Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 1 of 18 PROGETTO: NEL SEGNO DI HUME (in collaborazione con la SFI e la Biblioteca filosofica di Firenze) Scuola Istituto Statale di Istruzione Superiore "P. Aldi" di Grosseto Sezioni associate: Liceo Classico, Liceo Scientifico, Liceo Scientifico Scienze Applicate Sezioni partecipanti Liceo Classico e Liceo Scientifico Docenti responsabili Proff. Paolo Carmignani, Walter Lorenzoni, Antonella Gedda. Destinatari Alunni delle classi quarte e quinte Liceo Scientifico e delle classi seconde e terze Liceo Classico Tematica scelta “Hume e la libertà” e “Hume e la conoscenza” Breve descrizione delle attività: Gruppo A (studenti classi penultime) 1a) incontro preliminare sul pensiero di Hume e sul contesto storico (l’Illuminismo) indispensabile ad introdurre gli studenti nella tematica in oggetto 2a) incontro di esposizione della tematica in oggetto attraverso la riflessione di alcuni passi di opere humiane per evidenziare il tema dell’autodeterminazione umana anche attraverso il confronto con passi di autori diversi finalizzati ad ammettere la possibilità di un’etica laica. Saranno evidenziate alcune posizioni significative, sull’eticità di una scelta estrema attraverso il confronto con il pensiero della tradizione cattolica (S. Agostino, S. Tommaso, Catechismo Chiesa Cattolica), il pensiero antico (Platone, Aristotele, Seneca) e moderno (Kant, Schopenhauer, Leopardi). Sul tema della libertà e sulla possibilità di un’etica laica sarà favorita la riflessione attraverso alcuni passi di Dostoevskij (I fratelli Karamazov), Sartre (la libertà), Vito Mancuso (La vita autentica), Eugenio Lecaldano (Un’etica senza Dio). 3a) incontro in cui gli studenti presenteranno riflessioni conclusive e/o eventuali questioni sulla tematica affrontata. Gruppo B (studenti classi ultime) 1b) incontro di introduzione ed esposizione della tematica in oggetto attraverso la presentazione, lettura e riflessione di alcuni passi di opere humiane (Trattato della natura umana e Ricerca sull’intelletto umano) 2b) incontro in cui si evidenzieranno posizioni diverse a quelle di Hume ed alcune possibili conseguenze problematiche nell’ambito dell’epistemologia contemporanea (Popper, Russel..) 3b) incontro in cui gli studenti presenteranno riflessioni conclusive e/o eventuali questioni sulla tematica affrontata. Gli incontri si svolgeranno in orario extracurricolare nei locali scolastici, durante un periodo compreso fra novembre 2011 ed aprile 2012. Di ogni incontro sarà tenuta un'agenda come memoria degli incontri e degli argomenti affrontati. Alla fine dell’attività ogni gruppo cercherà di identificare la/le questioni più rilevanti, di indicare alcune parole chiave, di produrre una o più domande significative. II materiale prodotto, supervisionato dai docenti, sarà assemblato in modo da essere utilizzare in eventuali incontri con esperti o altri studenti. Se previsto gli studenti parteciperanno ad eventuali (almeno una) conferenze (o videoconferenze) sui temi in oggetto secondo le modalità da concordare con la SFI e ad eventuali incontri con altri studen Grosseto, 24 ottobre 2011 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 2 of 18 PROGETTO NEL SEGNO DI HUME (in collaborazione con la SFI e la Biblioteca filosofica di Firenze) TEMA: Hume e la morale Incontro n° 1 del 23 GENNAIO 2012 La riflessione proposta in questo primo incontro riguarda alcune considerazioni di carattere filosofico che, a partire dal pensiero di Hume (1711-1776), vorrebbero contribuire all’approfondimento ed alla discussione di un problema così delicato ed attuale come quello che cerca di stabilire quali siano i fondamenti dell’etica, definibile come una dottrina o un’indagine speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo di fronte ai due concetti del bene e del male. In una società complessa, in cui convivono molteplici culture, religioni e abitudini diverse, spesso c’è una scarsa integrazione e, talvolta, prevalgono l’indifferenza, la diffidenza o addirittura la condanna reciproca. Un contributo significativo che il pensiero di Hume, oggi, può dare alla discussione intorno a questi temi, è il rifiuto dell’autoreferenzialità in ambito etico. Essere autoreferenziali significa essere convinti di possedere la verità e di essere nel giusto, significa non mettersi in discussione e rifiutare il confronto e il dialogo, su un piano di reciprocità, con posizioni diverse dalle proprie. Hume, che ha pagato in prima persona il dissenso e l’ostracismo per alcuni suoi scritti da parte dell’autorità accademica ed ecclesiastica inglese, ritiene, invece, che non si possa ricavare alcuna legge morale né dal ragionamento, né tantomeno dalla conoscenza. Gli studiosi parlano di “Legge di Hume” per sottolineare questo pensiero del filosofo scozzese: << È chiamata Legge di Hume quella norma – fatta valere in ambito etico e giuridico – secondo la quale è indebito ogni passaggio dal campo della conoscenza a quello della morale, cioè ogni deduzione da asserti di tipo ‘descrittivo’, che dicono come sono le cose, ad asserti di tipo normativo, che dicono come le cose devono o dovrebbero essere . L’intento di tali teorie è quello di escludere - nel nome di Hume - ogni rapporto diretto fra il piano della conoscenza e quello dell’etica, con la conseguente fondazione dell’etica su sole basi emozionali o sentimentali >>1 Le parole di Hume da cui viene fatta derivare la cosiddetta “legge” recitano: << In ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l’autore va avanti per un po’ ragionando nel modo più consueto, e afferma l’esistenza di Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutt’a un tratto scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule “è” e “non è” incontro solo proposizioni che sono collegate con un “deve” o “non deve”. Si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti dato che questi “deve” o “non deve” esprimono una nuova relazione o affermazione, è necessario che siano osservati o spiegati, e che allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile, ovvero che questa nuova relazione possa costituire una deduzione da altre relazioni da essa completamente differenti. >> [Trattato sulla natura umana,libro III, sez. 1] Separare il piano della conoscenza da quello della morale, come ha proposto Hume, significa negare la pretesa di chi sostiene di poter dedurre che cosa si dovrebbe fare o non fare, perché convinto di conoscere che cosa sia il bene e il male dal punto di vista dell’universalità e della necessità. Fondare la morale come fa Hume sull’emozionalità e il sentimento, non sulla ragione o sulla religione, significa, invece, proporre un’etica che giudica i comportamenti umani, morali o immorali, affidandosi esclusivamente ad una spontaneità che è propria della stessa natura umana. Non facendo derivare la morale da alcuna dottrina religiosa o conoscenza razionale, si riconosce all’uomo, in ambito morale, autonomia, libertà e, dunque, responsabilità. 