Live cases dall`Ospedale San Raffaele di Milano

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Venerdì 30 ottobre 2015
Live cases dall’Ospedale San Raffaele
di Milano
Sala Grecale - 8.15-9.30 / 11.00-12.30
n occasione del 36° appuntamento del Congresso della Società Italiana di Cardiologia
Invasiva, il gruppo di Cardiologia Interventistica diretto dal Dott. Antonio Colombo è lieto
di presentarvi quattro casi live trasmessi dall’Ospedale San Raffaele di Milano.
Il primo caso ad essere illustrato sarà un impianto di stent Reducer in seno coronarico in
un paziente, già sottoposto ad intervento cardiochirurgico di bypass aorto-coronarico e plurime
procedure di rivascolarizzazione coronarica percutanea, e affetto da angina refrattaria (Canadian
Class Score 3) nonostante terapia anti-ischemica
massimale.
Il secondo caso ad essere trasmesso sarà l’impianto da approccio transfemorale di una protesi
valvolare aortica Edwards Sapien 3 in un paziente affetto da stenosi aortica severa e ad elevato
rischio chirurgico per comorbidità ed età.
Seguirà un caso di chiusura percutanea di auricola sinistra con dispositivo Amulet in un paziente con fibrillazione atriale permanente ad
elevato rischio trombotico (CHA2DS2VASC 4)
ed emorragico (HASBLED 4) con due recenti
episodi di sanguinamento maggiore in corso di
terapia anticoagulante orale.
Chiuderà la sessione il trattamento di rivascolarizzazione coronarica percutanea in paziente,
con severa malattia del tronco comune distale
coinvolgente l’ostio dell’arteria discendente anteriore e dell’arteria circonflessa, ricoverato recentemente per un episodio sincopale e rifiutato dai
cardiochirurghi per la presenza di plurime comorbidità e un pregresso ictus ischemico.
Per quanto riguarda il primo caso le esperienze
suggeriscono che a maggiore disabilità percepita si associa una maggiore frequenza di ricoveri ed una minore sopravvivenza, suggerendo la
possibilità che la qualità di vita possa in qualche
modo rappresentare un parametro aggiuntivo di severità della malattia. Nel nostro caso il
controllo dei sintomi, e quindi il miglioramento
I
della qualità della vita, resta l’obiettivo primario.
I risultati del recente studio “Cosira” offrono risultati incoraggianti. L’induzione della stenosi
del seno coronarico sembrerebbe provocare una
ridistribuzione del flusso in corrispondenza del
microcircolo coronarico, riducendo così l’ischemia miocardica e migliorando il sintomo angina.
Per quanto riguarda il secondo caso, l’impianto
di bioprotesi valvolare aortica trans-catetere ha
permesso il trattamento di pazienti complessi ad
alto rischio chirurgico e con plurime comorbidità stabilendo un successo straordinario della cardiologia invasiva. Ai due modelli che hanno ottenuto per primi il marchio CE, la Sapien Edwards
e la Medtronic Core Valve, si sono affiancate recentemente altre protesi di seconda generazione,
offrendo la possibilità del superamento delle criticità rappresentate dalle complicanze vascolari e
dai leak paravalvolari.
Per quanto riguarda il terzo caso, la chiusura
percutanea dell’auricola sinistra rappresenta una alternativa alla terapia anticoagulante
nei pazienti ad alto rischio con fibrillazione
atriale non valvolare. La tecnica di impianto
consiste nel portare dalla vena femorale fino
all’auricola sinistra, perforando il setto, il dispositivo autoespansibile che indovato all’interno dell’auricola si adatta alla morfologia di
questa impedendo che coaguli di sangue passino nella circolazione. Studi recenti suggeriscono che la percentuale di successo di impianto
è superiore al 95% ed attualmente oltre 15.000
pazienti hanno beneficiato di tale metodica in
Europa. L’ultimo caso si commenta da sé trattandosi di un paziente altamente complesso e
con grave coronaropatia e sincope di recente
insorgenza e, quindi, ad elevato rischio.
Rappresenta un caso emblematico dell’attività
della cardiologia interventistica de San Raffaele
che, nel solco della sua tradizione, pone l’ammalato al centro di tutto e ogni atto è volto a lenire
la sua sofferenza.
SOMMARIO
Occlusione dell’auricola sinistra:
sempre più sicura. Indicazioni attuali e
future .......................................pag. 3
Le migliori
Comunicazioni Orali ...............pag. 4
Tromboaspirazione nello STEMI:
perché è impensabile non farla
(o non saperla fare) ...................pag. 6
Tromboaspirazione nello STEMI:
dopo il TASTE/TOTAL
si può anche non fare! ..............pag. 7
TAVI: l’evoluzione dei device quanto ci
ha semplificato la vita! ..............pag. 8
PTA carotidea: quando meglio della
chirurgia? E quando no? ...........pag. 9
MITRACLIP:
cosa c’è oltre l’Everest? ..........pag. 10
Le novità del sito GISE.it.......pag. 11
La ricerca infermieristica in cath-lab:
storia di un’esperienza ............pag. 12
Direttore Responsabile
Alberto Ranieri de Caterina
Comitato di Redazione
Alberto Polimeni
Valeria Paradies
Simone Calcagno
Carmen Spaccarotella
Roberto Nerla
Layout
Giovanni Mattioli
Edwards SAPIEN 3 Transcatheter Heart Valve
DESIGNING THE FUTURE OF TAVI
TRANSFORMATIONAL DESIGN THAT DELIVERS UNPRECEDENTED OUTCOMES
L E A R N M O R E AT S A P I E N 3 . C O M
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3
Venerdì 30 ottobre 2015
Occlusione dell’auricola sinistra: sempre più
sicura. Indicazioni attuali e future
a fibrillazione atriale è la più
comune aritmia cardiaca, con
una prevalenza che aumenta
con l’aumentare dell’età. Si stima
infatti che ne sia affetto circa l’1-2%
nella popolazione generale inferiore
ai 60 anni, il 12% della popolazione
con età compresa tra i 75 e gli 84
anni ed un terzo dei pazienti con
età maggiore degli 85 anni. Le complicanze correlate alla fibrillazione
atriale raddoppiano la mortalità dei
pazienti affetti da tale patologia e tra
queste la più importante è lo stroke,
responsabile di una profonda inabilità psico-fisica. La maggior parte
degli eventi ischemici che si associano a tale aritmia sono dovuti a tromboembolia a partenza dall’auricola
sinistra, così come documentato in
numerosi studi autoptici ed in vivo
L
e mediante studi ecocardiografici.
