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CAPITOLO QUARTO
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TEORIE DEI TRATTI E DEI
FATTORI DELLA PERSONALITÀ
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Sommario: 1. Tratti e fattori: definizioni di base. - 2. Teorie fattoriali (Eysenck e
Cattell). - 3. La teoria dei «Big Five».
1. TRATTI E FATTORI: DEFINIZIONI DI BASE
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La quasi totalità delle attuali classificazioni teoriche e diagnostiche della
personalità (e dei suoi disturbi) risente delle cosiddette «teorie dei tratti»,
cioè di approcci improntati ad una visione empirica della personalità e ad
una sua rappresentazione in termini di «profilo psicologico», secondo cui
la personalità dell’individuo viene ridefinita in base alla diversa rilevanza
dei tratti che ne costituiscono l’architettura generale.
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Alla base della teoria di tratti vi sono metodi di analisi dei «fattori», largamente determinati dallo sviluppo e dalla successiva applicazione delle tecniche psicometriche all’indagine
psicologica e psichiatrica. Le teorie fattoriali si basano sulla cosiddetta «analisi fattoriale»,
una tecnica multivariata, un insieme di metodi statistici che permettono di ridurre un ampio
numero di variabili osservate ad un numero limitato di ipotetiche dimensioni latenti, appunto
fattori, in base a ciò che hanno in comune.
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In linea generale, i fattori hanno una funzione sintetica e descrittiva:
— possono convalidare delle ipotesi;
— possono suggerirne di nuove;
— possono assumere le caratteristiche di agenti causali.
Il fattore permette di esprimere il tratto psicologico, che è una caratteristica qualitativa, in termini quantitativi. In tal modo è stato possibile giungere alla formulazione di vere e proprie teorie della personalità, in cui i dati
forniti dall’esperienza vengono ordinati rispetto ad un insieme gerarchico
di ipotesi sul funzionamento complessivo della personalità.
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A) La «psicologia dei tratti» di Allport
All’interno delle «teoria dei tratti», le ricerche di Gordon Allport (18971967) rappresentano il tentativo più autorevole di fornire una visione glo-
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bale e non riduttiva della personalità. Allport considera la personalità
un’unità dinamica nella quale si uniscono in modo armonico fattori biologici e psico-sociali che determinano i modi «unici» di adattamento dell’individuo all’ambiente.
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Egli cerca di comprendere le modalità attraverso cui l’integrazione di tali fattori sviluppi
un’individualità che presenta caratteri unici ed irripetibili. Diversamente dal comportamentismo e dalla psicoanalisi, nella prospettiva di Allport, la determinazione del presente non riflette soltanto la potenza degli eventi trascorsi (secondo ad esempio quanto la psicoanalisi classica ha sempre sostenuto) ma anche le dimensioni prospettiche legate al futuro: la personalità è
un’organizzazione articolata e dinamica che si caratterizza per il modo in cui l’individuo si
orienta verso il futuro e quindi verso la realizzazione delle proprie potenzialità.
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In Allport è fondamentale studiare la persona «normale» dal punto di
vista delle manifestazioni coscienti, dei desideri e valori coscienti e nelle
sue aspirazioni. Con Allport, lo studio della personalità viene intesa come
studio delle forze che regolano e modulano lo sviluppo nella direzione della
crescita e della differenziazione.
Decisivo in questo contesto è il concetto di «tratto», che permette di
descrivere la personalità e comprendere i vari comportamenti. I tratti sono
sistemi neuropsichici generalizzati e focalizzati, tendenze determinanti
o predisposizioni generali che danno coerenza al comportamento e sono in
grado di rendere molti stimoli funzionalmente equivalenti. Allport distingue il concetto di tratto da quello di abitudine e atteggiamento e afferma
che:
— il tratto, oltre ad essere più generale delle abitudini, è il risultato di una
loro integrazione;
— il tratto (rispetto all’atteggiamento) ha un maggiore potere di generalità, cioè un estensione maggiore di tutte le caratteristiche che implicano
il dinamismo della personalità;
— il tratto è diverso dal «tipo», che è un’astrazione che in qualche modo
maschera le caratteristiche di fondo un individuo;
— il tratto è una disposizione o un insieme di disposizioni che mettono in
evidenza l’unicità dell’individuo.
Più nel dettaglio, i tratti possono essere distinti in:
— cardinali, presenti solo in alcuni individui (hanno l’influenza maggiore
sulla personalità e sul comportamento, sono i più forti e pervasivi);
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— centrali (colgono l’essenza di un individuo ed influenzano buona parte
del nostro comportamento);
— secondari (sono estremamente specifici e si manifestano solo in circostanze particolari);
— comuni (possono essere identificativi per un gruppo di persone o categoria).
