IL DISGUSTO E I PRODOTTI DI MARCA: LO SVILUPO DI UNA

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LE DIMENSIONI DEL DISGUSTO
NELLA PUBBLICITÀ DEI PRODOTTI DI MARCA
Gianluigi Guido, Alessandro M. Peluso e Duilio Serra
Abstract per il Convegno SIMktg 2007
Sebbene la maggior parte delle ricerche sul disgusto si collochi nel campo della
psicologia clinica e sociale (per esempio, Nabi 2002; Olatunji et al. 2005), negli ultimi
anni interessanti studi sono stati condotti anche nell’ambito della letteratura sul
consumo, in considerazione del ruolo cruciale che le emozioni giocano in tutte le fasi
del comportamento d’acquisto. Diversamente dagli approcci dimensionali (per esempio,
Russell 1980; Watson, Clark e Tellegen 1988), secondo cui le reazioni emotive degli
individui sono collocabili lungo dimensioni continue di un ideale spazio vettoriale, i
cosiddetti approcci categoriali allo studio dell’emotività umana (Ekman 1999; Izard
1977; Plutchik 1980) hanno consentito la focalizzazione sulle singole emozioni-base,
biologicamente fondate, tra le quali il disgusto riveste un ruolo determinante nelle
conseguenti scelte comportamentali. In particolare, Shimp e Stuart (2004), in uno studio
limitato al settore alimentare (dominio originario di questa emozione), hanno dimostrato
come il disgusto svolga un ruolo da mediatore nella relazione inversa tra atteggiamento
e intenzione d’acquisto. Argo, Dahl e Morales (2006), basandosi sulla cosiddetta Legge
della contaminazione, hanno valutato, invece, la misura in cui esso spieghi la tendenza
dei consumatori a preferire prodotti diversi da quelli fonte di disgusto. Sempre sulla
base della medesima teoria, Morales e Fitzsimons (2007) hanno successivamente
dimostrato come il disgusto sia un’emozione regolarmente avvertita dai consumatori
durante lo shopping, dal momento che questi preferirebbero che i prodotti da acquistare
non entrassero in contatto, anche a livello meramente percettivo, con altri prodotti,
regolarmente in commercio, ritenuti disgustosi.
Il ruolo del disgusto in pubblicità non è stato finora esaminato, sebbene i diversi
aspetti di questa emozione verosimilmente paiono giocare un ruolo diverso a seconda
delle categorie di prodotti pubblicizzati. La presente ricerca, pertanto, cerca di
determinare, in primo luogo, le dimensioni che compongono il disgusto, al fine di
sviluppare una scala che contempli tutti i diversi aspetti che ricadono all’interno di
questa emozione (tre, in particolare); e, in secondo luogo, il diverso impatto che questa
emozione gioca, in virtù del grado di disgustabilità di un individuo, sulla sua intenzione
di acquisto, a seconda delle categorie di prodotto oggetto delle pubblicità.

Gianluigi Guido è Professore Straordinario di Marketing presso la Facoltà di Economia
dell’Università del Salento e docente di Analisi e Ricerche di Mercato ed Economia e Tecnica
della Pubblicità presso la Facoltà di Economia della LUISS di Roma. Alessandro M. Peluso è
Dottorando di Ricerca in Metodi Economici e Quantitativi per l’Analisi dei Mercati presso la
Facoltà di Economia dell’Università del Salento. Duilio Serra è laureato in economia e
commercio l’Università del Salento. Indirizzare la corrispondenza a: Gianluigi Guido, Via per
Monteroni, Palazzo Ecotekne, 73100 Lecce (Italia); E-mail: [email protected].
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1. Dimensioni del disgusto
La letteratura sul disgusto ha fornito adito all’interpretazione di questo costrutto
secondo tre principali dimensioni, le quali, tuttavia, non sono state finora misurate con
un’unica scala e, tanto meno, valutate nel loro complesso negli studi ad oggi apparsi
nella letteratura di marketing. Queste tre dimensioni del disgusto, desumibili in via
interdisciplinare, sono riassumibili in: 1) disgusto per contaminazione; 2) disgusto
morale, e 3) disgusto strutturale (o intrinseco).
