Espropriazione
Concordamento dell'indennità di espropriazione e relativo decreto
Le Sezioni Unite della Cassazione, in materia di espropriazione, statuiscono che l'indennità
spettante al proprietario di un immobile espropriato e trasformato irreversibilmente non può
intendersi rinunziata attraverso un verbale di concordamento dell'indennità in tutte le ipotesi in cui
la tardiva emissione del decreto di esproprio ha reso tale verbale privo di efficacia.
Serena Massera, Ventiquattrore Avvocato, Il Sole 24 Ore, 1° luglio 2009, n. 7, p. 98
La QUESTIONE
Nell'ipotesi di decreto di esproprio tardivo - quando peraltro sia già intervenuta la trasformazione
irreversibile dell'area -, la presenza di un c.d. verbale di “concordamento” dell'indennità tra il
proprietario dell'area e l'autorità espropriante, fa venire comunque meno il diritto alle somme
spettanti a titolo di indennità?
LA MASSIMA
Cassazione civ., Sezioni Unite, 24 marzo 2009, n. 7035
In tema di espropriazione, alla domanda proposta dal proprietario di un immobile trasformato
irreversibilmente, diretta al pagamento delle indennità per il periodo di occupazione legittima dello
stesso immobile, non può opporsi la pretesa rinuncia al suo pagamento contenuta in un verbale in
cui sono state concordate le indennità di espropriazione, tutte le volte in cui detto verbale sia
divenuto inefficace per la tardiva emissione del decreto di esproprio assunto a sua condizione.
L'INTRODUZIONE
Con la pronuncia n. 7035 del 24 marzo 2009, le Sezioni Unite civili, pur tralasciando di compiere
un'approfondita disamina della complessa materia delle espropriazioni e delle sue implicazioni e
compenetrazioni tra diritto civile e diritto amministrativo, dopo aver brevemente fatto cenno ai
profili di giurisdizione e aver puntualizzato alcuni aspetti specifici, enunciano un principio di diritto
sintetico ma al contempo fondamentale. Ossia, premesso che, presupposto dei verbali di
concordamento delle indennità spettanti al soggetto espropriato per il caso dell'espropriazione di
un bene di sua proprietà è la regolare emissione del decreto di esproprio, non può invocarsi una
pretesa rinuncia al pagamento delle suddette indennità per il periodo di legittima occupazione
dell'immobile quando la tardiva emissione del decreto di esproprio abbia conseguentemente fatto
cadere uno dei presupposti dell'intervenuto accordo negoziale, o, se si preferisce, a contrario, non
può riconoscersi al verbale summenzionato - in assenza del tempestivo decreto di esproprio effetto abdicativo del diritto di agire per il conseguimento dell'indennità da occupazione legittima.
LE NORME
- Costituzione
- Artt. 3, 42 e 111
- D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. Espropriazioni)
- D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, convertito nella legge 26 febbraio 2007, n. 17
- Art. 3, comma 3
- Legge 8 agosto 1992, n. 359
- Art. 9, comma 2
- Codice civile
- Art. 834
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LA FATTISPECIE
Espropriazione per pubblica utilità, occupazione acquisitiva, occupazione usurpativa,
occupazione d'urgenza
La materia espropriativa solleva, da sempre, rilevanti problemi interpretativi e applicativi,
qualunque sia il profilo che di volta in volta ci si propone di esaminare.
Partendo dalla premessa secondo cui il diritto di proprietà del singolo è costituzionalmente
garantito; che, di conseguenza, anche le eventuali limitazioni ammissibili rispetto a tale diritto
devono essere costituzionalmente previste; che le limitazioni consentite, in ogni caso, sono sempre
indennizzabili, appare utile, in questa sede, richiamare brevemente alcuni concetti.
