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LEZIONE SULLA CLINICA E TEORIA DELLA CLINICA
Trattamento delle dipendenze con tecniche di gruppo: i disturbi del comportamento
alimentare
LEZIONE n.10 - 31/10/12
Con la partecipazione di:
Laura Dalla Ragione, Chiara Nicastri
Punti chiave
Palazzo Francisci di Todi:
 primo centro italiano fondato nel 2000 con personale specializzato nella cura dei DCA;
 struttura residenziale con le sembianze più di un college che di un ospedale;
 atmosfera di una casa protettiva e accogliente, tutto il personale non indossa il camice.
Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA):
 notevolmente cambiati nel tempo, si rendono necessari interventi assistenziali più
complessi;
 nuove fasce di età interessate: 8-17 anni, 35-45 anni (esordi tardivi);
 crescita della popolazione maschile interessata dal disturbo (circa il 10%);
 la prognosi: oltre che dalla gravità, è influenzata dalla tempestività dell'intervento e dalla
continuità della cura.
Diagnosi:
 Anoressia Nervosa: ossessione per peso e forme corporee, amenorrea secondaria, perdita
significativa di peso. Il valore preso in considerazione nella diagnosi è il BMI (indice di
massa corporea).
 NAS: non è possibile fare una diagnosi completa in quanto non ci sono dei criteri stabiliti (ad
esempio, rientra in questa categoria un'anoressia nervosa senza amenorrea, ma con una forte
ossessione per il cibo e le forme corporee).
 Disturbo da Alimentazione Incontrollata: mangiare quantità eccessive di cibo in poco tempo,
abbuffata ritualistica e senza metodo di compenso, non c'è dismorfismo corporeo. E'
opportuna una diagnosi differenziale tra questo disturbo e l'obesità.
 Ortoressia: preoccupazione eccessiva per la qualità del cibo che viene ingerito. Questi
soggetti mangiano solo determinati cibi che ritengono essere sani, eliminando dalla propria
dieta tutti gli altri, con conseguenti carenze nutrizionali. Comporta segni fisici simili
all'anoressia, ma manca l'alterazione dello schema corporeo. È presente spesso in personalità
ipocondriache.
 Bigoressia: equivalente maschile dell'anoressia. Ossessione e dismorfismo per la massa
muscolare.
Approccio Multidisciplinare (linee guide APA):
 è opportuno un trattamento di equipe multidisciplinare psiconutrizionale; diagnosi
differenziale con la collaborazione di vari esperti (pediatri, medici, nutrizionisti, ecc.);
 livelli di cura: ospedali, Day Hospital, ambulatorio, strutture residenziali, comunità.
Ossessione:
 punto cardine della cura (eliminarla per curare la patologia)
 fattori predittivi: perfezionismo clinico

approccio transdiagnostico: presenza di più di un tipo di ossessione nello stesso paziente (es.
anoressia-bulimia).
Comorbilità psichiatrica: Disturbo Ossessivo Compulsivo, fobia sociale, disturbo borderline di
personalità, disturbi affettivi, dipendenze, altri disturbi di personalità (esempio: la bulimia
multicompulsiva nervosa viene associata spesso al disturbo di personalità borderline).
La Professoressa Annamaria Speranza presenta la Dottoressa Laura Dalla Ragione (Responsabile
del Centro DCA Palazzo Francisci di Todi e del Centro DAI Città della Pieve ASL 2 dell’Umbria; e
Responsabile Scientifico del Ministero della Salute).
La Dott. Dalla Ragione introduce la lezione sulle “Nuove strategie nella cura e nella riabilitazione
dei Disordini Alimentari” con un video riassuntivo di 15 minuti, sul centro DCA Palazzo Francisci
di Todi (Il filmato integrale è consultabile all’indirizzo: www.ausl2.umbria.it). Il centro è stato
fondato nel 2000 ed è la prima struttura pubblica italiana extraospedaliera dedicata interamente ai
disturbi del comportamento alimentare.
“E’ così che accade. Una ragazza affetta da anoressia che si guarda allo specchio vede
invariabilmente un'altra persona. Per quanto peso abbia già perduto, da quando ha smesso di nutrirsi,
si vede comunque grassa. Invariabilmente, disgustosamente grassa.
