Libertà individuale e valori sociali 1. Platone Istruzione e formazione

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Libertà individuale e valori sociali 1. Platone
Istruzione e formazione secondo la paideia classica
Paideia e società
Quale valore ha la formazione tradizionale nell’educazione dei giovani? Che cosa
può e deve essere insegnato e con quali metodi? È possibile insegnare a essere
virtuosi o ciascuno lo apprende da sé? A chi spetta il compito di educare?
Questi sono alcuni degli interrogativi sviluppatisi intorno alla discussione sul tema
dell’educazione tra il V e il IV secolo a.C. ad Atene in seguito alla crisi dei valori e
dei modelli tradizionali dovuta al nuovo contesto storico caratterizzato dallo
sviluppo delle manifatture e dei commerci a fianco alla tradizionale proprietà
agraria e dall’ambizione dei nuovi ricchi di svolgere un ruolo politico all’interno della
democrazia ateniese.
Il termine greco paideia racchiude il concetto di formazione complessiva della
persona, che coinvolge l’arco di tutta la vita al fine di realizzare un’esistenza degna di
essere vissuta in cui esprimere le varie possibilità della natura umana. La paideia mira
alla kalokagathìa, l’ideale di perfezione sia fisica sia morale.
La virtù è una scelta
“La virtù non ha padrone e secondo che la onori o la spregi, ciascuno ne avrà più o
meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile” (Platone,
Repubblica, 617d).
Il saluto che Platone lascia attraverso il mito di Er al termine della Repubblica
permette al lettore di sviluppare un'ulteriore riflessione personale sui temi già
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trattati. È una conclusione, questa, che rispecchia il modus operandi dell'autore i cui
dialoghi risultano, spesso e volontariamente, aporetici. Colui che legge è chiamato a
una rielaborazione razionale che permetta di trarre maieuticamente un'autentica
lezione per il proprio sé che travalichi lo spazio e il tempo della Grecia classica e sia
aperta a nuovi orizzonti.
Il mito racconta di come Er sia tornato dai morti per riferire che cosa succeda
dopo la morte alle anime le quali ricevono punizioni e ricompense che non
hanno carattere definitivo, a testimonianza del loro carattere educativo.
Nel racconto di Er, nelle parole di Lachesi, una delle tre divinità della moira, è
contenuta la verità riguardo al destino, il dàimon non capita in sorte, ma è oggetto
di una scelta: “Anime, che vivete solo un giorno comincia per voi un altro periodo di
generazione mortale, portatrice di morte. Non vi otterrà in sorte un dàimon, ma
sarete voi a scegliere il dàimon” (Platone, Repubblica, 617c).
La libertà di scelta rende la virtù “senza padrone”, a differenza di quanto avveniva
nella morale tradizionale, ove questa era appannaggio di una figura sociale ben
determinata, l’àristos, o comunque di un gruppo estremamente ristretto.
‘Scegliere’, nella prospettiva platonica, significa prendere possesso criticamente
del proprio passato per migliorare il presente. L’eudaimonìa consiste, dunque
nella scelta di ognuno.
L’uomo esiste in maniera piena solo attraverso le proprie scelte, se è in grado di
morire valorosamente e rinascere consapevolmente, senza dimenticare nulla.
L’identificazione tra virtù e sapere è il cuore del programma di ricostruzione
della paideia che Platone rielabora nella Repubblica. La virtù corrisponde alla vera
sapienza e riguarda i massimi valori della vita, cioè l’idea del bene che non sarà
solamente una conoscenza puramente teorica, ma un ideale normativo in grado di
guidare il comportamento etico dell’uomo. L’identificazione fra virtù e sapere è a sua
volta basata su un’altra componente fondamentale, l’anima. Collocando la virtù
nell’anima, Platone apre la via per considerare la paideia dal punto di vista
dell’interiorità, quindi come un fatto propriamente spirituale.
Vista in rapporto alla struttura dell’anima, l’educazione è un’attività che coinvolge
le energie razionali e irrazionali dell’uomo e mira a istituire fra queste il giusto
rapporto. Ricorrendo alla funzione tipica dell’eros, Platone individua nell’amore la
forza istintiva che anima il processo educativo. Infatti, gli impulsi profondi della
passione possono essere usati positivamente nel processo di formazione della
personalità.