Procedimento espropriativo
In via generale, l'espropriazione è quel procedimento ablatorio che, per esigenze di pubblico
interesse, consente a una pubblica amministrazione o a un suo concessionario di conseguire
coattivamente la proprietà di un bene appartenente a un soggetto privato. Ciò avviene mediante
un provvedimento espresso, un articolato iter e il pagamento di un indennizzo al privato
espropriato il cui interesse, nel bilanciamento con il superiore interesse pubblico, è stato
sacrificato.
La disciplina normativa, un tempo estremamente frastagliata e stratificata, è oggi rinvenibile,
fondamentalmente, nel Testo Unico di cui al D.P.R. n. 327/2001, e nella Carta Costituzionale (ove è
contenuto, in particolare, il fondamento legittimante di tale procedimento autoritativo: l'art. 42,
comma 3), anche se un ruolo più che mai decisivo deve essere riconosciuto alla giurisprudenza del
Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione.
Imperativi, in materia, sono i principi secondo cui l'espropriazione di beni appartenenti ai privati è
ammessa soltanto nei casi previsti dalla legge e nel rispetto delle procedure determinate dalle
leggi; inoltre, deve essere assicurata al proprietario espropriato una somma di denaro (anch'essa
determinata secondo criteri legali) a compensazione del sacrificio subìto.
Il procedimento de quo si articola in una serie di fasi, tra cui le più rilevanti sono rappresentate da:
la sottoposizione del bene al vincolo preordinato all'esproprio, la dichiarazione di pubblica utilità, la
determinazione provvisoria dell'indennità, il decreto di esproprio; quest'ultimo, deve essere
adottato entro cinque anni dalla dichiarazione di pubblica utilità.
In estrema sintesi può affermarsi che, tutte le volte in cui il procedimento di espropriazione di un
bene non si concluda con il trasferimento dello stesso, attraverso il decreto di espropriazione o con
una cessione volontaria, si verifica una situazione di illegittimità.
Occupazione acquisitiva, usurpativa e d'urgenza
Può accadere che il citato iter difetti di alcune delle fasi che lo caratterizzano. In particolare, la
realizzazione di un'opera pubblica potrebbe essere stata compiuta in assenza di una valida
dichiarazione di pubblica utilità - vuoi perché del tutto mancante, vuoi perché illegittima; oppure,
l'opera pubblica potrebbe essere stata realizzata senza il rispetto della procedura,ma in presenza di
un valido provvedimento formale di dichiarazione di pubblica utilità e in conformità dello stesso,
compiendosi, dunque, in tale seconda ipotesi, una espropriazione per così dire “sostanziale” che,
seppur nascente da un illecito della P.A., conduce alla trasformazione irreversibile del bene e alla
realizzazione dell'opera pubblica.
Nel primo caso, si parla di occupazione usurpativa, nel secondo di occupazione acquisitiva.
La nota sentenza della Corte costituzionale, n. 204/2004, ha poi ulteriormente distinto fra
occupazione usurpativa per così dire “pura” - ossia determinata dalla completa assenza di una
dichiarazione di p.u. - e occupazione usurpativa “spuria” - in cui il titolo che legittimava la
procedura espropriativa sia stato ritirato o annullato.
L'occupazione d'urgenza, invece, è, in linea di massima, consentita soltanto in casi eccezionali (ad
esempio quando si debbano realizzare infrastrutture o insediamenti strategici, o quando la
procedura investa più di cinquanta espropriandi, o ancora, de residuo, quando appunto l'avvio dei
lavori richieda una speciale urgenza) e prevede che l'autorità espropriante - manifestata una
rigorosa motivazione che giustifichi la deroga alla procedura ordinaria e renda indispensabile invece
il ricorso a quella d'urgenza - determini l'indennità provvisoria e adotti un decreto di occupazione,
ossia un atto autorizzativo con il quale procede all'occupazione stessa e che anticipa gli effetti del
decreto finale di esproprio.Nella prassi, per la verità, si è di frequente assistito all'occupazione di
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aree a prescindere dall'emissione di decreti autorizzatori, in situazioni non esattamente
corrispondenti a quelle che giustificano un provvedimento di urgenza, alla realizzazione dell'opera
pubblica in carenza dei presupposti legittimanti. A tale istituto si estendono, sostanzialmente, le
considerazioni e le regole valide per l'occupazione acquisitiva.
