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“Donne & Mediterraneo”
Viaggio alla riscoperta della donna nella
tradizione musicale popolare.
A cura di:
Giustina, Marianna, Simona, Michela, Angela,
Annamaria, Annarosa, e le donne del
laboratorio
“Donne & Mediterraneo”
(Art Village, Dicembre 2012 – Marzo 2013).
Un grazie affettuoso a tutte le protagoniste di questo viaggio:
Antonacci Lidia, Avezzano Concetta, Brigante Elena, Cannone Giovanna, Cocca
Incoronata, Damasco Genny, De Frias Claudia, De Matteis Claudia, Eymensah
Abigail, Fania Annamaria, Fedota Silvana, Ferrante Rosina, Grassi Claudia, Gravina
Maria Soccorsa, Lamacchia Libera, La Pietra Anna, La Pietra Giosiana, Lufino
Angela, Manzaro Asia, Manzaro Ylenia, Mormando Graziana, Nardino Stefania,
Nesta Annamaria, Palmieri Piera, Quagliano Giuseppina, Rizzi Maria, Rizzi Patrizia,
Rubino Angela, Seye Natababa, Traore Ange, Vera Lucia, Vera Patrizia, Vergantino
Costanza. A tutte le animatrici e operatrici di ArtVillage che hanno contribuito alla
riuscita del laboratorio e alla stesura di questo libretto, e alla grandiosa maestra
Giustina Martino.
Ancora un ringraziamento a Graziana per la ricerca delle citazioni, e ad Elvira per
l’attenta revisione.
“Essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede un tale coraggio, una
sfida, che non finisce mai”.
(Oriana Fallaci)
2
Donne & Mediterraneo, una breve introduzione
Il progetto “Donne&Mediterraneo”, ideato in collaborazione con l'Art Village di S.
Severo, Il Cantiere delle Arti, l'ASL di Foggia e l'Associazione MusicaInGioco di
Bari, nasce dal desiderio di intraprendere un viaggio nel mondo Donna, attraverso i
luoghi musicali che il Mediterraneo unisce. Un viaggio che, in questa prima fase, si è
svolto in due direzioni. Da una parte, quella della “Musica eurocolta”, curata da
Marianna Bevilacqua (violino), Michela Celozzi (Violoncello) e Simona De Finis
(Pianoforte), musiciste, oltre che operatrici dell'Art Village. Un viaggio, questo, in
cui l'obiettivo è stato dar voce alla musica delle grandi compositrici della storia,
spesso messe in ombra dalla più o meno consapevole prepotenza culturale e artistica
dei musicisti uomini. Dall'altra parte, quella del “Laboratorio di musica popolare” al
femminile, curato e coordinato da Giustina Martino (operatrice MusicaInGioco, voce,
chitarra, direzione), insieme a Marianna Bevilacqua (violino, voce), Angela
Casteluccia (percussioni, voce), Michela Celozzi (violoncello, voce), Simona De
Finis (percussioni, voce), con la partecipazione fondamentale e ricca di entusiasmo di
Annarosa De Iudicibus, Annamaria Nesta e di tutte le Donne dell'Art Village. Il
laboratorio è stato articolato in tre sessioni, da tre giorni l'una (dicembre 2012,
gennaio e marzo 2013), con una prima esibizione sabato 23 marzo 2013, presso il
Salone Abreu dell'Art Village.
Due direzioni assolutamente conciliabili, due prospettive differenti per ascoltare,
guardare, condividere e riflettere.
Laboratorio corale femminile.
La scelta del termine “laboratorio” non è casuale. Non si tratta di un corso, bensì di
per-corso, una strada da seguire e, allo stesso tempo, da ri-costruire, re-inventare, rivivere. Nel laboratorio tutto può succedere: i vari ingredienti si mescolano, si
separano, si definiscono o perdono la propria identità originaria per trovarne altre. E
così accade per chi al laboratorio prende parte, invitato a mettere in gioco la propria
fantasia, le proprie capacità e creatività, con l'impegno di contribuire attivamente alla
costruzione di un nuovo luogo di interazione.
L'approccio ad alcuni brani della tradizione popolare pugliese e non, da una parte,
rappresenta un pretesto musicale e tematico che si propone come spazio per la
creatività, l'esplorazione di linguaggi “altri”, legati alla musica, al teatro, al
movimento, all'immaginazione. Dall'altra, però, esso rappresenta un'occasione
preziosa per dar vita ad una rete di relazioni umane intense, di condivisione di
esperienze e vissuti, di racconti del passato e desideri da realizzare, dove generazioni
e culture apparentemente distanti fra di loro si incontrano e si confrontano.
Ogni brano affrontato in questa prima serie di incontri è collegato agli altri da un filo
conduttore tematico: la Donna, vista secondo la tradizione musicale popolare. La
Donna che soffre o fa soffrire per amore (Pena non ho per te, Ottava siciliana, Lu

“Solo la donna ci insegnò ad amare. La radice della vita affonda in lei. La donna è come un albero che è
tutt’uno col frutto. Nel suo profondo riposa l’amore eterno, nato con lei, cresciuto con lei, che muore e
risorge con lei”. (G. Groddeck)
3
rusciu de lu mare, Si tu mi spii); la Donna che si pente di aver ceduto alla passione
amorosa, infrangendo le regole non dette di una società ricca di pregiudizi (Sia
maledetta l'acqua); la Donna sfruttata sul lavoro (Fimmene fimmene); la Donna, con
vizi (Baciu 'nvelenatu) e ...virtù (Canzone delle sei sorelle).
Durante il laboratorio, sono state svolte attività “parallele”, ma reticolarmente
intrecciate tra loro: esercizi di respirazione, di tecnica vocale, di improvvisazione
vocale e strumentale, di coordinazione tra suono e movimento, di collegamento
musica e parola.
E, a proposito di parole, la riflessione passa anche attraverso la lettura di testi poetici,
alcuni dei quali selezionati per l'esibizione di fine marzo (Totò, Gabriella Bertini,
Fallaci, Duse).
Si tratta di un inizio, un lavoro appena messo in cantiere, ma ricco di entusiasmo e
idee, di nuove strade da esplorare, e soprattutto guidato dal desiderio di creare uno
spazio musicale e culturale di comunicazione e integrazione, tra Donne ed oltre le
Donne.
Giustina Martino
4
Le donne e la musica “eurocolta”
Programma
 Barbara Strozzi (1619 – 1664)
“Amore è bandito”
 Anna Bolena (1507 – Torre di Londra, 19 maggio 1536)
“Oh Death, rock me asleep (O morte, cullami mentre mi addormento)”
 Francesca Caccini (1587 – 1640)
“Dove io credea le mie speranze vere”
 Teresa Carreno (1853 – 1917)
“Valzer Mi Teresita”.