Oggigiorno la terapia anticoagulante orale, mediante warfarin o nuovi
anticoagulanti orali, rappresenta il
gold standard per la prevenzione
di tale complicanza. Farmaci alternativi, come ad esempio la terapia
antipiastrinica mediante aspirina e
clopidogrel, hanno dimostrato netta
inferiorità rispetto alla terapia standard, con un aumento del rischio di
sanguinamento.
l veri problemi della classica terapia con warfarin sono individuabili nel mantenimento del range
terapeutico, la necessità di effettuare numerosi controlli della coagulazione, l’aderenza alla terapia
soprattutto nelle persone anziane,
il costo della terapia cronica e le interazioni con altre terapie croniche
in corso. Tali inconvenienti sono
stati parzialmente risolti dall’uso
dei nuovi anticoagulanti orali che,
soprattutto nelle persone anziane,
hanno migliorato la qualità di vita
dei pazienti, pur non risolvendo
completamente il problema delle interazioni farmacologiche ed
il problema emorragico. Esistono
infine pazienti che presentano una
controindicazione assoluta all’assunzione di anticoagulanti.
Già nel lontano 1949 Maden considerò la rescissione chirurgica dell’auricola come possibile soluzione al
problema. Dagli anni ‘50 ad oggi
molti passi in avanti si sono fatti nella messa a punto di procedure meno
invasive, sia chirurgiche che percutanee. L’esclusione dell’auricola sinistra è ormai una nuova opzione per
i pazienti con fibrillazione atriale.
Diversi studi ne hanno definito la
piena fattibilità e sicurezza, soprattutto quando tali procedure vengono effettuate in centri altamente
qualificati. In particolare le complicanze legate al posizionamento del
dispositivo risultano strettamente
correlate al grado di esperienza del
centro in cui si effettua l’impianto, e
quindi dell’operatore.
Esistono attualmente in commercio
due tipi di sistemi di chiusura dell’au-
ricola sinistra: il Watchman e l’Amplatzer Cardiac Plug, il cui impianto
si esegue per via endovascolare, oltre
che i sistemi di legatura epicardica,
come il Lariat. Tali sistemi vanno
calibrati ed adattati per dimensioni e
tipologia al paziente e non di meno
all’esperienza dell’operatore che li impianta. Le controindicazioni all’impianto, escludendo la presenza di
trombo in auricola, sono l’endocardite attiva e la presenza di altri device
intracardiaci ed intravascolari, che
potrebbero interferire con il posizionamento dei sistemi occlusori. Ad
oggi, le linee guida europee e americane codificano l’esclusione dell’auricola sinistra in classe di indicazione
IIb, suggerendo tale possibilità per i
pazienti che presentano elevato rischio di ictus e controindicazioni alla
terapia anticoagulante orale.
Tenendo conto dei dati attualmente presenti, la chiusura dell’auricola
risulta essere abbastanza sicura, in
centri ad alto volume, con operatori
esperti ed in pazienti accuratamente
selezionati dal punto di vista anamnestico e strumentale. L’uso sempre
più diffuso dei NOAC ha già ridotto
drasticamente la coorte di pazienti
candidati ad impianto di dispositivo
per la chiusura dell’auricola, superando i grandi limiti del warfarin in termini di aderenza alla terapia e difficoltà di gestione. In attesa dei risultati
dei nuovi studi in corso che mettono
in relazione i NOAC e gli attuali dispositivi presenti in commercio per
la chiusura dell’auricola, i centri che
attualmente effettuano tale procedura forniscono una utile alternativa ai
pazienti che realmente necessitano di
una protezione del rischio di ictus,
impossibilitati ad effettuare terapia
anticoagulante. Il futuro riserverà sicure migliorie tecnologiche di questi
dispositivi in modo da rendere tale
dispositivo fruibile per diverse tipologie di pazienti.
Carmen Spaccarotella,
Walter Sacco
C
Congresso
Nazionale Società Italiana di Cardiologia Invasiva
National Congress Italian Society of Invasive Cardiology
N
GGenova, 27-30 Ottobre/October 2015
Le migliori Comunicazioni Orali
a redazione del GISE News 2015 ringrazia tutti
gli autori delle comunicazioni orali per il prezioso e brillante contributo scientifico offerto.
Nella difficoltà di selezionare, per la presente breve
rassegna, un numero limitato di esse, si apprezzi il
tentativo di focalizzare l’attenzione su alcuni grandi
temi di attualità della cardiologia interventistica.
Nell’ambito della rivascolarizzazione coronarica
percutanea si evidenzia la grande attenzione riservata a nuove tipologie di stent coronarici, in particolare quelli senza polimero e gli scaffold riassoribili.
Quanto ai primi si caratterizzano per il vantaggio di
ovviare ad alcune complicanze (in primis la trombosi intrastent, anche tardiva) potenzialmente legate alla presenza del polimero stesso ed ai suoi effetti
pro-infiammatori ritardanti una completa ed efficace re-endotelizzazione del vaso. Vari studi hanno
valutato i risultati positivi in termini di efficacia e
sicurezza dell’utilizzo di tale tipologia di stent nelle
sindromi coronariche acute ed in particolare nello
STEMI (“Carbofilm polymer free Amphilimus-eluting stents in STEMI patients: two-year follow-up”),
nonché la possibilità di minore durata della duplice
terapia antiaggregante e gli ottimi risultati rispetto
agli stent tradizionali nei pazienti diabetici (registro
italiano Cre8, “1-year outcome after PCI with polymer free Amphilimus-eluting stents in patients needing very short DAPT: the Italian CRE8 Stent Registry”
e “1-year outcome of new polymer free drug eluting
stent in real world diabetic patients: the Italian CRE8
Stent Registry”). Altro capitolo di interesse è quello riguardante l’utilizzo degli scaffold riassorbibili.