Sulla base della cosiddetta Teoria del disgusto per contaminazione (o Legge della
contaminazione) (Rozin e Fallon 1987), secondo la quale un oggetto che entra in
contatto diretto o indiretto con un altro ne viene automaticamente influenzato,
l’emozione del disgusto è stata collegata al senso di repulsione nei confronti di cibi
considerati nocivi, in quanto contaminanti o contaminati. Il disgusto è stato quindi
definito, in termini più generali, come la ripugnanza verso qualsiasi oggetto (ad
esempio, parti o escrementi del corpo umano o di animali), azione (per esempio, di tipo
sessuale) o persona (per esempio, poco incline all’igiene personale) percepita come
contaminante, contaminata o contraria a determinate norme socio-morali (Rozin, Haidt
e McCauley 2000). In linea con questa definizione, un recente studio di Marzillier e
Davey (2004) ha dimostrato come gli stimoli capaci di elicitare questa emozione nei
percettori possano essere classificati in due categorie: (1) quelli primariamente
disgustosi (primary disgust items), prevalentemente di origine animale (si pensi, ad
esempio, agli insetti o a parti o resti di animali), capaci di generare un disgusto puro,
vale a dire scevro da altre emozioni, molto simile alle forme di disgusto distintivo (core
disgust) o, al limite, legato alla natura animale dell’essere umano (animal-reminder
disgust) ipotizzate da Rozin, Haidt e McCauley (2000); e (2) quelli diffusamente
disgustosi (complex o diffuse disgust items), legati soprattutto a comportamenti ritenuti
socialmente e/o moralmente inaccettabili, capaci di generare una forma di disgusto più
complessa, vale a dire mista ad altre emozioni negative – quali la rabbia, la tristezza, la
paura e il disprezzo – e legata al contesto sociale di riferimento, molto simile alle forme
di disgusto interpersonale (interpersonal disgust) e socio-morale (socio-moral disgust)
di Rozin, Haidt e McCauley (2000). Proprio su quest’ultima forma più complessa, di
matrice sociale e/o morale, è incentrata la cosiddetta Teoria del disgusto morale di
Miller (1997), secondo cui il disgusto è un sentimento morale di disapprovazione verso
comportamenti legati all’ipocrisia, alla crudeltà, al tradimento e alla mellifluità. Una
concezione del disgusto alternativa a queste sviluppate in psicologica è, infine, quella di
natura antropologica proposta da Douglas (2002) nella cosiddetta Teoria del disgusto
strutturale, secondo cui esso deriva dalla percezione di qualcosa (oggetto,
comportamento o persona) che risulta ambiguo o anomalo rispetto agli schemi mentali
posseduti del percettore, vale a dire rispetto alle strutture cognitive preesistenti (si pensi,
ad esempio, alla sensazione che provoca una sostanza vischiosa, né solida, né liquida).
2. Obiettivi della ricerca
Benché apprezzabili, tutte le ricerche di marketing passate in rassegna hanno
trattato il disgusto in modo piuttosto limitato, vuoi per il contesto di riferimento, come
nel caso di Shimp e Stuart (2004), vuoi per le dimensioni considerate (cfr. Argo, Dahl e
Morales 2006; Morales e Fitzsimons 2007). Da qui, l’esigenza di proporre, in un quadro
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teorico più generale, una scala di misurazione del disgusto utilizzabile nelle ricerche di
marketing comprensiva delle diverse dimensioni. Il presente studio si propone pertanto
un duplice obiettivo: (1) Sviluppare, sulla base delle tre teorie menzionate, una scala del
disgusto utilizzabile in un contesto di marketing e, in particolare, in quello pubblicitario;
e (2) Verificare la capacità predittiva di tale strumento di misurazione sulla conseguente
intenzione d’acquisto dei consumatori, relativamente a diverse tipologie di prodotti
pubblicizzati e rappresentativi delle varie sottodimensioni della credibilità: Attrattività,
Competenza e Affidabilità (Ohanian 1990). Recenti ricerche (Guido e Peluso 2004,
2006) hanno dimostrato, infatti, come sia possibile stabilire un matching tra le tre
sottodimensioni della credibilità e i prodotti, associando a ciascuna di esse una
categoria di beni caratterizzati da elementi che richiamano, nel percettore, quella
particolare sottodimensione. In particolare, i Prodotti-Attrattività sono quelli la cui
valutazione da parte dei consumatori si basa prevalentemente sulle caratteristiche
estetiche (per esempio, l’abbigliamento); i Prodotti-Competenza sono quelli la cui
valutazione si basa prevalentemente sull’efficacia delle loro performance nel risolvere
un problema (per esempio, i prodotti per l’igiene o farmaceutici); e, infine, i ProdottiAffidabilità sono quelli la cui valutazione si basa prevalentemente sulla costanza delle
performance nel tempo e sulla durata (per esempio, i prodotti hi-tech).