Ma esistono luoghi dove la malattia viene affrontata e il più delle volte sconfitta. A Todi, è nata
cinque anni fa la prima struttura pubblica Italiana residenziale interamente impegnata nel trattamento
di tali patologie e la prima cosa che colpisce è la sede, il luogo in cui la residenza è istallata. Un
prezioso palazzo antico che non porta per nulla i contrassegni di una clinica, così come diverso è
l’aspetto del personale medico e sanitario impegnato all’interno, nessuno porta il camice. Questo non
è un caso, la prima caratteristica del modello che qui è stato sperimentato prevede uno spazio di
accoglienza che non trasmette il senso di una struttura ospedaliera ma di una casa, in tutti i sensi. Va
detto, che il clima un po’ di college che qui si respira è innervato di molte regole, in realtà, invisibili
ma molto rigorose, quando non ferree.
Prima di essere accolte a Palazzo Francisci, le ragazze e i ragazzi vengono sottoposti ad una serie di
colloqui, nella casa sono banditi gli specchi e le bilance. Ogni paziente deve tenere in ordine la
propria stanza e lavare i propri indumenti, l’uso del telefonino è consentito solo di sera. Non c’è ora,
né minuto che non prevede attività, analisi, scambio e incontro/confronto. La mattina del giovedì è
dedicata al controllo clinico in Day Hospital.
È evidente anche solo assistendo alla riunione quotidiana che non si tratta per loro di una semplice
prestazione professionale. Sono tutti fortemente implicati nella relazione con i ragazzi.
“Buona terapia” i pasti incominciano con questo augurio, perché il cibo è inteso come medicina e
sono quattro: colazione alle nove, pranzo alle dodici, merenda alle quattro e cena alle diciannove. E
sono forse questi i momenti cruciali della giornata, il programma nutrizionale è personalizzato,
discusso da ciascun paziente con il dietista, una contrattazione a volte estenuante sulla quantità di
pasta e di condimento. E la cerimonia, la liturgia del nutrimento è controllata. Anche la durata è
prescritta. Non sono consentiti i tempi infiniti del pasto anoressico, lo spezzettamento del cibo in
bocconi quasi invisibili, il masticare fino allo sfinimento senza inghiottire, né il divorare delle
bulimiche. Chi ha delle difficoltà viene compreso, mai in nessun modo umiliato. Tra i metodi per
lavorare sull’idea patologica c’è anche la scrittura, considerato un aspetto fondante. Ad un certo
punto, viene chiesto loro di scrivere delle lettere alla malattia e quando ne sono capaci è segno che
qualcosa di molto importante è accaduto, il sintomo con cui si identificavano al punto di sentirsi
tutt’uno con esso viene finalmente visto come qualcosa di esterno. Dunque c’è stata una frattura, una
separazione. È iniziato il cammino della guarigione.
Non deve stupire vedere anche la danza usata come medicina, dopotutto è una storia antica. Le danze
rituali collettive, compresa quella dei Tarantati, altro non erano in origine che protocolli di
guarigione.
Parte integrante del percorso di cura dei ragazzi, sono le sedute di terapia a cui sono invitati i loro
genitori. Non è sufficiente la loro benedizione, il sostegno, la vicinanza, occorre che essi, spesso
dilaniati dai sensi di colpa o da un cupo senso di impotenza, si lascino investire in prima persona dal
trattamento per partecipare al processo di guarigione trasformandosi in soggetti attivi della cura.
Ciclicamente, per far posto a chi è in attesa, uno per uno i ragazzi vanno via, il più delle volte per
essere affidati a terapeuti sul territorio collegati con il centro.
Un punto fondamentale, non una forte componente critica degli interventi rivolti agli utenti con
disturbi alimentari, rimane legata all'assenza di spazi di cura rivolti ad utenti al di sotto dei 14 anni,
che negli ultimi anni stanno aumentando notevolmente. Il mancato intervento nelle prime fasi del
disturbo ha conseguenze molto gravi poiché lascia il tempo alla componente ossessiva di tali disturbi
di sedimentare all’interno della nascente struttura psichica dell’individuo. Quindi, quando ci troviamo
di fronte ad una ragazza di 16 anni che dice: “io sto male da quando ne ho 9”, dobbiamo preoccuparci
molto. L’ossessione, emersa in un momento evolutivo caratterizzato da un apparato psichico molto
fragile, può causare danni significativi, anche sulla strutturazione dell’Io. Considerato che spesso nei
bambini di quell’età c'è un'associazione con il disturbo ossessivo compulsivo, generalmente l’esordio
sotto i 10 anni può essere molto preoccupante. In questo caso l'apparato psichico risulta più
danneggiato di quanto non lo sarebbe se il disturbo avesse avuto un esordio a 16 anni, quando alcune
strutture dell’Io sono già strutturate.