Alcune tesi interpretative avvicinano la figura dell'occupazione acquisitiva alla c.d. accessione
invertita ex art. 938 del Codice civile: scaduti i termini entro cui doveva essere ultimata la
procedura espropriativa, se il terreno su cui l'opera doveva essere realizzata risulti ormai
irreversibilmente trasformato, e se il decreto di esproprio non è stato emesso, l'autorità
espropriante acquisterebbe la proprietà dello stesso; di conseguenza, il proprietario espropriato
avrebbe diritto a ottenere il risarcimento del danno subìto.
In realtà, la ricostruzione in termini di accessione invertita, oltre che apparire errata - molte
essendo le differenze strutturali tra le due figure (tra cui, ad esempio, il fatto che l'occupazione
acquisitiva prescinde dalla volontà contraria del proprietario-espropriato,mentre l'accessione
invertita ne presuppone l'inerzia; nell'occupazione acquisitiva, inoltre, il trasferimento di proprietà
consegue all'irreversibilità della trasformazione del bene, mentre nell'accessione invertita esso
dipende da un provvedimento giudiziario) - non convince, poiché non è certamente possibile
spingersi a legittimare, in virtù dell'applicazione analogica del suddetto istituto civilistico, il
passaggio dalla proprietà privata alla proprietà pubblica del terreno su cui deve realizzarsi un'opera
pubblica, pur in assenza di un corretto procedimento espropriativo, in quanto ammettendo ciò si
violerebbe il principio di legalità.
D'altro canto, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha fortemente criticato tale orientamento
giurisprudenziale italiano, imponendo, al contrario, che l'espropriante emetta, quantomeno, un
legittimo provvedimento amministrativo di acquisizione coattiva sanante (oggi previsto
espressamente dall'art. 43 del citato T.U.).
Occorre anche sottolineare che la materiale realizzazione dell'opera pubblica non è, di per sé,
sufficiente a determinare l'occupazione appropriativa, persino nell'ipotesi di irreversibile
trasformazione del bene espropriato. Irreversibile trasformazione che, per inciso, la Cassazione
qualifica come illecito istantaneo con effetti permanenti.
Altra tesi ricostruttiva individua, invece, nella proposizione della richiesta di risarcimento danni da
parte del privato una sorta di rinunzia implicita all'esercizio del proprio diritto di proprietà, a favore
della P.A. che abbia occupato il bene, con applicazione analogica dell'art. 1070 del Codice civile
(abbandono del fondo servente).
Giurisdizione e tutela del privato
Le Sezioni Unite non mancano di far menzione del profilo attinente alla giurisdizione, che è stato
oggetto, nella materia di cui ci si occupa, di un acceso dibattito giurisprudenziale.
Senza entrare nel merito dell'annosa e complessa disputa, è sufficiente tener conto come,
attualmente, risulti pacifico che la materia delle espropriazioni sia attratta nella giurisdizione
esclusiva del Giudice amministrativo e che tale giurisdizione si estenda anche alle questioni
conseguenti alle ipotesi di occupazione acquisitiva.
Residuano all'Autorità giudiziaria ordinaria soltanto le ipotesi dei comportamenti e dell'attività
materiale completamente avulsi da un provvedimento formale; ad esempio, qualora manchi del
tutto, ab origine, una dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
Di talché, nei casi di occupazione acquisitiva - tutte le volte in cui non venga in rilievo un problema
di annullamento degli atti della procedura espropriativa - e, a fortiori, per le controversie in tema di
occupazione usurpativa, non ponendosi la necessità di un sindacato sull'esercizio del potere
amministrativo, ben può il Giudice ordinario esercitare la propria giurisdizione. Ciò, soprattutto, se
la controversia portata alla sua attenzione sia limitata, come nella situazione esaminata dalla
sentenza in commento, al diritto all'indennità.