1 Esposito, Porro, Filosofia moderna, Laterza 2009, p.326 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 3 of 18 Supposto questo possiamo forse affermare che Hume ha dato consistenza alla richiesta di coloro che sono convinti della possibilità di una morale laica, contraria, cioè, a qualsiasi fondamentalismo etico di matrice religiosa, scientifica, filosofica, politica, ecc… , rispettosa delle diversità e che non “pretenderà mai di imporre con qualsiasi mezzo una pretesa verità morale a coloro che non la ritengono tale”2 Il fondamentalismo etico sottintende una specie di totalitarismo, ovvero un sistema che prescrive e controlla tutti gli individui in nome di un pensiero unico o, quantomeno, di un pensiero che ritiene di essere superiore ad altri. Il fondamentalismo etico, inoltre, ha bisogno di “sacerdoti”, i custodi della verità morale, di “guide”, i maestri autorizzati, e di “guardiani”, i controllori e, quando è necessario, i repressori. Poco importa se chi ritiene di detenere la verità morale sia una dottrina religiosa, un’ideologia politica o una teoria scientifico-razionale; è comunque questo il primo passo verso una società integralista, o uno stato etico, o una società della scienza che pretende di avere il monopolio della verità sul bene e sul male e di conformare ad essa il comportamento umano. Noi riteniamo che tutto questo ostacoli di fatto la libertà, la consapevolezza e la responsabilità dell’uomo, limitando di fatto la dignità della persona. Noi crediamo che il pensiero di Hume contribuisca a sviluppare gli anticorpi che dovrebbero immunizzarci da qualsiasi forma di totalitarismo etico. Grosseto, 23 gennaio 2012 2 E. Lecaldano, Un’etica senza Dio, Laterza, 2006, p. XII. Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 4 of 18 PROGETTO NEL SEGNO DI HUME (in collaborazione con la SFI e la Biblioteca filosofica di Firenze) TEMA: Hume e la morale Incontro n° 2 del 2 marzo 2012 Nel precedente incontro abbiamo cercato di definire con l’espressione fondamentalismo etico, un modo d’intendere la morale attraverso una serie di prescrizioni, ovvero di dettami che riguardano il comportamento umano, ricavandole o da una dottrina religiosa, o da una teoria razionale filosofica, scientifica o politica che pretende di asserire in modo necessario e definitivo cosa sia il bene e il male. Abbiamo sottolineato che il fondamentalismo etico è autoreferenziale; per questo, in una società multiculturale, non favorisce una convivenza civile fondata sul riconoscimento e sul reciproco rispetto delle diversità. Abbiamo affermato, altresì, che il pensiero di Hume, oggi, rappresenta ancora un importante esempio di opposizione al cosiddetto fondamentalismo etico. In particolare, ci siamo soffermati sulla cosiddetta “Legge di Hume” che esclude di poter ricavare una prescrizione etica, che afferma il “dover essere” (cioè come dovrebbe essere il comportamento morale), da una descrizione o da un ragionamento che, invece, si limita a riferire “l’essere” (cioè descrive come è fatta la realtà). In altre parole significa che se vogliamo una convivenza rispettosa delle diverse sensibilità religiose e culturali non si potrà individuare una nozione condivisa di “bene e male” ricavandola dal pensiero unico di una dottrina religiosa o di un’ideologia politica o di una teoria scientifica, sarà necessario esplorare altre modalità che si affidino a criteri diversi da quelli del cosiddetto fondamentalismo etico. Il tema dell’incontro di oggi riguarda una riflessione sulla morale di Hume3 Per Hume la vita morale non consiste in un agire conforme a ragione, giacché quest'ultima non è né morale né immorale, bensì nel dare libero corso a quel sentimento o istinto di simpatia e di socievolezza nel quale Hume ripone il senso più genuino dell'esperienza etica e sociale. La società nasce dal sentimento di simpatia che gli uomini provano naturalmente gli uni per gli altri. Il suo scopo è quello di armonizzare gli interessi individuali con quelli collettivi. Dal punto di vista della religione, data l'impossibilità di trascendere l'esperienza, Hume deduce che è impossibile dimostrare razionalmente l'esistenza di Dio. La religione non è, per Hume, un fatto di scienza, tutt'al più un fatto di natura4. Lettura e riflessione su brani tratti dalle seguenti opere. Hume, Opere, Trattato sulla natura umana, libro terzo, parte prima, e Dissertazione sulle passioni, Libro secondo, Sezione prima, Laterza - Bari 1971. Definito che per Hume la morale non può derivare da una costrizione esterna (es. religione), né tantomeno dalla ragione, perché coinvolge le passioni umane, i principi di essa derivano da un comune e spontaneo sentimento di sim patia verso gli altri che ci spinge a condividere un giudizio di approvazione o disapprovazione rispetto alle azioni umane. Per Hume non esistono azioni buone 3 4 Filosofo inglese (Edimburgo 1711-1776). Attratto fin da giovanissimo dagli studi di filosofia e di erudizione storica, si recò in Francia dove rimase dal 1734 al 1737. Risale a questo periodo la composizione della sua prima e fondamentale opera, il Trattato sulla natura umana (1738). Rientrato in Inghilterra, pubblicò nel 1742 i Saggi morali e politici. Nel 1748 pubblicò le Ricerche sull'intelletto umano, nel 1751 le Ricerche sui princípi della morale, e la Storia naturale della religione nel 1757. I dialoghi sulla religione naturale, composti vari anni prima, apparvero postumi nel 1779 a causa del loro dichiarato ateismo. Da ricordare, infine, la pubblicazione della Storia d'Inghilterra (1763). Le informazioni sono state acquisite da http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Hume.html . Per una sintesi del pensiero di Hume vedi anche http://it.wikipedia.org/wiki/David_Hume, oppure http://www.filosofico.net/hume.htm Le informazioni sono state acquisite da http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Hume.html Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 5 of 18 o malvagie in sé, né comportamenti virtuosi o viziosi per loro carattere intrinseco. Il bene e il male derivano dal coinvolgimento passionale, dal piacere o dolore che possiamo ricavare da un determinato comportamento. La felicità o il dolore degli altri ci coinvolge per simpatia naturale; se fossimo indifferenti, dice Hume, il comportamento altrui ci risulterebbe assolutamente estraneo; ma proprio perché siamo portati verso gli altri non possiamo essere indifferenti e esprimiamo un giudizio di approvazione o meno a seconda che riteniamo tale comportamento riprovevole o favorevole per la società. Hume, dunque, esclude il razionalismo etico e ci mostra un percorso che ci impegna sul piano della “scelta di coscienza”. Il fondamentalismo etico non valorizza la scelta di coscienza, ma l’obbligatorietà. Un comportamento è morale se conforme ad un fine che è deciso da un’autorità religiosa o laica. In questo senso il principio che orienta l’azione morale sarebbe deliberato una volta per tutte. Hume, invece, vuole mostrare che il principio che orienta la scelta morale deriva da un giudizio d’approvazione condiviso e posto al servizio dell’utilità sociale. Egli valorizza la “scelta” secondo coscienza. Mi pare importante sottolineare due aspetti: 1. Utilità non vuol dire opportunismo, né bieco egocentrismo, significa prediligere il comportamento della scelta secondo coscienza, per ottenere il massimo vantaggio sì, ma per il maggior numero di persone possibile. 2. L’atteggiamento di Hume sembra rifuggire dal dogmatismo etico per orientarsi verso una realistica comprensione del fatto che, in una moderna società civile, le opinioni in ambito morale, pur nei confini delineati dalla legge, sono affidate alla volontà dei singoli impegnati in un confronto continuo, teso al conseguimento della più ampia condivisione. Maggiore condivisione, però, non significa unanimità ed è bene tenere presente questo fatto quando si tratta di decidere intorno alle questioni morali che riguardano la propria individualità senza coinvolgere gli altri [come ad esempio alcune scelte di ambito cosiddetto bioetico]. Conclusione: possiamo affermare che il pensiero di Hume in ambito morale è certamente laico, ovvero consapevole del fatto che in una società civile sia: necessario escludere qualsiasi forma di fondamentalismo etico ammettere una legislazione che favorisca la libertà di coscienza evitare di pretendere l’unanimità nella condivisione di principi o comportamenti morali Da questo punto di vista propongo la prossima volta alcuni esempi in cui l’etica di Hume conserva una sua attualità. Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 6 of 18 I Brani riportati sono estratti da: D. Hume, Opere, 2 voll., Editori Laterza- Bari 1971 a cura di E. Lecaldano e E. Mistretta D. Hume, Opere, Trattato sulla natura umana, Libro secondo, Parte terza, Laterza - Bari 1971. […] pp. 433-4365 Non c’è nulla di più comune in filosofia, e anche nella vita quotidiana, che parlare del conflitto tra passione e ragione per dare la palma alla ragione, e per affermare che gli uomini sono virtuosi solo nella misura in cui obbediscono ai suoi comandi. Si sostiene che ogni creatura razionale ha l’obbligo di regolare le proprie azioni secondo i dettami della ragione, e che nel caso in cui ci sia qualche altro motivo o principio che pretenda di determinare la sua condotta, deve opporsi a esso finché non sia completamente domato o almeno conciliato con quel principio superiore. La maggior parte della filosofia morale, antica e moderna, sembra fondarsi su questo modo di pensare; e non c’è nulla che offra maggior spazio sia alle disquisizioni metafisiche, come alle declamazioni popolari, quanto questa presunta superiorità della ragione sulla passione. Si sono poste nella miglior luce l’eternità, l’invariabilità e l’origine divina della prima; mentre si è continuamente insistito sulla cecità, incostanza e falsità della seconda. Per dimostrare come tutta questa filosofia sia erronea, cercherò di dimostrare in primo luogo che la ragione, da sola, non può mai essere motivo di una qualsiasi azione della volontà; e in secondo luogo che la ragione non può mai contrapporsi alla passione nella guida della volontà. [...] Ma se la ragione non ha questa influenza originaria è impossibile che possa ostacolare un principio che invece possiede tale capacità, o che riesca a fare esitare la nostra mente sia pure per un attimo. Risulta quindi chiaro che il principio che si contrappone alla passione non può coincidere con la ragione e solo impropriamente lo si chiama così. Non parliamo né con rigore né filosoficamente quando parliamo di una lotta tra la passione e la ragione. La ragione è, e può solo essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse. Hume, Opere, Trattato sulla natura umana, libro terzo, parte prima, Laterza - Bari 1971. […] pp. 482-483 6 Quei sistemi che affermano che la virtù non è nient’ altro che il conformarsi alla ragione; che ci sono, tra le cose, un'armonia e una disarmonia eterne, uguali per ogni essere razionale che le considera; che le misure immutabili del giusto e dell'ingiusto impongono un obbligo non solo alle creature umane, ma anche alla stessa Divinità: tutti questi sistemi condividono l'opinione che la moralità, come la verità, venga colta semplicemente mediante idee e mediante la loro giustapposizione e il loro confronto. Perciò, per giudicare questi sistemi, non dobbiamo far altro che 5 Hume allontanandosi da una tradizione filosofica consolidata ritiene che la ragione non è superiore alle passioni, ma ne è schiava 6 Hume vuole mostrare che la morale non può derivare dalla ragione Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 7 of 18 considerare se con la sola ragione sia possibile distinguere tra il bene e il male morale, o se per metterci in condizione di fare questa distinzione si debba avere il concorso di qualche altro principio. Se la morale non avesse naturalmente alcuna influenza sulle passioni e sulle azioni umane, sarebbe vano darsi tanta pena per inculcarla; e non vi sarebbe nulla di più sterile dell a molteplicità di regole e di precetti di cui abbondano tutti i moralisti. Di solito si suddivide la filosofia in speculativa e pratica; e dato che la morale viene sempre fatta rientrare nella seconda, si ritiene che essa abbia un'influenza sulle nostre passioni e sulle nostre azioni, e che vada al di là dei giudizi calmi e indolenti dell'intelletto. Ciò viene confermato dall'esperienza comune che ci dice come gli uomini siano spesso guidati dai loro doveri e siano distolti dal compiere certe azioni dal pensiero che sono ingiuste, e spinti verso altre dal pensiero che sono obbligatorie. Quindi, poiché la morale ha un'influenza sulle azioni e sulle affezioni, ne consegue che essa non può derivare dalla ragione, e ciò in quanto la sola ragione, come si è già dimostrato non può mai avere un'influenza del genere. La morale suscita le passioni e produce o impedisce le azioni. La ragione di per se stessa è del tutto impotente in questo campo. Le regole della morale, perciò, non sono delle conclusioni della nostra ragione. […] pp. 488-489 Quindi, insomma, è impossibile che la distinzione tra bene e male morale possa essere stabilita dalla ragione, in quanto questa distinzione ha sulle nostre azioni un’influenza della quale la ragione da sola è del tutto incapace. In verità la ragione e il giudizio possono essere la causa mediata di un’azione; risvegliando o orientando una passione: ma non possiamo pretendere che un giudizio di questo tipo con la sua verità e falsità, sia accompagnato dalla virtù o dal vizio. […] pp. 496 - 4977 Non posso evitare di aggiungere a questi ragionamenti un’osservazione, che può forse risultare di una certa importanza. In ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l’autore va avanti per un po’ ragionando nel modo più consueto, e afferma l’esistenza di Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutt’a un tratto scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule “è” e “non è” incontro solo proposizioni che sono collegate con un “deve” o “non deve”. Si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti dato che questi “deve” o “non deve” esprimono una nuova relazione o affermazione, è necessario che siano osservati o spiegati, e che allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile, ovvero che questa nuova relazione possa costituire una deduzione da altre relazioni da essa completamente differenti. Ma poiché gli autori non seguono abitualmente questa precauzione, mi permetto di raccomandarla ai lettori, e sono convinto che un minimo di attenzione a questo riguardo rovescerà tutti i comuni sistemi di morale e ci farà capire che la distinzione tra il vizio e la virtù non si fonda semplicemente sulle relazioni tra gli oggetti e non viene percepita mediante ragione. 7 È questa la cosiddetta LEGGE DI HUME Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 8 of 18 Hume, Opere, Trattato sulla natura umana, libro terzo, parte terza, Laterza - Bari 1971. […] pp. 608-609 e 6118 Per scoprire la vera origine della morale, e di quell’amore o odio che nasce dalle qualità morali, dobbiamo approfondire alquanto la questione e rifarci a dei princìpi che abbiamo già esaminato e spiegato. Possiamo cominciare prendendo daccapo in considerazione la natura e la forza della simpatia. Gli animi degli uomini sono simili nei loro sentimenti o nelle loro operazioni, né esiste un sentimento che si produca in una persona di cui non partecipino, in qualche grado, tutte le altre. Come quando ci sono delle corde ugualmente tese, se una si muove il suo moto si comunica a tutte le altre, così ogni sentimento che noi possiamo provare passa facilmente da una persona a un’altra e produce nelle creature umane i movimenti corrispondenti. Quando io scorgo nelle voci o nei gesti di una persona gli oggetti di una passione, il mio animo trascorre immediatamente da questi oggetti alle loro cause, e si forma una idea della passione talmente viva che si muta subito nella passione medesima. Similmente quando avverto le cause di qualche emozione, il mio animo è portato agli effetti ed è preso da una grande emozione [...]