Nel caso di un paziente che vomita una volta la settimana diagnosticheremo un disturbo bulimico in
quanto possiamo constatare la presenza di un tratto ossessivo focalizzato sul peso, ossessione che
viene successivamente agita una volta sola durante la settimana. Bisogna però sottolineare che
facendo riferimento ai criteri del DSM-IV, la bulimia non sarebbe diagnosticata in quanto non
soddisfa i criteri indicati (probabilmente nel DSM-V verrà inclusa in quanto i criteri per soddisfare
tali disturbi saranno ridotti ).
Tra le tecniche applicate nel centro Francisci, il contratto alimentare stipulato dalle pazienti con la
nutrizionista si basa su una totale fiducia del rispetto della quantità e della scelta degli alimenti. Infatti
la Dottoressa riporta l'esempio di una ragazza che era solita affermare: “Io qui mangio perché in
fondo a voi di me che ve ne frega!”. In questo senso la ragazza si sentiva sicura che al centro non
sarebbe stata forzata a mangiare più del piatto stabilito, né sarebbe stata ingannata dall'aggiunta di
condimenti alle pietanze, come avveniva a casa con i suoi genitori.
Questo esempio mostra bene come nella prima fase di trattamento svolta nel centro Francisci le
pazienti sono assolte dalla responsabilità di una scelta alimentare troppo angosciosa; il cibo viene
quindi “svuotato” dei significati intollerabili proiettati dalle pazienti.
Nella seconda fase del trattamento, una volta uscite dal centro le pazienti saranno stimolate a fare la
spesa autonomamente, cucinarsi, scegliere da sole le porzioni, reintegrando un normale approccio al
cibo”.
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), negli ultimi anni, hanno presentato delle grandi
trasformazioni che hanno modificato i tempi, i modi e i luoghi della terapia. L’appropriatezza degli
interventi e la valutazione degli esiti diventano centrali, così come la complessità e la varietà dei
quadri psicopatologici che richiedono trattamenti sempre più complessi e mirati. Diventano
fondamentali in questa visione i modelli organizzativi e le linee guida.
Data l’enorme complessità di tale quadro diagnostico, la prognosi è fortemente influenzata, più che
dalla gravità della psicopatologia, da due fattori:
1. la tempestività dell’intervento;
2. la continuità delle cure.
In riferimento al primo punto è stato evidenziato che:
 interventi entro il 1° anno, hanno altissime probabilità di guarigione;
 interventi entro il 3° anno, hanno buone probabilità di guarigione (70%);
 interventi dopo il 3° anno, hanno una bassissima probabilità di remissione completa,e
presentano resistenza alle cure dato che la patologia si è cronicizzata.
Attualmente è fondamentale fare una diagnosi precoce, tempestiva e differenziale che dovrebbe
avvenire grazie alla collaborazione di diverse figure professionali (pediatri, psicologi e medici di
base); tali figure si trovano di fronte ad un'ulteriore difficoltà essendo cambiato il range d’età di
esordio. Fino a 10 anni fa la fascia colpita era quella adolescenziale (da 15-16 a 21-22 anni ). Oggi
si assiste ad un abbassamento dell’età di esordio (bambini di 8-10 anni) e ad esordi tardivi (35-45
anni). Inoltre, si è verificato un aumento dei DCA nella popolazione maschile.
Ostacoli che interferiscono nella tempestività:
1. Mancata consapevolezza della malattia. Essendo inizialmente una malattia egosintonica, le
pazienti non si sentono malate ma, al contrario, si sentono bene e si considerano sane; tale
situazione è spesso conseguenza di una percezione alterata dell’immagine corporea, che le
porta a non chiedere aiuto. Infatti tutti i tentativi esterni di aiuto sono vissuti come intrusivi.
2. Sono disturbi mimetici. Tendono a rimanere nascosti per molto tempo per poi diventare
evidenti in una fase ormai troppo avanzata. Sono patologie che permettono, per alcuni
aspetti, un mantenimento della vita quotidiana (lavorativa, scolastica) e, proprio per questo, i
genitori/ familiari hanno difficoltà a individuare la malattia.
3. Evoluzione dei DCA. È stata riscontrata una riduzione dell’anoressia, in particolare le
configurazioni dell’anoressia pura (ascetica), rispetto all’aumento della bulimia e del
disturbo da alimentazione incontrollata (BED); altro fenomeno di rilievo è la grande
percentuale di pazienti che ricevono diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare
Non Altrimenti Specificato (DCA NAS o EDNOS) , ovvero quadri che non soddisfano tutti
i criteri del DSM-IV-TR per Anoressia Nervosa (AN) o Bulimia Nervosa (BN). Tale
eterogeneità dei DCA ha fatto si che, nei decenni scorsi, i pazienti non ricevessero la giusta
considerazione e non fossero presi in carico, con la loro conseguente cronicizzazione. Ad
oggi, infatti, vi sono moltissime pazienti che si sono ammalate 20 anni fa e che non sono
state curate o si sono sottoposte a trattamenti parziali e aspecifici per via di una scarsa
conoscenza e cultura di queste malattie che erano considerate non gravi.
