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Tecniche dei nuovi media 1
1. Media “vecchi”, media “nuovi”
2. Modelli e teorie della comunicazione mediata
Francesca Comunello, LUMSA
Anno accademico 2016/2017
“Blame the internet of things”…
https://motherboard.vice.com/read/blame-the-internet-of-things-fordestroying-the-internet-today
“Nuovi” media?
 Le innovazioni tecnologiche alla base dei “nuovi” media non sono
particolarmente recenti: ARPAnet 1969; microprocessore prima metà anni
Settanta, ecc.
 “I new media diventano tali a partire dal momento in cui la loro diffusione
raggiunge dimensioni di massa (…), intorno al 2000” (Stella et al., p. 7)
 McLuhan: “Il contenuto di un medium è sempre un altro medium”
 Fidler: “Mediamorfosi”
 Bolter e Grusin: “Remediation”
 Jenkins: distinzione tra “media” e “sistemi di delivery”
“Nuovi” media
 “I nuovi media funzionano in un certo modo anche perché sono esistiti i media
vecchi che hanno aperto la strada a un sempre maggior coinvolgimento di
pubblici e consumatori nell’elaborazione dei propri contenuti” (es.:
neotelevisione, omologia con gusti pubblici, proiezioni simulacrali audience.
Stella et al., p. 8)
 Attenzione alle retoriche interpretative
 Wikileaks vs Datagate (2013: rete di intercettazioni della NSA)
 “I nuovi media sono “nuovi” ciascuno nel proprio tempo e per un periodo limitato
prima che una successiva innovazione tecnica li renda vecchi” (p. 10): “nel 1839
lo era la fotografia. Nel 1895, il cinema. Nel 1906, la radio. Nel 1939, la televisione,
ecc.”
 “Occorre evitare l’equivoco
che al passaggio dalla carta
alla rete vengano meno le
procedure produttive
necessarie a fare un “buon”
giornale, un “buon”
manuale o una “buona”
enciclopedia. La novità
tecnica (…) non trascina
con sé (automaticamente)
una parallela novità delle
routine creative” (Stella et
al., p. 11)
Tra prosumer, dilettanti e complottismi
 “Il dilettantismo, in queste materie, è più pericoloso del news management” (la
manipolazione intenzionale delle notizie, che ha l’obiettivo di condizionare il
lavoro del giornalista suggerendo immagini o interpretazioni di fatti in modo che
risultino a sé favorevoli)
 “Si rischia di passare dalla padella dei ‘poteri forti’ (…) alla brace di una
frammentazione di ‘poteri alternativi’ che si presumono tutti ugualmente legittimati
a fornire una propria interpretazione” (Stella et al., p. 12)
 Es.: “complottismo”. Eco “La ‘psicologia del complotto’ nasce dal fatto che le
spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano perché ci fa
male accettarle”. Dissonanza cognitiva. “Deviare l’attenzione verso pericoli
immaginari o infondati, distogliendola dalle minacce autentiche”. Chomsky: “il
complotto delle teorie del complotto”
Complottismi
 Differenza tra chi denuncia soprusi e illeciti governativi e chi va a caccia di cospirazioni: i primi
raccolgono fatti e sulla base di quelli cercano di costruire una tesi che permetta di spiegare tutti
gli episodi in questione. I secondi partono invece da un’idea preconcetta (…) e vanno alla
ricerca di fatti e particolari che sembrino confermarla, scartando” gli altri
 Una teoria cospirativa si fonda su tre principi:
 1) l’attribuzione degli eventi a una specifica intenzionalità umana;
 2) la rigida distinzione tra forze del bene e del male;
 3) la credenza in una realtà occulta e sotterranea.
 Teorie della cospirazione semplificano la realtà, dando una spiegazione a quanto sembra
incomprensibile e suscitando sentimenti contro un nemico comune.
