano svizzero “Neue Zürcher Zeitung”. Con scadenza bisettimanale o trisettimanale (solitamente
il martedì), fra le pagine dedicate alla
cultura, figura la rubrica “INTER-
Il 1996 è stato un anno particolarmente denso di ricorrenze legate all’ambito dell’ Illuminismo tedesco.
Duecento anni prima scompare infatti uno dei suoi principali rappresentanti, ADOLPH FREIHERR
KNIGGE, e viene costretto alla chiusura il periodico più famoso del movimento in area germanica, la Berli-
PRETATION IM 20. JAHRHUNDERT” (interpretazione nel XX se-
colo), dedicata alla ricostruzione del
contributo intellettuale di autori contemporanei nel campo della musica,
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nische Monatsschrift, del quale Knigge è un valido collaboratore.
Knigge, definito da un suo contemporaneo come “uomo della rivoluzione filantropica”, costituisce un
esempio tipico dell’ intellettuale “enciclopedico” dell’età illuministica.
Si interessa delle nuove società segrete sorte in terra germanica, aderendo con particolare convinzione al
movimento della massoneria e all’ordine degli Illuminati fondato da
Adam Weishaupt, con il quale entra
successivamente in conflitto per divergenze d’ opinione che lo inducono all’ azione autonoma. A lui dobbiamo romanzi, recensioni per l’
«Allgemeine Deutsche Bibliotek»,
numerosi scritti polemici, critiche
teatrali, scritti pedagogici, politici e
morali, con i quali si augura di diffondere lo spirito riformistico dell’Illuminismo anche nei reazionari
salotti aristocratici : la “bella educazione” (feine Bildung) deve infatti
condurre alla borghesizzazione dei
nobili e all’aristocratizzazione della
borghesia con l’obiettivo di creare il
vir bonus, dotato di delicatezza d’
animo, cortesia e gentilezza di modi,
capace di conversare, sicuro di sé,
ma anche di spirito critico e tollerante, consapevole del valore incommensurabile della dignità umana.
L’intellettualità è per Knigge concepibile solo in quanto legata al mondo, di cui è pubblicamente responsabile; l’uomo colto acquista automaticamente, grazie alla sua formazione, le capacità e i doveri del vir
publicus, che deve categoricamente
applicare le proprie conoscenze del
“buono” e del “giusto” sia nel campo
della vita privata che in quello politico-sociale. Su o di Knigge sono
ultimamente comparse numerose
pubblicazioni, di cui citiamo le più
recenti: A.F. Knigge,Uber Eigennutz und Undank (“Su egoismo e ingratitudine”, Klopfer & Meier, Tubingen 1996); A.F. Knigge, Texte und
Musik (CD) (“Testi e musica (CD)”,
Temmen, Bremen 1996); M. Ruppel, W. Weber, Adolph Freiherr
Knigge in Bremen. Texte und Briefe
(“A. F. Knigge a Brema. Testi e
lettere”, Temmen, Bremen 1996).
Lo spirito critico che anima gli scritti
di Knigge è presente anche nelle pagine della «BERLINISCHE MONATSSCHRIFT», coro poliedrico dei
sostenitori della ragione tra il 1783 e
il 1796, quando è costretta a cessare la
pubblicazione a causa dell’ opprimente restaurazione prussiana a seguito degli echi della temuta rivoluzione francese. Il periodico, diretto
da J.E. Biester e F. Gedikes, tiene a
battesimo, nel 1784, il ben noto scritto di Kant Was ist Aufklarung ,si batte
con zelo contro fanatismo e oscurantismo a favore della verità e cerca di
preservare il vero spirito dell’Illuminismo da abusi e mistificazioni, come
quella tentata ( e con successo) dal
teologo Adam Weishaupt, fondatore
negli anni Settanta di una nuova società segreta, la società degli Illuminati, che si pone vergognosamente al
servizio del regime predicando la fondatezza razionale dell’ordine e della
gerarchia. Al contrario, la Berlini-
NOTIZIARIO
sche Monatsschrift non tradisce mai
le sue radici giacobine, in nome delle
quali si proclama contro l’ortodossia
religiosa e la reazione politica a costo
di dover cambiare sede per fuggire
alle operazioni di polizia e di vedere
i propri editori perseguiti come “nemici della religione” e sovversivi. Se
gli ultimi articoli del periodico si
fanno meno incisivi negli attacchi
polemici e più inclini alle trattazioni
di carattere genericamente esteticoculturale, ciò è soprattutto imputabile alla nuova spiritualità romantica,
più cauta e conservatrice, che si va
ormai sostituendo a quella illuministica. L.R.
LA FILOSOFIA COME VOCAZIONE
è il tema monografico del primo Annuario di filosofia, uscito nel mese di
marzo per la Leonardo Mondadori
Editore. Questa raccolta annuale di
saggi attorno a un tema della filosofia
è promosso da un comitato scientifico,
composto da E. Berti, M. Ivaldo, G.
Mura, V. Possenti, alla luce di un titolo
permanente, “seconda navigazione”.
Questa espressione richiama il Fedone di Platone, là dove è indicata la
ricerca di una causa soprasensibile, o
ulteriorità, all’interno della Metafisica. Nell’editoriale di presentazione di
questo Annuario si può leggere: “la
lingua fondamentale dell’ homo sapiens è quella della metafisica, di cui le
parole chiave posseggono un nome
elaborato nel corso di una lunga tradizione: essere, vero, bene, bello, uno,
fine, causa. Qui cercano di articolarsi
la domanda sul senso e le possibili
risposte”. Ed è qui che risiede la vocazione filosofica, ed è qui che il filosofo
diventa, usando un’espressione di
Heidegger, “funzionario dell’umanità”. Hanno partecipato a questo primo
numero: Enrico Berti, Vittorio Possenti, Marco Santambrogio, Adriano
Fabris, Maria Cristina Bartolomei,
Carmelo Vigna, Gaspare Mura, Robert Spaeman, Virgilio Melchiorre,
Evandro Agazzi, Francesco Viola,
Antonella Corradini. G.DI.L.
È dedicato a “Ermeneutica e applicazione” il primo numero di ARS INTERPRETANDI. ANNUARIO DI
ERMENEUTICA GIURIDICA edito
dalla casa editrice Cedam di Padova e
diretto da Martin Kriele, Francesco
Viola, Franco Volpi e Giuseppe Zaccaria. Il saggio di apertura è di KarlOtto Apel, sulla questione relativa
alle condizioni di possibilità di un
comprendere valido, nel confronto
tra l’ermeneutica di Gadamer, orientata a un’ontologia dell’essere temporale, e la propria ermeneutica trascendentale riflessiva. Seguono
contributi di Otfried Höffe, sulla facoltà di giudizio e sull’applicazione
dei principi morali universali a situazioni problematiche di tipo nuovo, e
di Alessandro Pinzani, sull’etica del
discorso di Habermas e sulla distinzione tra fondazione e applicazione
delle norme formulata da Klaus Günther e ripresa nella teoria del diritto
esposta da Habermas in Faktizität
und Geltung . Nel suo contributo Paul
Ricoeur affronta alcune questioni centrali dell’attività giudiziaria sulla polarità interpretazione/argomentazione rivolgendo l’attenzione alle idee di
Ronald Dworkin in tema di interpretazione e a quelle dei teorici dell’argomentazione giuridica Alexy e
Atienza. Nel suo scritto Luigi Mengoni tratta della peculiarità dell’ermeneutica nel campo del diritto costituzionale o, come viene definito, “diritto dei principi”. Concludono la parte
monografica della rivista i saggi di
Antonio Ruggeri sui limiti alla revisione della Costituzione e dell’identità costituzionale attraverso il ruolo
svolto dai principi fondamentali e
dalla loro interpretazione, e di Peter
Brooks, in cui da una prospettiva narrativistica viene affrontato il tema
della confessione in diritto e in letteratura. Il numero di Ars Interpretandi
vede inoltre la pubblicazione dei lavori della tavola rotonda svoltasi a
Padova il 17 ottobre 1995 su “Arte e
limiti della interpretazione: dal diritto all’ermeneutica; dall’ermeneutica
al diritto”. L.S.
stenibile dal proprio punto di vista.
Ciascun volume della collana sarà
dedicato ad un singolo tema e costituirà, di volta in volta, un esempio
determinato dell’assunto teorico generale sopra riportato. Il secondo numero, che apparirà a luglio, avrà per
tema “La natura della visione”, il
terzo, previsto per gennaio 98, tratterà delle “Rappresentazioni della libertà”, il quarto della “Natura della
natura”. L.S.
La casa editrice Pagano di Napoli
comincia un nuovo corso della sua
collana filosofica “INTERLINEE”
con il libro di Leonardo Distaso,
Attraverso Wittgenstein, un saggio
attorno alla possibilità di trovare
tracce di un’estetica nell’opera del
filosofo viennese. A questo volume faranno seguito nel prossimo
autunno Sulla possibilità di una
forma della filosofia in generale di
Friedrich Schelling, testo del 1794
che prepara il saggio Dell’Io, e
Alla scoperta dell’esistenza con
Husserl e Heidegger, di Emmanuel Levinas. Pagano Editore intende così proporre all’attenzione
dei lettori sia testi di ricerche e
studio che quelli d’autore. Tra i
titoli recentemente pubblicati in
“Interlinee” , l’epistolario CroceMann. Lettere 1930-36, a cura di
Rosario Diana e Croce e il problema del metodo di Giuseppe Gembillo. G.Di.L.
Si intitola La trasmissione delle idee
il primo volume (e manifesto teorico)
della collana periodica di filosofia
MONTAG, per i tipi di Fahrenheit
451 (Roma, Campo dei Fiori 44).
Attorno al tema centrale della “origine naturale delle idee e della qualità
empirica e esperienziale del conoscere” ruotano saggi di varia provenienza disciplinare - dalla musicologia,
alla ecologia, al cognitivismo, alla
storia della filosofia, alla filosofia
della religione - nei contributi, fra gli
altri, di Guido Traversa, Dan Sperber, Hans Cees-Speel, Nazario Bellandi, Brunella Antomarini. Come si
legge nell’editoriale generale della
collana, il progetto, realizzato come
un work in progress, intende «ristabilire le potenzialità della filosofia,
messa in crisi dal relativismo contemporaneo, colpevole di avere contribuito alla riduzione dei procedimenti dimostrativi e argomentativi
delle scienze e della filosofia a mere
narrazioni, alla configurazione esclusivamente retorica della verità, ed
esclusivamente estetica dell’esperienza, con il risultato di un diffuso atteggiamento di disimpegno e cinismo
etico». Scopo di Montag è provocare
discussioni sulla questione, «non per
ripristinare le vecchie posizioni, ma
per rinnovare la parte migliore della
tradizione realista e materialista». In
ogni volume interagiranno i risultati delle ricerche che distinguono
tra ruolo della cultura e ruolo della
natura nella formazione delle idee,
con approcci alla questione - come
per esempio la materialità delle
condizioni economiche, l’evoluzione biologica, le funzioni cognitive,
l’irriducibilità individuale - che a
volte possono essere fra di loro
anche divergenti o contrastanti. Per
evidenziare il carattere problematico
delle posizioni assunte poi, alla fine
di ogni volume apparirà un “glossario” , dal titolo “sed contra” in cui
ciascun autore darà di alcuni terminichiave la definizione che ritiene so-
È uscito presso Edizioni di Comunità
di Milano lo studio in quattro volumi LA PERSONALITÀ AUTORITARIA DI ADORNO, FRENKELBRUNSWIK, LEVINSON, SANFORD, una ricerca condotta dal-
l’Università di Berkeley a partire
dal 1944 al 1949 sulla psicologia
dell’antisemitismo. Lo studio, promosso dall’American Jewish Commitee, rientrava nella serie degli
Studies in Prejudice edita da Max
Horkheimer e Samuel H. Flowerman. Tra le intenzioni iniziali quello di analizzare il fenomeno dell’anti-semitismo avvalendosi di una
metodologia che raccoglieva i contributi della sociologia della scuola di Francoforte di Adorno, della
psicanalisi f reudiana di Else
Frenkel-Brunswik, della psicologia americana di Levinson e Sanford. Lo studio successivamente si
ampliò a comprendere il fenomeno
dell’autoritarismo a partire dall’individuo e dalla sua personalità. A
quest’opera seguirono una serie di
critiche, soprattutto quella di psicologismo. Critiche che gli stessi
autori avevano già contemplato
come limiti di una ricerca che partiva dall’osservazione diretta di un
campione d’individui. Adorno in
particolare affermò che non si voleva assolutamente dare una spiegazione solo soggettiva dell’antisemitismo, piuttosto si trattava di
esaminare “com’era fatto” l’antisemita, l’autoritario, il fascista all’interno di una concezione storica
più generale del fascismo. G.Di.L.
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Con il numero 1-2 1996, la RIVISTA
DI ESTETICA (Rosenberg & Sellier,
Torino) è entrata nella sua terza serie,
a quarant’anni dalla sua fondazione.
Diretta inizialmente da Luigi Stefanini, cui successe Luigi Pareyson, la
nuova serie - diretta da Gianni
Vattimo, Maurizio Ferraris e Roberto
Salizzoni - prolunga la prospettiva
pareysoniana nel senso di una ontologia dell’attualità: «La modernità come
epoca della smaterializzazione, ossia
hegelianamente, della spiritualizzazione assoluta - affermano i tre direttori - vede nell’arte come dominio
dell’apparenza una testimonianza sul
proprio essere autentico». Alla domanda “perché l’arte parla del nostro
essere storico?” se ne aggiunge un’altra: “che cosa significano sentire, e
che tipo di essere è quello che si
sente?”. La risposta a questo interrogativo «radicato in una ontologia del
sensibile» non verrà solo da filosofi,
ma anche da percettologi, matematici, fisici e psicologi. La nuova serie
della rivista di estetica si propone un
sostanziale rinnovamento della qualità scientifica delle ricerche di estetica affiancando alla consolidata definizione in termini di filosofia dell’arte una rinnovata attenzione alle implicazioni gnoseologiche dell’aisthesis. Di qui il valore programmatico
del primo numero “Doppio senso”
(vol. XXXVI, n. 1-2), che indaga i
due lati di quella che per Hegel era
una parola meravigliosa «senso», che
indica insieme l’immediata presenza
estetica e ontologica e l’idealizzazione logica. Il primo fascicolo dell’annata 1997 (vol XXXVII, n. 4) tratterà
i temi: l’“Immaginazione” e il carattere estetico della “resurrezione” e
sarà presentato al Salone del Libro di
Torino, sabato 24 maggio 1997, Sala
Madrid, nel corso dell’incontro “Cristo è veramente risorto? Questioni di
estetica” con M. Ferraris, T. Griffero, P. Kobau, G. Marconi, A. Saccon, E. Salman. I temi degli altri
volumi del 1997: “Animali” (vol.
XXXVII, n. 5), “Fantasmi” (vol.
XXXVII, n. 6). L.S.
Il tema monografico dell’Almanacco
97 di Filosofia di «Micromega», la
rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais, è: CHE COSA È ‘MORALE’ e
raccoglie quindici contributi di filosofi provenienti da esperienze diverse di riflessione: Flores d’Arcais, Savater, Esposito, Kolakowski, Severino, Cacciari, Vattimo, Nancy, Cavarero, Sgalambro, Honneth, Viano,
Givone, Larmore, Veca, Frigo, Rocca, Volpi, Franceschelli. Corredano
il volume tre inediti, di Ludwig Feuerbach, Contro il dualismo di corpo e
anima, di carne e spirito; di Soren
Kierkegaard, Guardate gli uccelli del
cielo; di Karl Jaspers, Splendore e
miseria di Martin Heidegger, e il
carteggio Karl Lowith/Herbert Marcuse, Dialogo su “Ragione e rivoluzione”. G.Di.L.
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Sull’educazione
Con il titolo “L’EDUCAZIONE COME CREAZIONE DI PERSONALITÀ E DI STORIA” mons. Luigi
Giussani ha tenuto, il 15 maggio 1996,
una conferenza presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, proponendo un itinerario di riflessione articolato
attorno a quattro punti chiave: la valorizzazione e la trasmissione del passato, la verifica nel presente dei valori del
passato, la criticità legata alla libertà
dell’uomo e l’ecumenismo come caratteristica del pensiero cristiano.
Contrapponendosi all’idea gramsciana secondo la quale il cristianesimo avrebbe
perso la propria capacità di costituire un
modello e un punto di riferimento per la
società, Luigi Giussani ha aperto la propria relazione sottolineando l’importanza
dell’educazione come fattore decisivo dell’attuale crisi della cultura cristiana. Tale
questione è stata prospettata da Giussani
come una questione di metodo: in essa
infatti è ravvisabile sia una possibile risposta alla domanda sul perché la gioventù non
creda, sia il contributo più specifico dei
cristiani alle richieste della società civile. Il
cristianesimo, secondo Giussani, è stato
dato ai giovani secondo una modalità educativa inadeguata, provocando il loro allontanamento.
Giussani ha presentato i contenuti della propria relazione come l’esito di un’esperienza
educativa in atto, frutto di uno scambio di
parole capaci di comunicare l’esperienza
stessa. Innanzitutto, per Giussani, l’educazione è valorizzazione e trasmissione di un
passato, eludendo il quale essa non può che
rovesciarsi in menzogna. “Padre” è la parola
che dice la centralità del passato nel fenomeno educativo, parola la cui dimenticanza
definisce gran parte della cultura moderna
come progressiva riduzione e svuotamento
di senso della parola “educazione”. In secondo luogo Giussani ha ravvisato la necessità
di una verifica presente della proposta che
proviene dal passato; è solo in questa verifica
che il passato può svelare il suo nesso con il
cuore dell’uomo. Il terzo passaggio, denominato critica, è, per Giussani, quello che
chiama in causa la libertà dell’uomo affinché
il percorso educativo possa attuarsi come
creazione di personalità e di storia. “Critica”
non è sinonimo di “dubbio” né, tanto meno,
di “negazione”, bensì di vaglio, al fine di
trattenere consapevolmente gli elementi positivi contenuti nella proposta educativa.
Nell’ambito di questa prospettiva critica
Giussani ha poi additato come quarto punto
una caratteristica peculiare della cultura cristiana, identificabile con la parola ecumenismo, che consiste in un’apertura e in una
buona disposizione nei confronti dell’intera
realtà, quale risultato dell’incontro con il
vero attraverso l’educazione. Giussani ha
proposto infine due osservazioni conclusive: richiamando il significato biblico della
parola cuore, egli l’ha identificata con quel
livello primario dell’esperienza che, accomunando tutti gli uomini, rende possibile
l’educazione come avvenimento di comunicazione. Essa sta infatti a indicare l’uomo
così come è stato fatto dal suo Creatore, con
quel nucleo di esigenze originarie (di verità,
giustizia, bontà e bellezza), che l’educazione
è chiamata a far emergere e realizzare. In
questo orizzonte l’avventura educativa scopre tutta la profondità e la cogenza del Tu,
con la sua realtà di infinito, fino alla suprema
e ineludibile parola: destino. L’infinito è per
Giussani questo Tu, è l’esperienza del destino; «un aiuto educativo» - ha concluso
Giussani - «è un calore, un abbraccio, una
forza... Bisogna che l’educazione ci porti a
capire questo io fatto da un Altro e questo
Tu”. G.F.
Filosofi e scienziati in dialogo
Organizzata dal Center for Philosophy of Science dell’Università di
Pittsburgh, dal 20 al 24 maggio 1996
si è tenuta a Castiglioncello (Li), in
collaborazione con il Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della scienza, la “THIRD INTERNATIONAL FELLOWS
CONFERENCE”. Coprendo la gran parte
delle principali aree d’interesse della filosofia della scienza, la Conferenza ha costituito un momento d’incontro e dialogo tra filosofi di differente orientamento culturale e specializzazione.
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Nella relazione iniziale, W. Salmon ha presentato un’“apologia della filosofia della
scienza” di fronte alle critiche che a questa
vengono rivolte dagli scienziati di professione, spesso insofferenti nei confronti delle
analisi filosofiche, considerate datate o, più
in generale, condizionate da pretese normative illegittime. Attraverso la specifica analisi filosofica della nozione di “spiegazione”,
Salmon ha mostrato come queste accuse
nascano da un fraintendimento del lavoro
filosofico. Di fatto, la polemica tra filosofia
della scienza e ricerca scientifica appare
inconsistente, poiché l’analisi concettuale
ha bisogno di entrambe, come è risultato
evidente specialmente nelle sezioni del convegno dedicate a singole discipline scientifiche, specificamente alla filosofia della matematica (Urchs, Manders, Cantini, Marquis,
van Bendegen, per citare alcuni nomi), alla
meccanica quantistica (Kantorovich, Stoeckler, Forge, Arsenenijevic, Szabo, Dalla
Chiara), alla filosofia dello spazio-tempo
(Earman, Rovelli, Bartels, Norton, Belnap) e
alla psicoanalisi (Macmillan, Erpenbeck).
Oltre alla discussione su particolari discipline scientifiche, non sono mancate sezioni
dedicate ai più generali problemi filosofici:
accanto ai tradizionali temi che concernono
il realismo (Haldane, Parrini, Haugeland), la
storiografia della scienza e la storia dell’epistemologia (Machamer, Rossi, Uebel, Irzik,
Ryckman), il convegno ha mostrato un grande interesse verso la cosiddetta epistemologia naturalizzata (Worrall, Gale, a cui si
sarebbe dovuto aggiungere Robert Nola), in
cui il metodo scientifico del controllo empirico viene, fin dove è possibile, trasferito
nelle discussioni sull’accettabilità delle varie teorie filosofiche della razionalità scientifica. Per completare la rassegna, merita
ricordare le sezioni dedicate ai recenti problemi posti dall’applicazione della retorica al ragionamento scientifico (Lyne, Tsinorema), alle teorie della complessità
(Agazzi, Mainzer), alla filosofia della
medicina e delle scienze biologiche (Lennox, Wolters, Diederich, Ereshefky) e alla
teoria delle decisioni (Bicchieri e Lauth).
Infine, ben due simposi sono stati dedicati
alla filosofia di Thomas Kuhn, recentemente scomparso (Nersessian, HoyningenHeune, Barker, Sankey, Tuchanska).
Dagli interventi al convegno è emersa sem-
CONVEGNI E SEMINARI
Friedrich Nietzsche e Elisabeth Förster-Nietzsche. La casa natale di Nietzsche a Röcken presso Lützen
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CONVEGNI E SEMINARI
pre più chiaramente una notevole specializzazione negli studi epistemologici, al punto
tale che, per esempio, i filosofi della biologia
mostrano qualche difficoltà nel comprendere i filosofi della fisica, e viceversa. Si tratta
di un limite severo, perché la filosofia in
generale e la filosofia della scienza in
particolare ha da sempre avuto l’ambizione di rappresentare un terreno comune di
incontro tra le diverse specializzazioni del
sapere. Tra i motivi di questa situazione si
deve sicuramente annoverare la caduta del
neopositivismo, che pure offriva una comunanza di problemi e il linguaggio con
cui affrontarli. P.B.
Itinerari nel pensiero
di Nietzsche
Connesso alla mostra documentaria
intitolata “Sguardi su Nietzsche” e
allestita a Milano il 19-20 aprile 1996,
presso il teatro Franco Parenti, si è
svolto un convegno italo-tedesco su
“FRIEDRICH NIETZSCHE: ITINERARI DEL PENSIERO”, organizzato dalla Regione Lombardia e dal Goethe-Institut di Milano.
Dedicata a considerazioni di carattere letterario ed estetico, la prima giornata del
convegno si è aperta con l’intervento di
Aldo Venturelli (“La biblioteca ideale di
Nietzsche”), dedicato al lavoro di catalogazione della biblioteca, realmente posseduta
e idealmente consultata da Nietzsche, che
fu a suo tempo avviato da Mazzino Montinari ed è attualmente condotto da un’équipe di ricerca attiva presso le Università di
Firenze, Pisa e Urbino, in stretto contatto
con i responsabili scientifici della nuova
edizione critica delle opere di Nietzsche a
Berlino, Basilea e Vienna, oltre che con le
«Nietzsche-Studien». Un primo passo della
ricerca sulla biblioteca Nietzsche, ha reso
noto Venturelli, riguarda l’accertamento
della consistenza del fondo librario effettivamente posseduto, letto e consultato dal
filosofo, conservato a Weimar: si tratta di
un migliaio di libri, in alcuni dei quali sono
rimaste tracce di lettura di diverso genere,
che Nietzsche comprava o riceveva in regalo e che conservava presso la casa di
famiglia a Naumburg. Per completare il
quadro delle letture di Nietzsche è necessario però ricorrere, secondo Venturelli, agli
elenchi dei prestiti delle biblioteche universitarie delle città dove egli studiò (Pforta, Lipsia e Bonn) o svolse la sua attività di
insegnamento (Basilea).
Vivetta Vivarelli (“Aggirare le parole ovvero l’arte del tacere”) ha affrontato il tema
della maschera o della facciata, che assume
in Nietzsche essenzialmente due aspetti:
uno biografico e uno filosofico-letterario.
In tutta la sua opera, ma soprattutto dalle
Lettere (in particolare quelle scritte dopo il
1885), emerge ripetutamente il senso di
solitudine, di scoraggiamento e di distanza
che Nietzsche avvertiva fra sé e il resto
dell’umanità. Di qui la scelta di risparmiare
agli altri l’abisso della propria diversità
celandola dietro le spoglie di un’apparente
somiglianza. La maschera è in Nietzsche
un segno di aristocrazia spirituale, di difesa
dai propri simili; d’altro canto, ha osservato Vivarelli, il suo stesso stile filosofico è
espressione coerente del suo «odio per
l’esplicitezza»: la sua predilezione per
l’esposizione succinta e parziale, per l’aforisma e la sentenza testimonia, tra l’altro, la
reazione di Nietzsche al romanticismo e
all’enfasi dei suoi scritti giovanili, con il
suo distacco da Wagner. Ma soprattutto
egli intendeva costruire uno steccato attorno ai suoi pensieri per proteggerli e salvaguardarli dall’incomprensione.
Sulla riflessione nietzscheana sulla morale
si è invece soffermato Carlo Sini (“Oltre la
morale”), mostrando come nell’opera di
Nietzsche si possano rintracciare due grandi passi, i cui testi di riferimento sono Al di
là del bene e del male e Genealogia della
morale, entrambi del biennio 1886-87, attraverso i quali Nietzsche polemizza nei
confronti di quello che è l’imperativo dell’etica stoica: «vivere secondo natura». La
natura, la vita, non è infatti altro che volontà di potenza, cioè oppressione, sopraffazione e sfruttamento di tutto ciò che è
estraneo e più debole. Anche la morale
cristiana è per Nietzsche un’espressione
della volontà di potenza, benché più alta e
sottile, in quanto è diretta non più alla
sottomissione dell’altro, ma di se stessi.
Nondimeno, essa incarna un grandioso tentativo di rispondere al senza scopo del
dolore, cioè il prezzo che l’uomo antico
deve pagare per la sua obbedienza alla
natura. Resta ora da compiere per Nietzsche un terzo passo, quello “oltre la morale”, attuato dal “redentore” quale ultima
figura della Genealogia della morale. Al
termine dell’opera, osserva infatti Sini,
Nietzsche parla di una «pura natura finalmente ritrovata e redenta», nel senso di una
redenzione della parzialità della propria
natura, restando nella parzialità, come impegno etico “oltre ogni morale”.
Attraverso puntuali riferimenti storici e
testuali, Jörg Salaquarda (“Volontà di
potenza. Problema filosofico - Progetto
letterario - Presunta opera principale”) ha
ricostruito e discusso le stazioni principali
della storia dell’interpretazione della volontà di potenza. Dopo un interessante
confronto fra Nietzsche e Schopenhauer
sul tema della volontà, Salaquarda ha richiamato l’attenzione sulle attuali e più
autorevoli interpretazioni della Wille zur
Macht (Volontà di potenza), fra cui quelle
di W. Kaufmann, W. Müller-Lauter e V.
Gerhardt.
Eckard Heftrich (“Soffrire per Nietzsche,
soffrire per la Germania”), ha invece enfatizzato lo stretto rapporto esistente tra il
tragico destino del filosofo e gli esiti travagliati della storia tedesca nella prima metà
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del nostro secolo, con riferimento particolare a Thomas Mann, del quale nel 1946
comparve l’edizione scelta del diario con il
titolo significativo Soffrire per la Germania. Il complesso rapporto che lega Nietzsche alle sorti della Germania è particolarmente manifesto nell’opera di Thomas
Mann, il cui Doktor Faust fornisce, nella
figura del proprio protagonista, un esempio emblematico di “artista sifilitico” creativamente inebriato dal veleno della malattia e capace perciò di produrre opere geniali. Se il Doktor Faust può essere considerato un tentativo di fusione della confessione
autobiografica con l’allegoria dell’epoca
in cui Mann visse nella figura-simbolo di
Nietzsche, la stessa Zauberberg (Montagna incantata), ha fatto notare Heftrich, si
nutre della lezione nietzscheana e la connette al destino tedesco, ma in termini ottimistici e in una prospettiva di speranza: il
filosofo è qui infatti considerato sia come
analitico della decadenza sviluppatasi a
partire dal Romanticismo che come suo
superamento.
Attraverso il ricorso a considerazioni nietzscheane tratte da La genealogia della morale, da Al di là del bene e del male e dai
Frammenti postumi, Reinhart Maurer
(“L’alternativa aristocratica. Intorno alla
filosofia politica di Nietzsche”) ha rilevato
le analogie esistenti tra Nietzsche e Platone proprio in relazione al problema dell’unità, con particolare attenzione per l’ambito politico, nel quale l’esclusività dell’elemento “molteplicità” significherebbe
non solo caos, ma anche vittoria del nichilismo. L’importanza riconosciuta da Nietzsche al “pathos della distanza” tra sopra e
sotto, tra aristocrazia e gregge richiama il
programma platonico di una classe dirigente di uomini superiori non solo perché
più forti, ma anche perché più saggi e
sapienti, “uomini sintetici” (così definisce
Nietzsche il suo Uebermensch nei frammenti postumi) che uniscono in sé le tendenze contraddittorie della realtà grazie
allo sviluppo di una spiritualità superiore.
Proprio in tale spiritualità, intesa come
straordinaria capacità di interpretare la pluralità delle forze vitali secondo unità complesse e ordinate, va individuata, secondo
Maurer, la definizione più appropriata della volontà di potenza, al di là della più
immediata e superficiale identificazione di
tale forza con le istanze vitalistiche.
Franco Volpi (“Nietzsche e il nichilismo
contemporaneo”) ha preso in considerazione il profetico annuncio nietzscheano
della “crescita del deserto”, del cataclisma
dello spirito come malattia dell’Europa per
i secoli a venire, mostrando che per quanto
Nietzsche teorizzi esplicitamente il nichilismo soprattutto nei frammenti degli anni
Ottanta, la sua riflessione sul tema risale
agli anni giovanili: in un frammento del
1870, Nietzsche sostiene di credere «nell’antica sentenza germanica: “tutti gli dei
devono morire”». La morte di Dio diventa
così il filo conduttore per interpretare la
CONVEGNI E SEMINARI
storia della cultura occidentale come decadenza. In un celebre frammento del 1888
dal titolo “Critica del nichilismo”, Nietzsche, ha sottolieato Volpi, afferma che il
nichilismo subentra di necessità, come stato psicologico, nel momento in cui le grandi categorie “regolative” della cultura occidentale (fine, unità e verità) vengono vanificate dalla scoperta della loro natura illusoria, che non implica comunque, almeno
inizialmente, la scomparsa della fede in un
mondo “vero”. Il compimento del nichilismo si ha solo con la negazione estrema
dell’esistenza di una costituzione assoluta
delle cose (nichilismo attivo), che apre di
nuovo la possibilità dell’affermazione grazie alla “trasvalutazione di tutti i valori”
(nichilismo classico), consentendo la nascita dell’uomo nuovo come colui che al
meglio esprime la volontà di potenza e che
reinterpreta il senso del divenire senza cadere nei vecchi schemi metafisici.
Marco Vozza (“Nietzsche tra vitalismo e
prospettivismo”) ha tentato di smentire l’interpretazione heideggeriana di Nietzsche,
evidenziando in particolare due aspetti del
pensiero nietzscheano: la subordinazione
del paradigma vitalistico ad un’istanza di
svolta antropologica e l’importanza del
prospettivismo anche nella definizione del
rapporto tra salute e malattia. La vita è
“possibilità di esistenza” in cui il soggetto
oltreumano prende dimora nel mondo delle
code prossime, determinando l’affermazione delle istanze vitali al di là della separazione di interno ed esterno, profondità e
superficie. Nietzsche, ha rilevato Vozza,
pone l’accento sull’importanza della forma, definendo l’esistente come insieme
infinito di forme simboliche, come gioco di
prospettive generato dalla vita stessa in
qualità di forza interpretante. A.M./L.R.
L’immaginazione
Il 22 maggio 1996, presso la Sala Incontri dell’ISU di Milano, si è tenuto un
dibattito dal titolo “L’ESTETICA SENZA
ARTE”, in occasione della presentazione dell’opera di Maurizio Ferraris, L’IMMAGINAZIONE (il Mulino, Bologna 1996).
Al dibattito hanno partecipato, oltre
all’autore, Elio Franzini, Giulio Giorello, Francesco Moiso.
Aprendo i lavori dell’incontro, Elio Franzini ha ricordato le numerose ambiguità e le
molteplici interpretazioni generate, nella storia della filosofia, dal termine “immaginazione”, rilevando come la definizione, proposta da Maurizio Ferraris ne L’immaginazione, permetta di indirizzare l’analisi nel
senso dell’instaurazione di un legame non
fra estetica e arte, bensì fra estetica e logica.
Sulla genesi euristico-intuitiva, e in quanto
tale non logica, della conoscenza è intervenuto invece Francesco Moiso, che ha mo-
strato come la caratterizzazione estetica
della scoperta scientifica si collochi nel
legame intercorrente fra il concetto e l’immagine; quest’ultima è ciò che permette il
passaggio dal concetto al dato sensibile.
Nella dimensione della scoperta, memoria
e analogia costituiscono gli elementi fondamentali che permettono l’appropriazione del continuum mnemonico che consiste,
a livello individuale e a livello collettivo,
nel tessuto dell’esperienza concreta. Come
Kant ha mostrato, la logica formale non
esaurisce l’ambito della conoscenza e, per
questo, vi è la necessità di una scienza
sperimentale, anche se poi Kant faceva
riferimento, a questo proposito, alla logica
trascendentale, laddove i postkantiani rivalutano invece la valenza conoscitiva delle
idee estetiche, cioè la loro funzione performativa nei confronti dell’esperienza.
Per delineare la funzione dell’immaginazione, Giulio Giorello ha ricordato l’idea
«di una nuova terra, sotto un nuovo cielo»
che, secondo Mach, colse Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America: prima
ancora di vederla, egli la immaginò a partire dai detriti, cioè dalle tracce, che giungevano dal mare. La questione della traccia, ha osservato Giorello, rimanda all’enigma dell’immaginazione, che da un lato si
presenta come elemento alieno all’oggettività del conoscere, dall’altro come il suo
fondamento. Soltanto attraverso l’immaginazione Newton potè istituire un’analogia
fra la terra e la luna, pervenendo alla legge
di gravitazione universale. Ciò introduce il
problema del “carattere finzionale” della
conoscenza scientifica e, conseguentemente, il problema di distinguere tra le finzioni
ben fondate e quelle frutto di follia. Sulla
questione della traccia, in rapporto alla
facoltà immaginativa, è intervenuto anche
Franzini, che ha sottolineato il carattere
passivo e, insieme, di attiva iscrizione, dell’immaginazione che, in tal modo, viene
ricondotta all’immagine, che è una traccia:
la memoria agisce sulle immagini, collocandosi, in questo modo, nella tensione fra
attività e passività. La collocazione dell’immaginazione nel dominio sospeso fra
attività e passività del soggetto, ha rilevato
Franzini, la sottrae alla sua caratterizzazione come poietica. Alla luce del nesso tra
immaginazione produttiva e immaginazione riproduttiva, la contrapposizione fra un
aspetto attivo e uno passivo dell’immaginazione corre il rischio di ridurre quest’ultima a una facoltà psicologica.
Rispondendo ai vari interventi, Maurizio
Ferraris ha ricordato che il termine di
immaginazione indica da un lato una facoltà psicologica fra le altre (quella che produce immagini), dall’altro una sorta di metafacoltà, cui fa riferimento la definizione
dell’immaginazione come di una “facoltà
della traccia”, che rinvia a una tradizione
filosofica, spesso non esplicitata, da Aristotele fino a Kant. Secondo tale tradizione, ciò che si imprime nell’anima non è la
cosa percepita, bensì soltanto il suo fanta58
sma, il segno di una presenza assente. Si
instaura dunque qui un gioco di rinvii, dalla
percezione alla ritenzione della medesima,
e viceversa, che fonda l’identità fra l’immaginazione e la memoria.
Riguardo poi alla distinzione fra un aspetto
attivo e uno passivo della conoscenza umana, Ferraris ha rilevato come ciò valga
tanto più radicalmente nei confronti dell’immaginazione da riproporsi anche relativamente al ruolo sintetico di quest’ultima, fino a far sorgere la questione intorno
al carattere della sintesi. Il problema del
rapporto fra immaginazione produttiva e
immaginazione riproduttiva, che si riconnette alla distinzione fra carattere attivo e
carattere passivo della facoltà immaginativa, deve fare i conti, ha sottolineato Ferraris, con il compenetrarsi, nella conoscenza,
di produzione e riproduzione, di creazione
e ritenzione (ovvero, la memoria) di dati;
l’immaginazione riproduttiva si confonde
in tal senso con la memoria. La (involontaria) rielaborazione immaginativa dei dati
mnemonici avviene, infatti, pressoché immediatamente dopo l’accadimento che ha
dato luogo alla percezione. Ciò fonda, in
ultima analisi, l’accostamento di estetica e
logica, cioè l’attribuzione di valore conoscitivo alla produzione immaginativa e, per
converso, del carattere creativo alla conoscenza. F.C.
Individuo e comunità
Nei giorni dal 6 al 8 maggio 1996, si è
tenuto a Merano, presso l’Accademia
di studi italo-tedeschi, il XXIII Convegno internazionale di studi italo-tedeschi sul tema: “INDIVIDUO E RAPPORTO
COMUNITARIO NELL’EUROPA ALLE SOGLIE DEL
TERZO MILLENNIO”. Il convegno ha inteso
illuminare il rapporto tra individuo e
società, ponendo l’accento sulla tendenza dell’individuo alla chiusura in se
stesso e alla ricerca di un inserimento
nei rapporti sociali, nel contesto storico della fine del secondo e dell’avvento del terzo millennio. I lavori del convegno sono stati suddivisi in tre parti,
dedicate rispettivamente alle tematiche: “L’evento del nuovo millennio”,
“Individuo e comunità”, “Mobilità etnica e pluralismo”.
Aprendo il convegno, Vittorio Mathieu
ha messo in rilievo la duplice esigenza che
deve oggi affrontare la comunità mondiale
nel suo tentativo di darsi un adeguato assetto giuridico-organizzativo: da un lato, instaurare un’organizzazione non meramente formale e di facciata; dall’altro, istituire
e salvaguardare la titolarità dei diritti dell’individuo, evitando che questi venga ridotto a “suddito” dei poteri operanti a livello nazionale e sovranazionale. Aldo Stella
ha illustrato il compito degli uomini di
CONVEGNI E SEMINARI
cultura dinnanzi alle richieste di istituire,
nel mondo “orfano” delle ideologie materialistiche totalitarie e dinnanzi al diffuso
disorientamento culturale, un’Europa all’insegna di una solidale «civiltà dello spirito», per sopperire alla mancanza di nuovi
riferimenti culturali. In una prospettiva
pedagogica, Peter Nenninger ha argomentato la necessità di un deciso riorientamento della cultura educativa e formativa dinnanzi alle esigenze di riqualificazione che
caratterizzeranno sempre più le figure professionali del futuro: è necessario mirare ad
un’ampia formazione di base che assicuri
capacità analitiche e flessibilità di pensiero
in un’ottica di possibile simbiosi tra economia e cultura.
Comparando la situazione letteraria attuale
con quella della fine dell’Ottocento, Ulrich Schulz-Buschhaus ha individuato analogie e differenze tra il modo in cui la
letteratura di fin-de-siècle rispecchiava la
crisi del rapporto tra individuo e comunità
e le diverse reazioni alla tendenza all’individualizzazione rilevabili alla fine del XX
secolo. Partendo da una ricostruzione della
storia dello Stato sociale in Europa, Francesco Paolo Casavola ha affrontato il problema della necessaria riforma del Welfare
State, che, se da un lato deve mirare a
eliminarne i tratti degenerativi, non deve
dall’altro cedere alle richieste, provenienti
da posizioni di radicale liberalismo politico e liberismo economico, di uno smantellamento dell’intero organismo legislativo
e amministrativo dello Stato sociale. La
prima parte del convegno si è chiusa con le
comunicazioni di Riccardo Scrivano e
Claus Artur Scheier.
Francesco Botturi ha discusso il problema
della rottura tra “vincolo interiore” del singolo e società alla luce del concetto di libertà.
Si tratta oggi di evitare concezioni riduttive
e unilaterali di tale concetto, aprendosi invece ad una visione organica e dialettica dei
diversi significati che esso comprende. Solo
coniugando la libertà come autodeterminazione e autorealizzazione con quel bisogno
costitutivo della libertà che è il rapporto con
la libertà dell’altro si potrà aprire una riconciliazione tra l’esperienza del singolo e la sua
partecipazione sociale. Hans Lenk ha poi
indicato le categorie di coscienza e responsabilità personale come le basi su cui fondare
un’etica per l’intera società umana. Spostando il discorso verso una prospettiva sociologica, Paul Trappe si è occupato del mutamento della struttura sociale che percorre la
storia occidentale a partire dall’Ancien régime, e che da circa un secolo viene indicato
come “differenziazione sociale”. Tale fenomeno è stato analizzato nella sua acutizzazione nel corso del XX secolo, con riguardo
ai suoi effetti sulla posizione dell’individuo
e sulle strutture sociali formali, quali per
esempio il diritto.
L’approccio della scuola austriaca allo studio e alla spiegazione dei fenomeni sociali
è stato illustrato da Dario Antiseri, portavoce dell’urgenza di una maggiore diffu-
sione in Italia delle idee di Menger, von
Mises, von Hayek e Popper, per i quali i
concetti collettivi (Stato, società, partito
ecc. ) sono meri stenogrammi per individui
che agiscono in base alle loro idee soggettive, e tutt’al più utili astrazioni o concetti
ausiliari per l’analisi. A differenza di quanto sostenuto dalle posizioni costruttiviste,
utopiste o psicologiste, le istituzioni e gli
eventi sociali vanno spiegati come conseguenze volute o, più spesso, come esiti
inintenzionali e inattesi di azioni individuali. Ben venti comunicazioni - tra cui
quelle di Marco Buzzoni, Ubaldo Pellegrino, Giovanni Santinello, Francesco Piselli
e Giorgio Penzo - hanno contribuito a integrare e sviluppare le tematiche di questa
sezione.
Horst Möller ha inteso chiarire la dimensione storica dei fenomeni di mobilità etnica nel nostro secolo, analizzando i diversi
concetti di nazione a partire dal XVIII
secolo fino ai giorni nostri. Il problema di
una valutazione speculativa ed etico-politica del pluralismo è stato affrontato da
Armando Rigobello, che ha rilevato come
la giustificazione speculativa della coesistenza di orientamenti ideali, culturali, etico-politici, ideologici o religiosi, diversi
tra loro, risieda in ultima analisi nel fatto
che vi sono differenti livelli di verità e modi
alternativi di attingerli. Rigobello ha sottolineato inoltre come la verità, nella sua
totalità, oltrepassi le potenzialità conoscitive dell’uomo, il quale, nelle diverse prospettive che esprime, è sempre portatore di
una verità parziale. Il pluralismo viene in
tal modo ad assumere il valore di una
feconda interazione di approcci teoretici e
pratici. Il problema del pluralismo è stato
affrontato su un altro livello anche da Peter
Kampits, che ha trattato della tensione,
oggi esistente in Europa, tra universalismo
e nazionalismo. L’idea di un’unità sovranazionale deve confrontarsi con l’istanza
del pluralismo; le spinte verso l’omogeneizzazione, esercitate dalla civiltà unitaria globale, suscitano e si scontrano con
l’esigenza dell’affermazione di specificità
culturali. Il problema di ridefinire, dopo il
crollo dell’utopia marxista, il concetto di
internazionalismo, richiede una nuova determinazione del nazionalismo attraverso
la riflessione critica sulle sue radici.
Wolfhart Henckman ha analizzato i mutamenti dei rapporti tra individuo e comunità nei momenti salienti dello sviluppo
psicologico individuale: nascita, gioventù,
maturità e vecchiaia. Massimo Borghesi
ha evidenziato il radicale mutamento ideologico avvenuto a partire dagli anni Ottanta: se negli anni Settanta si scopriva il
valore delle differenze e si rifiutava la
cultura dell’Occidente, negli anni OttantaNovanta è prevalso l’ideale dell’identità
nazionale e del potere omogeneizzante della cultura occidentale. Altri dieci interventi, tra cui quelli di Emilio Baccarini, Luigi
Secco e Mario Signore, hanno completato
il programma del convegno. I.De G.
59
La filosofia russa tra Ottocento
e Novecento
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Genova,
l’Associazione filosofica ligure hanno
organizzato, nei giorni 2-3 maggio
1996 a Santa Margherita Ligure, presso il Castello Lo Faro, un convegno
dal titolo: “LA FILOSOFIA RUSSA, 18001900”, in cui è stato preso in considerazione il pensiero dei filosofi russi
maggiormente significativi a cavallo
dei due secoli: Solov’ev, Berdjaev,
Bachtin, Florenskij, nonché i contributi derivanti alla riflessione filosofica dalle opere di Bulgakov, Dostoevskij e Tolstoj.
L’intervento di Nynfa Bosco (“Alle radici
del pensiero russo”) ha aperto il convegno
analizzando la genesi della filosofia in Russia, per elaborare poi un dettagliato profilo di
Solov’ev, presentandolo come il pensatore
russo e cristiano per eccellenza, il cui pensiero si situa all’incrocio tra teologia e filosofia:
secondo Bosco, la miglior chiave interpretativa per avvicinarsi all’opera Solov’ev è la
sua inquitudine esistenziale. Attraverso
un’analisi della simbologia utilizzata da
Bulgakov (il libro, l’orologio, la casa), A.
Dell’Asta (“Cultura, responsabilità e valori
nel primo Michail Bulgàkov”) ha fatto notare come la conservazione della memoria
costituisca un elemento essenziale di questo
autore. In Ricordi di un giovane medico,
Dell’Asta ha individuato il valore della responsabilità quale espressione centrale del
rapporto dell’uomo con l’alterità e il mistero.
Emanuele Severino (“Dostoevskij e il
‘muro di pietra’”) ha preso spunto da una
lettera scritta nel 1854 da Dostoevskij: «Se
qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori
dalla verità, o fosse effettivamente vero
che la verità non è in Cristo, ebbene io
preferirei restare con Cristo piuttosto che
con la verità», per dimostrare l’impossibilità, in Dostoevskij, di tenere separate fede
e verità e per sottolineare come la scelta di
Cristo da parte di Dostoevskij sia legata al
‘muro di pietra’, cioè «all’impossibilità di
affermare e negare la stessa cosa». Alessandro Di Chiara (“La scaturigine della
libertà nel pensiero di N. A. Berdjaev”) ha
tematizzato l’influsso di Boehme e di Schelling sul pensiero del filosofo russo e ha
analizzato i tratti salienti del concetto di
libertà nella sua opera: l’inoggettivabilità,
l’intrinsecità e l’autodeterminazione che
trae dall’indeterminatezza la propria origine. Giovanni Mastroianni (“Problemi
dell’opera di Bachtin”), ha compiuto un’attenta ricostruzione filologica del pensiero
di Bachtin e in particolare di Problemi
dell’opera di Dostoevskij, restituendo a
quest’opera il suo peculiare significato storico e politico e i suoi specifici riferimenti,
alla luce dei frammenti di Bachtin degli
anni 1920-1924.