Dalle diverse esperienze presentate, segnaliamo i
buoni risultati ottenuti in situazioni angiografiche
differenti quali i tratti distali dei vasi coronarici
(registro italiano RAI, “Clinical outcomes following
percutaneous coronary intervention with Absorb
BVS in patients with distal coronary artery disease.
Results from the Italian RAI multicenter registry”),
lo STEMI (Cagliari, “Confronto tra BVS e DES metallico di II generazione in pazienti con STEMI: esperienza di un singolo centro”), nonché le dissezioni
coronariche spontanee (Padova, “Plastic healing of
spontaneous coronary artery dissection using bio-resorbable vascular scaffold: a proof of concept”). Si
ribadisce inoltre, nell’esperienza dei diversi centri e
nell’eterogeneità delle situazioni cliniche di utilizzo,
la necessità di adeguata preparazione della lesione
da trattare, adeguata post-dilatazione dello scaffold
(Registo multicentrico – Torino, Ferrara, Siena, Rivoli, Zurigo,”Impact of post-dilatation on performance of bioresorbable vascular scaffolds in patients with
acute coronary syndrome compared with everolimus
eluting stents: a propensity score matched analysis
from a multicenter “real-world” prospective registry),
valutazione del risultato mediante imaging intracoronarico con OCT (Sanremo, “La tecnica standard
di impianto dell’ABSORB del registro IT-DISAPPEARS è
sempre quella ottimale? Che cosa abbiamo imparato
dai nostri primi 140 impianti” – Ivrea, Desenzano del
L
Garda, Brindisi, Torino, “Long term outcomes after
de novo coronary stenosis treatment with BVS: a single-center experience”).
Sempre nell’ambito dell’interventistica coronarica, segnaliamo due registri riguardanti l’uso dell’aterectomia rotazionale con rotablator. Nel primo
(Torino-Milano-Roma, “Rotational atherectomy in
very long lesions: results for the ROTATE registry”) si
dimostra l’efficacia e la sicurezza della aterectomia
rotazionale su 1186 pazienti, anche in pazienti con
lesioni coronariche lunghe (> 25 mm, circa metà dei
pazienti di tale registro). Nel secondo (Torino-Milano-Roma, “Rotablator in Acute coronary syndrome: early and mid term outcomes from a multicentre
registry”) su 1308 pazienti, di cui quasi il 40% con
sindrome coronarica acuta alla presentazione, si dimostra come l’aterectomia rotazionale sia sicura ed
efficace anche in questi soggetti.
Dal punto di vista dell’imaging intracoronarico citiamo una meta-analisi (Torino, Roma, “Prevalence
and predictors of culprit plaque rupture at OCT in patients with coronary artery disease: a meta-analysis”)
che ha valutato tramite OCT la prevalenza di rottura di placca in pazienti con sindrome coronarica
acuta/coronaropatia stabile, evidenziando la presenza di cappuccio sottile quale importante predittore di rottura di placca nei pazienti con STEMI e
NSTEMI. Citiamo inoltre un lavoro (Londra, Roma
“Correlation between Optical Coherence Tomography
(OCT) and Fractional Flow Reserve (FFR) results in
intermediate coronary lesions A Rome-London collaborative study”) in cui si dimostra una buona correlazione tra misurazione dell’area stenotica all’OCT
ed eventuale presenza di placca ulcerata e significato
fisiologico della stenosi alla FFR. Un altro interessante contributo dal punto di vista fisiopatologico
proviene da uno studio randomizzato (Roma-Aalst,
“Paclitaxel-coated balloon for the treatment of instent restenosis in high-risk patients: a single-center
prospective observational study with angiographic
follow-up”) che dimostra in pazienti sottoposti ad
angioplastica elettiva con precedente carico orale di
prasugrel (n=20) vs. clopidogrel (n=20), un minore
danno microvascolare valutato tramite l’indice di
resistenza microvascolare (IMR) basale e post-PCI,
oltre che minore elevazione di troponina post-procedurale.
Nella sezione riguardante l’interventistica periferica sugli arti inferiori ricordiamo un interessante contributo (Messina-Castel Volturno-Latina,
“Comparison between coronary drug-eluting stents
and bioresorbable vascular scaffolds for the endovascular treatment of infra-inguinal artery disease”)
che ha mostrato i buoni risultati, in paragone a
quelli ottenuti con stent tradizionali, dell’utilizzo
di scaffold riassorbibili per la rivascolarizzazione
del distretto infra-inguinale (56 lesioni, con tassi di
4
eventi avversi paragonabili) oltre che l’esperienza
del gruppo di Lecce (“Accesso arterioso tibiale retrogrado nelle procedure di rivascolarizzazione percutanea del distretto femoro-popliteo e sottogenicolato: esperienza di un singolo centro”) di approccio
tibiale retrogrado per le rivascolarizzazioni sotto il
ginocchio.
Quanto alla cardiologia interventistica strutturale citiamo alcuni lavori: 1. efficacia del dispositivo
Occlutech per la chiusura dei leak paravalvolari
(Monzino, “A new dedicated CE-marked device for
transcatheter closure of paravalvular leaks. a multicenter initial clinical experience”); 2. efficacia del
Gore Septal Occluder per pazienti con forame ovale pervio ed aneurisma del setto interatriale (Roma-Catania), 3. migliore performance delle protesi
aortiche percutanee di seconda generazione rispetto a quelle di prima generazione (San Donato Milanese, “Insufficienza aortica paravalvolare post-TAVI:
confronto tra protesi valvolari aortiche percutanee di
prima e seconda generazione”). Interessanti alcuni
contributi che indicano alcuni parametri ecocardiografci (global longitudinal strain basale, stima
della pressione di incuneamento, TAPSE, grado del
rigurgito tricuspidalico) predittivi di miglioramento
della performance ventricolare in pazienti con disfunzione sistolica e insufficienza mitralica significativa sottoposti a MitraClip (“Reverse left ventricular remodeling after Mitraclip implantation: may it be
predicted by means of echocardiographic indexes?”,
“Echocardiographic predictors of functional improvement assessed by cardiopulmonary exercise test after
MitraClip implantation”), oltre ad un contributo che
in parte ridiscute il parametro di lunghezza di coaptazione dei lembi mitralici, uno dei paradigmi del
trial EVEREST, per la selezione dei candidati ideali per MitraClip (“Mitraclip therapy in patients with
functional mitral regurgitation and missing leaflets
coaptation”). Di particolare interesse i risultati clinici e funzionali di uno studio internazionale in 44
pazienti sottoposti ad anuloplastica mitralica percutanea (San Raffaele, Bonn, Amburgo, Parigi, Zurigo,
“Annuloplastica mitralica transcatetere: risultati dallo
studio first-in-man”).
