PIRANDELLO

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PIRANDELLO - appunti
In Pirandello c’e sempre un’oscillazione tra visione ontologica dell’umorismo (= eterna
tendenza dell’arte a svelare le contraddizioni e gli autoinganni dell’esistenza: l’uomo
vive da sempre in un mondo privo di senso e però si crea una serie di autoinganni e
illusioni con i quali cerca di dare significato all’esistenza  umorismo demistifica tali
inganni) e visione storica: identifica con la fine dell’antropocentrismo tolemaico
(Maledetto Copernico!) la nascita di quel malessere, tipico della modernità, che porta
al relativismo gnoseologico e all’intuizione che fedi, valori, ideologie non sono che
autoinganni.
Il suo umorismo presuppone la messa in discussione del Positivismo (rifiuto del criterio
di verità oggettiva) e delle ideologie romantiche (rifiuto della verità soggettiva, della
centralità del soggetto e della sua capacità di dare senso al mondo).
Anche se tende a dargli un fondamento eterno, l’umorismo nasce da una riflessione
sulla modernità, perché è nella modernità che le categorie di bene e male, di vero e
falso entrano in crisi.
L’umorismo è volto a evidenziare il contrasto tra arte (forma) e vita, tra personaggio e
persona: l’uomo ha bisogno di autoingannarsi, deve cioè credere che la vita abbia un
senso, e perciò organizza l’esistenza secondo convenzioni, riti, istituzioni. Questi
autoinganni costituiscono la forma dell’esistenza, ma la forma blocca la vita, cioè le
pulsioni vitali, la tendenza a vivere momento per momento, al di fuori di ogni scopo e di
ogni legge.
La vita è forza profonda e oscura che fermenta sotto la forma, ma che riesce ad
uscire solo saltuariamente.
Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più persona integra, fondata sulla
corrispondenza armonica tra desideri e realizzazione, passione e ragione, ma si riduce
a maschera (personaggio) che recita la parte che la società esige da lui. Il personaggio
non è coerente, solido, unitario e ha davanti a sé due strade:
 o sceglie l’inconsapevolezza, l’ipocrisia, l’adeguamento passivo alle forme  è
maschera
 o vive consapevolmente, amaramente e ironicamente, la scissione tra forma e
vita  è maschera nuda, dolorosamente consapevole degli autoinganni, ma
impotente a risolvere le contraddizioni che pure individua. La riflessione
interviene continuamente: più che vivere il personaggio si guarda vivere, è
condannato all’estraneità; guarda da fuori e compatisce non solo gli altri, ma se
stesso.
PIRANDELLO - LA POETICA
- Vita e forma
Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica1: la realtà è vita,
“perpetuo movimento vitale” inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato
all’altro, flusso continuo come lo scorrere del magma vulcanico.
Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume una “forma” distinta e individuale si rapprende, si
irrigidisce, comincia a morire. Così avviene dell’identità personale dell’uomo.
Secondo Pirandello noi siamo parte del flusso della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme
individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo. La personalità che ci creiamo risulta così
un’illusione, un artificio.
Inoltre, siccome viviamo in una società, oltre alle forme che noi stessi ci diamo, riceviamo forme
che gli altri ci danno a seconda di come ci vedono.
- Le maschere imposte dal meccanismo sociale
Tutte queste “forme” rappresentano una costruzione fittizia, una “maschera” che noi stessi ci
imponiamo e che ci impone il contesto sociale in cui viviamo. Sotto la maschera non c’è un volto
definito: c’è un flusso continuo di stati in perenne trasformazione, per cui un istante più tardi non
siamo più quelli che eravamo prima2.
-La critica all’idea di identità individuale
Questa teoria della frantumazione dell’io in una serie di stati incoerenti, in continua trasformazione,
è una conquista culturale significativa: agli inizi del Novecento entra in crisi sia l’idea di una realtà
oggettiva, organica, ordinata, sia l’idea di un soggetto “forte”, unitario, punto di riferimento sicuro
di ogni rapporto con la realtà. L’io si disgrega, si smarrisce, si perde, i suoi confini si fanno labili, la
sua consistenza si sfalda.