Violino: Marianna Bevilacqua
Violoncello: Michela Celozzi
Pianoforte: Simona de Finis
Se si ripercorre quello che ci dicono i libri sulla storia della musica, si parla poco di
donne. Questo non significa affatto l’estraneità della donna in contesti musicali
“colti”, dai teatri ai salotti, dalle accademie ai ruoli educativi di rilievo. Quello che è
avvenuto nei secoli è stato piuttosto un processo di dimenticanza nei confronti di
queste grandi protagoniste, rilevanti si, ma anche (un ruolo molto spesso vestito dalle
donne) di sostegno, di colonna portante, per altrettanto grandi uomini. Si è soliti dire
“dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, e dietro Mozart c’era l’affetto
e la stima della sorella Nannerl, con cui iniziò a studiare; Anna Magdalena fu un faro
per J.S. Bach; l’amore di Clara, come si legge dal prezioso e noto carteggio, fu una
caposaldo prima per il marito Robert Shumann, e poi per l’allievo di lui, J. Brahms.
Ancora una donna è il filo conduttore tra quasi tre generazioni di musicisti del primo
XX secolo: da Copland a Baremboim, da Bernstein a Gerswin, da Piazzolla a Piston:
si tratta di Nadia Boulanger, direttrice del Conservatorio Americano di Fontainebleau
dal 1921 fino al 1979, anno della sua morte, uno dei professori di composizione più
influenti del secolo scorso. Degna di nota è ancora una grande donna, la conterranea
Teresa Procaccini, compositrice e insegnante di composizione al Conservatorio di
Santa Cecilia di Roma, dopo essere stata direttrice al Conservatorio di Foggia.
Molti altri sono gli esempi illustri, ma come raccontare in pochi minuti la grandezza
di tali donne? Abbiamo pensato di farlo attraverso le loro parole, oltre che tramite la
loro musica. Questo per andare oltre quello che i libri di storia ci riferiscono, ed
entrare nella profondità dell’animo femminile, che sempre ha qualcosa in più da
raccontare, sempre ha ulteriori motivazioni e contenuti da leggere tra le righe, da
comprendere, da approfondire.

“Essere una donna è qualcosa di così strano, di così confuso e di così composto che nessun predicato può
esprimerlo”. (S. Kierkegaard)
5
“Chimere al cervello/al cuor gelosie / passioni, pazzie / son gite al bordello: / il caso
è spedito. / Amore è bandito / amanti su, su. / È fatto, un editto / ch'Amor non sia
più”. Queste parole ci riferiscono la leggerezza, intrisa pure sempre di un leggero
velo di malinconia, di una donna, che pur di sfuggire la confusione causata
dall’amore, si impone che “Amor non sia più”. Si tratta di “Amore è bandito” di
Barbara Strozzi.
Musica struggente e parole tormentate di una donna che sta per essere giustiziata, a
causa di un’accusa di adulterio da parte del marito, quelle di Anna Bolena in “Oh
Death, rock me asleep ( O morte, cullami mentre mi addormento)”, che dalla
torre di Londra canta “Sola in una forte prigione Attendo il mio destino”.
Tanto appassionato quanto penoso il canto di Francesca Caccini. “Dove io credea le
mie speranze vere” è la storia di una rinascita da un amore tradito, che può causare
dolore solo a chi ama troppo: “Il cor sincero che con fede amava / Senza speme
tradito al fin si vede. / Così va, chi troppo ama e troppo crede”.
Per concludere questa breve presentazione dove parole e musica si fondono
perfettamente, vi presentiamo la musica raggiante e ottimista, in tutta la sua
semplicità, del “Valzer Mi Teresita'' di Teresa Carreno, che ci riconduce nel
Venezuela più solare e genuino (non per altro “Teresa Carreno” è il nome scelto da
una delle principali orchestre de El Sistema).
Nelle lettere del 1985, Eleonora Duse scrive “Il fatto è che mentre tutti diffidano delle
donne, io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se
hanno tradito, se hanno peccato – o se nacquero perverse – perché io sento che hanno
pianto – hanno sofferto per sentire o per tradire o per amare... io mi metto con loro e
per loro e le frugo, frugo non per mania di sofferenza, ma perché il mio compianto
femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo che non il
compianto che mi accordano gli uomini”.
Per comprendere queste donne, per intendere “le motivazioni e i contenuti da leggere
tra le righe”, bisogna frugare, esplorare, curiosare tra le emozioni di cui sono capaci
le donne, indagarne il vissuto, rovistare tra le trepidazioni e l’emotività dell’universo
femminile.
Simona de Finis e Michela Celozzi
6
La donna nella musica popolare
Con il termine musica popolare si intende la musica scritta con il linguaggio del
popolo e pensata per il popolo, quella musica le cui origini si perdono nella notte dei
tempi, in particolar modo per quanto riguarda il canto di tradizione orale.
Ogni anno in Italia il 18 maggio si celebra la Giornata nazionale della musica
popolare.
Ultimamente si assiste ad un rinnovato interesse verso le musiche e le danze popolare
del sud Italia, per esempio la pizzica del salento, la tammurriata campana, le varie
tarantelle e la musica popolare siciliana.
I canti popolari, i balli e la musica popolare, da tempo immemorabile, hanno
costituito un eccezionale mezzo di comunicazione e di socializzazione, anche se, nel
contempo, rappresentavano i pochi momenti di divertimento dato che la gente, sin
dalla prima infanzia, era dedita solamente al lavoro per la sopravvivenza. I canti
accompagnavano e scandivano quasi tutti i momenti cruciali dell’esistenza. Appena
nati i bambini vengono cullati da mamme e nonne con le loro dolci ninne nanne. Si
cantava in occasione di feste e matrimoni, durante le faticose ore di lavoro nei campi
per alleviare la fatica. Si cantava nei periodi religiosi come Natale e Pasqua, o si
cantava per chiedere l'intervento miracoloso dei Santi. Si cantava anche di fronte alla
morte per ricordare la persona cara scomparsa e accompagnando così il dolore del
distacco. Si cantava per corteggiare, era quasi una regola dichiararsi ad una ragazza
tramite la famosissima serenata, forse perché era più semplice farlo, viste le difficoltà
che si incontravano a parlare con le fanciulle, tenute rigorosamente sotto stretta
sorveglianza di genitori e fratelli fino al matrimonio.
E, forse per il suo stretto legame con l’universo emotivo, per tutto ciò che sa provare
e suscitare, la donna riveste un ruolo particolare, direi centrale nella musica popolare.
Non tanto in veste di “cantatrice” o “musicista”, ma la donna come “protagonista” di
questi canti e dei temi che essi esprimono. La donna è colei che può rendere felice un
uomo, che travolge i suoi sensi, che riempie di colore la sua vita, che può dargli un
senso, che può dargli forza, voglia di vivere, linfa vitale; ma può essere anche colei
che lo distrugge, che fa a pezzi il suo cuore, lo inganna, tradisce, abbandona, seduce e
getta via dopo averlo “usato”. La donna cantata come l’artefice della vita di un uomo.