 “uno dei dati sconcertanti della vita sociale è che nessuna azione ha mai esattamente il risultato
previsto”
 Per approfondimenti: Massimo Polidoro “Rivelazioni. Il libro dei segreti e dei complotti”
La cultura di massa
 Nascita della società di massa: «Una società in cui le istituzione relative ai diversi
sottosistemi sociali (economico, politico-amministrativo, del diritto,
dell’educazione, della comunicazione sociale, etc.) sono organizzate in modo
tale da trattare con vasti insiemi di persone considerate come unità indifferenziate
di un aggregato o “massa”» (Gili 1990)
 La società di massa prende forma a partire dalla fine del XIX Secolo in seguito
alla combinazione di trasformazioni sociali, economiche e culturali (ad es.
industrializzazione, urbanizzazione, tramonto della dimensione comunitaria della
vita e dei rapporti).
 I mezzi di comunicazione di massa si sovrappongono ciascuno a tali mutamenti,
contribuendo a creare un patrimonio di conoscenze collettive che verrà
denominato “cultura di massa” (Stella, p. 16)
Teorie della comunicazione e società di massa: la
teoria ipodermica
 La teoria ipodermica, o bullet theory, si
sviluppa tra gli anni ‘30 e ‘40 e si rifà a uno
schema di matrice behaviorista che prevede
una relazione diretta e univoca tra Stimolo e
Risposta: S→ R.
 Questa teoria è tra le più esemplificative della
concezione dei “media potenti”: in un
contesto in cui i principali mezzi di
comunicazione erano la stampa, la radio e il
cinema, la teoria ipodermica è considerata –
non senza preoccupazioni – il presupposto
dell’efficacia della propaganda, particolarmente
forte in tempo di guerra.
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Internet e la cultura di massa (?)
 “Internet si aggiunge per ultimo a questo processo consentendo a larghi strati
di popolazione di connettersi tra di loro e (…) di prendere contatto con
istituzioni e organizzazioni. Si ha così il sentore di vivere una maggiore libertà
e una maggiore democrazia (...) di sottrarsi, almeno parzialmente, al destino
della massificazione” (Stella, p. 16).
 La massa diviene meno anonima; crescono le possibilità di selezione, risposta
e interazione (massa meno passiva); la massa si identifica meno nella folla,
appaiono nuovi tipi di comunità; la massa è sempre meno frazionata
definitivamente, cioè composta da individui e gruppi totalmente separati
(Van Dijk, 2002)
Il significato della cultura di massa
 Si inserisce nella tradizionale distinzione tra cultura “colta” e cultura “popolare”
 Media tradizionali (tv) sono stati considerati per antonomasia i contenitori di
rappresentazioni della realtà piuttosto stereotipati, intrattenimento legato al gossip
(cui le élite colte guardano con sufficienza)
 Cultura di massa costituisce un’alternativa a entrambe, rappresentandone
sostituto e miscela > cultura “terza” a disposizione delle classi meno colte, meno
capaci di distinguere tra “alto” e “basso”
 “Allodoxia culturale” (Bourdieu): “il piccolo borghese è la vittima designata (…) di
tutti gli errori di identificazione e di tutte le forme di falso riconoscimento”. La
cultura di massa propone “modelli di riconoscimento sbagliati, fa credere ai
propri consumator che non sia importante apprezzare le differenze” (Stella, p. 17)
 Berger e Luckmann, “conoscenza normativa”: ciò che si deve sapere per perseguire gli
scopi pratici nella vita quotidiana (orientarsi nel mondo con una certa familiarità). Es.:
sapere a quale esperto rivolgersi e porre le domande giuste
 Per molte persone, l’accesso alla rete non corrisponde a una effettiva emancipazione da
forme stereotipate di linguaggi e contenuti tipiche dei “vecchi” media (es.: colonna destra
dei quotidiani online; clickbaiting)
 “Quanto, per alcuni, costituisce una indubbia risorsa pratica di acculturazione e di apertura
verso aree inedite dell’esperienza, per altri rappresenta una gabbia posta sul continuum tra
consumi mediali televisivi e impieghi della rete” (Stella p. 19)
 C’è da capire a chi il medium fornisca delle effettive opportunità di crescita culturale e a
chi spacci invece risorse fintamente innovative, che continuano a collocarlo sui gradini
“bassi” o “medi” della scala sociale (ibid.)