CONVEGNI E SEMINARI
I. Sibaldi (“Il profetismo in Tolstoj”) ha
analizzato il conflitto di Tolstoj con la
Chiesa cattolica e con quella ortodossa,
tematizzando il suo profetismo attraverso
la lettura di Anna Karenina e mostrandone
l’aggancio con il Vangelo, che viene preso
a fondamento di tale dimensione. Ha chiuso il convegno G. Lingua (“Gli spazi
dell’immaginario in P. Florenskij”), che
ha evidenziato come Florenskij individui
uno spazio diverso dalla vuota spazialità
di Picasso e proponga una teoria della
verità come esperienza della spazialità
estetica. A.Di C.
Filosofia e filologia classica
Organizzato dal PARSA (Pole Alpin de
Recherches sur les Societés Anciennes), il 9-10 maggio 1996 si è tenuto a
Torino un incontro tra filosofi e filologi
delle università di Torino, Pavia e Grenoble, dedicato ad alcuni aspetti della
cultura greca classica, in special modo
legati al pensiero di Platone. L’incontro si è concluso con una tavola rotonda sul tema “PHILOSOPHIE, HISTOIRE ET
IMAGINAIRE MYTHOLOGIQUE” (Filosofia, storia e immaginario mitologico) nella
quale sono stati sottolineati alcuni
“luoghi” tipici della tradizione filosofica greca, con particolare riguardo al
ruolo delle immagini letterarie nella
costruzione di concetti e tradizioni filosofici.
Marie Laurence Desclos (“Come non essere filosofo: Antifonte o la voce che risuona”) ha affrontato il problema del rapporto
tra filosofia e tempo nei dialoghi di Platone, con particolare riguardo al Parmenide
e al Teeteto, sottolineando come la vaghezza dei riferimenti temporali renda difficile
stabilire sia la data di composizione sia la
“data drammatica” dei diversi testi, ovvero
l’epoca in cui si svolge l’azione ivi narrata.
In realtà in Platone, ha sottolineato Desclos, il tempo filosofico si articola in varie
forme: il tempo che semplicemente trascorre; il tempo dell’anima, che si saggia
nell’intreccio tra domande e risposte, affermazioni e negazioni, quando si esamina un
problema; e, infine, il tempo storico. Rispetto a quest’ultimo, tuttavia, Desclos ha
mostrato come la temporalità filosofica sia
caratterizzata da un’articolazione nuova
del passato, del presente e dell’avvenire:
l’idea secondo la quale il “ciò che è stato”
e il “ciò che è” sono condizionati da “ciò
che sarà”, e non il contrario. Il rapporto tra
Platone e i personaggi dei suoi dialoghi,
con particolare riferimento alla presentazione di Socrate nel Simposio, è stato oggetto della relazione di Diego Lanza (“Il
gioco della verità e del riso”). L’avvicinamento del filosofo al Sileno non è, per
Lanza, casuale; il Socrate platonico presenta infatti spesso le caratteristiche del-
l’attore comico, anzi del capocomico aristofaneo: un vecchio svagato e goffo, che
si serve di un linguaggio quotidiano, ricco
di espressioni gergali o gnomiche, ostentando incomprensione per quello specialistico della filosofia e che, soprattutto, è
l’unico dei personaggi a rivolgersi direttamente al pubblico. Rimane tuttavia ancora
aperta la questione del motivo per cui
Platone attribuisca proprio tali caratteristiche al protagonista della maggior parte
dei suoi dialoghi.
Nella tavola rotonda conclusiva C. Jourdain Annequin ha proposto di applicare
all’evoluzione del discorso mitico la nozione bachtiniana di “cronotropo”; Philippe Hanus ha invece mostrato come tale
concetto funzioni nell’esame della Vita di
Apollonio di Tiana scritta da Filostrato.
Alain Fouchard si è soffermato sulla figura del sofista Trasimaco, noto come rivoluzionario aristocratico, ma capace anche di
tessere un elogio della moderazione e della
concordia. Silvia Sueli Milanezi ha ricordato l’autopresentazione di Aristofane in
chiave eroica, nella quale il poeta comico si
equipara ad un novello Eracle. David Bouvier ha notato come Platone citi molto
frequentemente i poeti nelle sue opere (a
cominciare da Omero) e non riservi invece
alcuno spazio agli storici. Giancarlo Mazzoli ha esaminato il rapporto tra mito e
storia nello stoicismo di Seneca. Michel
Fattal ha ricordato la figura di Eraclito che
piange in Luciano di Samosata, corrispondente all’immagine tradizionale del filosofo pessimista, contrapposto all’ottimista Democrito. Gian Franco Gianotti ha
mostrato il contributo di Plutarco nel costruire l’immagine di Sparta e nell’analizzare la crisi successiva alla vittoria su
Atene. G.C.
La filosofia di Saul Kripke
Con il titolo “SAUL KRIPKE’S CONTRIBUTION
TO PHILOSOPHY ” (Il contributo di Saul
Kripke alla filosofia) si è tenuto, dal 20
al 23 maggio 1996, presso il Centro
Internazionale di Studi Semiotici e
Cognitivi della Repubblica di San Marino, un convegno organizzato da Paolo Leonardi, che ha messo in evidenza il contributo di Saul Kripke in diversi ambiti della filosofia: logica, metafisica, ontologia, filosofia del linguaggio, filosofia della mente.
Aprendo i lavori del Convegno, Scott Soames ha offerto un’analisi critica delle due
principali strategie di confutazione dell’argomento modale, presentato da Saul Kripke in Naming and Necessity (Nome e
necessità, 1972), a sostegno del diverso
comportamento semantico dei nomi e delle
descrizioni definite: l’analisi ad ambito
ampio e l’analisi in termini di descrizioni
rigidificate. Kevin Mulligan ha invece
60
parlato del ruolo semantico della percezione, elemento imprescindibile nella riflessione sul linguaggio. Evitando i rischi più
noti connessi a tale impostazione (verificazionismo, atomismo percettivo, psicologismo, atomismo del significato) Mulligan
ha preso le mosse dalla questione del ruolo
della percezione e dei meccanismi coinvolti nel fissare il riferimento dei termini singolari e nel determinare il significato dei
termini predicativi.
Ernesto Napoli ha proposto un’interessante rilettura di alcune questioni discusse
da Kripke in A Puzzle about Belief (1979):
che cos’è essere un nome; che cos’è essere
competenti nell’uso di un nome. La chiave
per risolvere il puzzle di Kripke sta proprio,
secondo Napoli, nella questione della competenza linguistica del parlante, che deve
potersi valere di un certo numero di fonti di
apprendimento. Nathan Salmon si è confrontato con il tema dell’identità personale,
connettendolo ad una coppia di dottrine
sulla modalità elaborate da Kripke in Naming and Necessity: la dottrina dell’essenzialismo individuale e la dottrina “stipulativa” dei mondi possibili. Contrapponendo
alla versione riduzionistica tradizionale del
problema quella essenzialistica, Salmon ha
proposto come risoluzione della questione
dell’identità personale l’idea dell’essenzialità del cervello. David Kaplan ha assunto come oggetto d’indagine lo studio
dei rapporti tra semantica e contesto, ponendo al centro della sua riflessione la
distinzione tra semantica dell’uso e semantica del significato, laddove la validità logica riguarda la preservazione non tanto della
verità quanto dell’informazione, articolata
in un contenuto descrittivo ed espressivo.
Sydney Shoemaker ha rivolto la propria
attenzione alla natura della necessità metafisica e di quella causale e al tipo di relazione che sussiste tra esse, sostenendo che la
necessità causale pre-teorica è un caso speciale di necessità metafisica che può assurgere a paradigma della necessità.
Rudolf Haller ha considerato dapprima il
problema del non-esistente nelle Fictional
entities, trattate da Kripke nelle John Locke
Lectures del ’73, per poi passare ad analizzare il contributo di Kripke alla comprensione dello scetticismo di Wittgenstein.
Quest’ultimo tema è stato al centro anche
dell’intervento di George Wilson che ha
assunto come obiettivo polemico la tesi di
McDowell circa l’inadeguatezza dell’apparato esegetico utilizzato da Kripke in
Wittgenstein on Rules and Private Language (Wittgenstein su regole e linguaggio
privato, 1982). Jens Erik Fenstad ha fatto
notare come in rapporto alla semantica
formale il trattamento teorico dei termini di
specie naturale richieda l’adozione della
geometria, la quale, d’altro canto, non risulta disponibile entro la cornice della teoria dei modelli. Sul tema della verità e sul
trattamento kripkeano di tale nozione si è
incentrata la relazione di Donald A. Martin. Massimo Mugnai ha messo invece in
CONVEGNI E SEMINARI
evidenza le somiglianze tra la concezione
della modalità in Kripke e in Leibniz, richiamando l’analogia tra la teoria leibniziana dei mondi possibili e la teoria di
Lewis delle controparti.
Joseph Halpern ha affrontato la questione
se sia possibile, per un sistema di agenti in
comunicazione, pervenire ad uno stato di
conoscenza comune, dopo aver dimostrato
che questa non è indispensabile ai fini
pratici. Joseph Almog ha considerato due
diverse concezioni metafisiche: quella che
antepone la possibilità all’attualità e quella
che fa dipendere l’attualità dalla possibilità, confermando il primato metafisico dell’attualità che emerge dalla logica modale
di Kripke. L’intervento di C. Anthony
Anderson si è incentrato sui concetti individuali intesi come ciò che è espresso dai
termini singolari e come ciò che è afferrato
dai parlanti competenti, connettendo questa disamina al suo progetto di fondare una
teoria generale delle intensioni e delle entità intensionali. Steve Jablo ha argomentato contro la tendenza diffusa in filosofia
ad analizzare in termini esistenziali nozioni che di per sé non implicano tale dimensione, criticando l’analisi di Lewis della
nozione di mondo possibile.
L’intervento di Saul Kripke, presente al
convegno, si è incentrato su una ricostruzione storica della nozione di “coppia ordinata”. E.S.
Finitezza e trascendenza
A Macerata, organizzato dal Dipartimento Universitario di Filosofia e
Scienze Umane, in collaborazione col
Centro di Studi Filosofico-religiosi
“Luigi Pareyson” dell’Università di
Torino, si è tenuto nei giorni 16-18
maggio 1996 il VII Colloquio su Filosofia e Religione dal titolo: “ERMENEUTICHE DELLA FINITEZZA”, che ha analizzato
le diverse modalità di rapporto tra
finito e infinito attraverso il pensiero
di filosofi, teologi e scrittori della tradizione occidentale.
Introducendo il convegno, Giovanni Ferretti ha sottolineato come la finitezza, fenomenologicamente poliedrica quanto pervasiva, non sia un dato empiricamente bruto, ma una interpretazione della condizione
umana nelle sue relazioni costitutive, tant’è che occorre parlare necessariamente al
plurale di “ermeneutiche della finitezza”.
L’alternativa interpretativa di fondo è quella
tra le ermeneutiche che comprendono il
senso del finito in riferimento all’infinito
(così da Cartesio a Levinas) e quelle che
comprendono il finito escludendo ogni riferimento all’infinito (come per esempio in
Heidegger). All’interno di questa alternativa si dispiegano poi trasversalmente altre
differenze, come per esempio tra quanti
sottolineano la negatività del finito, la sua
costitutiva carenza, e quanti ne rimarcano
la positività.
Jean Greisch (“Ermeneutica della fatticità e analitica della finitudine”) ha inquadrato la nozione di finitudine attraverso le
indicazioni di Foucault, Heidegger e Ricoeur. Nel primo caso viene stabilito uno
stretto legame tra la finitudine dell’uomo e
la positività del sapere umano, quale s’impone nell’Ottocento. La peculiarità di Essere e tempo, secondo Greisch, è invece
quella di riconoscere all’analitica della
finitezza un andamento intrinsecamente
ermeneutico, al cui centro sta l’interpretazione dell’essere-per-la-morte in termini
di vita fattiva. Ricoeur, infine, propone
un’ermeneutica della finitezza come antropologia filosofica centrata sul tema della fallibilità. Mario Ruggenini (“Tra l’essere e il nulla. L’evento dell’altro e il
mistero della morte”) si è soffermato invece sulla relazione essenziale che lega la
filosofia al tema della morte. Come il destino di Socrate nell’Apologia e nel Fedone platonici si decide in rapporto al divino,
così, secondo Ruggenini, va pensata la
finitezza e la morte che ne costituisce il
sigillo. Laddove oggi prevale una concezione della morte come mera nientificazione, si tratta invece, secondo Ruggenini,
di pensare a essa partendo dalla finitezza
come rapporto col divino: la morte come
evento dell’altro appartiene alla vita e non
è l’irruzione di quel nulla assoluto che la
teologia cristiana ha finito per riabilitare.
Bruno Forte (“La salutare finitezza dell’altro”) ha proposto un’accezione della
rivelazione divina tale da non esaurire
l’alterità di quest’ultima e da comportare
per il credente una fondamentale rilevanza
etica. Prendendo innanzitutto le distanze
dalla Offenbarung (rivelazione) hegeliana, Forte ha richiamato le indicazioni antihegeliane di Barth, per il quale Dio è
insieme rivelatore, rivelazione e rivelato:
il rivelato non esaurisce però Dio, la cui
alterità resta salva. Superando lo stesso
Barth, Forte accoglie le indicazioni di
Bonhoeffer, il quale sottolinea l’autofinitizzarsi di Dio nella vergogna della croce.
Secondo Virgilio Melchiorre (“Per una
fenomenologia trascendentale del finito”)
la domanda intorno alla finitezza è una
domanda trascendentale e, determinante
per la sua rilevanza ermeneutica, è il necessario legame con il tema dell’infinito.
Il finito porta con sé la traccia dell’infinito
e lo spazio fenomenico ove questa traccia
si dà è il dire metaforico; qui l’infinito
viene a parola, finitizzandosi, ma rimanendo in parte inoggettivabile. Torna preziosa, a questo riguardo, l’intenzionalità
simbolica di Jaspers, quale tensione esistenziale dell’io in rapporto col trascendente, tensione destinata peraltro a rimanere irrisolta. Vincenzo Vitiello (“Redenzione o salvezza del finito?”) è partito
dalla lettura heideggeriana della Grundfrage (domanda fondamentale) leibnizia61
na, «Perché c’è qualcosa piuttosto che
niente?». Svincolando questo “perché”
dalla causalità, Heidegger ci rivela quel
terreno all’interno del quale è possibile
che tutto quello che accade accada. In
questo senso, secondo Vitiello, si possono
riprendere le riflessioni di Derrida sulla
chora platonica, quale luogo-non luogo di
una ospitalità radicale, sottratta a ogni
consolazione o conciliazione. Compito del
pensiero è allora quello di muoversi in
questa chora, spazio nichilista aperto, tuttavia, ad una speranza.
Claudio Ciancio (“Finitezza e problema
del male”) ha insistito su un finito che,
come ha insegnato Pascal, porta la traccia
dell’infinito e proprio per questo è affetto
dalla contraddizione e dal male. Dopo aver
richiamato alcuni tradizionali, quanto falsificanti, tentativi filosofici di depotenziare la contraddittorietà del finito e con essa
del male (come quello soggettivistico di
Sartre o quello dialettico di Hegel), Ciancio ha rigettato l’idea che il male inerisca
tout court allo statuto ontologico del finito. Jure Zovko (“Aspetti ermeneutici della coscienza”) ha richiamato alcuni contributi di carattere morale sui problemi della
coscienza riconducibili all’ontologia di
Heidegger: l’analitica del Dasein mette in
luce l’autodeterminazione individuale dell’uomo e la sua responsabilità nei confronti di se stesso e delle altre persone, rendendo la scelta concreta per l’autenticità simile alla scelta morale nel senso socratico del
rendere ragione.
Armido Rizzi (“Ermeneutica della creaturalità”) si è soffermato sull’accezione
ebraico-cristiana di creazione come productio ex nihilo, sottolineando il contesto
originariamente religioso, anziché metafisico-teoretico, entro cui essa sorge. Peculiare al testo biblico è il liberare la religione dal sacro, sganciando il divino dall’identificazione con la natura e facendo
emergere la trascendenza di Dio. Un Dio
che liberamente crea, così come stringe
alleanza col mondo. Da tale visione discende, secondo Rizzi, una concezione
dell’uomo come ente finito, ma dotato di
libertà di scelta. Ricollegandosi alla centralità assegnata da Celan al tema dell’io,
Ugo Perone (“Il limite del finito”) si è
detto d’accordo con Cartesio nel considerare l’io quale punto d’avvio della riflessione filosofica e luogo in cui si incontra il
limite e la finitezza. Secondo Perone, tali
limiti non vengono tuttavia vissuti dal soggetto come mera autolimitazione, ma come
orizzonte entro il quale può darsi l’azione.
Carlo Sini (“Finitezza alla lettera”) ha
analizzato il concetto di finitudine relativamente alla pratica filosofica, sostenendo che solo nell’analisi delle proprie reiterate pratiche la filosofia si salva dall’essere mera chiacchera e trova il proprio “infondato fondamento”. G.L.P.
CONVEGNI E SEMINARI
Antonio Banfi, Moritz Schlick
Scienza e filosofia in Francia
e in Italia
Con il titolo “SCIENZA E FILOSOFIA IN FRANCIA E IN ITALIA TRA LE DUE GUERRE” si è
tenuta a Parigi, il 10 e 11 maggio 1996,
una giornata internazionale di studi,
organizzata dall’Istituto Italiano di
Cultura, dalla Maison des Sciences de
l’Homme dell’EHESS di Parigi e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.
Ha aperto i lavori della giornata Jacques
Sebestik, soffermandosi sulla differenza
di tensione della conoscenza scientifica in
Francia e in Italia e nella vicina Austria. Per
Bachelard, Cavallès, Bergson, da un parte,
e per Banfi, Preti, Enriques, dall’altra, la
conoscenza scientifica deriva dalla storia, e
non si vergogna di appoggiare su un’ontologia; per i viennesi, invece, la scienza è
un’attività, una pratica che si limita ai suoi
enunciati. Contro questa distinzione tra una
prassi strettamente formale e una riflessione filosofica e storica della scienza, Antonio Banfi, ha sottolineato Luca Scarantino, proponeva un’ideale di cultura scientifica e parallelamente di filosofia scientifica, che avrebbe dovuto informare il progetto di unificazione di tutti i domini di sapere;
un’ideale presente anche nell’opera di Giulio Preti, nella dimensione etica della filosofia scientifica, nella sua capacità di pro-
porre una struttura formale del sapere e,
allo stesso tempo, nell’operare sulle forme
culturali.
Su Preti è intervenuto anche Paolo Parrini, che rilevato come intorno agli anni
Trenta si siano potute elaborare due maniere differenti di realizzare non tanto una
filosofia delle scienze, quanto una filosofia
scientifica. E qui sta l’interesse del confronto dell’opera di Preti con quella di
Moritz Schlick, e del loro confluire in una
teoria critica della conoscenza. Schlick
riconosce infatti, avvicinandosi alle posizioni kantiane, che esiste una trascendenza della conoscenza che sfugge ai
dati immanenti: l’oggetto di conoscenza è
oggetto costituito, è trascendente rispetto
agli oggetti immanenti e immanente rispetto alle regole di costituzione. Roberto Maiocchi ha invece proposto un panorama
storico dei maggiori rappresentanti della
cultura scientifica in Italia all’epoca del
fascismo, dimostrando come allora si fosse
generata «una vera e propria spaccatura tra
la filosofia idealista e il pensiero scientifico, a partire dall’ingresso della teoria relativista di Einstein dopo la prima guerra
mondiale». Tra i sostenitori delle tesi relativiste Maiocchi ha annoverato Tullio Levi
Civita, Augusto Righi e Mario Pantaleo.
Tra le fila degli oppositori troviamo, oltre
agli idealisti Croce, Gentile, Ugo Spirito, i
neotomisti Giuseppe Sanfranceschi e Paolo Rossi, e il neokantiano Enrico Fermi,
mentre Federico Enriques non si accorse
62
dell’originalità delle teorie einsteiniane.
L’inattualità dell’opera di Federigo Enriques, ha osservato Ornella Pompeo Faracovi, portò questi ai margini della cultura
scientifica tra le due guerre. Il centro del
suo pensiero sta nel rapporto tra spazio
reale e spazio rappresentato così come viene presentato dalla geometria non euclidea: l’originalità o la sua inattualità consiste nell’aver legato i postulati spaziali della
geometria a criteri psicologici. Le azioni
della geometria sono infatti delle costruzioni, alla cui origine sta l’intuizione che
offre al geometra la possibilità di tradurre
in assiomi matematici la realtà.
Riprendendo la dialettica della verità oggettiva e del valore storico in Albert Lautman, Jean Petitot ha messo in luce l’istanza
storica all’interno della verità scientifica,
che in questo senso non è già là per sempre,
ma è continuamente costruibile. La storia,
vista non in una prospettiva evoluzionista
della scienza, bensì all’interno di un’ermeneutica scientifica, è terreno inesauribile di
significazione, in cui agiscono le idee problematiche della scienza, prese nel loro valore ermeneutico di costituzioni obiettive. Fabio Minazzi si è infine soffermato sul rapporto ostile tra scienza e filosofia. Se a Banfi
tale ostilità risultava paradossale in un paese
come l’Italia, Preti sosteneva che la filosofia doveva «darsi un metodo, o dei metodi,
risolvere il caos delle logiche, definire i suoi
contatti con tutto il resto della cultura, così da
potersi inserire come forza attiva». G.Di L.
CONVEGNI E SEMINARI
Cassirer, cinquant’anni dopo
Organizzata dalla rivista «Informazione Filosofica» in collaborazione con la
«Rivista di storia della filosofia», il 14
maggio 1996, presso l’Università degli
Studi di Milano, si è tenuta una “GIORNATA DI STUDIO SU ERNST CASSIRER ”, con la
partecipazione di Massimo Ferrari, Renato Pettoello, Stefano Poggi, Enno
Rudolph. Nell’ambito dell’attuale ripresa di interesse per la filosofia di
Cassirer, si segnalano, in Italia, l’ampia monografia di Massimo Ferrari,
ERNST CASSIRER . DALLA SCUOLA DI MARBUR GO ALLA FILOSOFIA DELLA CULTURA (Olschki,
Firenze 1996) e la traduzione di un
testo che testimonia l’importanza del
pensiero di Goethe per la riflessione
filosofica di Cassirer: GOETHE E IL MONDO
STORICO (a cura di R. Pettolello, Morcelliana, Brescia 1995). In lingua inglese è
stato pubblicato, con il titolo THE PHILOSOPHY OF SYMBOLIC FORMS . VOLUME FOUR:
THE METAPHYSICS OF SYMBOLIC FORMS (a
cura di J. M. Krois e di D. Ph. Verene,
Yale University Press, New Haven e
Londra 1996), il IV volume inedito
della ‘Filosofia delle forme simboliche’ di Cassirer che fa seguito alla sua
apparizione in edizione critica tedesca nel 1995.
In apertura della giornata di studi milanese Massimo Ferrari ha ripercorso le
tappe fondamentali dell’esperienza intellettuale di Cassirer, soffermandosi
sui temi del rapporto con la tradizione
filosofica, del confronto con la discussione epistemologica della fisica moderna, dell’allargamento della critica (kantiana) della ragione in una critica trascendentale della cultura. Enno Rudolph ha sottolineato le ragioni della mancata ricezione della filosofia di Cassirer
nel dibattito tedesco del dopoguerra. Da
un lato l’hegelismo difeso, su versanti
opposti, dalla teoria critica della scuola
di Francoforte e dalla scuola di Joachim
Ritter, dall’altro il crescente peso dell’ermeneutica heideggeriana hanno contribuito ad una “ghettizzazione” del neokantismo, in cui con troppa facilità si è
cercato di risolvere la proposta filosofica cassireriana. Stefano Poggi si è soffermato invece sulla “fortuna” del pensiero di Cassirer in ambito italiano fin
dagli anni precedenti il conflitto bellico;
mentre Renato Pettoello ha messo in
evidenza le tensioni interne del tentativo
cassireriano di conciliare Kant con Goethe.
L’ampia monografia di Massimo Ferrari dedicata a Cassirer costituisce il
tentativo più aggiornato in ambito italiano di ricostruire l’intreccio multiforme
della riflessione cassireriana, senza comprimerla su un solo aspetto settoriale o
ridurla al semplice piano biografico. Piuttosto Ferrari avanza una precisa propo-
sta interpretativa: accostare l’opera di
Cassirer come un gioco di «rispecchiamenti ripetuti» (secondo un’immagine
goethiana), in cui riescono a convergere
molteplici prospettive di indagine. Questo tentativo di pervenire a un «quadro
ad un tempo unitario e differenziato»
dell’opera di Cassirer è arricchito da un
costante rimando alla situazione della
filosofia tedesca (e non solo) dei primi
decenni del Novecento e da una puntuale
ricostruzione del dialogo di Cassirer con
alcuni dei momenti più “alti” del dibattito contemporaneo: uno specifico capitolo, per esempio, è dedicato alla interpretazione cassireriana della teoria della
relatività e alle reazioni da parte neopositivistica (Schlick e Reichenbach).
Ampiamente analizzati sono anche il retroterra storico e i termini filosofici del
confronto fra Cassirer e Heidegger; particolarmente ricca, poi, è la ricostruzione dei rapporti intrattenuti da Cassirer
con l’ambiente intellettuale della Biblioteca Warburg e, in particolare, con Panofsky. Ma altri e molteplici confronti
punteggiano tutti i capitoli del libro: da
quello sulla genesi e struttura dell’opera
di Cassirer sul Problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza
dell’età moderna (che sfata il mito di un
Cassirer storico della filosofia sic et simpliciter), a quelli sulle fonti leibniziane
delle Forme simboliche e sulla filosofia
della cultura, dove acquista rilievo il
confronto di Cassirer con Dilthey, Simmel, Scheler.
Per quanto riguarda l’ampia riflessione,
o meglio ridefinizione cassireriana dei
temi di quella linea di pensiero che da
Leibniz conduce a Goethe, Ferrari fa
notare come con Libertà e forma, del
1916, dedicata alla storia spirituale della
cultura tedesca, Cassirer esprima una
presa di distanza dalla retorica nazionalistica del germanesimo, diffusa negli
anni del primo conflitto mondiale (da
cui non furono esenti gli stessi maestri di
Cassirer: Cohen e Natorp). Ciò testimonia di quel peculiare cosmopolitismo e
umanesimo, da cui trae origine quella
inflessione etica e politica della filosofia
cassireriana che la critica recente (Krois, Paetzold) ha evidenziato, seppure relegandola unilateralmente nell’ultima
fase della sua ricerca.
In un suo precedente lavoro, Il giovane
Cassirer e la scuola di Marburgo (1988),
Ferrari metteva in luce la specifica componente “leibniziana” che Cassirer innestava nel tronco del neokantismo. Nella
monografia attuale l’attenzione per le
ascendenze leibniziane di Cassirer è ripresa, ma viene soprattutto arricchita
mediante l’individuazione di quel filo di
continuità da Leibniz a Goethe che costituisce il peculiare referente storicoideale cui si rifà la ricerca di Cassirer e in
Ernst Cassirer
63
CONVEGNI E SEMINARI
cui si situa anche la sua rilettura di Kant.
In particolare, come mostra Ferrari, Cassirer sembra trarre da Goethe non solo
ispirazione per il suo progetto di una
Formenlehre (teoria delle forme), di una
“morfologia” dello spirito, ma soprattutto quello stile di fondo che contraddistingue i «rispecchiamenti ripetuti» in
cui si compendiava il senso della sua
stessa opera. Questo filo “goethiano”
della riflessione di Cassirer è individuato anche da Renato Pettoello nella sua
“Introduzione” all’edizione italiana di
Goethe e il mondo storico, che raccoglie
tre saggi cassireriani apparsi per la prima volta in volume nel 1932, in occasione del primo centenario della morte di
Goethe. Nella riflessione filosofica di
Cassirer, Goethe riveste un ruolo centrale: «Un saldo punto di unità, un centro
ideale nel quale convergono diverse tensioni spirituali ed esigenze speculative,
lungo una linea ideale: Leibniz-KantGoethe».
Un evento editoriale di grande rilievo è
la pubblicazione in edizione “americana” del IV volume, finora inedito, della
Filosofia delle forme simboliche. Nell’ambito di una riedizione dei testi di
Cassirer, si segnala invece la pubblicazione della raccolta di saggi Dall’Umanesimo all’Illuminismo (La Nuova Italia, Firenze 1995), che a suo tempo fu
curata da P.O. Kristeller. Si tratta di
saggi che Cassirer pubblicò tra il 1930 e
il 1945, dei quali i più furono scritti
durante il suo esilio in Svezia e negli
Stati Uniti. Solo per una convenzione
peraltro discutibile si può parlare di questi saggi come aspetti “minori” della
produzione di Cassirer; in realtà essi ci
mostrano - come ha evidenziato anche
Enno Rudolph - una peculiare tendenza
della sua ricerca storica e filosofica:
quella di interpretare il Rinascimento
attraverso il concetto di Illuminismo e di
riscoprirlo come “primo Illuminismo”.
R.L.
Cristianesimo e modernità
La Pontificia Università Gregoriana
di Roma promuove ogni anno un
ciclo di letture di pagine significative, tratte da testi di autori cristiani,
con l’intento di offrire a studenti e
studiosi la possibilità di “dialogare”
con il pensiero di questi autori mediante un’interpretazione metodologicamente corretta e criticamente
aggiornata. Tra il 22 febbraio e il 16
maggio 1996, si sono tenuti otto
incontri, seguiti ognuno da una discussione sul rapporto tra cristianesimo e modernità in alcuni tra i maggiori filosofi della tradizione occidentale.
Il ciclo si è aperto con una lectura di testi
di Francisco Suarez (“Suarez metafisico”), tenuta da Costantino Esposito. Da
alcune pagine delle Disputationes Metaphysicae è emersa la concezione suareziana dell’ente secondo la quale l’esistere risulta non originario, ma quasi una
contrazione dell’essenza. Il concetto di
ente costituisce per Suarez l’oggetto
adeguato della metafisica, ma è fondamentale anche per la teologia, che vacillerebbe senza i principi fondati dalla
metafisica.
Nella seconda lettura (“Dio ingannatore
e genio maligno”), incentrata sulle Meditationes de prima philosophia di Cartesio, in particolare sulla prima meditatio e sulle secundae obiectiones, Tullio
Gregory ha mostrato come nel testo cartesiano emerga la distinzione tra l’inganno sulla realtà esterna (che può essere causato da un genio maligno), e il
dubbio radicale che mette in crisi le
verità matematiche, del quale solo Dio
può ritenersi responsabile. La figura del
“Dio ingannatore”, ha d’altra parte osservato Gregory, non è solo un’ipotesi di
Cartesio, ma risulta radicata nella tradizione teologica tardomedievale.
Nella terza lettura (Il “verum factum” e
l’“universale fantastico”), Francesco
Botturi ha illustrato come in Vico emerga, da alcune pagine del De antiquissima
italorum sapientia, il tema del “verumfactum”, secondo il quale la conoscenza
umana equivale ad una composizione
degli elementi che porta alla luce la forma della cosa: il vero risulta così oggetto
di produzione. Tale concezione è stata
ricollegata da Botturi a quella dell’universale e del fantasico, nozioni presenti
nella Scienza nuova seconda e nell’Idea
dell’opera: i generi fantastici si producono, come gli universali, dalla convergenza di elementi comuni, operata dall’ingegno dell’uomo nell’età degli dei;
la conoscenza poetica è allora la conoscenza originaria della mente.
Nella quarta lettura (“Cum Deus calculat”), Gino Roncaglia ha analizzato un
testo di Leibniz, De veritatibus primis,
databile tra il 1677 e il 1680. Partendo
dall’affermazione per cui omne possibile exigit existere (tutto ciò che è possibile deve esistere), Leibniz si chiede come
mai non tutti i possibili esistano, trovando la risposta nella compossibilità; esiste cioè una combinazione che permette
la coesistenza della massima quantità di
essenza: Dio crea così il migliore dei
mondi possibili.
Nella quinta lettura, Salvatore Spera ha
presentato un testo di Soren Kierkegaard,
Briciole Filosofiche, rilevando nella frase introduttiva il problema se possa esserci “nella storia un punto di partenza di
una coscienza eterna”; problema a cui
Kierkegaard risponde positivamente:
chiunque infatti può arrivare a Cristo,
anche il “discepolo di seconda mano”,
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che non lo ha conosciuto direttamente.
Nella “Morale” finale del testo Spera ha
mostrato la ripresa dei temi fondamentali, dalla considerazione della fede come
nuovo organo, nuovo presupposto alla
nuova decisione che sorpassa l’esperienza socratica.
La sesta lettura, dedicata a John Henry
Newman, è stata tenuta da Onorato
Grassi, che ha preso in esame la seconda
parte della Grammar of Assent (Grammatica dell’assenso), in particolare le
pagine che si riferiscono all’inferenza.
Grassi ha notato come Newman illustri
le modalità seguite dalla mente umana
nella conoscenza, quando non si possa
procedere da verità evidenti. Nel campo
dell’esperienza, infatti, noi inferiamo una
verità attraverso la convergenza delle
premesse verso un “centro comune”.
Nella settima lettura Peter Henrici ha
esposto L’Action, di Maurice Blondel,
facendo emergere dal testo il problema
del senso della vita e il luogo ove Blondel cerca la risposta, cioè nell’agire dell’uomo. Henrici ha sottolineato anche il
metodo filosofico utilizzato da Blondel,
che si basa sulla constatazione dei fatti,
sulla loro circoscrizione e sull’utilizzazione delle informazioni negative. In
Blondel la filosofia arriva a dimostrare
che la ragione non è autosufficiente,
poiché l’azione dell’uomo trascende
l’uomo stesso.
Il ciclo si è chiuso con una ottava lettura
(“Fine della modernità”) a opera di Paolo Nepi. Prendendo spunto dal triplice
significato, etimologico, storico e concettuale, che il termine modernità può
assumere, Nepi ha messo in rilievo la
lettura ambivalente di questo periodo,
determinata dalla eterogenesi dei fini
che si è venuta attuando: dalla fiducia
nella ragione si è giunti alla crisi della
ragione stessa. Ciò ha messo in luce
alcuni paradigmi di interpretazione, quali
la secolarizzazione e il senso dell’illimitato, e ha permesso di caratterizzare il
rapporto tra modernità e cristianesimo
come un incontro non esente da contrasti, basato soprattutto sui problemi etici
(per esempio quelli sollevati dalla bioetica).
Il ciclo si è concluso con un intervento di
Andrea Di Maio che ha osservato come
il tema prescelto potesse anche intendersi come la persistenza nella modernità
del cristianesimo, che è presente trasversalmente in tutte le epoche e pone ai
cristiani il compito di confrontarsi con i
valori e i problemi del proprio tempo; la
prima sfida cui il cristianesimo deve
rispondere è identificata con il problema
della secolarizzazione. G.S.
CONVEGNI E SEMINARI
Filosofia a Bariloche
Dal 29 al 31 agosto 1996 si è svolto
nella città argentina di S. Carlos de
Bariloche, ai piedi delle Ande, il “TERZO
CONVEGNO INTERNAZIONALE BARILOCHE DI
FILOSOFIA ”,
a cura della Fondazione
Bariloche, dell’UNESCO, delle università di Buenos Aires, La Plata, Còrdoba, Comahue, del Centro de Investigaciones Filosòficas di Buenos Aires e
della Società argentina di analisi filosofica. Sul tema “Ripensare la filosofia
oggi” si sono confrontati oltre cento
relatori provenienti da America Latina, Europa, Stati Uniti e Israele.
Identità e significato della filosofia in
relazione alle scienze e all’insieme dell’attività umana; valutazione e bilancio
dell’attività filosofica nei suoi diversi
settori di ricerca; ruolo della filosofia di
fronte ai grandi temi che attraversano il
mondo contemporaneo, filosofia politica e democrazia, femminismo, identità
comunitarie, tecnoscienza: sono state
queste le direzioni principali di discussione che hanno caratterizzato il Terzo
Convegno Bariloche di Filosofia.
Tra i vari interventi, molti relatori hanno
sottolineato come anche la filosofia non
sfugga all’incertezza che caratterizza
quest’ultimo scorcio di millennio. Secondo Oscar Nudler (Fondazione Bariloche) e Patrice Vermeren (UNESCO),
alcune delle principali tendenze critiche
possono essere individuate nella crisi
dell’idea illuminista di “sistema filosofico”. Contro tali tratti negativi, Quintìn Racionero (Università Complutense
di Madrid) ha parlato di “potenzialità
filosofica” di grande spessore: la potenzialità filosofica propria di tutti i momenti critici di transizione. Sulla stessa
linea di discorso è intervenuto anche
Luca Scarantino (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales), che ha ribadito il ruolo culturale insostituibile della
filosofia.
Secondo Marcelo Dascal (Università di
Tel Aviv), l’idea sistematica della filosofia come sapere assoluto ha subìto, tra
la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, gravi contraccolpi: la scoperta
della psicoanalisi e lo spodestamento
del ruolo privilegiato della coscienza nel
processo di fondazione della conoscenza; la difficoltà di istituire un sapere
speculativo che trascenda la dimensione
storica, economica e culturale; l’abbandono di un modello “realista” di scienza
in favore del modello “ipotetico-deduttivo”; il procedere del pragmatismo
scientifico a scapito del fondazionismo.
Questa nuova realtà mette in crisi l’idea
sistematica della filosofia e conduce ad
un suo riposizionamento in relazione alle
scienze e alla vita pratica, dove la filosofia non può più essere definita a partire
dal progetto di un sapere assoluto rispet-
to alla diversità della conoscenza umana. Per contraddistinguere oggi, nel momento di un’accettata autonomia dei saperi particolari e delle pratiche individuali e sociali rispetto alla filosofia, il
senso dell’attività filosofica in quanto
tale è necessario, secondo Michael Wrigley (Università di Campinas) e Junqueira-Smith (Università di Curitiba),
fare riferimento all’“attività” filosofica
piuttosto che alla “dottrina” o alla “teoria”, secondo quanto indicato da Wittgenstein, che distinse il “privo di senso”
(sinnloss) delle pseudoproposizioni del
Tractatus, dal “senso” del Tractatus, in
quanto attività volta a mostrare i limiti
tra ciò che può essere detto in modo
sensato e ciò che non può esserlo.
L’assunzione della filosofia come definizione dei limiti è stata affrontata da
Oscar Nudler in relazione a quelli che
chiama «filosofi del limite», i cui casi
paradigmatici sono Socrate e Wittgenstein. Esaminando il modo in cui Kant e
Wittgenstein affrontano la nozione di
limite, Nudler ha osservato che il significato non ne rappresenta una delimitazione di un settore - la conoscenza o il
linguaggio dotato di senso - ma la relativizzazione filosofica di un dominio in
vista dell’apertura di un altro campo.
Così, accanto a un contenuto negativo
dell’idea di limite (il tracciato della frontiera come chiusura) esiste un contenuto
positivo, in relazione con la liberazione
di un orizzonte che può apparire in condizioni radicalmente nuove. Secondo
Quintìn Racionero, «alla filosofia sembra spettare un duplice ruolo in relazione al concetto di limite: reinventare lo
stupore a partire dalle domande filosofiche non sui “dati”, ma volte a mostrare i
limiti di un determinato sistema concettuale, e recuperare una dimensione di
“mediazione” e “dialogo” tra gli spazi
separati, che solo la filosofia può rappresentare». Se il pensiero postmoderno ha
saputo opporsi all’idea di “unità riduttrice” soggiacente al concetto sistematico
di filosofia, insistendo sulla dimensione
di “differenza” inerente al pensiero umano, «il pericolo che incombe oggi sulle
nostre culture» - ha ammonito Patrice
Vermeren - «non è più tanto lo spirito di
sistema, quanto lo spirito di indifferenza». La mera esistenza della pluralità
non è condizione sufficiente affinché la
differenza circoli in un senso filosofico,
dando luogo ad un dialogo con il sostrato
filosofico ricevuto in eredità. Un dialogare che abbia senso per la filosofia non
può sottrarsi alle tradizioni storiche della filosofia, come neppure alle nuove
forme di cultura filosofica che acquistano valore nell’attualità. La sfida è mettere i due universi in situazione di dialogo.
F.N.
65
Bicentenario rosminiano
In occasione del bicentenario della
nascita di Antonio Rosmini, presso
l’Abbazia Sacra di San Michele, si è
tenuto nei giorni 7 e 8 giugno 1996,
promosso dall’Università di Torino e
dal Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, un convegno dal
titolo: “ROSMINI E LA CULTURA DEL RISORGIMENTO - ATTUALITÀ DI UN PENSIERO STORICOPOLITICO”. Il convegno ha inteso affrontare il pensiero di Rosmini sia in ambito politico che in quello religioso, mettendolo a confronto con quello di altri
pensatori italiani ed europei non solo
nell’ambito delle vicende storiche risorgimentali. Successivamente, presso il Centro Internazionale di Studi
Rosminiani di Stresa si è tenuto, nell’agosto 1996, il “SECONDO CORSO STRAORDINARIO DELLA CATTEDRA ROSMINI”, che
ha voluto analizzare i rapporti del pensiero rosminiano con la filosofia moderna e gli stimoli che esso offre alla
riflessione contemporanea.
Aprendo i lavori del convegno all’Abbazia Sacra di San Michele, Vittorio Mathieu ha presentato un’ipotesi paradigmatica: se avesse vinto la linea politica
rosminiana nel 1848, non ci sarebbe probabilmente stata quella rottura insanabile fra cattolicesimo e liberalismo che
caratterizzò invece la storia italiana successiva.
Giorgio Campanini ha analizzato l’incidenza di Rosmini sul piano europeo
sotto il profilo sia politico, sia filosofico, mostrando come Rosmini seppe rimanere immerso nel dibattito coevo intervenendo soprattutto attorno a tre temi:
la concezione della persona, adottando
la definizione kantiana della persona
come fine; la critica all’idea di progresso, inteso nel senso totalitario del perfettismo della Rivoluzione francese; la valenza pubblica della famiglia, considerata la cellula sociale di base. Sulle polemiche che Rosmini ingaggia costantemente contro le ideologie della Rivoluzione Francese si è soffermato Francesco Traniello nella prospettiva del contributo di Rosmini al Risorgimento italiano. Dopo un approccio inizialmente
reazionario, Rosmini approda al superamento di un’analisi solo politica della
rivoluzione, accedendo al suo senso più
propriamente storico, nell’orizzonte delle vicende europee. In questo modo, secondo Traniello, Rosmini perviene all’analisi del dispotismo nel suo polimorfismo, al rifiuto critico del concetto di
sovranità e di pubblico potere che fagocita i diritti del singolo, come pure di
sovranità nazionale, alla quale Rosmini
contrappone la sovranità del popolo che
si organizza in apparato civile. L’irreversibilità che l’evento rivoluzionario
ha determinato anche in ambito religio-
CONVEGNI E SEMINARI
Antonio Rosmini
so conduce Rosmini al superamento delle posizioni intransigenti della restaurazione cattolica, prospettando un cambiamento sia culturale che istituzionale all’interno della Chiesa cattolica, nel recupero di una efficace interazione fra
individuo, società e persona, in una circolarità di diritto oggettivo e soggettivo,
di doveri e di diritti, in cui, come ha
sottolineato Annamaria Tripodi, si radica il significato più completo e alto di
soggetto umano.
Michele Nicoletti ha proposto una riflessione sul federalismo di Rosmini attraverso l’analisi del Saggio sulla unità
d’Italia scritto a Milano sulla spinta degli eventi quarantotteschi. Nicoletti ha
evidenziato il fondamento realista della
proposta rosminiana, nata dalla considerazione della positività della composizione multiforme degli stati e delle culture italiane, e dal timore che un’unificazione nazionale imperniata sull’appiattimento piemontese avrebbe prodotto
intolleranza e sopruso. Luciano Malusa
ha ripercorso le tappe di tale esperienza,
ricordando come le preoccupazioni eminentemente politiche di Rosmini mal si
accordassero agli immediati interessi
pratici dei Savoia. Sui difficili rapporti
di Rosmini con la cultura piemontese si
è soffermato Umberto Levra. Mentre è
ben documentata l’amicizia che unì Rosmini alla famiglia Cavour, sulla quale
si è soffermato Alfeo Valle, più aperta è
l’analisi dei rapporti di Rosmini con il
moderatismo piemontese, di cui condivideva la sensibilità per gli studi storici,
la tensione antinapoleonica e le riflessioni di economia politica. Non altrettanto facile era per Rosmini sentirsi in
sintonia con l’immagine secondaria attribuita dai Savoia alla Chiesa cattolica.
Ciò è emerso anche dalla relazione di
Fulvio De Giorgi, che ha sottolineato
l’originalità della concezione teologica
di Rosmini, guidata da un ideale di carità
intellettuale che passa attraverso l’ab66
bandono mistico e la contemplazione
della bellezza.
Paolo Marangon ha offerto un’ampia
ricognizione delle Cinque Piaghe della
Santa Chiesa, opera nella quale sono
rinvenibili tracce di diverse visioni ecclesiologiche: accanto alla Chiesa-sposa, di origine patristica, troviamo la Chiesa del Cristo segnata dal dolore, la Chiesa provvidenziale, e infine la Chiesa come
realtà dinamica, ermeneuticamente aperta ai tempi e coinvolta, come la società,
in periodi critici e organizzatori, epoche
di marcia e di stazione, secondo un disegno implicito nei piani di Dio. Ha chiuso
il convegno Umberto Muratore, che ha
messo a fuoco la dimensione etica sottesa alla concezione politica rosminiana:
la politica per Rosmini è morale per sua
stessa natura, in quanto è al servizio
della persona che, a sua volta, è diritto
sussistente, base della morale.
Punto di partenza del convegno di Stresa
è stato un ripensamento del pensiero
CONVEGNI E SEMINARI
moderno. Sull’ipotesi di un “altro moderno” hanno discusso Vittorio Mathieu
e Piero Prini. All’immagine classica e
razionalista del moderno, che vuol fare
della filosofia una scienza e che si dipana da Cartesio a Hegel, si contrappone
una diversa dimensione del moderno:
quella del finito. E proprio Rosmini ribadisce la possibilità e la veridicità di
una filosofia del finito che giustifica
l’evidenza non razionale o discorsiva,
una diversa linea interpretativa del pensiero moderno, secondo la quale compito della filosofia cristiana è la riunificazione di razionalismo teologico ed esistenzialismo religioso. In questo quadro
ermeneutico si sono mosse le annotazioni di Massimo Borghesi, Edoardo Mirri e Armando Rigobello.
Il legame di Rosmini con la problematica aperta da Cartesio è stato analizzato
da Ugo Perone, che ha mostrato come
nel pensiero di Cartesio sia presente
un’insanabile tensione e un’ambigua
compresenza tra l’elemento laico e quello religioso. Rosmini, sottolinea Perone,
nell’intraprendere la propria rigenerazione della filosofia, cerca invece di ricollegarsi alla tradizione cristiana. Xavier Tilliette ha poi esaminato le critiche di Rosmini all’idealismo tedesco,
che hanno portato il filosofo a trascurare
quegli schematismi religiosi e cristiani,
soggiacenti a questa tradizione speculativa, che con tanto impegno egli stesso
contribuiva a restaurare.
Francesco Mercadante ha insistito sul
fatto che le idee rosminiane di rigenerazione della tradizione religiosa cristiana
divengono concreto programma di azione anche e soprattutto nei riguardi della
questione politica, rimarcando il fatto
che Rosmini pensava ad una confederazione italiana, fondata su una costituzione originale elaborata dalla società civile, l’unica che potesse dare un’unità al
popolo italiano. Nella società ipotizzata
da Rosmini, ha proseguito Evandro
Botto, gli individui non rinunciano a
nessuno dei loro diritti naturali, ma consentono che sia una sola mente, la società civile, a farsi carico di questo regolamento. Sergio Cotta ha invece sottolineato come la rosminiana società naturale non estrometta il divino dalla natura
umana e si fondi ontologicamente sul
singolo individuo sussistente, portatore
dei diritti naturali e dei principi della
loro applicazione. Clemente Riva,
Umberto Muratore e Giambattista
Zantedeschi, ricordando la continuità e
la perennità della filosofia, hanno infine
invitato alla partecipazione e alla corresponsabilità nella concreta realizzazione delle potenzialità contenute nella via
moderna da Cartesio a Rosmini, e oltre
Rosmini. C.B./S.N.