Segnaliamo infine alcuni lavori incentrati sull’analisi
costo/efficacia in un periodo storico come quello attuale dove la razionalizzazione delle risorse assume
un ruolo chiave nella gestione di sistemi complessi
come quello sanitario: 1. dimissione del paziente
nella stessa giornata dopo coronarografia diagnostica con accesso arterioso radiale (netta riduzione
dei costi in assenza di eventi avversi) (Roma, ”First
year single centre experience of same-day discharge
after coronary angiography. Clinical outcomes evaluation and procedure related-costs analysis”); 2.
riduzione delle risorse utilizzate nel confronto tra
pazienti trattati con TAVI vs. chirurgia tradizionale (Rozzano, “Percutaneous vs. surgical aortic valve
replacement: a real-world resource use analysis at
30-days”).
Luigi Emilio Pastormerlo
Using a unique mechanism of crystalline drug delivery, that provides controlled and
sustained elution to limit disease progression, MiStent SES avoids the TLR catch up
phenomenon seen in conventional DES. Find out more at stentys.com
5
Venerdì 30 ottobre 2015
Commercialised by
2 % T L R AT 3 Y E A R S
THE DIFFERENCE IS CRYSTALLINE SIROLIMUS
Ischemia Driven
TLR at 3 years
12.3%
12%
10%
P=0.004
8%
6%
4%
2.0%
2%
0%
XienceTM
MiStent
A. Lansky et al, A Matched Comparison of an Absorbable
Polymer Sirolimus Eluting Stent to a Durable Polymer Everolimus
Eluting Stent; presented on May 19th at EuroPCR 2015
MST-TLRAD-20150909
MiStent SES is a registered trademark of Micell Technologies, Inc. XIENCE is a trademark of Abbott Cardiovascular Systems Inc.
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Congresso
Nazionale Società Italiana di Cardiologia Invasiva
National Congress Italian Society of Invasive Cardiology
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GGenova, 27-30 Ottobre/October 2015
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Tromboaspirazione nello STEMI:
perché è impensabile non farla (o non saperla fare)
La tromboaspirazione non salva sempre tutte le vite dei pazienti con STEMI e può avere complicanze; ma
rappresenta ormai una tecnica “di base” che deve essere conosciuta da tutti gli operatori!!
el 2009 abbiamo avuto l’opportunità di coordinare lo studio collaborativo internazionale ATTEMPT in cui sono stati unificati i database di
11 trial randomizzati sulla tromboaspirazione nello STEMI. Per questo motivo abbiamo avuto nel nostro computer i dati clinici e di outcome
di 1350 pazienti arruolati in tutti i principali studi randomizzati (TAPAS
incluso) disponibili fino ad allora. Il risultato era chiaro: la trombectomia,
soprattutto quella ottenuta con tromboaspirazione manuale era associata
non solo alla riduzione del no-reflow (end-point primario dei vari studi
pubblicati fino ad allora) ma anche a una riduzione della mortalità che si
evidenziava man mano che il follow-up si allungava. Sulla base dei risultati
di quei trial di prima generazione, la tromboaspirazione entrava nelle linee
guida e quindi nella pratica clinica della maggioranza dei nostri laboratori.
La scorsa settimana, con la pubblicazione al TCT di una serie di trial (due
di grandi dimensioni) e di loro sottoanalisi, abbiamo avuto davanti uno
scenario completamente diverso: la tromboaspirazione NON migliora la
sopravvivenza nell’infarto e potrebbe avere effetti collaterali anche gravi
come l’ictus. Cosa è cambiato? La risposta non è semplice e probabilmente
si potrebbero dedicare ore a criticare la scarsa numerosità e la minor rigorosità metodologica dei primi studi per lo più monocentrici o, dall’altra
parte, cercare di trovare i problemi di selezione e bassa mortalità dei nuovi
grandi trial multicentrici. Sarebbe un esercizio stimolante ma non convince-
N
rebbe quelli che hanno sempre saputo che la tromboaspirazione non serviva
a nulla né potrebbe portare gli operatori entusiasti della tromboaspirazione
a lasciare un trombo angiograficamente evidente nella coronaria del loro
prossimo paziente.
Dando per assodato il dato che la tromboaspirazione sistematica non garantisce di per sé una riduzione della mortalità nell’infarto, pensiamo sia più
utile sottolineare quelli che sono altri aspetti secondo noi non meno importanti e probabilmente meno opinabili
La scorsa settimana, con la pubblicazione al TCT di una serie di trial (due di
grandi dimensioni) e di loro sottoanalisi, abbiamo avuto davanti uno scenario
completamente diverso: la tromboaspirazione NON migliora la sopravvivenza nell’infarto e potrebbe avere effetti collaterali anche gravi come l’ictus. Cosa
è cambiato? La risposta non è semplice e probabilmente si potrebbero dedicare ore a criticare la scarsa numerosità e la minor rigorosità metodologica
dei primi studi per lo più monocentrici o, dall’altra parte, cercare di trovare
i problemi di selezione e bassa mortalità dei nuovi grandi trial multicentrici.
Sarebbe un esercizio stimolante ma non convincerebbe quelli che hanno sempre saputo che la tromboaspirazione non serviva a nulla né potrebbe portare
gli operatori entusiasti della tromboaspirazione a lasciare un trombo angiograficamente evidente nella coronaria del loro prossimo paziente.