L’uomo che nel bene e nel male si sente in balìa di questa creatura a cui non può
resistere e canta della sua bellezza che lo travolge, del suo sorriso che lo seduce, dei
suoi occhi che lo folgorano. L’uomo sorride, gode, gioisce, ma ha anche paura di
cosa può provare, paura di soffrire. Nei canti si parla di desiderio, attesa, speranza,
felicità, si decantano le lodi di queste donne, ma si parla anche di amore sfuggevole,
ingannevole, tradito. La donna che seduce l’uomo solo per ottenere il suo denaro e le
sue ricchezze, lo tradisce per un altro più bello e aitante, e questo, sventurato, si
strugge e si dimena, con rabbia e lacrime, imprecando e invocando maledizioni
contro la sua donna. Nei brani che proponiamo ci sono diversi temi (su “sciambolo”
si veda la parte dedicata):

“C’è sempre un angolo di silenzio nelle più sincere confessioni delle donne” (P. Bourget)
7
- OTTAVA SICILIANA: è una pizzica salentina. Narra di un uomo che si strugge
d’amore per la sua donna e chiede di esser portato al mare per essere “sanato”.
- FIMMENE FIMMENE: è un canto popolare salentino che parla delle donne che
raccoglievano il tabacco e denuncia ironicamente l'ingustizia lavorativa e sociale
contro di loro da parte dei padroni che le sfruttavano senza pagarle o senza pagarle
quanto dovuto o quanto gli uomini. Si parla pertanto anche delle profonde
discriminazioni nei confronti delle donne.
- LU RUSCIU TE LU MARE: è un canto passionale gallipolino. Narra di un amore
impossibile tra la figlia di un re ed un soldato, un amore impedito, in un periodo in
cui le differenze di classe erano molto vive, tanto che l’autore le paragona al
conflitto tra Turchi e Spagnoli, storici invasori della nostra terra. Il soldato va via da
questa terra portando con sé il dolore nel cuore.
- BACIU N’VELENATU: è un altro canto della tradizione salentina. Un uomo si
strugge di dolore e rabbia per il suo amore tradito: si è sentito ingannato dalla sua
donna che con “poche moine” lo ha stregato e poi tradito. Prega quindi il giorno in
cui lei la pagherà. “L’amore è un bene del cuore che di notte dà piacere e di giorno
dolore, quando viene si presenta come un bel fiore colorato e poi diventa mela rossa
del peccato e finisce con un bacio avvelenato”…
- CANZONE DELLE SEI SORELLE: è una tammurriata napoletana che narra di
sei sorelle, ognuna descritta per determinate caratteristiche fisiche è più che altro un
canto a mo’ di gioco - sfottò, spesso cantato tra donne per divertirsi e alleggerire
così la fatica nelle ore di lavoro.
- SE TU MIJ SPIJ: è una tarantella del Gargano eseguita in stile pizzica. È un canto
di corteggiamento misto a tematiche bucoliche ad opera di un pastore ‘perso’
d’amore per una donzella del suo paese (“se mi guardi un motivo c’è, mi fai
‘saltare’ il cuore se balli insieme a me”).
Del carattere travolgente e socializzante della musica popolare siamo state testimoni
nel laboratorio che abbiamo svolto. Dalle tante donne che hanno partecipato è nato un
gruppo che ha avuto modo di esprimersi in tutta la sua essenza; divertirsi, staccare
dalla routine quotidiana, amalgamarsi pian piano, confrontarsi. Sono emerse
esperienze personali ed infinite emozioni, è stato un fantastico momento di incontro
tra donne di tutte le età, e ciò fa pensare davvero a quanto sia potente e straordinario
il carattere universale della musica...
Marianna Bevilacqua
8
Il tamburello
Il "Tamburo a cornice" volgarmente detto "Tamburello" è cosi chiamato in quanto
consta di una singola pelle (che può essere di capra, capretto o pecora) montata su di
una cornice solitamente in legno costituita da cimbali in latta.
L'origine del tamburo a cornice è antichissima, tant'è vero che è stato ritrovato del
materiale iconografico di circa 6000 anni fa che raffigura donne e uomini suonare
questo tipo di strumento. Tuttavia esistevano culture in cui il compito di suonare
questo strumento era demandato esclusivamente alle donne; i tamburi a cornice erano
infatti strettamente legati ai culti delle divinità femminili (ISIDE in Egitto,
DEMETRA in Grecia, la MADONNA nella religione Cattolica). La Cavità dello
strumento rappresenta il Ventre della Dea Madre; mentre la forma circolare rimanda
all'unione degli opposti e complementari come il Sole e la Luna, il giorno e la notte,
la vita e la morte, uniti e sintetizzati in modo da avere una "visione Androginica
dell'Universo".
Alcune ricerche etnografiche testimoniano peraltro che il primo suonatore di
tamburo fosse proprio una donna di nome Lipushiau, la nipote di un re Sumero in
Mesopotamia. Visse nella città di Ur cinquemila anni fa e pare suonasse e facesse
rituali di guarigione nel tempio dedicato alla Luna. Questa storia ci racconta di
un'epoca in cui il potere matriarcale era forte e la femminilità era l'espressione del
mistero della vita e della creazione. I rituali di trasformazione della coscienza erano
guidati dal ritmo dei tamburi che la donna shamana suonava: essa permetteva
l'esperienza conoscitiva degli archetipi, dei messaggi degli Spiriti, attraverso stati di
trance collettiva. In questo modo l'ombra veniva portata alla luce dal mondo interiore
a quello conscio. Relativamente alla zona d'origine, i tamburi a cornice hanno assunto
diversi nomi e differenti caratteristiche. In medio oriente si possono distinguere
diversi tipi di tamburo a cornice: il "Daf", utilizzato dai Sufi soprattutto durante il
loro rituale di preghiera, lo Zikr; il Riq, piccolo tamburo con 5 coppie di sonagli a
simboleggiare le 5 fasi lunari, caratteristico dell'area egiziana presente sia nella danza
rituale sia nella musica per la danza del ventre. Il Bendir, tipico del nord Africa ma
diffuso anche nella zona medio orientale, costruito con una cordiera che rende il
suono intenso e ricco; ed infine il Tar, strumento suonato essenzialmente con le mani,
molto energico utilizzato nella danza e diffuso anch'esso sia in medio oriente che in
tutto il Nord Africa. Come si può notare anche nelle culture etniche dell'area
mediterranea dell'Italia meridionale in cui appare il tamburo a cornice che si è
inserito nelle tradizioni locali apportando senso ritmico elevato alle aree interessate:
alcuni esempi sono quelli della "Tammurriata" in Campania; della pizzica in Salento;
Sicilia, Calabria, Basilicata e soprattutto la tarantella del Gargano. E' chiaro che tale
strumento si presenta nelle culture musicali di base anche nel resto delle altre regioni
italiane e del Nord-Europa. Per quanto riguarda la tradizione salentina della pizzica,
essa si ricollega al rituale del tarantismo: un vero e proprio esorcismo musicale che,
secondo la leggenda, attraverso il ritmo e la danza avveniva la guarigione dei

“Dio non poteva esistere ovunque, perciò ha creato le madri” (Proverbio Ebraico)
9
tarantolati, ossia di coloro che erano stati morsi dalla tarantola. Si credeva infatti che
il ritmo del tamburo e la danza annullassero gli effetti del veleno, impedendogli di
scendere e toccare gli organi interni del corpo, riportandolo in superficie. In verità, il
"morso della tarantola" aveva carattere simbolico e si riferiva a conflitti inconsci
(probabilmente di natura sessuale e quindi non socialmente accettati) di donne di una
determinata fascia d'età. L'intervento ritmico dei tamburi a cornice si accompagnava
con chitarre battenti, violini e flauti e permetteva dunque al tarantolato di esternare
ogni forma di introversione liberatoria al fine di ottenere un ipotetica guarigione.