Agostino interprete
dell’Occidente
Organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze dell’Università di Venezia e dalla Parrocchia di
Santo Stefano in Venezia, nei giorni 24 maggio 1996, si è svolto, presso la
Sagrestia Maggiore di quest’ultima,
un convegno dal titolo: “SANT’AGOSTI NO E IL DESTINO DELL ’OCCIDENTE ”. Gli interventi si sono raccolti sotto diverse
tematiche: “Fede e intelligenza”,
“l’Anima”, “la Storia” e “S. Agostino
e il destino dell’Occidente”.
Mario Ruggenini (“Quaerere Deum. La
ricerca di Dio e la comprensione della fede
in Agostino”) ha mostrato come in Agostino il Dio desiderato e ricercato sia, da un
lato, un Dio ancora platonico, simile anzi
all’essere immutabile neoplatonico, dall’altro un Dio abissale, biblico, conoscibile
solo sprofondandosi in un’interiorità non
greca, quella della fede, che è dono. Ruggenini ha sottolineato l’intreccio paradossale
per cui la fede è necessariamente legata
all’annuncio mediato dalla parola umana e,
inoltre, l’inseparabilità in Agostino di filosofia e teologia, tipica del pensiero greco
classico.
Sergio Rostagno (“Libertà e servitù dell’uomo”) ha sottolineato il senso circolare
e dialettico del pensiero di Agostino, in cui
la domanda non presume mai di muovere
da un inizio assoluto e il cercare non trova,
ma è un esser trovato da Dio. L’uomo si
muove entro questa dialettica, in cui libertà
e servitù sono inscindibili, così come la
faccia temporale e quella intemporale della
realtà. Agostino pone la perfezione nell’intentio, come incessante ricominciare secondo l’intenzione e insegna con ciò all’Europa a essere attiva e a non arrendersi
al male feticizzandolo. Italo Sciuto (“Se
Dio, perché il male?”) ha focalizzato le
questioni di “teodicea” che attraversano in
profondità il pensiero di Agostino, caratterizzato dal fatto di sottrarre peso alle domande che cercano una risposta causale,
per soffermarsi sulla questione «qual è il
senso del male?». La determinazione di
questo senso, ha osservato Sciuto, è attingibile per Agostino solo nella vicenda, nel
percorso, che ogni uomo compie attraverso
la luce e le tenebre per giungere là dove
esse non si mescolano più.
Luigi Ruggiu (“Il tempo e l’anima in Agostino”) ha sottolineato come Agostino, nel
porre la domanda: «che cos’è il tempo?»,
sposti l’accento dal “che cosa” al “dove” è
il tempo e assegni alla questione anche una
valenza pratica: il tempo è nell’anima in
quanto interiorità ed è sia tensione verso il
nulla, dispersione nel molteplice, sia, anche, tensione positiva verso il futuro, in
cammino verso l’eternità di Dio. Con uno
sguardo esplicitamente rivolto alle odierne
Alessandro Botticelli, Sant’Agostino (1495, part.)
67
CONVEGNI E SEMINARI
questioni di bioetica, Marta Cristiani
(“L’anima e l’infanzia”) ha confrontato le
posizioni di Agostino intorno all’anima dei
bambini con quelle di Tertulliano che, con
gli Stoici, negava a essa intelletto e sapere;
di contro, per difendere il primato dell’anima razionale, che non può confondersi con
le forze che animano il corpo, Agostino
riprende il concetto platonico di reminiscenza per sostenere che l’anima del bambino ricorda e dunque è tutt’altro che sprovvista di sapere.
Luigi Alici (“Agostino e il futuro dell’interiorità”) ha richiamato quegli aspetti dell’accezione agostiniana dell’interiorità che
restano al riparo dai legittimi sospetti sollevati dalla filosofia contemporanea. Di fronte
al sospetto di sostanzializzazione dell’inte-
Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici
Palazzo Serra di Cassano
Via Monte di Dio14, Napoli
Esistenza, sogno e follia
in Binswanger
Con il titolo “LA CATTEDRALE SOMMERSA.
ESISTENZA, SOGNO E FOLLIA NELL ’ANALISI
ESISTENZIALE DI LUDWIG BINSWANGER”, Bianca Maria D’Ippolito ha tenuto, dal 13 al
17 maggio 1996, un seminario il cui
scopo è stato di mostrare come, nell’indagine filosofica di Binswanger, fenomenologia e psichiatria si trovino
unite nell’indagare le diverse modalità dell’esistenza umana e nel mostrarne la continuità.
In Binswanger, la metafora della cattedrale
sommersa, ha esordito Bianca Maria D’Ippolito, coglie l’essenza della sua visione
tragica del mondo. La profonda analogia tra
l’attività letteraria e l’esperienza clinica, già
sottolineata da Freud, viene messa a fuoco
da Binswanger nel rapporto tra poesia-filosofia-follia, in cui l’esperienza estetica, etica
e schizofrenica si trovano intimamente unite
non solo per penetrare il mondo altro del
malato, ma anche per rivelare qualcosa che è
al fondo dell’esperienza umana. In Tre forme di esperienza mancata (1956, stramberia, esaltazione fissata, manierismo) Binswanger mostra come nella follia si manifesti un elemento comune a tutta l’esistenza
umana. Il rapporto altezza-profondità-ampiezza come ascesi e caduta nel loro significato poetico, estetico e morale giocano in
riorità, Agostino ci propone un’interiorità
dinamica e attiva, ben lontana dal paradigma statico-essenzialista platonico; al problema del dualismo interno-esterno, l’interiorizzazione agostiniana del conflitto tra
bene e male risponde lasciando cadere tale
distinzione; infine, per quanto riguarda il
sospetto di solipsismo, l’interiorità agostiniana, secondo Alici, proprio nell’approfondirsi, fa accrescere il dialogo con la
comunità. Bruno Forte (“Teologia della
storia: Agostino e Gioacchino da Fiore”)
ha proposto una possibile teologia della
storia attraverso l’integrazione reciproca
di Agostino e Gioacchino da Fiore. Se la
“metafisica della conversione” di Agostino insiste soprattutto sull’istante, come
momento di rottura, in cui la città terrena si
converte in città di Dio, e rischia con ciò di
lasciare nel disprezzo il tempo ordinario
dell’esistenza, la teologia trinitaria di Gioacchino restituisce dignità al tempo storico, restando al riparo da esiti hegeliani o
meramente ideologici.
Nella tavola rotonda su “S. Agostino e il
destino dell’Occidente”, Roberta De Monticelli ha proposto una lettura fenomenologica di Agostino che, sostituendo il concetto di “interiorità” con quello di “intenzionalità”, muove alcune obiezioni sia al modo
di affrontare il problema “mente-corpo” in
campo “analitico”, sia al modo heideggeriano di pensare la Sorge (Cura). Salvatore
Natoli ha invece sottolineato come Agostino abbia tolto al paganesimo la possibilità
di reperire nella vita terrena l’elemento di
Binswanger un ruolo centrale per la determinazione della modalità esistenziale dell’individuo.
Muovendo dall’analisi del termine “vissuto”, D’Ippolito ha tracciato la storia del concetto dalla sua origine goethiana (laddove
nel romanzo di formazione esso sta a significare il cammino di trasformazione di un
soggetto), alla sua formalizzazione filosofica nel pensiero di Dilthey e nella fenomenologia di Husserl. Dopo aver sottolineato che
il vissuto, secondo Dilthey, è la vita nella sua
immediatezza, che lascia una traccia nella
coscienza dell’uomo e che porta sempre con
sé un senso, D’Ippolito ha messo in evidenza
che esso contiene un pensiero tacito, un
ordine che non è imposto dall’alto, dalle
regole dell’intelletto, ma che di esse prepara
l’avvento. Mentre per Dilthey c’è coincidenza, nel vissuto, di soggetto e oggetto, di realtà
e coscienza, nel vissuto husserliano interviene uno scarto, essendo privilegiato il momento del significare, l’intenzionalità della
coscienza, il movimento della trascendenza.
Tali elementi, ha rilevato D’Ippolito, dimostrano che la coscienza non consiste in un
essere compatto, in un’immediata autotrasparenza, ma in un qualcosa di spezzato, che
ha accolto in sé il niente e l’assenza per
volgersi verso l’alterità.
Nella riflessione binswangeriana i concetti di fenomeno e di essenza della fenomenologia di Husserl e di Scheler, nonché della lettura heideggeriana, servono secondo D’Ippolito come guide attraverso cui
ci si può avvicinare al mondo del malato per
riconoscere che l’alterità estraniata è pur
sempre un vissuto dotato di senso. Il fenomeno, inteso come enigma, come qualcosa da
interpretare, e l’essenza, ossia la possibilità
di identificare una regolarità che appartiene
a esperienze individuali, assumono in Binswanger un aspetto drammatico: la visione
del senso è quella contenuta nella metafora
della cattedrale sommersa. Solo la fenomenologia, come paziente ispezione dei
fenomeni nella loro mobilità, nella molteplicità del loro apparire, permette di
superare quel pregiudizio psicologicofilosofico che ritiene la percezione sensi-
bile l’unica forma possibile di esperienza.
A modificare profondamente la regolarità, la
tipicità propria di un’esperienza strutturata,
ha rilevato D’Ippolito, è la poesia e con essa
la metafora, “patria” esistenziale nella teoria
dell’immaginazione di Binswanger, che si
avvicina alla concezione dell’immaginemetafora di Bachelard, per il quale è metafora in senso stretto quell’immagine cui appartiene una dimensione ontologica. Certe
espressioni metaforiche indicano lo spezzarsi improvviso del rapporto di familiarità e di
fiducia col mondo, rivelando, nell’attimo
senza tempo di Kierkegaard, l’essere preda
della vertigine quando si getta lo sguardo in
quell’abisso che può ingoiare fino all’esperienza delirante e sull’orlo del quale vive il
genio poetico, facendo fronte al terribile,
elemento costitutivo dell’esperienza di fondo dell’Esserci. Per Binswanger l’improvviso è una caduta e questa, assieme all’ascesi,
come ha sottolineato già Bachelard, è un’immagine in senso ontologico.
Per quanto riguarda la tematica del sogno,
elemento centrale nella speculazione di Binswanger, Bachelard ritiene che esso sia
rivelatore della condizione morale del soggetto, in quanto l’essere percepisce come il
desiderio di elevazione e di altezza lo configuri moralmente. Il tema dell’immaginario
pervade così anche il sogno, che non è soltanto evento che avviene nell’inconscio, ma
è forma in cui si manifesta il rapporto tra la
figurazione e il sentimento: l’emergere di
un’emozione che ha completamente dissolto in sé l’oggettivazione figurativa è il segnale di uno squilibrio, della sproporzione tra
immagini ascensionali e caduta e testimonia
così uno squilibrio esistenziale del soggetto.
Il discorso sull’immaginazione e sul sogno, ha continuato D’Ippolito, coinvolge
anche il rapporto memoria/immaginazione, che una lunga tradizione, a partire da
Schopenhauer, interpreta sulla base di un
conflitto in grado di spiegare follia e genio. A
questa tradizione, rifiutata da Dilthey
per il ruolo essenziale svolto dalla memoria
come garante della stabilità della realtà, si
richiama Binswanger, per il quale la differenza tra il folle, il poeta e il fenomenologo
68
CONVEGNI E SEMINARI
governo della propria inquietudine: l’elemento tragico infatti si dissolve e si prospetta la vittoria in Cristo sul tempo e sulla
morte. Carmelo Vigna ha richiamato analogie e prossimità tra la situazione veritativa propria del momento filosofico-speculativo e la situazione del credente che si
consegna a Dio nella fede: in entrambi i
casi “ciò che appare” viene riportato a ciò
che è sempre vero.
Carlo Natali (“Un male necessario. La
menzogna nel pensiero greco dai Sofisti
agli Stoici”) ha richiamato innanzitutto la
diversa risposta dei Sofisti e di Platone,
così come degli Stoici, alla domanda se sia
possibile mentire. Integrando reciprocamente l’interpretazione di Detienne e Vernant e quella di Foucault, ha sottolineato
come la metis, quale capacità di ingannare,
venga apprezzata solo in un contesto polemico, ovvero nei confronti dei nemici.
Maria Bettetini (“Il De Mendacio”) ha
ricordato i due presupposti dell’intera questione della “menzogna”: la dottrina della
conoscenza come illuminatio e il riferimento all’interiorità. Mentire significa innanzitutto conoscere la verità. Inoltre Agostino, ha continuato Bettetini, pur diffidando fermamente della potenzialità veritativa
del linguaggio, il quale comunque falsifica
e depotenzia la verità della mente, ascrive
interamente all’intenzione dell’anima la
responsabilità della menzogna: mente chi
pensa una cosa e ne dice un’altra. Manuel
Cecilio Diaz y Diaz (“Il Contra Mendacium) ha ricostruito l’occasione storica entro
la quale Agostino scrisse il saggio contro la
menzogna, la polemica della chiesa ortodossa spagnola nei confronti dei Priscillianisti, persuasi erroneamente che alcuni
passaggi della Bibbia avvallassero il diritto
a mentire. Giancarlo Alessio (“Menzogna
e verità nella teoria letteraria del Medioevo”) ha fatto notare come a partire da
alcune indicazioni del De Mendacio e del
Contra Mendacium e attraverso la mediazione dei Libri di etimologie di Isidoro di
Siviglia si siano diffusi nel Medioevo quegli atteggiamenti rigoristi con i quali veniva delegittimata la leggibilità dei testi pagani. La fictio letteraria e poetica, mendace
per sua natura, può acquisire liceità solo se
portatrice di un messaggio vero: tale era il
caso del testo biblico. G.L.P.
sta nel fatto che il delirio, per il primo, si
trasforma in destino di tormento senza uscita, mentre per il poeta e per il filosofo l’Esserci, come soggetto di visione poetica o comunicazione esistenziale, si trasferisce sì sulla
scena del terribile e dell’angoscia, ma conserva la libertà di volgersi da essa alle molteplici possibilità d’essere dell’esistenza.
L’originarietà del terribile, del caos, che
costituisce per Nietzsche la base della
nascita della tragedia, è quello stesso elemento deviante analizzato da Binswanger
alla luce del quale, piuttosto che indagare
la causa della malattia mentale, risulta
opportuno analizzare la genesi dell’ordine
quotidiano. A.F.
Differentemente, la filosofia antica non si è
mai considerata, secondo Peperzak, una forma di sapere esaustivo e ha lasciato aperte
altre vie di avvicinamento al reale. Una di
queste vie è quella aperta dal misticismo, che
accomuna l’intera linea evolutiva da Plotino
sino a Bonaventura. Platone invece, pur
avendo contemplato nei suoi dialoghi anche
gli aspetti religiosi dell’esistenza umana,
non fu, come ha sottolineato Peperzak, un
pensatore mistico. Sembra quindi che il neoplatonismo costituisca una reinterpretazione
di Platone abbastanza lontana dalla lettera e
dallo spirito dei suoi scritti. Tuttavia, se al
principio di tale percorso c’è proprio Platone, la ragione va ricercata da un lato nella
completezza della sua filosofia, dall’altro
nella consapevolezza che tale forma di riflessione non può mai essere esaustiva né
definitiva.
La dialettica platonica, che è continua tensione alla conoscenza, non ha pretese di
totalità e si identifica in una ricerca sempre
rinnovata. Lo stesso Plotino, sottolinea Peperzak, che si considera l’epigono più fedele
di Platone, non permette alla filosofia di
chiudere totalmente la propria prospettiva
sul reale. L’esito ultimo della sua riflessione
è il riferimento a quell’Uno che non è più
attingibile né con il pensiero, né con il linguaggio, ma solo attraverso un’esperienza di
estasi e di abbandono. L’Uno plotiniano,
come il Bene nella Repubblica di Platone,
non può identificarsi con nessuno dei valori
o delle virtù che sono nel mondo ma, al di là
di ogni realtà, sta semplicemente a indicare
la direzione verso la semplicità e la felicità,
non attingibili attraverso il rapporto con il
mondo del molteplice.
Anche negli interpreti cristiani si possono
rintracciare, sia pure in un contesto e con una
funzione differenti, quegli elementi platonici e neoplatonici che conferiscono al pensiero, secondo l’interpretazione di Peperzak, il
carattere di un’autentica filosofia. Dionigi
Areopagita, per esempio, partendo dalla
discussa questione della legittimità degli
epiteti di Dio, giunge a conclusioni molto
vicine a quelle di Plotino. Nel corso del suo
ragionamento egli sottolinea da un lato l’ine-
vitabilità dell’attribuzione di un nome a Dio,
dal momento che “di Dio” si parla nei testi
sacri e in quelli dottrinali e “con Dio” si parla
nella liturgia e nella preghiera, dall’altro la
non correttezza di tale attribuzione, dal momento che Dio non può essere identificato
con nessun contenuto sensibile o concettuale. La teologia negativa di Dionigi Areopagita consiste in un’operazione di negazione di
ogni attributo positivo assegnato a Dio e
nell’abbandono delle negazioni stesse, in
quanto determinazioni predicate della divinità. Di fronte a questo inarrestabile processo Dionigi postula come ultima negazione
possibile il silenzio, nel quale l’uomo può
incontrare Dio.
Peperzak ha proseguito mostrando come in
Agostino la tensione verso l’invisibile, verso quel mistero divino che illumina la vita e
resta tuttavia oscuro e impenetrabile, non sia
caratterizzata soltanto da una pura curiosità
teoretica, ma anzi faccia appello soprattutto
alla forza della fede. Se per Agostino la fede
non esclude la ragione, la filosofia dal canto
suo non considera estranea a sé la sfera
affettiva. Emozione e sentimento sono aspetti
dell’uomo che motivano, accanto allo sforzo
intellettuale, l’ascesa verso Dio. Anche in
questo caso non siamo affatto lontani dalla
filosofia platonica nella quale l’elemento
irrazionale, l’eros, guida nel Simposio l’ascesa verso il sapere. Tale carattere non è estraneo neanche a Bonaventura, per il quale
l’esplorazione metafisica dell’universo comincia con un’infiammazione erotica che è
contemporaneamente desiderio intellettuale
e movimento affettivo. In conclusione, Peperzak ha dimostrato come per tutti questi
pensatori la filosofia non sia mai lontana
dalla prassi, ma rimanga anzi fedele al mito
platonico della caverna (Repubblica), che
vede il filosofo impegnato in un’opera di
educazione e divulgazione del sapere. Così
Bonaventura vede nel Crocifisso la fine di
ogni percorso di purificazione: il ritorno di
Dio sulla terra indica all’uomo come il suo
destino non si compia nella pura contemplazione, ma nell’attenzione alla realtà storica,
nella necessità che la teoria non sia mai
separata dalla prassi. M.Me.
Platonismo e attualità
Dal 6 al 9 maggio 1996, Adriaan Peperzak (Loyola University di Chicago) ha
svolto un ciclo di seminari dal titolo
“INTERPRETAZIONI DI PLATONE”, nel corso del
quale sono state messe a fuoco le riletture in chiave religiosa della filosofia
platonica fornite da Plotino, Dionigi
Areopagita, Agostino e Bonaventura.
La filosofia moderna, ha esordito Adriaan
Peperzak, ha oggi completamente abbandonato il campo che le è proprio, quello cioè
della riflessione sull’insieme delle problematiche riguardanti la vita dell’uomo, e si è
del tutto omologata al modello delle scienze
esatte, cancellando la propria specificità e
decretando la propria fine. Essa infatti persegue, da un lato, obiettivi di rigore metodologico, di sistematicità ed esaustività nella
definizione di ogni aspetto del reale, dall’altro si tiene programmaticamente lontana da
ogni contaminazione affettiva e da ogni implicazione pratica. Se da un lato, dunque, ha
continuato Peperzak, il pensiero moderno
ha la pretesa di racchiudere la totalità del
reale entro il cerchio di un logos neutro e
asettico, dall’altro l’atteggiamento di pura
contemplazione finisce col recidere ogni
legame con la prassi.
69
CALENDARIO
A cura del Goethe Institut di Torino,
in collaborazione con i dipartimenti
di Filosofia delle Università di Torino, Milano e Udine e con il contributo
dell’Assessorato per le Risorse Culturali e la Comunicazione della Città
di Torino e la Fondazione Luigi Pareyson, il 29, 30 e 31 maggio 1997, si
è svolto a Torino un convegno internazionale su L’Occidente della Verità. Sono intervenuti, giovedì 29
maggio, sul tema Mito e verità: M.
Olivetti, “Teologia e analogia subjecti”; B. Casper, “Fenomenologia ermeneutica della religione e il problema della molteplicità delle religioni”;
sul tema Apparenza e verità: W.
Welsch, “Musica e verità”; G. Carchia, “Filosofia dell’arte - arte della
filosofia”. Venerdì 30 maggio, tema
Metodo e verità: la scienza: D. von
Engelhardt, “Progresso della conoscenza e responsabilità nei confronti
della natura in età romantica”; P.
Rossi, “Come cresce la scienza”; tema
La verità interpretata: la filosofia: H.
Michael Baumgartner, “L’Europa
come tema e come sfida della filosofia”; G. Vattimo, “Il filosofo e la
responsabilità”. Sabato 31 maggio,
tavola rotonda su “Verità e identità
dell’Europa”, con la partecipazione
di C. Ciancio, S. Givone, D. Marconi,
F. Moiso, C. Sini, M. Ruggenini, V.
Verra.
Informazioni: Goethe Institut di
Torino, piazza San Carlo 206, 10121
Torino, tel 011 5628810, fax 539549;
e-mail: [email protected]; http://
www.goethe.de/it/tur
•
Nel corso degli appuntamenti del
Salone del Libro di Torino, sabato 24
maggio 1997, alla Sala Madrid del
Lingotto, la «Rivista di estetica »
organizza un incontro dal titolo Cristo è veramente risorto? Questioni di estetica, relatori: M. Ferraris,
T. Griffero, P. Kobau, G. Marconi, A.
Saccon, E. Salman. Nell’occasione
verrà presentata la nuova serie - diretta da Gianni Vattimo, Maurizio Ferraris, Roberto Salizzoni - della rivista
e l’ultimo numero (primo dell’annata
1997, su l’“Immaginazione”.
Informazioni: Casa Editrice Rosenberg & Sellier, via Andrea Doria
14, 10123 Torino, tel. 011 8127820,
fax 8121808
•
Per la sessione “filosofia” del corso
di perfezionamento Esperienza giuridica: scienza, storia, filosofia che
si svolge presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli,
il 30 maggio 1997 F. Gentile interviene su: “Due modi di intendere l’ordinamento giuridico. Scienza e filosofia di fronte all’esperienza giuridica”; 3 giugno: M. Corsale, “Agire
razionale e senso comune”; 4 giugno:
S. Castignone, “Sui nuovi diritti: per
una ridefinizione del diritto soggettivo”; 7 giugno: G. Rebuffa, “Costituzionalismo e filosofie”; 9-10 giugno:
Y. Zarka, “La question du fondement
du droit dans la penseé juridique mo-
CALENDARIO
Il calendario aggiornato
è on-line
all’indirizzo
http://www.infophil.it
e-mail [email protected]
a cura di Luisa Santonocito
derne: Grotius, Pufendorf, Domat et
Leibniz”; 10 giugno: D. Corradini,
“Taxis, dike e chronos: per una filosofia del diritto come sapere filosofico”;
11 giugno: V. Vitiello, “Della possibilità di distinguere ‘dover essere’ da
‘essere’”; 28 giugno: F.P.Casavola,
“Filosofia e scienza giuridica nell’esperienza dello storico”; 3 luglio: E. Castrucci, “I fondamenti di una antropologia politica nell’analisi delle passioni. Hobbes, Spinoza, Canetti, Foucault: alla ricerca di un modello di
incontro”.
Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, via Suor
Orsola 10, 80135 Napoli, tel. 081
400070 - 412641
ces”; Y. Varoufakis, “Irrationality and
the economist’s audacity”; M. Wallace, “The conversion experience”; J.
Watson, “Brain imaging studies of
blindsight and visual illusions”.
Informazioni: Philip Gerrans or
Ian Gold, Centre for the Mind, The
Australian National University Canberra ACT , 0200 Australia. Tel: +616 249 4061 fax: +61-6 249 5184
[email protected],
[email protected],
http://www.anu.edu.au/mind.
•
•
Informazioni: http://www.sbg.
•ac.at/phs/docs/wittgenstein97.htm
Quattro giornate in riva al Lago Maggiore in compagnia di Jacques Derrida e Carlo Sini, con la partecipazione
di Studio Azzurro per il seminario
laboratorio di arte e filosofia Pensare
l’arte: verità, figura, visione, a cura
del Centro di formazione individuale
trivioquadrivio di Milano, con il patrocinio dell’Institut du Dessin, la Fondazione Adami e il Comune di Meina, dal 4 al 7 settembre 1997 al Teatro
all’aperto di Villa Zuccoli a Dagnente di Arona (NO) e presso la Sala
Consiliare del Palazzo Comunale di
Meina (NO). I lavori prenderanno
spunto dagli abstract che trenta partecipanti elaboreranno a partire dai
materiali che gli organizzatori metteranno a loro disposizione (tra cui testi
Derrida e Sini, documentazioni sulle
opere di Studio Azzurro). La tassa di
iscrizione al seminario è di lire un
milione (trivioquadrivio offrirà la
partecipazione gratuita a 15 iscritti).
Informazioni e iscrizioni: trivioquadrivio, via Trincea delle Frasche
1 - 20136 Milano, anche via fax (02
58113836) o via email ([email protected]).
Il termine per le domande di partecipazione è il 23 giugno 1997.
•
Perspectives on Animal Consciousness è il titolo della conferenza che
si tiene Wageningen il 3 e 4 luglio
1997, a cura di: KNAW Onderzoekss
Ethiek - Netherlands School for Research in Practical Philosophy, NWO
Stichting voor Filosofie en Theologie, Anti-Vivisectie Sticthing AVS.
Intervengono per la sessione Animal
Consciousness & Philosophy: C. Allen, S. Lijmbach, W. van der Steen, J.
Vorstenbosch; Animal Consciousness
& Ethics: D. Macer, H. Verhoog, E.
Rivas, P. Cohn, P. Carruthers, R.
Heeger, M. Bracke; Animal Consciousness & Science: B. Bermond,
R. van den Bos, J. Fentress.
Organizzato dal Centre Culturel Francais di Milano, in collaborazione con
il Dipartimento di Filosofia e Teoria
della Scienza dell’Università Cà Foscari di Venezia, mercoledì 11 giugno 1997 si tiene a Venezia un incontro su: La langue et la politique des
poètes (Heidegger et la rencontre
de Hölderlin).
Informazioni: Centre Culturel
•Francais
di Milano, corso Magenta
63, 20123 Milano, tel. 02 4859191,
fax 48591952
Institute of Evolu•tionaryInformazioni:
and Ecological Sciences, Sec-
tion Theoretical Biology, University
of leiden, P. O. Box 9516 2300 RA
Leiden, the Netherlands, tel. 071 527
4921, fax 071 527 4900, e-mail:
V A N D E N B O S @ r u l l f 2 . m e df a c.
leidenuniv.nl
Irrationality: questo il titolo della
conferenza internazionale a cura del
Centre for the Mind presso l’Australian National University, dal 19 al 21
luglio 1997, presso l’“Accademy of
Science” di Canberra. Relazioni di:
R. Jeffrey, “Preparing for the millennium: Are we right with Bayes?”; G.
Andrews, “Cognitive therapy for irrational thinking in people with mental disorders”; J. Bigelow, “Who does
my rationality benefit?”; R. Green,
“Can non-human animals be rational?”; C. Groves,
“The mosaic evolution of rationality”; D. Gardner, “Magical conceptions of control”; P. Mullen,”The mass
killer: Projects and constructions of
rationality”; B. O’Sullivan, “The neurobiological basis for irrationality:
The results of PET studies in schizophrenia”; M. Smithson, “Rationality under ignorance”; N. Thomason,
“A proposed cure for the irrationality
that is so damaging the social scien-
Dal 10 al 16 agosto 1997, a Kirchberg, in Austria, si svolge il 20th
International Wittgenstein Symposium su “The Role of Pragmatics
in Contemporary Philosophy” e suddiviso nelle sessioni Pragmatic Aspects of Applied Logic, The Pragmatic Dimension of Language,
Pragmatic Problems in the Philosophy of Science, Pragmatic Approaches in Ethics and in Theory
of Action, Pragmatic Philosophers
and Systems of Thought, Wittgenstein. Partecipano: E. Adams, D.
Birnbacher, J. Bouveresse, P. Gärdenfors, P. Gochet, H. Haider, W.
Harper, D. Pears, J. Pollock, N. Rescher, B. Skyrms, P. Suppes.
70
A cura dell’Istituto Banfi, si terrà a
Reggio Emilia, dal 29 al 31 ottobre
1997, presso la Sala Convegni dell’Hotel Astoria, un convegno di studi
su Estetica e Fenomenologia. Mercoledì 29 ottobre 1997: G. Scaramuzza, “Estetica monacense”; N. Krenzlin, “I modi d’essere dell’opera d’arte letteraria secondo Roman Ingarden, Edmund Husserl e Waldemar
Conrad”; M. Uzelac, “L’arte della
fenomenologia di Husserl”; giovedì
30 ottobre: H.R. Sepp, “L’estetica di
Oskar Becker”; L. Albertazzi,
“L’estetica dei particolari”; R. Rollinger, “L’estetica di Aloys Fischer”;
W. Henckmann, “L’estetica incompiuta di Max Scheler”; K. Schuhmann, “Le teorie estetiche di Johannes Daubert”; venerdì 31 ottobre: P.
Bozzi, “Grammatica elementare delle qualità terziarie”; R. Poli, “Livelli”. L’iniziativa è stata riconosciuta
quale corso di aggiornamento per
personale docente (a.s. 1996/97) dal
Provveditorato agli Studi di Reggio
Emilia e verrà rilasciato attestato di
partecipazione se richiesto.
Informazioni: Istituto “Antonio
Banfi”, via Pasteur 11, 42100 Reggio
Emilia, Tel. e Fax. 0522/554360,
email: [email protected]
•
Una giornata di studio su Mito e
Scienza in Cassirer si è svolta, il 7
maggio 1997, presso il Dipartimento
di Filosofia dell’Università di Firenze (Sala delle Conferenze). Introduce
ai lavori Paolo Parrini, seguono relazioni di M. Ferrari:“Teoria del concetto e pensiero mitico”; A. Poma:
CALENDARIO
“Scienza e cultura nel problema delle
forme simboliche”; D. Lena: “L’approccio trascendentale alla conoscenza scientifica e il problema del mito”;
C. Dal Monte: “Mito della ragione e
scienza del mito”; L. Landi: “Dal
mito alla scienza: invarianza e mutamenti della coscienza culturale”.
Informazioni: Università degli
Studi di Firenze, Dipartimento di Filosofia, via Bolognese 52, 50139 Firenze, tel. 055 472498, fax 055 475640
•
Su L’escatologia nel pensiero filosofico del ’900 si è tenuto un ciclo di
seminari organizzati dal Centro Studi
filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”
di Torino, da aprile a maggio 1997.
Lunedì 10 e martedì 11 marzo (dipartimento di ermeneutica, via Po 18), S.
Moses (Hebrew University of Jerusalem) è intervenuto su: “L’Europa e la
fine dei tempi: il tema dei quattro
regni in Hegel e nella tradizione ebraica”, “Storia e redenzione in Franz
Rosenzweig”; venerdì 18 e sabato 19
aprile, O. Clément (Institut Saint Serge): “L’escatologia nel pensiero russo del ’900”; giovedì 15 e venerdì 16
maggio (Chiesa di S. Pelagia, via S.
Massimo 21), J. Moltmann (Eberhard
Karls-Universitat, Tubingen): “L’escatologia nella teologia del ’900”.
Informazioni: Centro Sudi filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”, via
Po 18, Torino, tel. 011 9425289
•
zione Faraggiana, dal Provveditorato
agli studi di Novara, dalla sezione
novarese della Società Filosofica Italiana e dalla Provincia di Novara,
coordinato da Maurizio Ferraris.
Martedì 8 aprile 1997, ore 10 presso
il Teatro Faraggiana, G. Giorello:
“Estetica e scienza”; ore 21 presso
Albergo Italia, P. Bozzi e G. Giorello:
“Estetica e percezione”; martedì 15
aprile, ore 21 (Albergo Italia), F.
Moiso: “Estetica e natura”; martedì
22 aprile, ore 21 presso Auditorium
BPN, G. Vattimo: “Estetica e linguaggio”.
Informazioni: Fondazione Faraggiana, sito internet http://www.
starnova.it/intersezioni
Università degli Studi di Torino, via
Po 18, 10123 Torino, tel. 011 9425289
Su Kant and Neo-kantianism si è
tenuta una conferenza internazionale
organizzata dalla Kant Society e dalla
British Society for the History of Philosophy presso il Dipartimento di Filosofia della Keele University, dal 3
al 5 aprile 1997. Relatori: P. Guyer,
“Heidegger’s Interpretation of Kant”;
O. O’Neill, “Kantian Constructivisms”; G. Stock, “Activity and Passivity in our knowledge of Space and
Time”; I. Lyne, “Rickert and
Heidegger: on the Value of Everyday
Objects”; C. Wenzel, “The Judgement of Taste and its Universal Validity”; T. Thornton, “Wittgenstein,
Kant and the Connection between
Aesthetic and Empirical Judgements”; C. Adair-Toteff, “Imagination and
Synthesis in the A and B Deductions”; H. Glock, “Frege, Kant and
Neo-Kantianism”; A. Tucker, “Uniqueness and the Distinction Between
the Sciences”; J. O’Shea “Reflections
on Sense and Science in Kant and
Sellars”; R. Taylor, “Kant Defended
against a Criticism by Paul Guyer”.
Informazioni: Philip StrattonLake, Department of Philosophy,
Keele University, Staffordshire, ST5
5BG, e-mail: pia07@ cc.keele.ac.uk.
•
A cura dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici (sede di Venezia) e
dell’Istituto Gramsci Veneto, sabato
19 aprile 1997, presso la Sala Rossini
del Caffè Pedrocchi di Padova, si è
svolto un convegno su La Forma e il
disincanto. Sono intervenuti per la
sessione “L’architettura nella città
contemporanea”: R. Masiero, V. Pastor, M. Petranzan, A. Polesello, F.
Purini, D. Ruzzon; su “Crisi dell’appartenenza: che cosa può fare l’architetto?”, S. Givone, V. Gregotti, G.
Marramao, R. Masiero, C. Sini, M.
Donà.
Informazioni: Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, Cannaregio 2593,
30121 Venezia, tel. 041 717940, fax
720510
•
•
A Melbourne, dal 3 al 6 aprile 1997,
si è svolta la Fifth National ConfeIl Centro di Studi di Saulchoir di
Parigi, in collaborazione con il Dipartimento di Ricerca dell’Istituto
Cattolico di Parigi, ha organizzato,
venerdì 25 aprile (Salle des Actes,
Institut Catholique, 21 rue d’Assas)
una giornata di studio su Dominique
Dubarle, Une Liberté Pensante.
Hanno partecipato: J. Courcier,
“Science, philosophie et foi dans les
années 50”; F. de Gandt, “D. Dubarle
et l’histoire des sciences”; J. Ladriere, “Hommage”; O. Boulnois, “D.
Dubarle, lecteur de saint Thomas”;
M. Renaud, “D. Dubarle, interprète
de Hegel”; A.M. Dubarle e J. Coucier, “Histoire et invention d’une fidélité”; E. Bauer e H. Marcovich,
“Engagement et combat pour la paix”;
J. Greisch, “Le projet d’une ‘philosophie pour théologiens’”.
Informazioni: Frère Jacques Arnould, centre d’Etudes du Saulchoir,
43 bis rue de la Glacière, 75013 Parigi
•
Su invito del Centro Studi Filosofico-religiosi «Luigi Pareyson»,
martedì 8 aprile 1997, alle 17.30,
presso la Sala del Dipartimento di
Discipline Filosofich e dell’Università di Torino, in via Po 18,
Reinhard Lauth (Ludwig Maximilians Universitat di Monaco di Baviera) ha tenuto una conferenza su
L’idea di Descartes della filosofia come sistema aperto.
• Informazioni: Centro Studi Filosofico-Religiosi “Luigi Pareyson”,
rence della Australian Bioethics
Association. Sessione su “The new
Per il ciclo “Lezioni Italiane” promosso dalla Fondazione Sigma Tau e
della casa editrice Laterza, Daniel
Dennet (Center for Cognitive Studies, Tufts University, Boston) ha
tenuto a Milano, presso l’Aula Magna dell’Istituto Scientifico dell’
Ospedale San Raffaele, dal 28 al 30
aprile 1997, una conferenza su: Is
your mind in your brain?. Sono intervenuti: M. Di Francesco, G. Giorello, D. Marconi, M. Piattelli Palmarini.
Informazioni: Fondazione Sigma Tau, viale Shakespeare 1, 00100
Roma, tel. 06 5926600, e-mail fondst @uni.net
genetic”: R. Zaner (Vanderbilt University); A. Bittles (Human Biology),
E. Cowan (University, Perth), R. Galbally (Victorian Health Promotion
Foundation), C. Cordner (Philosophy,
Melbourne University); “The body”:
P. Rothfield (Philosophy, La Trobe
University), R. Diprose (Philosophy,
New South Wales); “Cross-cultural
issues”: G. Gillett (neurosurgeon/
ethicist, New Zealand), Tony Coady
(Philosophy, Melbourne); “Ethical
issues in nursing”: K. Chater (RN),
Carol Rushden (RN), Chris Breakwell
(RN), H. Kuhse (Bioethics, Monash
University), S. van Hooft (Social
Theory, Deakin); “Narratives of illness”: A. Frank (Calgary, Canada), J.
Wiltshire (English, La Trobe), J.
Parker (Nursing, Melbourne University); “Symposium on ‘Troubled bodies’”: P. Komesaroff, D. Russell
(Philosophy, Sydney), P. Rothfield,
R. Diprose, G. Gillett, A. Frank; “The
boundaries of bioethics”: R. Sybylla
(Philosophy, ANU), R. Zaner.
Informazioni: Fifth National Australian Bioethics Association Conference, Baker Medical Research Institute, PO Box 348, Prahran, Victoria 3181- Australia
•
Matematica e Cultura è stato il
titolo delle due giornate di studio sul
ruolo della matematica nella cultura
contemporanea - arte, musica, letteratura, cinema - a cura della sede
veneziana dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, che si sono svolte a
Venezia, il 21 e il 22 marzo 1997
(Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, S. Polo 2454 e l’Auditorium
S. Margherita, Campo S. Margherita,
Dorsoduro 3688). Venerdì 21 marzo:
P. Odifreddi, “Matematica e filosofia”; G.O. Longo, “Tautologia e informazione in matematica”; P. Zellini, “Matematica e etica”; G. Sambin,
“Matematica, logica e verità”; sabato
22 marzo: “Matematica, musica e
arte” (T. Tonielli, C. Sbordone, L.
•
Su Estetica e... si è tenuto un ciclo di
conferenze promosso dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dall’Associazione Intersezioni, dalla Fonda-
71
Saffaro Artista, B. Scimemi, G. Lolli); “Matematica Letteratura e Immagini” (R. Queneau, P. Fabbri, J. Roubaud, M. Emmer); “Matematica e
politica” (M. Cacciari, G. Castellani,
A. Guerraggio, L. Modica, M. Primicerio, E. Vesentini).
Informazioni: Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, sede di Venezia,
Cannaregio 2593, Calle Longo, tel.
041 717940, fax 720510
•
Su invito del Centro Fiorentino di
Storia e Filosofia della Scienza e del
Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze, Robert Nozick ha
tenuto a Firenze, il 18 e 19 marzo
1997, due conferenze su The objectivity of science e The world according to quantum mechanics.
Informazioni: Centro Fiorentino
•di Storia
e Filosofia della Scienza,
Villa Arrivabene, Piazza Alberti 1/a,
50136 Firenze, tel. 055 677109, fax
667573
History, Philosophy & Science è
stato il tema del Fourth Annual Florence-Stanford Meeting, a Firenze, il
14 marzo 1997 a Palazzo Strozzi, presso la Sala Conferenze dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e il
15 e 16 marzo presso la Stanford University in Florence in piazza S. Maria
Sopr’Arno 1. Venerdì 14: S. Hampshire, “The Necessity of Pluralism”;
P. Rossi, “Giambattista Vico: Archaism and Modernity”; E. Giusti, “Gerard of Brussels and the Origins of
Medieval Kinematics”; T. Lenoir, “The
Manhattan Project for Biomedicine”;
A. La Vergata, “Biological Imagery
and Criticism of Technology”; S. Poggi, “Psychologism Reconsidered: A
Historical Point of View”; D. Follesdal, “Ultimate Justification in Science and in Ethics”; sabato 15: Y. Guttmann, “The Pragmatist Foundations
of Statistical Mechanics”; N. Cartwright, “Causal Structures and Causal
Laws”; D. Costantini, “Jarrett’s Locality from a Statistical Point of View”;
D. Mundici, “Defining a Function by
Overlapping Cases”; I. Pitowsky, “Infinite and Finite Gleason’s Theorems
and the Combinatorial Uncertainty
Principle”; P. Hajek, “Advocating
Fuzzy Logic”; R. Giuntini, “On the
Axiomatizability of Quantum MV-Algebras”; domenica 16: J. Buttefield,
“Philosophical Aspects of Consistent
Histories”; G. Ghirardi, “Bohmian
Mechanics Revisited”; E. Beltrametti,
“Classical Extensions of Operational
Statistical Theories”.
Informazioni: Centro Fiorentino
di Storia e Filosofia della Scienza,
Villa Arrivabene, piazza Alberti 1/A,
tel. 055 677109, fax 667573 - Stanford
University in Florence, tel/fax 055
2480378
•
Per il ciclo di conferenze Idealismo
e romanticismo tedesco, a cura
dell’Associazione Insegnanti di Filo-
CALENDARIO
sofia, in collaborazione con l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, che si
è tenuto al liceo scientifico di Francavilla al mare (Chieti), lunedì 3 marzo
1997, V. Verra ha parlato di: “Introduzione all’Idealismo tedesco”; lunedì 10 marzo, S. Givone: “La figura
del compositore in Tieck, Hoffman,
Th. Mann”; giovedì 13 marzo, C.
Cesa: “Diritto e morale da Kant a
Hegel”; sabato 22 marzo, relazione di
P. Collini: “Dalla teofania notturna al
notturno. Le origini del Nachtstück”;
lunedì 24 marzo, presso il liceo scientifico “F. Masci” di Chieti, R. Bodei:
“Hegel e la teoria dell’arte”.
Associazione Insegnanti di Filosofia, via Gorizia 2, Francavilla al
mare (Chieti), tel. 085 817418
•
In occasione del bicentenario della
nascita di Antonio Rosmini si sono
tenuti nei mesi di marzo e aprile
1997 due convegni internazionali. A
Rovereto, dal 17 al 21 marzo 1997: Il
pensiero di Antonio Rosmini a
due secoli dalla nascita (VI Con-
vegno internazionale di studi rosminiani), interventi di: G. Riconda, R.
Rossi, L. Malusa, P. Prini, A. M.
Tripodi, G. Cantillo, G. Pontara, E.
Botto, F. Traniello, M. Baldini, M.
Guglielminetti, G. Beschin, L. Prenna, A. Valle, K. Heinz Menke, U.
Muratore, e a Milano il 17 e il 18
aprile 1997, a cura dell’Università
degli Studi di Milano, della Università Cattolica del Sacro Cuore, del
Centro rosminiano di Stresa e del
Centro Studi manzoniani, su: Rosmini e la cultura lombarda, a cui
hanno partecipato: F. Della Peruta,
N. Raponi, G. Vigorelli, F. Traniello, M. Nicoletti, C. Boracchi, F. De
Giorgi, E. Bressan, R. Lollo, S. Rebora, C. Sideri.
Informazioni: Civiche Raccolte
Storiche, via Borgonuovo 23, Milano, tel 02 8693549, fax 02 72001483;
Istituto Trentino di Cultura, via S.
Croce 5, 38100 Trento, tel. 0461
210111
•
A cura dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici e del Dipartimento
di Filosofia “A. Aliotta” dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, si è tenuto a Napoli, dal
17 al 19 aprile 1997, il convegno
internazionale Heidegger oggi .
Giovedì 17 presso l’aula magna
“P. Piovani” della Facoltà di Lettere e Filosofia (via Porta di Massa
1), relazioni di: M. Riede, “Vorgestalten der Seinsgeschichte”; E.
Mazzarella, “Heidegger oggi”; T.
Shrehan , “I cugini dell’America:
Problems of Heidegger- Reception
in the United States”; H. Boeder,
“Das Bewegende des heideggerschen Gedankens”; J. Sallis, “The
Sense of Time”; J. Nancy, “S’abandonner, s’arriver”; venerdì 18, presso l’Istituto Italiano degli Studi
Filosofici, Palazzo Serra di Cassano (via Monte di Dio 14): G.
Vattimo, “Heidegger e la post-mo-
dernità”; T. Kisiel, “Heideggers
Einsetzung der Rhetorik/Politik in
seine urpraktische ontologie (Die
Franzosen besetzen das Ruhrgebiet 1923-25); S. Poggi, “La fedeltà al proprio inizio: l’attualità del
primo Heidegger”; H. Padrutt, “Zuvorkommende Zurückhaltung, Ortsverlegung und nichtinformatisches Sprachverständnis. Drei Stichwörter zur Bedeutung von Heideggers Denken heute”; C. Strube,
“Die aufgehobeine Seinsfrage”; P.
Manganaro, “Heidegger, Derrida e
la chora”; U. Regina, “Noi eredi
dei Cristiani e dei Greci. Destruktion e Factizität nel cammino di
Heidegger”; sabato 19 (Palazzo
Serra di Cassano): A. Masullo,
“Heidegger e il senso”; F. Duque,
“El contratiempo. Desplazamiento
ermenéutico de la religiòn en la
fenomenologia heideggeriana”. F.
Donadio, “In margine al nesso tra
dogma, ermeneutica e vita”.
Informazioni: Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici, Palazzo
Serra di Cassano, via Monte di Dio
14, Napoli, tel. 081 7642652 5890320, fax 081 7642654
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Sede di Napoli,
Palazzo Serra di Cassano,
via Monte di Dio 14
gora - Platone: la Repubblica, le
Leggi - La guerra giusta - Guerra,
conflitto, politica nella tradizione
marxista.
2-6 giugno 1997
Giuseppe Semerari
(Università di Bari)
30 giugno - 4 luglio 1997
Remo Bodei
(Università di Pisa)
Ripensare la fenomenologia
di Edmund Huisserl
Libertà e sottomissione
«Dovevo filosofare per poter vivere in questo mondo» - «Noi vogliamo tornare alle “cose stesse”» «Esistono tanti io puri quanti sono
gli io reali» - «Comprendere l’altro
come uomo... L’altro è il primo
uomo, non io» - «La situazione
attuale delle scienze europee esige
prese di coscienza radicali».
9-13 giugno 1997
Nadia Urbinati
(New York University)
•
L’individualismo democratico
Libertà dei moderni e tramonto dell’ordine comunitario - I Trascendentalisti americani, ovvero le radici protestanti della democrazia
moderna - I caratteri dell’individualismo democra tico nell’analisi
di due contemporanei (Tocqueville e Emerson) - Un regime più che
politico e l’obsolescenza della politica - L’individuo cittadino e le
forme della politica democratica.
Atomisme et continuum au XVII
siècle è il stato titolo del convegno
internazionale organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in collaborazione con il
Centre Alexandre Koyré (EHESSCNRS), il Centre International de
Synthèse di Parigi, il CERPHI de
l’Ecole Normale Supérieure (Fontenay/Saint Cloud), il Groupe d’Histoire des Sciences (CNRS) e il
Seminario didattico della Facoltà
di Scienze mm.ff.nn dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a Napoli dal 28 al 30 aprile
1997. Per la sessione “Traditions
et Interprétations” intervengono:
E. Festa, A. Romano, R. Gatto, J.
Seidengart, P. Souffrin, M. Galuzzi; “Auteurs et doctrines”: G. Nonnoi, V. Jullien, A. Perfetti, L. Maierù, M. Blay, M. Fichant, B.
Escoubès; “Debats et controverses”: S. Roux, C. R. Palmerino, E.