. Ora noi siamo certi che la simpatia è un principio potentissimo nella natura umana. Siamo anche certi che essa esercita una grande influenza sul nostro senso della bellezza, sia che riguardiamo gli oggetti esterni sia che giudichiamo della morale. Noi troviamo che essa ha forza sufficiente per produrre i più forti sentimenti di approvazione quando opera da sola e senza il concorso di altri princípi, come nei casi della giustizia, dell’obbedienza, della castità e delle buone maniere. Possiamo osservare che tutte le circostanze richieste per le sue operazioni si trovano nella maggior parte delle virtù, che hanno una tendenza al bene della società o della persona che le possiede. Se si confrontano tutte queste circostanze, non avremo dubbi che la simpatia costituisce la fonte principale delle distinzioni morali. La giustizia è certamente approvata perché tende al pubblico bene, e questo ci lascia indifferenti a meno che la simpatia non ci interessi ad esso. Lo stesso possiamo presumere a proposito di tutte le altre virtù che abbiano un’uguale tendenza al pubblico bene. Tali virtù derivano il loro merito dalla nostra simpatia per quanti ne ottengono qualche vantaggio; così le virtù che tendono al bene della persona che le possiede derivano il loro merito dalla simpatia che nutriamo per essa. La maggior parte degli uomini concederà prontamente che le qualità utili dello spirito sono virtuose appunto per la loro utilità. Questo modo di pensare è così naturale ed è tanto frequente, che pochi esiteranno ad ammetterlo. Una volta concesso questo, occorre necessariamente riconoscere la forza della simpatia. La virtù è considerata come mezzo a un fine. Ora i mezzi rispetto a un fine sono valutati solo quando il fine è valutato. Ma la felicità degli estranei ci colpisce unicamente per la simpatia, ed è dunque a questo principio che dobbiamo attribuire il sentimento di approvazione per tutte le virtù utili alla società o alla persona che le possiede. Questo fatto costituisce la parte più notevole della morale. 8 In questo brano Hume parla della simpatia come di un sentimento naturale comune a tutti gli uomini e che costituisce il fondamento della morale. Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 9 of 18 D. Hume, Opere, Dissertazione sulle passioni, Libro secondo, Sezione prima, Laterza, Bari 1971, p. 365 Alcuni oggetti producono immediatamente una sensazione gradevole, grazie alla struttura originaria dei nostri organi, e son quindi denominati BENE; altri, invece, per la loro sensazione immediatamente sgradevole che producono, ricevono l’appellativo di MALE . Così, il calore moderato è gradevole ed è un bene; un caldo eccessivo è doloroso ed è un male. Alcuni oggetti, inoltre, essendo naturalmente conformi o contrari alla passione, suscitano una sensazione gradevole o dolorosa e sono quindi chiamati bene o male. La punizione di un avversario, appagando il desiderio di vendetta, è un bene; la malattia di un compagno, colpendo l'amicizia, è male. Ogni bene o ogni male, quale che sia la loro fonte, producono varie passioni e affezioni a seconda della luce in cui li si vede. Quando il bene è certo o molto probabile, produce GIOIA, quando lo è il male, sorgono AFFLIZIONE o DOLORE. […] Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 10 of 18 PROGETTO NEL SEGNO DI HUME (in collaborazione con la SFI e la Biblioteca filosofica di Firenze) TEMA: Hume e la morale Incontro n° 3 Nel precedente incontro abbiamo riflettuto sul fatto che Hume fa dipendere la morale non dalla ragione, come una significativa tradizione asserisce, bensì dalla simpatia. Con questo termine il filosofo scozzese intende: <<un principio potentissimo della natura umana […] essa ha forza sufficiente per produrre i più forti sentimenti di approvazione quando opera da sola e senza il concorso di altri princípi, come nei casi della giustizia, dell’obbedienza, della castità e delle buone maniere.>>9 I principi della morale derivano da un comune e spontaneo sentimento di simpatia verso gli altri che ci spinge a condividere un giudizio di approvazione o disapprovazione rispetto alle azioni umane. Questo porta come corollario che, per Hume, non esistono azioni buone o malvagie in sé, né comportamenti virtuosi o viziosi per loro carattere intrinseco . Il bene e il male derivano dal coinvolgimento passionale, dal piacere o dolore che possiamo ricavare da un determinato comportamento. <<Alcuni oggetti producono immediatamente una sensazione gradevole, grazie alla struttura originaria dei nostri organi, e son quindi denominati BENE; altri, invece, per la loro sensazione immediatamente sgradevole che producono, ricevono l’appellativo di MALE . Così, il calore moderato è gradevole ed è un bene; un caldo eccessivo è doloroso ed è un male. […] Alcuni oggetti, inoltre, essendo naturalmente conformi o contrari alla passione, suscitano una sensazione gradevole o dolorosa e sono quindi chiamati bene o male.>> 10 La felicità o il dolore degli altri ci coinvolge per simpatia naturale; se fossimo indifferenti agli altri, il loro comportamento ci risulterebbe assolutamente estraneo, ma proprio perché siamo portati verso gli altri non possiamo essere indifferenti e esprimiamo un giudizio di approvazione o meno, a seconda che riteniamo tale comportamento riprovevole o favorevole per la società. Hume vuole mostrare che il principio che orienta la scelta morale deriva da un giudizio d’approvazione condiviso e posto al servizio dell’utilità sociale. Perciò esclude qualsiasi principio morale a priori e indica un percorso che impegna sul piano della “ scelta di coscienza”. In conclusione: possiamo affermare che il pensiero di Hume in ambito morale è certamente laico ovvero consapevole del fatto che in una società civile sia: a) necessario escludere qualunque forma di fondamentalismo etico b) ammettere una legislazione che favorisca la libertà di coscienza c) evitare di pretendere l’unanimità nella condivisione di principi o comportamenti morali Il tema di oggi riguarda alcune riflessioni intorno a problemi etici con riferimento a Hume Utilizziamo alcune parole del discorso di Papa Benedetto XVI che, il 30 marzo 2006, ha rivolto ai deputati del Partito Popolare Europeo11, come esempio di atteggiamento etico, derivato da una dottrina religiosa, che si propone come pensiero unico, escludendo qualsiasi compromesso: “Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l'interesse principale dei suoi interventi nell'arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principí che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti: 1) tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale; 2) riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, ….... 3) tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli. 9 D. Hume, Opere, Trattato sulla natura umana, libro terzo, parte terza, Laterza - Bari 1971, p. 611 D. Hume, Opere, Dissertazione sulle passioni, Libro secondo, Sezione prima, Laterza, Bari 1971, p. 365 11 Non c’è alcuna intenzione di criticare le parole del papa, né di entrare nel merito della dottrina morale della Chiesa. Riteniamo emblematiche queste affermazioni del pontefice come esemplificazione di una concezione etica che propone alcuni “principi non negoziabili” ovvero che si ritiene essere connaturati all’esistenza stessa dell’uomo e, dunque, senza possibilità di poter essere eventualmente oggetto di condivisione con princîpi etici diversi 10 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 11 of 18 Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l'umanità. L'azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa.” Qui, non si tratta si discutere sul valore o meno di tali principi; si tratta, invece, di discutere intorno alla forma in cui l’autorità ecclesiastica li propone. Mi pare di poter dire che l’intenzione delle parole sia di proporsi universalmente, appellandosi alla natura umana e, dunque, non ad una specifica dottrina. Mi vengono in mente la Dichiarazione universale dei diritti naturali dell’uomo del 1789 o la Dichiarazione dei diritti umani del 1948. In tutti questi casi si fa appello alla natura. Poiché si suppone di conoscere la natura umana, o meglio i diritti naturali, ci si ritiene competenti a derivare da tale conoscenza il dover-essere del comportamento morale. Mi pare che, in questo modo, si vada contro la “Legge di Hume”. Il filosofo scozzese, infatti, è critico sia rispetto all’etica di derivazione religiosa, sia a quella di derivazione giusnaturalistica. La conoscenza ci dice quali sono i “fatti”, la morale, invece, ci dice quali sono “i doveri”. Non si può passare dal piano della conoscenza a quello dell’etica. I fatti in sé non sono né buoni, né cattivi. È il giudizio che esprimiamo su essi che ne decide la moralità. Per Hume tale giudizio si fonda non sulla ragione, ma sul sentimento della simpatia. Il problema è: “Se l’etica non deve poggiare su una religione, o su un diritto naturale, su che cosa possiamo fondare quei valori che associamo al bene?” La risposta di Hume è : sul SENTIMENTO, inteso come “sentire comune”, che possiamo ritrovare in tutti gli uomini accomunati da una simile natura. La simpatia come attrazione verso gli altri e come sentire comune. Per Hume un comportamento è ritenuto morale se c’è un comune sentimento d’approvazione, se produce un piacere disinteressato; allo stesso modo un comportamento che produce un comune sentimento di disapprovazione, è ritenuto immorale. Nessun comportamento, inteso come “fatto” è in sé buono o cattivo. Si esclude qualsiasi naturalità del bene o del male e qualunque tipo di conoscenza a priori del bene e del male, se non comparandolo naturalisticamente a ciò che è favorevole alla vita ed a ciò che è contrario ad essa. Questo significa che per Hume i valori non si fondano sulla conoscenza, ma su una scelta di coscienza. Le norme etiche e giuridiche non sono derivabili da proposizioni descrittive. La scienza sa, l’etica valuta. Da ciò deriva un problema: “Se l’etica si fonda su una scelta di coscienza, potremmo allora parlare di relativismo o addirittura di nichilismo?” Il problema esiste. Dobbiamo ammettere che il rifiuto del cosiddetto fondamentalismo etico può condurre ad un relativismo che, in nome della scelta di coscienza individuale, giustifichi qualunque azione. Si tratta però di valutare le alternative. Hume propone un criterio di utilità. Ad esempio noi approviamo la giustizia come valore, perché essa tende al pubblico bene. È sufficiente pensare al “pubblico bene” come criterio per sfuggire al relativismo? A nostro avviso il sentimento di approvazione o disapprovazione condivisa intorno a scelte o valori, da non confondersi con il conformismo, rappresenta un antidoto all’individualismo etico e valorizza le qualità proprie della persona umana. È nella dimensione sociale/comune dell’approvazione o disapprovazione di un determinato comportamento ( quindi sulla decisione intorno alla sua moralità o immoralità) che consiste il superamento del relativismo tradizionale, quello cioè della sofistica di Protagora per cui “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono, in quanto sono e di quelle che non sono, in quanto non sono”. Già Socrate criticava tale posizione e comprendeva la necessità di una condivisione di valori per poter parlare di morale e non di arbitrio. Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 12 of 18 Resta il problema del nichilismo, ovvero la posizione di chi nega la realtà di valori morali assoluti e di una verità universale. Il problema è complesso e non è possibile affrontarlo in questa sede, ma, per il nostro discorso, ci basti dire che nelle civiltà della storia, i diversi popoli hanno comunque attribuito un significato al termine bene e male. Ne hanno individuato i contenuti e indicato, di fatto, una serie di comportamenti morali ed una serie di comportamenti immorali, affidandosi ora alla religione, ora alla politica, ora alla filosofia ma creando, comunque, un codice di regole, generalmente condivise, per distinguere ciò che è morale da ciò che non lo è. Negare l’esistenza della pratica morale, vorrebbe dire negare la possibilità di una qualunque convivenza civile e sottintendere uno stato naturale di bellum omnium contra omnes. Non mi pare, a posteriori, che la storia, fino ad oggi, si sia limitata ad una guerra di tutti contro tutti, ritengo ci siano esperienze, come le produzioni artistiche, scientifiche, politiche, frutto del contributo di generazioni che, a nostro avviso, esaltano la convivenza civile umana. Come afferma il Prof. Lecaldano: “…, l’etica, invece, è attingibile per mezzo della conoscenza empirica che abbiamo della natura umana e della storia della cultura. È una pratica generalmente diffusa tra gli uomini, i quali ne beneficiano per compiere delle scelte in termini cooperativi, regolati e condivisi. Non è necessario disporre di una qualche definizione a priori della natura umana ai fini della comprensione dell’etica. Del resto una definizione in senso proprio della natura umana non è disponibile: essa si costruisce e muta costantemente all’interno del contesto storicoculturale. L’assunzione che vogliamo far nostra è che la capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica Se così è, allora l’etica non è altro che una pratica volta a risolvere la questione di interazione privata e pubblica tra gli uomini e su questa terra.”12 Mi pare sufficiente questo ad ammettere la presenza, nella storia della civiltà umana, di una pratica morale che si è adattata ai tempi ed alle diverse culture, declinandosi in princípi e norme, talvolta antitetiche, ma comunque accomunate dall’intenzione di perseguire quello che, in quel momento, era considerato bene. Tutto questo per sostenere l’esistenza di una morale (versus nichilismo) in ogni tempo, che non può essere ridotta ad arbitrio ( versus relativismo) o a semplice opportunismo. Il vero problema di oggi, dunque, non consiste tanto nel dimostrare l’esistenza di una pratica morale che ha accompagnato la vita degli uomini nella storia, bensì nel cercare di dimostrare se, oggi , è possibile ammettere una morale che derivi da un sentimento naturale, la simpatia, come sostenuto da Hume, oppure no. Ora, nel caso del discorso papale, mi pare che, da un lato, ci sia un richiamo alla natura umana che va oltre ogni dottrina, ma, dall’altro, mi pare che il discorso sia imperativo e che ci sia poco spazio per una scelta di coscienza limitando, di fatto, la libertà personale e dunque, a nostro avviso, la dignità della persona. Promuovere e tutelare la dignità della persona. Cioè favorirla e difenderla con tutti i mezzi a propria disposizione. Cerchiamo di capire cosa significa “dignità della persona”? Nel vocabolario d’italiano alla voce dignità leggiamo: <<nobiltà morale che deriva all’uomo dalla sua natura, dalle sue qualità e insieme rispetto che egli ha di sé e suscita negli altri in virtù di tale condizione.