La ritualità legata a questi strumenti rivela una realtà importante: il suono esiste già
nel gesto che lo crea. Con un tamburo a cornice la vibrazione sonora esiste già a
livello intenzionale ed è intimamente legata all'atteggiamento con cui ci si avvicina
ad esso. Prima di suonare è importante stare qualche istante con se stessi, creando una
connessione tra il proprio corpo, la propria interiorità e la terra, le proprie radici:
un'alleanza che poi si esprimerà nel suono.
Questi sono strumenti vivi, capaci di destare l'ascoltatore, di riportarlo al momento
presente, di incantarlo e di farlo muovere. Prima di suonare, questi strumenti sono
gesto, sono intenzione viva. Percussione significa anche corpo, pulsazione vitale.
Oltre alle possibilità espressive ed estetiche, i tamburi a cornice hanno anche un
potenziale musicoterapico: la stessa percezione del ritmo è un esperienza che fa parte
della nostra natura più atavica e profonda.
Angela Castelluccia
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Gli sciamboli
Gli “sciamboli” o i canti dell’altalena, sono antichi canti di origine popolare che
rientrano tra i riti carnevaleschi più originali e interessanti di Puglia.
Si tratta di canti legati al rito dell’altalena. Per comprendere la valenza simbolica del
rito dell’altalena bisogna ricollegarlo al mito di Icario. La leggenda dice che Icario
ospitò Dioniso nella propria casa. In cambio dell’ospitalità il dio donò a Icario un
serto di vite, istruendolo su come coltivarlo, curarlo e ottenerne vino. Una volta
ottenuto il vino Icario invitò i vicini a berne. Più di un commensale in seguito
all’ingestione della bevanda, stramazzò per terra, anche i più robusti si sentirono
storditi e cominciarono a gridare di essere stati avvelenati. In preda ad un raptus si
gettarono sull’ospite, lo uccisero e lo seppellirono. Il cane di Icario, Mera, osservò i
pastori mentre seppellivano il corpo sotto un pino e in seguito guidò la figlia di
Icario, Erigone, fino alla tomba, tirandola per un lembo della veste e scavando il
terreno con le zampe. Disperata, Erigone si impiccò ai rami del pino pregando perché
le figlie di Atene subissero il suo stesso destino finché Icario non fosse stato
vendicato. Il dio Dioniso la vendicò inviando agli Ateniesi un flagello e istituendo
una festa in cui le fanciulle, per commemorare Erigone, si dondolavano su di un
pezzo di legno appeso agli alberi. Così nacquero le altalene.
Per tutto il periodo carnevalesco in alcuni paesi del Subappennino Dauno, gli
sciamboli venivano intonati dondolandosi su un’altalena rudimentale chiamata anche
questa “sciambolo”. Vengono chiamati “Sciamboli” a Volturino, “Sciampele” a
Motta Montecorvino, e “Nzammarucule” a Biccari. Dal Mercoledì delle Ceneri –
ultimo giorno di carnevale – fino a Pasqua, era severamente vietato intonare questi
canti, secondo le regole non scritte della “buona creanza” tramandate oralmente di
generazione in generazione.
Durante questo periodo i ragazzi costruivano le altalene, servendosi di semplici corde
legate a un pezzo di legno, fissandole agli architravi di porte o finestre, nei cortili e
nelle piccole piazze di paese, nelle cantine o nei ricoveri per animali. Solitamente
erano gli uomini a costruirle ma spesso anche le donne davano il loro contributo.
Si può affermare con certezza che i canti dell’altalena sono un repertorio eseguito
quasi esclusivamente da donne, e importante è sottolineare la centralità del ruolo
della donna, pur all’interno di un divertimento di gruppo.
Lo sciambolo veniva intonato sedendosi in due (in genere dello stesso sesso)
sull’altalena e disponendosi uno di spalle all’altro, mentre altre due persone si
collocavano davanti e dietro l’altalena per regolarne il dondolio. Questo movimento
dondolante andava ad influenzare l’intonazione.
Al “rito” assistevano, e spesso vi prendevano parte, membri della famiglia, vicini di
casa o semplici passanti, ripetendo il ritornello come in una sorta di “coro” o
aspettando il proprio turno per cantare.
Erano, queste, rare e preziose occasioni di socializzazione, soprattutto per le ragazze

Ci sono certi sguardi di donna che l’uomo amante non scambierebbe con l’intero corpo di lei”. (G.
D’Annunzio)
11
che difficilmente sarebbero entrate in contatto con i loro coetanei con tanta “libertà”.
Questa antica forma di espressività popolare, appannaggio esclusivo o quasi delle
donne, permetteva – complice l’atmosfera festosa e informale del carnevale, di
affrontare tematiche prevalentemente amorose, anche in termini “licenziosi”; ma
l’amore non è la sola tematica affrontata: gli sciamboli possono essere di lamento e,
molto più spesso, di sdegno.
Cantavano quindi per lo più due donne, raramente due uomini, quasi mai un uomo e
una donna. Il canto era intonato con una tonalità molto alta perché destinato ad essere
sentito fuori dalla casa, dove giungeva in altre case e con una chiara iperbole
giustificata dall’amplificazione che nella memoria assumono i particolari del ricordo,
doveva giungere in altri quartieri, dove l’amante o l’amata poteva rispondere.
Il rito degli sciamboli, col tempo, è andato perduto e le ultime testimonianze della sua
sopravvivenza risalgono al secondo dopoguerra. Secondo la maggior parte degli
intervistati “prima cantavamo tutti…poi è venuta la guerra”. La guerra sembra lo
spartiacque ideale. Allora era peccato cantare, ancor di più che questa tradizione era
legata al Carnevale, con il suo carico di allegria scanzonata. O più semplicemente si
può ipotizzare che non si è cantato più perché ad un certo punto “non ha risposto
nisciuno”.
Sono circa sessant’anni che nessuno intona più questi canti. Gli ultraottantenni di
oggi ricordano che già durante la loro giovinezza la tradizione stava scomparendo.
Ancor prima del loro matrimonio non c’era più nessuno con cui cantare, ricorda la
coppia che più e meglio è stata disposta a cantare. Ma pur volendo continuare a
cantare “quando è arrivata la croce dei figli, questi non li volevano più sentire”. Il
contesto del canto ha perso la sua funzione al punto che “se cantavi queste canzoni ti
prendevano per pazza, non ti volevano sentire, non ti facevano maritare più”.
Altro motivo della scomparsa è il cambiamento che è avvenuto nel rito del
corteggiamento, e quindi anche di questo sull’altalena.
Dal punto di vista musicale la prima riflessione è che si tratta di canti “urlati”.
Appaiono continue sequenze cromatiche, conglomerati melodici di pochissime note,
mai uguali, spesso interscambiabili, si nota la mancanza di punti di riferimento stabili
(senza supporto strumentale è difficile mantenere un’intonazione costante).