Dando per assodato il dato che la tromboaspirazione sistematica non garantisce di per sé una riduzione della mortalità nell’infarto, pensiamo sia più
utile sottolineare quelli che sono altri aspetti secondo noi non meno importanti e probabilmente meno opinabili
1. La tromboaspirazione non è un farmaco da somministrare, è una tecnica da praticare! Come tale è fortemente operatore-dipendente. Nello stesso
TAPAS, il tasso di aspirato visibile era significativamente differente tra i vari
operatori. Se con la nostra tecnica siamo in grado di tirare fuori trombo dalla
maggior parte dei pazienti, avremo una certa probabilità di ottenere una riduzione del rischio di embolizzazione distale. Al contrario, ogni volta che non
aspiriamo nulla è improbabile che il paziente possa trarre beneficio dell’avanzamento di un catetere nella sua coronaria. Il problema è reso ancora più complesso dal fatto che non esiste una tecnica riconosciuta come “gold standard”
(numero di aspirazioni? volume delle siringhe? tipo di catetere?)
2. La tromboaspirazione non può essere ignorata da nessun emodinamista e non può non essere disponibile in tutte le emodinamiche. Per avere la
stessa mortalità della tromboaspirazione sistematica, quasi il 10% dei pazienti
del braccio di controllo del TOTAL sono stati sottoposti a tromboaspirazione in bail-out! Non possiamo dimenticarci di questo e quindi, se anche non
crediamo che sistematicamente si debba procedere alla tromboaspirazione,
dobbiamo essere in grado di farlo in quei pazienti che hanno troppo trombo
all’angiografia o che stanno rispondendo male all’angioplastica tradizionale.
3. La tromboaspirazione può determinare l’embolizzazione sistemica e
l’ictus solo attraverso manovre tecnicamente scorrette quali la rimozione
del catetere per tromboaspirazione senza il mantenimento dell’aspirazione o con catetere guida non correttamente intubato nella coronaria. Non a
caso, l’incremento del rischio di ictus è stato osservato nel TOTAL ma non nel
TASTE. Essendo i due trial di simili dimensioni, il risultato (qualora non determinato dalla semplice casualità) non può che essere attribuito a una diversa
conduzione della tromboaspirazione da parte dei diversi operatori arruolanti
nei due trial.
Francesco Burzotta e Carlo Trani
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Venerdì 30 ottobre 2015
Tromboaspirazione nello STEMI:
dopo il TASTE/TOTAL si può anche non fare!
risultati dei due grandi trials sulla tromboaspirazione nello STEMI, il TASTE e il
TOTAL, aprono un importante dibattito all’interno della comunità scientifica dei
cardiologi interventisti, ormai da tempo abituata ad usare la tromboaspirazione in
ogni tipo di scenario nello STEMI. Anche se sicuramente l’uso della tromboaspirazione non tramonterà, alcune precisazioni basate sui dati pubblicati devono essere fatte.
Innanzitutto è importante sottolineare come il TASTE e il TOTAL siano esempi di
come si debba realizzare uno studio scientifico con una numerosità del campione
tale da potere dimostrare endpoint clinici: è interessante infatti che i vantaggi della
tromboaspirazione derivassero finora da studi con un sample size non adatto a dimostrare endpoints clinici o da metanalisi, il cui valore scientifico e statistico è dibattuto,
mentre l’evidenza attuale viene da due studi indipendenti l’uno dall’altro, che hanno
incluso più di 17.000 pazienti per ottenere la potenza statistica sufficiente per avere
una conclusione definitiva sul valore clinico della tromboaspirazione. Questo deve
farci riflettere in generale sul fatto che una significatività statistica all’interno di uno
studio genera solo ipotesi se lo studio non ha potenza statistica sufficiente per dimostrare un determinato obiettivo.
Un altro punto interessante è che la tromboaspirazione mostra nessuna efficacia non
solo nell’ambito generale degli studi, ma anche in tutte le analisi per sottogruppi, specialmente secondo il tempo di presentazione dello STEMI, il tipo di infarto (anteriore
o no), TIMI flow iniziale o quantità angiografica di trombo. Basandosi su questi dati,
l’uso routinario della tromboaspirazione non è più giustificato, ma al contrario l’emo-
I
dinamista è invitato in ogni caso di STEMI a riflettere se la tromboaspirazione può
essere d’aiuto nel ristabilire un TIMI flow ottimale, dato che comunque a livello di
mortalità per il paziente non dà alcun vantaggio.
Questi dati mettono inoltre in risalto le limitazioni degli attuali dispositivi di tromboaspirazione, in cui sfortunatamente non si sono registrati grossi progressi tecnologici
negli ultimi anni, dati i risultati fortemente positivi dei primi studi realizzati. Non
bisogna, infatti, dimenticare che non sempre questi dispositivi riescono a raggiungere
il trombo all’interno della coronaria e ad aspirarlo senza embolizzazione distale, data
la loro non ottima navigabilità, le loro dimensioni e il fatto che siano dispositivi operatore-dipendente. Infine, è bene ricordare l’incidenza di stroke nel braccio tromboaspirazione dello studio TOTAL, che rappresenta sicuramente un motivo di attenzione
nell’uso di questi dispositivi.
L’uso routinario della tromboaspirazione nello STEMI è quindi ormai tramontato,
almeno con i dispositivi attualmente a disposizione, il cui uso è adesso facoltativo e
non obbligatorio per l’emodinamista, tanto che nel recente aggiornamento delle Linee Guida Americane è passato da una raccomandazione IIa a III con un livello di
evidenza A. Dobbiamo augurarci che questi dati possano adesso spingere la ricerca
verso nuovi dispositivi di tromboaspirazione con un migliore profilo e una migliore
performance di aspirazione.
Salvatore Brugaletta
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GGenova, 27-30 Ottobre/October 2015
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TAVI: l’evoluzione dei device
quanto ci ha semplificato la vita!
a prognosi inevitabilmente sfavorevole che accompagna l’evoluzione
della stenosi aortica sintomatica,
così come il successo del trattamento con
i primi devices nei pazienti ad alto rischio chirurgico, hanno aperto la strada
ad una ricerca di mercato verso devices
sempre più “performanti”.