Apocalittici e integrati
 Tendenze sempre presenti, al nascere di ogni “nuova” tecnologia della
comunicazione
• Prima età degli Internet Studies
• Utopians: “The most transforming technological event since the capture of fire”
(John Perry Barlow, 1995); presentism e parochialism; guardavano ai fenomeni
online come se fossero isolati
• Dystopians: “it disconnects us from each other”
• “Pundits and computer scientists alike were still trying to get a handle of what was
happening without taking much account of social science knowledge” (poca o
nulla ricerca empirica)
• Convinzione che ciò che accade online sia completamente indipendente,
separato da ciò che accade offline
La cultura digitale
 Cultura digitale: “l’insieme delle trasformazioni che riguardano sia l’agire
collettivo (il modo con cui organizzazioni e istituzioni incorporano le nuove
tecnologie e vi si adattano), sia l’agire individuale (attraverso il mutare delle
relazioni tra persone reso possibile dai nuovi media)” (Stella, p. 22)
 Nuovi saperi pratici vengono appresi e nuovi ambienti accolgono
l’innovazione creando le premesse per una sua rapida, anche se non
uniforme, diffusione geografica e sociale
 Accumulabilità, trasmissibilità, adattamento
 Prossimità digitale: si ha “l’impressione” di maggiore prossimità di istituzioni e
persone “potenti”
Culture al plurale
 Hacker e impiegati
 Tribù di internet (Maffesoli)
 Acculturarsi ai media digitali: comprendere quali meccanismi sociali,
economici e politici la loro presenza condiziona e modifica e poi quali
posizioni, risorse ed esperienze pratiche consentono di ottenere e utilizzare
individualmente (Stella, p. 26)
I nuovi media allora
 “’Nuovo’ non vuol dire ‘migliore’, né immediatamente utilizzato al massimo del
suo potenziale” (Stella, p. 14)
 Ciascun medium è lento nel venir riconosciuto per le peculiarità che lo
caratterizzano
 “L’interazione tra medium e cultura è un gioco che coinvolge e modifica
entrambi” (p. 11)
 Livingstone: i nuovi media possono essere compresi solo scomponendoli nelle loro
tre dimensioni costitutive:
 Gli artefatti o dispositivi utilizzati per comunicare
 Le attività e le pratiche
 L’organizzazione sociale o le forme organizzative che si sviluppano intorno ai dispositivi
e alle pratiche
Modelli e teorie della comunicazione mediata
Comunicazione mediata dal
computer: di cosa parliamo?
• Computer?
• Comunicazione?
• Mediata?
Alle origini della CMC
• Licklider e Taylor “The computer as a Communication Device”,
1968
• Hiltz e Turoff, “The Network Nation: Human Communication via
Computer”, 1978
• Il primo filone sistematico di ricerca sulla CMC si sviluppa a partire
dagli anni ’80 nell’ambito della psicologia sociale:
– Impatto in ambito organizzativo, implementazione reti di
comunicazione nelle aziende
– Ottenere il massimo dalle nuove tecnologie in gruppi di utilizzatori
molto “task oriented”
– Valutare questi strumenti non solo sul piano tecnologico, ma anche per
i loro effetti sociopsicologici (gerarchie, controllo decisioni, codici non
verbali, ecc.)
L’approccio RCS: reduced social cues (Kiesler,
Sproull, Dubrovsky) – indicatori sociali ridotti
• Domande:
• quali sono gli effetti di una comunicazione semplice e rapida, in
grado di raggiungere qualunque ufficio decentrato?
• esistono strategie per compensare la mancanza di codici non
verbali?
• Le persone avvertono le differenze di status o di prestigio?
• Si sentono più anonime?
Approccio RSC - segue
Scarsità di informazioni relative al contesto della comunicazione
Scarsità di norme condivise per orientare comunicazione
La cmc è ritenuta povera dal punto di vista sociale
La mancanza di feedback sociale rende difficile il coordinamento
degli attori e la comprensione dei messaggi
• Le capacità di influenza sociale degli attori si livellano
• Stile comunicativo più libero e impersonale
• Anonimato e deindividuazione
•
•
•
•
• Sul piano organizzativo, dunque, la Cmc avrebbe due effetti
contrastanti:
• Livella differenze di status
partecipazione più libera da
condizionamenti sociali
• Crea situazioni di deindividuazione e sottrae gli attori dai
vincoli normativi
• Un gruppo che interagisce via cmc, dunque, sarà più
democratico ma anche più lento nelle decisioni
• “Status equalization” (esperimenti): in interazioni FtF i
partecipanti di status più elevato dominano la discussione,
nell’interazione via computer la relazione è più equilibrata
(ridotta ansia da valutazione, aumento disattenzione sociale)
• Informazioni relative al contesto sociale:
– statiche: aspetto delle persone, arredamento dell’ufficio ecc.
