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Martiri di ieri e di oggi
VIII incontro - scuola di mondialità LazioUmbria
La scuola di mondialità della zona Lazio-Umbria è giunta al suo ottavo appuntamento con il tema
“ In nome di Dio: martiri di ieri e di oggi” . Ha aperto l’ incontro Andrea Chierici parlandoci di
quelle che sono state le persecuzioni nella
storia. Abbiamo riflettuto sul fatto che le
persecuzioni spesso sono il frutto di una
manipolazione che sfrutta la parte più intima della
persona e per questo la religione. Dire “ In nome
di Dio” dissimula un’ auto-giustificazione e
questo spiega come è possibile che accadano
cose
al
limite
dell’ umano:
diventa
automaticamente opera di Dio e non dell’ uomo.
Le persecuzioni sono caratteristiche di tutte le
religioni, le più famose sono probabilmente quelle
dei cristiani iniziate durante l’ impero Romano, ma
non meno importanti sono quelle nell’ Induismo,
tra le diverse caste, oppure quelle fra Sciiti e
Sunniti.
Queste “ guerre in nome di Dio” hanno diverse
cause, come le crisi economiche, razzismo e
xenofobia, degrado culturale, interessi personali di
leader e politici, cause dal carattere legislativo e di secessione. Con le persecuzioni nascono i
martiri, persone pronte ad essere maltrattate, torturate e addirittura uccise per difendere ciò in cui
credono.
La seconda parte dell’ incontro l’ ha condotta Luigi Territo, gesuita, che lavora presso il centro
Astalli e che ha seguito diversi corsi sull’ Islam, per riuscire a valorizzare al meglio questa cultura.
Ha introdotto il discorso dicendo che il primo effetto delle persecuzioni sono la migrazione e i
rifugiati. Ci siamo soffermati sulla figura del rifugiato: il rifugiato è una persona che non può e non
vuole chiedere protezione al proprio Paese, perché è il Paese stesso ad essere contro di lui. I
motivi della sua migrazione possono essere politici, etnici, religiosi, di violenze, aggregazioni
sociali e motivi sessuali. Essere rifugiati è sempre una conseguenza perché un rifugiato o lascia
il proprio Paese, o muore. Ci ha mostrato i dati raccolti da “ Aiuto alla chiesa che soffre” ,
un’ associazione che fra le altre cose svolge uno studio annuo sul grado di violazione della libertà
religiosa nei diversi Paesi del mondo. In molti Paesi questo tasso di violazione è medio alto
(soprattutto verso la cultura islamica) e spesso non in via di miglioramento.
Terminata questa parte introduttiva ci ha presentato delle figure di martiri moderni. Una fra queste
è quella di Padre Frans Van Der Lugt, un gesuita che ha speso moltissimi anni in Siria, dove è
morto a causa delle persecuzioni dell’ ISIS. Viveva ad Homs, una moderna cittadina siriana che
oggi è completamente distrutta. Padre Frans era diventato la voce della persecuzione, era molto
amato non solo dai cristiani, ma anche da giovani musulmani che lo seguivano nelle attività che
organizzava ed era ben visto anche dal governo. “ Morire di fame è più doloroso che morire per
armi chimiche” dice in una delle sue interviste dopo i primi attacchi terroristici. Ha più volte
dichiarato di non vedere musulmani o cristiani, ma di vedere prima di tutto esseri umani e questa
è stata la ragione per la quale non ha voluto abbandonare la Siria e anzi, grazie a lui, molte
persone sono riuscite ad abbandonare il Paese.
Un’ altra figura sulla quale abbiamo posto attenzione è quella di Jamaal Rahman un ragazzo
musulmano rapito insieme a 27 etiopi cristiani rifugiati in Libia. Non essendo cristiano si sarebbe
potuto salvare ma ha deciso di rimanere insieme ai suoi compagni di viaggio diventati
probabilmente amici. Questo episodio ci mostra che qualunque sia il credo professato, i suoi
estremismi sfociano sempre in qualcosa che non è più religione.
Questi sono solo due dei molti esempi che si possono fare dei martiri di oggi, tante sono le storie
dei perseguitati, delle persone che vogliono essere coerenti verso tutti, fino alla fine.
Nella terza ed ultima parte dell’ incontro è stato protagonista Mohammed, un rifugiato afgano di
religione islamica sciita (appartenente all’ etnia Hazara) fuggito dal suo paese in giovane età. La
sua è stata una testimonianza toccante, una vita sempre in fuga dalla polizia per la paura di
essere rimandato in Afghanistan, sempre in viaggio in condizioni disumane, una vita dentro e
fuori i centri di accoglienza minorile. Una vita che ha trovato pace in un centro per minori a Rieti,
dove Mohammed ha potuto frequentare la scuola media e ottenere lo status di rifugiato. Oggi vive
a Roma, collabora con i centri di accoglienza ed è volontario del Servizio Civile Nazionale, a
favore proprio dei rifugiati, presso la casa salesiana Sacro Cuore.
di Francesca Nobiloni
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