Eros e spiritualità
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Platone presenta Eros come il grande demone che fa da intermediario fra
uomini e dei e che, dunque, colma il divario fra l’esperienza terrena e il mondo delle
idee:
“‘Amore è compagno e ministro di Afrodite, perché fu concepito nel giorno della sua
nascita ed è, nello stesso tempo, amante del bello perché bella è Afrodite. D'altro
canto, per il fatto che Amore è figlio di Poro e di Penia, si trova in questa condizione.
Anzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, come i più se lo figurano;
anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, dorme sempre per
terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle strade, sotto il sereno, perché ha la
natura della madre ed è tutt'uno con la miseria. Per parte del padre, invece, è fatto
per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran
cacciatore, sempre pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti,
tutta la vita dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista.
Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso alla vita
e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù della natura paterna;
sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così che Amore non è mai al verde
e mai ricco. Inoltre è a mezzo tra sapienza e
ignoranza. Ecco come: nessun dio s'occupa di
filosofia, né ambisce a diventar sapiente (ché già lo
è), né, del resto, chi è sapiente, si dedica alla
filosofia; d'altra parte, nemmeno gli ignoranti si
dedicano alla filosofia, né ambiscono a diventar
sapienti; e questo è il brutto dell'ignoranza, che chi
non è né bello, né buono, né saggio, crede, invece,
di esserlo abbondantemente; naturalmente chi non
si accorge di esser privo di qualcosa, non desidera
quello di cui non sente il bisogno.’ ‘Ma, allora,’ feci
io, ‘chi sono, Diotima, quelli che si dedicano alla
filosofia, se non sono né i sapienti, né gli ignoranti?’
‘Ma è chiaro,’ mi rispose, ‘anche un bambino lo
capirebbe che son quelli che stanno in una posizione
intermedia, tra i primi e i secondi e, tra questi, c'è
anche Amore. La sapienza, infatti, è tra le cose più
belle e Amore ama le belle cose e, quindi,
necessariamente, è anche filosofo e, come tale, sta
fra il sapiente e l'ignorante. E la sua origine è un po'
la causa di tutto questo: suo padre è sapiente e
pieno di estro, ma sua madre, invece, non lo è
affatto, è ignorante. Tale, Socrate, è la natura di
questo demone. Come poi tu immaginavi che fosse,
non c'è da meravigliarsi; per quel che ho potuto
capire dalle tue parole, credevi che Amore fosse
colui che si ama, non colui che ama. Ecco perché, io
penso, ti sembrava così bello. Infatti, chi è amato è veramente bello, seducente,
perfetto, degno di ogni felicità; colui che ama, invece, ha un altro aspetto, quale io ti
ho descritto’ ” (Platone, Simposio, 202e-204C).
L’incontro amoroso è educativo perché è un’occasione maieutica in cui un’anima
viene aiutata da un’altra a realizzare la propria natura; Platone istituzionalizza
quell’aspetto importante della relazione fra adulto e ragazzo praticato negli ambienti
aristocratici: il modello di questo nuovo rapporto erotico non più fisico ma
spirituale è offerto dalla figura di Socrate nei confronti dei giovani. Egli non è solo
esempio di coraggio, dominio di sé, ma è capace di dirottare l’eros del giovane
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dalla propria persona per indirizzarlo verso la ricerca della verità. La passione
fisica o emotiva che lega due individui è, sempre nella prospettiva socraticoplatonica, segno di una relazione di ordine superiore che partendo dall’attrazione
verso la particolare bellezza del corpo o di un’anima congiunge l’innamorato alla
più alta bellezza delle idee.
Polis e paideia
Il curriculum del processo educativo presentato nella Repubblica è affidato alla
polis, dunque, alle istituzioni pubbliche, nel convincimento che solo in questo
modo sia possibile un’educazione che abbia come principio e come scopo il bene,
inteso come il bene della città nel suo insieme e non solo quello di una parte di
essa. In questo senso, Platone è critico sia rispetto all’educazione impartita
privatamente, in famiglia, come nella tradizione della democrazia ateniese, sia
rispetto a quella impartita per mezzo dell’insegnamento a pagamento dei sofisti
come accadeva per i rampolli dei ceti ricchi nella polis democratica.
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