La self-expandable CoreValve e la balloon-expandable Edwards hanno fatto da
battistrada nell’ultimo decennio, portando all’impianto di più di 80.000 valvole
percutanee nel mondo. Due dei principali limiti delle prime valvole, la necessità
di impiantare un pacemaker permanente
e il rigurgito aortico paravalvolare, sono
diventati oggetto dell’investimento tecnologico del primo decennio della TAVI.
Il primo, seppure non impattando sulla
mortalità, ha sicuramente influito negativamente sulla funzione ventricolare sinistra e inevitabilmente sui costi di ospedalizzazione. Il secondo, allorquando superiore a lieve, si è rivelato essere predittore
indipendente di mortalità a breve e lungo
termine. Di qui l’obiettivo dello sviluppo
tecnologico che ha accompagnato i nuovi
modelli di valvole, modificati in modo da
ridurre al massimo i drawbacks e facilitarne l’impianto. Di qui la corsa al minore “frenchaggio” dei sistemi di delivery,
inizialmente solo privilegio della CoreValve, a breve seguita dalla Sapien XT
della Edwards. La più recente Sapien 3
ha ulteriormente consentito di ridurre il
frenchaggio e l’aggiunta dell’”outer skirt”
ha quasi annullato i leak paravalvolari.
L
Negli ultimi anni si sono fatti strada in
Europa più di 10 tipi diversi di valvole
aortiche percutanee, alcune con caratteristiche davvero entusiasmanti per
il cardiologo interventista. Tra queste,
oltre ai ridotti sistemi di delivery e alla
possibilità di minimizzare i leak paravalvolari, la possibilità di un controllato
e accurato posizionamento, così come
la possibilità di riposizionamento e/o di
ricattura. Anche se le evidenze risultano
essere ancora scarse e per alcuni modelli ancora limitate ai primi first-in-man,
i primi risultati sono sicuramente promettenti. La possibilità di riposizionare
e/o ricatturare il device ha aiutato nel
ridurre al minimo i rigurgiti valvolari
residui, lasciando all’operatore l’opzione
di controllare il corretto posizionamento prima di impiantare definitivamente
la valvola. Allo stesso modo la riposizionabilità dei nuovi devices sembrerebbe consentire la riduzione del rischio
di occlusione coronarica, complicanza
rara ma caratterizzata da una mortalità
intorno al 50%.
Le nuove prospettive sulle indicazioni,
così come i vantaggi dei “new comers”
nello scenario delle protesi valvolari aortiche percutanee, saranno oggetto delle
relazioni di Giuseppe Tarantini e Arturo
Giordano nella sessione Unmet needs and
persistent controversies in structural and
peripheral disease.
Valeria Paradies
9
Venerdì 30 ottobre 2015
PTA carotidea: quando meglio della chirurgia? E quando no?
e stenosi carotidee moderate e gravi
rappresentano un importante problema di salute pubblica. Queste condizioni colpiscono il 10% circa della popolazione generale nell’ottava decade di vita,
provocando il 10% circa di tutti gli ictus.
Per molti anni, il trattamento chirurgico
è stato comunemente raccomandato per
la prevenzione dell’ictus. Tuttavia, nei pazienti con stenosi carotidea asintomatica,
la sola terapia medica e le modifiche dello
stile di vita, associate all’intervento di endoarterectomia qualora necessario, hanno
portato ad una riduzione fino all’80% del
rischio di ictus associato alla stenosi carotidea asintomatica se paragonato al solo intervento chirurgico. Logicamente, la maggiore efficacia della prevenzione dell’ictus
in questi pazienti ha avuto implicazioni
anche per i pazienti con stenosi carotidea
sintomatica trattati con la sola terapia medica, con o senza l’intervento chirurgico
associato.
Diversi studi hanno mostrato che per la
stratificazione per il rischio di ictus il grado
di stenosi, la presenza di placche ipoanaecogene e la progressione asintomatica non
sono sufficienti individualmente per identificare i pazienti asintomatici che possono
trarre beneficio da procedure di rivascolarizzazione carotidea. Maggiore predittività di eventi e migliore stratificazione del
rischio possono essere ottenute, invece,
laddove coesistano più elementi contemporaneamente.
Secondo le line guida attuali, il trattamento
di scelta della malattia ateromasica carotidea è per lo più chirurgico. L’endoarteriectomia carotidea è generalmente indicata
nella stenosi carotidea sintomatica superiore al 50% (valutata con il metodo NASCET), anche se il vantaggio rispetto alla
terapia medica varia in relazione al grado
di stenosi e alla durata del follow-up. Il beneficio è infatti più evidente tardivamente,
specie per i pazienti definiti a più alto rischio, come pazienti con ischemia recente,
con sintomi cerebrali e non oculari, con
placca ulcerata, di età avanzata e di sesso
maschile. L’angioplastica percutanea transluminale (PTA) con stenting carotideo
è stata proposta come metodica alterna-
L
tiva alla tradizionale endoarterectomia
essenzialmente per i vantaggi conseguenti al fatto che si evitano i rischi connessi
all’intervento chirurgico o alla possibilità
di trattare lesioni meno accessibili con la
chirurgia tradizionale. Nonostante ciò diversi autori hanno espresso riluttanza ad
accettare tale metodica, pur meno invasiva
e meno traumatica, soprattutto per i rischi
connessi all’embolizzazione cerebrale durante e immediatamente dopo tale procedura. Per ridurre al minimo tali rischi,
numerose sono state le tecniche e i devices
introdotti, come l’uso dei filtri distali o di
stent autoespandibili. Nonostante le nuove
tecnologie e le nuove tecniche, ad oggi non
vi sono evidenze sufficienti per giustificare
un cambio di tendenza dalla chirurgia tradizionale verso le procedure endovascolari
nel trattamento chirurgico routinario della
stenosi carotidea. L’unico gruppo di pazienti da considerare elettivi per l’angioplastica carotidea sono i pazienti con stenosi
sintomatica o di alto grado con un elevato
rischio operatorio, in cui l’intervento chirurgico sarebbe associato ad un alto rischio
di complicanze perioperatorie.