Giusti, O. Trabucco, A. Borrelli,
A. Ottaviani, M. Bitbol.
Informazioni: Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici, Palazzo
Serra di Cassano, via Monte di Dio
14, Napoli, tel. 081 7642652 5890320, fax 081 7642654
16-19 giugno 1997
Enrico Berti
(Università di Padova)
Aristotele nella filosofia analitica
contemporanea
J.L. Austin e l’analisi semantica G. Ryle e l’argomentazione dialettica - P.F. Strawson e il problema
dell’identificazione - H. Putnam e
il Mind-Body Problem.
16-20 giugno 1997
Saverio Ricci
(Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici)
Il pensiero civile
di Paolo Mattia Doria
La formazione e gli studi - Della vita
civile - Doria, Vico e la tradizione
platonica - Doria e i «Moderni» - Gli
scritti economici e politici.
•
23-26 giugno 1997
Giuseppe Cantillo
(Università di Napoli «Federico Il»)
Individuo e comunità
nella filosofia del diritto di Hegel
(Die Vorlesung 1819/20)
Su invito del Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson” dell’Università degli Studi di Torino,
lunedì 5 maggio 1997 alle 17, a
Torino, presso la Sala Conferenze
della Biblioteca Nazionale (piazza
Carlo Alberto), Paul Ricoeur ha
tenuto una conferenza su Ermeneutica e saggezza pratica.
Informazioni: Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”, Università degli Studi di Torino, via Po 18, 10123 Torino, tel.
011 9425289
Lo sviluppo del pensiero etico-politico di Hegel: la Realphiloso phie,
I’Enciclopedia (1817) - La Vorlesung del 1819/20 - Filosofia del
diritto e politica - La concezione
del diritto. La critica della moralità
- L’eticità.
23-27 giugno 1997
Umberto Curi
(Università di Venezia)
•
Il rapporto politica-guerra
nel pensiero occidentale
Polemos pater - Platone: il Prota-
72
Teoria e storia della libertà: definizioni e manipolazioni - Auto nomia e dipendenza personale - Sottomissione: schiavitù antica e servidumbre natural tra Aristotele e
Sepulveda - Padronanza di sé e
dominio della legge - Politica e
morale alle origini del liberalismo
moderno - Fragile libertà: il dibattito contemporaneo sui rischi e i
limiti della libertà.
7-11 luglio 1997
Domenico Losurdo
(Università di Urbino)
Etica, filosofia della storia,
ingegneria sociale
Storia della morale e storia della
filosofia della storia (I) - Storia
della morale e storia della filosofia
della storia (II) - Filosofia della
storia, morale e violenza (I) - Filosofia della storia, morale e violenza (II) - Sulla categoria di « ingegneria sociale ».
14-19 luglio 1997
Imre Toth
(Università di Regensburg)
Parola e oggetto, verità e essere:
la filosofia del linguaggio
nel Cratilo di Platone
nel suo contesto matematico
L’aritmetica, come linguaggio autonomo nel Teeteto - L’ontologia
inversa del linguaggio matematico: la priorità ontica della parola e
della verità e la critica di Platone
(Repubblica, Lettera settima). Il
Demiurgo come soggetto trascendente del linguaggio - Il linguaggio di Cratilo e il suo modello matematico: termini e ipotesi primitivi, struttura deduttiva, coerenza logica, adeaquatio rei ad intellectum, corrispondenza perfetta tra
parola ed oggetto, duplicazione del
mondo - Il Demiurgo cattivo e la
sua geometria pervertita. Il passo
geometrico del Cratilo, la geometria non-geometrica degli Analitici
posteriori e le ricerche assiomatiche intorno all’Accademia di Platone.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Cristina Boracchi e Riccardo Lazzari
Nuovi manuali di filosofia
Una nuova serie di manuali filosofici
s’impone all’attenzione e al giudizio
degli insegnanti: si tratta di FILOSOFIA,
TESTI-PERCORSI (con la collaborazione di
A. Barli, N. Moschini, E. Panaccione,
M. Pancaldi, A. Porcarelli, M. Villani,
Poseidonia, Bologna 1997), a cura di
Mario Trombino; DENTRO LA FILOSOFIA NODI, PERCORSI, PROFILI (con la collaborazione di A. Bussotti, F. Moriani, M.
Messeri, Zanichelli, Bologna 1997), a
cura di Fabio Palchetti; STORIA DELLA
FILOSOFIA (Editrice La Scuola, Brescia
1997), di Giovanni Reale e Dario Antiseri; CORSO DI FILOSOFIA (Bruno Mondadori, Milano, vol. 1, 1996, voll. 2 e 3,
1997), di Fabio Cioffi, Franco Gallo,
Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli ed
Emilio Zanette.
Manuale di impostazione non tradizionale,
Filosofia, testi-percorsi presenta alcuni
aspetti innovativi degni di nota, a partire
dalla scansione tematica dei volumi - La
filosofia greca arcaica e classica (vol. 1.1);
Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica
(vol. 1.2); Dall’Umanesimo all’Illuminismo (vol. 2.1); Da Kant a Hegel (vol. 2.2);
La ricerca contemporanea (vol. 3) - e dalle
sezioni che li compongono, pensate in assoluta autonomia reciproca. Il volume dedicato alla contemporaneità richiama anche le nuove tendenze della ricerca filosofica, di cui vengono prospettate tematiche
e linee emergenti con ricchezza di apporti
culturali.
La sezione riservata ai “Testi” propone
itinerari di ricerca sui filosofi attraverso le
opere, offrendo, oltre alla consueta selezione antologica - qui particolarmente ricca e
curata - un approccio diretto alle opere che
vengono presentate o in versione integrale,
o con una selezione di capitoli in versione
integrale o parziale, o con ampie riduzioni,
raccordando però le parti mancanti, al fine
di mantenere l’impianto generale ben riconoscibile e ricostruibile. Tra le opere integrali, appare subito interessante la presenza di testi sui quali verte ordinariamente
l’attenzione dei docenti nella scelta dei
classici. Fra gli altri, spiccano l’Apologia
di Socrate e il Fedone di Platone, la Lettera
a Meneceo di Epicuro e il Sulla Bellezza di
Plotino, il Discorso sul metodo di Cartesio
e la Monadologia di Leibniz, La pace perpetua di Kant, Il più antico programma
dell’idealismo tedesco di Hegel e, infine, la
Tesi su Feuerbach e il Manifesto del Partito comunista di Marx accanto a L’esistenzialismo è un umanismo di Sartre e a La
scienza: congetture e confutazioni di Popper. Ogni testo è introdotto da un’analisi
letteraria e teoretica dei contenuti e dei
contesti culturali originari ed è inoltre guidato da un apparato di note esplicative e di
rimandi all’eserciziario che compone l’appendice del manuale. Quest’ultima, peraltro, propone non solo attività di sintesi e di
confronto su temi e sistemi, ma anche stimola alla creatività con proposte di composizione, di analisi e di riflessione su tematiche di più ampio approfondimento, che
portano a impostare autonomi percorsi culturali di lettura.
La sezione “Percorsi” segue lo sviluppo
della storia del pensiero occidentale dalle
origini a oggi attraverso un impianto più
tradizionalmente manualistico. Originali
sono le schede, che intervallano l’esposizione ragionata dei sistemi, con frammenti
e spunti di analisi tratti dalle opere dei
filosofi stessi.
Il manuale non prevede suppoti informatici, ma offre agli insegnanti la connessione
con un sito Internet (http://www.cglbo.com/
servizi/entiasso/proteo/bib_fil.htm), a cura
di Mario Trombino e di Mario De Pasquale, membri del Gruppo di Ricerca in Filosofia che informalmente opera in varie città
d’Italia sulla didattica della filosofia intesa
come disciplina filosofica essa stessa. Il
sito è attualmente aggiornato a ottobre 1996
e comprendente segnalazioni di testi di
didattica della filosofia in formato FTP, a
disposizione di chi ne fa richiesta.
Dentro la filosofia - nodi, percorsi, profili
prevede una scansione classica in tre volumi (Filosofia antica e medioevale, Filosofia moderna, Filosofia contemporanea), con
un’articolazione dei contenuti alla luce dei
nuovi programmi di filosofia, e anche di
storia, che esigono l’anticipazione dell’Ottocento (sino a Hegel) nel penultimo anno
delle superiori e il trattamento esteso del
Novecento nell’ultimo anno.
Ogni volume è poi diviso in tre parti, tra le
73
quali quella dei “Nodi” è la più consistente.
Imperniati su “questioni chiave” della storia della filosofia, i “Nodi” comprendono
un’introduzione - che propone in sintesi le
diverse posizioni teoretiche assunte attorno alla questione dibattuta e le linee interpretative - e una selezione di testi, all’analisi dei quali il manuale assegna una funzione didattica determinante. L’impostazione è dunque quella di una lettura problematica della storia della filosofia, la cronologia della quale viene rispettata all’interno degli sviluppi tematici proposti. Conseguentemente, la sezione dedicata ai “Profili” viene posta in secondo piano in quanto
degli autori viene privilegiata la collocazione entro un quadro teoretico di riferimento e di confronto infrasistemico. Questa scelta, che appare molto coraggiosa e
che intende assimilare lo stile della docenza della filosofia in Italia a quella già da
tempo collaudata in Francia e Germania,
non va comunque a scapito di una conoscenza globale dei sistemi degli autori,
poiché nei “Profili” si possono ritrovare
quegli elementi biografici, bibliografici e
contenutistici che caratterizzano i singoli
filosofi di cui vi sia stato anche un solo
riferimento all’interno della vasta trattazione dei “Nodi”.
Una tale impostazione facilita - oltre a
esigere - che la didattica si imposti in termini di problem solving e di effettiva interattività dialogica con gli studenti, “costretti”
a “lavorare” sul testo, ad “agirlo”, definendo un proprio schema mentale di riferimento e di elaborazione concettuale. Su questa
linea, il manuale stimola la ricerca, la lettura e l’interesse per itinerari autonomi di
approfondimento, che peraltro sono suggeriti con rimandi a questioni di grande attualità. Infatti, la parte intermedia di ogni
volume, dedicata ai “Percorsi”, propone
interconnessioni fra i “Nodi”, sviluppando
sia i temi classici della filosofia (come ad
esempio “filosofia e metafisica”), ma anche portando, soprattutto nel terzo volume,
alla ricostruzione di quegli ambiti disciplinari come le scienze umane e la logica che,
ormai autonome dalla filosofia, con essa
tuttora dialogano.
Quaderni di lavoro completano il manuale
pur essendo opzionali: ognuno di essi comprende un dizionario filosofico e una sezio-
DIDATTICA
ne di esercizi oltre alla bibliografia delle
fonti e a suggerimenti ulteriori e alternativi
a quelli indicati nei volumi. C.B.
Il nuovo manuale in tre volumi di Giovanni Reale e Dario Antiseri, Storia
della filosofia, non vuole essere una semplice ripresa e un riaggiornamento della
precedente opera dei medesimi autori, IL
PENSIERO OCCIDENTALE DALLE ORIGINI AD
(Brescia 1983), ma intende costituire una storia della filosofia ripensata ex
novo, almeno per quello che riguarda i
criteri didattici. Se infatti l’impostazione della materia segue le linee interpretative dell’opera precedente, questo nuovo manuale se ne distingue per una diversa articolazione didattica ed espositiva. Anzitutto compare, a fianco del percorso storico, una scelta di testi. Ogni
capitolo o paragrafo, poi, presenta all’inizio una sintesi, che intende fornire
un primo approccio ai temi e al pensiero
d’un autore ed è concepita anche come
«strumento didattico e ausilio della memorizzazione». Segue la parte propriamente analitica, quella che più assomiglia ai percorsi dell’opera precedente.
Sono presenti anche schede di tipo lessicale, che nel loro insieme formano un
vero e proprio dizionario dei concetti
filosofici fondamentali. Al termine dei
diversi capitoli sono inserite mappe concettuali, che avvalendosi di schemi figurativi intendono favorire un ripasso visivo della materia trattata. In definitiva,
questo manuale intende conciliare le esigenze di un’esposizione rigorosa della
storia della filosofia con criteri pedagogico-didattici, calibrati secondo le tipiche esigenze di un apprendimento piano
e puntuale nell’informazione.
OGGI
Con l’uscita del secondo e del terzo volume giunge a completamento il Corso
di filosofia. Si conferma qui quanto avevamo già messo in luce in occasione
dell’uscita del primo volume («Informazione filosofica» n. 29): il Corso di filosofia, che si affianca al Testo filosofico
dei medesimi autori (completato nel
1993), ne ricalca l’articolazione di fondo e i criteri che hanno portato ad una
larga diffusione di quest’opera nelle
scuole, sfrondandola da alcuni approfondimenti e arricchimenti tematici e
offrendone una versione più sintetica.
La novità saliente è costituita soprattutto da una più netta distinzione fra i capitoli di “Profilo storico” e i capitoli dedicati ai “Testi”, introdotti anch’essi da un
profilo espositivo e accompagnati da
schede di lavoro e di tracciati per l’analisi. R.L.
Strumenti
Nel vasto panorama di pubblicazioni
di sussidi didattici, una parte consistente è assegnata alla riproposta di
classici o di scelte antologiche guidate
da una lettura analitica. A questo proposito si segnalano alcuni testi che
rivestono particolare interesse o per il
tipo di mediazione didattica privilegiata oppure per l’originalità della scelta metodologica e contenutistica. Si
tratta di GALILEO E LA PROSA SCIENTIFICA (a
cura di G. Bellini e G. Mazzoni, Laterza,
Roma-Bari 1997); MACHIAVELLI E L’IDEA
D’ITALIA (Laterza, Roma-Bari 1997); DIETRICH BONHÖFFER. CRISTIANESIMO E STORIA
DELL ’OCCIDENTE (a cura di U. Perone, SEI,
Torino 1996).
Nati all’interno della collana «Moduli di
letteratura italiana» (curata per gli apparati
didattici da G. Gori e C. Zanotti), i “quaderni” proposti dalla casa editrice Laterza rappresentano un agile strumento di approccio agli autori attraverso i testi e in
un’ottica di effettiva interdisciplinarietà con
l’ambito della letteratura. Per quanto riguarda Galileo e la prosa scientifica, il
volume presenta il ritratto dell’autore e
l’incontro con una significativa scelta antologica della sua opera, che viene collocata nel contesto del genere letterario al quale
si riferisce. La selezione dei testi ha tenuto
conto delle linee portanti dello sviluppo
tematico così da agevolare il confronto
intertestuale anche fra autori diversi - anche stranieri - e dando così spessore storico-culturale al percorso di lettura.
L’introduzione all’opera propone una breve sintesi dello sviluppo del sapere scientifico dalla classicità all’era moderna, affrontando la questione dei caratteri, della
diffusione e del linguaggio della scienza.
La cronologia della vita e delle opere di
Galileo introducono poi alla lettura dei
passi, fra i quali spiccano le Lettere a Castelli, Dini e Madama Cristina di Lorena, il
testo dell’abiura e un ampio itinerario all’interno del Dialogo sui massimi sistemi.
Ogni brano è corredato da una schedaeserciziario di analisi che indirizza lo studente anche ad un approccio personale alle
fonti. Completa il progetto un’antologia di
brani di autori - da Lucrezio a Redi, da
Marmontel a Darwin, da Planck a Einstein
- che si esprimono sulle stesse tematiche
selezionate entro il sistema galileiano. Riveste particolare interesse anche la “Guida
per l’insegnante”, che integra con proposte
di verifica e di prove conclusive il lavoro
curricolare, suggerendo anche scansioni
per unità didattiche e itinerari di approfondimento, spaziando nella proposta anche
cinematografica.
Analoga struttura è rinvenibile anche in
Machiavelli e l’idea d’Italia, in cui l’opera
di Machiavelli viene proposta attraverso il
duplice taglio letterario e politologico. Ne
danno ampio riscontro la selezione opera74
ta di passi de Il Principe e il percorso fra gli
autori , da Dante Alighieri a Mameli, da
Cattaneo a Gramsci, che compone la seconda parte del testo, unitamente a un
discreto ventaglio di letture interpretative
del pensiero politico machiavelliano, che
arriva a toccare persino problematiche istituzionali contemporanee. Data l’impostazione del quaderno, la possibilità di lavoro
interdisciplinare investe non solo il binomio letteratura-storia, ma anche quello filosofia-educazione civica, spesso trascurato.
Il volume dedicato a Dietrich Bonhöffer.
Cristianesimo e storia dell’Occidente, figura all’interno della collana «I libri dei
filosofi», diretta da Ugo Perone, autore, in
questo volume, dell’introduzione generale
oltre che della scelta antologica e delle note
bibliografiche. Il testo si avvia con una
parte propedeutica all’autore e alla sua
elaborazione teologica, della quale si mettono in luce le componenti innovative sia
inserendole nel contesto culturale della
modernità e della secolarizzazione, sul quale
hanno fatto presa, sia prospettando l’abbattimento degli stereotipi e delle etichette
falsanti che ne hanno accompagnato la
ricezione anche recente.
Perone pone l’accento sulla prospettiva
etica di Bonhoeffer, proponendo un’analisi
di brani tratti dalle Lettere e dall’Etica
(nelle traduzioni curate da A. Comba e A.
Gallas rispettivamente per le edizioni Bompiani e San Paolo). Ogni sezione antologica presenta un’ulteriore inquadramento storico-filosofico dei saggi ai quali si fa riferimento nella selezione dei brani, ampia e
guidata anche da una tavola cronologica
che ne favorisce la collocazione e la considerazione della portata toretica. La ricca
bilbiografia primaria e secondaria rappresenta infine una guida ragionata per un
approfondimento dei temi indicati. C.B.
Con il titolo: LA DIDATTICA DELLA FILOSOFIA
NELL ’UNIVERSITÀ E NELLA SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE (a cura della SFI - sez.
Trevigiana, Treviso 1996), sono finalmente disponibili gli atti del Convegno Nazionale della Società Filosofica
Italiana, svoltosi a Treviso dal 25 al 27
novembre 1993. Il volume presenta la
documentazione completa degli interventi e dei risultati dei laboratori che
hanno animato le giornate di studio,
apportando risultati e spunti di riflessione che si propongono di grande
attualità anche dopo qualche anno
dalla loro elaborazione.
La prima sezione, di carattere teorico, propone non solo un’analisi sullo status quaestionis della didattica della filosofia a livello liceale e universitario (a cura di C. Sini,
E. Serravalle e D. Massaro), ma affronta
anche questioni di applicazione ai curricoli
scolastici tanto di materiali scientifici (quali
l’Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche e il progetto ISPER), quanto di
DIDATTICA
modelli didattici (aggiormento docenti e
approcci storici o tematici). Molto interessanti per l’immediata ricaduta didattica sono
invece i resoconti dei laboratori - ben sette
- alcuni dei quali sono da segnalare per il
contributo operativo che immediatamente
offrono, e tra questi, in particolare, il gruppo di studio su “Metodo e teoresi: esperienze didattiche a confronto” (coordinato da
E. De Palma), il cui scopo è stato quello di
«fornire una serie di strumenti pratici e
nello spesso tempo facilmente utilizzabili e
trasferibili, da applicare nelle pratica quotidiana, pur con le correzioni che la diversità delle situazioni dell’insegnamento sollecitano». Ne è risultata una ricca segnalazione di esperienze - da una ricerca su
“Logica ed ontologia in Aristotele” (di
A.C. Cabino) a unità didattiche su “Come
il mondo vero diviene apparente: Schopenhauer, Freud, Nietzsche” (di C. Lazzarato) - corredate da ampia documentazione
in merito a obiettivi cognitivi disciplinari e
trasversali, tempi e svolgimento per scansione contenutistica e soprattutto utilissimi
modelli di eserciziario - esercitazione teorica o test oggettivo - sui contenuti oggetto
dell’esperienza. C.B.
Convegni
Una serie di iniziative ha imposto l’attenzione, nel corso del 1996, sul tema
della didattica della filosofia nelle scuole straniere. Dal 26 al 29 ottobre 1996
si è tenuto a Reggio Emilia un convegno italo-francese su “LA FILOSOFIA E IL
SUO INSEGNAMENTO ”. In relazione a questo convegno nel «Bollettino della
Società Filosofica Italiana» (n. 158,
maggio-agosto 1996) è stato pubblicato un DOSSIER FRANCIA con l’intento di
offrire alcuni elementi sui temi in discussione negli ultimi anni a proposito della didattica francese della filosofia. Organizzato dall’Associazione per
la Ricerca e l’Insegnamento di Filosofia e Storia (ARIFS) di Brescia, in collaborazione con l’Università di Padova,
il 2 dicembre 1996 si è poi tenuto a
Padova un corso di aggiornamento
per insegnanti di filosofia sul tema
“L’INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NEI LICEI
D’EUROPA ”.
Il Dossier Francia, presentato dalla commissione didattica della SFI sul «Bollettino», non intende avanzare una pretesa di
completezza, ma cerca di offrire, attraverso una scelta di articoli e di interventi,
elementi utili al dibattito in Italia su alcuni
temi relativi all’insegnamento della filosofia che sono al centro della riflessione in
Francia. Com’è noto, la filosofia viene
insegnata in Francia con lo scopo di formare i giovani in quanto cittadini: per questo,
come ci ricorda Jean D’Yvoire nella “Pre-
messa” al Dossier, il suo insegnamento è
presente in tutti i tipi di scuola secondaria
(a eccezione delle scuole professionali) ed
è concentrato in un solo anno, nella classe
terminale. Di necessità esso appare strutturato in maniera molto differente dall’insegnamento d’impostazione essenzialmente
storica che contraddistingue la filosofia
nelle scuole superiori italiane. Le scelte
programmatiche in Francia conseguono
soprattutto dalla finalità complessiva di
favorire nei giovani il libero esercizio della
ragione, il giudizio, la riflessione critica,
mirando a «trasmettere la capacità di compiere un percorso, non un sapere costituito». Questo orientamento di fondo dell’insegnamento filosofico in Francia, finalizzato all’esercizio della libertà di pensare e
alla formazione della capacità di giudizio
del futuro cittadino, era già fissato nelle
celebri Istruzioni del 2 settembre 1925,
redatte da Anatole de Monze, che restano
tuttora in vigore, nonostante le integrazioni
subite dai programmi scolastici.
Da un punto di vista collegato alla concretezza dell’esperienza didattica, Nicole Grataloup (“La lingua al lavoro. Il pensiero al
lavoro”) affronta nel Dossier la duplice
questione del senso dell’insegnamento filosofico (il “perché far filosofia”) e delle
operazioni del pensiero (il “come far filosofia”). Elemento centrale della sua riflessione è il rilievo che il lavoro sulla lingua
(per esempio sul tentativo di gettare un
ponte tra la scrittura spontanea degli allievi
e la scrittura filosofica) è lavoro sul pensiero ed è la molla che fa scattare negli allievi
la problematizzazione. L’autore descrive
quindi alcuni tipi di attività che è possibile
condurre con gli allievi: le attività di classificazione, di definizione e di risoluzione
dei problemi, di intertestualità, attraverso
le quali l’apprendimento filosofico si sviluppa come movimento di riflessione, oltreché di formalizzazione e decontestualizzazione dei saperi, tale da consentire al
giovane di diventare soggetto delle proprie
norme.
Un tema quanto mai attuale anche nel dibattito italiano è quello affrontato da Michel Tozzi (“Si può ‘didatizzare’ l’insegnamento filosofico?”): il problema del
rapporto fra la ricerca didattica e la filosofia; più precisamente il problema se la
ricerca didattica sia da intendere come spazio autonomo, o se deve fondarsi sulla
filosofia stessa. Per molti, infatti, ogni determinazione “estrinseca” di obiettivi pedagogici snatura le finalità dell’insegnamento filosofico, irrigidendolo e sottoponendo il testo filosofico a richieste (relative
allo sviluppo di abilità intellettuali) che gli
sono estranee. Dopo aver richiamato i molteplici argomenti di chi denuncia «l’influenza illegittima delle scienze dell’educazione nel campo dell’insegnamento filosofico», Tozzi avanza una proposta fondata essenzialmente sui presupposti che una
didattica della filosofia non può essere una
scienza, non può ridursi soltanto ad una
75
tecnica, deve essere filosofica, ma non può
essere puramente filosofica. Se è giusto
criticare la pedagogia per obiettivi di tipo
comportamentistico, non va però smarrita
la funzione specifica della didattica di offrire le giuste mediazioni tra le finalità
dell’insegnamento filosofico e la concreta
situazione di apprendimento degli allievi.
Alcuni aspetti “classici” dello stile della
lezione in Francia vengono invece esaminati da Jacques Muglioni (“La lezione di
filosofia”), che si sofferma in particolare
sul “prendere appunti” da parte degli allievi (questione su cui già si esprimevano le
Istruzioni del 1925). Secondo Muglioni,
inoltre, l’interrogazione non costituisce
nell’insegnamento filosofico un momento
staccato, come potrebbe essere una prova
di verifica: «è tutta la lezione, già dal suo
inizio, che deve avere uno stile interrogante». Ciò esige, ovviamente, che l’insegnante abbia una cultura filosofica viva e aggiornata, che in lui prevalga la libertà intellettuale su ogni irrigidimento della didattica, come condizione indispensabile per istituire un rapporto vivente con la classe, «un
rapporto di una mente con altre menti».
Da segnalare infine nel Dossier un’intervento di vari autori (“La filosofia e la sua
pedagogia”) in cui vengono riportate le
risposte date da alcuni docenti a quattro
domande, relative alla specificità dell’insegnamento della filosofia, all’esistenza di
una via di ingresso privilegiata a essa, ai
rischi di fallimento, alla presenza nell’allievo di condizioni preliminari necessarie
perché possa seguire il corso di filosofia.
Sono infine pubblicate alcune pagine tratte
da lavori promossi dal “Gruppo di ricerca
in didattica della filosofia” sui temi “La
lettura filosofica: la dissertazione sul testo”
e “La dissertazione filosofica: la didattica
all’opera”. R.L.
Il convegno italo-francese di Reggio Emilia su “La filosofia e il suo insegnamento”
è stato il frutto dell’organizzazione congiunta tra La Società Filosofica Italiana, la
Société Française de Philosophie, l’Association des professeurs de philosophie e
l’Inspection Générale de Philosophie, che
hanno trovato nell’Istituto Banfi di Reggio
Emilia il necessario supporto logistico e
finanziario, a cui si è affiancato l’impegno
organizzativo del Servizio Culturale dell’Ambasciata di Francia. Dietro le sigle di
queste associazioni si è andato sviluppando il fitto lavoro organizzativo e di scambi
culturali condotto per oltre un anno da
molte persone. L’impegno di tutti è stato
anche valido motivo per tentare di dare una
continuità a questa iniziativa; a questo proposito l’Istituto Banfi si è detto disposto, se
vi saranno le condizioni, ad appoggiare gli
sforzi della Società Filosofica Italiana per
la organizzazione ogni due anni a Reggio
Emilia di analoghi convegni internazionali, in modo da stabilire una rete di conoscenza reciproca tra le istituzioni attive in
campo filosofico in tutta Europa. Sta di
DIDATTICA
fatto che in paesi come l’Italia, la Francia e
la Spagna, l’insegnamento filosofico è
molto diffuso nelle Scuole Secondarie e
ovunque in Europa la ricerca filosofica è
attiva al di fuori di qualsiasi rapporto con
l’insegnamento.
Il convegno si ricollega idealmente ad
un precedente lontano. Le associazioni
filosofiche italiane e francesi si incontrarono vent’anni fa in un’analoga occasione in Francia e di questo è stata fatta
memoria da Luciana Vigone - a cui si
deve in larga parte l’avvio dell’iniziativa del convegno - al momento della apertura dei lavori.
Le relazioni di André Tosel ed Enrico
Berti su “Filosofia, istituzioni e insegnamento filosofico” hanno sin dalla
prima giornata messo in luce le differenze tra i due paesi. Nei dibattiti successivi
e nei gruppi di lavoro si è poi tentato di
mettere a fuoco queste differenze, pur
nella constatazione di quanto poco gli
insegnanti dei due paesi conoscano della
realtà e delle tradizioni dell’altro, al di là
delle formule generali. Differenze rilevanti si sono osservate nel campo dell’insegnamento nelle scuole secondarie.
In Italia, ad esempio, l’insegnante di
filosofia deve trasmettere un sapere (la
storia della filosofia), mentre in Francia
il professore di filosofia deve essere l’autore delle proprie lezioni.
Il lavoro dei gruppi è stato preceduto da
un’ampia relazione di Charles Coutel
su “L’unità del lavoro filosofico”. Poi i
singoli gruppi hanno trattato i seguenti
temi: “La tradizione e le finalità dell’insegnamento della filosofia” (Patrice
Henriot e Cesare Quarenghi); “Il ricorso
ai testi filosofici” (Henri Pena-Ruiz e
Mario De Pasquale); “I lavori degli alunni, loro esigenze, loro modalità, loro
valutazione” (Françoise Raffin e Mario
Trombino); “La formazione degli insegnanti” (Pierre Choplain e Anna Sgherri
Costantini). Nei lavori dei gruppi è emersa, in modo evidente, la divergenza di
interessi e di ricerche tra gli insegnanti
delle scuole superiori e gli insegnanti
universitari. Come è noto, in Italia forse più che in Francia - ormai i due
settori di insegnamento della filosofia,
nelle Scuole Superiori e nell’Università,
procedono per vie parallele. Contro questa separazione da anni lavora la Società
Filosofica Italiana, associazione nella
quale confluiscono entrambe le componenti.
Nella Tavola rotonda successiva, in seduta plenaria, è emerso un quadro impressionante della ricchezza di analisi e
di studi sull’insegnamento della filosofia nei due paesi e sulla identità professionale degli insegnanti: il cantiere di
lavoro su questi temi è negli ultimi anni
in piena attività, parallelamente nei due
paesi per ragioni diverse. La direzione
delle ricerche è simile, perché simili
sono i problemi emersi nel rapporto con
gli allievi, sia pure in un quadro di riferimento molto diverso quanto al senso
dell’insegnare filosofia ai giovani.
Poiché il convegno trattava questioni
generali, non si sono potuti affrontare
temi filosofici specifici. Tuttavia alcune
tematiche generali sono state oggetto di
ampia descrizione e questo ha permesso
un interessante dialogo tra la componente italiana e quella francese. François
Dagognet e Paolo Rossi hanno tenuto
ampie relazioni su “Filosofia e scienza(e)”;
Bernard Bourgeois e Carlo Sini hanno
trattato della “Attualità della filosofia”.
Il convegno si è concluso con una “Sintesi finale” di Christiane Menasseyre
dell’Inspection Général de Philosophie.
Ma si è anche preso l’impegno, da parte
di tutti, di proseguire i contatti e lo scambio di esperienze e di conoscenze in altre
sedi. M.T./J.D’Y.
Nel corso di aggiornamento su L’insegnamento della filosofia nei licei d’Europa, quattro relazioni hanno illustrato
le panoramiche disciplinari strutturali e
metodologiche di Inghilterra, Italia, Germania e Spagna.
Intervenendo su “La filosofia nelle scuole
superiori in Gran Bretagna: alcune questioni ideologiche e alcune questioni metodologiche”, Dermot O’ Keeffe (Trinity College di Cambridge) ha ricordato
una celebre similitudine che paragona il
«fare filosofia al costruire una zattera in
mare aperto, senza alcuna speranza di
trovare un bacino di carenaggio» (Neurath, Quine). L’educazione, ha sottolineate O’ Keeffe, è una questione di “personificazione”, per cui i problemi filosofici debbono partire dal coinvolgimento
dell’esistenza dello studente: lo studio
dei classici e delle opere, affrontate come
se fossero state scritte poche settimane
prima, deve servire per sviscerare tematiche che partono dall’individuo e sono
utili alla costruzione del suo “io”. Poiché l’estrema frammentazione dell’apparato scolastico inglese non permette
uno sguardo “nazionale”, O’ Keeffe ha
cercato di tracciare alcune linee-guida
concettuali e d’approccio metodologico
per dare almeno uno spaccato della strutturazione interna del “fare filosofia” in
Gran Bretagna.
Con una relazione su “I programmi di
Filosofia in Italia”, Gregorio Piaia (Università di Padova) ha tracciato un quadro
riassuntivo dei principali passaggi dell’insegnamento della filosofia nelle scuole italiane, dalla “Legge Coppino” del
1877 sino ai nostri giorni, appaiandolo
ad una analisi dei differenti sensi che
l’insegnamento filosofico ha veicolato
nelle varie epoche storico-politiche. Alla
fine del 1800, sotto la lente interpretativa del positivismo, la filosofia, nell’insegnamento scolastico, si era avvicinata
quanto è possibile allo status di scienza;
i nuovi programmi del 1884 dividevano
76
lo studio filosofico in Logica, Etica e
Storia della filosofia. La “Legge Gabelli” cambiò tale tripartizione in Psicologia, Logica ed Etica. Finalmente si arriva alla “Riforma Gentile” del 1923, nella quale, all’interno della generale riorganizzazione della scuola italiana, la filosofia trova un suo spazio, incastonata
in uno sfondo storico che voleva dar
conto dell’evoluzione del pensiero filosofico stesso. La degenerazione dogmatico-storicistica che si è poi solidificata
nel corso dell’epoca fascista ha snaturato le finalità che lo stesso Gentile voleva
perseguire, fino a giungere ad uno scontro tra i fautori della “storia” della filosofia e coloro che invece propendono
per l’analisi delle “problematiche” filosofiche.
Barbara Bruning (Università di Amburgo) è intervenuta su “Insegnamento
della filosofia e struttura dei programmi
nei 16 Länder della Repubblica della
Germania”, offrendo un’analisi storica
che ha preso le mosse dal finire del XIX
secolo, quando nelle scuole tedesche,
dove si insegnava il latino, erano insegnate altresì discipline quali Logica,
Retorica ed Etica. Dopo la riforma prussiana di von Humboldt del 1806 la filosofia viene bandita dai curricoli della
scuola superiore come disciplina autonoma, rimanendo come principio ispiratore metodologico-didattico nel canone
delle discipline del Ginnasio. Hegel, nel
1812, sostenne la necessità di una formazione filosofica attraverso uno studio
propedeutico articolato in Logica, Studio dell’antichità e Religione, ritenendo
che un approccio storico dovesse essere
oggetto di studi universitari, e auspicava
l’unità degli aspetti materiali (contenutistici) e di quelli formali (metodici).
Attualmente, ha rilevato Bruning, nei 16
Länder della Germania le dizioni attraverso le quali vengono indicati gli studi
filosofici variano da “Etica” a “Valori e
norme”, da “Insegnamento dell’etica” a
“Filosofia”; ogni regione ha infatti grande autonomia nell’organizzare gli ordinamenti scolastici. Dopo il 1945 non vi
è stata nessuna regolamentazione unitaria per l’insegnamento della filosofia.
Nel 1972, ha continuato Bruning, si è
avuta in Germania una riforma del livello superiore per gli alunni dai 16 ai 19
anni. Tutti gli studenti dovevano seguire
materie fondamentali, quali Matematica
e Tedesco, e scegliere due materie elettive nelle quali approfondire le proprie
potenzialità. Filosofia/Etica poteva infatti essere scelta come materia sia facoltativa, sia obbligatoria. Tra gli estensori dei programmi della scuola media
superiore si distinguono due posizioni
fondamentali: a) un approccio che potremmo definire tradizionale, attraverso
un lavoro con i testi della tradizione
filosofica; b) un approccio “esistenzialistico”, che parte dai problemi degli stu-
DIDATTICA
denti. Dopo la riunificazione tedesca del
1990, Filosofia/Etica raggiunge nell’ordinamento scolastico il suo massimo livello d’importanza come materia opzionale obbligatoria in alternativa alla religione. La base dell’insegnamento fa perno sulle quattro domande kantiane: che
cosa posso sapere (Teoria della conoscenza), che cosa devo fare (Etica), che
cosa posso sperare (Religione), che cos’è l’uomo (Antropologia).
Antonio Imenez Garcia (Università
Complutense di Madrid) è intervenuto
su “I programmi di filosofia in Spagna”,
mostrando come in Spagna, sino alla
metà di questo secolo, la filosofia nel
Bachillerato (scuola secondaria superiore) abbia sempre avuto un ruolo ben
preciso. Da allora, l’insegnamento di
questa disciplina ha subito una serie di
trasformazioni, seguendo le varie fasi
politiche del paese. Sull’onda montante
delle materie tecniche ed economiche,
ultimamente la filosofia è stata alquanto
svalutata, soprattutto dopo la riforma
del 1990, che ha relegato la filosofia ad
un ruolo secondario nella scuola superiore. Nel periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, ha rilevato
Garcia, si studiava Filosofia nell’ultimo
anno del livello superiore e Storia della
filosofia nell’anno preuniversitario. Nei
venti anni successivi la “Legge Villar”
riformò l’insegnamento medio e la filosofia venne insegnata, sotto il titolo di
“Etica” come alternativa alla religione
nei tre corsi del Bachillerato Unificado
Polivalente (BUP); come “Filosofia” solo
nel 3˚ corso del BUP; come “Storia della
filosofia” nel Corso di Orientamento
Universitario (COU). Dal 4 ottobre 1990
una nuova legge ridefinisce i livelli scolastici: l’insegnamento di “Vita morale e
riflessione etica” è materia obbligatoria
nel 4˚ corso dell’Educazione Secondaria
Obbligatoria (ESO), rivolto ai giovani di
15 anni; “Filosofia” è materia obbligatoria nel primo anno del Bachillerato per i
quattro indirizzi della scuola superiore
(indirizzo artistico, indirizzo delle scienze umane e della salute, indirizzo umanistico e delle scienze sociali, indirizzo
tecnologico); “Storia della filosofia” è
materia specifica di indirizzo nella specializzazione umanistica e delle scienze
sociali. T.T.
INTERNET/SCUOLA
Internet sta ormai entrando in molte scuole, anche se l’uso rischia di restare limitato
all’ambito delle discipline scientifiche o
addirittura della sola informatica come
materia specifica di insegnamento. In rete
sono però disponibili anche molte risorse
interessanti per l’insegnamento della filosofia, spesso non utilizzate soprattutto perché l’estrema dispersività di Internet rende
difficile individuarle. Questa rubrica intende indicare quelle più interessanti e
suggerirne possibili usi didattici.
Internet non può sostituire una buona biblioteca ma consente possibilità precluse
ai testi a stampa. In particolare: a) i testi
elettronici consentono una serie di operazioni altrimenti improponibili, dalla ricerca lessicale a quella stilistica, dal calcolo
delle frequenze al confronto lessicale tra
opere diverse ecc.; b) Internet offre una
prospettiva aggiornata dello stato della
disciplina e dei problemi di maggiore interesse di livello mondiale, attraverso una
serie di strumenti che vanno dalle riviste ai
preprints (articoli e saggi divulgati in rete
per ricevere pareri e suggerimenti prima
della stampa su carta), dai programmi dei
corsi delle maggiori università italiane e
internazionali, a dispense o resoconti di
seminari su argomenti specifici, dai convegni alle notizie sulle nuove pubblicazioni
ecc.; c) Internet è interattiva, consentendo
di partecipare in prima persona a gruppi di
discussione (Newsgroups e liste elettroniche) su tematiche specifiche della disciplina e anche, eventualmente, di avviare cambi e collaborazioni tra scuole.
Le schede proposte di volta in volta consentiranno l’esplorazione di queste potenzialità e la loro applicazione alla didattica.
Reperibile alla URL: http://www. liberliber. it, il progetto, che prende il nome dal
celebre umanista ed editore veneziano, ospita il testo integrale di un grande numero di
opere, prevalentemente letterarie, tradotte
in formato elettronico da volontari e liberamente utilizzabili. Il Progetto Manuzio,
mutuato da uno analogo e di più vasta
portata in lingua inglese (Progetto Gutenberg), utilizza una delle possibilità più interessanti della rete: la collaborazione fra
studiosi o studenti di un’intera nazione (o
di tutto il mondo) su progetti comuni.
Per quanto riguarda la filosofia, troviamo
attualmente le seguenti opere: Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene; Tommaso
Campanella, Città del Sole; Friedrich Engels e Karl Marx, Manifesto del Partito
Comunista; Epicuro, Lettera sulla felicità
a Meneceo; Erasmo da Rotterdam, Elogio
della follia; Sigmund Freud, Aforismi e
pensieri; Galileo Galilei, Lettere; Francesco Guicciardini, Ricordi politici e Storia
d’Italia; Lao-Tzu, Tao Te Ching (Libro
della Via e della Virtù, testo fondamentale
del taoismo); Niccolò Machiavelli, Il principe; Platone, Apologia di Socrate e Critone; Giovanni Vailati, Alcune osservazioni
sulle questioni di parole nella storia della
scienza e della cultura; Voltaire, Candido
ovvero l’ottimismo. Sono inoltre in preparazione: Galileo Galilei, Dialogo sopra i
due massimi sistemi del mondo; Platone,
Cratilo.
Le opere disponibili possono essere prelevate e trasferite su hard disk. Impiegando
in seguito un comune word processor o
altri programmi specifici, sarà possibile
compiere ricerche stilistiche e di contenuto, comparazioni, o utilizzare brani delle
opere per rielaborazioni e ricerche. Recentemente il progetto si è ampliato con l’inserimento in rete di alcune tesi di laurea,
che spesso costituiscono importanti e originali lavori di ricerca, raramente utilizzati al di là della presentazione accademica.
Al momento sono soltanto sei, tra le quali
segnaliamo quella di Viviana Viviani, Un
contributo alla discussione delle teorie
dell’obbligo politico (relatore: Salvatore
Veca).
77
Esistono numerosi siti dedicati alla bioetica, in genere gestiti da facoltà universitarie
o da associazioni. Un lungo elenco di risorse, a livello nazionale e mondiale, è reperibile nel sito Bioethics Online Service,
presso l’Università di Torino, all’URL http:/
/www. medfarm. unito. it/bioethics/bioeth1. html. In Italia, uno dei siti più interessanti sull’argomento è quello curato da
Massimiliano Marinelli, all’URL http://
www. fastnet. it/servizi/utenti/marinelli/
index. html.
Questo sito è molto ampio, il linguaggio è
accessibile, la pagina è ben organizzata e
offre materiale originale, oltre a una serie
di link aggiornati periodicamente. La home
page è divisa in tre sezioni: Bioetica, Filosofia e medicina, Filosofi ed etiche. La
prima, indubbiamente quella più ricca, è
articolata in una serie di pagine secondarie,
ognuna dedicata a un problema specifico,
dall’ingegneria genetica all’eutanasia, dalla manipolazione degli embrioni ai “testamenti di vita”. Ogni questione è illustrata
brevemente dal curatore del sito, Marinelli,
che propone poi una serie di links sull’argomento.
Una delle sezioni più interessanti è il “Corso di bioetica”, la trascrizione in formato
elettronico del corso tenuto da Marinelli
nell’anno accademico 1996/97, presso la
cattedra di Bioetica dell’Istituto di Filosofia di Urbino. Le lezioni riguardano per
adesso due unità: “Le trasformazioni della
medicina”, una storia recente di questo
settore, e “Nascere oggi”, una rassegna
delle tecniche di fecondazione artificiale e
delle loro implicazioni morali, e un’analisi
del dibattito sull’embrione umano. Il linguaggio delle lezioni è rigoroso ma non
eccessivamente specialistico, e può essere
utilmente seguito anche da studenti liceali,
per il rilievo che è dato ai riferimenti filosofici.
Dalla pagina principale di “Bioetica” si
accede anche ai documenti ufficiali pro-
DIDATTICA
dotti dal Comitato Nazionale di Bioetica,
che offrono un importante materiale di
riferimento, per ricerche o dibattiti da proporre in classe, su argomenti di stretta attualità, dai trapianti d’organi all’eutanasia,
dalla “identità e stato dell’embrione” al
parere del Comitato sulle tecniche di fecondazione assistita.
L’abbondanza delle risorse filosofiche presenti in Internet contrasta con la povertà del
panorama italiano. Una rassegna di quanto
è disponibile, regolarmente aggiornata per
accogliere le nuove iniziative, è Filosofia
in Italia all’URL http://vega. unive. it. /
fasolo/FilosofiainItalia. html, a cura di
Davide Fasolo, studente dell’Università di
Venezia.
La home page è suddivisa in diverse
sezioni, dalle opere di filosofia in rete
alle riviste filosofiche («Informazione
filosofica», «Episteme», «Aut-Aut» ecc.
) e culturali in genere, dai “Siti religiosi
ed esoterici in Italia” ai Dipartimenti di
Filosofia delle Università italiane, dalle
mailing lists con le istruzioni per iscriversi ai newsgroups di argomento filosofico.
Per le opere filosofiche troviamo links
ad alcuni testi in edizione integrale disponibili in rete, fra i quali la Città del
Sole di Campanella, L’elogio della follia
di Erasmo, il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, alcuni dialoghi di Platone ecc. (quasi tutti curati dal
“Progetto Manuzio” all’URL http://
www.liberliber.it). Sono inoltre presenti in questa sezione alcune sintesi di
classici filosofici: Linguaggio, verità e
logica di Ayer, La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn e il Saggio
sulla libertà di John Stuart Mill.
Non è difficile immaginare una crescita
esponenziale di queste iniziative e del
materiale prodotto, adesso che Internet
sta uscendo dalla fase pionieristica per
diventare uno strumento di largo uso,
anche in ambito scolastico. In Italia sono
già oltre 700 le scuole che hanno una
propria pagina in rete (se ne può trovare
l’elenco aggiornato all’URL http://
www.tol.it/netscuola/doc/scuole/scuole.
html) e dalla loro collaborazione potranno nascere importanti iniziative. E.R.
CALENDARIO
L’ARIFS di Brescia organizza per sabato 3 maggio 1997 (ore 9. 30-18. 30), in
Collaborazione e presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, una giornata di
studio sul tema Figure del Settecento.
La proposta si configura come Corso
nazionale di aggiornamento per docenti,
valevole ai fini della progressione di
carriera. Verranno analizzate quattro fra
le figure emblematiche del panorama
teoretico del Settecento europeo secondo la seguente scansione: “P. Casini, J. J.
Rousseau”; R. Ciafardone, “Ch. Wolff”;
F. Baroncelli, “D. Hume”; G. Francioni,
“C. Beccaria”.
Informazioni: ARIFS, C. P. 103,
25100 Brescia, tel. e fax 030/3757341
(ore 18. 30 - 19. 30).
•
Dal 17 al 20 aprile 1997, si svolge presso
la Domus Mariae di Roma l’ottavo Seminario Nazionale di Studio per insegnanti, genitori e educatori sul tema: Le
nuove frontiere della Bioetica III, valevole ai fini dell’aggiornamento sul piano nazionale. Promosso dall’Istituto di
Bioetica dell’Università Cattolica e, tra
gli altri, dall’UCIMM e dal Movimento
per la Vita italiano, il Seminario, diretto
da E. Sgreccia, si colloca in un percorso
formativo triennale. Questo il programma degli incontri: 17 aprile: E. Sgreccia,
“Le radici etico-cultrali della cultura
della violenza”; 18 aprile: M.L. Di Pietro, “Adolescenza e comportamento a
rischio”; G. Cesari, “Dalla violenza subita alla violenza agita in adolescenza”;
S. Grygiel, “Antropologia della sofferenza e del dolore”; I. Carrasco, “La
morte e il morire; 19 aprile: P.G. Miranda, “Il diritto a morire con dignità”; G.
Fasanella, “I testamenti di vita”; M.B.
Fisso, “Trapianti d’organo: dalla cultura
dell’esproprio alla cultura del dono”;
Tavola rotonda, “Bioetica: dal laboratorio al quotidiano”; 20 aprile: G. Vico,
“Prevenire la violenza: percorsi educativi nella scuola e nella famiglia”.
Informazioni: MpVi, via degli Scipioni
252, 00192 Roma, tel. 06/3211474 3211793; fax 06/3221481.
Organizzati dall’Istituto G. Pascoli di
Milano, dal 1 febbraio al 10 maggio
1997 hanno luogo nove incontri con docenti e ricercatori per approfondire la
conoscenza del pensiero demnocratico
liberale. Il ciclo di lezioni, dal titolo: Le
fonti della liberaldemocrazia , propone il seguente programma: 1 febbraio,
“Finalità, obiettivi e metodo” (presentazione dei docenti e degli argomenti del
corso); 8 febbraio, L. Rizzi: “Liberalismo e democrazia in De Tocqueville”;
15 febbraio, V. Lora: “Libertà e individualità in John Stuart Mill”; 15 marzo,
T. Arenare: “Libertà, mercato, istituzioni”; 22 marzo, V. Lora: “Libertà, uguaglianza ed impegno politico in Kelsen”;
29 marzo, S. Creperio: “Libertà ed equità in Rawls”; 26 aprile, L. Rizzi: “Le due
vie dell’unità politica italiana”; 3 maggio, S. Creperio, T. Arenare: “Liberismo
e tradizione liberaldemocratica in Italia”; 10 maggio, Tavola rotonda: “Le
prospettive di una teoria e di una pratica
democratico-liberale in Italia”.