Ancora, i larghi vibrati, i frequentissimi melismi e abbellimenti, la pulsazione ritmica
spesso al limite del rubato, ampliano di molto la possibilità di fraintendimenti, di
perplessità.
È stato molto emozionante ascoltare durante uno dei giorni di laboratorio alcuni
sciamboli, in una suggestiva riproduzione raccolta sul campo tra i vicoli dei paesini
del Subappennino Dauno, che oltretutto è l’unica testimonianza di questo genere di
canti, registrata nel 2007 in una ricerca in concerto tra Università e Conservatorio di
Foggia. Quel giorno in particolare l’emozione è stata enfatizzata dalla presenza di
nonna Giuseppina, originaria di Candela, che in gioventù quei canti li aveva intonati.
Michela Celozzi
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Pace per te non ho sono impazzita (Sciambolo)
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Voce 1
Voce 2
Pace non ho per te sono impazzita
Pace non ho per te sono impazzita
Gioia dell’anima mia io do all’amate
Pace dell’anima mia io do all’amate
Porto svenato il petto tu l’hai ferito
Portate il mio petto porta ferito
Arde questo mio cuore tu l’hai bruciato
Arde questo mio cuore tu l’hai bruciato
Io vado a letto e non ritrovo sieto
Io vado a letto e non ritrovo sieto
O mangio o bevo oppure son disperata
O mangio o bevo e son disperata
Se da tal dolore non mi guarite
Se da tal dolore non mi guarite
Volgi lo sguardo tuo sarò sanato
Volgi lo sguardo tuo sarò sanato
E se da tal dolore non mi guarite
E se da tal dolore non mi guarite
Volgi lo sguardo tuo sarò sanato
Volgi lo sguardo tuo e sarò sanato
Pace non ho per te sono impazzita/ Gioia dell’anima mia io t’ho amato/ Porto
svenato il petto tu l’hai ferito/ Arde questo mio cuore tu l’hai bruciato/ Io vado a
letto e non ritrovo riposo/ O mangio o bevo oppure son disperata/ E se da tal dolore
non mi guarite/ Volgi lo sguardo tuo sarò sanato/ E se da tal dolore non mi guarite/
Volgi lo sguardo tuo sarò sanato.
Ottava siciliana
Stu pettu è fatto cimbalu d' amuri
Tasti li sensi mobili e accorti
Cordi li chianti, suspiri e duluri
Rosa è lu cori miu feritu a morti
A lu mari mi purtati
Si vuliti cummi sanati
Allu mari, alla via,
accussì m’ama la donna mia.
Allu mari, allu mari
Mentre campo t’aggia amari,
allu mari alla via
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accussì m’ama la donna mia.
Strali è lu ferru, chiai sò li miei arduri
Marteddu è lu pensieri, e la mia sorti
Mastra è la donna mia, ch'à tutti l' huri
Cantando canta leta la mia morti.
A lu mari mi purtati…..
Sto petto è fatto cembalo d' amore / Tasti i sensi sensibili e pronti / Corde i pianti,
sospiri e dolori / Rosa ( del clavicembalo) è il mio cuor e/ ferito a morte / Punta è il
ferro, piaghe sono i miei ardori / Martello è il mio pensiero e la mia sorte / Corega è
la donna mia, che in tutte l' ore / Cantando canta lieta la mia morte.
Fimmeme fimmene
Fimmene fimmene ca sciati allu tabaccu
ne sciati doi e ne turnati quattru.
Ci bu la tice cu chiantati lu tabaccu
la ditta nu bu tae li taraletti.
Ca poi li sordi bu li benedicu
bu 'nde ccattati nuci per Natale.
Te dicu sepre cu nu chianti lu tabaccu
lu sule è forte e te lu sicca tuttu.
Fimmene fimmene ca sciati alle ulìe
cugghitinde le fitte e le cigghiare.
Fimmene fimmene ca sciati a vindimare
e sutta lu ceppune bu la faciti fare.
E Santu Paulu miu te Galatina
fammende ccuntetà sta signurina.
E Santu Paulu miu te le tarante
pizzichi le caruse a mmienzu all'anche.
E Santu Paulu miu te li scurzuni
pizzechi li carusi alli cujuni.
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Donne che andate al tabacco / andate in due e tornate in quattro. / Chi vi dice di
piantare il taBacco / la ditta non vi da neanche i telaietti. / Che poi i soldi ve li
benedico / vi comprate le noci per Natale. / Ti dico sepre di non piantare il tabacco
il sole è forte e lo secca tutto. / Donne che raccogliete le olive / raccogliete le fitte e
le cigghiare. / Donne che andate a vendemmiare / sotto la vigna ve la fate fare.
/ San Paolo mio di Galatina / fai la grazia a questa signorina. / San Paolo mio delle
tarante. / pizzichi le ragazze in mezzo alle gambe. / San Paolo mio dei serpenti /
pizzichi i maschi fra i coglioni.
Lu rusciu de lu mare
'Na sira 'nde passai de le padule
e 'ntisi le ranocchiule cantare
comu cantànu belle ad una ad una
paréanu lu rusciu de lu mare.
Lu rusciu de lu mare è troppu forte
la figghia de lu re se tae la morte
iddha se dai la morte e jeu la vita
la figghia de lu re sta se marita.
Iddha sta se marita e jeu me 'nzuru
la figghia de lu re me tae nu fiuru.
Iddha me tae nu fiuru e jeu na palma
la figghia de lu re se 'ndia alla Spagna
iddha se 'ndia alla Spagna e jeu in Turchia
la figghia de lu re è la zita mia.
E vola vola vola palomma vola
e vola vola vola palomma mia
ca jeu lu core meu te l'aggiu ddare.
Un giorno andai a caccia per le paludi / E idii le ranocchie gracidare. / A una a una
le sentivo cantare / Mi sembravano il rumore del mare. / Il rumore del mare è molto
forte / La figlia del re si da la morte. / Lei si dà la morte e io la vita / La figlia del re
ora si marita. / Lei si marita e io mi sposo / La figlia del re porta un fiore. / Lei porta
un fiore e io una palma / La figlia del re parte in Spagna. / Lei parte in Spagna e io
in Turchia / La figlia del re è la fidanzata mia. / E vola vola vola vola vola / E vola
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vola vola colomba mia / Che io il cuore mio te lo devo dare / Che io il cuore mio te lo
devo dare.
Baciu n’velenatu
Cogli la rosa quando sta fiurisce
ci acqua tu ne meni a nu momentu
caccia le spine eccu lu turbamentu.
Tiempu nu te nedesi ventiquattr'ore
ca io te colzi fiuru profumatu
ca cu drhe mosse toe tie mai 'ngannatu.
Dell'acqua nu me serve tu lo sai,
tieni l'amore mio mo se lo vuoi
ca ci nu me lu rendi prima o poi
rriva lu giurnu ca la pagherai.
Passau lu jentu e forte me cridau
ce bella rosa tienu a stu sciardinu
ca de st'amore tu nu si lu primu
ca quista rosa tene già patrunu.
A quattru cose creditu nu fare:
amor de donna, carità de frate,
sule de iernu e nuvole d'estate.
