Tutti pazzi per le caramelle

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Fa m ig l ia e soc ie t à
N
el fantastico mondo
di Caramellopoli c’è
una bambina che ha
bisogno del tuo aiuto per vivere la sua
zuccherosa avventura. Lei
si chiama Tiffi, diminutivo
di Toffette, e ci introduce
in Candy Crush Saga, il
gioco della King Digital
entertainment che, in meno di due anni, ha sbaragliato concorrenti come
FarmVille di Zynga, polverizzando ogni record,
con milioni di giocatori,
quadagni quotidiani che
arrivano a sfiorare il milione di euro e un fatturato che, al momento della
sua entrata a Wall Street
a fine marzo, era valutato
sui sette milioni di euro. Il
gioco continua a produrre
– da solo – più del 70 per
cento del fatturato complessivo della King.
Un’azienda,
questa,
che, pur avendo sede a
Londra, ha una mente
italiana. Tra i fondatori,
infatti, c’è l’italiano Riccardo Zacconi, che nei
periodi di crisi ha puntato
sulla ricerca, riuscendo a
promuovere vari prodotti
di successo, come Bubble Saga, fino a sfondare
con le caramelle di Candy
Crush.
Il gioco, in sé, è facile.
Per aiutare Tiffi a superare tutti gli ostacoli che si
presentano lungo il percorso (il drago, lo yeti, la
mummia, il dinosauro...)
bisogna raggiungere due
obiettivi: superare un certo punteggio e, di volta in
volta, togliere le gelatine
o le gabbie che imprigio-
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Città Nuova - n. 8 - 2014
VIDEOGIOCHI
di Sara Fornaro
Tutti pazzi
per le caramelle
Spopola “Candy Crush Saga”, lanciato da un italiano,
studiato anche dai ricercatori della Silicon Valley
Sopra, Tiffi
e il suo
accompagnatore,
Mr Toffee. A sin.,
i primi livelli di
questo gioco che
ha conquistato
il mondo.
nano le caramelle, rimuovere la cioccolata che le
avvolge, distruggere le
liquirizie e così via. Con
il dito o con il mouse, si
allineano le caramelle a
gruppi (minimi) di tre.
Con quattro caramelle si
ha una caramella speciale, con allineamenti a L o
a T si avranno caramelle
incartate, con cinque caramelle di fila si ottiene la
bomba colore. Combinan-
do successivamente le caramelle speciali, si ottengono esplosioni a catena,
con maggiori possibilità di
superare il livello.
Ma che cos’ha di particolare Candy Crush?
Perché quando si comincia a giocare si rischia di
dimenticare tutto il resto?
Secondo gli esperti della
King, il successo nasce da
un meccanismo psicologico che ha origine dalla
frustrazione derivante dalla
sconfitta in questo gioco
IL SACERDOTE RISPONDE
di don Tonino Gandolfo
apparentemente semplice.
Per ogni livello, si hanno
a disposizione cinque vite.
Una volta che queste vengono esaurite, o si aspetta
una mezz’oretta per avere
una nuova vita, o si chiede
aiuto ad amici e conoscenti
su Facebook (ho controllato: in questo momento ho
cinque amici che mi hanno
inviato richieste di aiuto)
o si paga poco meno di un
euro per ricevere un “aiutino”. Quando finalmente si
passa al livello successivo,
è un tripudio. Oltre a una
serie di rumorini accattivanti e golosi (crunchhhh),
al superamento di ogni livello è un fiorire di sweet
e di delicious, che “ricompensano” il giocatore. Insomma, una bella (e dolce)
soddisfazione, pari a quella
che si prova – assicurano
gli esperti – quando si segna un gol in una partita di
calcio.
Il successo di Candy
Crush è tale che la King
ha deciso di acquistare
anche i diritti sul marchio
Candy: questo significa
che ben presto saremo invasi da gadget, accessori e
capi di abbigliamento con
le dolci caramelle.
Non solo. L’azienda sta
cercando nuovi giochi,
puntando sempre sulla sequenza “frustrazione-riuscita-soddisfazione”. Un
meccanismo psicologico
all’esame dei ricercatori della Silicon Valley, in
California, che lo stanno
studiando per cercare di
applicarlo anche ai loro
prodotti, per raggiungere
lo stesso successo.
Ogni persona è unica
«Ogni uomo è unico e deve sviluppare questa irripetibilità. Noi però
spesso diciamo che bisogna essere altri Gesù, altri Francesco… Non
annulliamo così l’irripetibilità della persona?».
Matteo Rinaldi - Foggia
In effetti, nessuno “ricopia” un altro o un’altra. Ma nel pronunciare
il suo Verbo, il Padre pronuncia tutte le “parole” che siamo noi. Tutti
siamo immagine del Verbo e, in certo senso, anche immagine l’uno
dell’altro. Guardando all’altro io rivedo qualcosa di me, perché vedo
un’espressione della stessa Parola nella quale sono stato pensato.
Gesù, come uomo, è quel Verbo fatto carne. Guardando a lui, scopro
come nella storia la Parola può incarnarsi anche in me. Io non sono
lui, ma proprio guardando a lui, trovo la via, i criteri per realizzare me
stesso nella irripetibilità che mi caratterizza. E mi trovo in consonanza
con tutti gli uomini e le donne: non “ricopio” nessuno degli altri, ma
trovo in ciascuno qualcosa che mi riguarda, quell’immagine originaria,
senza la quale neppure io mi riconosco.
Guardando il percorso che altri miei fratelli e sorelle hanno compiuto
per manifestare nella propria esistenza quell’immagine, posso trovare
anch’io delle luci perché la stessa immagine si realizzi in me.
Scopro, in Francesco, che la povertà di vita realizzata per amore
appartiene anche a me, in Teresina che la piccolezza mi porta ad entrare
in modo sempre nuovo in rapporto col Padre, in Madre Teresa che la
mia vita non si realizza senza gli altri, nessuno escluso.
Facendo esempi più banali, magari non sono uno sportivo, ma
l’uomo o la donna sportivi mi dicono che anche il corpo ha una parte
nella realizzazione di me, non sono un politico, ma sono chiamato a
innestarmi nel processo di realizzazione della polis…
Insomma, proprio perché ciascuno è irripetibile, ha bisogno
dell’irripetibilità dell’altro/a perché faccia da specchio alla propria:
realizzando così quel processo di unità-distinzione, in cui ciascuno è sé
stesso proprio perché in relazione con gli altri.
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