Informazioni: Susanna Creperio,
Istituto G. Pascoli, via Poerio 14, 20129
Milano, tel. 02/29518327.
•
Promosso dall’Università Commerciale
Luigi Bocconi ha luogo il 5 maggio 1997,
presso la sede di via Sarfatti 25 a Milano,
un convegno di studi sul tema: I cambiamenti organizzativi nella scuola:
un’opportunità per la didattica? , va-
levole ai fini dell’aggiornamento dei
docenti. Gli incontri previsti sono concentrati in un’unica mattinata con la seguente scansione: ore 9.30: C. Mombelli
78
(CESDIA), “La valutazione del funzionamento dell’organizzazione scolastica:
problemi aperti e impatto delle scelte
organizzative sulla didattica”; ore 11.00:
C. Ondoli (CESDIA), “Le specificità
culturali delle organizzazioni e le possibilità di cambiamento: riflessioni sull’istituzione scolastica”.
Informazioni: Bocconi Comunicazioni, via Sarfatti 25, 20136 Milano,
tel. 02/5836. 3022 - fax 02/5836. 3024.
•
Giovedì 8 maggio 1997, alle ore 18.30,
presso la Fondazione Europea Dragàn
(Via Larga 11, Milano) si tiene un Convegno su La riforma della scuola. La
proposta Berlinguer e il contesto europeo - Opinioni a confronto, promosso
dai Lions Club di Lodi Europea e dai
Lions Club Milano Ducale in collaborazione con la Fondazione Europea Dragàn e, fra gli altri, dell’Unigold, del
Colitato Rapporti Internazionali Distr.
Lions 108 IB & e con il patrocinio del
Centro Unesco di Milano. Due i temi
trattati: “Scuola statale e non statale” e
“Prospettive per gli operatori della scuola”. Interverranno presidi di scuola media e di scuola secondaria superiore di
secondo grado; ispettori e direttori di
sovrintendenza regionale, provveditori
agli studi e, in particolare, fra gli altri, O.
Fumagalli Carulli , M.T. Risi, G. Risari,
E. Albertoni, P. Bassetti, A. Calderara,
S. Accetta, P. Del Giudice, A. Marrae
A.M. Dominici.
Informazioni: Giovanni Rossi, via
Cairoli 25, Varese, tel. 0332/288481.
•
DIDATTICA
Primo piano:
Per un confronto di opinioni
Sul documento di lavoro
del Ministero della Pubblica
Istruzione (gennaio 1997)
Alla luce della grande eco che nel mondo della scuola sta riscontrando la
proposta di riordino dei cicli elaborata
dal Ministero della Pubblica Istruzione, crediamo opportuno presentare
qui di seguito il documento di sintesi
che accompagna il più ampio testo
programmatico della riforma.
È evidente che una tale svolta nel sistema dell’istruzione in Italia si impone all’attenzione dei nostri lettori nello specifico interesse della docenza
della filosofia, oltre che del confronto
con altri sistemi scolastici europei, ai
quali, peraltro, il documento governativo sembra ispirarsi. La nuova scuola
delle competenze e delle professionalità rimette infatti in discussione il ruolo e la valenza della filosofia, sia che ne
venga proposta l’estensione, come
previsto dai “Programmi Brocca”, all’attuale biennio - che diviene nel nuovo riordino la conclusione dell’istruzione primaria - sia che se ne rilegga la
finalità didattica all’interno del nuovo
ciclo secondario e, forse, anche dell’istruzione post-secondaria. È altrettanto evidente che il dibattito e i progetti in merito - attualmente mancano
riferimenti espliciti da parte del Ministero - verteranno sulle finalità formative della filosofia all’interno di ogni
indirizzo di studio e nello specifico di
ciascuno di essi - filosofia prima e
seconda, filosofia e filosofie “di”.
È in uno spirito di discussione e confronto che con la presentazione del
documento che segue intendiamo qui
dare avvio a una serie di proposte di
riflessione, che a partire dal prossimo
numero della rivista verranno affidate a riconosciuti esponenti del mondo
della filosofia e della didattica della
filosofia, al fine di contribuire a quel
dibattito che la stessa commissione
ministeriale che ha redatto il documento e gli insegnanti tutti si auspicano.
Il dibattito sulla scuola che si è sviluppato
in Italia nel corso delle ultime legislature ha
evidenziato con grande chiarezza, come
del resto era già avvenuto negli altri Paesi
europei, l’esigenza di un approccio globale
al problema dell’istruzione e della formazione. È emersa la necessità di una prospettiva e di una riflessione strategiche, “a tutto
campo”, nell’impostazione di una riforma
che sappia affrontare i nodi della formazione complessiva delle nuove generazioni.
La proposta odierna cerca di rispondere a
questa esigenza di completezza e di organicità ed in tale prospettiva è senz’altro l’ipotesi di rinnovamento della scuola italiana
più ampia dopo la riforma realizzata da
Giovanni Gentile.
Data l’importanza strategica della riforma,
è essenziale che il confronto sia il più vasto
possibile e che ad esso partecipino tutte le
forze politiche, sociali ed economiche. Il
Governo non procederà a colpi di maggioranza. Vi è qui il dichiarato proposito di
aprire un ampio dibattito, al quale sono
chiamati a partecipare anche le famiglie, i
docenti, i dirigenti scolastici, gli studenti,
gli esperti del settore e tutto il mondo della
cultura.
La riforma prevede un sistema che a partire
dal prolungamento dell’obbligo scolastico
(si passa dagli attuali otto a dieci anni di
scolarità obbligatoria e gratuita) conduca
ad un innalzamento della qualità dell’istruzione e dei livelli culturali e scientifici
generali e alla realizzazione di una formazione integrata che faciliti l’ingresso nel
mondo del lavoro e le successive possibili
riconversioni professionali.
La scuola deve perdere alcuni caratteri di
rigidità, per trasformarsi in una struttura
flessibile all’interno della quale si salvaguardino gli obiettivi culturali, ma in cui
ogni fase identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati spendibili.
Occorre passare ad una concezione in cui
siano definiti finalità, obiettivi e standard,
intesi come livelli differenziati di raggiungimento degli obiettivi formativi; è quindi
necessaria una revisione dei programmi
che vada in tale direzione.
Un modello di governo del sistema fondato
sul decentramento, sull’autonomia delle
istituzioni scolastiche, sulla sinergia tra i
vari soggetti istituzionali, formativi, sociali, sulla responsabilizzazione dei vari soggetti e sull’efficace rapporto fra istruzione,
formazione, territorio, favorisce un processo di sburocratizzazione e consente di
realizzare tale flessibilità.
Il sistema proposto (in linea con quello
degli altri paesi europei) supera la tradizionale distinzione in scuola elementare, media e superiore, per articolarsi in una scuola
di base delle durata di sette anni e di un
ciclo secondario di sei.
Tale configurazione favorisce il rispetto
dei naturali ritmi di crescita e di apprendimento degli alunni, meglio garantiti dalla
complessiva unità del percorso della scuola di base, e consente di evitare la ripetizione di identici programmi in spazi temporali
ristretti (si pensi al programma di storia,
79
identico nelle elementari e nelle medie).
Il compito della preparazione del ciclo primario è affidato alla scuola dell’infanzia, il
cui ultimo anno diviene obbligatorio.
Al ciclo primario è affidato il compito di
provvedere, nei primi due bienni, all’alfabetizzazione culturale, all’acquisizione di
corretto collegamento spazio-temporali, al
primo avvicinamento alle tecnologie informatiche, all’apprendimento di una lingua
straniera, alla presa di coscienza del mondo
circostante e dei propri diritti e doveri;
nell’ultimo biennio, al consolidamento delle
acquisizioni culturali e dei metodi dell’apprendimento.
La scuola secondaria è volta a dare risposta
alle esigenze di crescita culturale e professionale degli studenti.
Essa si articola in due trienni, dei quali il
primo, denominato “dell’orientamento”,
conclude la scuola dell’obbligo. Il primo
anno di tale triennio è volto a consolidare le
conoscenze fondamentali e ad impostare
correttamente le scelte successive, mediante
la presentazione concerta, ma ancora indicativa, di un ventaglio di opzioni. Gli ultimi due anni sono volti a focalizzare le
scelte su percorsi caratterizzati, lasciando
aperto un margine per ripensamenti e passaggi da un indirizzo all’altro. Il primo
triennio è quello maggiormente caratterizzato dalla presenza di figure professionali,
quali i tutor, con compiti di aiuto alle scelte.
Al termine del triennio si sostiene il primo
esame di stato, l’esame di licenza.
Il secondo triennio fonde in sé l’aspirazione culturale e l’aspirazione professionale,
prevedendo momenti di avvicinamento al
mondo del lavoro, possibilità di integrazione con altri sistemi formativi, di primo
contatto con l’organizzazione degli studi
universitari e della formazione avanzata.
In questo quadro, il sistema della formazione professionale, che fa parte a pieno titolo
del complessivo sistema della formazione,
deve costituire una vera e propria opportunità alternativa dopo l’obbligo scolastico. I
tal modo anche l’Italia potrà sviluppare, in
linea con gli altri Paesi dell’Unione europea, il rapporto e l’integrazione fra sistema
scolastico e sistema della formazione professionale.
Il nuovo sistema è stato pensato anche con
riferimento ai suoi tempi di attuazione.
Dall’approvazione parlamentare saranno
sufficienti tre anni.
STUDIO
STUDIO
La filosofia della religione
In INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA DELLA RELIGIONE (Laterza, Roma-Bari 1996) Adria-
no Fabris si propone di fornire una
chiave di lettura della filosofia della
religione che permetta di chiarificare il
significato di questa disciplina in rapporto ai problemi a essa inerenti, che
riguardano in particolar modo il rapporto tra filosofia e religione.
Nel suo studio Adriano Fabris mostra
come il suo intento non sia quello di
offrire una definizione della filosofia
della religione, né quello di partire da
definizioni stabilite storicamente, ma
piuttosto di esaminare il rapporto tra
filosofia e religione, considerando queste ultime come il prodotto di due diversi
“atteggiamenti” nei confronti della realtà. Innanzitutto, per Fabris è importante
distinguere la filosofia della religione
dalla teologia filosofica, poiché quest’ultima, fondandosi sulla capacità della ragione di dimostrare l’esistenza di Dio, in
ultima analisi “mette in trono” la ragione
come Dio. Invece, la filosofia religiosa,
considerando il discorso filosofico come
dotato della stessa dignità di quello religioso, ritiene che la filosofia possa adeguarsi alla religione.
Secondo Fabris, esistono due modalità
differenti nelle quali si esplica il rapporto tra filosofia e religione nell’ambito
della filosofia religiosa. La prima è caratterizzata dalla presenza di un legame
stretto tra filosofia e religione, legame
fondato sulla «preliminare autocomunicazione di Dio» e quindi sulla rivelazione. La seconda, invece, è basata su un
discorso filosofico che si impossessa di
alcune componenti essenziali dell’atteggiamento religioso, acquisendone le funzioni. In entrambi i casi, osserva Fabris,
la filosofia religiosa stabilisce un rapporto problematico tra la dimensione filosofica e la sfera religiosa, costituito da
un intreccio di unione e di separazione.
La complessità di tale rapporto si rivela
dal fatto che la filosofia religiosa non
pretende di fornire una giustificazione
apologetica della religione, ma è caratterizzata da quell’ “inquietudine” pro-
pria della ricerca filosofica che implica
l’impossibilità di arrestarsi in una realtà
definitiva e presuppone invece la capacità di porre continue domande.
D’altra parte, filosofia e religione sembrano attrarsi reciprocamente poiché
ognuna trova nell’altra un completamento di se stessa. Infatti, se da un lato la
filosofia trova nella religione la possibilità di applicare a livello concreto la sua
concezione astratta basata sul “mero
comprendere”, dall’altro l’atteggiamento religioso è dotato di una componente
conoscitiva che gli consente di cogliere
le modalità dell’agire gradite a Dio. Pertanto, sottolinea Fabris, è necessario che
vengano mantenute le differenze tra la
filosofia e la religione affinché la religione possa conservare la sua identità
senza divenire una «tappa nello sviluppo
della comprensione del mondo». Altrimenti, la ricerca filosofica sulla religione rischia di risolversi in un superamento della religione attraverso l’attuazione
di un processo di inglobamento della
stessa nel suo sistema concettuale.
Il modo migliore per evitare questo rischio è quello di non considerare la religione come un oggetto di studio, ma di
interrogarla, ponendosi nei suoi confronti
in una prospettiva “dialogica”. In tal
modo, il rapporto con la religione si
rivela più attivo e più creativo, poiché
essa non si riduce ad una dimensione
passiva e inerte, ma rappresenta una realtà capace di fornire indicazioni valide
alla filosofia. La religione nella sua forma ebraico-cristiana, osserva Fabris,
consente all’uomo di superare la sua
situazione di scissione attraverso la presenza di un orizzonte di senso che garantisce al credente una “unificazione finale”. Nel sapere filosofico, invece, si può
riscontrare una componente di “indifferenza” e di “distacco”, costitutiva della
sua essenza, per difendersi dalla quale il
sapere filosofico ha elaborato “strategie
di interessamento” e stabilito così un
legame originario tra conoscente e conosciuto se non, in alcuni casi, costruito un
«ordine garantito all’interno di una ben
definita concezione del mondo». M.Mi.
80
Il pitagorismo
In INTRODUZIONE AI PITAGORICI (Laterza,
Roma-Bari 1996) Bruno Centrone fornisce una chiave di lettura del pitagorismo, mostrando come di esso si siano succedute nella tradizione diverse
concezioni. Non si tratta né di scegliere un’immagine rispetto alle altre, né
di conciliare immagini così differenti
tra loro e neppure di porre l’accento
sulla contradditorietà del pensiero pitagorico. Ciò che si propone Centrone
è invece di rendere conto della complessità del pitagorismo, dovuta ai diversi ambiti di ricerca cui si è dedicata
la scuola pitagorica, e di evidenziare la
prevalenza in esso di una concezione
enciclopedica del sapere.
Lo studio di Bruno Centrone consente di
orientarsi nell’ambito della complessità
della filosofia pitagorica, complessità che è
dovuta alla molteplicità di interpretazioni
fornite dalla tradizione. Infatti, il pitagorismo è stato via via considerato o come un
movimento religioso, o come un partito
politico, o come una scuola filosofica o
infine come una scuola scientifica con prevalenti interessi in campo matematico.
Come sottolinea Centrone, questa molteplicità di prospettive deve essere ricondotta al differente modo in cui viene presentata
dalla tradizione la figura di Pitagora: uomo
politico, filosofo, matematico, «taumaturgo dai tratti sciamanici» o addirittura figura
molto vicina alla divinità.
Di fronte a questa stratificazione di immagini si tratta allora, secondo Centrone, di
stabilire a livello ermeneutico cosa significhi “essere pitagorico” attraverso l’individuazione di un criterio oggettivo, come per
esempio l’appartenenza ad una stessa scuola
o un comune modo di vivere. Una delle
immagini di Pitagora più ricorrenti nella
tradizione è quella che accentua la sua
partecipazione alla vita politica. Secondo
questa prospettiva Pitagora s’impone come
uomo pubblico, educatore che non si rivolge solamente ad una ristretta cerchia di
iniziati, ma alla popolazione nel suo complesso. D’altra parte, non essendo rimaste
tracce di una sua attività legislativa non si
può affermare con certezza che Pitagora si
STUDIO
sia occupato in prima persona della gestione del potere politico.
Invece, l’immagine di Pitagora più distante
dalle concezioni moderne è quella che lo
ricopre di un alone mistico e misterioso,
presentandolo come un “taumaturgo” dotato di poteri magici. Addirittura, secondo
questa linea interpretativa, Pitagora appare
quasi come una divinità legata in particolar
modo ad Apollo. D’altra parte, assai diffusa nella tradizione è l’immagine di Pitagora
come sapiente e quindi come «fondatore
del sapere razionale». In realtà è possibile,
secondo Centrone, considerare Pitagora un
filosofo sia facendo rientrare nel concetto
di filosofia la predicazione pubblica e la
sua attività di educatore, sia individuando
le tracce di una sua cosmologia.
L’immagine di Pitagora più diffusa nella
tradizione è quella scientifica, legata alla
scoperta del suo famoso teorema. Tuttavia,
sembra esagerato considerare i pitagorici
come fondatori delle basi del pensiero
matematico astratto; al massimo si può
parlare di un loro contributo in questo ambito, come nel caso della loro scoperta della
teoria degli irrazionali e delle grandezze
incommensurabili.
Centrone rileva inoltre come il neopitagorismo non abbia mai avuto un centro geografico, né sia mai stata istituita una scuola
“ufficiale” come quella della tradizione
platonica, peripatetica o stoica. Anzi, la
tradizione pitagorica è sempre stata intrecciata con il medio e il neo-platonismo, al
punto che i confini tra di essi risultano
molto labili, sebbene, sottolinea Centrone,
per Platone i numeri siano separati dalle
cose sensibili e gli enti matematici vengano
considerati come «intermedi tra le cose e le
idee-numeri», mentre per i pitagorici i numeri coincidono con le cose stesse. In ogni
caso l’intervento della mediazione dell’Accademia platonica è decisivo per la sopravvivenza della filosofia pitagorica. Da questo momento il pitagorismo diviene inseparabile dal platonismo. M.Mi.
Sociologia della cultura
Con il suo MANUALE DI SOCIOLOGIA DELLA
(Laterza, Roma-Bari 1996)
Franco Crespi si propone di fornire un
orientamento nel panorama letterario
della sociologia della cultura, assai
complesso e variegato. Muovendosi
su differenti livelli d’analisi, Crespi
prende in considerazione le teorie sociologiche principali, i vari ambiti specifici in cui vengono applicate e i diversi metodi adottati.
CULTURA
Intento del Manuale di sociologia della
cultura di Franco Crespi è di fornire un
quadro introduttivo della sociologia della
cultura in modo da consentire una possibilità di accesso al vasto e variegato panora-
ma letterario proprio di questo ambito. La
complessità del concetto di cultura è dovuta anche al fatto che gli uomini possono
essere considerati nello stesso tempo gli
“attori sociali” della cultura e il prodotto di
essa. Inoltre, la cultura non è in grado di
esprimere le differenti sfumature della realtà in quanto essa si modifica ogni volta
che si trasformano le condizioni storicoambientali del reale.
Nella prima parte del suo lavoro Crespi
esamina le diverse teorie della sociologia
della conoscenza. Innanzitutto, la sociologia della conoscenza indaga il rapporto tra
le “strutture della società” e le “forme del
sapere” mettendo in risalto anche le influenze reciproche tra queste due dimensioni. Essa si fonda sull’idea che differenti
teorie non siano altro che diverse interpretazioni della realtà che riflettono i problemi
relativi a quegli ambiti sociali in cui si sono
originate. Se nella prospettiva di Marx il
rapporto tra struttura e sovrastruttura ideologica è rigidamente deterministico, in
Weber le strutture sociali sono il risultato
di un’analisi selettiva che si orienta verso
determinati problemi. D’altra parte, per
Durkheim la società è un organismo dotato di proprie autonome funzioni, che si
impongono agli individui stessi. Per Pareto, invece, se le teorie filosofiche e politiche sono nettamente distinte da quelle logico-sperimentali, per la mancanza di una
base oggettiva, tuttavia sono fondamentali
all’interno della dinamica sociale.
Riprendendo Pareto e in opposizione a
Durkheim, Simmel ritiene che la società
sia il frutto delle interazioni reciproche tra
gli individui. Pertanto, egli sottolinea la
componente creativa delle idee, rifiutandosi di farle derivare in modo rigido dalle
condizioni sociali. Invece, il contributo di
Mannheim alla sociologia della cultura
riguarda il rilievo delle difficoltà di tipo
epistemologico inerenti al tentativo di legare ogni forma di conoscenza ad un contesto sociale specifico.
Passando in rassegna le fasi evolutive
della sociologia della conoscenza, Crespi rileva come inizialmente essa tenda a
ritenere il sapere scientifico come una
forma di conoscenza radicalmente diversa dall’ideologia. Successivamente,
in seguito agli sviluppi della scienza
(Plank, Einstein, Heinsenberg), il concetto di scienza si modifica anche grazie
alle teorie di Popper e di Kuhn, per cui il
parametro oggettivo della scienza viene
individuato nello «scambio sociale della
comunicazione reciproca delle osservazioni scientifiche, effettuate dai diversi
scienziati». In base a questi mutamenti
la sociologia della conoscenza situa la
scienza nell’ambito dei processi concreti del suo realizzarsi. Secondo Crespi, le
differenti teorie sociologiche si possono
distinguere essenzialmente in due differenti tipi. Il primo tipo riguarda quelle
teorie che sottolineano in particolar modo
la funzione di “integrazione” svolta dal81
la cultura (Durkheim, Luhmann, Levì
Strauss); il secondo tipo concerne quelle
teorie che mettono in rilievo l’aspetto
“dinamico” della cultura ( Blumer, Mead
ecc.).
Nella seconda parte del suo studio Crespi si occupa dei diversi ambiti di produzione della cultura e tra questi, in particolare, dell’ambito del linguaggio, in
cui si evidenzia l’interdipendenza tra la
struttura sociale, il linguaggio e i condizionamenti sociali dei fenomeni linguistici. In questo contesto Wittgenstein,
soprattutto, ha sostenuto la presenza di
una pluralità di giochi linguistici diversi
collegati a differenti forme di vita. Un
altro ambito analizzato da Crespi è quello del mito che, secondo la prospettiva
della sociologia della cultura, viene considerato come la «prima forma di mediazione simbolica», frutto dell’esperienza
collettiva e fonte della costituzione dell’identità sociale (Frazer, Lévi Strauss).
Un altro ambito strettamente collegato a
quello del mito è quello religioso, esaminato dalla sociologia della cultura soprattutto
in relazione alla sua influenza nella dinamica sociale. La sociologia della religione
si è sviluppata in due diverse direzioni;
quella funzionalistica (Durkheim, Einsenstadt, Wilson, Malinoswski ecc.) e quella
fenomenologica (Otto, Wach, Eliade ecc.).
La sociologia della cultura ha studiato anche l’ambito artistico prendendo in considerazione i processi in base ai quali viene
definito l’oggetto artistico. Sociologi dell’arte come Simmel, Weber e Mannheim,
abbandonata la concezione romantica dell’artista come genio solitario, hanno sottolineato come i processi di creazione siano il
prodotto di un «insieme complesso di condizioni economiche e sociali in rapporto a
determinate istituzioni».
Altri ambiti della sociologia della cultura
considerati da Crespi sono i mezzi di comunicazione di massa, i sistemi di diritto,
le simbologie prodotte dalle organizzazioni lavorative e le rappresentazioni politiche. Nell’ultima parte del libro, Crespi
esamina i vari metodi di ricerca empirica
dei fenomeni culturali tra i quali sono da
rilevare l’analisi quantitativa e qualitativa,
lo studio delle storie di vita, l’analisi dei
processi di socializzazione e le tecniche
reattive e non reattive.
Secondo Crespi, ciò che definisce in modo
peculiare la cultura contemporanea rispetto al passato è l’aver evidenziato l’ordine
simbolico come ambito dotato di una propria autonomia rispetto alla realtà e nello
stesso tempo come costitutivo di essa. Ciò
ha determinato una svolta linguistica in
base alla quale il linguaggio viene considerato come «l’intero dominio della ricerca
umana» e viene criticata la metafisica tradizionale per la sua pretesa di trovare il
fondamento assoluto della verità. M.Mi.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
RIVISTA DI FILOSOFIA
Vol. LXXXVII, n. 3, dicembre 1996
il Mulino, Bologna
Alcune conseguenze della possibile violazione spontanea del principio cosmologico, di P. Budinich: l’abbandono del principio cosmologico, secondo cui «l’universo
a grande scala è isotropo ed omogeneo»,
implica una rivoluzione scientifica le cui
conseguenze fuoriescono dallo stretto campo della disciplina di cui il principio è a
fondamento e vanno a modificare la nostra
concezione del mondo.
Obbligo naturale e motivazione normativa
nel “Trattato” di Hume, di T. Magri.
Il problema delle grandezze intensive nella
filosofia dopo Kant, di R. Martinelli: intensivo ed infinitesimale da Kant ad Herbart;
psicologia e dialettica delle grandezze intensive; la misurazione psicofisica; soluzione e dissoluzione del problema delle
grandezze intensive.
Pura storia o mera erudizione? La storia
della filosofia nei paesi di lingua inglese, di
L. Turco.
Rousseau e un nuovo Enrico IV, di L.
Luporini: la riflessione di Rousseau sul
progetto di pace perpetua.
La pseudoriforma del corso di laurea in
Filosofia, di P. Rossi.
FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ
Anno XIX, n. 3, 1996
Rosenberg & Selllier, Torino
Il fascicolo contiene gli interventi relativi alla conversazione organizzata dalla
rivista nel mese di dicembre 1994 a Padova sul rapporto fra tradizioni laiche e
tradizioni religiose dopo la caduta del
marxismo: Nuovo principio speranza, di
G.L. Brena; Esercizi di perplessità, di R.
Bodei; Identità religiose e cambiamento
di paradigma: l’impossibile storicismo
religioso a fondamento della teoria mo-
rale di C. Taylor, di A. Fortin Melkevik.
Sul simbolo. Un confronto tra la teoria
psicoanalitica e la riflessione filosofica,
di F. Sarcinelli: la natura polimorfa e
complessa del simbolo impedisce una
concettualizzazione esaustiva e univoca
di esso. L’articolo si occupa del simbolo
nell’ambito della teoria psicoanalitica di
tipo freudiano tentando di inserire anche
i possibili arricchimenti che a essa possono venire dalla riflessione filosofica
in termini di aperture concettuali, strumenti analitici e ipotesi interpretative.
La teoria voltairiana della tolleranza e
le sue contraddizioni, di M. Zani: il Trattato sulla tolleranza di Voltaire (1763),
sul tema della specifica proprietà morale
della tolleranza che ne fa un’obbligazione universale, si basa sui presupposti
teorici della prospettiva morale di tipo
utilitaristico e della dottrina etica del
giusnaturalismo, dalla cui sintesi dovrebbe scaturire, secondo Voltaire, una solida impalcatura argomentata a favore
della tolleranza, ma che in realtà costituisce una coerenza più retorica che teorica, generando così aporie e difficoltà.
Linguaggio e antropologia. Habermas e
Gehlen: un confronto critico, di A. Sartori: una revisione delle tesi sull’agire sociale e sul linguaggio di Habermas dal punto
di vista della riflessione di Gehlen che ha
indagato con sistematicità il rapporto tra
linguaggio, corporeità e pulsioni.
T.S. Kuhn e la scoperta di Aristotele:.
dalla metodologia alla storicità della
conoscenza, di G. De Anna: se Wittgenstein e Quine fornirono a Kuhn alcuni
concetti importanti per chiarire la propria concezione di razionalità, ancora
più originaria appare l’influenza della
Fisica di Aristotele. È quindi a partire da
Aristotele e non da Wittgenstein che
occorre riflettere per capire l’idea di
razionalità di Kuhn, in particolare quando egli, opponendosi all’irrazionalismo,
rifiuta anche il razionalismo. di derivazione cartesiana.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXVIII, n. 2, aprile-giugno 1996
Vita e Pensiero, Milano
Aristotele e la fondazione henologica
dell’ontologia, di R. Brandner: l’articolo prende in esame la fondazione della
cognizione ontologica in Aristotele intesa come scienza dei primi fondamenti
e principi dell’ente in quanto ente; tale
fondazione risiederebbe nell’henologia,
cioè nel concetto di unità che circoscrive
il campo concettuale preciso e distinto
da quello di essere-ente. L’argomentazione si snoda a partire dall’innovazione
ontologica socratica rappresentata dal
pensare l’essere come essenza, per poi
individuare la questione henologica all’interno del concetto di essenza; viene
poi messa in luce la differenza tra on e
hen come viene concepita da Aristotele
per poi delimitare i concetti tematici
dell’henologia.
La “Freiheitsschrift” del 1809 come momento decisivo tra filosofia dell’identità
e il rilievo dell’esistenza nel pensiero di
Schelling, di M. Millucci: l’evoluzione
del pensiero schellinghiano viene ormai
interpretata come uno sviluppo coerente
segnato da alcuni nodi centrali che scandiscono il passaggio da una fase all’altra
della sua filosofia. In questo articolo si
vuole analizzare la fase del tramonto
della filosofia dell’identità identificabile nell’idealità negativa del concettolimite della “caduta” e nell’emergere di
nuove urgenze teoretiche innescate dalle critiche di Eschenmayer e da nuove
riflessioni dello stesso Schelling. In questo senso è emblematico il ruolo rivestito dallo scritto sulla libertà umana del
1809 dalla cui analisi possono essere
tratti proficui spunti per un ancoraggio
della filosofia schellinghiana ad alcune
posizioni filosofiche attuali.
Alcuni rilievi sul nesso tra verità, libertà
e temporalità nella filosofia di Nietzsche, di D. Sacchi.
Idealità del segno e intenzione nella filosofia del linguaggio di Edmund Hus-
82
RASSEGNA DELLE RIVISTE
serl, di V. Costa: il linguaggio viene qui
affrontato come tema “regionale” preliminare, secondo l’autore, al problema
del linguaggio come condizione trascendentale della stessa fenomenologia.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
tomo 59, n. 3, luglio-settembre 1996
Beauchesne Editeur, Parigi
Fichte et la question nationale, di M.
Maesschalck: nei Dialoghi patriottici e
nel Discorso alla nazione tedesca di Fichte la comunità nazionale viene intesa
non come insieme “chiuso” di caratteri
etnico-linguistici, ma come figura storica “aperta”, ovvero come il luogo in cui
il popolo viene progressivamente educato alla libertà civile e politica mentre,
nell’estendersi dei rapporti internazionali, si pongono le basi di una “cultura
comune” tra le diverse nazioni; una concezione, questa, che tende al superamento tanto del nazionalismo (nella sua versione romantica come in quella espansionistico-militarista) quanto del cosmopolitismo individualistico della philosophie dei Lumi.
Jaspers, Heidegger et le langage, di D.
Di Cesare: ontologia e filosofia del linguaggio in Jaspers nel confronto critico
con Heidegger e con la filosofia analitica. Il discorso sulla natura dell’essere,
che non si manifesta in modo immediato
ma solo grazie alla mediazione dei “significati” del linguaggio e all’uso della
metafora come strumento per andare
“oltre” l’ente (dove la metafora “mira”
all’essere senza tuttavia poterlo cogliere
in modo definitivo e completo), consente a Jaspers di individuare una concezione profondamente inautentica e artificiale del linguaggio (definita come “arte
linguistica secondaria”) tanto nell’“etimologismo” di Heidegger (l’equivalenza tra filosofare e fare etimologia
imperniata sulla convinzione che sia il
linguaggio la sede originale della verità
e del senso, il luogo autentico in cui
“avviene” la “storia dell’essere”) quanto
nella presunta razionalità tecnico- scientifica della filosofia analitica.
Scepticisme et usage du monde, di H.
Vincent: una rilettura dello scetticismo
di Montaigne come spunto per evidenziarne, oltre che le naturali componenti
gnoseologiche, anche le implicazioni più
tipicamente esistenziali: la scienza (o
ricerca delle cause) come preclusione de
“l’usage du monde”, dell’uso delle cose
come le troviamo a prescindere dalla
nostra capacità di penetrarne l’essenza;
la natura del pregiudizio; il “commerce
des hommes” e la costruttiva messa in
gioco delle proprie opinioni con quelle
altrui; il carattere “paradossale” della
verità come emerge dal dialogo e dal
confronto reciproco tra gli individui.
Ces “Exercices spirituels” que Descartes aurait pratiqués, di M. Hermans e M.
Klein: gli studi di Cartesio presso i Gesuiti, al Collegio di La Flèche, e i debiti
della sua filosofia nei confronti degli
Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e
del Manuale sodalitatis di P. Verron.
Discours et méthode, di G. Boss; il Discorso sul metodo di Cartesio come premessa per una serie di considerazioni
sulla ripartizione della razionalità tra gli
uomini, sulla possibilità di individuare
le condizioni concrete per elaborare una
riflessione sul metodo e sul rapporto tra
scoperta del metodo e casualità.
La dialectique ascendante du “Banquet”
de Platon, di G. Liberman: il nesso tra
Amore e Bellezza in una lettura del Simposio che mira ad analizzare, nella loro
coerenza interna e nel loro significato, le
varie fasi dell’ascesi dell’amante verso
il Bello in sé. Nel presupposto della
continuità tra il mondo dei corpi e quello
dello spirito vengono evidenziate le due
modalità di astrazione che sovrintendono all’ascesi (qualitativa, che ordina
l’elevazione dal sensibile all’intellegibile, e quantitativa, che regola il progressivo elevarsi dall’individuale all’universale) e la compresenza, in entrambe
le dimensioni, dei tre livelli dell’uno,
della pluralità e dell’universalità.
Nouveautés schellingiennes, di X. Tilliette: sintetica rassegna dei più recenti
studi dedicati alla filosofia di Schelling
dalla ricerca francese, italiana e tedesca.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
luglio-settembre 1996
PUF, Parigi
Tema della rivista: “Philosophie médiévale, logique et sémantique” (con una introduzione di J. Biard).
Naissance de la logique de la volonté dans
la pensée médiévale, di S. Knuuttila (trad.
dall’inglese di N. Combettes): partendo
dalla descrizione della teoria agostiniana
dell’autonomia del volere esposta da A.
Dilhe nel saggio The Theory of Will in
Classical Antiquity, l’articolo esamina il
concetto di “volontà” come si delinea nel
De Civitate Dei, soffermandosi sui commenti di Agostino alla teoria classica delle
“emozioni” nei loro rapporti con la parte
superiore dell’anima in cui ha sede la volontà ed evidenziando l’influenza esercitata dal vescovo di Ippona sull’etica e sulla
logica deontica della tradizione medievale,
con particolare riguardo per la genesi e gli
83
sviluppi della cosiddetta “logica della volontà”.
Asymetries: Thomas d’Aquin et Guillaume d’Occam précurseurs de Frege, di C.
Michon: muovendo dalla critica di un
saggio di P.T. Geach sui rapporti tra
logica classica e medievale e logica
moderna l’articolo intende dimostrare
come, riguardo soprattutto ai concetti di
simmetria e asimmetria tra soggetto e
predicato di una proposizione, Tommaso e Occam non siano tra loro in antitesi
e possano a buon diritto venire considerati come precursori delle teorie logiche
di Frege.
Le langage mental en discussion: 13201335, di C. Panaccio: le teorie logicofilosofiche di Occam (critica nominalistica degli universali e dottrina del “linguaggio mentale”), i loro più immediati
precursori (Agostino, Anselmo, Duns
Scoto) e il dibattito sviluppatosi su di
esse, nella prima metà del XIV secolo,
nell’ambiente dei logici inglesi sia dell’ordine domenicano (Lawton, Crathorn
e Holkot) che dell’ordine francescano
(Chatton, Wodeham e lo Pseudo-Campbell).
Autour des “Obligations” de Roger
Swynhed: la “Nova Responsio”, di E.J.
Ashworth: le regole della disputa logica
“obbligazionale” elaborate dall’inglese
R. Swynhed riconsiderate nei loro rapporti con le teorie di Richard Laveham,
Robert Fland ed altri logici del XIV
secolo.
De la logique à la physique: quantité et
mouvement selon Albert de Saxe; di J.
Biard: riflettendo sulle interconnessioni
tra la logica e le altre forme del sapere
(in primo luogo la fisica) nella filosofia
tardo-medievale, l’articolo si sofferma
sulla Francia del XIV secolo, prendendo
in esame le osservazioni elaborate da
Alberto di Sassonia (1316-1390) sul concetto di quantità e sulla natura del movimento locale.
Théories de la vérité et sémantique des
conditions de vérité: le projet de Tarski,
di F. Rivenc: un’attenta disamina della
nozione tarskiana di verità nei suoi rapporti con le teorie di Popper, Quine,
Carnap e Davidson.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
n. 2, maggio 1996
Università Cattolica di Lovanio
Sezione “articles”: Descartes. Le quatrieme centenaire. 1596-1996.
L’analyse cartésienne et la construction de
RASSEGNA DELLE RIVISTE
l’ordre des raisons, di B. Timmermans: l’articolo si sofferma sul significato e sul ruolo
dell’analisi nella costruzione del metodo, sul
carattere aprioristico dell’analisi cartesiana,
sui suoi rapporti con la nozione di analisi
propria della tradizione scolastica e sulla sua
parentela con il “modello architettonico” di
analisi elaborato da Galeno.
De la liberté absolue. A propos de la théorie cartésienne de la création des vérités
éternelles, di O Depré: sono qui esaminati
i testi in cui viene elaborata la dottrina della
creazione divina delle essenze eterne e
delle verità matematiche per evidenziare
come, in Cartesio, tale teoria sia finalizzata
ad affermare l’assoluta trascendenza e libertà di Dio in una prospettiva filosofica
sostanzialmente originale nel panorama
della riflessione metafisica tanto medievale (Duns Scoto e Scoto Eriugena) quanto
moderna (Leibniz e Spinoza).
Du bon sens le mieux partagé..., di D. Lories:
riflettendo sui rapporti tra sapere filosoficoscientifico (metafisica, fisica e matematica)
e agire pratico nel pensiero di Cartesio e sul
riconoscimento, nei due ambiti, di differenti
gradi di evidenza e di certezza, si mette a
confronto il concetto cartesiano di génerosité con quello aristotelico di phronésis (la
virtù etico-politica come descritta nell’Etica
a Nicomaco) evidenziandone i tratti comuni
maggiormente significativi: la relazione, in
essi implicita, tra la contingenza e la particolarità del soggetto agente e la norma universale cui dovrebbe conformarsi la sua azione
(la regola del “bene agire”) e l’apertura,
anche e soprattutto in chiave politica, al
rapporto “amichevole” e “solidale” con l’altro.
L’esthétique musicale de Descartes et le
cartesianisme, di B. Van Wymeersch: l’articolo prende in considerazione le riflessioni di Cartesio sull’arte e sul bello, dalle
teorie esposte nel giovanile Compendium
musicae all’evoluzione verso un’estetica
di tipo “soggettivo” caratteristica delle opere
più mature; il giudizio sull’estetica di Cartesio come estetica “razionale”, formulato
dagli stessi cartesiani tra il XVII e il XVIII
secolo , appare così all’autore un fraintendimento, almeno parziale, della autentica
concezione estetica del filosofo francese.
Le cogito ébloui ou la noèse sans noème, di
M. Dupuis: l’autore dedica il suo intervento
ai rapporti tra Cartesio e Levinas, con particolare riguardo alla dottrina della creazione
delle idee eterne e alla questione della presenza, nell’uomo, dell’idea di infinito.
Penser l’Autre: de l’architectonique d’un
système qui ne serait pas homogéneisant, di P.W. Rosemann, dedicato agli
insegnamenti che la riflessione filosofica potrebbe ricavare dall’architettura e
dalla moda cosiddette “post-moderne” soprattutto in materia di attenzione al
contesto storico e sociale, di eclettismo
di pensiero, di uso di adeguati codici
d’interpretazione e di lettura della realtà
e di riconoscimento dei limiti delle facoltà razionali-.
“sapienza universale”, evidenziando
come la nuova impostazione del pensiero di Husserl tenda a elaborare un concetto di a-priori in grado di rimettere in
discussione la nozione di “a-priori materiale” propria delle precedenti Ricerche
logiche.
REVUE DE METAPHYSIQUE
ET DE MORALE
Concept, jugement et “forme serielle”:
à propos de la philosophie des formes
symboliques comme “logique des relations”, di F. Capeillères: dopo aver affrontato, in Sostanza e funzione, le tematiche della natura e del ruolo del concetto e del giudizio nella conoscenza scientifica (unità quantitativa della funzione
concettuale, logica delle relazioni, nesso tra logica del concetto scientifico e
logica matematica legata al calcolo delle
funzioni) Cassirer, in Filosofia delle forme simboliche, tende al superamento
della problematica del concetto e del
giudizio in vista di una progressiva delucidazione del processo di simbolizzazione tanto nel sapere scientifico quanto
in altre modalità del conoscere (in primo
luogo il mito); la logica delle relazioni
ricompare però anche nell’analisi e nello studio delle forme simboliche e dei
loro rapporti reciproci.
n. 3, settembre 1996
Armand Colin-Parigi
Tema della rivista: “Le Jugement”
La monstration, unique mode de donation de l’a-priori chez Wittgenstein, di C.
Chauviré: il tema del darsi dell’a-priori
nelle due fasi del pensiero di Wittgenstein. Mentre nel Tractatus logico-philosophicus le proprietà logiche del linguaggio (l’a-priori appunto) non si possono dire ma si limitano a “mostrarsi”
nel linguaggio medesimo, e lo stesso apriori ha origine “mondana” in quanto è
il mondo a imprimere la propria struttura
al linguaggio (da cui il giudizio di inutilità sulla teoria dei tipi logici), nel cosiddetto “secondo Wittgenstein” la mostrazione resta ancora il solo modo di donazione dell’a-priori; qui, però, l’a-priori
si mostra propriamente nelle regole
grammaticali e proviene non dal mondo,
ma dallo stesso soggetto che instaura le
regole stesse senza subire imposizioni di
alcun genere dalla natura (tesi della “autonomia relativa” della grammatica).
L’étude des théories du jugement chez le
jeune Heidegger, di F. Dastur: l’articolo
esamina la Dissertazione del 1914 (La
théorie du jugement dans le psychologisme), esempio importante delle giovanili ricerche logiche di Heidegger e della
sua analisi critica delle teorie dei logici
contemporanei; ritenendo che la maggior parte dei logici persistano nel rimanere legati a concezioni di tipo “psicologistico” (in quanto definiscono il giudizio come atto sostanzialmente “psichico”), Heidegger, avendo come riferimento le Ricerche logiche di Husserl, si sofferma piuttosto sul “senso” del giudizio
e sulla sua struttura relazionale, nel tentativo di chiarificare e delineare compiutamente la natura propriamente “logica” del giudizio medesimo.
L’“en soi” husserlien à la lumière de la
doctrine trascendentale du jugement, di
E. Rigal: l’articolo analizza la “fenomenologia trascendentale” husserliana (soprattutto quella esposta in Logica formale e logica trascendentale), con particolare riguardo per la dottrina trascendentale del giudizio e per la nozione di
radicamento dell’“in sé” logico nella
soggettività trascendentale (ovvero nella coscienza come “residuo fenomenologico”) quale fondamento dell’idea di
84
La doctrine du jugement correct dans la
philosophie de F. Brentano, di J.C. Gens:
l’articolo si propone di individuare le
caratteristiche fondamentali della dottrina brentaniana del giudizio, inquadrandola nel tentativo di Brentano di
pervenire a una riforma “semplificatrice” della logica e della sillogistica in
particolare. Dall’analisi del rapporto tra
“evidenza” della percezione e “verità”
del giudizio e della differenza tra modo
“giudicativo” e modo “rappresentativo”
della relazione tra soggetto e oggetto del
rapporto conoscitivo, oltre che dall’esame della natura della rappresentazione
(rinuncia all’idea scolastica della “presenza intenzionale” e distinzione delle
modalità - diretta, laterale, temporale interne al processo rappresentativo) e
dall’affermazione del “giudizio esistenziale” come essenza del modo giudicativo viene delineata, in Brentano, la tendenza a ricondurre la predicazione logica al giudizio (dunque alla soggettività)
e a elaborare una teoria del giudizio
come fenomeno psichico senza per questo scadere in una interpretazione meramente “psicologistica” della logica medesima.
Théorie du jugement negatif, di A. Reinach: viene qui pubblicato, con presentazione e traduzione dal tedesco di M. de
Launay, un breve saggio sulla natura del
giudizio scritto da Adolf Reinach (18831917), fenomenologo oltre che assistente e collaboratore di Husserl. Reinach
inizia col distinguere due “modi” del
giudizio, la “affermazione” e la “con-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
vinzione”, introduce quindi la distinzione tra i concetti di “stato di cose” (caratterizzato dalla “consistenza”) e “stato di
fatto” (caratterizzato dalla “esistenza”)
e, analizzando il rapporto tra “stato di
cose” e “modi” del giudizio, passa a
esaminare la natura del giudizio negativo nel modo della convinzione (convinzione negativa verso uno stato di cose
positivo e viceversa) e il rapporto tra
giudizio negativo e positivo nel modo
dell’affermazione (dove ciò che qualifica i due tipi di giudizio come tali è
proprio il momento dell’affermazione,
con la differenza che, nel giudizio negativo, l’affermazione è caratterizzata da
una “funzione di negazione” che non si
riscontra nel giudizio positivo). Viene
quindi introdotta la figura del giudizio
negativo “polemico” che si differenzia
dal giudizio negativo “semplice” sia per
la particolare “insistenza”, in esso, della
funzione di negazione, che per il suo
presupporre un giudizio positivo a esso
contraddittorio.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
n. 3, luglio-settembre 1996
PUF, Parigi
Tema della rivista: “Jean-Paul Sartre”.
La conscience n’est pas sujet: pour un
materialisme authentique, di M. Kail: la
tradizione marxista e quella heideggeriana
hanno definito, sovente con intento spregiativo, la filosofia esistenzialistica di Sartre come mero “soggettivismo”; in realtà,
anche tramite un confronto non solo con
Marx e Heidegger, ma anche con il trascendentalismo kantiano e lo spiritualismo di
Maine de Biran, il pensiero di Sartre, nella
sua dimensione innegabilmente materialistica ed immanentistica, opera una “dissociazione” tra dimensione soggettiva e dimensione coscienziale, ricomprende la prima nella maggiore ampiezza e significatività della seconda ed è dunque più correttamente definibile non come “filosofia del
soggetto”, quanto come vera e propria “filosofia della coscienza”.
Etre social et logique de l’impuissance, di
H. Rizk: la lettura della Critique de la
raison dialectique evidenzia come Sartre
non si sottragga al dilemma posto da Merleau-Ponty nella sua critica al marxismo,
quello per cui la libertà del soggetto può
risultare di fatto incompatibile con la necessità che impregna e domina il processo
storico; nella riflessione sui rapporti tra
relazione interindividuale, penuria dei beni
materiali (rareté) e genesi della società, si
vede infatti come, per Sartre, sia la stessa
attività del soggetto (il per sé) nella realtà
“opaca e massiccia” che lo circonda (l’in
sé) a produrre la sua “alienazione” in un
mondo sociale e in uno sviluppo storico
che risultano così dominati, a prescindere
dalla capacità dei soggetti, uniti nella figura del “gruppo in fusione”, di sottrarsi alla
“inerzia” del reale, dalla necessità, dall’impotenza e dalla mancanza di libertà.
Panbiographisme chez Sartre, di R. Harvey: in tutti i numerosi generi della produzione sartriana, e dunque non solo, ad
esempio, nelle “vite” di Baudelaire o di
Flaubert, è possibile riscontrare la presenza di una componente “biografica”;
di qui la possibilità di parlare, legittimamente, di un “panbiografismo” sartriano, concetto non privo di rapporti con la
tematica del “soggetto collettivo” e caratterizzato dalla costante tendenza all’identificazione tra la personalità dello
stesso Sartre e quella dei soggetti delle
sue biografie.
L’engagement dans “Journal de guerre
I” de Jean-Paul Sartre, di G. Idt: nel
Journal de guerre I, redatto tra il settembre e l’ottobre del 1939 e facente parte
dei Carnets de la drole de guerre, Sartre,
richiamato alle armi allo scoppio del
secondo conflitto mondiale, riflette sul
significato della guerra e sui dilemmi,
filosofici, politici e morali che l’esperienza bellica suscita in colui che la subisce; si può così formulare l’ipotesi,
supportata dal confronto del Journal con
le opere più significative del filosofo
francese (in primo luogo L’Etre et le
néant), che proprio nell’esperienza della
guerra vada individuato il momento in
cui, in una riflessione come quella sartriana fino ad allora caratterizzata dall’individualismo apolitico dell’“uomo
solo”, inizi a trovare spazio il concetto di
engagement, ovvero di impegno attivo
dell’intellettuale nelle dimensioni “collettive” del sociale e del politico.
