Sessualità e organizzazione sociale. Il femminismo materialista di

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Sessualità e organizzazione sociale. Il femminismo materialista di Paola Tabet
Mercoledì 24 Settembre 2014 17:04
di Valeria Ribeiro Corossacz da MicroMega del 23/9/2014 - "Le dita tagliate", dell'antropologa
Paola Tabet, offre finalmente una sintesi unitaria dell'originale lavoro di una studiosa italiana
ancora poco conosciuta in Italia. Un'analisi “femminista materialista”, focalizzata sulla nozione
di “scambio sessuo-economico” come norma dei rapporti sociali fra i sessi. La pubblicazione del
volume Le dita tagliate di Paola Tabet (Ediesse, 2014, pp. 324, euro 15,00) ha due grandi pregi.
Presentare in modo coordinato e unitario il lavoro di Tabet sulle relazioni sociali tra i sessi
(l’altro suo campo di ricerca è il razzismo, con la pubblicazione di La pelle giusta, 1998), e
colmare un grave vuoto, ovvero l’assenza di versioni in lingua italiana di due dei suoi testi più
noti e importanti, Le mani, gli utensili, le armi (1979) e Fertilità naturale, riproduzione forzata
(1985) pubblicati originariamente in francese.
Pur trattandosi di una studiosa italiana che ha
insegnato nell’università italiana, il suo lavoro sulle relazioni sociali tra i sessi ha trovato poco
spazio di circolazione sia all’interno dell’antropologia sia nei dibattiti femministi italiani negli anni
in cui è stato pubblicato. Diversi gli elementi che hanno contribuito a questa invisibilità, tra cui le
resistenze androcentriche interne all’antropologia e il radicamento di altre prospettive
femministe.
È invece attorno al gruppo della rivista Questions féministes che trova spazio la sua analisi
femminista materialista del dominio maschile sulle donne. Il termine marxiano di materialismo è
ripreso e riarticolato da questa corrente del femminismo per proporre un’analisi focalizzata sui
rapporti materiali tra uomini e donne e su come essi siano trasformati in rapporti di senso che
intendono giustificare i rapporti di dominio in quanto naturali (sul femminismo materialista
francofono si veda l’antologia introduttiva Non si nasce donna, a cura di Garbagnoli e Perilli,
2013, Alegre).
La caratteristica dell’opera di Tabet, infatti, è di iscriversi all’interno degli studi etnologici e al
contempo di proporre un’analisi femminista delle ineguaglianze tra uomini e donne e di come
queste siano l’esito di una pratica diffusa e diversificata, a seconda delle epoche storiche e
delle società, del dominio degli uomini sulle donne. In questo modo il lavoro di Tabet non
rimane circoscritto all’ambito disciplinare, in cui rappresenta una tappa fondamentale nella
decostruzione dell’androcentrismo, ma usa l’antropologia come un sapere alla portata di tutti
che permette di comprendere le relazioni sociali tra i sessi in cui siamo immerse.
La pubblicazione di Le dita tagliate ha dunque il merito di presentare in modo asciutto e
accessibile a un pubblico non accademico le tre tappe del lavoro di Tabet: la divisione sessuale
del lavoro e il ruolo che in essa ha l’uso degli strumenti, in modo generale l’accesso
differenziato tra uomini e donne alla tecnologia propria di ciascuna società e i suoi effetti sulla
vita delle donne; la situazione delle donne in riferimento alla riproduzione umana, definita non
come attività naturale, ma come lavoro; lo scambio sessuo-economico, ovvero il continuum di
relazioni sociali tra uomini e donne che implicano una transazione economica, in cui è sempre
la sessualità delle donne ad essere scambiata dietro un compenso o retribuzione di varia natura
(dal denaro alla rispettabilità del matrimonio).