>>13. Oppure, leggiamo: << Rispetto che l’uomo, conscio del proprio valore sul piano morale, deve avere nei confronti di se stesso ed imporre agli altri mediante un comportamento ed un contegno adeguati. >> 14. Quindi dignità va intesa sia come comportamento nobile (esempio: lasciare il posto su una scialuppa di salvataggio ad un’altra persona, anziano, donna o bambino, pur nella incertezza di potersi comunque salvare, è un gesto nobile che evidenzia il valore di chi lo compie ed il valore di chi ne beneficia), sia come rispetto di sé e degli altri (derivato dalla coscienza di 12 Lecaldano Eugenio, Un’etica senza Dio, Editori Laterza, Bari, 2006, pag. 44. Dizionario della Lingua italiana, Edizioni di Repubblica 14 Devoto, Oli, Dizionario della lingua italiana, Loescher 13 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 13 of 18 avere in quanto uomo un valore che riconosciamo a noi e agli altri). Il termine persona ha un significato assai complesso: dal latino significa maschera, e nel linguaggio teatrale indica la parte sostenuta (il personaggio); nel linguaggio giuridico persona è il soggetto di diritto (di una Società ad esempio si dice che ha personalità giuridica; anche i soggetti fisici, in quanto cittadini, sono soggetti fisici con personalità giuridica); in generale persona <<indica un individuo umano in quanto oggetto di considerazione o di determinazione nell’ambito delle funzioni e dei rapporti della vita sociale >>. Quindi essere persona significa ricoprire un ruolo che consiste nell’essere un “soggetto” titolare di un’individualità riconosciuta e considerata dagli altri. Per esempio: in quanto cittadino un individuo è riconosciuto dallo Stato come titolare di diritti e di doveri. Se sono apolide, per lo Stato non esisto come “cittadino”, non ho il diritto di votare, né il dovere di pagare le tasse e lo Stato non ha il dovere di tutelarmi in caso di bisogno. Ma in quanto essere umano, io sono persona e, dunque, ho diritto ad essere considerato e rispettato dagli altri esseri umani. Mi pare che “promuovere la persona” sia un compito assolutamente apprezzabile e sul quale tutti siamo d’accordo. Ma allora dov’è il problema? A mio avviso il problema non riguarda l’oggetto ( ovvero “promuovere la persona”), ma le motivazioni che ci spingono ad accettare tale principio. Dal punto di vista del fondamentalismo etico il principio “promuovere la persona” è riconosciuto come un “dovere” che potrebbe derivare o da una dottrina religiosa o, comunque, da un’altra fonte (potere politico, ecc…). Il fatto stesso che sia posto come un dovere, quindi come un obbligo da ottemperare, onde evitare una sanzione, potrebbe, in ultima istanza, essere la ragione per cui molti sono spinti a perseguire tale principio Dal punto di vista di un’etica non fondamentalista, ovvero laica come quella di Hume, perseguire tale principio deriva, invece, da una <<scelta di coscienza>> che approva il principio della solidarietà fra esseri umani, perché lo ritiene un atteggiamento di simpatia, utile e che tende al pubblico bene. Non un obbligo, quindi, ma una libera scelta! Ora noi riteniamo che la seconda motivazione, rispetto alla prima, sia più rispettosa del principio stesso: “promuovere la dignità della persona”, in quanto valorizza “la scelta di coscienza”, ovvero la libertà. Che la libertà sia il fondamento della dignità umana è riconosciuto da importanti filosofi del passato. Tra questi citiamo due esempi significativi: Pico della Mirandola, riconosciuto come emblema dello spirito dell’Umanesimo rinascimentale, e Immanuel Kant, che alla conclusione della Critica della ragion pura ha affermato che << Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande seguenti: 1. Cosa posso sapere; 2. Cosa devo fare; 3. Cosa ho diritto di sperare. >> Pico della Mirandola dice che la natura stessa dell'uomo, non essendo determinata, come invece lo è per tutte le altre creature, è la condizione che lo rende “speciale”. Proprio perché l'uomo ha una natura indeterminata che lo differenzia dalle altre creature, è responsabile di quello che è: angelo o bruto. L'uomo è un progetto e, per questo, è artefice del proprio destino: [...] Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.- [...] Nell'uomo Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 14 of 18 nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. [...] se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio, [...].» Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate Mi pare, dunque, che la dignità, il valore dell’uomo, consista nella sua libertà di scegliere quello che vuole essere. Il filosofo tedesco Kant (1724 – 1804) nel saggio “Cos’è l'Illuminismo?” del 1784 e, successivamente, anche nella Critica della ragion pratica (1788) parla della libertà. Nel primo caso, come condizione perché si instauri il tempo del “rischiaramento”. Libertà intesa come “libertà di penna”, ovvero di critica, ovvero di pensiero; una libertà, propria degli intellettuali, i quali, attraverso le proprie idee, contribuiscono a formare l’opinione pubblica e, dunque, a far uscire l’uomo dallo stato di minorità intellettuale. Nella successiva Critica Kant parla della libertà15 come postulato pratico, ovvero come conditio sine qua non della morale. Solo in quanto acquisisce la consapevolezza della “legge morale dentro di sé”, l’uomo si eleva dal determinismo naturale e si riconosce parte di un ordine superiore (moralità) che lo eleva al di sopra del meccanicismo fenomenico. Come possiamo notare in questi due pensatori, anche se in termini molto diversi, la condizione che rende l'uomo degno di tale nome è la libertà. Cerchiamo adesso di attualizzare la questione prendendo due casi che hanno fatto molto discutere. Nel dicembre del 2006 Piergiorgio Welby, affetto da SLA da molti anni e costretto a vivere attaccato ad un respiratore meccanico, decide di non accettare più le cure che gli consentono di continuare a vivere, esprimendo il desiderio di farsi staccare la spina da un medico poiché egli non è capace di farlo, in quanto non può muoversi. I mass media si gettano sul caso di cronaca e l'opinione pubblica s'interroga sulla legittimità e moralità di tale scelta. La classe politica e gli intellettuali laici o religiosi si esprimono in modo ovviamente diviso. Contemporaneamente diventa di dominio pubblico un altro caso, quello di una ragazza, Eluana Englaro che, a seguito di un incidente stradale, è da molti anni in uno stato cosiddetto neurovegetativo permanente. I genitori della ragazza decidono di intraprendere una battaglia legale che ha come scopo quello di far rispettare la volontà della figlia che, secondo la loro testimonianza, aveva espresso, quando era in piena salute, la volontà di rifiutare l'accanimento terapeutico. L'opinione pubblica e la classe politica italiana si dividono sulla legittimità o meno di tale scelta che, a differenza del caso precedente, è ancora più complicato perché Eluana non è in grado di esprimere la propria volontà come, invece, aveva potuto fare Welby. Come potete immaginare l'attualità di questi tragiche situazioni non poteva lasciare indifferenti né l'opinione pubblica, né la classe dirigente politica ed intellettuale. La posizione espressa ufficialmente da esponenti importanti del clero cattolico fu di condanna, in modo perentorio, verso qualunque concessione che prevedesse l'interruzione delle cure che, secondo le loro opinioni, avrebbero indotto ad una forma di eutanasia. Mi pare evidente il richiamo alle parole del Papa sulla cosiddetta non negoziabilità del principio di tutela della vita. Chiediamoci cosa significa, in casi così estremi, “promuovere la dignità della persona” ? La risposta fondamentalista, di coloro che affermano il principio della “sacralità della vita” è chiara ed univoca, ma l’imposizione di questo principio attraverso una legge che obbliga anche coloro che non credono nella “sacralità della vita”, a rinunciare alla “scelta di coscienza”, ovvero alla propria libertà, è coerente con il principio che “promuove la dignità 15 A titolo di chiarimento è bene ricordare che quando Kant parla della libertà, intende la libertà della volontà e non la libertà di agire. L’azione deve per Kant essere regolata dal diritto e non dall’arbitrio individuale. Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 15 of 18 della persona”? Se in una società civile il principio della “dignità della persona” è condiviso, come è possibile stabilire quali sono i comportamenti o le azioni che, nella pratica e nei vari casi specifici, dovrebbero promuovere e rendere attuale tale principio? Chi dovrebbe deliberare se, per esempio, l’eutanasia è un omicidio o una scelta personale che, in quanto coinvolge solo la coscienza individuale, dovrebbe escludere qualsiasi interferenza della legge? In uno Stato etico o teocratico, ovvero uno Stato che ritiene di realizzare i principi del sacro e/o della morale e di applicarli attraverso la legislazione e l’educazione dei cittadini, c’è spazio per la libertà? In uno stato democratico, nelle questioni che riguardano le scelte individuali, deve prevalere la volontà della maggioranza anche se ci sono minoranze di opinione diversa, oppure deve prevalere la libertà di coscienza? Se prevale la “dittatura della maggioranza”, il rischio di un “fondamentalismo etico” che inibisce la “dignità della persona” è reale, ma quale alternativa può esistere senza cadere in una sorta di “anarchia” etica, ovvero nel “relativismo” ? Nel settembre del 2006 venne pubblicato il libro di un emerito filosofo italiano, Eugenio Lecaldano, professore di Filosofia morale presso l'Università La Sapienza di Roma. Il titolo è Un'etica senza Dio16: “Un’etica senza Dio non pretenderà mai di imporre con qualsiasi mezzo una pretesa verità morale a coloro che non la ritengono tale; il credere o no in Dio e in quale Dio sarà faccenda pertinente alla sfera privata”. 17 “Noi sosteniamo che solo chi si libera dai dettami religiosi riesce a guadagnare quella condizione che è indispensabile perché vi sia effettivamente una qualche specie di responsabilità morale” 18 16 Lecaldano, Un’etica senza Dio, Editore Laterza, Bari, 2006. La recensione riportata nella nota è di Michele Turrisi in Lettera internazionale n. 92 [2° trimestre 2007]: http://www.letterainternazionale.it/ Lecaldano – professore di filosofia morale presso “La Sapienza” di Roma – sostiene che non solo la morale viene prima della religione, ma questa finisce addirittura per danneggiarla. L’autore intende “mostrare l’inaccettabilità dell’idea di un’indissolubile connessione tra credenze religiose e convinzioni morali, recuperando proprio gli argomenti critici elaborati con grande chiarezza e rigore da molti pensatori dei secoli passati” (di Hobbes, Spinoza, Hume, Kant, Feuerbach, Stuart Mill, Freud). “non solo non è vero che senza Dio non può darsi l’etica, ma anzi è solo mettendo da parte Dio che si può realmente avere una vita morale” In che senso la religione può nuocere all’etica? La risposta di Lecaldano: A) quando si lega l’etica all’esistenza di un Dio rivelato c’è violazione del carattere universale dell’etica: ciò infatti comporta che essa sia possibile solo per una parte dell’umanità (cioè quella che crede esattamente nello stesso Dio). I restanti (gli atei e tutti i diversamente credenti) saranno “biasimati, emarginati, perseguitati o, nel caso migliore, costantemente sollecitati ad abbandonare la loro visione del mondo”. Derivare l’etica da Dio significa concepirla come un insieme di precetti emanati da un’autorità, cosa che – in un certo senso – equivale a togliere valore etico alle norme morali, riducendo il comportamento etico di un individuo alla pura obbedienza, a un comando. B) Che dire poi dell’eclatante impotenza delle morali rivelate di fronte a molte delle questioni nuove poste dalla bioetica? Oltre che per ragioni di principio, dunque, è anche per necessità che l’etica deve camminare sulle proprie gambe. “Un’etica senza Dio non pretenderà mai di imporre con qualsiasi mezzo una pretesa verità morale a coloro che non la ritengono tale; il credere o no in Dio e in quale Dio sarà faccenda pertinente alla sfera privata”. C) Il riproporsi nel dibattito pubblico dell’idea che l’etica sia possibile solo per coloro che aprono le loro vite alla religione e al trascendente, “è il segno di una fase di ripiegamento e di paura della società occidentale”. È in atto la “crisi del processo di sviluppo, apertura e allargamento che la cultura occidentale ha realizzato dall’Illuminismo ad oggi”. D) il libro di Lecaldano non vuole assolutamente seppellire Dio, o assumere un ruolo diretto sul piano politico/giuridico, o costituire un catechismo per non credenti, è un libro squisitamente filosofico, interessato a influenzare nient’altro che le riflessioni critiche delle persone, nella convinzione che la morale e i valori sono qualcosa che non solo può unire credenti e non credenti, ma che addirittura esige da tutti noi un surplus di indipendenza e di autonomia, da realizzare vivendo come se Dio non esistesse”. 17 Lecaldano Eugenio, op. cit., pag. XII 18 Id., op. cit., pag. 31 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 16 of 18 E ancora: “Un’etica senza Dio dovrà ammettere l’esistenza di un gran numero di persone moralmente responsabili e, data la loro autonomia e libertà, dovrà dare per scontato che vi sia una grande diversità nei modi in cui queste persone realizzeranno la propria ricerca di una condotta moralmente responsabile” 19 Con questo testo Lecaldano intende rilanciare l’idea che solo un’etica laica, fondata cioè sulla libera scelta delle coscienze, può unire credenti e non credenti più di quanto possa fare un credo religioso. “L’etica stessa come pratica trova, perciò, il suo fondamento nella natura umana e nella sua storia. Essa è un dato rintracciabile nelle diverse epoche della storia umana e in diverse forme sociali, a prescindere dalla diversità dei valori assunti. È una realtà da spiegare, e non già da fondare. La nostra vita ordinaria e quotidiana è così profondamente segnata dalla nostra inclinazione a tracciare distinzioni etiche che sarebbe una bizzarria sostenere che tale inclinazione non è naturale, bensì frutto di una riflessione che fa leva su comandi o rivelazioni sopraggiunti dall’esterno. Per riconoscere la fondatezza e l’autorevolezza dei principi, delle regole e delle norme che ispirano la vita morale di un essere umano, il non credente non ha bisogno di risalire a Dio, né di sperare in un’altra vita in cui la sua condotta morale trovi il giusto premio. Egli può far ricorso semplicemente alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, alla ragione e alle pratiche riflessive che gli sono abituali”.20 Lo stesso Hume scrive un Saggio, On Suicide, in cui affronta questo tema alla luce del principio della libertà di coscienza. Egli difende la ragionevolezza di togliersi la vita (anche se come decisione estrema) rivendicando il diritto ad agire secondo le proprie convinzioni razionali, e polemizzando contro la morale cristiana che condanna il suicidio come un crimine compiuto contro Dio, contro gli altri e contro se stessi. Il problema non è decidere se Dio esista o meno; tale questione è assolutamente individuale. Si trattadi comprendere, invece, se dietro la parola “Dio” si nasconda il dogmatismo, o meglio il “fondamentalismo etico”.; se “Dio” è diventato il il mezzo affinché una qualsiasi dottrina religiosa, filosofica o politica pretenda di avere un valore assoluto e, dunque, di imporsi a tutti gli uomini Un’etica di questo tipo è auspicabile in una società, come quella di oggi, in cui sono presenti individualità e collettività religiose e culturali diverse? Il teologo Vito Mancuso, con un approccio diverso da quello di Lecaldano che rivendica l’ateismo come l’unica condizione “… che riesce a