Il comportamento può essere influenzato allo stesso momento da più
tratti: non vi è infatti un confine netto tra i vari tratti. Essi infatti si diversificano tra loro in base al grado di dominanza e generalità di ciascuno di
essi.
Allport introduce infine il concetto di «proprium» che rappresenta il
punto di arrivo dei processi di crescita psichica del soggetto, vale a dire
l’ambito centrale della personalità in cui è rintracciabile il nucleo dell’identità personale.
Esso include tutti gli aspetti della personalità che contribuiscono all’unità interiore di un
dato individuo e riflette l’integrazione delle diverse funzioni che ne permettono l’adattamento.
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Il proprium non è innato ma si sviluppa nel tempo: costituisce la regione
della personalità in cui atteggiamenti, pensieri, valutazioni raggiungono la
massima coerenza. Può essere descritto in base alle funzioni che di solito
vengono attribuite all’Io e al Sé. Il proprium è quindi un sinonimo di:
— identità personale e corporea;
— stima di sé;
— padronanza delle cose;
— immagine di sé;
— concezione di sé come solutore di problemi;
— consapevolezza e progettualità.
Il proprium, per le sue funzioni, assorbe i tratti che ad esso restano subordinati. Ciò può essere osservato attraverso l’autonomia funzionale dei
bisogni. Si tratta di una nozione che permette di spiegare i diversi motivi
che orientano la condotta e che caratterizzano la personalità di ogni individuo.
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Nei primi mesi di vita, ad esempio, la motivazione è l’espressione di processi biologici
regolati dal principio della riduzione della tensione (ipotesi già presente nella teoria freudiana
della pulsione: cosiddetto «principio di costanza»). Con lo sviluppo delle funzioni del proprium, in sintonia con i processi che consentono la formazione e la differenziazione della
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personalità, anche i motivi si differenziano e si organizzano in modo coerente con l’evoluzione
dell’Io e con l’organizzazione dei tratti.
L’autonomia funzionale dei bisogni permette dunque l’emancipazione e la differenziazione di diversi motivi psicologici e sociali. Grazie ad essa ogni comportamento, inizialmente
legato a dimensioni pressioni biologiche interne, può diventare uno scopo in se stesso, che si
mantiene anche senza rinforzi di base.
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B) La «psicologia dei bisogni» di Murray
Lo statunitense Henry Murray (1893-1988), insieme ad Allport, è considerato tra i primi studiosi della personalità.
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Laureato in Medicina alla Columbia University nel 1919 e in Biochimica a Cambridge
nel 1927, in seguito alla lettura dei Tipi psicologici di Jung e alla conoscenza diretta dell’autore, comincia a interessarsi di psicologia della personalità. Nel 1928 diviene direttore della
clinica psicologica di Harvard e poi psicoanalista; nel 1935 elabora una teoria dei bisogni, dei
valori e delle pressioni che caratterizzano gli sforzi umani intesi a ridurre la tensione e il disagio psichico.
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Come Allport, Murray sostiene la necessità di studiare la personalità
con un approccio che esalta la complessità e l’unicità dell’individuo. In
accordo con gli autori di impostazione psicodinamica, egli considera la
motivazione come un elemento centrale per lo studio della personalità, interpretata come esito dell’integrazione delle diverse tendenze direzionali
che emergono dall’interazione di fattori biologici e sociali.
Murray studia la personalità nei termini di motivazioni e bisogni prevalenti, in una prospettiva simile a quella freudiana. Secondo la sua prospettiva, è possibile conoscere l’individuo partendo dalla conoscenza dei diversi
bisogni che in vari modi influenzano la stabilità e lo sviluppo della personalità. L’esistenza di un bisogno viene confermata dalla forma e dal risultato di un comportamento e soprattutto dalla condizione soggettiva che lo
attiva.
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Murray distingue i bisogni in:
— viscerogeni, cioè legati a fattori organici e ad esigenze fisiche dell’individuo;
— psicogeni, legati a fattori socio-culturali che corrispondono alle esigenze specifiche dell’esperienza psichica individuale come si sviluppa nella relazione con il mondo;
— manifesti (immediati);
— latenti (rimossi);
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— proattivi (interni);
— focali e diffusi.