Nei casi di occupazione acquisitiva, peraltro, si distingue a seconda che si sia verificata o meno la
trasformazione irreversibile del bene: se è avvenuto, il rimedio accordato al proprietarioespropriato è quello del risarcimento del danno; in caso contrario, il privato può agire in via
petitoria o possessoria al fine di ottenere la restituzione del bene.
Decisiva in tal senso è stata la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 1464/1983,
laddove ha sancito che, quando il bene occupato sia stato radicalmente modificato e sia scaduto il
termine di occupazione legittima senza che nel frattempo sia intervenuto il decreto di esproprio, si
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realizzano l'acquisizione del bene in capo alla P.A., da una parte, e il sorgere del diritto del
proprietario-espropriato al risarcimento, dall'altra.
Indennità di occupazione e verbale di concordamento
Il caso sottostante la questione rimessa alle Sezioni Unite si caratterizza proprio come
un'occupazione acquisitiva, a seguito della mancata emissione nei termini del decreto di esproprio
in relazione al terreno occupato in via d'urgenza e della conseguente irreversibile trasformazione
del bene.
Il privato che finisce per soccombere di fronte a un provvedimento coattivo di esproprio deve, per
legge, ottenere un indennizzo.
Nel caso di specie, il proprietario-espropriato era addivenuto a un c.d. atto di concordamento, ossia
un accordo negoziale con cui si dispone in relazione alle indennità.
Tuttavia la regolare conclusione del procedimento - che prevede la tempestiva emissione del
decreto di esproprio entro cinque anni dalla avvenuta dichiarazione di pubblica utilità - è, persino a
prescindere da una formale esplicitazione in tal senso, condizione di efficacia dell'eventuale atto
volto a concordare l'indennità di espropriazione dovuta.Anche in assenza di enunciazione
contrattuale, dicevamo, se si considera che l'emissione del decreto di esproprio è condizione
prevista tassativamente dalla legge per la regolarità della procedura espropriativa, dunque
elemento presupposto e imprescindibile che assume valenza giuridica in quanto tale e che,
pertanto, determina il contenuto stesso dell'accordo e sorregge l'equilibrio economico del
medesimo.
Se viene a mancare il presupposto che ha dato origine al verbale di concordamento e alla relativa
contrattazione - il tempestivo decreto di esproprio - viene conseguentemente a perdere di efficacia
il verbale medesimo, e dunque il complessivo assetto negoziale con esso disciplinato.
Le Sezioni Unite pervengono a una importante conclusione: che è giuridicamente irrilevante - dal
punto di vista del diritto di proprietà e delle conseguenze che lo coinvolgono - l'emissione del
decreto di esproprio successivamente alla scadenza dell'occupazione legittima, da una parte in
ragione dell'impossibilità di trasferire ciò che è già entrato nella sfera patrimoniale
dell'espropriante, dall'altra in ragione dell'irreversibile trasformazione del bene intervenuta medio
tempore, per cui tale decreto costituisce un atto inutile.
Non solo. Con la pronuncia in commento, la Cassazione chiarisce che l'assetto negoziale delineato
attraverso i verbali di concordamento delle indennità di esproprio ha una sua ragion d'essere se e
in quanto la procedura, di cui l'emissione del decreto di esproprio costituisce elemento
imprescindibile, sia svolta regolarmente. Venendo meno tale elemento, l'accordo risulta privo del
fondamento su cui si regge e destituito di ogni ragionevolezza. Per tale motivo, il verbale di
concordamento viene a caducarsi ed è inefficace tra le parti.