MAN AND WORLD
vol. 29, n. 2, luglio 1996
Kluwer Academic Publishers
Dordrecht, Boston, Londra
The Other, society, people of God, di A.
Peperzak: l’autore rilegge le principali
riflessioni di Levinas alla luce di un
linguaggio non-levinasiano. Così l’ipseità dell’io, l’alterità dell’Altro e quella
forma di società che Totalità e Infinito
chiama economia si concretizzano nel
mondo dell’Amministrazione e della
Politica, che è l’ordine della giustizia
generale. L’articolo si conclude con alcune suggestioni sul “popolo di Dio”, la
cui storia è segnata dalla tensione tra
amore e giustizia.
Dis-possessed: How to remain silent “af85
ter” Levinas, di R. Visker: in polemica
col decentramento del soggetto operato
dallo strutturalismo, viene riaffermato il
valore della soggettività, da cui scaturisce un quesito a cui l’autore tenta di dare
una risposta ricorrendo al ruolo della
parola “Dio” in Levinas, vale a dire se la
soggettività implichi una certa chiusura
difficile da conciliare con il desiderio di
apertura e ricettività del presente. I principali termini di confronto sono Kant e
Habermas.
The time of Being and the metaphysics of
presence, di C.J. White: sulla metafisica
della presenza che caratterizza tutta la
cultura occidentale a partire da Platone e
Aristotele, poiché, come ha evidenziato
Heidegger, l’Essere e la Temporalità
coincidono, e quindi l’Essere è la presenza.
Merleau-Ponty and feminine embodied
existence, di B. Preston: sulla filosofia
del corpo di Merleau-Ponty confrontata
con un articolo di I.M. Young che elabora una fenomenologia dell’esistenza corporea femminile che approda a risultati
opposti.
Nature and philosophy: Adam Smith on
stoicism, aesthetic reconciliation, and
imagination, di C.L. Griswold jr.
Simmetry and asymmetry: on Girard’s
concept of mimesis, di D. Barbiero.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
vol. XXXVI, n. 3, settembre 1996
Fordham University, New York
Kant’s Changing Conception of the Causality of the Will, di C. Nussbaum: l’introduzione del teleologico come indispensabile principio del giudizio riflessivo ha permesso a Kant di formulare il
nuovo imperativo morale della Religione nei limiti della semplice ragione, in
cui realizza in modo più convincente il
legame tra teleologico e ragione pratica,
di quanto non avesse già fatto nella Critica del giudizio.
Husserl, Derrida, Hegel and the Notion
of Time, di J. Smith: intende fornire una
risposta alla decostruzione derridiana
della fenomenologia della coscienza interna del tempo di Husserl, rintracciando le radici della differenza di Derrida
nella dialettica hegeliana dell’Aufhebung.
Aquina’s Concept of Substantial Form
and Modern Science, di T.L. Nichols: la
nozione di forma sostanziale è centrale
nel pensiero di San Tommaso, come di
RASSEGNA DELLE RIVISTE
molti antichi e medievali, mentre il suo
rifiuto è una delle caratteristiche fondamentali del pensiero moderno, in particolare delle scienze naturali. Secondo
l’autore è fondamentale il recupero di un
concetto scientificamente credibile di forma sostanziale, molto simile alla nozione
di causa olistica recentemente ripresa dalle scienze naturali, per bilanciare la iperspecializzazione e conseguente frammentazione del pensiero moderno incapace di
risolvere i problemi della vita moderna.
Descartes and Wittgenstein on Emotion,
di J.V. Arregui.
Radical Pragmatism and a Theory of
Person, di R.J. Roth S.J.: James afferma
che l’empirismo “ordinario” (Berckeley, Hume, J. Mill, J.S. Mill) non è abbastanza radicale, non penetra in profondità nell’esame dell’esperienza, cogliendo
così singoli eventi mentre connessioni e
relazioni vengono perse. Allo stesso
modo l’autore intende mostrare che il
pragmatismo stesso non è abbastanza
radicale nel selezionare le implicazioni
della sua tradizione e considerare la possibilità di nuove dimensioni nel convenzionale buon senso pragmatico da una
più radicale, riflessiva considerazione
dell’esperienza.
linguaggi formali di un numero di plausibili e distinti concetti di verità logica. Ricordiamo anche The validity Paradox in Modal S5, di D. Jacquette; Confirmation Holism and Semantic Holism, di M. Harrell e
infine Anti-realistic Truth and Concepts of
Super-assertibility, di J. Edwards che sconfronta le tesi di Wright sulla superassertabilità come esplicazione antirealista della
verità con quelle di Dummett.
JOURNAL OF LOGIC, LANGUAGE AND
INFORMATION (vol. 5, n. 3-4, ottobre 1996,
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht,
Boston, London) presenta un numero doppio a carattere monografico su “Teoria
dimostrativa e linguaggio naturale”.
RIVISTA ROSMINIANA (Anno XC, n. 4,
ottobre-dicembre 1996, Sodalitas, Stresa)
presenta un intervento di J.M. Trigeaud dal
titolo La justice divine entre nature et personne.
INTERSEZIONI (Anno XVI, n. 3, dicembre
1996, il Mulino, Bologna) presenta un intervento di J. Jiménez Heffernan dal titolo
La Cena delle Ceneri. Verso una conoscenza immaginativa e Il mito di Prometeo
nell’interpretazione di Francesco Bacone,
di A. Ciocci in cui il mito greco viene letto
in chiave di progresso scientifico.
TEOLOGIA (Anno XXI, n. 3, settembre
AXIOMATHES (vol. VII, n. 1-2, aprile-
settembre 1996, Estrella de Oriente, Trento) presenta un fascicolo doppio sulla filosofia di Alexius Meinong comprendente
numerosi interventi riguardanti l’ontologia, la gnoseologia e l’epistemologia meinongiana, messe a confronto con le teorie
di Husserl, Frankl, Daubert, Witasek. Tra i
molti articoli segnaliamo: A cubist state of
mind: Meinong’s ontology, di L. Albertazzi, e On defoliating Meinong’s jungle, di D.
Jacquette, per quanto concerne l’ontologia; Meinong and Husserl on assumptions,
di R.D. Rollinger, Wissenschaftstheorie der
Grazer Schule: Meinong und Frankl, di
W.G. Stock, Seeing and thinking: Vittorio
Benussi and the Graz School, di N. Stucchi,
dedicati a temi epistemologici.
MIND (vol. 105, n. 420, ottobre 1996,
Oxford University Press) presenta Rossstyle Pluralism versus Rule-consequentialism, di B. Hooker; Instrumentalism and
the Interpretation of Narrative, di A. Savile e Anti-realism, truth-value Links and
Tensed Truth Predicates, di B. Weiss.
SYNTHESE (vol. 109, n. 1, ottobre 1996,
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht,
Boston, London), presenta The logic of
Question as a Theory of Erotetic Arguments, di A. Wisniewski, sulle argomentazioni
nelle quali le domande fungono da conclusioni; The Truth of Logic, di E.M. Hammer, presenta la possibilità anche per i
1996, Glossa, Milano) riporta gli interventi
al dibattito sul tema del rapporto tra filosofia e teologia organizzato il 13 maggio
1996 presso la facoltà teologica dell’Italia
settentrionale. Pur essendo considerate sul
piano della cultura pubblica due discipline
estrinseche reciprocamente, anche quando
trattano lo stesso oggetto, nei fatti per gli
studiosi tale estrinsecità appare sterile e
teoreticamente di scarso valore. Senza porre necessariamente l’esigenza di un confronto tra i due saperi è emersa comunque
una prospettiva di irrinunciabile dialogo.
CUADERNOS SOBRE VICO (n. 5-6,
1995-96, Centro Studi Vichiani, Università di Siviglia) presenta una fascicolo piuttosto esteso con contributi allo
studio di Vico provenienti da studiosi
spagnoli italiani, anglosassoni. Essa rappresenta pertanto un punto d’incontro
internazionale e interdisciplinare tra studiosi appartenenti ad aree geografiche
diverse.
turale, dove vengono prese in esame due
opere Renewing Philosophy (1992) e
Words and Life (1994) da cui in maniera
paradigmatica possono essere individuate le due caratteristiche fondamentali
della filosofia di Putnam, la versatilità e
la fecondità. È comunque vero che, al di
là dei cambiamenti di opinione che si
sono succeduti nel tempo, dalla metafisica realistica e dal funzionalismo alla
concezione epistemica della realtà, la
sua filosofia appare fondata sul proposito di individuare un approccio alla filosofia intermedio tra il realismo dogmatico e l’antirealismo dogmatico.
KAMEN (Anno V, n. 9, novembre 1996)
presenta l’ultima parte del Narciso di
G.S. Skovoroda a complemento dell’opera pubblicata nel numero precedente della
rivista.
TEOLOGIA E FILOSOFIA (Anno X, n. 3,
settembre-dicembre 1996, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico su “Linguaggio e rivelazione”. Come spiegano Luigi Perissinotto
e Mario Ruggenini, i saggi qui raccolti,
inerenti a una tematica sia teologica che
filosofica, sembrano tutti animati dalla convinzione che le due discipline siano inevitabilmente portate al confronto. Più in particolare, la svolta linguistica propria della
filosofia contemporanea necessita un ripensamento “sia delle maniere in cui la
teologia ha pensato la linguisticità dell’evento rivelativo che dei modi in cui la
filosofia ha compreso ed interpretato se
stessa e i suoi rapporti con l’esperienza
religiosa”. Gli autori hanno prvilegiato nei
loro saggi quei filosofi che con maggior
forza hanno tematizzato la relazione tra
linguaggio e rivelazione, anche se in campo filosofico ciò non ha comportato atteggiamenti preconcetti; ne sia testimonianza
la significativa presenza di Wittgenstein,
filosofo che più di altri ha sperimentato la
disvelatività del linguaggio con strumenti
molto lontani da quella tradizione ermeneutica che più chiaramente si richiama
alla teologia.
LA CULTURA (Anno XXXIV, n. 3, di-
dicembre 1996, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un fascicolo monografico sul tema della “responsabilità”.
cembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un intervento di A. D’angelo, Le
categorie in quanto essere per sé. Commentator contra Avicennam , in cui si
prende in esame la contrapposizione esegetica tra Averroé, Tommaso d’aquino,
Sigieri di Brabante da un lato, Avicenna
dall’altro, circa il significato primario e
secondario delle categorie. Segnaliamo
inoltre Idealismo e trascendenza, di S.
Pietroforte su Gustavo Bontadini.
LINGUA E STILE (Anno XXXI, n. 4,
FILOSOFIA POLITICA (Anno X, n. 3,
dicembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un articolo di M. De Caro su Il
lungo viaggio di H. Putnam. Realismo
metafisico, antirealismo e realismo na-
dicembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un numero monografico sul tema
“Materiali per un lessico politico europeo: tirannide”.
IL CANNOCCHIALE (n. 3, settembre-
86
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA.VV. (a cura di)
Lexikon des Mittelalters
Artemis & Winkler, settembre 1996
pp. 1120 al vol., DM 660 per vol.
Si tratta di un’opera in otto volumi, più un
volume aggiuntivo, curata da oltre 100 esperti di mediovalismo, che sarà pronta nel ’98
e di cui sono già apparsi i volumi dal I al VII.
Contiene articoli biografici, sulle città e le
nazioni, di impianto generale e specifico. I
volumi forniscono anche il primo resoconto
del livello a cui è giunto lo studio sul Medioevo e uno strumento indispensabile per gli
studenti e i ricercatori.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Baumgartner, E. (a cura di)
Handbook of Phenomenology
and Cognitive Science
Röll, novembre 1996
pp. 392, DM 98.
Beeley, Philip
Kontinuität und Mechanismus.
Zur Philosophie des jungen Leibniz
in ihrem ideengeschichtlichen Kontext
Steiner, novembre 1996
pp. 398, DM 140.
AA.VV.
L’esthétique des philosophe
Dis voir, ottobre 1996
pp. 160, F 160
Dieci filosofi si sono riuniti per discutere di
alcuni problemi di estetica. Per tutti gli
interessati alla materia.
Abel, G. - Sandkühler, H.J.
(a cura di)
Pluralismus - Erkenntnistheorie Ethik und Politik
Meiner, novembre 1996
pp. 160, DM 36.
Aboul-El-Magd, Esam
Nietzsche. Ressentiment
und schlechtem Gewissen auf der Spur
Königshausen & Neumann, ottobre 1996
pp. 138, DM 29,80.
Adorno, Francesco Paolo
Le style du philosophe:
Foucault et le dire vrai
Kimé, ottobre 1996
pp. 162, F 125
L’autore manifesta qui il suo interesse per le
affermazioni intorno alla verità di Foucault.
Egli cercherà di infrangere gli steccati all’interno dei quali i suoi contemporanei lo
avevano rinchiuso. Gli sembra infatti necessario insistere su quello che sarebbe il
fulcro principale del pensiero di Foucault: il
fatto che Foucault avrebbe stabilito un legame tra un paradigmatico della verità e un
certo modo di pensare al soggetto. Per tutti
gli interessati e di livello universitario.
Agacinski, Sylviane
Critique de l’égocentrisme:
l’évènement de l’autre
Galilée, ottobre 1996
pp. 157, F 150
Bisogna abbandonare la posizione egocentrica della questione dell’altro e quindi non
partire dal soggetto che crede di pensare a se
stesso prima dell’altro, che si interroga su se
stesso a proposito dell’altro. Il pensiero che
testimonia il suo non essere all’altezza del
compito rivolge quindi la sua attenzione
all’altro come unico testimone della sua
inquietudine e del suo interrogarsi. Per tutti
gli interessati e di livello universitario.
Alcaro M., Bufalo R. (a cura di)
John Dewey oggi:
contributi di M. Alcaro et al.
Abramo, settembre 1996
pp. 195, £ 29.000
Studiosi di diversa formazione si confrontano su uno dei pensatori più significativi
del ’900. Visalberghi, Semerari, Bufalo,
Lecaldano e Alcaro rivisitano i settori principali della produzione strumentalista per
sondarne l’attualità. Maffettone, Spadafora, Liguori, Candreva e Quaranta segnalano
l’influenza che Dewey ha esercitato su vari
indirizzi della filosofia e della pedagogia
contemporanee.
Algra, K.A. (a cura di)
Polyhistor. Studies in the History
and Historiography of Ancient Philosophy
Brill, settembre 1996
s.pp., FOL 225.
Althusser, Louis
Pour Marx
pref. di Etienne Balibar
postf. di Louis Althusser
La Découverte, novembre 1996
pp. 288, F 69
Si tratta di un’opera di grande importanza,
una raccolta di articoli, pubblicata per la
prima volta nel 1965, uno dei cardini fondamentali del percorso intellettuale originale.
Quest’edizione contiene una prefazione inedita del filosofo E. Balibar e la postfazione
proccio al problema dei fondamenti della
matematica, finora visti nell’ottica delle
proposte formalista e intuizionistica.
Baltes, M. (a cura di)
Der Platonismu in der Antike.
Grundlagen - System - Entwicklung
Indice ai voll. I-IV
Frommann-Holzboog, novembre 1996
pp. 200, DM 79
Il volume raccoglie le ricerche di Heinrich
Dörrie.
che L. Althusser aveva redatto per le edizioni straniere di questo libro. Per tutti gli
interessati alla materia.
Apel, Karl-Otto
L’éthique après Kant
Cerf, novembre 1996
pp. 185, F 150
Apel, l’iniziatore con Habermas dell’etica
della discussione, ha riunito nell’ultima sua
opera - Discussione e responsabilità - una
somma di studi che rappresentano il tentativo più ardito di esaminare sistematicamente i problemi etici, sia dal punto di vista
della filosofia moderna e contemporanea
sia da quello delle realtà del mondo di oggi.
Per tutti gli interessati.
Bar-Elli, Gilead
The Sense of Reference.
Intentionality in Frege
de Gruyter, novembre 1996
pp. 251, DM 168
Si tratta di un’interpretazione dei concetti
fondamentali della filosofia del matematico tedesco Gottlob Frege (1848-1925), il
fondatore della moderna logica e della filosofia del linguaggio.
Aristoteles
Discorsi sull’esistenza:libri 7-8-9
della Metafisica
introduzione, traduzione e note
di Giovanni Salmieri
San Paolo, ottobre 1996
pp. 316, £ 38.000
Questa edizione, che presenta integralmente con testo originale a fronte i libri che
costituiscono il nucleo della ricerca intende
suggerire un ritorno allo spirito primitivo
della ricerca di Aristotele. Con l’aiuto di
una nuova traduzione e note di commento il
più possibile aderenti alla lettera del testo,
emerge una Metafisica attenta soprattutto a
riconoscere la limitazione del pensiero
umano di sua natura povero e sempre bisognoso di un supporto empirico.
Barloewen, C. von (a cura di)
Der Tod in der Weltkulturen
und Weltreligionen
Diedrichs, ottobre 1996
pp. 500, DM 58.
Bartelborth, Thomas
Begründungsstrategien.
Wege durch dia analytische
Erkenntnistheorie
Akademie Vlg., novembre 1996
pp. 400, DM 78
Quando un’opinione è ben motivata? Ricollegandosi alle moderne concezioni teorico-scientifiche delle teorie, viene presentata una nuova teoria della conoscenza, che
raccoglie sia le spiegazioni che vengono
fornite nella quotidianità sia le scienze dello
spirito e della natura.
Arz de Falco, Andrea
Töten als Anmaßung- Lebenlassen
als Zumutung. Die kontroverse
Diskussion im Ziele und Konsequenzen
der Pränataldiagnostik
Univ.-Vlg. Freiburg/CH, novembre 1996
pp. 308, DM 58
Si tratta della tesi di laurea presentata dall’autrice presso l’Università di Friburgo, in
Svizzera, quest’anno.
Bartels, Andreas
Grundprobleme der modernen
Naturphilosophie
UTB, ottobre 1996
pp. 240, DM 24,80
L’autore riflette su concetti centrali per
l’apparato teoretico - spazio, tempo, materia, caos, spirito, ambiente -, presenta le
teorie e fornisce una risposta alla domanda
intorno a quale idea si ha della natura e se
sono vere le moderne teorie delle scienze
naturali.
Averroè
Discours décisif
intr. di Alain de Libera
tr. dall’arabo di Marc Geoffroy
Flammarion, settembre 1996
pp. 256, F 45
Si tratta di un testo breve, ma essenziale,
sulla necessità di conciliare la logica aristotelica con la scrittura. Il volume dovrebbe
essere letto e inquadrato nel dibattito attuale
sull’Islam, che per qualcuno significa fanatismo. L’autore, nato nel 1126, ricorda la
necessità dell’esoterismo e il rifiuto dell’interpretazione letterale della religione. Il
volume presenta il testo nella versione bilingue francese-arabo. Per tutti gli interessati.
Baruzzi, Arno
Machbarkeit. Perspektiven
der Lebensformen
Alber, novembre 1996
pp. 272, DM 28
La teoria classica non dà alla vita ciò di cui
ha bisogno: l’autodeterminazione e l’autonomia. Queste facoltà sono, secondo Baruzzi, da conquistare attraverso un pensiero, che non diventa ideologia, ma che riconosce i suoi limiti e soprattutto le sue fonti
vitali e non permette che queste si esauriscano.
Baldino, Mario - Bonesio, Luisa Resta, Caterina (a cura di)
Geofilosofia
Lyasis, ottobre 1996
pp. 206, £ 27.000
In questo libro gli autori mostrano come
attualmente la filosofia debba intendersi
come geofilosofia, cioè consapevolezza
che non c’è più spazio per la settorializzazione dei problemi ma che è già da tempo
iniziata l’era planetaria in cui si devono
affrontare scelte che riguardano il destino
della Terra nel suo complesso e dei suoi
abitanti.
Basti, Gianfranco
Le radici forti del pensiero debole:
dalla metafisica, alla matematica,
al calcolo
Il poligrafo, settembre 1996
pp. 332, £ 35.000
Questo libro tenta per la prima volta di
mettere in luce l’intrinseca connessione tra
i problemi della metafisica classica e le
questioni dei fondamenti della matematica
affrontate dai moderni. L’originalità di questo tentativo consiste nella proposta di una
“terza via”- di ispirazione tomista - di ap-
87
Besnier, Jean-Michel
Les théories de la connaissance
Flammarion, ottobre 1996
s.pp., F 39
L’autore esamina tutte le teorie filosofiche
che rendono conto dei saperi sul mondo. Si
tratta di un’analisi critica dei concetti di
intenzionalità e di rappresentazione. Mostra la ricerca dell’assoluto e dell’unità che
sottiene a ogni progetto scientifico e critica
anche il modo in cui la scienza a volte
diventa una specie di sostituto delle religioni. Per tutti gli interessati.
Besse, Jean-Marc - Boissière, Anne
Précis de philosophie
Nathan, ottobre 1996
pp. 160, F 63
Il volume raccoglie dei testi esplicativi che
consentono di capire meglio i grandi filosofi di ieri e di oggi, le correnti del pensiero del
XX secolo, così come le nozioni fondamentali. Vengono studiati i principali campi
della filosofia attuale e le prove d’esame
presentate. Di livello universitario.
Bianchi, Lorenzo
Rinascimento e libertinismo:
studi su Gabriel Naudé
Bibliopolis, novembre 1996
pp. 306, £ 50.000
Questo libro propone degli studi su Naudé:
rinascimento e libertinismo, libertinismo e
conservatorismo politico, Naudé e lo stoicismo, Naudé e la critica all’alchimia, per una
biblioteca libertina.
Biesinger, A. - Strack, H.-B.
Gott, der Urknall und das Leben.
Was Glaube und Naturwissenschaft
voneinander lernen können
Kösel, ottobre 1996
pp. 200, DM 36.
Binder, Th. - Fabian, R. et al.
(a cura di)
International Bibliography
of Austrian Philosophy 1986/87
Ed. Rodopi, settembre 1996
pp. 233, FOL 125.
Birnbacher, D. (a cura di)
Schopenhauer in der Philosophie
der Gegenwart
Königshausen & Neumann, settembre 1996
pp.182, DM 38.
Blanchet, Régis
La liberté de la conscience
Ed. du Prieuré, ottobre 1996
pp. 220, F 105
Si tratta di un’esplorazione della libertà
della coscienza nelle sue sfaccettature filosofiche, che porta il lettore a mettere la
libertà in rapporto con il metodo di lavoro
della religione e della politica. Per tutti gli
interessati alla materia.
Blanquer, Jean-Michel
Changer d’ère:
progrès, déclin, transformation
Descartes & Cie, ottobre 1996
pp. 115, F 75
L’autore si propone di affermare che l’uomo non è finito, giocando su tutte le sfumature della parola “fine”: fine, finitudine,
finalità. L’autore ha incontrato diversi intellettuali appartenenti ad ambiti differenti:
Attali, Atlan. Per tutti gli interessati alla
materia.
Blaukopf, Kurt
Die Ästhetik Bernard Bolzanos.
Begriffskritik, Objektivismus, ‘
echte’ Spekulation
und Ansätze zum Empirismus
NOVITÀ IN LIBRERIA
Akademie Vlg., novembre 1996
pp. 100, DM 18.
Böcher, Wolfgang
Selbstorganisation, Verantwortung,
Gesellschaft. Von subatomaren
Strukturen zu politischen
Zukunftsvisionen
Westdt. Vlg., novembre 1996
pp. 528, DM 89.
Bontadini, Gustavo
Dall’attualismo al problematicismo
Vita e pensiero, settembre 1996
pp. 394, £ 62.000
Questo libro di Bontadini intende aiutare a
non smarrire il senso “forte” antico e sempre nuovo della filosofia considerata come
mediazione incontrovertibile dell’immediato o, come la definisce lo stesso Bontadini,
come “metafisica dell’esperienza”.
Borchmeyer, D. (a cura di)
‘Vom Nutzen und Nachteil der Historie
für das Leben’
Suhrkamp, novembre 1996
pp. 240, DM 19,80.
Bottani, Livio
La ferita mortale e il perdono
Tirrenia stampatori, ottobre 1996
pp. 200, £ 30.000
In questo libro l’autore mostra come la
cultura possa essere intesa come un gigantesco meccanismo riassumente in sé tutti i
possibili tentativi di restituzione soteriologica attraverso cui si testimonia la radicale
esigenza di pervenire al “perdono per la
colpa originaria del sapere” dell’infranto
che il sapere della sostanziale caducità di
tutte le cose.
Bourdil, Pierre-Yves
Le temps: concours HEC 1997
Ellipses-Marketing, settembre 1996
pp. 128, F 55
Si tratta di uno studio filosofico sulla nozione del tempo. Di livello universitario.
Bourg, Dominique
L’homme artifice: le sens de la technique
Gallimard, novembre 1996
pp. 347, F 150
Ciò che ci rende uomini non è semplicemente il risultato della nostra costituzione
storica e cerebrale: l’uomo è il prodotto del
suo artificio. L’umanità si ricollega agli
animali, grazie a diversi utensili, tra cui il
linguaggio. L’autore confronta la sua tesi
con le realtà delle tecniche contemporanee
(artificializzazione dell’agricoltura, tecniche del genio genetico...). Per tutti gli interessati.
Bouveresse, Jacques
Le demande philosophique:
que veut la philosophie et que peut-on
vouloir d’elle?
Eclat, novembre 1996
pp. 176, F 79
Questo volume è la versione integrale della
lezione inaugurale della Cattedra di Filosofia del linguaggio e della conoscenza del
Collège de France, tenuta il 6 ottobre 1995.
Per tutti gli interessati.
Bozal, Valeriano
Il gusto
il Mulino, ottobre 1996
pp. 116, £ 15.000
Questo volume traccia un sintetico percorso del gusto come concetto fondamentale
dell’estetica all’interno della tradizione artistica e filosofica occidentale esaminando
in particolare temi quali l’autonomia dell’arte, il gusto come facoltà, il piacere del
giudizio e il piacere della conoscenza, l’intersoggettività della rappresentazione, le
forme del guardare.
Bozzetti, Mauro
Hegel und Adorno. Die kritische Funktion
des philosophischen Systems
Alber, ottobre 1996
pp. 256, DM 58.
Braitenberg, V. - Hosp, I. (a cura di)
Die Natur ist unser Modell von ihr.
Forschung und Philosophie
Rohwohlt, ottobre 1996
s.pp., DM 18,90
Dieci autori, biologi, fisici, neuro-scienziati e scienziati in informatica si occupano
dell’importanza e del significato della filo-
sofia della natura per l’epoca contemporanea e analizzano l’influsso che hanno avuto
le diverse discipline e gli ambiti di ricerca
sulla filosofia della natura.
studi in onore di Aldo Masullo
ESI, settembre 1996
pp. 256, £ 44.000
L’importanza di Masullo è legata al fatto
che, alla fine degli anni Cinquanta, avvia la
ricerca di un approccio non obiettivistico,
né psicologistico al soggetto, avvicinandosi
alla fenomenologia husserliana ed elaborando con essa e con i suoi svolgimenti un
confronto critico.
Braun, E. (a cura di)
Die Pardigmenwechsel
in der Sprachphilosophie.
Studien und Texte
Wiss. Buchges., ottobre 1996
pp. 320, DM 68
Nel volume viene tracciata la genesi di
questo cambiamento dei paradigmi, per il
quale si può risalire fino all’Antichità e ne
vengono tematizzate le fasi nel XX secolo e
poi fino ai dibattiti contemporanei. La presentazione monografica da parte del curatore e la scelta dei testi che ne documentano la
versione originale, presentati in una nuova
traduzione, portano il lettore a fare il punto
della situazione in cui si trova il dibattito
sulla concezione della lingua come premessa cognitiva oggettiva.
Capriolo, Paola
L’assoluto artificiale: nichilismo
e mondo dell’espressione
nell’opera saggistica di Gottfried Benn
Bompiani, novembre 1996
pp. 108, £ 24.000
Questo libro si pone come uno dei contributi decisivi alla conoscenza della filosofia
dell’arte elaborata da un grande poeta tedesco del nostro secolo: Gottfried Benn. Suscita molto interesse la seconda fase del
pensiero di Benn poiché si basa su una
concezione apollinea dell’arte e quindi,
determina un utilizzo in chiave positiva del
nichilismo.
Brenner, Andrea
Ökologie-Ethik
Reclam, ottobre 1996
pp. 176, DM 20.
Carrara, Carlo
Heidegger: dal Si al sé
Cyrano, ottobre 1996
pp. 117, £ 20.000
Il presente studio si propone di focalizzare
uno dei nuclei fondamentali del pensiero
heideggeriano, l’essere inautentico e autentico dell’Esserci, esplicato dall’espressione
“dal Si al sè”. Mentre il “da” ne rivela
l’inautenticità, l’ “a” palesa la ricerca ontologico-esistenziale dell’autenticità.
Breton, Stanislas
Philosophie et mystique, existence
et surexistence
J. Millon, novembre 1996
pp. 192, F 130
Il volume affronta il tema della pre-esistenza, legata a colui che vive la vita in legame
con Dio; l’autore parte dai testi medioevali
che appartengono alla metafisica, alla teologia e alla spiritualità e alla sua inflessione
speculativa. Per tutti gli interessati.
Brisson, Luc
Introduction à la philosophie du mythe
vol. I: Sauver les mythes
Vrin, novembre 1996
pp. 243, F 125
Come e perché, dall’Antichità fino al Rinascimento, la trasmissione dei miti della Grecia antica e di Roma fu assicurata dalla
filosofia che, dopo aver denunciato la loro
incapacità di essere dichiaratamente veri o
falsi e la loro inferiorità in rapporto all’argomentazione, si impiegò a presentare il
significato più alto in virtù del presupposto
che tutti gli uomini condividono le stesse
verità. Per tutti gli interessati e di livello
universitario.
Carravetta, Peter
Il fantasma di Hermes:saggio su metodo,
retorica,interpretare
Milella, settembre 1996
pp. 418, £ 35.000
Questo libro affronta il problema dell’inseparabilità tra essere e conoscere, tra teoria e
metodo, attraverso una ricerca mirante a
ridefinire lo statuto e il ruolo dell’attività
interpretativa, del fare critica nelle materie
umanistiche. L’opera ripensa la storia del
metodo e dell’interpretare rimettendo in
gioco le esclusioni e le conclusioni delle
varie epoche e il destino di una comprensione costretta a convivere con il fantasma
della propria unità e irrevocabilità ma anche
interdipendenza e correlazione con altri esseri, con altre interpretazioni.
Brunschwig, Jacques (a cura di)
Le savoir grec: dictionnaire critique
pref. di Michel Serres
Flammarion, ottobre 1996
pp. 1096, F 450
In sessentatré saggi individuali, questo libro si
domanda che cosa sapessero i Greci, che cosa
abbiano inventato e se sia possibili metterli in
discussione. Gli autori si situano in una prospettiva precisa, quella dell’invenzione filosofica, della conoscenza scientifica e della pratica della politica. Per tutti gli interessati.
Carrier, M. - Machamer, P. (a cura di)
Mindscapes:
Philosophy, Science and the Mind
UVK, novembre 1996
pp. 300, DM 108
Il libro rappresenta il risultato della conferenza “Philosophy and the Sciences of the
Mind”, tenutasi a Costanza nel maggio del
1995. Contiene importanti contributi da parte
di rilevanti rappresentanti della filosofia
dello spirito e affronta temi di diversi ambiti
di ricerca.
Brüntrup, Godehard
Das Leib-Seele-Problem. Eine Einführung
Kuhlhammer, ottobre 1996
pp. 160, DM 34
L’essere umano è una specie di computer
biologicamente molto evoluto? Le macchine possono pensare e avere addirittura una
coscienza? Tutti gli accadimenti mentali
sono determinati dai loro dati biologici?
Recentemente, nella filosofia accademica,
si sono avute diverse discussioni che hanno
chiarito le varie questioni, senza le quali
non si sarebbe arrivati al livello di riflessione qui proposto.
Cartesio
Le monde, l’homme
intr., note e tr. di A. Hespériès
e J.-P. Verdet
Seuil, ottobre 1996
pp. 226, F 290
Quest’edizione integrale del Mondo di Cartesio, nella sua versione definitiva del 1633,
è costituita da due trattati inseparabili e che
sono emblematici del cartesianesimo: il primo analizza il mondo visibile (il trattato
della luce) e il secondo il suo “spettatore” (il
trattato dell’uomo). Per tutti gli interessati
alla materia.
Bubner, Rüdiger
Welche Rationalität bekommt
die Gesellschaft? Vier Kapitel
aus dem Naturrecht
Suhrkamp, ottobre 1996
pp. 200, DM 18,80.
Cartesio
Lettre-préface des ‘Principes
de la philosophie’
a cura di Denis Moreau
Flammarion, settembre 1996
pp. 144, F 20
Il testo presenta le questioni fondamentali e
l’insieme del progetto filosofico di Cartesio. Per tutti gli interessati.
Buttiglione - Palous - Seifert
Die Verantwortung des Menschen
in einem globalen Weltzeitalter.
Radim Polous’ und Hans Jonas’
Entwürfe einer Ethik für ein neues
Zeitalter
Winter, novembre 1996
pp. 73, DM 16.
Castelpietra, Aldo
Al cinema con Platone:
breve viaggio filmosofico
intorno al Simposio
presentazione di Carlo Sini
F.Angeli, novembre 1996
pp. 79, £ 20.000
Questo libro esamina il Simposio di Platone
Cantillo, Giuseppe (a cura di)
Comunità e solitudine:
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secondo una prospettiva cinematografica.
Caysa, V. - Eichler, K.-D. (a cura di)
Philosophiegeschichte und Hermeneutik
Leipziger Univ.-Vlg., settembre 1996
pp. 200, DM 40.
Charpa, Ulrich
Grundprobleme
der Wissenschaftsphilosophie
UTB, ottobre 1996
pp. 190, DM 21,80
In questo volume viene messa in discussione un’interpretazione filosofica complessiva della scienza, affrontando diversi blocchi tematici, come i concetti, le teorie, i dati,
i fenomeni, le argomentazioni, i principi, la
durata e il cambiamento, le persone, le
razionalità.
Chiusano, Lido
Il mondo degli uomini di Franco Lombardi
Bibliotheca, settembre 1996
pp. 110, £ 15.000.
Choulet, Philippe - Nancy, Hélène
Nietzsche, l’art et la vie
Félin, settembre 1996
pp. 384, F 150
Si tratta di un’antologia commentata dei
principali testi dell’autore de La genealogia
della morale. Un Nietzsche più affermativo
che negativo, meno “filosofo con il martello” che non agitatore irritato e anche provocatorio... Per tutti gli interessati.
Ciafardone, Raffaele
La critica della ragion pura in Kant:
introduzione alla lettura
NIS, settembre 1996
pp. 217, £ 29.000
L’opera di Kant viene presentata in questo
volume tenendo in debito conto la precedente tradizione filosofica e soprattutto i
cosiddetti scritti precritici. Attraverso un
continuo rinvio alle opere giovanili e alla
corrispondenza di Kant con i maggiori pensatori del suo tempo (in particolar modo con
Lambert e Mendelssohn), emerge la complessa trama di cui risulta intessuta la prospettiva critico-trascendentale.
Colli, Giorgio
Ecrits sur Nietzsche
tr. dall’it. di P. Farazzi
Eclat, ottobre 1996
pp. 156, F 80
Il volume raccoglie le prefazioni alle varie
opere di Nietzsche, scritte da Giorgio Colli.
Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Combès, Joseph
Etudes néoplatoniciens
J. Millon, ottobre 1996
pp. 368, F 190
Questa raccolta di studi, il cui centro di
gravità è rappresentato dall’analisi dell’interpretazione di Damacius del Parmenide
di Platone, rintraccia un filosofo instancabile, nella sua coerenza e nel suo percorso di
ricercatore. Per tutti gli interessati alla materia.
Comte-Sponville, André
Impromptus
PUF, settembre 1996
pp. 192, F 88
Fare filosofia significa pensare la propria
vita e vivere il proprio pensiero. Esiste però
uno scarto tra queste due situazioni, uno
scarto che ci fa esistere e ci strazia. La
filosofia spesso non è altro che la negazione
di questo iato. A che cosa pensare, se il
pensare rappresenta così poco ai fini del
vivere? Per tutti gli interessati alla materia.
Conche, Marcel
Montaigne et la philosophie
PUF, settembre 1996
pp. 176, F 98
Montaigne rifiuta il nome di filosofo, si
ricollega alla filosofia dominante la sua
epoca, ma elabora anche un discorso filosofico nuovo, che riconosce l’imperfezione di
tutta la conoscenza umana e cerca di riconciliare il tempo con la logica e il “me” con
“l’altro da me”. Per tutti gli interessati alla
materia e di livello universitario.
Costa, Gustavo
Vico e l’Europa:
contro la boria delle nazioni
Guerini e Associati, settembre 1996
NOVITÀ IN LIBRERIA
pp. 183, £ 32.000
In questo libro l’autore sostiene che Vico
sia un anticonformista che adotta la distinzione tra simulazione e dissimulazione per
contrabbandare una filosofia originale alimentata dal pensiero più vitale e più controverso del suo tempo (Locke e Spinoza nelle
interpretazioni di eruditi come Leclerc e
Bayle).
Cramer, Friedrich
Symphonie des Lebendigen.
Versuch einer allgemeinen Resonanztheorie
Insel Vlg., settembre 1996
pp. 280, DM 42
La risonanza è ciò che “tiene unito il mondo
nel suo profondo”. Tutto, dai più piccoli
mattoni della materia fino alle immensità
dell’universo e quindi anche al corpo e allo
spirito dell’uomo, alla società e i rapporti
degli uomini tra di loro, si trova in un
rapporto di scambio che può essere descritto come risonanza, un’oscillazione tra poli
che si trovano in accordo.
Crépon, Marc
Les géographies de l’esprit:
enquête sur les caractérisations
des peuples, de Leibniz à Hegel
Payot, settembre 1996
pp. 432, F 160
Quest’opera ha come punto di partenza i
giudizi del senso comune che caratterizzano i diversi popoli. Di questi giudizi viene
innanzitutto sottolineata la violenza riduttrice e generalizzante, ma anche il loro
ricorrere nelle filosofie tedesche e francesi
che interessano all’autore. Per tutti gli interessati.
Croce, Benedetto
Carteggio Croce-Antoni
a cura di Marcello Mustè;
introduzione di Gennaro Sasso
il Mulino, ottobre 1996
pp. 169, £ 40.000.
D’Aquino, Tommaso Freiberg, Dietrich von
L’être et l’essence, le vocabulaire
médiéval de l’ontologie: deux traités
‘De ente et essentia’ de Thomas d’Aquin
et Dietrich de Freiberg
Seuil, novembre 1996
pp. 288, F 49
Il primo trattato qui ripreso di T. d’Aquino,
morto nel 1274, è una sintesi quasi definitiva dell’ontologia, che formula per la prima
volta la distinzione scolastica tra essere ed
essenza. Il secondo trattato, che porta lo
stesso titolo, è stato scritto da un domenicano verso il 1230 ed è una critica diretta del
precedente. Per tutti gli interessati.
Dagognet, François
Les dieux sont dans la cuisine:
philosophie des objets et objets
de la philosophie
Synthélabo, novembre 1996
pp. 124, F 195
L’oggetto, non considerato dai romanzieri,
gli psicologi e i filosofi, merita oggi più
attenzione. Da una parte raccoglie in sé
l’ingegnosità del suo costruttore, dall’altra
sono rintracciabili in esso i segni della cultura. Esso è ciò che l’uomo fabbrica e ciò
che noi possiamo “leggere”. Per tutti gli
interessati.
Dahm, H. - Ignatow, A. (a cura di)
Geschichte der philosophischen
Tradition Osteuropa
Wiss. Buchges., ottobre 1996
pp. 656, DM 138
Questo volume si propone di ricordare le
tradizioni filosofiche che hanno preceduto
la cosiddetta comunità socialista. L’opera è
la prima presentazione complessiva delle
filosofia dell’Europa dell’est e di quella del
sud. Vengono presentate anche le nuove
tendenze della filosofia che si possono ravvisare in questi paesi, dopo la svolta degli
anni 1989-91.
Dal Pra, Mario
Storia della filosofia e della
storiografia filosofica:scritti scelti
a cura di Maria Assunta Del Torre
F.Angeli, ottobre 1996
pp. 156, £ 30.000
In questo libro sono raccolti gli scritti di
Mario Dal Pra riferiti alla problematica
storico-filosofica con l’obiettivo di propor-
re uno spaccato del suo discorso teorico e
della sua attività di storico della filosofia.
Dolci, Danilo
La struttura maieutica e l’evolverci
La Nuova Italia, novembre 1996
pp. 291, £ 28.000
In questo libro l’autore mostra come affinché il processo di comunicazione possa
consentire a ognuno di crescere insieme a
ognuno, formando gruppi e sistemi diversi
ma condividenti l’unità occorre che si diffondano strutture nella cui maieutica reciproca i punti di vista e le intuizioni si trasformino in una nuova esperienza.
Dalmasso, Gianfranco
La verità in effetti:la salvezza
dell’esperienza nel neo-platonismo
Jaca Book, ottobre 1996
pp. 172, £ 24.000
In questo libro l’autore sosiene che nella
tradizione del pensiero neo-platonico viene
custodita l’esperienza nel duplice senso originario di limite e di prova. Da Platone a
Plotino, da Agostino a Vico il pensiero è
interrogato come metodo di approccio al
sapere che è in grado di porre il suo dislivello con la verità come ciò che fa tutt’uno con
la generazione della propria esperienza.
Dominguez, F. - Salas, J.D. (a cura di)
Costante y fragmentos del pensiamento
lulino. Actas del simposio
sobre Ramon Llull en Trujillo, Sept. 1994
Niemeyer, novembre 1996
pp. 174, DM 82
Questo volume contiene studi su Ramon
Llull (1232-1316) in dodici lingue. I saggi
mostrano le linee principali della ricerca
contemporanea.
Damiata, Marino
I problemi di G. D’Ockham
Studi francescani, settembre 1996
pp. 312, £ 50.000
In questo libro vengono analizzate le tematiche fondamentali della filosofia di
Ockham: il processo conoscitivo, l’intelletto, l’universale, la scienza. Inoltre, si prende in considerazione il rapporto del filosofo
con Aristotele e con i moderni.
Duhot, Jean-Joël
Epictète et la sagesse stoïcienne
Bayard Editions-Centurion, ottobre 1996
pp. 264, F 95
Epitteto è lo schiavo liberato che ha fondato
la filosofia stoica dell’impassibilità di fronte all’accettazione della vita confrontati con
la morte e la cui influenza si è fatta sentire
nel pensiero greco e latino e nell’evoluzione del cristianesimo. Per tutti gli interessati
alla materia.
De Bury, Gianni
Luciano De Crescenzo: istruzioni per l’uso
Edizioni associate, settembre 1996
pp. 173, £ 24.000
L’autore si propone di far conoscere con
maggiore chiarezza De Crescenzo che è
stato oggetto di molti dibattiti fornendo
una serie di dettagli che riguardano sia
l’aspetto privato che quello pubblico del
filosofo.
Duns Scot, John
La théologie comme scienece pratique:
prologue de la ‘Lectura’
a cura e tr. di Gérard Sondag
Vrin, novembre 1996
pp. 232, F 189
La Lectura, composta da Duns Scot (1265/
66-1308) negli ultimi decenni della sua vita,
nel XIII secolo a Oxford, è la matrice della
sua teologia, di cui l’Ordinatio, più conosciuta, è una versione ampliata. Nel prologo, l’autore stabilisce che la teologia non è
una scienza teorica, ma una scienza pratica.
Per tutti gli interessati e di livello universitario.
De Leo, Daniela
L’inizio della vita.
Per una filosofia tra etica e trascendenza
Capone, ottobre 1996
pp. 103, £ 22.000
Le presentazioni al volume, elaborate da
Gilbert Hottois e da Giovanni Invitto, focalizzano il problema dei rapporti tra etica e
scienza, orientando l’attenzione sulle responsabilità di quest’ultima. Nelle prime
due parti del libro si rielabora il problema
della fondazione dell’etica e nella terza
parte del libro si propongono due saggi con
l’intento di fornire un valido contributo
biologico per fondare la dignità umana del
neoconcepito.
Dutz, Kl.D. - Gensini, St. (a cura di)
Im Spiegel des Verstandes.
Studien zu Leibniz
Nodus-Publ., novembre 1996
pp. 220, DM 48.
Decher, Friedhelm
Bertrand Russell auf der Suche
nach dem guten und glücklichen Leben
Junghans, ottobre 1996
pp. 120, DM 28.
Eichler, K.-D. - Schneider, U.J.
(a cura di)
Russische Philosophie im 19. Jahrhundert
Leipziger Univ.Vlg., settembre 1996
pp. 210, DM 40.
Di Nuoscio, Enzo
Le regioni degli individui:individualismo
metodologico di Raymond Boudon
con un commento di Raymond Boudon
Rubbettino, ottobre 1996
pp. 402, £ 24.000
Il sociologo francese Boudon elabora una
metodologia individualistica secondo la
quale per esaminare un fenomeno sociale,
qualunque esso sia, occorre prima di tutto
comprendere le buone ragioni che gli individui hanno per compiere un’azione o per
aderire ad una credenza per poi spiegare
come l’aggregazione delle singole azioni
produce degli effetti perversi.
Enders, Heinz W.
Einführung in die
Repräsentations-Notationen.
Eine logisch-semantische Studie zu den
Problemen der Interpretation,
der wahren Rede und des richtigen Denkens
Alber, novembre 1996
pp. 136, DM 20.
Engfer, Hans-Jürgen
Empirislus versus Rationalismus?
Kritik eines philosophiegeschichtlichen
Schemas
Schöningh, ottobre 1996
pp. 461, DM 68.
Dietsch, Steffen
Fortdenken mit Kant.
Philosophische Versuche von diesseits
und jenseits der Fakultät
Die Blaue Eule, settembre 1996
pp. 204, DM 48.
Erbrich, Paul
Makrokosmos-Mikrokosmos.
Ursprung, Entwicklung
und Problem der Physik
Kohlhmmer, ottobre 1996
pp. 208, DM 36
La storia della fisica si presenta come strutturata in tre stadi: la fisica influenzata dall’aristotelismo e la cosmologia dell’Antichità e del Medioevo; il lento passaggio che
porta alla fisica di Newton; l’epoca contemporanea, in cui la risposta classica (“le cose
della natura vengono poste in movimento”)
diventa problematica.
Dietz, Th. - Ignatiev, I. (a cura di)
Zur Philosophie der Individualität.
Festschrift für Prof. Dr. phil. Edith
Düsing zu ihrem 45. Geburtstag
Shaker, novembre 1996
pp. 83, DM 59.
Diogene
La philosophie épicurienne sur pierre:
les fragments de Diogène d’Oenoanda
Ed. univ. de Fribourg, novembre 1996
pp. 136, F 100
Si tratta dell’edizione critica di un centinaio
di frammenti, resti di testi che riassumono
la filosofia di Epicuro redatti a cura di
Diogene, notabile della città dell’Asia Minore nel II secolo d.C. Per gli specialisti e i
professionisti.
Ersterbauer, Reinhold
Verlorene Zeit - wider einer
Einheitswissenschaft von Natur und Gott
Kohlhammer, ottobre 1996
pp. 296, DM 79
L’autore propone, al posto di una scienza
unica, una definizione del rapporto tra le
varie discipline del sapere umano, sulla
base del concetto di mondo e della vita su
89
questa terra. Diventa anche chiaro che una
concezione del tempo univoco e unico non
può sostituirsi al rapporto che esiste tra le
scienze naturali, la filosofia e la teologia.
Esser, Andrea Marlen
Kunst als Symbol.
Die Struktur ästhetischer Reflexion
in Kants Theorie des Schönen
W. Fink, settembre 1996
pp. 208, DM 68.
Fagiuoli, Ettore - Fortunato, Marco
(a cura di)
La questione dell’uomo
nella filosofia contemporanea
Mimesis, ottobre 1996
pp. 303, £ 30.000
Questo libro raccoglie scritti di vari autori
che si interrogano sul binomio soggettoverità. Da essi emerge la messa in questione, propria in particolare del pensiero novecentesco, sia dello statuto logico-ontologico del soggetto sia della consistenza e legittimità della nozione stessa di verità.