L'amore can u serve giuramentu,
l'amore can u bene de lu core
de notte dae piacere, giurnu dulore.
L'amore quandu vene se presenta
comu nu bellu fiuru culurito;
diventa mela russa de peccatu
finisce cu baciu 'nvelenatu.
Cogli la rosa quando sta per fiorire / se acqua le dai, in un momento / tira fuori le
spine, ecco il turbamento. / Non ti diedi ventriquattr'ore di tempo, / che io ti colsi,
fiore profumato, / che con le mosse tue tu m'hai ingannato / Dell'acqua non mi serve
tu lo sai / tieni l'amore mio, ora se lo vuoi / che se non me lo rendi prima o poi /
arriva il giorno che la pagherai. / Passò il vento e forte mi gridò, / che bella rosa
tieni in questo giardino, / che di quest'amore tu non sei il primo, / che questa rosa
tiene già padrone. / A quattro cose credito non fare: / amor di donna, carità di frate,
/ sole d'inverno e nuvole d'estate. / L'amore cui non serve il giuramento, / l'amore che
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non viene dal cuore, / de notte dà piacere, giorno dolore. / L'amore quando viene si
presenta, /come un bel fiore colorito; / diventa mela rossa del peccato / finisce con
un bacio avvelenato.
Canzone delle sei sorelle
Che bella vocca ca tene ‘a primma sora
l’ha fatta apposta cu chella vocca a’ fora
quant’è bella ‘a primma sora
me n’ha fatto nnammurà
vucchéa accà vucchéa allà
cu chella vocca te vo’ vucchià.
Che belli mmane ca tene ‘a siconda sora
l’ha fatta apposta cu chelli mmane ’a fora
quant’è bella ‘a siconda sora
me n’ha fatto nnammurà
manéa accà manéa allà
cu chelli mmane te vò manià.
Che bella zizza ca tene ‘a terza sora
l’ha fatta apposta cu chelli zizze ‘a fora
quant’è bella ‘a terza sora
me n’ha fatto nnammurà
zezzéa accà zezzèa allà
cu chella zizza te vo’ zzezià.
Che bellu culo ca tene ‘a quarta sora
l’ha fatta apposta cu chillu culo ‘a fora
quant’è bella ‘a quarta sora
me n’ha fatto nnammurà
culéa accà culéa allà
cu chillu culo te fa’ sculà.
Che bella panza ca tene ‘a quinta sora
l’ha fatta apposta cu chella panza ‘a fora
quant’è bella ‘a quinta sora
me n’ha fatto nnammurà
panzéa accà panzéa allà
cu chella panza te vo’ spanzà.
Che bella cosa ca tene ‘a sesta sora
l’ha fatta apposta cu chella cosa ‘a fora
quant’è bella ‘a sesta sora
me n’ha fatto nnammurà
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te cos’ accà te cos’ allà
cu chella cosa te cusarrà.
Che bella bocca tiene la prima sorella / l'ha fatta apposta con quella bocca carnosa /
quant'è bella la prima sorella / e mi ha fatto innamorare / la bocca di qua la bocca di
la / con quella bocca ti vuole abboccare….
Se tu mij spij (di Enzo Valente)
Se tu mij spij nu mutiv c’è
M’ fa zumbà lu cor che ball n’zem a me
Lu falkunette c’ fott la palomm
La pasturell la capretta mogn
Mogni la capra, pur la picurell
Intà la stall mentr cantan li stell
Cantà li stell, li stell e alla lun
Bona sera a vuj, a te bona fortun
Bona fortun a te che si na stell
Intà stu nir ciel si la cchiù bell
Bell, bellizz, bell, fussi na ros
Trascì vurria trascì inta la tua cas.
Se trasc int la cas jè festa granne
Ballare, vurria ballare pi tutti l’anne.
Bona fortun a te che da Milan vin
Da Napul a Rome o sol da Carpin
Se tu mij spij nu mutiv c’è
Mi fa zumbà lu cor che ball nzem a me
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Di seguito alcuni punti in rilievo di un’intervista a Rita Levi Montalcini, apparsa su
“l’Unità” il 31 Dicembre 2008. Nata nel 1909, nel 1986 Rita Levi Montalcini vinse il
Premio Nobel per la medicina grazie alla scoperta e all'identificazione del fattore di
accrescimento della fibra nervosa. È stata, inoltre, la prima donna a essere ammessa
alla Pontificia Accademia delle Scienze. Nel 2001 fu nominata senatrice a vita,
dall'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che la scelse per i suoi
meriti sociali e scientifici. Non si è mai dichiarata femminista, ma si è sempre battuta
in difesa dell’avanzamento sociale e civile delle donne, e con la “Rita Levi
Montalcini onlus” ha aiutato tante bambine e donne africane a studiare. Quella che
segue è una bellissima testimonianza di umanità.
Noi vorremmo, senatrice, che fosse lei a introdurci nell'anno del suo centenario. Che ci
parlasse di quel che più l'ha sorpresa, amareggiata e rallegrata, di quello che più le resta nei
pensieri del 2008 che abbiamo attraversato. Vorremmo parlare del passato e del futuro e
intanto festeggiarla un poco, che compiere un secolo facendo progetti per il futuro non è cosa
da tutti. Chi collabora con lei ci racconta che dorme pochissimo e lavora tutte le ore del
giorno. Che trascorre il suo tempo nei laboratori e sui libri, che è impossibile sorprenderla in
disordine: sempre indossa abiti e gioielli bellissimi.
«Non potendo cambiare me stessa cambio gli abiti. È un piccolo gesto quotidiano di rispetto verso
chi incontro. Del sonno non sento il bisogno, alla mia età è frequente. Quanto all'anno che si è
appena concluso spero di esserle utile ma per me il tempo ha una scansione più dilatata e più
contratta insieme: un anno di cento è piccola cosa, capisce, rispetto a un anno di venti, o di
quaranta. Tuttavia può anche essere un tempo lungo e prezioso, se penso per esempio che in questo
anno le borse di studio per bambine e giovani donne africane della mia fondazione sono divenute
6700 e arriveremo a diecimila, spero, l'anno venturo».
Perché l'Africa, senatrice?
«Perché guardi che cosa abbiamo fatto in Africa, dagli anni del colonialismo in poi. Guardi come
l'abbiamo violentata e usata. Distrutta. Una tragedia spaventosa. Abbiamo preso le loro ricchezze e
speculato sulle debolezze che abbiamo contribuito a creare. Abbiamo molto da restituire, molto
risarcimento da pagare. In istruzione, certo. L'unica salvezza possibile per le genti di ogni luogo è
l'accesso alla cultura».
E perché le donne?
«Perché le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due
pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società. Pensi al
nostro Occidente. Ho appena scritto un libro dedicato ai ragazzi, l'ho pubblicato con una casa
editrice per giovani. Ne sono fiera. L'abbiamo intitolato "Le tue antenate". Parla di donne pioniere.
Quelle che hanno dovuto lottare contro pregiudizio e maschilismo per entrare nei laboratori, che
hanno rischiato di vedersi strappare le loro fondamentali scoperte attribuite agli uomini, che si
sono fatte carico della famiglia e della ricerca. Lei conosce Emily Noether, la fondatrice
dell'algebra moderna?»