Il libro cuce insieme questi tre momenti della dominazione maschile delle donne: il fatto che le
donne siano escluse dagli uomini dalla possibilità di esercitare le stesse attività lavorative e con
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gli stessi strumenti è in correlazione con il loro confinamento sociale nell’attività riproduttiva,
producendo la falsa sovrapposizione meccanica tra donne e capacità riproduttive e cura della
prole. Tabet ci ricorda come la riproduzione negli esseri umani non è un evento esterno alle
relazioni sociali, ma al contrario determinato da esse, a partire dall’eterosessualità vista come
sistema sociale imposto. La messa a lavoro delle donne in quanto riproduttrici non è dunque
semplicemente riferita al lavoro che le donne compiono nel riprodurre la vita sociale (lavoro
domestico e di cura), ma è precedente, poiché si realizza attraverso l’addomesticazione della
sessualità delle donne incanalata verso una modalità esclusivamente riproduttiva, a fronte di
una sessualità umana di per sé polimorfa.
L’interesse per l’organizzazione sociale della sessualità, ovvero la sessualità vista dentro i
rapporti sociali tra i sessi, è il ponte che tiene insieme l’analisi della riproduzione come lavoro e
della sessualità come lavoro. Tabet infatti nota come la sessualità femminile sia “assoggettata
al servizio sia della volontà di procreazione sia del piacere maschile”, creando due sessualità
femminili, riproduttiva e non riproduttiva, in realtà complementari. La definizione di prostituta,
come direbbe Gail Pheterson lo “stigma della puttana”, è applicata dunque a tutte quelle donne,
in paesi e epoche diverse, che svelano le regole del gioco (senza dunque trasformarle),
passando da oggetto dello scambio sessuo-economico, a soggetto di esso. Altri ponti collegano
le diverse parti del libro, aiutandoci a comprendere come si produce la violenza maschile contro
le donne, e quante forme possa assumere, da cui il titolo Le dita tagliate, un riferimento alla
violenza materiale che le donne subiscono anche quando, pur conservando l’integrità del
proprio corpo, non possono usarlo.
È possibile riconoscere punti di contatto tra alcuni aspetti del lavoro di Tabet e le analisi che,
circa negli stessi anni, portavano avanti Leopoldina Fortunati e Silvia Federici, anche esse
rimaste poco citate nei dibattiti italiani (così come Tabet, anche Federici viene pubblicata in
italiano recentemente). La famiglia e la prostituzione sono considerate da queste autrici come
due nuclei di relazioni in cui le donne producono lavoro sessuale, in quello che appunto Tabet
definisce come il continuum di scambi sessuo-economici.
La pubblicazione de Le dita tagliate avviene in un momento di trasformazione all’interno dei
dibattiti femministi italiani, e forse non è un caso che ad accogliere questo testo sia la collana
Razzismo&Sessismo dell’Ediesse, che dà spazio a una produzione diversificata di approcci
femministi ai temi del sessismo, del razzismo, della (post)colonialità, delle migrazioni e del
lesbismo. Accanto alle produzioni vicine alla teoria della differenza sessuale, che per lungo
tempo hanno predominato nel panorama italiano, oggi sembra esserci maggior spazio e
visibilità per altre produzioni femministe, lesbiche, queer e trans sui rapporti tra i sessi e su
come essi si producano dentro e attraverso le logiche del capitalismo neoliberista, del
classismo e del razzismo.
Queste trasformazioni negli equilibri tra dibattiti femministi, non tanto nelle pratiche relazioni che
sono sempre state più complesse di quanto il mercato editoriale potesse far emergere, hanno in
parte contribuito a un’apertura verso la ricezione in Italia del lavoro di Tabet al di fuori di ristretti
circuiti di antropologhe e femministe. Con le Le dita tagliate oggi è possibile avere una visione
di insieme dell’analisi di Tabet sui rapporti sociali tra i sessi utile per comprendere lotte,
resistenze e cambiamenti operati dalle donne, e le persistenti reazioni per riprodurre il dominio
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