guadagnare quella condizione che è indispensabile perché vi sia effettivamente una qualche specie di responsabilità morale”21, nel suo libro, Obbedienza e libertà, esamina la questione, da cattolico, del rapporto tra la libertà di coscienza del credente, e il principio di obbedienza all’autorità ecclesiastica ed alla dottrina ufficiale. A prima vista questi due principi, libertà ed obbedienza, sembrano inconciliabili, ma nell’articolazione del suo discorso, che va ben oltre il tema dell’etica, Mancuso spiega il senso del libro: <<Il mio obiettivo consiste nel promuovere pubblicamente la libera ricerca spirituale, all’insegna di una teologia che non risponda al principio d’autorità, ma a quello ben diverso di autenticità. A tale riguardo, la prima indispensabile condizione è la libertà, anzitutto della mente. Ma esiste una seconda condizione, altrettanto essenziale, che è l’amore per la verità, un amore perfino maggiore di quello per la propria libertà, perché solo così si spiega chi per esso giunse a dare 19 Lecaldano Eugenio, op. cit., pag. 34 Id., pag. 45 21 Id., pag. 31 20 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 17 of 18 consapevolmente la vita (da Gesù, ai martiri cristiani, da Jan Hus a Giordano Bruno, da Pavel Florenskij a Dietrich Bonhöffer). Essere liberi nella propria mente e nel proprio spirito, senza alcuna sudditanza “esteriore”, e al contempo coltivare una obbedienza “interiore” alla verità (o, che è lo stesso, al bene, alla giustizia, alla bellezza, all’amore): questo è il senso della vita spirituale, ed è questo l’obiettivo che intendo promuovere.>> 22 Fra le esemplificazioni riportate nel testo, Mancuso fa un riferimento al caso di Eluana Englaro che, per un cattolico, è certamente un caso emblematico, perché riguarda il problema etico, ma anche legislativo e religioso, di riconoscere il diritto individuale di decidere in merito alla propria eutanasia. Al nostro discorso non interessa la posizione assunta dall’autore, ma le possibilità che egli propone. Mancuso individua due alternative possibili. La prima, chiamiamola del fondamentalismo etico, ricorre alla figura del Grande Inquisitore. Immagine emblematica del romanzo, I Fratelli Karamazov, di Dostoevskij.Uno dei Karamazov, Ivan, narra al fratello il racconto che ha intenzione di scrivere e che, in un più ampio tema riguardante la presenza del male nel mondo, affronti il problema della libertà umana. Gli uomini sono peccatori, hanno un animo egoista ed agiscono da opportunisti; Cristo è venuto sulla terra ed ha scelto di sacrificarsi sulla croce per salvare l’uomo. È valso la pena il suo sacrificio? Il suo messaggio d’amore è stato recepito oppure è stato travisato? Pensiamo a quanta violenza ha generato il conflitto religioso nella storia; a quante vittime sono state bruciate in nome della religione. Cristo, non solo ha saputo resistere alle tentazioni del demonio, ma ha scelto la croce; con il suo gesto ha voluto dirci che gli uomini devono conservare la loro libertà di scelta. Ivan immagina che nella Siviglia dell’età della Contrioriforma, in una notte estiva, dopo che il giorno precedente molti eretici erano stati bruciati sulla pubblica piazza, Gesù Cristo torni ad incarnarsi, scenda fra gli uomini e, proprio in questa notte, compia il miracolo di guarire una fanciulla. La folla lo riconosce e lo acclama finché il Grande Inquisitore, un vecchio novantenne che rappresenta l’autorità eticoreligiosa, fa arrestare Gesù. In prigione egli spiega a Cristo perché lo ha fatto arrestare. Tu, dice il Grande Inquisitore, con il Tuo esempio, hai voluto mostrare che gli uomini devono avere la libertà di coscienza. Tu hai sempre detto di volere rendere gli uomini liberi. Ogni uomo può scegliere se aderire al messaggio d’amore di Cristo o farsi tentare dal demonio. Ma la libertà, secondo l’Inquisitore, è proprio la cosa peggiore che gli uomini potrebbero avere; infatti quando gli uomini sono liberi si minaccia l’ordine e la gerarchia sociale. La libertà ed il pane in abbondanza per tutti sono inconciliabili; perché essi non sapranno mai spartirselo. Per questo, dice il Grande Inquisitore, per tutti questi secoli, abbiamo ingannato gli uomini ed abbiamo fatto credere loro alla nostra assoluta autorità, fondata sul miracolo e il mistero; convinti che solo in questo modo essi, animi pessimi e scontenti, avrebbero potuto essere felici. <<Noi avevamo dunque il diritto di predicare il mistero e di insegnare agli uomini che non la libera decisione dei loro cuori né l’amore sono importanti, ma il mistero, a cui devono assoggettarsi ciecamente, anche contro la loro coscienza. Così abbiamo fatto. Abbiamo corretto la tua [di Cristo] opera fondandola sul ‘miracolo’, sul ‘mistero’, sull’’autorità’>>23. È questa la strada di quello che abbiamo definito il “fondamentalismo etico”; una posizione che vuole dirci cosa dobbiamo o non dobbiamo fare, cosa è bene e cosa è male. Per dirla con le parole di Kant, mantiene l’uomo in uno “ stato di minorità” che, a nostro avviso, è incompatibile con un’etica che si confronti con la realtà di oggi. 22 23 Mancuso Vito, Obbedienza e Libertà, Fazi Editore, Roma 2012, pp. 15 e 16. Id., pag. 51 Materiale didattico elaborato da P. Carmignani per gli studenti del Polo Liceale di Grosseto page 18 of 18 La seconda alternativa, invece, contempla la responsabilità della scelta, il valore della libertà di coscienza che il teologo Mancuso ritiene indispensabile affinché l’uomo viva in maniera “autentica” la propria vita. Egli asserisce che il “fine della creazione […] la più alta dignità che l’uomo possa esercitare è proprio l’esercizio della libertà consapevole”24. Egli non solo è convinto che l’uomo sia un essere libero e che progetta la propria vita, ma, riferendosi al suo percorso di ricerca, afferma che: “La possibilità della libera consapevolezza di sé […] costituisce la prima tesi del mio cammino verso la vita autentica: l’uomo autentico è l’uomo libero, l’uomo che costruisce la sua vita su un fondamento interiore tutto suo, sulla sua consapevole e autonoma personalità”25 In conclusione: sia Lecaldano che Mancuso, l’uno dal punto di vista dell’ateo, l’altro del credente, sostengono la necessità di garantire la “libertà di coscienza”, quale condizione fondamentale per un’etica che non sia plasmata da un’autorità dogmatica, ma dalla libera e responsabile convinzione del singolo. In questo modo si salvaguarda la “dignità della persona” e si può evitare il cosiddetto “scontro di civiltà” che, in una società globalizzata e multietnica, sembra incombere in un futuro non troppo remoto. Un’etica che, se vuole promuovere la dignità della persona, deve riconoscere la libertà di coscienza senza trincerarsi dietro un’autorità dottrinale o una presunta convinzione razionale, sia di matrice scientifica che filosofica. Riteniamo che il pensiero di Hume abbia contribuito al riconoscimento della possibilità di un’etica siffatta, che, dopo Machiavelli per la politica e dopo Galilei per la scienza, acquisisse anch’essa autonomia dal principio d’autorità Alcune letture: Eugenio Lecaldano, Un’etica senza Dio, Editori Laterza, 2006 Vito Mancuso, Obbedienza e libertà, Fazi Editore, 2012 Vito Mancuso, La vita autentica, Raffaello Cortina Editore, 2009 David Hume, Sul suicidio e altri saggi morali, Editori Laterza,2008 Federico Fontaneto, Il suicidio e la filosofia. Riflessioni su ‘On Suicide’ di Hume, Ed. Albo Versorio, 2011 Franco Cassano, L’umiltà del male, Editori Laterza, 2011 Gustavo Zagrebelsky, , La leggenda del Grande Inquisitore. A cura di Gabriella Caramore, Morcelliana, 2009 24 25 Id., pag 115 Mancuso Vito, La vita autentica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, pag. 76