Peraltro, diversamente ragionando, il privato risulterebbe, inaccettabilmente, del tutto privo di
tutela e il suo diritto di proprietà eccessivamente compresso.
Proroga dei termini di scadenza delle occupazioni d'urgenza ed efficacia retroattiva del
verbale di concordamento
La possibilità di proroga ex lege dei termini di scadenza delle occupazioni d'urgenza, di cui alla
legge 8 agosto 1992, n. 359, era stata prevista dal Legislatore nell'attesa di approvare la nuova
disciplina delle indennità di esproprio e per “tamponare” i ritardi delle amministrazioni.
Viene esclusa, però, l'applicazione di tale disciplina nel caso di quelle occupazioni per le quali sia
già decorso il termine nel momento di entrata in vigore della legge e, secondo quanto affermato in
giurisprudenza, nel caso in cui si sia verificata l'irreversibile trasformazione del bene occupato e la
conseguente acquisizione dello stesso in capo all'espropriante.
L'art. 3, comma 3, del D.L. n. 300/2006, inoltre, prevedeva la conservazione di efficacia degli
eventuali verbali di concordamento e di rinuncia a qualunque pretesa connessa alla procedura di
esproprio, «a prescindere dall'emanazione del decreto di esproprio».
Su tali basi, sulla presunta proroga retroattiva dell'occupazione e sull'esistenza di un verbale di
concordamento - in virtù del quale l'espropriato rinunciava all'indennità spettantegli per l'avvenuta
occupazione legittima -, l'amministrazione convenuta in giudizio negava il diritto del soggetto
espropriato alla suddetta indennità e ad agire in giudizio;per contro, il privato espropriato riteneva
che, scaduti i termini dell'occupazione legittima senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio,
perduta la proprietà dei terreni a causa dell'irreversibile trasformazione degli stessi, fossero da
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ritenere inefficaci innanzitutto il verbale di concordamento e, in secondo luogo, le proroghe
legislative dell'occupazione, successivamente intervenute; contestava, infine, la possibile
reviviscenza degli effetti dell'accettazione dell'indennità offerta e della rinuncia a ulteriori azioni
indennitarie contenute nel verbale.
A tal riguardo, la sentenza in commento tiene conto dei giudizi di legittimità costituzionale sollevati
rispetto all'art. 3, comma 3 del D.L. n. 300/2006, per violazione dell'art. 3, secondo comma,
dell'art. 42, secondo e terzo comma, dell'art. 111, primo e secondo comma, Cost., nonché per
violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali e dell'art. 6, primo comma, della Convenzione medesima.
In particolare, fa propri i principi espressi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29/2009, la
quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 3,cit.
Secondo la Corte, il proprietario-espropriato decide di concordare l'indennità a seguito di una
valutazione di convenienza che va riferita a quel momento specifico della procedura e che
comporta anche l'eventuale inefficacia di quanto concordato qualora la procedura non sia
regolarmente conclusa nei termini; pertanto, la norma censurata è illegittima poiché viola
l'equilibrio sinallagmatico del negozio e si pone in contrasto con il principio di affidamento
ingenerato nel privato.
L'eventualità che un simile accordo possa considerarsi valido ed efficace anche oltre la scadenza
dei termini per la conclusione della procedura espropriativa dovrebbe, semmai, essere prevista
dalla legge al momento dell'incontro delle volontà tra le parti e non può di certo essere imposta con
effetto retroattivo da una norma successiva.
LA GIURISPRUDENZA
Nella ricostruzione di una materia tanto complessa e per certi versi disomogenea, qual è quella
delle espropriazioni per pubblica utilità, di fondamentale importanza è stato l'apporto della
giurisprudenza e, tra questa, anche quello della Corte Costituzionale e della Corte europea dei
diritti dell'uomo;queste ultime, infatti,hanno avuto il pregio - al di là delle soluzioni interpretative
della singola specifica questione - di fissare dei principi generali e imperativi su profili fondamentali.