– dinamiche: comportamento non verbale
• Per costruire il contesto: variabili di tipo geografico (collocazione),
organizzativo (posizione gerarchica), contingente (tipo di relazione
tra gli interlocutori)
• Sproull e Kiesler (1986), ricerca sugli effetti della posta elettronica in
una grande azienda:
– Cmc veicola poche informazioni sul contesto sociale
– Le persone tendono a sopravvalutare la propria importanza
– Posta elettronica preferibilmente utilizzata per comunicare con i superiori
gerarchici
– Posta elettronica preferita per comunicare cattive notizie
– Durante l’orario di lavoro la posta elettronica è utilizzata spesso per
comunicazioni non inerenti al lavoro
• Status equalization
• Limitazione della “larghezza di banda” (quantità di informazioni
veicolabili nell’unità di tempo). Dunque:
– CMC efficace per trasmettere informazioni precise, ma povera in
relazione agli aspetti sociali della relazione
– Livellamento di status e maggiore visibilità soggetti normalmente esclusi
– Ambiente sociale debolmente normato, incline al litigio (flaming), a
comportamenti antisociali e a posizioni polarizzate
• Limiti approccio RSC: contraddizioni (cmc poco adatta per
dimensione sociale, ma mail spesso personali anche dal lavoro);
aspetti sociali trattati in termini informazionali; determinismo; non
spiega uso cmc per scopi personali o con comportamenti normati.
SIDE: Social Identity De-individuation
• Inizio anni ’90, psicologia sociale (Lea, Spears)
• La larghezza di banda di un mezzo di comunicazione non ha
nulla a che fare con la sua capacità di trasmettere indici sociali
(intestazioni e firme, conoscenze precedenti, ecc.)
• La cmc limita solo alcuni codici usati nella comunicazione
interpersonale (codici non verbali)
• Distinzione tra l’identità personale e le diverse identità sociali di un
individuo: questo spiega perché la deindividuazione può
condurre a comportamenti ipersociali o più rigidamente normati
di altri
• E’ il contesto che coinvolge gli attori come singoli individui o
enfatizzando l’identità sociale
SIDE - segue
• (Esperimenti): in una situazione di deindividuazione si realizzano due
tipi opposti di comportamento: asociale o ipersociale (in funzione
del tipo di identità di riferimento)
• Questo contraddice teorie ingenue dell’influenza sociale; modello
SIDE ha concezione dei processi sociali di tipo cognitivo
• La cmc si presta ad essere utilizzata come strumento di controllo
sociale
• Ma la condizione di deindividuazione può distogliere le persone
dalle conseguenze che le loro azioni hanno sugli altri (decisioni
spiacevoli o impopolari)
Teoria “Hyperpersonal”
• Social Information Processing – SIP (Walther, Burgoon)
• Cmc non solo non è “fredda”, ma tende a sovraccaricarsi di
contenuti sociali (“iperpersonale”)
• Cmc è generalmente più lenta della comunicazione FtF (questo
spiega discrepanze con esperimenti in lab): cmc può veicolare la
stessa socialità della comunicazione FtF, se si lascia agli attori il
tempo di svilupparla (in laboratorio: limitazione temporale e assenza
di aspettative su interazioni future)
• Al di fuori delle condizioni di laboratorio, gli esseri umani non
comunicano quasi mai esclusivamente con un mezzo (cmc o FtF)
• Selective self presentation; scelta dei tempi; feedback più mediato
e behavioural confirmation
• “Like ordinary behaviour, only more so” (Spears, Lea)
Teoria “Hyperpersonal”
In alcune circostanze, la CMC può avere un grado di desiderabilità sociale «superiore a
quanto siamo soliti esperire nell'ambito della comunicazione faccia a faccia» (J.B.