C'era un teorema…
«Lei, quella del teorema. Nel '33 il nazismo la escluse dalle università in quanto ebrea, fu costretta
a riparare negli Stati Uniti».
Anche lei da ragazza dovette restare chiusa in casa, nascondersi. Ne parlava nel suo incontro
con Ingrid Betancourt: le vostre prigionìe.
«Ah sì ma c'è molta differenza. Ingrid Betancourt ha sofferto moltissimo e ha patito gravi stenti. Io
sono sempre rimasta completamente indifferente al razzismo antiebraico, è vero che durante il
fascismo dovetti restare a lungo nella mia stanza, che tuttavia era una stanza e non la giungla. È
anche vero che molti fascisti venivano a trovarmi e che è stato lì, in quella stanza, che è nato il
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seme della mia ricerca. Ho sempre saputo che non esistono le razze, il cervello degli uomini è lo
stesso. Esistono i razzisti. Bisogna vincerli con le armi della sapienza. Di Ingrid Betancourt ho
apprezzato la dolcezza nella forza. La fragilità e la forza vanno spesso insieme, ha notato? Non si
dà l'una senza l'altra».
Il cervello degli uomini, lei dice, è sempre lo stesso.
«Ma certo, si possono avere dubbi?Degli uomini e delle donne, è evidente. La differenza tra uomo
e donna è epigenetica, ambientale. Il capitale cerebrale è lo stesso: in un caso è stato storicamente
represso, nell'altro incoraggiato. Così pure tra popoli. È sempre un dato culturale. Per fortuna le
donne stanno raggiungendo ciò che era stato loro precluso. Ha conosciuto Vandana Shiva? Una
fisica teorica formidabile, indiana. Le ho dedicato l'ultimo capitolo delle pioniere. Le donne hanno
incredibili potenzialità. (……)
Se lei avesse vent'anni a disposizione a quale nuovo studio si dedicherebbe?
«Se ne avessi due o cinquanta, è lo stesso. Al cervello, ovviamente. L'universo che è dentro
ciascuno di noi. C'è forse un altro tema più interessante? Scoprire il funzionamento della mente. Se
fossimo capaci di far rientrare in Italia i nostri giovani ricercatori, se questo paese sapesse investire
sulle energie straordinarie dei suoi studiosi, quelli che abbiamo visto manifestare per strada contro
i tagli alla ricerca, ecco. Questo sì che sarebbe un investimento. L'Italia ha sempre prodotto
grandissimi risultati, ha menti eccelse. Cabibbo, lo conosce?, un uomo eccezionale. Che strano che
non abbia avuto il Nobel, no? L'hanno dato a tre giapponesi, ho visto. Sapesse che meraviglia sono
le ragazze, le giovani ricercatrici che lavorano nel mio centro». (……)
Lo studio del cervello ci aiuta anche a decifrare i comportamenti collettivi? Lei per esempio
cosa può dire alla luce delle sue ricerche del fondamentalismo, del terrorismo, delle
dittature?
«Il cervello spiega tutto. Bisogna partire da qui. Il nostro modo di comportarci è più emotivo che
cognitivo. Esiste un centro arcaico del cervello, limbico: non ha avuto nessuno sviluppo
dall'australopiteco ad oggi, è identico. È la sede dell'aggressività. Il cervello limbico ha salvato
l'uomo quando è sceso dagli alberi, gli ha consentito di difendersi e combattere. Oggi può essere la
causa della sua estinzione». (…….)
Torniamo al sapere come antidoto delle dittature. Nell'Islam dei fondamentalisti alle donne è
inibito lo studio. Le studentesse in molti Paesi sono minacciate e aggredite. Vede in questi
comportamenti la conferma della sua teoria sulla "strumentalizzazione del cervello
arcaico"?
«Le religioni sono materia delicatissima. Certo è che la disparità di trattamento fra uomo e donna è
grande nelle culture in cui la religione inibisce alla donna l'accesso al sapere. Per me che sono di
religione ebraica il sapere è stato un grande strumento di democrazia sostanziale. È dato a tutti allo
stesso modo, cancella le differenze di sesso, di censo e di età. Come può verificare dai miei scritti
ci sono donne straordinarie che hanno dato risultati eccezionali per il solo fatto di aver avuto
accesso, nella loro epoca, alla conoscenza alle altre negata. Poi certo in altre epoche hanno avuto
accesso allo studio solo le donne di classi sociali agiate. Avevano l’insegnamento a casa». (…….)
Qual è stata a suo parere la più grande invenzione o scoperta del secolo? Un farmaco? Uno
strumento di diagnosi?
«Ma no, è stata senza dubbio Internet. L’informatica. I nuovi Magellano dell’era digitale. La
comunicazione globale. Ma come mai mi chiede questo, lei non usa Internet?»
“L’Unità” – 31 dicembre 2008
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Donne e Mediterraneo: ovvero Donne - Mare - acqua
I Simboli del Femminile
L'acqua viene espressa come principio cosmico femminile, anima del Mondo, Madre
per eccellenza, genitrice di vita.
Quest'aspetto femminile lo esprime attraverso attributi di passività, accoglienza,
recettività. Il suo stato liquido la rende libera da qualsiasi vincolo e le dà la capacità
di trasformarsi e assumere qualsiasi forma, riempiendo gli spazi e colmando i vuoti.
E' l'elemento che mette in comunicazione, crea un ponte tra lo spirito e la materia.
Se l'acqua è simbolo della vita e la vita nasce dall'amore, l'acqua è anche simbolo
dell'amore che, come l'acqua abbraccia senza stringere.
Nei sogni e nelle fantasie, inoltre, il mare, o una qualsiasi vasta distesa di acqua,
significa l'inconscio. Anche quest'ultimo può essere collegato all'aspetto materno
dell'acqua, perché esso viene considerato in psicoanalisi come madre o matrice della
coscienza.
Tutti i simboli collegati alla Grande Madre o che si riallacciano alle proprietà del
"materno" sono di fatto contraddistinti da una forte ambivalenza, una duplice natura,
positiva e negativa, quella della "madre amorosa" e della "madre terribile". Secondo
Jung l'archetipo della Grande Madre è «La magica autorità del femminile, la
saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è
benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la
nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o
l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo
dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia,
l'ineluttabile»
Abbiamo scelto di “andar per mare” il Mediterraneo che i Romani chiamavano Mare
Nostrum e questo navigare ci rimanda ad un altro simbolo,quello del percorso
esistenziale dell’uomo, similitudine usata anche da Dante: “Ma misi me per l’alto
mare aperto”. Il mare magnum della vita, simbolo dell’instabilità dell’esistenza, porta
il navigante a ricercare la direzione e l’equilibrio destreggiandosi tra le opposte forze
presenti: luce e tenebra, bene e male…il pericolo è in agguato, la morte è presente tra
i flutti burrascosi. Il mare può essere barriera o via verso l’approdo, verso un’altra
terra ferma. In tale contesto il mare è ovviamente simbolo e specchio dell’interiorità
umana, agitato dalle passioni e dai desideri. Dunque navigare attraverso la profonda
oscurità dell’Oceano primordiale significa viaggiare verso l’Origine, il Principio. La
navigazione non è per tutti: mettersi per l’alto mare aperto può condurre allo
smarrimento dell’Io, oppure alla tomba dell’Io, oppure alla rinascita del Sé.