Farouki, Nayla
La foi et la raison:
la fin d’un malentendu?
Flammarion, ottobre 1996
pp. 324, F 130
In questo saggio, Nayla Farouki tenta di
dimostrare, attraverso un’analisi dei discorsi mitici, filosofici, scientifici e religiosi,
che ogni sistema di conoscenza è costruito
su di una presa di posizione volontaria,
riguardante l’esistenza di un oggetto o di un
altro. Per tutti gli interessati.
Fasching, G.
Verlorene Wirklichkeiten.
Über die ungewollte Erosion unseres
Denkraumes durch Naturwissenschaft
und Technik
Springer, novembre 1996
pp. 108, DM 25
Il libro si occupa di un tabù, l’ovvietà del
legame scienza naturale-tecnica. Si ritiene
che l’immagine che descrive la scienza
naturale sia assolutamente giusta e non si
nota che si tratta solo di un’opinione che
viene resa assoluta.
Fellmann, F. (a cura di)
Geschichte der Philosophie
im 19. jahrhundert.
Positivismus, Linkshegelianismus,
Existenzphilosophie, Neukantianismus,
Lebensphilosophie
Rohwohlt, novembre 1996
s.pp., DM 24,90
Il volume si occupa dello sviluppo e delle
posizioni della filosofia del XIX secolo.
Ferraris, Maurizio
Estetica / Maurizio Ferraris,
Sergio Givone, Federico Vercellone
Tea, ottobre 1996
pp. 114, £ 13.000.
Ferrarotti, Franco
Simone Weil: la pellegrina dell’assoluto
Messaggero, ottobre 1996
pp. 158, £ 18.000
Ferrarotti evidenzia in questo libro gli aspetti
più straordinari della complessa personalità
di Simone Weil mostrando in particolar
modo il valore profetico di certe sue letture
della realtà e della storia come quelle sul
nazi-fascismo, sul marxismo, sul comunismo ecc.
Fiorillo, Vanda
Politica ancilla juris: le radici
giusnaturalistiche di Wilhelm
von Humboldt: con traduzione italiana
di Aus Klein Vorträgen über Naturrecht
Giappichelli, novembre 1996
pp. 190, £ 25.000
In questo libro viene analizzata la concezione politica di Humboldt; la subordinazione
della politica al diritto, “Spirito nazionale
prussiano” e interiorizzazione della pena,
dalla “cultura sui” alla “bildung”, dalle lezioni di Klein sul diritto naturale.
Fischer, P. (a cura di)
Technikphilosophie.
Von der Antike bis zur Gegenwart
Reclam, settembre 1996
pp. 350, DM 28.
Flasch, Th. (a cura di)
Tommaso Campanella:
NOVITÀ IN LIBRERIA
Philosophische Gedichte
intr. e commento di K. Flasch
Klostermann, ottobre 1996
p. 292, DM 78
Il commento di K. Flasch a questa scelta di
poesie, che vengono presentate in versione
italiana con traduzione a fronte di Th. Flasch, coglie l’importanza teoretica e la posizione storica di Tommaso Campanella. Egli
cerca il punto di convergenza tra poesia e
filosofia. Inoltre, il volume contiene un
commento filosofico-storico a ogni poesia.
Flusser, Vilèlm
Choses et non-choses: esquisses
phénoménologiques
J. Chambon, settembre 1996
pp. 250, F 149
Guardare le cose come se le si vedesse per
la prima volta è un metodo per scoprire in
esse degli aspetti fino ad allora sconosciuti.
Questo libro raccoglie diversi saggi che
mostrano come la sottile osservazione di un
oggetto può essere un “mettere in movimento”, un “risveglio” della filosofia. Per
tutti gli interessati.
Folscheid, Dominique
Les grandes dates de la philosophie
antique et médiévale
PUF, settembre 1996
pp. 128, F 40
Questa storia della filosofia cerca, nella
memoria di se stessa che ha la filosofia, i
grandi momenti che l’hanno costituita e
l’hanno resa così com’è. Questo volume si
occupa dell’Antichità e del Medioevo. Per
tutti gli interessati.
Folscheid, Dominique
Les grandes dates de la philosophie
classique, moderne et contemporaine
PUF, settembre 1996
pp. 128, F 40
Si tratta di una storia della filosofia che,
interessandosi alle grandi date, afferma la
natura propria della filosofia. Questo volume tratta il periodo che va dal 1444 al 1983.
Per tutti gli interessati.
Fourier, Charles
Charles Fourier
ou La contestation globale
a cura di René Scherer
Séguier, settembre 1996
pp. 232, F 140
Charles Fourier, discendente da una famiglia di ricchi commercianti borghesi, è tra i
primi testimoni della nascita della società
industriale. Egli non smetterà mai di denunciarla, ma anche di ricostruirla su altre basi.
Il volume presenta una scelta di testi. Per
tutti gli interessati e di livello universitario.
Freda, Franco G.
Platone: lo Stato secondo giustizia
Edizioni di Ar, settembre 1993
pp. 137, £ 24.000
In questo libro l’autore mostra come la
dottrina platonica dello Stato sia un frutto
particolare maturato in un clima storico di
una pianta del sapere dalle radici metastoriche, rinvenibile nella fonte arcaica della generale sapenzialità indo-europea. Allo
stesso modo per l’autore l’idea di giustizia
non è una elaborazione utopica del filosofo
greco, ma l’eco e la proiezione di principi
tradizionali effettivamente operanti negli
ordinamenti primordiali degli Arii.
Freund, J.A. (a cura di)
Dynamik, Evolution, Strukturen.
Nichtlineare Dynamik und Statistik
komplexer Strukturen
Köstner, novembre 1996
pp. 300, DM 64,80.
Fuchs, G. - Kessler, H. (a cura di)
Gott, der Kosmos und die Freiheit.
Biologie, Philosophie und Theologie
im Gespräch
Echter, settembre 1996
pp. 240, DM 39,80
Siamo soggetti al gene? Esiste la libertà in
natura? Il mondo è l’opera di un Dio creatore o il risultato di un processo cosmico? Il
volume raccoglie i contributi, centrati su
queste tematiche, di J. Bereiter-Hahn, B.
Dörr, W.F. Gutmann, H. Kessler, A. Peacocke, G. Scherer e H. Schröder.
Fulda, H.F. - Horstmann, R.-P.
(a cura di)
Skeptizismus und spekulatives Denken
in der Philosophie Hegels
Klett-Cotta, settembre 1996
pp. 336, DM 128
Questa raccolta riunisce i contributi di una
sessione della Internationale Hegel-Vereinigung, tenutasi nel settembre del 1995 a
Pisa.
Peeters, settembre 1996
pp. 279, F 280
L’autore, che è un filosofo cristiano, si
augura di poter “rinnovare la strana novità
della fede”. Le sue fonti sono le opere di
Kant, Kierkegaard e Pascal. Per tutti gli
interessati e di livello universitario.
pp. 282, F 42
Il volume fornisce una sorta di iniziazione
alla riflessione filosofica e invita il lettore a
considerare i grandi temi che strutturano il
pensiero filosofico, da due millenni. Il volume è conciso, chiaro e rigoroso. Per tutti gli
interessati.
Funghi, Maria Teresa (a cura di)
Odoi dizesios: le vie della ricerca:
studi in onore di Francesco Adorno
Olschki, settembre 1996
pp. 730, £ 140.000
Il volume contiene scritti di diversi autori
che esaminano questioni filosofiche relative a differenti periodi storici. Infatti, si
suddivide in quattro parti; edizioni dei Papiri, antichità, medioevo e rinascimento, età
moderna e contemporanea.
Giannantoni, Gabriele (a cura di)
Epicureismo greco e romano:
atti del Congresso internazionale:
Napoli, 19-26 maggio 1993
Bibliopolis, settembre 1996
pp. 1128, £ 200.000.
Griffero, Tonino
L’estetica di Schelling
Laterza, ottobre 1996
pp. 261, £ 40.000
Griffero in questo libro ricostruisce l’estetica di Schelling mostrandone l’evoluzione e
le trasformazioni a partire dal giovanile
sistema dell’identità fino alle posizioni più
mature.
Ginev Dimitri
The Idea for a Hermeneutic
Philosophy of Science
Ed. Rodopi, novembre 1996
pp. 300, FOL 150
In questo libro, l’autore ha riunito i suoi
interessi, coltivati negli anni, per la razionalità scientifica e l’ontologia moderna, sviluppando un’alternativa ermeneutica all’epistemologia della scienza analitica (e naturalista).
Gadenne, V. - Wendel, H.J. (a cura di)
Rationalität und Kritik
Mohr, novembre 1996
pp. 150, DM 60
I saggi raccolti in questo volume sono i
contributi al colloquio che si è tenuto in
occasione del 75esimo della nascita di Hans
Albert. Il volume si propone come un confronto critico, attraverso la sua filosofia, i
suoi sviluppi ulteriori e le sue applicazioni
alle scienze sociali.
Giustiniani, Pasquale
Filosofia e religione:ricognizione
di modelli e problemi
Luciano, settembre 1996
pp. 143, £ 25.000
Il libro raccoglie scritti di vari autori tra i
quali alcuni problematizzano la questione
religiosa, altri affrontano direttamente la
questione di una “filosofia della religione”
con una vera e propria dichiarazione di
oggetto formale e di metodo epistemologico.
Gäng, Peter
Was ist Buddhismus?
Campus, ottobre 1996
pp. 150, DM 24
Il buddismo non è solo una religione, è
anche una psicologia e una filosofia. Petre
Gäng presenta in modo vivo e comprensibile la Weltanschauung buddista.
Glasersfeld, Ernst von
Wege des Wissens.
Konstruktivistische Erkundungen durch
unser Denken
Carl-Auer-Systeme, novembre 1996
pp. 246 DM 44.
Gargano, Monica
La ricerca della misura:essere,
armonia e tragico nel pensiero
di Hölderlin
ETS, novembre 1996
pp. 339, £ 30.000
Questo volume si propone una interpretazione complessiva del pensiero di Hölderlin a partire dal concetto di “misura” intesa
sia come unità di misura che come ricerca di
equilibrio e armonia.
Gourinat, Jean-Baptiste
Les Stoïciens et l’âme
PUF, ottobre 1996
pp. 128, F 45
La dottrina dell’anima non è più solamente
una delle più originali dello stoicismo. È
anche un tema centrale che si riallaccia alle
tre parti della filosofia stoica: la fisica, la
logica e l’estetica. Ognuna di queste tre
parti dottrinali ha anche una funzione pratica. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Gasparini, Ludovico
Azione e comprensione nei Cahiers
di Paul Valéry
F.Angeli, novembre 1996
pp. 246, £ 38.000
L’autore in questo libro mostra come Valéry,
mediante una riflessione sviluppatasi nell’intero arco dei suoi Cahiers in modo del
tutto autonomo, anticipi tanto il metodo di
indagine del Circolo di Vienna, quanto la
filosofia analitica del linguaggio elaborata
dall’ultimo Wittegenstein, muovendosi però
in direzioni di ricerca e verso conclusioni
profondamente diverse. Infatti, Valéry sostituisce alla spinta verso una teoria complessiva propria della filosofia una operatività scettica, basata su un continuo esercizio
analitico e riassumibile nel motto “fare senza credere”.
Goyard-Fabre, Simone
La philosophie du droit de Kant
Vrin, settembre 1996
pp. 292, F 250
Per seguire la filosofia del diritto, bisogna
misurare l’ampiezza della rivoluzione così
come essa si compie rispetto alle teorie del
diritto naturale del XVIII secolo. Bisogna
ricollegarla alla sistematicità di un corpus
filosofico caratterizzato da uno svolgimento procedurale, bisogna, infine, decrifrare il
modello normativo di un diritto puro e
universale. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Gerhardt, V. - Reschke, R. (a cura di)
Nietzscheforschung. Ein Jahrbuch vol. III
Akademie Vlg., ottobre 1996
pp. 300, DM 98
In questo nuovo volume vengono analizzati
il rapporto tra Nietzsche e Hegel, considerando la tragedia e quello rispetto all’Illuminismo e alla natura. Una serie di contributi si occupa degli aspetti letterari dell’opera di Nietzsche e del suo influsso sulla
lirica del XX secolo, nonché dell’influsso di
Goethe sulla lirica di Nietzsche.
Grateloup, Léon-Louis (a cura di)
Les philosophies de Platon à Sartre
vol. I: De Platon à Montesqueieu
LGF, settembre 1996
pp. 381, F 50
Dal V secolo a.C. fino al XVIII secolo, ogni
filosofia viene affrontata a partire dalla problematica essenziale delle opere che ha
prodotto e, parallelamente, rispetto ai grandi temi del suo pensiero. Ogni presentazione è seguita da giudizi sull’autore e da una
cronologia succinta. Per tutti gli interessati.
Gerhardt, Volker
Vom Willen zur Macht.
Anthropologie und Metaphysik
der Macht am exemplarischen
Fall Friedrich Nietzsches
de Gruyter, ottobre 1996
pp.372, DM 198
Si tratta di una tesi di abilitazione, tenuta
presso l’Università di Münster.
Geyer, Caarl-Friedrich
Philosophie der Antike. Eine Einführung
Primus Vlg., novembre 1996
pp. 208, DM 39,80.
Grateloup, Léon-Louis (a cura di)
Les philosophies de Platon à Sartre
vol. II: De Hume à Sartre
LGF, settembre 1996
pp. 382, F 50
Dal XVIII al XX secolo, ogni filosofia
viene affrontata a partire dalla problematica
essenziale delle opere che ha prodotto e,
parallelamente, rispetto ai grandi temi del
suo pensiero. Ogni presentazione è seguita
da giudizi sull’autore e da una cronologia
succinta. Per tutti gli interessati.
Giacometti, Antoine
Dieu en question
pref. di Stanislas Breton
Grateloup, Léon-Louis
Problématiques de la philosophie
LGF, settembre 1996
90
Grosos, Philippe
Système et subjectivité: études
sur la signification et l’enjeu du concept
de système, Fichte, Hegel, Schelling
Vrin, novembre 1996
pp. 334, F 240
L’autore desidera dare senso al concetto di
sistema, far vedere che, lungi dall’essere
un equivalente neutro del termine “filosofia”, sintesi e soggettività si rivolgono ad
una determinata concezione dell’essenza
della manifestazione. Da Reinhold a Hegel, da Fichte a Schelling, l’analisi di questo concetto getta luce sulla filosofia tedesca del XVIII e XIX secolo e si interroga
sul senso dell’ontologia. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Groys, B. (a cura di)
Sören Kierkegaard
E. Diedrichs, ottobre 1996
pp. 480, DM 48.
Grundmann, Th. - Stüber, K. (a cura di)
Philosophie der Skepsis
UTB, ottobre 1996
pp. 323, DM 29,80.
Guenancia, Pierre
Descartes: bien conduire sa raison
Gallimard, settembre 1996
s.pp., F 82
Con Cartesio, un’epoca si conclude e un’altra si apre. I nuovi problemi posti dalle
scoperte riguardanti l’uomo e la natura necessitano dell’elaborazione in un sistema
coerente. Cartesio sarà il primo a costruire
questo sistema. Per tutti gli interessati.
Gutmann, Mathias
Die Evolutionstheoirie und ihr Gegenstand.
Beitrag der methodischen Philosophie
zu einer konstruktivistiven Theorie
der Evolution
Vlg. f. Wiss. u. Bildung, novembre 1996
pp. 332, DM 48
Questo lavoro ricostruisce sistematicamente la teoria della biologia dell’evoluzione,
fornendo anche il suo contesto culturale.
Haas, Frans A.J. de
John Philoponus’ NewDefinition
of Prime Matter. Aspects of Its Background
in Neoplatonism and the Ancient
Commentary Tradition
Brill, novembre 1996
pp. 370, FOL 154.
Habermas, Jürgen
La paix perpétuelle:
le bicentenaire d’une idée kantienne
tr. dal tedesco di R. Rochlitz
Cerf, novembre 1996
pp. 121, F 59
La pace perpetua è per Kant un ideale
attraverso cui è possibile rendere l’idea di
uno stato cosmo-politico che è sia attrattivo
che concreto. Habermas riesamina la proposizione kantiana alla luce dei mutamenti
storici e politici di questa fine di secolo. Per
tutti gli interessati.
Haeffner, Gerd
In der Gegenwart leben.
Auf der Spur eines Urphänomens
Kohlhammer, ottobre 1996
pp. 171, DM 34,80
L’autore di questo libro si propone di riscoprire la ricchezza della contemporaneità.
Bisogna quindi rendere contemporanei alcuni pensatori del passato lontano e più
recente che furono tutti affascinati dal fenomeno “contemporaneità”: Pascal, Kierkegard, Bloch, Buber, Weil.
Halbach, Volker
NOVITÀ IN LIBRERIA
Axiomatische Wahrheitstheorien
Akademie Vlg., novembre 1996
pp. 249, DM 120
L’autore illustra qui i nuovi orizzonti che si
presentano per questa disciplina e chiarifica
quali vantaggi e quali possibilità di applicazione posseggano. Il fulcro del volume è
rappresentato dalle teorie della verità assiomatiche di Cantini, Feferman, Friedman e
altri.
Haller, R. (a cura di)
Meinong und die Gegenstandstheorie Meinong and the Theory of Objects
Ed. Rodopi, settembre 1996
pp. 627, FOL 260.
Hartmann, Frank
Cyber Philosophy. Elemente
einer Theorie der neuen Medien
Passagen Vlg., settembre 1996
pp. 168, DM 36.
Hartwig, Sabina
Ambivalente Entwurfsstrukturen
in der Moderne. Existential-ontologische
Überlegungen zur Problematik
der Subjektivitätskonstitution
Dt. Studien Vlg., ottobre 1996
pp. 176, DM 36.
Hayoun, Maurice-Ruben
Les lumières de Cordoue à Berlin
Lattès, ottobre 1996
pp. 450, F 164
Dal Talamud al XVIII secolo, il volume
presenta una storia della filosofia ebrea
articolata intorno alle grandi figure come
Maimonide, Spinoza o Emden, ma anche
intorno a temi come la cabala. Per tutti gli
interessati.
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Cours d’esthétique - vol. II
tr. dal tedesco di J.-P. Lefebvre
e V. von Schenck
Aubier, ottobre 1996
pp. 448, F 150
Si tratta di un’opera nel senso classico del
termine. Dopo la morte del filosofo, i suoi
discepoli iniziarono la pubblicazione completa sia dei suoi scritti che degli appunti
con i quali il filosofo aveva preparato le sue
lezioni. Per tutti gli interessati.
Hegel, Georg Wilhelm
Préface de la ‘Phénomenologie de l’esprit’
a cura e tr. dal tedesco corretta
da Jean-Pierre Lefebvre
Flammarion, settembre 1996
pp. 256, F 45
Quest’edizione bilingue francese-tedesco
annotata presenta il tema di questa prefazione: l’inizio del sapere filosofico. Vengono
evocate le modalità della conoscenza, così
come esse si sviluppano partendo dal celebre schema dialettico. Per tutti gli interessati.
Heinze, M. (a cura di)
Psyche im Streit der Theorien
Königshausen & Neumann,
novembre 1996
pp. 256, DM 58.
Henckmann, W. et al. (a cura di)
2. Scheler-Kolloquium. Oktober 1995
in Köln. Vom Umsturz der Werte
in der modernen Gesellschaft
Bouvier, settembre 1996
pp. 400, DM 88
Il volume raccoglie 23 contributi di altrettanti studiosi tedeschi e stranieri sulle questioni sollevate dal cambiamento di valori,
dalla caduta dei valori e dal decadimento
dei valori, considerati da un punto di vista
sia sociale che individuale e psicologico.
Viene discussa la teoria di Scheller, confrontandola con le filosofie di Husserl, Natorp, Nietzsche e con le teorie di Carl Scmitt
e Max Weber. Il volume è edito dalla MaxScheller-Gesellschaft.
Hennig, Rolf
Das organische Sein.
Grundzüge des Weltbildes der Organik
Braun und Behrmann, novembre 1996
pp. 104, DM 24.
Hepp, H. - Knoepffler, N. Schwarke, Chr. (a cura di)
Verantwortung und Menschenbild.
Beiträge zur unterdisziplinären Ethik
und Anthropologie
Utz Wiss., novembre 1996
pp. 160, DM 28.
per ritornare a ciò che muove la filosofia,
cioè l’interrogazione. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Heyer, René (a cura di)
L’ancien et le nouveau
Presses univ. de Strasbourg,
novembre 1996
pp. 256, F 140
“Nuovo” non è inteso nell’uso corrente, ma
rispetto a ciò che sveglia l’attenzione nei
confronti dell’imminenza di qualche avvenimento che sta per arrivare. Per tutti gli
interessati.
Horkheimer, Max
Théorie traditionelle et théorie critique
tr. dal tedesco di C. Maillard e S. Muller
Gallimard, ottobre 1996
pp. 336, F 70
I quattro saggi qui riuniti espongono le
tendenze essenziali della Scuola di Francoforte di cui M. Horkheimer fu, con Theodor
Adorno, il fondatore. L’asse principale è
l’idea di una “teoria critica” della conoscenza che non appariva più come un’attività
autonoma, politicamente neutra e che sottostà alla storia, ma come una parte integrante
di quest’ultima. Per tutti gli interessati e di
livello universitario.
Hildago-Serna, E. - Marassi, M.
(a cura di)
Studi in memoria di Ernesto Grassi
La città del sole, settembre 1996
pp. 867, £ 90.000
Tra gli scritti contenuti nel libro si rilevano;
La teoria del bello nell’antichità secondo
Ernesto Grassi di Emilio Mattioli, Il dramma della metafora. Grassi filologico del
poeta di Marcello Simonetta, Il problema
della metafora vuota in Ernesto Grassi.
Un’osservazione sulla sua interpretazione
di Jean Paul di Lothar Bornscheuer, Ernesto
Grassi e la parola poetica du Paul Celan di
Eugen Baer.
Hubert, Bernard (a cura di)
Jacques Maritain en Europe:
la réception de sa pensée
Beauchesne, ottobre 1996
pp. 336, F 180
Questo studio, pubblicato con la collaborazione della Association de la culture européenne e del Cercle d’Etudes Jacques
Maritain, si occupa specificatamente dell’opera di Jacques Maritain nei diversi paesi
europei. Per tutti gli interessati.
Hobbes, Thomas
‘Leviathan’
a cura di H. Klenner
Meiner, novembre 1996
pp. 674, DM 98.
Hubig, Christoph
Technologische Kultur
Leipziger Univ.Vlg., settembre 1996
pp. 200, DM 40.
Hobbes, Thomas
Du citoyen, suivi du ‘Léviathan’,
chap. XVI et XVII
tr. dall’inglese di S. Sorbière e G. Mairet
introd. di G. Mairet
LGF, novembre 1996
pp. 350, F 42
In questo libro, pubblicato nel 1642, Thomas Hobbes elabora e affina il concetto di
sovranità dello Stato. Egli respinge la tesi di
Aristotele: l’uomo è un animale politico.
Per Hobbes, l’uomo si raggruppa spontaneamente in società perché ne va della sua
sopravvivenza e non perché possiede una
disposizione naturale alla società politica.
Per tutti gli interessati.
Hübner, Benno
Beliebigkeitsethos und Zwangsästhetik
Passagen-Vlg., novembre 1996
pp. 136, DM 29,80.
Hübner, Helmut
Mnemosyne. Zeit und Erinnerung
in Hölderlins Denken
Metzler, novembre 1996
pp. 320, DM 128
L’autore ci fornisce una ricostruzione storica del pensiero di Hölderlin. Si tratta di una
riflessione filosofica, che non separa il pensatore dal poeta.
Imbach, Ruedi
Dante, la philosophie et les laïcs
Ed. univ. Fribourg-Cerf, novembre 1996
pp. 265, F 190
Il volume tenta un approccio alla filosofia
tardo-medioevale, proponendo un’analisi delle categorie specifiche dei destinatari dei testi
filosofici: i laici che la storiografia classica del
pensiero medioevale ha trascurato. Dopo alcuni capitoli, consacrati alle traduzioni e alla
filosofia della principali correnti, viene presentata la filosofia di Dante sotto diversi aspetti.
Per gli specialisti e i professionisti.
Hoerschelmann, Thomas
Theologische Ethik.
Zur Begründung christlicher Ethik
im Kontext der diskursiven Moraltheorie
Kohlhammer, novembre 1996
pp. 320, DM 79
Confrontandosi con l’etica del discorso filosofico di J. Habermas e K.-O. Apel, l’autore individua gli ambiti dell’etica teologica.
Höffe, Otfried
Praktische Philosophie.
Das Modell des Aristoteles
Akademie Vlg., settembre 1996
pp. 191, DM 39
La filosofia non ha certo potere sulle condizioni di vita pratiche; ma per potere realizzare l’intezione pratica, la filosofia ha bisogno di una forma di razionalità particolare,
la scienza del “filo conduttore”. Il volume è
alla sua seconda edizione.
Immanuel Kant
‘Kritik der Urteilskraf’t’.
Schriften zur Ästhetik
und Naturphilosophie
a cura di M. Frank e V. Zanetti
Dt. Klassiker Vlg., ottobre 1996
pp. 1399, DM 178
Si tratta degli scritti di Kant sull’estetica e la
filosofia della natura. Sono testi presentati
nell’edizione critica e con i commenti più
approfonditi.
Höffe, Otfried
Vernunft und Recht. Bausteine
zu einem interkulturellen Rechtsdiskurses
Suhrkamp, novembre 1996
pp. 300, DM 22,80.
Institut Catholique de Paris
Le statut contemporain de la philosophie
première: centenaire de la Faculté
de philosophie
pref. di Philippe Capelle
Beauchesne, ottobre 1996
pp. 400, F 198
Il volume si vede confrontato con il “decesso” intempestivo della metafisica, che si
impone alla riflessione sui significati multipli del termine “filosofia primaria”. Per gli
specialisti e i professionisti.
Höfnes, Walter Jerg
Ethik des Gleichgewichts. Ein Beitrag
zur Begründung einer naturalistischen Ethik
Focus-Vlg., novembre 1996
pp. 125, DM 25.
Holz, Hans Heinz
Philosophische Theorie der bildenden
Künste - vol. II: Strukturen
der Darstellung. Über Kostanten
der ästhetischen Konfigurationen
Aisthesis Vlg., settembre 1996
pp. 280, DM 98.
Isnardi Parente, Margherita
Il pensiero politico di Platone
Laterza, ottobre 1996
pp. 160, £ 23.000
Il libro esamina la concezione politica platonica; la formazione del filosofo per il
governo, il filosofo al governo della città
ideale, il filosofo al governo della città reale
e la rivincita in Atene.
Hoogaert, Corinne (a cura di)
Argumentation et questionnement
PUF, ottobre 1996
pp. 160, F 98
Questo volume si propone di ripensare ad
alcuni dei temi principali dell’argomentazione, presentandoli sotto una luce diversa:
superare l’aspetto risolutivo della retorica
Jacquette, Dale
Meinongian Logic.
The Semantics of Existence
91
and Nonexistence
de Gryuter, novembre 1996
pp. 297, DM 198
Si tratta di uno studio sulla logica intensionale, basato sulla teoria di Meinong (18531920), un allievo di Brentano.
Jakob, Eric
Martin Heidegger und Hans Jonas.
Die Metaphysik der Subjektivität
und die Krise der technologischen
Zivilisation
Francke, settembre 1996
pp. 394, DM 96
Si tratta della tesi di laurea sostenuta da
Jakob presso l’Università di Basilea nel
1995.
Jamme, Chr. - Völkel, F. (a cura di)
Kunst und Geschchte im Zeitalter Hegels
Meiner, settembre 1996
pp. 311, DM 178.
Jamme, Christoph
Introduction à la philosophie du mythe
vol. II: Epoque moderne et contemporaine
Vrin, novembre 1996
pp. 177, F 150
Attraverso una panoramica del periodo che
va dal Rinascimento al XX secolo, l’autore
non intende tanto tracciare una storia della
mitologia che ha sottolineato i momentichiave di una ricerca dove la razionalità
incontra il suo “altro”, che deve sempre
essere reinterpretato, egli intende piuttosto
fornire uno strumento per la valutazione
della filosofia del mito. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Janich, Peter
Was ist Wahrheit?
Eine psychologische Einführung
C.H. Beck, novembre 1996
pp. 125, DM 14,80
Oggi non ci si trova confrontati solo con la
domanda, se un rapporto di fatto viene
descritto correttamente, ma anche la domanda su che cosa la verità comunichi al
modo della vita. Secondo questo punto di
vista, la verità diventa da meta per se stessa
a mezzo.
Johannessen, K.S. - Nordenstam, T.
(a cura di)
Wittgenstein and the Philosophy
of Culture.
Proceedings of the 18th International
Wittgenstein Symposium, August 1995,
Kirchberg am Wechsel
Hölder-Pichler-Tempsky, ottobre 1996
pp. 371, DM 122.
Jullien, François
Procès ou création.
Une introduction à la pensée chinoise:
essai de problèmatique interculturelle
LGF, novembre 1996
pp. 342, F 46
L’autore di questo libro parte dalla lettura di
un autore particolare, Wang Fuzhi (16191692), che è da inscrivere nella corrente del
pensiero neo-confuciano, di cui è un maestro. Per tutti gli interessati.
Juranville, Alain
Lacan et la philosophie
PUF, settembre 1996
pp. 496, F 92
Ciò su cui ci fa riflettere la psicoanalisi, ciò
che ci fa pensare di più, ciò a cui noi non
penseremmo mai, è la presenza del nonpensiero nella parte più intima del pensiero.
Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Kalinowski, Georges
La logique déductive
PUF, ottobre 1996
pp. 176, F 98
La logica deduttiva, che è il modello della
struttura di ogni scienza, permette lo studio
del sistema delle norme giuridiche, dal
momento in cui la specificità è rispettata.
Seguendo il percorso dell Scuola di Varsavia, questo studio mostra come certe tesi del
calcolo preposizionale e le tesi del calcolo
dei predicati costituiscano i fondamenti logici delle norme. Per tutti gli interessati e di
livello universitario.
Kamper, Dietmar
Unmögliche Gegenwart.
Zur Theorie der Phantasie
W. Fink, settembre 1996
NOVITÀ IN LIBRERIA
pp. 196, DM 38
Il libro cerca di capire qual è l’insegnamento che possiamo trarre dal recente dibattito
sulla teoria; si articola in quattro capitoli,
nei quali vengono affrontati i seguenti temi:
la crisi del visibile; la velocità nei media;
l’arte dell’impossibile; la percezione del
mostruoso.
Desjonquères, settembre 1996
pp. 208, F 120
I testi raccolti in questo volume illustrano
l’ispirazione epicuriana di La Mettrie. Essi
consentono anche di scoprire un umanista
convinto che aspira a liberare l’individuo
dagli impedimenti alla sua gioia personale.
Per tutti gli interessati.
Kant, Emmanuel
La fin de toutes choses
tr. dal tedesco di L. Bathélemy
e G. Badoual
Actes sud, novembre 1996
pp. 70, F 33
Si tratta di un breve testo filosofico che
riflette sulle tre grandi questioni kantiane:
che cosa posso sapere? Che cosa devo fare?
In che cosa mi è consentito sperare? Per tutti
gli interessati.
Lanz, Peter
Das phänomenale Bewußtsein.
Eine Verteidigung
Kolstermann, novembre 1996
pp. 224, DM 68
Il tema di quest’investigazione filosofica è
la coscienza fenomenologica e sensoriale.
Vengono quindi categorizzate le sensazioni
e l’esperienze legate all’udito, alla vista,
all’olfatto, al tatto e al sentire in senso lato.
Keil, Günther
Das Johannesevangelium.
Ein philosophischer
und theologischer Kommentar
Vandenhoecke & Ruprecht, settembre 1996
pp. 224, DM 68
Il vangelo di Giovanni ha una rilevanza
filosofica. Ma dal punto di vista puramente filosofico non è quasi mai stato
affrontato. Il libro fornisce il primo
contributo filosofico al vangelo di Giovanni.
Kemp, W. et al. (a cura di)
Vorträge aus dem Wartburg-Haus vol. I
Akademie Vlg., novembre 1996
pp. 150, DM 48
Il volume contiene saggi di Habermas su
Cassirer; di Münkler sui miti in Europa
nell’epoca moderna; di Settis sul pathos e
l’ethos; di Stratfford sulla violenza e la
natura.
Kente, Maria G.
Conditions of Freedom and Athenticity.
Phenomenologicl and Existential Studies
Königshausen & Neumann,
novembre 1996
pp. 150, DM 36.
Kierkegaard, Sören
Les miettes philosophiques
tr. dal danese di P. Petit
Seuil, novembre 1996
pp.192, F 37
Si tratta di un’opera apparsa nel 1844, lo
stesso anno in cui Marx redigeva i Manoscritti di Parigi. Kierkegaard resta il fondatore del pensiero “esistenzialista”, che sia
cristiano, ateo o marxista. Per tutti gli interessati.
Knoepffler, Nikolaus
Der Begriff ‘transzendental’
bei Immanuel Kant
Utz Wiss., ottobre 1996
pp. 72, DM 48.
Kodalle, K.-M. (a cura di)
Der Vernunftfrieden.
Kants Entwurf im Widerstreit
Königshausen & Neumann, ottobre 1996
pp. 154, DM 38.
Kodalle, Klaus-Michael
Schockierende Fremdheit.
Eberhard Griesebach
und die nachmetaphysische Ethik
in der Weimarer Wendezeit
Passgen-Vlg., ottobre 1996
pp. 192, DM 42.
Kühnel, M. (a cura di)
Joachim Lange (1670-1944),
der ‘Hällische Feind’ oder ein anderes
Gesicht der Aufklärung.
Ausgewählte Texte und Dokumente
zum Streit über
Freiheit/Determinismus
Hallescher Vlg., settembre 1996
pp. 156, DM 24,80.
Kutzner, Heinrich
Nietzsche. Diesseits der Kräfte,
diesseits der Bilder.
Zur Endgeschichte
der euriopäischen Sinnlichkeit
Königshausen & Neumann, ottobre 1996
pp. 164, DM 32.
La Mettrie, Julien Offary de
De la volupté
a cura di Ann Thomson
secolo, una corrente mistica che mette l’accento su un nuovo modo di eseguire l’unione con Dio. La sua influenza si ritroverà in
Lutero e presso i mistici di Carmel. Per tutti
gli interessati.
Libera, Alain de
Penser au Moyen Age
Seuil, settembre 1996
pp. 416, F 56
Siamo confrontati con il posto occupato dal
Medioevo all’interno dalla storia della filosofia e con un tentativo d’analisi di un
fenomeno particolare: la comparsa di un
universo “intellettuale” tra il XIII e il XIV
secolo. Per tutti gli interessati.
Lotter, Maria S.
Die metaphysische Kritik des Subjekts.
Eine Untersuchung von Whiteheads
universalisierter Sozialontologie
Weidmann, ottobre 1996
pp. 292, DM 58.
Lapini, Walter
Il Poxi. 664 di Eraclide Pontico
e la cronologia dei Cipselidi
Olschki, ottobre 1996
pp. 219, £ 49.000.
Lück, Walter
Nie wieder Auschwitz. Eine kritische
Einführung in die Philosophie
EOS-Vlg., novembre 1996
pp. 176, DM 24.
Laurent, Bernard
L’esprit des Lumières et leur destin
Ellipses-Marketing, ottobre 1996
pp. 111, F 60
Di fronte alla rappresentazione dell’uomo e
del mondo data dall’Illuminismo, assistiamo un po’ dappertutto ad una rivalutazione
del sentimento identitario e ad un ritorno del
pregiudizio. Si ha ragione di parlare di una
sconfitta del pensiero e di un tradimento dei
Lumi? Il volume presenta dei repertori e
delle testimonianze dell’eredità dei Lumi,
in un’epoca in cui rischiano di andare perduti. Per le scuole e le università.
Lütkehaus, L. (a cura di)
Das Buch als Wille und Vorstellung.
Arthur Schopenhauers Briefwechsel
mit Friedrich Arnold Brockhaus
C.H. Beck, settembre 1996
pp. 150, DM 98.
Lutz-Bachmann, M. - Bohman, J.
(a cura di)
Frieden durch Recht.
Kants Friedensidee und das Problem
einer neuen Weltordnung
Suhrkamp, novembre 1996
pp. 320, DM 22,80.
Le Blond, Jean-Marie
Logique et méthode chez Aristote.
Etude et méthode chez Aristote:
étude sur la recherche des principes
dans la physique aristotélicienne
Vrin, novembre 1996
pp. 454, F 280
Il volume propone ciò che l’autore stesso
chiama una “specie di analisi strutturalista”, facendo significativamente, ma in
modo discreto, riferimento a C. Lévi-Strauss
e a M. Foucault e approda ad un’alisi originale del pensiero aristotelico, legato agli
schemi del linguaggio, della creazione, dell’esperienza della vita e del movimento. Il
volume è giunto alla quarta edizione. Per
tutti gli interessati e di livello universitario.
Macho, Th.H. (a cura di)
Ludwig Wittgenstein
E. Diedrichs, ottobre 1996
pp. 464, DM 48.
Maesschalk, Mark
Droit et création sociale chez Fichte:
une philosophie moderne
de l’action politique
pref. di Jean Ladrière
Peeters, settembre 1996
pp. 390, F 320
Si tratta di una lettura originale di Fichte,
che si sforza di ricostruire il suo pensiero a
partire da ciò che ne assicura la coerenza
interna, spiegando i termini della problematica complessa che è soggiacente alle idee di
Fichte e mettendone in luce il rigore metodologico con cui essa si articola, secondo le
esigenze del pensiero del trascendentale,
così come Fichte lo inserisce nella sua teorizzazione e lo esercita. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Legendre, Pierre
‘La fabrique de l’homme occidentale’;
suivi de ‘L’homme en meutrieur’
Mille et une nuit-Arte Editions,
novembre 1996
pp. 56, F 10
L’autore è filosofo, storico del diritto e delle
istituzioni e specialista del fenomeno religioso. Egli ricostruisce la prospettiva antropologica delle istituzioni: istituire l’uomo
perché egli assomigli all’uomo, al tempo
della figura del religioso, ma anche a quello
del managment. L’autore solleva domande
come: perché proibire qualcosa? Che cos’è
lo Stato? Per tutti gli interessati.
Maine de Biran
Correspondance philosophique,
1766-1804
a cura di François Azouvi
Vrin, settembre 1996
pp. 419, F 375
Questi due tomi della corrispondenza scandiscono la letteratura epistolare di Maine de
Biran in due periodi, la corrispondenza precedente l’incontro con Ampère e quella che
segue questo incontro. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Philosophische Werke in vier Bänden
vol. IV: Versuche in der ‘Theodicée’
über die Güte Gottes, die Freiheit
des Menschen und den Ursprung des Übels
a cura di E. Cassirer
tr. e note di A. Buchenau
Meiner, novembre 1996
pp. 550, DM 78.
Lescourret, Marie-Anne
Emmanuel Levinas
Flammarion, novembre 1996
pp. 448, F 57
L’autore ricostrisce il percorso del filosofo
e la sua opera. Egli si situa all’incrocio di
quattro culture - ebrea, russa, tedesca, francese - ma è rimasto in disparte rispetto ai
sentieri battuti che passano per l’ENS e
l’aggregazione. La sua opera si compone di
una parte confessionale che è distinta da
quella puramente filosofica. Per tutti gli
interessati.
Maine de Biran
Correspondance philosophique,
1805-1824
a cura di François Azouvi
Vrin, settembre 1996
pp. 402, F 400
Dal 1805 al 1824 la corrispondenza con
Ampère si moltiplica. Ogni documento è
accompagnato da note storiche che introducono a commenti. Questi documenti sono
stati presentati come una biografia epistolare continua che riguarda gli episodi delle
funzioni pubbliche svolte da Maine de Biran. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Libera, Alain de
Eckhart, Suso, Taleur
et la divination de l’homme
Bayard Editions-Centurion, ottobre 1996
pp. 245, F 93
Johann Eckhart ha inaugurato, nel XVII
Malabou, Catherine
L’avenir de Hegel:
plasticité, temporalité, dialectique
Vrin, novembre 1996
pp. 272, F 195
Questo studio si schiera contro il parere che
92
si sia di fronte ad un’assenza di futuro per la
filosofia hegeliana, analizzando il concetto
di plasticità, mostrando come egli costruisca, con la sua struttura e il suo ritmo, il
contenuto speculativo. Hegel mostra il concetto del suolo natale, dell’arte per portarli
alla loro origine: lo sviluppo della soggettività. Per tutti gli interessati e di livello
universitario.
Mall, Ram Adhar
Philosophie im Vergleich der Kulturen.
Interkulturelle Philosophie eine neue Orientierung
Primus Vlg., ottobre 1996
pp. 194, DM 39,80.
Marion, Jean-Luc
Sur l’ego et sur Dieu
PUF, novembre 1996
pp. 416, F 198
Il volume analizza i problemi posti dall’ego
e da Dio, così come si presentano nel pensiero di Cartesio. Per gli specialisti, i professionisti e di livello universitario.
Marrone, Pierpaolo
Consenso tacito: modelli etici
nel liberalismo filosofico americano
presentazione di Stelio Zeppi
La Rosa, ottobre 1996
pp. 239, £ 25.000
Questo libro, attraverso un’analisi dei pensatori che più hanno segnato la riflessione
sull’idea di un consenso razionale (Rawls,
Dworkin, Ackerman, Gauthier), cerca di
dare una risposta alla possibilità di ottenere
una fondazione razionale del consenso che
non sia anche una fondazioone metafisica
dell’individuo liberale.
Martin, Jean-Clet
L’image virtuelle:
essai sur la construction du monde
Kimé, ottobre 1996
pp. 128, F 105
L’immagine virtuale ripropone una vecchia
interrogazione posta in essere da Platone e
che riguarda l’inconsistenza del sensibile e
la necessità di porre la realtà come riferimento stabile per lo spirito umano. Proponendoci altre scale percettive, la realtà a cui
ci dà accesso l’immaginario virtuale è ancora sensibile. Per tutti gli interessati.
Martinez, M. (a cura di)
Formaler Mythos. Beiträge zu einer
Theorie ästhetischer Formen
Schöningh, novembre 1996
pp. 200, DM 58.
Marx, Karl
Manuscrits de 1844
a cura di Jean Salem
tr. inedita dal tedesco
di J.-P. Gougeon
Flammarion, settembre 1996
pp. 256, F 45
In questi testi economico-filosofici vengono denunciati gli aspetti inumani del capitalismo e l’infamia dei suoi adulatori. Per tutti
gli interessati.
Masani, Alberto
La cosmologia nella storia
della scienza, religione e filosofia
Editrice La Scuola, novembre 1996
pp. 410, £ 50.000
Questo libro intende mostrare come la scienza fisico-astronomica abbia oggi conseguito una visione cosmica complessa e generale formatasi quale risultato dell’elaborazione dell’edificio conoscitivo umano nei secoli. L’autore mette in luce come il sapere
sia pervenuto nella storia intrecciando i
guadagni della scienza, della filosofia e
della fede, a intuire il senso cosmico dell’essere e della vita.
Méheut, M. - Bourgeois, B. Crubellier, M. - Osmo P. et al.
(a cura di)
Penser le temps
Ellipses-Marketing, ottobre 1996
pp. 127, F 75
Il volume è adatto alla preparazione di
diversi esami. presenta una selezione di
testi sul tempo in Aristotele, Montaigne,
Kant, Hegel, Valéry e Giono. Di livello
universitario.
Meier, Heinrich
Die Denkbewegung von Leo Strauss.
Die Geschichte der Philosophie
NOVITÀ IN LIBRERIA
und die Intention des Philosophen
J.B. Metzler, ottobre 1996
pp. 60, DM 16,80
Il saggio di Meier è la prima pubblicazione
autonoma in lingua tedesca che si occupa
della filosofia di Leo Strauss. L’indagine si
occupa dell’intenzione che sottostà all’enorme opera di revisione storica di Leo Strauss.
Melina, Livio
Corso di bioetica:Il Vangelo della vita
Piemme, ottobre 1996
pp. 299, £ 35.000.
Ménissier, Thierry
Eros philosophique.
Une interprétation des Deux:
essai sur la querelle des valeurs
Grasset, novembre 1996
pp. 270, F 135
Nelle nostre società moderne, nessuna autorità superiore può dare dei giudizi che
siano accettati da tutti. Come vivere quindi
insieme e arbitrare i conflitti, nel momento
in cui si affrontano delle soggettività irreducibili legate a valori diversi? Ci si trova
confrontati con un problema filosofico e
politico al quale si interessa questo libro,
attraverso le opere di Max Weber, Aron,
Sartre o Heidegger. Per tutti gli interessati
alla materia.
Menke, Christoph
Tragödie im Sittlichen.
Gerechtigkeit und Freiheit nach Hegel
Suhrkamp, ottobre 1996
pp. 280, DM 48
L’esperienza tragica dell’epoca moderna è
l’esperienza dell’inevitabilità e della necessità della collisione tra i punti di vista fondamentali e normativi e le azioni. Si tratta
della tesi di abilitazione alla docenza tenuta
da Menke presso la Freie Universität di
Berlino.
Merleau-Ponty, Maurice
Notes de cours, 1959-1961
a cura di S. Ménasé
pref. di C. Lefort
Gallimard, ottobre 1996
pp. 416, F 175
Ognuno di questi corsi si interroga in modo
diverso sull’esercizio filosofico. Com’è
possibile la filosofia oggi, dopo la fenomenologia? Nel corso del 1959, Merleau-Ponty presenta una studio di Husserl e
Heidegger. Inoltre, egli fa ricorso all’interpretazione della filosofia che elaborarono
Cartesio, Hegel e Marx. Per gli specialisti e
i professionisti.
Meschini, Franco Aurelio
Indice dei Principia philosophiae
di René Descartes: indici lemmatizzati,
frequenze,distribuzione dei lemmi
Olschki, novembre 1996
pp. 471, £ 110.000.
Meyer, U.I. (a cura di)
Die Welt der Philosophie
parte II: Renaissance und frühe Neuzeit
Ein-Fach-Vlg., ottobre 1996
pp. 400, DM 49.
Michalski, Mark
Fremdwahrnehmung und Mitsein.
Zur Grundlegung der Sozialphilosophie
im Denken Max Schelers
und Martin Heideggers
Bouvier, settembre 1996
pp. 352, DM 72
Questa ricerca segue, per la prima volta, la
traccia fornita da Heidegger stesso, che
risale, partendo dall’analisi del Mitsein in
Essere e tempo all’analisi di Scherer della
Fremdwahrnehmung.
Michaud, Stéphane (a cura di)
Taine au carrefour des cultures
du XIX siècle, colloque, 3 déc. 1993,
organisé par la ‘Bibliothèque nationale
de France’ et la ‘Société des études
romantiques et dix-neuviémistes’
Bibliothèque nationale de France,
settembre 1996
pp. 181, F 220
Questo convegno, organizzato in occasione della morte d’Ippolito Taine, è stato
l’occasione per riconsiderare l’opera di
questo pensatore. Documenti e carte personali di Taine, recentemente acquisiti dalla
Bibliothèque nationale de France, vengono presentati alla fine dell’opera. Per gli
specialisti e i professionisti.
Misrahi, Robert
La jouissance d’être: le sujet et son désir
(essai d’anthropologie philosophique)
Encre marine, novembre 1996
pp. 480, F 230
Il gioire e la gioia sono l’origine e il fine
dell’esistenza che desidera e della riflessione costituente. Il malumore e la tragedia
non sono che snaturamenti dell’esistenza
umana. Per tutti gli interessati e di livello
universitario.
Dio, il quale, grazie alla sua irrealtà
permetterebbe di radiografare tutto il
mondo. Si ha quindi lo spunto per discutere con Lacan, Derrida, Deleuze,
Hegel o Sant’Anselmo. Per tutti gli interessati.
Münz-Koenen, Inge
Konstruktion des Nirgendwo.