3. Metodologia
La ricerca è stata condotta su un campione di studenti universitari e ha avuto per
oggetto prodotti di marca ampiamente consumati dalla popolazione di riferimento.
Preliminarmente, sono stati scelti, mediante un focus group (12 ss., 50% M/F, età media
18-27 anni), tre prodotti di marca (abbigliamento intimo Intimissimi, per i prodottiattrattività; dentifricio Mentadent, per i prodotti-competenza; e telefono cellulare
Nokia, per i prodotti-affidabilità) diffusi tra la popolazione di riferimento e
potenzialmente capaci di evocare le tre sottodimensioni della credibilità. Un successivo
manipulation check (N = 120, 39% M e 61% F, età media = 18-27 anni) ha confermato
la capacità dei tre beni di rappresentare adeguatamente le tre sottodimensioni in
questione (p < .01). Successivamente, per lo sviluppo della scala, è stata seguita la
procedura a stadi suggerita da De Vellis (1991). Nella prima fase, Definizione del
costrutto, l’emozione oggetto d’indagine è stata individuata sulla base delle tre teorie
sopra illustrate, adattate a contesti di marketing. In particolare, è stato ipotizzato che il
disgusto sia un costrutto tridimensionale riferito alla sensazione di ripugnanza che si
prova verso un prodotto di marca, in quanto contaminato, tramite contatto diretto o
indiretto, da qualcosa, a sua volta, percepita come disgustosa (Disgusto per
contaminazione), in quanto contrario alle norme socio-morali condivise nel contesto di
riferimento (Disgusto morale), oppure in quanto percepito come anomalo o ambiguo
rispetto alle strutture cognitive del percettore (Disgusto strutturale). Nella seconda fase,
Generazione degli items, tramite un panel di esperti e un focus group (14 ss., 50% M/F,
età media 18-27 anni), è stata definita una batteria di potenziali indicatori del costrutto.
Nella terza fase, Raccolta dei dati, è stato condotto, con il supporto di un panel di
esperti, uno screening preliminare degli indicatori; quindi, i 15 items rimanenti (5 per
ciascuna sotto-dimensione) sono stati riformulati e riferiti a ipotetiche pubblicità
comparative del prodotto di marca, all’interno di un questionario a risposta chiusa, su
scale Likert a 7 passi. Per ciascuno di questi indicatori, è stata inserita, all’interno del
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questionario, una domanda, sempre a risposta chiusa e su scala a 7 passi, nella quale è
stato chiesto d’indicare l’influenza sull’intenzione d’acquisto esercitata dall’item della
scala associato, in modo da ottenere dal loro prodotto una misura indiretta della
sensibilità al disgusto (o disgustabilità). Nel questionario sono stati inseriti anche 4
items, di cui: due, per misurare, tramite prodotto, l’intenzione d’acquisto prima che i
rispondenti si pronunciassero sulle domande relative al disgusto; e due, per misurare la
stessa variabile dopo la somministrazione della scala. Infine, sono state inserite le
domande sui dati socio-demografici (età, sesso e stato civile). Nello studio principale, il
questionario, nelle sue tre versioni, relative agli altrettanti prodotti di marca
diversamente credibili, è stato somministrato a un campione di 300 studenti universitari
(età media 24 anni; 34% M e 66% F), omogeneamente assegnati ai tre prodotti di
marca.
4. Risultati
Una prima analisi dei dati raccolti è stata volta alla Purificazione della scala, che
costituisce la quarta fase della procedura di De Vellis (1991). I risultati hanno
evidenziato una sostanziale affidabilità della scala nel suo complesso (α di Cronbach >
0,70, per i tre prodotti). Tuttavia, sulla base di una preliminare analisi fattoriale (Metodo
delle componenti principali, con rotazione Varimax e criterio di determinazione del
numero di fattori da estrarre basato sull’autovalore > 1), sono stati eliminati tre
indicatori, in quanto non saturavano alcuna delle dimensioni previste. Quindi, per
ciascun prodotto di marca considerato, è stata condotta una successiva analisi fattoriale
(Metodo delle componenti principali, con rotazione Varimax e criterio di
determinazione del numero di fattori da estrarre basato sull’autovalore > 1) per la
Verifica dell’affidabilità interna della scala purificata, che costituisce la quinta e ultima
fase della procedura di De Vellis (1991). Per ciascuno dei tre prodotti indagati, i risultati
hanno dimostrato l’esistenza di tre principali fattori latenti (factor loading > 0,50)
capaci di spiegare, congiuntamente, oltre il 50% della varianza complessiva. I tre fattori
estratti sono stati riferiti, rispettivamente, al Disgusto per contaminazione (α di
Cronbach > 0,75, per i tre prodotti), al Disgusto strutturale (α di Cronbach > 0,70, per i
tre prodotti) e al Disgusto morale (α di Cronbach ≥ 0,70, per i tre prodotti).