- L’indebolimento dell’io
L’idea classica dell’io creatore del proprio destino, che era alla base della cultura ottocentesca, ora
tramonta. L’io si indebolisce, si frantuma in una serie di stati incoerenti e Pirandello è uno degli
interpreti più acuti di questi fenomeni riflettendoli nelle sue costruzioni letterarie.
La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani
smarrimento e dolore; l’avvertire di non essere “nessuno” provoca angoscia ed orrore, generando
solitudine. Inoltre l’individuo soffre anche perché viene fissato dagli altri in “forme” in cui non può
riconoscersi. L’uomo si “vede vivere”, si esamina dall’esterno, come sdoppiato.
La vita dunque, una forza profonda e oscura, che fermenta sotto la forma, prende la sua rivincita
sulla forma solo saltuariamente: è possibile distaccarsi un momento dalla forma e “ vedersi vivere ”
dal di fuori, tuttavia senza la forma non si vive più e non resta che rimettere la maschera.
I personaggi sono costretti così a sopportare l’insostenibile peso di una maschera che li schiaccia;
devono assumere ruoli e identità particolari e spesso innaturali. La loro funzione diventa così quella
di testimoniare il dramma della persona, della vita in generale, che pulsa dietro lo schermo illusorio
della finzione.
- La “trappola”
Queste forme sono sentite come una trappola, come una prigione in cui l’individuo si dibatte,
lottando invano per liberarsi. La società è, secondo Pirandello, un’ “enorme pupazzata”, una
costruzione artificiosa che isola l’uomo dalla vita. L’istituto in cui si manifesta per eccellenza la
trappola della forma è la famiglia, fonte di oppressione, rancori e tensioni; l’altra trappola è quella
economica, la condizione sociale ed il lavoro, almeno a livello piccolo borghese.
1
2
La concezione vitalistica rimanda alla filosofia dello “slancio vitale” di Henri Bergson.
Queste idee risentono dell’influenza delle teorie dello psicologo Alfred Binet sulle alterazioni della personalità.
- Il rifiuto della vita sociale
Alla base di tutta l’opera pirandelliana dunque, si può scorgere un rifiuto per le forme della vita
sociale, per i ruoli che essa impone ed un bisogno reale di autenticità, di spontaneità vitale.
La critica nei confronti delle istituzioni borghesi è caratterizzata da un pessimismo totale: Pirandello
non propone alternative.
- L’eroe estraniato
L’unica via di relativa salvezza che Pirandello affida ai suoi personaggi è la fuga nell’irrazionale,
nell’immaginazione che trasporta verso un altrove fantastico, oppure la follia, eccellente strumento
di contestazione, che, scardinando le convenzioni, le riduce all’assurdo rivelandone l’inconsistenza.
Questo rifiuto della vita sociale dà luogo nell’opera pirandelliana ad una figura emblematica e
ricorrente: il “forestiere della vita”, colui che, avendo capito “il gioco”, cioè avendo preso coscienza
del carattere fittizio della realtà sociale, si esclude, si isola, guardando vivere gli altri; egli,
rifiutando di recitare la sua parte, osserva gli uomini imprigionati dalla trappola con un
atteggiamento umoristico, di irrisione e pietà.
- La “filosofia del lontano”
Questo atteggiamento porta a quella che Pirandello definisce la “filosofia del lontano”, che consiste
nel contemplare la realtà come da un’infinita distanza, adottando una prospettiva straniata che
permette di cogliere l’inconsistenza e l’assurdità di ciò che l’abitudine fa considerare “normale”.
- Molteplicità del reale
Se la realtà è magmatica, in continuo divenire, essa non si può fissare in schemi totalizzanti; ogni
immagine globale è in realtà una proiezione soggettiva. In altre parole, non esiste una verità
oggettiva valida a priori: ognuno ha la sua verità, che nasce dal proprio modo soggettivo di vedere
le cose. Ne deriva così un’incomunicabilità tra gli uomini, portatori solitari di visioni del mondo
personali che accentuano la loro inevitabile condizione di solitudine.
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