Walther, Computer-Mediated Communication: Impersonal, Interpersonal, and
Hyperpersonal Interaction, «Communication Research», 23, 1996, p. 17)
Ripensamento delle caratteristiche di quattro elementi fondamentali del processo
comunicativo: il ricevente, l'emittente, il canale e il feedback.
Nei contesti di CMC, i riceventi tendono a idealizzare i propri interlocutori (a partire dai
limitati elementi a loro disposizione), mentre gli emittenti hanno la possibilità di
un'autopresentazione selettiva (possono cioè presentare solo alcuni elementi di sé,
solitamente i più desiderabili, in analogia con i processi già descritti da Erving
Goffman nei contesti offline); le caratteristiche tecniche dei canali (Walther si
soffermava essenzialmente sulla comunicazione asincrona) rafforzano i processi di
costruzione selettiva dei messaggi, mentre il feedback garantisce fenomeni di
conferma comportamentale (p. 27), rafforzando le reciproche aspettative sviluppate
dagli interlocutori nel corso della loro interazione.
Il contesto sociale
• Passaggio verso comprensione più completa della cmc:
– Superamento teoria “matematica” dell’informazione
– Critica a concezione ingenua dell’informazione (che è un prodotto
sociale, non un bene che esiste in natura)
– Concezione non riduzionistica della dimensione sociale (codici, universi
simbolici ci accompagnano come parte integrante nostra esistenza)
– Realtà sociale come costrutto e non come dato ontologico
• Il contesto sociale: relazione circolare con l’azione
• Si pone in discussione il determinismo, ad esempio la presunzione di
“intrinseca democraticità” delle tecnologie
• Dall’esperimento in lab all’approccio etnografico: l’attenzione si
sposta dagli “effetti” della cmc comparata con FtF a processi di
costruzione simbolica dei significati e dell’azione online (N. Baym,
S.Turkle, ecc.)
With o through the Net?
• Diversamente dalla HCI, la CMC non si concentra tanto
sull’interazione tra utente e sistema, quanto sulle interazioni tra
soggetti supportate dalla tecnologia.
• Ma la CMC non sostituisce totalmente la HCI: anche in contesti di
CMC, infatti, l’interfaccia non cessa di avere un ruolo nel
determinare la maggiore o minore facilità di utilizzo dei dispositivi,
che a sua volta ha ricadute spesso rilevanti sulle modalità di
interazione adottate dai soggetti.
• I soggetti dell’interazione non cessano totalmente di essere
interpretati come utenti ma quello dell’utente diviene solo uno dei
livelli di analisi pertinenti quando riflettiamo sulla CMC. In
quest’ambito divengono centrali le dinamiche di interazione tra
soggetti, mentre i dispositivi tecnologici costituiscono l’ambiente, il
contesto dell’interazione stessa.
I modelli della CMC: ricapitoliamo
 RSC (indicatori sociali ridotti), anni ‘80:
 Vuoto sociale e “deindividuazione” (flaming)
 Equalization effect (potenzialità democratizzanti)
 Critiche: relative soprattutto all’idea di “povertà sociale” della CMC
 SIDE (social identity de-individuation), anni ‘90:
 Distinzione tra identità individuale e identità sociale (rif. ai diversi contesti sociali)
 Non c’è totale equalizzazione delle identità sociali (traspaiono da vari elementi CMC e
da conoscenze pregresse)
 Ciò che accade nella CMC dipende dalla situazione comunicativa: se prevale identità
personale e anonimato visivo > equalizzazione; se prevale identità sociale > si agisce
nel rispetto delle regole (anche in modo più conformista che in f-to-f)
 Deindividuazione può comportare sia scarsa sia elevata adesione alle regole
Modelli CMC - segue
 SIP (social information processing), anni ‘90:
 Critiche a RSC: esperimenti; dimensione temporale
 CMC non è meno efficace, ma meno efficiente, più lenta, si possono sviluppare
relazioni significative a condizione che ci sia tempo a sufficienza
 Hyperpersonal, seconda metà anni ‘90:
 Interazioni mediate avvengono in modo più stereotipicamente sociale (controllo
delle impressioni: “impression management”)
 Presentazione ottimizzata del proprio sé
 Ne deriva impressione spesso idealizzata dell’interlocutore, in cui i meccanismi
sociali classici dell’interazione sono esasperati
Una famosa vignetta del New Yorker
(1993)
Una vignetta del New Yorker di
febbraio 2015
Internet studies: un tentativo di definizione
(Dizionario Informatica Treccani)
è un campo di studi multidisciplinare che analizza gli aspetti sociologici, psicologici, culturali, politici e
tecnologici legati a internet e alle tecnologie digitali.