La stessa sentenza in commento mostra di aver recepito tali principi, oltre agli arresti della
giurisprudenza della Cassazione.
PROROGA DEI TERMINI RELATIVI ALL'OCCUPAZIONE D'URGENZA
(ART. 9 D.LGS.N. 354/1999)
Cassazione civ., Sez. I, 9 febbraio 2009, n. 3225
In tema di espropriazione per la realizzazione degli interventi di cui al titolo VIII della legge n. 219
del 1981, l'art. 9 D.Lgs. 20 settembre 1999 n. 354, ai fini del completamento delle procedure di
espropriazione in corso, ha disposto la proroga biennale dei termini relativi alle occupazioni
d'urgenza in modo incondizionato, prescindendo dalla legittimità, o meno dell'occupazione al tempo
della sua entrata in vigore, con l'unico limite che il procedimento espropriativo sia ancora in corso
alla stessa data. (Giust. civ.Mass., 2009, 2)
Cassazione civ., Sez. I, 25 gennaio 2005, n. 7544
In tema di attuazione dei procedimenti espropriativi per la realizzazione degli interventi di cui al
titolo ottavo legge 14 maggio 1981 n. 219, l'art. 9 D.Lgs. 20 settembre 1999, che proroga i termini
relativi alle occupazioni d'urgenza, se prescinde dalla legittimità o illegittimità dell'occupazione al
tempo della sua entrata in vigore, riguarda comunque solo i procedimenti espropriativi che siano in
corso alla stessa data; ne deriva che la norma può valere a restituire legittimità a occupazioni
divenute inefficaci o illegittime solo se l'obiettivo di recupero della procedura espropriativa costituente la ratio dichiarata della norma - sia conseguibile per non essersi già perfezionato il fatto
(illecito) acquisitivo per effetto del concorrere dell'illegittimità dell'occupazione e dell'irreversibile
trasformazione del fondo. (Giust. civ.Mass., 2005, 4)
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OCCUPAZIONE
D'ESPROPRIO
D'URGENZA,OCCUPAZIONE
APPROPRIATIVA
E
DECRETO
TARDIVO
Cassazione civ., Sez. I, 30 gennaio 2009, n. 2437
La tardiva emissione del decreto di espropriazione non incide sulla legittimità dell'occupazione
preespropriativa, disposta e intervenuta in costanza di una valida dichiarazione di pubblica utilità,
con la conseguenza che in detta ipotesi non viene meno il diritto del proprietario del bene occupato
ed eventualmente anche irreversibilmente trasformato all'indennità di occupazione legittima e,
dunque, la possibilità di agire per la relativa determinazione. (Giust. civ.Mass., 2009, 1)
Corte Costituzionale 30 gennaio 2009, n. 24
È dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 3, del D.L. 28 dicembre 2006, n. 300,
conv., con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007 n. 17, la quale dispone che «i verbali di
concordamento dell'indennità di espropriazione e di rinuncia a qualunque pretesa connessa alla
procedura di esproprio, relativi alla realizzazione degli interventi di cui al titolo VIII della legge 14
maggio 1981 n. 219, conservano la loro efficacia indipendentemente dall'emanazione del decreto di
espropriazione». La norma censurata ha natura innovativa e non interpretativa. La sua portata
precettiva non è compatibile, come possibile opzione interpretativa, con la disciplina previgente che
deponeva, al contrario, nel senso dell'inefficacia dell'accordo, se non fosse tempestivamente
emanato il decreto di esproprio. Essa agisce quindi su situazioni in cui si è consolidato l'affidamento
del privato riguardo alla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando una disciplina con esso
in contrasto e creando uno sbilanciamento a favore di una parte - quella pubblica o del privato
assuntore
dell'opera,
comunque
tenuto
a
sopportare
le
conseguenze
economiche
dell'espropriazione - e a svantaggio del proprietario. (Redazione Giuffrè, 2009)
T.A.R. Lazio, Roma, II Sez., 14 gennaio 2009, n. 162
Il decreto di esproprio emesso tardivamente non è in grado di sanare ex post la condotta illecita
dell'amministrazione resistente.