Al fine di verificare l’incidenza del disgusto, nelle sue tre sottodimensioni,
sull’intenzione d’acquisto dei consumatori, è stato calcolato, per ciascuno dei tre
prodotti indagati, l’indice di disgustabilità (variabile indipendente) e un indice di
variazione dell’intenzione d’acquisto (variabile dipendente), ottenuto come differenza
tra i punteggi relativi all’intenzione d’acquisto dei rispondenti dopo e quelli relativi alla
stessa intenzione dei soggetti intervistati prima della somministrazione della scala. I
risultati delle analisi di regressione, condotte a livello di singolo prodotto, hanno
dimostrato come la variabile dipendente sia influenzata dalle diverse sottodimensioni
della disgustabilità (e, indirettamente, del disgusto), a seconda della tipologia di
prodotto. In particolare, per l’abbigliamento intimo Intimissimi (rappresentativo dei
Prodotti-Attrattività), è emersa un’influenza positiva della Disgustabilità morale (β =
0,20, p = 0,045) sull’intenzione d’acquisto; per il dentifricio Mentadent (rappresentativo
dei Prodotti-Competenza), invece, l’intenzione è influenzata negativamente
Disgustabilità per contaminazione (β = -0,23, p = 0,029); mentre, per il telefono
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cellulare Nokia (rappresentativo dei Prodotti-Affidabilità), è la Disgustabilità
strutturale (β = -0,33, p = 0,001) ad incidere negativamente sull’intenzione d’acquisto.
5. Conclusioni
Il principale contributo della presente ricerca è quello di aver proposto una scala di
misurazione del disgusto che può essere utilizzata con riferimento a qualsiasi stimolo di
marketing (prodotti di marca, spot pubblicitari, testimonial e così via). A differenza dei
precedenti studi di marketing, la presente ricerca non si basa su un solo tipo di bene, né
s’incentra su una sola teoria, ma, relativamente a diverse tipologie di prodotti
diversamente credibili, considera organicamente tutte le principali interpretazioni
teoriche del disgusto presenti in letteratura, per proporre una definizione generale di
questa emozione e uno strumento di misurazione capace di catturare le sue
sottodimensioni (Disgusto per contaminazione, Disgusto strutturale e Disgusto morale).
Il presente studio ha anche dimostrato come, a seconda della dimensione della
credibilità elicitata dal prodotto di marca pubblicizzato, l’intenzione d’acquisto dei
consumatori sia influenzata da diverse sottodimensioni del disgusto. A tal proposito, un
risultato interessante è quello emerso per i prodotti-attrattività, dal quale si potrebbe
desumere che una pubblicità incentrata su aspetti moralmente disgustosi del prodotto
possa invogliare i consumatori all’acquisto. Pur essendo un risultato palesemente in
contrasto con le precedenti ricerche di marketing sull’argomento, esso è perfettamente
spiegabile ricorrendo alla teoria di Miller (1997) e all’interpretazione fornita da Wilk
(1997), secondo cui il disgusto, in generale, e quello morale, in particolare, sarebbero
legati ai desideri, anche inconsci, degli esseri umani. Un elemento inizialmente
percepito come moralmente disgustoso, infatti, potrebbe, in un secondo momento, far
affiorare nella mente dei consumatori desideri reconditi e, quindi, stimolare azioni volte
alla loro realizzazione.
Da un punto di vista operativo, sarebbe auspicabile che le aziende utilizzassero la
scala proposta per misurare il grado di disgusto suscitato dai loro prodotti e/o dalle loro
campagne pubblicitarie prima di lanciarle sul mercato. Inoltre, sarebbe utile anche che
queste comprendessero che il disgusto, anche a livello di singola sottodimensione, non
solo può incidere sul comportamento dei consumatori, alla pari di ogni altra emozionebase, ma, rispetto a queste, presenta il vantaggio di poter essere elicitato nei
consumatori più facilmente (cfr. Rozin, Haidt e McCauley 1999). Ciò rende questa
emozione un’importante leva per le imprese che intendessero ricorrere a strategie
cosiddette di black marketing, volte a screditare e/o indebolire l’immagine di
concorrenti, diffondendo, per esempio, messaggi pubblicitari o altre informazioni sul
loro conto tramite la televisione, il web o a mezzo stampa.
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