Le nostre domande a 23andMe

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Le nostre domande a 23andMe
1. I test del DNA proposti direttamente ai consumatori suscitano molte critiche: la
stragrande maggioranza dei genetisti sostiene che, per la loro complessità e il
loro possibile impatto, le informazioni che ne scaturiscono dovrebbero essere
accompagnate da una consulenza che permetta di meglio interpretarle. Sono
argomenti che voi ignorate: perché?
2. Nel vostro marketing puntate molto sulla salute e in particolare sulla necessità
di conoscere i propri rischi: si tratta però delle informazioni meno attendibili
dal vostro test, anche perché il ruolo della genetica tra le 122 malattie
indagate varia in modo sostanziale. Si tratta perciò di una politica
commerciale che sfiora la pubblicità abusiva. Perché lo fate?
3. In Svizzera un test come il vostro necessità di un’approvazione da parte delle
autorità. Nell’ambito del depistaggio, in particolare, simili test sono autorizzati
solo se esistono un trattamento precoce o misure profilattiche; se è provato
che il metodo di analisi fornisce risultati affidabili; se viene offerta una
consulenza genetica adeguata. Il test di 23andMe non rispetta nessuna di
queste condizioni eppure fornite kit e risultati senza la minima avvertenza.
Siete coscienti di violare la legge svizzera? Perché lo fate?
4. La messa a giorno degli studi su cui si basano le valutazioni dei rischi non è
sempre tempestiva e questo in un settore come la genetica, in cui l’evoluzione
delle conoscenze è estremamente rapida. Può essere problematico; inoltre
spetta al consumatore verificare eventuali cambiamenti, che potrebbero
anche modificare i suoi risultati: non ritenete di dover migliorare questo
servizio?
5. 23andMe afferma di voler dare il proprio contributo alla ricerca e ai clienti
chiede perciò di permettere l’utilizzazione dei dati emersi dall’analisi del loro
DNA a questo scopo. Età a parte 23andMe non approfondisce però nessuno
di quegli aspetti personali che hanno un’influenza riconosciuta e significativa
sulla salute delle persone (antecedenti famigliari, peso, abitudini alimentari,
fumo, attività fisica). Com’è possibile in questo modo dare un contributo reale
alla ricerca?
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