La rivascolarizzazione percutanea sta prendendo sempre più piede, oltrepassando
quelli che sono i confini limitati dalle vecchie indicazioni. I messaggi dei trials internazionali sono in conflitto fra loro e questa
mancanza di chiarezza rende la partita ancora del tutto aperta. Le sessioni scientifiche dedicate a questo topic prevedono un
interessante head to head con esperti, sia in
campo interventistico che chirurgico, dal
quale ne scaturirà una chiara delineazione
delle indicazioni attuali e delle prospettive
future riservate alla rivascolarizzazione carotidea per la prevenzione dell’ictus.
Simone Calcagno
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Nazionale Società Italiana di Cardiologia Invasiva
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MITRACLIP: cosa c’è oltre l’EVEREST?
a a che punto siamo con la MitraClip? Se ne parlerà in sala
Grecale in quest’ultima mattina del Congresso.
La pre valenza dell’insufficienza mitralica clinicamente significativa è stata stimata intorno all’1,7% della popolazione generale negli USA e fino al 9,3% nei soggetti > 75 anni. La prognosi
dell’insufficienza mitralica severa - sia degenerativa che funzionale
- è spesso infausta se non trattata; nonostante ciò, molti pazienti
sono esclusi dal trattamento chirurgico a causa dell’età avanzata e
delle comorbidità associate (dati Euro Heart Survey).
Nel 1991 Alfieri ha descritto una nuova, semplice tecnica di sutura
dei lembi valvolari mitralici, applicabile nei pazienti con insufficienza mitralica degenerativa: la cosiddetta tecnica “edge-to-edge”.
Il device percutaneo MitraClip (Abbott Laboratories, Abbott Park,
Illinois), che ricalca la tecnica di Alfieri di riparazione dei lembi
valvolari, è stato sperimentato per la prima volta nel 2003 ed ha
ricevuto il marchio CE nel 2008. Ad oggi sono state eseguite più di
20.000 procedure di impianto di device MitraClip su pazienti ad
elevato rischio chirurgico.
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adverse events and directions for use. Unless otherwise noted, ™ indicates that the name is a trademark of, or licensed to, St. Jude Medical or one of its subsidiaries. SJM
and the nine-squares symbol are trademarks and service marks of St. Jude Medical, Inc. and its related companies. © 2015 St. Jude Medical, Inc. All Rights Reserved.
EM-EACTS-0915-0015 | Item approved for international use only.
Lo studio EVEREST II (Endovascular Valve Edge-to-Edge REpair
Study), l’unico studio randomizzato che abbiamo a disposizione,
ha valutato la sicurezza e l’efficacia del sistema MitraClip confrontandolo con l’intervento chirurgico tradizionale. Il rate di successo
procedurale del braccio percutaneo era del 77%, con una significativa riduzione degli eventi avversi rispetto al braccio chirurgico.
Nonostante l’efficacia del trattamento percutaneo nella riduzione
del grado di IM, la chirurgia è risultata superiore nella riduzione
del rigurgito mitralico all’analisi ecocardiografica. Nei pazienti in
cui il trattamento percutaneo è stato efficace, tuttavia, si è osservata
una stabilità del risultato al follow-up con significativo miglioramento clinico. Da notare che la maggior parte dei pazienti inclusi
nello studio EVEREST era affetta da insufficienza mitralica degenerativa, che l’età media non era molto avanzata (meno del 30%
dei pazienti in entrambi i bracci aveva > 75 anni) e infine che la FE
media era circa del 60%.
Ma cosa c’è oltre l’EVEREST? Numerosi registri hanno mostrato
l’efficacia e la sicurezza del device MitraClip, come l’ACCESS-EU,
l’European Sentinel Registry e il PERMIT-CARE. In tutti questi
registri si sono evidenziati un elevato rate di successo procedurale, una bassa mortalità a 30 giorni, una riduzione significativa e
duratura del grado di insufficienza mitralica anche nel successivo
follow-up, un effetto positivo sul rimodellamento inverso del ventricolo sinistro, un miglioramento della classe funzionale NYHA
con riduzione del tasso di ospedalizzazioni ed un generale miglioramento della qualità di vita.
In generale, i pazienti “reali” sono a rischio più elevato rispetto ai
pazienti arruolati nello studio EVEREST, in quanto più anziani e
con un maggior carico di co-morbidità; essi sono inoltre più frequentemente affetti da IM funzionale legata a cardiomiopatia dilatativa o post-ischemica con compromissione della funzione ventricolare sinistra. Sono proprio questi pazienti “fragili” i maggiori
destinatari di questo tipo di procedura, che ha mostrato anche nelle
categorie più a rischio un buon profilo di efficacia e di sicurezza,
sia a breve che a medio termine. Attualmente sono in corso alcuni
trials che valutano l’efficacia della MitraClip nell’insufficienza mitralica funzionale dei pazienti non responsivi alla terapia medica
ed alla CRT: il COAPT, il RESHAPE 2 ed il MATTERHORN. Sarà
forse sulla base di questi studi che verranno riviste le indicazioni
al trattamento percutaneo dell’IM, che attualmente non superano
nelle linee guida il livello di evidenza IIb?
Giulia Costa e Michela Faggioni
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Venerdì 30 ottobre 2015
Le novità del sito GISE.it
a Società Italiana di Cardiologia Invasiva si presenta sul web con una veste
del tutto nuova: più raffinata, immediata e vincente, tanto nei contenuti, quanto nella grafica. Ma la vera rivoluzione è
rappresentata dalla nuova tecnologia di base,
dal linguaggio e dalla maggiore interattività
con gli utenti (Figura 1).
Il comitato di redazione composto da Dr. M.
Basile, Dr. B. Cortese, Dr. A. Polimeni, Dr. G.
Secco e Dr.ssa C. Spaccarotella, coordinato
dal Prof. Ciro Indolfi, con la collaborazione
del webmaster, l’Ing. Pietro Errera, ha contribuito a sostanziali modifiche innovative
con l’obiettivo di coinvolgere sempre più gli
associati e non.
Nell’ultimo anno il sito gise.it si è impegnato a tenere aggiornati i suoi visitatori pubblicando settimanalmente le ultime novità
in campo scientifico e dedicando un intero
speciale ai principali congressi internazionali, con l’aggiornamento sulle migliori discussioni trattate nel corso degli stessi.