Zur Diskursivität des Utopischen
bei Bloch, Adorno und Habermas
Akademie Vlg., novembre 1996
pp. 200, DM 58
Misrahi, Robert
Les figures du moi et la question
du sujet depuis la Renaissance
Armand Colin, novembre 1996
pp. 184, F 98
L’autore evidenzia la formazione progressiva dell’idea di soggetto per capire il significato di questo concetto oggi. L’originalità
dell’opera risiede in primo luogo nella tesi
che viene difesa: egli riabilita il soggetto
contro le negazioni sostenute dalla filosofia
contemporanea e mostra il carattere indissolubile del desiderio e della coscienza. Di
livello universitario.
Musambi, Malongi F.Y.M.
Conception du temps
et développement intégré
L’Harmattan, ottobre 1996
pp. 240, F 130
Il volume analizza il rapporto tra rappresentazione del tempo e modo d’essere di una
società, partendo da un’analisi delle principali concezioni del tempo.
Nataf, André
La libre pensée
PUF, novembre 1996
pp. 128, F 40
Il libero pensiero è diventato solamente
un oggetto di studio? Oppure continua a
far muovere la storia, contro e malgrado
la sua apparente inerzia e gli integralismi
di ogni tipo? Questa questione riguarda le
origini della civiltà moderna, poiché il
pensiero libero ha dato nascita alla filosofia, alla scienza e alla politica. Per tutti gli
interessati.
Misrahi, Robert
Lumière, commencement, liberté:
fondements pour une philosophie
du sujet et pour une étique de la joie
Seuil, novembre 1996
pp. 335, F 53
Il libro si occupa del meccanismo intorno a
cui ruota la filosofia concepita come riflessione esistenziale e come seconda nascita.
Quest’opera annuncia e chiarisce il lavoro
dell’autore, soprattutto la sua dottrina del
soggetto, la sua etica della felicità e la sua
teoria della democrazia. Per tutti gli interessati.
Necchi, Piercarlo (a cura di)
Il libro dei 24 filosofi
Il melangolo, settembre 1996
pp. 57, £ 12.000
In questo libro si manifesta l’intenzione
fondamentale di fondare una “teologia affermativa” o “catafanica” che ritenga possibile parlare di Dio e affermare ciò che è.
Mohrmann, R.E. (a cura di)
Argument Natur - Was ist natürlich?
Lit Vlg., settembre 1996
pp. 176, DM 29,80.
Moïse Maïmonide
Traité de logique
ed. e tr. dall’ebraico di Rémi Brague
Desclée De Brouwer, settembre 1996
s.pp., F 120
Maïmonide, cresciuto in una famiglia di
spagnoli, dotti conoscitori del Talmud, si
stabilì alla corte del sultano Saladin, dove
divenne medico. Questo suo breve trattato
presenta la logica di Aristotele. Per tutti gli
interessati.
Netschke-Hentschke, Ada
Le platonisme politique dans l’Antiquité
a cura di Jacques Follon
Peeters, settembre 1996
pp. 276, F 230
Questo studio propone una nuova lettura
dell’opera di Platone. La prima parte disegna la formazione del pensiero platonico e
porta alla definizione del platonismo politico. La seconda parte è consacrata allo studio della ricezione del platonismo politico
nell’Antichità pagana. Di livello universitario.
Mojsisch, B. - Pluta, O. - Rehn, R.
(a cura di)
Bochumer Philosophisches Jahrbuch
für Antike und Mittelalter - vol. I
B.R. Grüner, ottobre 1996
pp. 300, FOL 130
Questo volume verrà pubblicato in inglese,
francese, tedesco e italiano; ogni autunno
saranno presentati anche estratti in inglese.
Newen, Albert
Kontext, Referenz und Bedeutung.
Eine Bedeutungstheorie singulärer Terme
Schöningh, settembre 1996
pp. 256, DM 68.
Nietzsche, Friedrich
La généalogie de la morale
a cura di Philippe Choulet
tr. dal tedesco di E. Blondel,
O. Hansen-Love, T. Leydenbach
e P. Penisson
Flammarion, settembre 1996
pp. 288, F 33
In questo volume, la filosofia si interroga
sull’origine della morale e sulla provenienza dei nostri pregiudizi morali. Per tutti gli
interessati.
Montano, Aniello
Storia e convenzione: Vico contra Hobbes
La città del sole, settembre 1996
pp. 137, £ 22.000
In questo libro l’autore ha affrontato il rapporto Vico-Hobbes mostrando come da un
lato Vico costituisca il punto di avvio di una
concezione “storicistica” e “umanologica”
dell’esperienza e come, dall’altro lato,
Hobbes abbia fondato una visione dell’uomo basata su un’ipotesi “convenzionalistica” e “assiomatico-deduttiva” di ridefinizione dell’intero sistema del sapere.
Ortega, Francisco
Michel Faucault - die Rekonstruktion
der Freundschaft.
Von der Genealogie des modernen
Subjekts zur Ästhetik neuer Formen
von Sozietät
W. Fink, ottobre 1996
pp. 250, DM 38.
Mori, Gianluca
Introduzione a Bayle
Laterza, ottobre 1996
pp. 223, £ 18.000
Questo libro costituisce un’introduzione alla
filosofia di Bayle. Gli aspetti considerati
sono; le opere giovanili, i Pensieri sulla
cometa, la critica della religione e tolleranza, il Dizionario storico-critico, l’ateismo
stratonico, la storia della critica e la bibliografia.
Orth, Ernst Wolfgang
Von der Erkenntnistheorie
zur Kulturphilosophie. Studien
zu Ernst Cassirers Philosophie
der symbolischen Formen
Königshausen & Neumann, settembre 1996
pp. 327, DM 58.
Mouton, Joseph
Misère de Dieu
Aubier, ottobre 1996
pp. 250, F 110
Ricercando la figura di un ateismo proporzionato al soggetto, quest’indagine
getta luce in modo obliquo su di una
serie di problemi semiologici, linguistici e artistici come la questione di
Otto, Regine (a cura di)
Nationen und Kulturen. Zum 250.
Geburtstag Johann Gottfried Herders
Königshausen & Neumann, ottobre 1996
pp. 500, DM 98.
Ottonello, Pier Paolo (a cura di)
Bibliografia degli scritti di e su
Michele Sciacca dal 1931 al 1995
93
Olschki, novembre 1996
pp. 441, £ 78.000.
Ottonello, Pier Paolo (a cura di)
Michele Sciacca e la filosofia oggi:
atti del Congresso internazionale:
Roma, 5-8 aprile 1995
Olschki, ottobre 1996
pp. 620, £ 98.000
Questo libro raccoglie scritti di vari autori
sulla filosofia di Michele Sciacca suddivisi
in: introduzione, metafisica del finito, l’integralità della filosofia, prospettive storiche, Sciacca e la contemporaneità.
Pajda, Zbigniew
Hugo Sneyth et ses question de l’âme
Vrin, settembre 1996
pp. 197, F 240
Le questioni sollevate da Sneyth, un domenicano del XIII secolo, riguardano i legami
tra la tradizione agostiniana e le grandi
autorità, ma rivelano anche la presenza dell’idee più personali della dottrina proposta
da T. d’Aquino. Per tutti gli interessati e di
livello universitario.
Pandolfi, Alessandro
Généalogie et dialectique
de la raison mercantiliste
L’Harmattan, ottobre 1996
pp. 366, F 180
Questa ricerca contribuische a riesaminare
le forme e le modalità d’esercizio dei rapporti di potere che hanno caratterizzato la
nascita delle nuove pratiche economiche e
di governo, secondo una doppia prospettiva
genealogica e dialettica. Per tutti gli interessati.
Pape Helmut
Die Unsichtbarkeit der Welt.
Eine visuelle Kritik neuzeitlicher
Ontologie
Suhrkamp, ottobre 1996
pp. 520, DM 78.
Parinard, André
Gaston Bachelard
Flammarion, novembre 1996
pp. 547, F 140
La via e il percorso del filosofo nato nel
1884 e morto nel 1962 vengono qui descritti. Si tratta di un’analisi critica dell’opera di
questo “filosofo dell’immaginazione” e dei
saggi applicativi delle sue idee alla società
moderna. Inoltre, l’autore presenta diversi
documenti, lettere di amici, di allievi, poemi, eccetera, che dimostrano i diversi aspetti dello spirito di Bachelard. Per tutti gli
interessati.
Pasqualucci, Paolo
Introduzione alla metafisica dell’Uno
A. Pellicani, settembre 1996
pp. 151, £ 28.000
Questo libro si propone di costituire un’introduzione al problema metafisico fondamentale relativo al concetto dell’Uno inteso
come concetto che si riferisce esclusivamente all’Essere prefettissimo di Dio.
Patar, Benoït
Ioannis Buridan Expositio et Quaestiones
in Aristotelis ‘De caelo’:
édition, étude critique et doctrinale
Peeters, novembre 1996
pp. 602, F 949
L’autore studia i manoscritti di Aristotele
utilizzati da Buridan, i problemi della datazione del Trattato del cielo e presenta alcune questioni fondamentali (quella di Dio e il
problema dell’eternità del mondo). Il testo
dell’edizione latina è stabilito sulla base del
manoscritto 477 di Bruges. Per gli specialisti, i professionisti e di livello universitario.
Patzig, Günther
Gesammelte Schriften
vol. IV: Theoretische Philosophie
Wallstein, novembre 1996
pp. 212, DM 42.
Pauer-Studer, Herlinde
Das Andere der Gerechtigkeit.
Moraltheorie im Kontext
der Geschlechterdifferenz
Akademie Vlg., settembre 1996
pp. 304, DM 98
Questo lavoro analizza come la filosofia
morale presenti l’etica, nella prospettiva
della differenza tra i sessi e come ne sviluppi i tratti principali, come essa la liberi,
integrandone le componenti altruistiche, dal
legame con le connotazioni di sesso classi-
NOVITÀ IN LIBRERIA
che.
Pelz, Joachim
Und übrig bleibt das Nichts.
Ein kritisch-ironischer Streifzug durch
Philosophie und Physik, von Parmenides
über Kant und Heidegger zu Hawking
Ergon-Vlg., novembre 1996
pp. 360, DM 24.
Penati, Giancarlo
Classicità, modernità,postmoderno:
quale saggezza oggi per l’uomo?
Morcelliana, ottobre 1996
pp. 196, £ 25.000
L’autore esamina come sia possibile orientarsi nella pluralità degli stili filosofici della
nostra età postmoderna e non soggiacere
alla malìa del sincretismo e/o del relativismo.
Pera, Marcello
Apologia del metodo
Laterza, ottobre 1996
pp. 169, £ 23.000
In questo libro vengono analizzate le condizioni che rendono oggi possibili la razionalità e il progresso scientifici di fronte all’anarchismo metodologico e alle suggestioni irrazionaliste.
Pernot, Camille
La politesse et sa philosophie
PUF, novembre 1996
pp.368, F 198
L’educazione non è che un insieme di usi
contingenti o ha un significato proprio? In
cosa si distingue dalle altre forme di socialità, ha un significato diretto? Questo studio, ripreso in una prospettiva filosofica,
rivela la natura paradossale dell’educazione, che è sia linguaggio creatore dei sensi
sia linguaggio formale. Per tutti gli interessati e di livello universitario.
Piattelli Palmarini, Massimo
Petit traité sur Kant
tr. dall’italiano di C. Marin
O. Jacob, ottobre 1996
pp. 112, F 90
Si tratta di una presentazione delle grandi
questioni che hanno occupato la vita di
Kant, rivolgendo l’attenzione alle nozioni
fondamentaali come lo spazio e il tempo, la
legge morale o la regione. Questo saggio
consente di capire meglio l’interrogazione
e l’ispirazione dell’autore della Critica della ragion pura e ciò che è l’interrogazione
filosofica. Di livello universitario.
Platone
Politeia
a cura di O. Höffe
Akademie Vlg., novembre 1996
pp. 340, DM 29,80
Famosi interpreti di Platone hanno contribuito alla stesura di questo volume, commentando i diversi temi della Politeia e i
diversi problemi della ricerca su Platone.
Plutarco
Plutarque, du stoïcisme et de l’épicurisme
pref. e note di Jean Salem
Sand, settembre 1996
pp. 238, F 79
Attraverso scritti polemici, presentati da
Jean Salem, viene fornita un’idea delle dottrine stoiche ed epicuree, così come erano
allora vissute dai loro rappresentanti e come
erano recepite. Una scoperta del platonico
Plutarco, di fronte alle due filosofie che
esercitarono un’influenza così profonda
durante l’Antichità greco-romana. Per tutti
gli interessati.
Popper, Karl R.
Alles Leben ist Problemlösen.
Über Erkenntnis, Geschichte und Politik
Piper, ottobre 1996
s.pp., DM 16,90
In questo libro, che Popper finì prima della
sua morte, nel 1994, l’autore parla ancora
una volta dei suoi temi centrali, nella forma
concisa e precisa, viva e penetrante che lo
contraddistingue.
Potrc, M. (a cura di)
Non-classical Logic, Ethics
& Philosophy of Mind
Röll, novembre 1996
pp. 233, DM 44.
Pougoise, E. - Ridou, J.-M.
(a cura di)
Panorama de la philosophie
Marabout, novembre 1996
s.pp., F 61
Il percorso si snoda dai Greci ai grandi
pensatori contemporanei, ripercorrendo il
percorso della filosofia, con i suoi principali
concetti e teorie, attraverso delle schede
biografiche e delle tavole cronologiche. Per
tutti gli interessati.
Ronchi, Marco
Luogo comune:
verso un’etica della scrittura
EGEA, settembre 1996
pp. 143, £ 20.000
In questo libro l’autore si propone di enucleare il valore etico e fondante e non più
semplicemente estetico e compensatorio
della letteratura.
Prélorentzos, Yannis
Temps, durée et éternité: études
sur les ‘Principes de la philosophie’
de Descartes, de Spinoza
Presses de l’Université de Paris-Sorbonne,
novembre 1996
pp. 264, F 95
La nozione di durata riguarda diverse interrogazioni, anche in modo decisivo, in Spinoza e permette all’autore di trovare una
risposta alla sua domanda primitiva: c’è o
no una differenza significativa tra la dottrina di Cartesio e ciò che espone Spinoza? Si
tratta di uno studio che incrocia i pensieri di
due dei maggiori filosofi della modernità.
Per gli specialisti e i professionisti.
Rosemann, Philipp W.
Omne ens est aliquid:
Introduction à la lecture du système
philosophique de Saint Thomas d’Aquin
Peeters-France, novembre 1996
pp. 223, F 115
Quest’introduzione alla lettura di san Tommaso espone la sua intuizione ontologica
centrale, l’idea che egli si è creata dell’essere e degli esseri e da cui deriva il metodo
adeguato per avvicinarglisi. Questo metodo
mostra nel tomismo un pensiero mobile,
attento alla complessità vivente del reale e
sviluppa una dialettica della sostanza e del
rapporto che trova il suo coronamento nella
Trinità. Per tutti gli interessati e di livello
universitario.
Recki, B. - Wiesling, L. (a cura di)
Bild und Reflexion.
Paradigmen und Perspektiven
W. Fink, settembre 1996
pp. 384, DM 78
Il volume raccoglie contributi esemplari e
che indicano in che direzione si muove la
ricerca sui problemi attuali dell’estetica filosofica, della storia dell’arte, della scienza
della musica e della teoria dei media.
Roudinesco, Elisabeth
Jacques Lacan. Bericht über ein Leben.
Geschichte eines Denksystems
Kiepenheuer & Witsch, ottobre 1996
pp. 800, DM 89.
Rouvillois, Frédéric
L’Invention du progrès:
aux origines de la pensée totalitaire,
1680-1730
Kimé, novembre 1996
pp. 488, F 250
L’idea di progresso costituisce uno dei fulcri della modernità. Questo saggio si preoccupa di ritrovarla, di farla uscire dai campi
magici del mito e dell’evidenza e di descriverne l’invenzione, all’alba dei Lumi (16801730). Per tutti gli interessati.
Regenbogen, A. (a cura di)
Antike Weisheit und moderne Vernunft.
Herbert Boeder zugeeignet
Univ.-Vlg. Rasch, novembre 1996
pp. 320, DM 72.
Rella, Franco
Confini: la visibilità del mondo
e l’enigma dell’autorappresentazione
Pendragon, ottobre 1996
pp. 159, £ 26.000
Il libro esamina la concezione estetica, la
rivoluzione espressionista, i segni e le cose,
il segno e lo sguardo, cartografia del moderno, alcune riflessioni sul tragico, nelle città,
una mappa dai confini sfrangiati, il pensiero
di faccia al mondo, dal confine.
Rudolph, E. (a cura di)
Polis und Kosmos.
Naturphilosophie bei Platon
Wiss. Buchges., ottobre 1996
pp. 152, DM 49,80
Se si dovesse dimostrare che la filosofia
della natura di Platone, soprattutto il dialogo Timeo, deve essere intesa come cornice
alla sua filosofia politica (politeia, nomoi),
verrebbe messa in dubbio la tesi di una
“gerarchia dei due mondi” dell’opera platonica, sostenuta dalla tradizione neoplatonica.
Renard, Gilles
L’épistémologie
chez Georges Canguilhelm
Nathan, novembre 1996
pp. 172, F 95
L’autore ripristina la prospettiva del razionalismo che si lega ai lavori di Canguilhelm
e li confronta con altri contributi, in particolar modo con quelli americani. Di livello
universitario.
Rungaldier, Edmund
Philosophie der Esoterik
Kohlhammer, ottobre 1996
pp. 212, DM 39,80
Ci si interroga intorno alle premesse ontologiche e antropologiche che sono alla base
dell’esoterismo contemporaneo. La domanda principale è: quali sono le leggi fondamentali e ultime?
Rensi, Giuseppe - Grenier, Jean
La philosophie de l’absurde
pref. di Nicolas Emery
tr. dall’italiano di P. Farzi e M. Valensi
Allia, settembre 1996
Si tratta del testamento spirituale di Rensi,
in cui si trovano tutti i temi fondamentali del
suo pensiero, prima tra tutti la sua violenta
polemica contro la lettura tranquillizzante e
razionalista della storia. Per tutti gli interessati.
Saint-Evremond, Charles de
Ecrits philosophiques
Alive, ottobre 1996
pp. 176, F 139
Il volume raccoglie la totalità dei testi autentici di Sant’Evremondo, che scaturiscono dalla filosofia. Essi si occupano anche
della questione della ricerca della saggezza.
Il testo è stato stabilito partendo dall’edizione delle opere postuma del 1707. Per tutti
gli interessati.
Ricci, Saverio
Nicola Antonio Stigliola:enciclopedista
e linceo. Con l’edizione del trattato
Delle apparenze celesti
a cura e con un saggio di Andrea Cuna
Accademia nazionale dei Lincei,
ottobre 1996
pp. 147, £ 20.000.
Salaquarda, J. (a cura di)
Nietzsche
Wiss. Buchges., novembre 1996
pp. 380, DM 49,80
Si tratta della nuova edizione del libro apparso nel 1980. Vi si trova un panorama dei
nuovi sviluppi della ricerca su Nietzsche.
Ricoeur, Paul
Soi-même comme un autre
Seuil, settembre 1996
pp. 448, F 56
Si tratta di un percorso metodico tra filosofia analitica ed ermeneutica dell’Io e sul Sé,
concepito come pronome coniugato. Per
tutti gli interessati.
Salaün, Franck
L’ordre des moeurs:
essai sur la place du matérialisme
en France au XVIIIe siècle
Kimé, settembre 1996
pp. 370, F 195
In questo saggio, la ricerca storica e l’interrogazione filosofica vengono riunite. In effetti, precisando e interpretando il ruolo del
materialismo nella società francese, tra la
pubblicazione delle Lettere filosofiche di
Voltaire (1734) e la morte di Diderot (1784),
Romano, F. - Cardullo, R. L.
Dunamis nel neoplatonismo:
atti del II Colloquio internazionale
del Centro di ricerca sul neoplatonismo:
Università degli Studi di Catania,
6-8 ottobre 1994
La Nuova Italia, novembre 1996
pp. 217, £ 50.000.
94
si viene logicamente condotti a riesaminare
l’esistenza delle credenze e delle condotte.
Per tutti gli interessati.
Saltzer, W. et al. (a cura di)
Die Erfindung des Universums.
Neue Überlegungen zur philosophischen
Kosmologie
Insel Vlg., ottobre 1996
pp. 350, DM 22,80.
Salucci, Marco
Materialismo e funzionalismo
nella filosofia della mente
ETS, settembre 1996
pp. 170, £ 20.000.
Sandvoss, Ernst R.
Sternstunden des Prometheus.
Vom Weltbild zum Weltmodell
Insel Vlg., settembre 1996
pp. 380, DM 48
Il volume offre una presentazione dei modelli del mondo scientifici. Nella società
feudale dominava la finalità, e quindi un’idea
del mondo determinista, nella società borghese la causalità e in quella globale la
relatività. Il dissolvimento dei sistemi chiusi in favore di quelli aperti è indissolubilmente legato allo sviluppo delle scienze
naturali.
Savignano, Armando
Introduzione a Ortega y Gasset
Laterza, settembre 1996
pp. 191, £ 18.000
Il libro presenta l’opera di Gasset attraverso
un’esame dei suoi scritti giovanili, della sua
vita e delle sue concezioni fondamentali.
Schaefer, Alfred
Spinoza Philosoph des europäischen Bürgertums
Junghans, novembre 1996
pp. 192, DM 38.
Schäfer, L. - Ströker, E. (a cura di)
Naturauffassungen in Philosophie,
Wissenschaft, Technik - vol. IV: Gegenwart
Alber, settembre 1996
pp. 260, DM 84.
Schantz, Richard
Wahrheit, Referenz und Realismus.
Eine sprachphilosophische
und metaphysische Studie
de Gruyter, settembre 1996
pp. 429, DM 230
Si tratta di una ricerca in difesa del realismo.
È la tesi di abilitazione alla docenza tenuta
presso la Freie Universität di Berlino, nel
1996.
Scheibe, E.
Die Reduktion physikalischer Theorien.
Ein Beitrag zur Einheit der Physik
Springer, ottobre 1996
pp. 200, DM 88
L’autore presenta qui una nuova teoria, che
viene spiegata ricorrendo a diversi esempi
tratti dalla fisica. La novità di questa teoria
è rappresentata dal fatto che il suo fondamento non sta nel concetto di riduzione
vincolante e generale, ma in una struttura
ricorrente che si basa sul principio che le
riduzioni si alternano e si innescano una
sull’altra.
Schelling, Friedrich Wilhelm Josef
Introduction a la philosophie
a cura, tr. dal tedesco e postf.
di M.-C. Cailliol-Gillet
Vrin, novembre 1996
pp. 184, F 150
Schelling si propose di spiegare il fatto o
l’origine del mondo, analizzandoli nel corso di filosofia, tenuto nel 1830. Secondo
Schelling, si giunge alla filosofia solo con
una rielaborazione singolare della nozione
stessa di esperienza. Questo testo costituisce un documento privilegiato dell’insistenza di Schelling nel ricercare un moto
positivo che si fa desiderare e, nel labirinto
della storia, il filo di Arianna. Per tutti gli
interessati e di livello universitario.
Scherer, René
Utopies nomades
Séguier, settembre 1996
pp. 232, F 140
Si tratta di una serie di riflessioni, articoli e
conferenze che tendono a ridefinire e illustrare ciò che può significare un pensiero
utopico alla vigilia dell’anno 2000 e soprat-
NOVITÀ IN LIBRERIA
tutto dopo il fallimento delle utopie, da
Charles Fourier a Karl Marx, alle quali
aveva dato nascita lo sviluppo della società
industriale nel XIX secolo. Per tutti gli
interessati e di livello universitario.
Schiemann, G. (a cura di)
Was ist Natur?
Ein philosophisches Lesebuch
dtv, settembre 1996
pp. 432, DM 19,90
Si tratta di una raccolta di testi sulla filosofia
della natura, che forniscono un panorama
della storia della filosofia della natura.
Schirn, M. (a cura di)
Frege - Importance and Legacy
de Gruyter, novembre 1996
pp. 467, DM 270
Si tratta di una raccolta di interessanti saggi
sula figura del logico e filosofo Gottlob
Frege (1848-1925), un pioniere della moderna logica e semantica.
Schlegel, F. - Schleiermacher, F. Ast, F. - Schlegel A.W. et al.
Critique et herméneutique
dans le priemier romantisme allemand
tr. e note di D. Thouard
Presses univ. du Septentrion,
novembre 1996
s.pp., F 180
Questo testo ha l’ambizione di fornire
una lettura dei testi fondamentali dell’ermeneutica moderna e di mostrarne
l’interesse filosofico, presentando l’ermeneutica che si sviluppa all’interno
della critica estetica dei primi Romantici, ricordando che l’ermeneutica è in
primo luogo la riflessione di un filosofo
pratico. Per gli specialisti e i professionisti. Di livello universitario.
Schleiermacher, Friedrich
Schriften
a cura di A. Arndt
Dt. Klassiker Vlg., settembre 1996
pp. 1400, DM 298
Si tratta della prima raccolta di brani scelti
e commentati, che mette in risalto l’ampio
spettro della filosofia di Schleiermacher.
Schmidt, Josef
‘Geist’, ‘Religion’ und ‘absolutes Wissen’.
Ein Kommentar zu den drei gliechnamigen
Kapiteln aus Hegels ‘Phänomenologie
des Geistes’
Kohlhammer, novembre 1996
pp. 480, DM 98
Dopo un riassunto della prima parte della
Fenomenologia dello spirito (capp. I-V),
vengono commentati i capitoli dal VI all’VIII e vengono presentati i concetti di
“spirito”, “religione” e “coscienza assoluta”, attraverso un’analisi testuale.
Schmuckli, Lisa
Differenzen und Dissonanzen.
Zugänge zu feministischen
Erkenntnistheorien
in der Postmoderne (Facette)
Helmer, ottobre 1996
pp. 280, DM 39,80.
Schneider, H.J. (a cura di)
Metapher, Kognition
und künstliche Intelligenz
W. Fink, settembre 1996
pp. 244, DM 38
Nel caso in cui sia vero che le metafore
costituiscono uno scoglio per i computer e
per l’intelligenza simulata che può essere
realizzata tramite questi strumenti, che cosa
impariamo dalle difficoltà che scopriamo e
dalle differenze sulle particolarità della possibilità di pensiero e di conoscenza umane?
Schopenhauer, Arthur
‘Die Welt als Wille und Vorstellung’
a cura di W. Freiherr von Löhneysen
Insel Vlg., novembre 1996
pp. 1590, DM 34,80.
Schopenhauer, Arthur
Correspondance complète
a cura di A. Hübscher
pref. di F. Pagès
tr. dal tedesco di Chr. Haedick
Alive, ottobre 1996
s.pp., F 289
Schopenhauer non si augurava che la
sua corrispondenza fosse pubblicata. In
seguito ad anni di ricerca, A. Hübscher
ha riunito e pubblicato integralmente le
lettere ritrovate, nel 1978. Questa è la
traduzione della pubblicazione del ’78.
Per tutti gli interessati.
pp. 288, F 49
Che cosa cambia oggi nel mondo? Le scienze, il loro metodo e le loro invenzioni, il loro
modo di vedere e di trasformare le cose: le
tecniche, quindi il lavoro, la sua organizzazione e il legame sociale che presuppone.
Come comportarsi quindi nel mondo nuovo
che si prepara e sostituisce il vecchio? Per
tutti gli interessati.
Schopenhauer, Arthur
Ethique et politique
tr. dal tedesco di A. Dietrich
intr., commento e note
di A. Kremer-Marietti
LGF, novembre 1996
pp. 185, F 30
Sotto questo titolo sono raggruppati estratti
dei Parega e parapipomena, scritti su soggetti diversi, pubblicati nel 1851. Il filosofo
ha qui sviluppato le concezioni morali che
gli hanno assicurato la sua reputazione di
maestro del pessimismo. L’idea che più
l’uomo è cosciente della vita, più si rende
conto che tutta la vita è sofferenza. Per tutti
gli interessati.
Siebel, Mark
Der Begriff der Ableitbarkeit bei Bolzano
Academia-Vlg., novembre 1996
pp. 282, DM 42.
Simms, K. (a cura di)
Ethics and the Subject
Ed. Rodopi, novembre 1996
pp. 300, FOL 150
Questo volume contiene diciannove saggi,
di cui diciotto sono inediti, che esplorano la
questione della soggettività considerata da
una prospettiva etica.
Schramm, A. (a cura di)
Philosophie in Österreich 1996.
Vorträge des 4. Kongresses
der Österreichischen Gesellschaft für
Philosophie, Graz, 28. Februar 2. März 1996
Hölder-Pichler-Tempsky, novembre 1996
pp. 525, DM 68.
Sorrentino, Sergio - Terence N.Tice
(a cura di)
La dialettica nella cultura romantica
Nis, ottobre 1996
pp. 187, £ 27.000
Questo volume, che raccoglie gli atti di un
convegno internazionale, intende riaprire il
dibattito filosofico intorno al tema antico
della dialettica. Nata per proteggere la ragione e la sua attività di fatto la dialettica si
è convertita nel suo contrario: è diventata
una risorsa per impiantare un dominio sulla
natura e sulla storia, per dare sfogo ad una
ragione autocratica e dispotica.
Schröter, Joachim
Zur Meta-Theorie der Physik
de Gruyter, settembre 1996
pp. 710, DM 248
Questo libro si basa sui manoscritti dell’autore, preparati per le manifestazioni sulle questioni fondamentali della
fisica, tenute presso l’Università di
Paderborn. Il testo si rivolge sia ai teorici della scienza sia agli studiosi delle
scienze naturali, che possono trovarlo
interessante. Il tema viene presentato
all’interno della cornice fornita dalle
concezioni di G. Ludwig, che si rifanno
alla metateoria della fisica.
Spaemann, Robert
Personen. Versuche über
den Unterschied zwischen ‘etwas’
und ‘jemand’
Klett-Cotta, settembre 1996
pp. 260, DM 48
Da Cartesio, la filosofia si occupa soprattutto degli oggetti e dei soggetti. Le persone
sono però tutti e due contemporaneamente.
Come mai è così? Recentemente si è messo
in discussione il fatto che tutti gli esseri
umani siano persone e questo ha avuto
notevoli conseguenze. Spaemann riporta i
suoi interventi all’interno di questo dibattito e anche la sua teorizzazione, che si attendeva da tempo.
Schulte, G. (a cura di)
Johann Gottfried Fichte
E. Diedrichs, ottobre 1996
pp. 480, DM 48
Si tratta di una raccolta di brani di J.G.
Fichte, scelti e commentati da G. Schulte.
Schulthess, P. - Imbach, R.
Die Philosophie im lateinischen
Mittelalter. Ein Handbuch
Artemis & Winkler, settembre 1996
pp. 528, DM 128.
Spanio, Enrico Tommaso
Il tempo della scienza e il tempo
della coscienza:Bergson
e i modelli interpretativi
dello spazio-tempo
pref. di Emanuele Severino
Il cardo, ottobre 1996
pp. 94, £ 32.000
L’autore attraverso un’analisi lucida ed efficace del pensiero di Bergson, vuole mostrare come il modello interpretativo del
tempo resti estraneo al divenire e come sia
invece il divenire a ricevere il proprio significato sul fondamento della struttura interpretativa del tempo.
Schweppenhäuser, Gerhard
Theodor W. Adorno zur Einführung
Junius, ottobre 1996
pp. 165, DM 19,80.
Sciacca, Fabrizio
Imago libertatis; diritto e Stato
nella filosofia dello spirito di Hegel
Giappichelli, settembre 1996
pp. 132, £ 18.000
In questo libro si affronta la critica hegeliana del diritto naturale come critica della
soggettività: tanto nel momento logico della riduzione razionale (Leibniz) o psicologico del problema dell’esperienza (Hume),
quanto in quello della filosofia critica della
conoscenza (Kant).
Stamm, Marcelo
Systemkrise.
Die Elementarphilosophie
in der Debatte (1789-1794)
Klett-Cotta, ottobre 1996
pp. 255, DM 88
La filosofia elementare di K.L. Reinhlod
acquista un nuovo significato per la ricerca
sulla filosofia classica tedesca. Questo volume mostra come i motivi critici contro il
programma della filosofia dei principi di
Reinhold scaturiscano da un dibattito che
dovrebbe anche essere formativo per le
concezioni speculative.
Seifert, Josef
Gott als Gottesbeweis.
Eine phänomenologische Neubegründung
des ontologischen Argumentes
Winter, settembre 1996
pp. 715, DM 188.
Seiqueira, Ronald
Die Philosophien Indiens
Ein-Fach-Vlg., novembre 1996
pp. 300, DM 35.
Stanchina, Gabriella
La filosofia di Luce Irigaray:
pensare e abitare un corpo di donna
Mimesis, ottobre 1996
pp. 156, £ 25.000
Il libro enuclea gli snodi fondativi del pensiero di Luce Irigaray dal rapporto con la
psicoanalisi lacaniana alla rilettura del mito
platonico della caverna, dalla riflessione sui
corpi e il limite in Aristotele e Levinas alla
rivisitazione dell’Antigone hegeliana. Ne
emerge il profilo di un pensiero che interroga la modernità attraverso la proposta di un
nuovo modello etico in cui l’alterità femminile denegata possa giungere alla parola.
Sena, Michelantonio
Leopardi: De Sanctis e altri studi
Edisud, settembre 1996
pp. 272, £ 50.000
Attraverso un’analisi delle principali opere
del Leopardi l’autore ci coglie la radicale
unità della filosofia e della poesia intesa
come autentica espressione del mondo della vita: intuizione che si manifesta essenziale nella riflessione storico-filosofica ed estetico-letteraria dei lavori critico-esegetici
degli ultimi anni.
Serres, Michel
Atlas
Flammarion, novembre 1996
Staquet, Anne
95
La pensée faible de Vattimo et Rovatti:
une pensée faible
L’Harmattan, ottobre 1996
pp. 202, F 120
Si tratta di uno studio sul libro, apparso in
Italia nel 1983, Il pensiero debole. Il “pensiero debole” nella ricerca viene analizzato
in movimento, rintracciandone le origini
che vanno fino a Nietzsche e Heidegger. Per
tutti gli interessati.
Steilberg, Hays Alan
Die amerikanische Nietzsche-Rezeption
von 1896 bis 1950
de Gruyter, settembre 1996
pp. 452, DM 230
Si tratta di una ricerca sugli inizi del discorso filosofico su Nietzsche in America, che è
caratterizzato da una profonda spaccatura
tra un’ostilità dalle serie motivazioni e una
lode incondizionata e solenne del filosofo.
Il volume contiene citazioni in inglese.
Stemich Huber, Martina
Heraklit. Der Werdegang des Weisen
B.R. Grüner, novembre 1996
pp. 280, FOL 84
Nel volume viene fornita un’analisi di diversi frammenti, scelti dall’autrice, che porta
alla dimostrazione che Eraclito traccia una
chiara pedagogia, che, per alcuni versi, preannuncia aspetti filosofici posteriori. In
quest’analisi, il logos nella propria psiche si
incontra con il logos del mondo.
Stender, Wolfram
Kritik und Vernunft.Studien
zu Horkheimer, Habermas und Freud
zu Klampen, settembre 1996
pp. 403, s.pr.
Strauss, Leo
Critique de la religion chez Spinoza
ou Les fondaments de la science
spinoziste de la Bible:
recherches pour une étude
du ‘Traité théologico-politique’
pref. di G. Krüger
postf. di J. Guttmann
tr. dal tedesco G. Almaleh, A. Baraquin
e M. Deadt-Ejchenbaum
Cerf, ottobre 1996
pp. 400, F 198
Si ocupa della questione del lavoro esegetico nella filosofia di Spinoza. Per Leo Strauss
l’apprezzamento della critica filologico-storica che Spinoza fa rispetto alla Bibbia è
inseparabile dall’accettazione delle critiche
di Hobbes nei confronti di Spinoza o della
posizione di Calvino sui rapporti ragionerivelazione. Per gli specialisti e i professionisti.
Strauss, Leo
Gesammelte Schrifetn - vol. I:
die Religionskritik Spinozas
und zugehörige Schriften
a cura di H. Meier
J.B. Metzler, settembre 1996
pp. 430, DM 85.
Tassi, Adriano
G.W.F. Hegel e gli anni di Stuttgart
e Tübingen: 1785-1793
Guerini e Associati, novembre 1996
pp. 244, £ 42.000
In questo libro viene esaminata la delicata fase della formazione ginnasiale di
Hegel e la complessità dell’esperienza
dello Stift, per molti versi decisiva per
la personalità filosofica del giovane
Hegel. L’indagine sul periodo di Stuttgart e di Tübingen è svolta attraversi i
testi critici editi in Gesammelte Werke I
e III secondo una cronologia finalmente definita.
Teichmann, Frank
Auferstehung im Denken.
Der Christusimpuls in der ‘Philosophie
der Freiheit’ und in der
Bewußteseinsgeschichte
Ed. Hardenberg, settembre 1996
pp. 166, DM 39.
Themann, Thorsten
Otto-Anthropologie der Tätigkeit.
Die Dialektik von ‘Geltung’
und ‘Genesis’ im Werk von Georg Lukács
Bouvier, settembre 1996
pp. 272, DM 76.
Thiele, Ulrich
Verwaltete Freiheit.
Die normativen Prämissen
NOVITÀ IN LIBRERIA
in Horkheimers Kantkritik
Campus, ottobre 1996
pp. 300, DM 58
Quest’analisi dell’interpretazione di Kant
da parte di Horkheim getta una nuova luce
sugli inizi filosofici della Scuola di Francoforte. L’autore applica il metodo ideologico
di Horkheimer agli scritti classici di Horkheimer.
Thiry, Philippe
Notions de logique
De Boeck-Wesmael, ottobre 1996
pp. 182, F 120
Il volume, che è alla sua seconda edizione,
contiene i fondamenti di logica antica e
della logica moderna delle proposizioni e
dei predicati di prim’ordine. Di livello universitario.
Thomas, Philipp
Selbst - Natur - Sein.
Leibphänomenologie als Naturphilosophie
Akademie Vlg., settembre 1996
pp. 268, DM 79
Thomas, partendo dall’analisi del corpo in Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty e Schmitz, ipotizza come dovrebbe
presentarsi una fenomenologia del corpo che consideri il corpo come una
fenomenologia della natura, che è poi a
dire di noi stessi.
Tomberg, Markus
Der Begriff von Mythos und Wissenschaft
bei Ernst Cassirer und Kurt Hübner
Lit, ottobre 1996
pp. 288, DM 48,80.
Totok, Wilhelm
Handbuch der Geschichte der Philosophie
vol. I: Altertum.Indische, chinesische,
griechisch-römische Philosophie
a cura di H.-D. Finke e H. Schröer
Klostermann, settembre 1996
pp. 900, DM 298
Si tratta della seconda edizione, che tiene
conto dei volumi di questa storia della filosofia pubblicati da Totok dopo questo primo.
Trappe, Tobias
Transzendentale Erfahrung.
Vorstudien zu einer transzendentalen
Methodenlehre
Schwabe, novembre 1996
pp. 363, DM 78.
Vaccarino, Giiuseppe
La nascita della filosofia
Società stampa sportiva, settembre 1996
pp. 315, £ 30.000
In questo libro l’autore analizza la filosofia
dalla sua nascita presso i Greci sino alla fine
della filosofia greca.
Vaccaro, Giovambattista
Dall’esistenza alla morale:
studi sull’etica del Novecento
Cadmo, ottobre 1996
pp. 253, £ 25.000
Attraverso l’analisi del pensiero di alcuni protagonisti della filosofia del
Novecento come Löwith, E. Levinas,
Adorno, Sartre, Luporini e Bloch, in un
confronto serrato con Heidegger si tenta di dare una risposta al rinnovato interesse per l’ontologia.
Van Camp, Hélène
Chemin faisant avec Jacques Derrida
L’Harmattan, ottobre 1996
pp. 129, F 85
Si tratta di una lettura originale degli scritti
di Derrida, che riunisce i principali testi
scritti in occasione delle tavole rotonde
tenutesi in Belgio e nei Paesi Bassi tra il
1991 e il ’94, per iniziativa di Michel Lisse
e di Winibert Segers. Per tutti gli interessati.
Vannini, Marco
Mistica e filosofia
pref. di Massimo Cacciari
Piemme, ottobre 1996
pp. 204, £ 28.000
Questo libro costituisce un itinerario delle
figure essenziali della tradizione mistica e
speculativa del cristianesimo. Alla fine si
mostra la sua origine nel Vangelo di Giovanni che sintetizza mirabilmente sapienza
greca e messaggio cristiano.
Vecchiotti, Icilio
Introduzione alla storia
della filosofia indiana
Quattro Venti, settembre 1996
pp. 213, £ 30.000
Questa introduzione alla filosofia indiana si
distacca dai libri simili e dal volume della
collana ubaldina. Rispetto agli altri manuali, infatti, attribuisce un notevole valore allo
sviluppo logico e a quello propriamente
storico. Rispetto al manuale ubaldino sono
state introdotte novità di natura esplicativa
e didattica, come alcuni disegni; si è aggiunta una tavola cronologica e una cartina
geografica dell’India antica; infine una linea genealogica delle lingue indiane.
co: si tratta di una lettura che ci viene
proposta ma anche di un’elaborazione di
una teoria del senso. Per tutti gli interessati.
Weber, Stefan
Die Dualisierung des Erkennens.
Zu Konstruktivismus, Neurophilosophie
und Medientheorie
Passagen Vlg., settembre 1996
pp. 288, DM 62.
Weil, Eric
Logique de la philosophie
Vrin, settembre 1996
pp. 442, F 198
L’autore intraprende l’impresa di riunire la
diversità dei discorsi filosofici ad un numero finito di figure ideali e tipiche - le categorie filosofiche - e di articolarle secondo un
ordine che ha l’aspetto di un percorso libero
del filosofare. Per tutti gli interessati e di
livello universitario.
Virvidakis, Stélios
La robustesse du bien:
essai sur le réalisme moral
J. Chambon, novembre 1996
pp. 311, F 170
Si tratta di un saggio sulle proprietà morali
che attribuiamo a degli individui o a delle
situazioni come “buone” o “cattive”. Esse
sono “nelle” cose e possono rivelarle così
come rileviamo le proprietà delle cose fisiche? O sono delle proiezioni dei nostri
sentimenti e delle nostre attese? Per tutti gli
interessati.
Weinberger, Ota
Alternative Handlungstheorie
Böhlau, novembre 1996
pp. 312, DM 58
L’agire viene qui concepito come un comportamento guidato dalle informazioni, internazionalmente, che è caratterizzato dalla
struttura dell’elaborazione delle informazioni. La teoria, presentata formalmente, è
applicabile sia all’azione individuale che a
quella istituzionale.
Vitale, Ermanno
Il soggetto e la comunità:fenomenologia
e metafisica dell’identità in Charles Taylor
Giappichelli, ottobre 1996
pp. 208, £ 28.000
Attraverso una critica testuale dell’opera di
Taylor questo saggio si propone di dimostrare che il pensiero liberale ha i suoi
quadri di riferimento in un’ontologia fondante e autosufficiente. Tornando a fare i
conti anche con Hobbes e Kant il comunitarismo si rivela non più disponibile ad affrontare utilmente le sfide del terzo millennio.
Weingartner, P. (a cura di)
Gesetz und Vohersage
Alber, novembre 1996
pp. 256, DM 64
Il volume presenta le nuove scoperte intorno al vecchio tema della “legge e della
premonizione”, provenienti dalla matematica (metodi di calcolo per i fenomeni complessi) e dalla ricerca sul caos, che problematizza in modo nuovo i concetti centrali di
“ordine” e “legge della natura”. Il libro offre
un panorama dello stato del dibattito interdisciplinare riguardante questo tema, alla
luce delle nuove scoperte e ricerche.
Vosskühler, Friedrich
Der Idealismus als Metaphysik der Moderne.
Studien zur Selbstreflexion und Aufhebung
der Metaphysik bei Hölderlin, Hegel,
Schelling, Marx und Heidegger
Königshausen & Neumann, novembre 1996
pp. 520, DM 148
Si tratta della tesi all’abilitazione alla docenza tenuta presso l’Università di Kassel
nel ’92.
Weingartner, Paul
Logisch-philosophische Untersuchungen
zu Werten und Normen.
Werte und Normen in Wissenschaft
und Forschung
P. Lang, novembre 1996
pp. 217, DM 66
L’analisi dei valori e delle norme e del loro
ruolo nelle scienze viene portata avanti con
l’aiuto dell’instrumentario della logica
moderna. Inizia con la definizione del giudizio dei valori e prosegue con l’analisi
dell’argomento teologico e con la domanda
sulla falsificazione delle affermazioni sui
valori e le norme.
Wahl, François
Introduction au discours du tableau
Seuil, settembre 1996
pp. 208, F 130
Viene consederato ciò che è “visibile”, sotto due specie: il paesaggio, il quadro. Si
tratta di dimostrare che il visibile è un
“discorso” e che è inarticolabile e intelleggibile se non si risale fino alla forma linguistica. Questo progetto si considera filosofi-
Informazioni bibliografiche
relative
alle pubblicazioni italiane
sono tratte
dalla banca dati
della
Wetz, Franz Josef
Friedrich W.J. Schlegel zur Einführung
Jiunius, novembre 1996
pp. 250, DM 24,80
Il volume contiene anche una bibliografia e
un elenco della letteratura settoriale.
Wiesner, Jürgen
Parmenides - der Beginn der ‘Aletheia’.
Untersuchungen zu B 2 - B 3 - B 6
de Gruyter, settembre 1996
pp. 280, DM 176
Si tratta della tesi di abilitazione alla docenza tenuta presso la Freie Universität di
Berlino, nel 1992-93.
Wille, Bernd
Onthologie und Ethik bei Hans Jonas
Röll, ottobre 1996
pp. 272, DM 58
L’autore vuole incoraggiare a riconoscere
l’approccio ontologico come fondato e con
lo stesso diritto di stare di fanco agli altri,
così come fa Jonas e nonostante i “tabù”
dell’epoca moderna. Si tratta della tesi di
laurea tenuta da Wille, presso l’Università
di Würzburg, quest’anno.
Wilson, John E.
Schelling und Nietzsche. Zur Auslegung
der frühen Werke Friedrich Nietzsches
de Gruyter, settembre 1996
pp. 400, DM 238.
Wimmer, Reiner
Vier jüdische Philosophinnen.
Rosa Luxemburg, Simone Weil,
Edith Stein, Hanna Arendt
Reclam, settembre 1996
pp. 379, DM 24.
Wittgenstein, Ludwig
Chaier bleu, cahier brun
tr. dall’inglese di M. Goldberg
e J. Sackuhr
Gallimard, ottobre 1996
pp. 320, F 180
Questo volume raccoglie i due testi del
1935 e ’36, tra il Tractatus logico-philosophicus e le Investigazioni filosofiche che
testimoniano un’evoluzione importante del
pensiero di Wittgenstein. Per gli specialisti
e i professionisti.
Wittgenstein, Ludwig
Familienbriefe
Hölder-Pichler-Tempsky, novembre 1996
pp. 216, DM 67
Il volume contiene una grande parte delle
lettere conservate, che documentano la corrispondenza tra Ludwig Wittgenstein e i
suoi fratelli. Le fotografie tratte dagli album
di famiglia fanno rivivere le persone e l’ambiente. Un saggio del biografo di Wittgenstein, Brian Mc-Guinness, raffigura lo sfondo di pensiero del filosofo.
Zeidler-Janiszewska, A. (a cura di)
Epistemology and History.
Humanities and a Philosophical Problem
and Jerzy Kmita’s Approach to It
Ed. Rodopi, settembre 1996
pp. 630, FOL 320.
Zingari, Guido
Oscenità interiori: verità ambigue
e retoriche perverse
Costa & Nolan, ottobre 1996
pp. 76, £ 12.000
In questo libro Zingari offre una fenomenologia dell’osceno interiore e invisibile, tesa
a smascherare l’equivoco e l’ambiguità di
un linguaggio piegato sempre più spesso a
confondere piuttosto che a svelare la verità.
Zizek, Slavoj
Der nie aufgehende Rest. Ein Versuch
über Schelling und die damit
zusammenhängende Gegenstände
Passagen Vlg., settembre 1996
pp. 272, DM 58.
via B. da Maiano, 3
50014 Fiesole (FI)
telefono 055.599941
fax 055.598895
[email protected]
96
Zwierlein, Eduard
Blaise Pascal zur Einführung
Junius, ottobre 1996
pp. 192, DM 24,80.
(Biblio. it. di M.Mi.; trad. it. di L.T.)
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