I bisogni sono legati tra loro a vari livelli. Generalmente la soddisfazione dei bisogni primari (fisici) anticipa e condiziona lo sviluppo e la soddisfazione di quelli secondari (psicologici). Il processo motivazionale dipende dall’ambiente, che da un lato fornisce le varie opportunità di soddisfazione e, dall’altro, esercita sull’individuo vari tipi di pressione. Quindi l’individuo è portatore di bisogni e l’ambiente è sede di pressioni che possono
essere di due tipi, alpha o beta:
— le pressioni alpha corrispondono alle caratteristiche fisiche e oggettive
della condizione ambientale;
— le pressioni beta corrispondono alla percezione che l’individuo ha delle
varie pressioni ambientali.
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Indagare la personalità di un individuo significa approfondire la sua biografia per coglierne le esperienze salienti e gli eventi. L’evento, inteso come
intreccio di bisogni e pressioni, è l’oggetto più reale, l’unità concreta di
analisi per il personologo, che può essere descritto e compreso attraverso
l’analisi tematica.
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Per «tema» Murray intende l’interazione tra bisogno, interno all’individuo, e pressione
ambientale. L’unità tematica dà significato e coerenza a gran parte del comportamento individuale: è una configurazione, in gran parte inconscia, di bisogni e pressioni che derivano dall’esperienza infantile.
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Per l’analisi dei temi personali, Murray crea un test proiettivo, ossia il
Test di Appercezione Tematica (TAT). L’appercezione è una distorsione
percettiva, perché per essa la nuova esperienza è assimilata e trasformata
dalle tracce di esperienze passate. Il Test è formato da 31 Tavole (10 Tavole
generali, 10 Tavole per uomini, 10 per donne, 1 bianca) in cui sono rappresentate scene di natura sociale, spesso con indicazioni morali. Le immagini
sono in bianco e nero e sembrano tratte da fotogrammi di vecchi film. Le
figure umane sono tutte espressive e manifestano stati d’animo diversi. La
consegna è quella di costruire dietro la presentazione di ogni Tavola una
storia in cui si devono indicare:
— la situazione rappresentata nell’immagine;
— i precedenti della storia;
— la conclusione di essa;
— i sentimenti e pensieri dei personaggi.
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È importante verificare, attraverso il colloquio clinico, se il tema delle
storie deriva dalle esperienze personali del soggetto, da esperienze di parenti o amici, da letture e interessi.
Trattandosi di un test che si attua mediante la «narrazione», esso mostra un richiamo diretto alla teoria psicoanalitica, anche se ne propone un’integrazione all’interno di un sistema teorico che faccia riferimento anche
alle influenze ambientali: Murray, molto attento ai contributi delle altre
scienze sociali (sociologia, antropologia, etnologia), ritiene che per analizzare la personalità «globale» sia necessario considerare l’influsso dei diversi processi di socializzazione sottesi alla formazione delle differenti personalità.
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2. TEORIE FATTORIALI (EYSENCK E CATTELL)
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A) La «teoria trifattoriale» (Eysenck)
Il tedesco Hans Eysenck (1916-1997) è lo studioso che ha maggiormente influenzato la moderna ricerca sulla personalità. Egli propone la sua
teoria come un sistema che tende a fornire una spiegazione esaustiva della
personalità globale e che cerca di formulare delle leggi generali che regolano lo sviluppo e il comportamento.
In contrasto con le teorie psicodinamiche e in particolare con quelle
psicoanalitiche, Eysenck considera la personalità come la somma totale degli
schemi di comportamento dichiarandosi nettamente ereditarista: le basi
genetiche influenzano circa il 60% del temperamento e l’80% dell’intelligenza.
Su questa ipotesi di fondo, egli elabora uno strumento di misura della
personalità partendo dall’individuazione di tre «superfattori»:
— l’estroversione-introversione;
— il nevroticismo;
— lo psicoticismo.
Il grado di introversione o estroversione è considerato una misura
dell’eccitabilità corticale che risulta dall’attività del sistema di attivazione
reticolare ascendente (che collega il talamo alla corteccia e regola il livello
di vigilanza), quindi è legato all’inibizione corticale.
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Gli introversi presentano un elevato livello interno di attivazione-eccitazione (arousal),
tendono ad evitare la stimolazione esterna, per scongiurare un eccesso di eccitazione. Invece,
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gli estroversi sono portatori di un basso livello di eccitazione, sono più inclini alla ricerca di
nuove o più intense stimolazioni esterne per preservare o realizzare un livello di stimolazione
per loro ottimale (l’inibizione corticale è più alta, quindi sono meno condizionabili).