(>Wellman) suddivide gli I.S. in tre età [...]
Se nei primi anni la riflessione si concentrava su pochi temi (tra cui CMC, comunità virtuali e digital divide),
oggi gli I.S. analizzano argomenti che spaziano dalle proiezioni identitarie online ai videogiochi, dai
(>SNS) alle (>culture convergenti e partecipative), dall'(>internet governance) all'attivismo in rete, dal
rapporto tra internet e giovani alle applicazioni della comunicazione online in ambito politico,
istituzionale, di mercato.
Tra i protagonisti della riflessione disciplinare, metodologica e di etica della ricerca va menzionata l'(>AoIR
). Tra le riviste di riferimento si annoverano: New Media and Society, Information Society, Information
Communication and Society, Jounal of Computer-mediated communication, Convergence, First
Monday.
Le tre età degli internet studies
• B. Wellman (2004): “The tree ages of Internet Studies: ten, five and
zero years ago”, in New media and society
• La preistoria (1992-1994): Computer Supported Cooperative Work
(CSCW); esperimenti in laboratorio (vedi Sproull e Kiesler
Connections, 1991)
• “I remember standing lonely at the microphone during a comments
period at the CSCW 1992 conference. Feeling extremely frustrated, I
exclaimed: You don’t understand! The future is not writing stand
alone applications for small groups. It is in understanding that
computer networks support the kinds of social networks in which
people usually live and often work (…) They are sparsely-knit (…)
People don’t just relate to each other online, they incorporate their
computer-mediated communication into their full range of
interaction: in-person, phone, fax, ad even writing”
La prima età degli i.s.
• Ruolo delle “dot.com” (metà anni ’90)
• Utopians: “The most transforming technological event since the
capture of fire” (John Perry Barlow, 1995); presentism e parochialism;
guardavano ai fenomeni online come se fossero isolati
• Dystopians: “it disconnects us from each other”
• “Pundits and computer scientists alike were still trying to get a handle
of what was happening without taking much account of social
science knowledge” (poca o nulla ricerca empirica)
• Convinzione che ciò che accade online sia completamente
indipendente, separato da ciò che accade offline
La seconda età (1998-2003)
• Crescente attenzione da parte del mercato e dei policymakers
• Crescita continua dell’uso di Internet: “We have moved from a
world of internet wizards to a world of ordinary people routinely
using the internet” (internet diventa una cosa importante, ma non
una cosa speciale)
• Ricerca empirica su larga scala (università, governi, aziende – Pew
Internet & American Life Project e World Internet Project)
• “Neither the utopians hopes… nor the dystopians fears…”
• Dalle ricerche emerge che a un uso crescente di Internet si
accompagnano maggiori contatti anche con altri mezzi (face to
face, telefono, ecc.)