Cassazione civ., Sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25983
In tema di espropriazione per pubblica utilità, una volta scaduto il periodo di occupazione legittima,
l'ingerenza dell'Amministrazione nella proprietà, essendo caratterizzata dal protrarsi sine die della
detenzione fino al perdurare della situazione contra ius e, quindi, dalla compressione, rinnovatesi di
momento in momento, delle principali facoltà di godimento e di disposizione del diritto dominicale
sull'immobile appreso, costituisce un fatto illecito permanente, in cui il danno da mancato
godimento dei frutti naturali dell'immobile si protrae nel tempo, a partire dall'iniziale apprensione
del bene. Pertanto, è in ogni momento che sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del
danno già verificatosi, e inizia a decorrere il relativo termine di prescrizione quinquennale di cui
all'art. 2947 c.c., con la conseguenza che il diritto stesso si prescrive per il periodo anteriore al
quinquennio dalla domanda giudiziale o dall'atto di messa in mora, pur se i frutti vengano richiesti
secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al
valore venale dell'immobile. (Giust. civ.Mass., 2008, 10)
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30 luglio 2007, n. 9
La giurisdizione è del giudice amministrativo con riferimento alla domanda risarcitoria proposta
dalla ricorrente conseguente all'ipotesi ricondotta nella c.d. “occupazione acquisitiva”, pur quando
l'irreversibile trasformazione del terreno è avvenuta nel periodo di occupazione legittima.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 marzo 2004, n. 950
In assenza di un formale (e legittimo) provvedimento d'acquisizione dell'area non può esser
preclusa la restituzione del bene al privato, che non è preclusa nemmeno dall'avvenuta
realizzazione dell'opera pubblica.
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 30 maggio 2000, n. 31524
L'accessione invertita, anche nella forma dell'occupazione acquisitiva, non rispetta i princìpi di
legalità e certezza, e impedisce di mantenere un giusto equilibrio fra la salvaguardia del diritto di
proprietà e l'interesse pubblico.
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LA DOTTRINA
Per approfondimenti dottrinali
- CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, II, Giuffrè, 2005;
- CENTOFANTI, «I termini delle occupazioni d'urgenza. Proroghe legislative e problemi
interpretativi», in Rivista amministrativa italiana, 1990, II;
- GAMBARO, «L'occupazione acquisitiva e i dialoghi tra i formanti», in Foro it., V, 1993;
- GIOIA, «L'occupazione appropriativa compete al giudice amministrativo», in Danno e
responsabilità, Ipsoa, 2008, n. 4;
- LIPARI, «Occupazione acquisitiva», in Temi di diritto amministrativo, a cura di CHIEPPA, Milano,
2005;
- VOLPE, Le espropriazioni amministrative senza potere, Cedam, 1996.
LECONCLUSIONI
In conclusione, è opportuno rilevare che la Suprema Corte chiarisce, pur senza operare
un'esaustiva ricostruzione sistematica, la questione giuridica sollevata. Sembra, però, per così dire
“persa” l'occasione per offrire alcune precisazioni, anche solo definitorie, delle tematiche coinvolte.
La Corte avrebbe forse potuto approfondire la natura, la ratio e la prassi dei verbali di
concordamento delle indennità di esproprio; ancora, avrebbe potuto meglio argomentare in merito
alla non retroattività dei suddetti verbali e al non coinvolgimento, in ogni caso, dell'indennità di
occupazione. Resta integro comunque il principio di diritto espresso, il quale, pur nella sua
essenzialità, risulta quanto mai chiaro e non suscettibile di fraintendimento o ulteriore
interpretazione.
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