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Il nevroticismo (o stabilità/instabilità emotiva) è stato posto in relazione con l’eccitazione autonomica, quindi con l’attivazione (activation) dell’attività svolta dal cervello viscerale che comprende l’ippocampo, l’amigdala, il setto, il cingolo e l’ipotalamo e che sta alla base della regolazione
della vita emotiva.
I due sistemi che stanno alla base dell’eccitazione corticale e dell’eccitazione autonomica non sono indipendenti, ma agiscono sinergicamente e
in varie combinazioni rispetto alle varie manifestazioni comportamentali.
Lo psicoticismo è un costrutto teorico piuttosto problematico. Sembrerebbe che in esso si raccolgono elementi di impulsività, ricerca di sensazioni,
asocialità, irresponsabilità, autonomia, aggressività. Inoltre include disturbi molto eterogenei (schizofrenia paranoidea, psicosi maniacodepressiva).
Al culmine dei suoi studi, Eysenck elabora l’Eysenck Personality Questionnaire (EPQ) che è il risultato di oltre venti anni di lavoro su diversi
questionari che analizzavano, in maniera sempre più valida, le dimensioni
di personalità indicate come:
— N (Nevroticismo)
— E (Estroversione)
— P (Psicoticismo)
È composto da 57 item a risposta dicotomica (sì/no) divisi in 4 scale:
— la scala N che descrive una dimensione di instabilità e labilità emotiva.
Un punteggio elevato indica una disposizione ad intense reazioni emozionali, che possono rappresentare un elemento di vulnerabilità;
— la scala E che descrive un continuum bipolare che ha per estremi il polo
dell’introversione e dell’estroversione;
— la scala P che descrive una dimensione di anticonformismo, asocialità,
disadattamento sociale e può includere aspetti di ostilità ed antisocialità;
— la scala L (di controllo) volta ad identificare risposte menzognere al
questionario (misura la desiderabilità sociale).
Si tratta di un test auto-somministrato. Il tempo di compilazione è di
circa dieci/quindici minuti. La somministrazione può essere individuale o
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collettiva. Attraverso delle griglie si ricavano quattro punteggi, uno per ciascuna scala: N, E, P, L.
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Un punteggio elevato nella scala N indica un’alta vulnerabilità a fronte di situazioni
emozionali anche moderatamente negative o stressanti. Implica che l’individuo ha un rischio
maggiore di altri di sviluppare disturbi emozionali (psicosomatici o nevrotici). Un punteggio
basso nella scala E indica che il soggetto presenta prevalentemente caratteristiche di introversione (è un individuo riservato tranne che con gli amici intimi, apprezza un modo di vita regolare e uniforme, non ricerca emozioni, diffida dell’impulso del momento, è riflessivo e tende al
pessimismo).
Un punteggio elevato indica invece caratteristiche di estroversione (desidera un rapporto
continuo con la gente, accetta volentieri i cambiamenti, ricerca emozioni, è spensierato ed
ottimista, tende ad agire impulsivamente). Un punteggio elevato alla scala P indica un tipo di
vulnerabilità a fronte di pressioni sociali che può condurre ad atteggiamenti e comportamenti
o francamente originali ed anticonformisti o di disadattamento e marginalità sociale. Un punteggio elevato nella scala L indica che il soggetto tende ad offrire un’immagine positiva di sé.
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B) L’approccio fattoriale di Raymond Cattell
Secondo Raymond Bernard Cattell (1905-1998), la personalità è ciò
che permette di predire quello che una persona farà in una data situazione.
Essa può essere descritta attraverso i tratti, cioè le strutture mentali dedotte
dall’osservazione del comportamento. Lo studio della personalità corrisponde alla ricerca e allo studio dei diversi tratti che la definiscono. Come Allport, Cattell propone una distinzione tra:
— tratti comuni, posseduti da tutti gli individui;
— tratti unici propri del singolo individuo;
— tratti superficiali (manifesti), relativi a gruppi di particolari manifestazioni;
— tratti originari che stanno alla base di particolari comportamenti (di quelli
superficiali);
— tratti temperamentali, relativi agli aspetti formali del comportamento;
— tratti dinamici relativi alle componenti motivazionali;
— tratti di abilità legati all’efficienza del comportamento.
Cattell è giunto ad individuare sedici fattori primari (corrispondenti a
tratti originari più profondi) e otto fattori secondari, soprattutto temperamentali, partendo da tre diverse fonti di dati:
— le valutazioni della vita reale (dati L);
— l’autovalutazione (dati Q);
— test obiettivi (dati T).