Verso la terza età degli internet studies
“Le prime due età degli internet studies sono state semplici. Nella
prima età, non c’era bisogno di ricorrere ai dati: bastava
un’eloquente euforia o un’altrettanto eloquente disperazione. Nella
seconda età, i ricercatori potevano cogliere frutti facilmente
raggiungibili, utilizzando metodi standard della ricerca sociale –
questionari e lavoro sul campo – per documentare la natura di
internet” (Wellman, 2010, p. 21)
La terza fase: dalla documentazione all’analisi
(2004- )
• Progetti di ricerca più focalizzati, supportati dalla teoria (tipologie di
relazioni sociali supportate, sviluppo di individualized networks:
personalizzazione, portabilità, connettività ubiqua)
• “The Internet is helping each person to become a communication
and information switchboard (quadro comandi) between persons,
networks, and insititutions”
• “I gruppi si sono trasformati in network individualizzati”
• “La persona è diventata un portale”
Sherry Turkle, tra ciberentusiasmo e scetticismo
 1995: La vita sullo schermo, affronta in modo sistematico il tema dell’identità online
 Riflessione sul rapporto tra i nostri “sé virtuali” (“second self”) e “sé reali” (es. MUD)
 Per Turkle i Mud rappresentano un’enorme fucina identitaria: l’anonimato consente di
esprimere dubbi, disagi, problemi
 “Moratoria psicosociale”: un momento in cui l’individuo testa nuove modalità
identitarie senza troppe conseguenze sulla vita offline
 Nei lavori successivi, abbandona l’idea di un “secondo sé”, per parlare di “tethered
self” (i dispositivi digitali, e in particolare il mobile, come un’ulteriore arena per le
nostre elaborazioni identitarie; identità come processo e come “lavoro”)
 2011: Alone together: “le nuove tecnologie ci connettono ma non ci permettono di
prestare attenzione all’altro e di conoscerci”
Manuel Castells: la network society
 Trilogia “The Information Age” (1996) ha posto le basi per lo studio dei
processi di trasformazione sociale che stanno cambiando il nostro
mondo
 Rivoluzione tecnologica; crisi del capitalismo e del comunismo;
nascita di nuovi momenti popolari hanno generato una nuova
struttura sociale, una nuova economia (economia informazionale
globale) e una nuova cultura (cult. della virtualità reale)
 Logica a rete
 Nuova morfologia sociale: flussi (capitali, informazioni, ecc.); tempo
senza tempo
Manuel Castells - segue
 Networked sociability
 Nuovo paradigma della tecnologia dell’informazione:
interconnessione; ICT come parte integrante dell’esperienza umana
 Inclusione/esclusione
 Mass-self communication: comunicazione di massa individuale,
movimenti sociali
Jan van Dijk: le leggi della network society
 Network society: “una forma di società che organizza sempre di più
le sue relazioni a partire da reti di media destinate gradualmente a
integrare le reti sociali della comunicazione faccia a faccia”
 La società contemporanea sta diventando network society e
parallelamente “information society”
 Sette “leggi del web” (The Network Society, terza edizione, 2012):
1. Network articulation: una struttura di relazioni si fa avanti a spese
dell’indipendenza delle unità collegate
 Estensione e riduzione di scala: struttura duale; estensione:
nazionalizzazione e internazionalizzazione dei processi; riduzione:
ambienti di vita e lavoro sempre più piccoli. Centralizzazione e
decentramento
Jan van Dijk: le leggi della network society
 2. Network externality: le reti producono effetti sulle persone e sulle
cose che sono esterni alla rete:
 impulso alla connessione (massa critica: 20-25%), ma permangono
diseguaglianze;
 Spinta alla standardizzazione
 3. Network extension: con l’estensione della rete, diventano necessari
i mediatori (es. motori di ricerca, SNS, informazione)
 4. Law of small worlds; interconnessione e effetto-contagio
Jan van Dijk: le leggi della network society
 5. Limits of attention
 6. Power law (“rich get richer”)
 7. Trend amplifiers: “i nuovi media intensificanole tendenze già
presenti e rinforzano le relazioni sociali esistenti”
 Van Dijk evidenzia le tendenze contrastanti che attraversano la
network society
 “Network individualization”: ambienti di vita e di lavoro diventano
progressivamente più piccoli, mentre al contempo la varietà della
divisione del lavoro e delle comunicazioni si amplifica
Henry Jenkins e la cultura convergente
• “Benvenuti nella cultura convergente, dove vecchi e nuovi media
collidono, dove i grandi media e i media grassroots si incrociano, dove il
potere dei produttori dei media e quello dei consumatori interagiscono
in modi imprevedibili. La cultura convergente è il futuro, ma sta