Le visite al sito gise.it dal 18 ottobre 2014 al
18 ottobre 2015 sono state 31.601, mentre le
Figura 2
L
Figura 3
Figura 4
pagine visitate nelle stesso anno sono state
100.386 (Figura 2).
È interessante notare come molte visite provengono da utenti stranieri (Figura 3).
Diversi sondaggi sono stati proposti ai visitatori per mezzo dell’apposita sezione, mantenendone il risultato accessibile a chiunque,
con lo scopo di consentire il confronto fra
colleghi in merito a scelte di pratica clinica o
alle ultime novità introdotte nel campo della
cardiologia interventistica.
È stato dato risalto ai principali trial del GISE
dedicando una sezione specifica “Gise Ongoing Trials”, nella quale è possibile trovare
aggiornamenti periodici degli ultimi risultati
ottenuti dagli studi.
Per coinvolgere maggiormente gli utenti con
le ultime novità scientifiche, per facilitare
la comunicazione tra gli associati è nata la
pagina Facebook “SICI-GISE” ed il gruppo
Linkedin “Italian Society of Invasive Cardiology”.
Il sito gise.it viene visitato maggiormente
alle ore 11.00, con un secondo picco alle ore
15.00 della giornata. Una non trascurabile
percentuale di visitatori si collega a mezzanotte e alcuni anche durante le ore notturne
dalle 2 alle 5 del mattino (Figura 4).
Infine, nell’ottica di promuovere maggiori
scambi con le altre società europee ed internazionali, è stata predisposta un’intera
pagina dedicata all’Associazione Europea di
Interventistica Percutanea Cardiovascolare
(EAPCI) e nel contempo è stato incluso il
logo gise.it sul sito EAPCI.
Alberto Polimeni e Ciro Indolfi
Figura 1
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National Congress Italian Society of Invasive Cardiology
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La ricerca infermieristica in cath-lab:
storia di un’esperienza
Q
uanto riteniamo sia complicato “fare” ricerca infermieristica? Quanti di noi, nel quotidiano, sentono la necessità di migliorare
la propria pratica assistenziale? Quanti di noi si
sentono frustati per avere pochi strumenti coerenti con l’evoluzione tecnico-scientifica?
Tre domande che dovremmo porci spesso durante la nostra vita professionale, soprattutto
in questo momento storico, dove il panorama
Sanitario necessita di nuovi modelli di assistenza che siano al passo con l’evoluzione tecnico-scientifica e le esigenze dell’utenza.
L’esperienza che ho intrapreso con due grandi
professionisti Infermieri, Dr.ssa Erica Girotto
e Dr. Davide Franza, è nata proprio da alcuni
quesiti assistenziali: “come gestisco il sistema
d’emostasi radiale?”, “Il protocollo di mantenimento del sistema d’emostasi è adeguato?”,
“le informazioni che fornisco all’utente sono
efficaci ed efficienti?”. Da questo primo atto al
momento della realizzazione dello studio osservazionale prospettico TIMhe, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, le difficoltà
sono state molte, dalle resistenze dei colleghi
agli intoppi con il Comitato Etico che, quando si tratta di studi infermieristici diventa, se
possibile, anche più scrupoloso del solito. Non
è stata una passeggiata di salute ma essere riusciti in un anno e mezzo a realizzare uno studio
Infermieristico praticamente a costo “0” è stato stimolante. Naturalmente nel costo “0” non
teniamo conto di tutto il tempo privato che
ognuno di noi autori ha impiegato per portare
avanti il progetto, va da se che se si è convinti
della bontà di un’iniziativa non si deve monetizzare, ma si deve valutare quello che se ne può
ricavare dal punto di vista etico e professionale. Una grande soddisfazione ci ha ripagato di
tutto il lavoro quando, dopo aver presentato il
protocollo di studio al Concorso Nazionale di
Ricerca Infermieristica Gemma Castorina promosso dall’IPASVI di Grosseto, abbiamo avuto
notizia di aver vinto il 1° premio. Essere Infermieri Italiani oggi significa produrre scientificità che passa assolutamente attraverso studio
e ricerca non dimenticando mai l’eticità delle
nostre azioni. Durante il Congresso Nazionale
GISE 2014 abbiamo presentato il protocollo di
studio e i primi dati parziali, oggi presentiamo
i dati definitivi grati a quanti hanno collaborato
fattivamente nelle diverse fasi del progetto.
Beatrice Magro
Orsiro
Ultrathin Hybrid DES
Clinical Evidence
in IMA patients
3,3%
TLF a 12 Mesi
5%
TLF a 12 mesi
(vs 8,7 % TLF di Xience Prime)
211
Pazienti
del sottogruppo STEMI
T Pilgrim, D Heg, M Roffi, et al.
(BIOSCIENCE): a randomised, single-blind, non-inferiority trial. The
Lancet - Published Online September 1
442
Pazienti
del sottogruppo STEMI
Real-world experience with a novel
biodegradable polymer sirolimus-eluting stent: twelve-month results of the BIOFLOW-III registry
EuroIntervention Journal
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National Congress Italian Society of Invasive Cardiology
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The 36th National Congress of the Italian Society of Invasive Cardiology is
accredited by the European Board for Accreditation in Cardiology (EBAC) for “21”
hours of External CME credits.
Each participant should claim only those hours of credit that have actually been
spent in the educational activity. EBAC works according to the quality standards of
the European Accreditation Council for Continuing Medical Education (EACCME),
which is an institution of the European Union of Medical Specialists (UEMS).
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Richiedi i crediti EBAC presso la Segreteria del
Congresso, compila l’EVALUATION FORM e
lascia i tuoi dati per ricevere il certificato.
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CTO Summit
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Turin
April 14th - 15th 2016
A.S.L. TO2
Ospedale San Giovanni
Bosco di Torino
A.S.L. TO3
Ospedali Riuniti
di Rivoli (Torino)
dream-adv.it
T he program will be available also on the following web­site: www.educazioneprevenzionesalute.it
For information and registration contact: Emanuela Trecci, TERUMO
[email protected] Tel. +39 335.632.44.66
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