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Per spiegare gli aspetti dinamici della personalità, egli ha introdotto inoltre due concetti
importanti: quello di erg e metaerg, partendo da quello di RG, ossia disposizione psicofisica
innata. L’erg è un tratto costituzionale innato (base istintiva innata dell’individuo), ad esempio il sesso. Il metaerg è un tratto costituzionale dinamico, ossia l’erg plasmato nel corso dello
sviluppo dal fattore ambiente, come ad esempio gli atteggiamenti, i sentimenti e il sentimento
del Sé. L’obiettivo di Cattell è quello di giungere alla formulazione di un modello strutturale
e dinamico della personalità, in grado di rendere ragione degli aspetti descrittivi e motivazionali del comportamento umano.
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3. TEORIA DEI «BIG FIVE»
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Negli ultimi decenni si sono affermati prepotentemente alcuni modelli
accomunati dall’esigenza di integrare e di mediare tra l’operatività dei sistemi di valutazione della personalità provenienti dall’ambito clinico con
la complessità e articolazione di quelli di derivazione fattorialistica.
Tra i principali modelli integrati il più influente e attualmente utilizzato
è quello noto come «teoria dei Big Five» (i cui massimi esponenti sono
Paul T. Costa, Robert R. McCrae e Thomas A. Widiger). Si tratta di un
approccio tra i più condivisi e testati, sia a livello teorico che empirico. I
punti di partenza di questa teoria sono:
— l’analisi fattoriale proposta da Eysenck, che mira ad identificare le dimensioni che, come abbiamo visto, caratterizzano le differenze individuali attraverso analisi statistiche;
— l’approccio lessicale (cosiddetta «teoria della sedimentazione linguistica») proposto da Cattell, in cui il «vocabolario» della lingua comune
viene indicato come una sorta di deposito di elementi in grado di descrivere le differenze individuali.
Da queste linee teoriche di partenza McCrae e Costa postulano cinque
grandi dimensioni lineari (Big Five) di personalità: l’estroversione/introversione, la gradevolezza/ostilità, la coscienziosità, la stabilità/instabilità
emotiva e l’apertura all’esperienza. Le caratteristiche di questi macro-elementi della personalità sono così sintetizzabili:
— al fattore estroversione/introversione è possibile ricondurre caratteristiche come l’attività, la ricerca di stimoli e sensazioni, la predilezione
per la compagnia di altre persone, la socievolezza, l’ottimismo, l’energia nel primo caso e la riservatezza, la chiusura in se stessi nel secondo
caso;
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— il fattore gradevolezza/ostilità è legato a caratteristiche come fiducia
nell’altro, altruismo, schiettezza, scarsa aggressività, gentilezza, cordialità, ottimismo da un lato; astiosità, egoismo, superbia, indifferenza dall’altro lato;
— il fattore coscienziosità è legato a caratteristiche come il senso del dovere, l’autodisciplina, la puntualità, l’affidabilità, l’ordine, la precisione,
la perseveranza, la scrupolosità, la ponderatezza;
— il fattore stabilità/instabilità emotiva (indicata da Eysenck con il termine «nevroticismo») è legato a caratteristiche come stabilità, sicurezza, calma, tranquillità nel caso della stabilità; insicurezza, ansietà, vulnerabilità emotiva nel caso dell’instabilità;
— il quinto fattore è stato indicato come cultura o intelletto o apertura
all’esperienza per indicare creatività, originalità, curiosità intellettuale,
fantasia.
I cinque fattori rappresentano il punto di incontro delle strutture elaborate da numerosi modelli di misura dei tratti. Nel 1985 Costa e McCrae
hanno prodotto un questionario per la misura dei cinque fattori, il NEO-PI
(Neuroticism, Extroversion, Openness to Experience-Personality Inventory)
e lo hanno confrontato con successo con i principali questionari di personalità.
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Il successo e l’attendibilità della teoria dei Big Five ne hanno determinato l’utilizzo anche
ai fini della valutazione della personalità nei contesti organizzativi. La validità dello strumento di misura basato su questa teoria è confermata dal fatto che essa è una sintesi di vari
strumenti di misura. Esso inoltre è facile da applicare anche al di fuori dell’ambito di ricerca
teorica, per la semplicità concettuale nell’elaborazione delle cinque dimensioni lineari.
La valutazione della personalità attraverso il modello dei Big Five può avvenire mediante
la compilazione da parte del soggetto di un questionario (strutturato attraverso una Scala
Likert), oppure mediante la valutazione della condotta in un contesto di simulazione.
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