prendendo forma oggi. I consumatori ne usciranno più potenti, ma
soltanto se sapranno riconoscere e usare quel potere in veste di
consumatori e cittadini, come partecipanti attivi della nostra cultura”
(H. Jenkins, Cultura Convergente, p. 285)
“If it doesn’t spread, it’s dead” (Jenkins et al, Spreadable media)
Cultura convergente: 3 parole chiave
• 3 parole chiave:
–
–
–
Convergenza
Intelligenza collettiva
partecipazione
La cultura convergente per Jenkins: “Where old and new media collide”
• “Per convergenza intendo il flusso di contenuti su più
piattaforme, la cooperazione tra più settori dell’industria dei
media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove
esperienze di intrattenimento”
• La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media, ma
nei cervelli dei singoli consumatori, nonché nelle loro
reciproche interazioni sociali
• Voglio contestare l’idea secondo la quale la convergenza
sarebbe essenzialmente un processo tecnologico che unisce
varie funzioni all’interno degli stessi dispositivi. Piuttosto, essa
rappresenza un cambiamento culturale, dal momento che i
consumatori sono stimolati a creare nuove informazioni e ad
attivare connessioni tra contenuti mediatici differenti
(H. Jenkins, Cultura Convergente, Introduzione)
Media e sistemi di delivery
• “Il suono registrato è un medium. I CD, i file mp3 sono
tecnologie di delivery”
• I sistemi di delivery sono semplicemente tecnologie
mentre i media sono anche siste i culturali. Le tecnologie
di delivery vanno e vengono, mentre i media persistono
come strati all’interno di una più complicata
stratificazione di informazione e intrattenimento”
•
• (H. Jenkins, Cultura convergente)
Culture partecipative
•
Forme di aggregazione:
•
Al crocevia di tre tendenze:
•
Culture partecipative crescono in un ecosistema in cui le
tecnologie interattive e bidirezionali abilitano e rafforzano la
diffusione e l'adesione a queste culture
– Con basse barriere per l’espressività artistica e il coinvolgimento
– Con forti supporti per creare e condividere le proprie creazioni con
gli altri
– Con presenza di mentorship informale
– In cui i membri credono che i loro contributi contino
– In cui i membri percepiscono alcuni gradi di connessione sociale
con gli altri
– Tecnologie e strumenti di tipo nuovo
– Subculture (produzione fai-da-te)
– Tendenze economiche a favore dei conglomerati mediali
orizzontali incoraggiano flusso di immagini e idee che coprono
molteplici canali
Intelligenza collettiva
• Lévy: distinzione produttiva tra gruppi sociali organici
(famiglie, ecc.), gruppi sociali organizzati (nazioni,
istituzioni…), gruppi sociali auto-organizzati (comunità
virtuali del web)
• Intelligenza collettiva espande la capacità produttiva
della comunità perché libera i singoli aderenti dalle
limitazioni della propria memoria e consente al gruppo
di affidarsi a una gamma più vasta di competenze
(“nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del
sapere risiede nell’umanità”)
• Contrapposizione a “intelligenza connettiva” di de
Kerckhove
• Sistemi emergenti?
Barry Wellman e il networked individualism
 Internet e vita quotidiana
 I network (sociali) come struttura sociale prevalente (allontanamento da
comunità e gruppi)
 Networked individualism
 (approfondiremo il pensiero di Wellman nella seconda parte del corso)
Sonia Livingstone: Internet studies e giovani
 Il progetto Eu Kids online
 Rischi e opportunità. I rischi per i minori online ci sono sempre, quelli
che hanno più esperienza sono anche i meglio attrezzati per risolvere
eventuali situazioni negative
 Critica al concetto di “nativi digitali”: “avocare ai minori una
expertise per il solo fatto di essere minori significa delegittimare il loro
diritto ad avere politiche pubbliche di intervento che li sostengano e
li accompagnino nel percorso di acquisizione delle competenze
fondamentali dell’uso dei nuovi media”
 Comprensione della realtà a partire dai dati empirici
Geert Lovink: net criticism
 Critiche giornalistiche a Internet: Carr (“Internet ci rende stupidi”), Keen
(“Dilettanti.com”), ecc.
 Di altro spessore la riflessione di Lovink: “Zero comments” (2007), critica
alle logiche delle grandi corporation; “celebrazione del dilettante” non
li aiuta a diventare professionisti; contro la retorica della
partecipazione nel web 2.0 (“zero comments”, appunto)
 2012: Ossessioni collettive; uso irrazionale del web saturazione delle
informazioni, information overload
 “Organized networks” in opposizione ai social media (legami più forti,
scopo comune, forme antagoniste rispetto alle corporations)
 Free software e open source
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