Appunti di viaggio
E’ dalla nascita di questo progetto, mesi orsono, che in me riecheggiano associazioni
di parole, visioni ancestrali, echi di ritorno in patria dove la patria è il femminile. In
questo luogo - non luogo dell’ incoscio collettivo con le mie compagne viaggiamo in

“Nelle donne ogni cosa è cuore. Anche la testa”. (J. P. Richter)
21
posti dove si dischiudono altre “terre” in cui le categorie logiche spazio-tempo sono
inappropriate.
I nostri stessi confini individuali cedono ai miti, all’essenza. In quei pomeriggi,
insieme a noi (o eravamo proprio noi?) hanno danzato, suonato, cantato, urlato,
sussurrato, riso e pianto Afrodite, Proserpina, Demetra, le Sirene, le Streghe,
Penelope e tutte le donne che soffrono e amano di ora e di sempre.
Alla fine il viaggio ci conduce dove ci si sente approdati: a casa, una casa del
profondo dove fortemente so di appartenere …e mi lascio abbracciare.
Con gratitudine dedico a tutte le mie compagne di viaggio questo Inno
Perché io sono colei che è prima e ultima
Io sono colei che è venerata e disprezzata,
Io sono colei che è prostituta e santa,
Io sono sposa e vergine,
Io sono madre e figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono sterile, eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono donna sposata e nubile,
Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io sono colei che consola dei dolori del parto.
Io sono sposa e sposo,
E il mio uomo nutrì la mia fertilità,
Io sono Madre di mio padre,
Io sono sorella di mio marito,
Ed egli è il figlio che ho respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono colei che da Scandalo e colei che Santifica.
Inno a Iside
Rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto;
risalente al III-IV secolo a.C.
Annarosa De Iudicibus
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Le donne di D&M: pensieri “diVersi”
Donne & Mediterraneo
Donna del sud
Forza potente
Carattere affascinante
Dolce creatura
dal coraggio crudo
Adolescente
In maniera riservata
Donna già adulta
Ossa fatte
Donna
Mamma protettrice
E donna di casa
Mamma del proprio marito.
Stefania Nardino
Donna in cerca di un’oasi di pace.
Vorrei trovare un' oasi di pace
per la mia mente,
che brucia di pensieri.
Un' ombra oscura; la mia vista,
più non vedo quel chiarore di ottimismo.
perché dilaga nel mio cuore
quella fiamma di paura.
Non lasciatemi vagare
nel deserto dei pensieri.
io vi amo tutti
e attendo con fervare
un dialogo dolcissimo,
fatto anche di soli sguardi:
è quel che dice tutto e arriva fino al
profondo
del cuore.
A me basta poco ,
un solo abbraccio
ed é per me la vita
Rosina Ferrante
“Donne e Mediterraneo è stato un percorso assolutamente piacevole, perché ha
celebrato la bellezza per la diversità di origine, di cultura, di dialetto, che ognuna di
noi ha portato nel gruppo. Abbiamo costruito insieme un bellissimo ricordo”.
Silvana Fedota
“Si fa presto a dire Donna: i tempi cambiano, le donne sono emancipate, in parte si è
raggiunta la parità dei sessi e talvolta si sfocia in un eccesso di femminismo
sconsiderato, per paura di tornare indietro… (la donna in casa, il tempo scandito dal
lavoro domestico e dalla crescita dei pargoli… Come ha fatto la donna in mezzo
secolo a cambiare così?). I nostri incontri di Donne&Mediterraneo invece,
semplicemente scambiandoci delle opinioni, scherzosamente raccontandoci un po’
della nostra vita, delle nostre radici, suonando strumenti senza averlo mai fatto,
cantando tutte assieme e avendo la sensazione di essere intonate come delle vere
cantanti, mi ha suscitato delle emozioni lontane…ritornando semplicemente
DONNA, e questo l’ho sentito anche fra di voi: riconquistando il fascino di essere
donna e la soddisfazione più grande che ho provato in questi incontri é che abbiamo

“ (….) Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua
femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani”.
(Giovanni Paolo II in una lettera alle donne, 1995)
23
avuto l’opportunità di comprendere quale sia l’eredità di queste canzoni popolari, con
il piacere immenso di condividerle anche con le nuove generazioni, quelle delle
trentenni (in su) e quelle delle adolescenti, due generazioni che probabilmente
VIVONO E SENTONO la propria FEMMINILITA’.
Come amiche e ‘femmine’, io penso che tutto questo rimarrà sempre dentro ognuna
di noi, come UNA BELLA STORIA DA NON DIMENTICARE. ‘Le storie quando
vengono raccontate, non sono più solo nostre, non sono più neanche di chi le ha
vissute: le storie, che ci piaccia o meno, sono di chi le ascolta, di chi le racconta e di
chi le tramanda.
E noi tutte AMU FATTU PROPRIO NU BELLU LAVORU!!!
Ringrazio con tutto il cuore voi tutte, Donne del Mediterraneo. Elena Brigante,
salentina pizzicata dalla taranta.
Dedicato a tutte le donne che profumano di rosa
Profumo te rosa
Profumo di rosa
Nu raggiù de sule
un raggio di sole
Te acqua mmuddhatu
d’acqua umettato
Tagghiandu le nuvole
tagliando le nuvole
Anterra è rriatu
a terra è arrivato
e….comu macìa
e come per magia
cu sciuechi te luci
con giochi di luce
già tutta la via
già tutta la via
a chimu… te uci
ha pieno di voci.
Nu suenu, nu chiantu
Un suono, un pianto
Pensieri mpruisi..
pensieri improvvisi,
Due ucche, nu cantu
due bocche, un canto
Nu ntrecciu te risi
un intreccio di risate.
E mentre ogne cosa
E mentre ogni cosa
Me pare cchiù beddha…
mi appare più bella…
…PROFUMU DE ROSA
… profumo di rosa
SI TIE, PICCICCHEDDHA…
sei tu piccolina mia…
Elena Brigante
“Il laboratorio è stato un lungo viaggio lungo tutte le coste del Mare Nostro, dalla
pizzica del Salento alle Tarante del Gargano, dagli sciamboli del Subappennino
Dauno alla dolcissima ninna nanna africana che ha cantato per noi Nata.
Intanto speriamo che il 23 non sia un momento conclusivo vero e proprio. Abbiamo
chiesto alle donne partecipanti la loro opinione, è stata piuttosto positiva e vorrebbero
che questo viaggio si prolunghi ancora. Per questa esperienza significativa ringrazio
innanzitutto Giusy Martino, un insegnante sensibile e versatile, le animatrici e le
operatrici di AV e che hanno collaborato nella riuscita di ogni incontro, e tutte le
donne che hanno partecipato al laboratorio, con entusiasmo e passione”.
Giosiana La Pietra
24
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