4. Mancanza di strutture per la cura. In Italia i centri per la cura dei DCA risultano
insufficienti rispetto all’incidenza del disturbo.
Classificazione dei Disturbi del Comportamento Alimentare secondo il DSM-IV-TR
CRITERI DSM-IV-TR:
• Anoressia Nervosa
- Rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello minimo normale per l'età e la statura, o al di sopra
di esso .
- Intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, pur essendo sottopeso.
- Disturbi nel modo di sentire il peso e le forme del proprio corpo, influenza indebita del peso e
delle forme del corpo sulla valutazione di sé, o diniego della gravità della perdita di peso in atto.
- Nelle donne che già hanno avuto il menarca si ha amenorrea con assenza di almeno tre cicli
mestruali.
Specificare il sottotipo:
Restrittivo → la persona non presenta frequenti episodi di abbuffate o di comportamenti di
svuotamento improprio (vomito autoindotto, uso di lassativi..).
Bulimico → la persona presenta frequenti episodi di abbuffate compulsive o di comportamenti di
svuotamento.
• Bulimia nervosa
- Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive*. Un’abbuffata si dice compulsiva se possiede i
seguenti caratteri:
• mangiare, in un periodo di tempo circoscritto, quantità di cibo nettamente superiore al normale;
• senso di mancanza di controllo sull'atto di mangiare;
- Comportamenti ricorrenti e impropri di compenso indirizzati a prevenire aumenti di peso, come:
vomito, uso di lassativi, diuretici, clisteri, digiuno, esercizio fisico eccessivo.
- Abbuffate e contromisure improprie capitano, entrambe, in media almeno 2 volte a settimana da
almeno 3 mesi.
- La valutazione di sé è indebitamente influenzata dalle forme e dal peso del proprio corpo.
- Il disturbo non capita solo nel corso di episodi di anoressia nervosa.
Specificare il sottotipo:
Con condotte di svuotamento → la persona si è provocata frequentemente il vomito o ha usato
frequentemente lassativi o diuretici
Senza condotte di svuotamento → la persona ha usato altri comportamenti impropri di compenso,
come il digiuno, l'esercizio fisico eccessivo, ma non si è mai provocata frequentemente vomito, nè
ha usato farmaci.
• Disturbo da alimentazione incontrollata (BED) (appendice B)
- Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive.
- Le abbuffate compulsive suscitano sofferenza e disagio.
- Le abbuffate compulsive capitano almeno 2 giorni a settimana per almeno 6 mesi.
- Le abbuffate compulsive non sono associate all’uso abituale di comportamenti impropri di
compenso.
• Disturbo alimentare non altrimenti specificato (DCA NAS)
Sono disturbi che non soddisfano i criteri di nessuno specifico disturbo dell’alimentazione.
*Abbuffata compulsiva → è un' ingestione in un tempo breve (20-30 minuti) di un quantitativo che
va dalle tremila alle trentamila chilocalorie, non c’è un elemento di realtà legato allo stimolo di
avere fame. È una compulsione patologica, il cibo viene consumato in solitudine, è un rito con delle
regole ben delineate che porta la paziente a eseguire dei rituali con agiti compensatori (vomito
autoindotto, eccessiva attività fisica, lassativi). [Esempio: una paziente abruzzese, con alle spalle
sette anni di malattia, puntualmente ogni domenica comprava trecentosessanta pastarelle di crema
chantilly o normale, in diverse pasticcerie dell’ Abruzzo, le portava a casa e, terminato il pranzo
con i genitori, dopo averle poste in cerchi concentrici attorno a una sedia, si sedeva con un secchio
vicino e iniziava a mangiarle compulsivamente e a rigurgitarle. Tale rito in genere perdurava dalle
15 del pomeriggio alle 19 di sera. Successivamente faceva la doccia e cenava nuovamente con i
genitori. Questo rituale veniva ripetuto anche di giovedì, con sole 60 paste. È interessante notare
che la paziente stessa indicasse come motivo del numero di paste la divisibilità per il numero 3,
sottolineando quindi il carattere ossessivo che accompagnava il disturbo. Va infine segnalato che
quando si ricoverò e chiese di uscire, dopo essere stata interrogata dalla terapeuta in merito alla
preoccupazione che potesse effettuare un'abbuffata, la paziente rispose che non avrebbe potuto in
quanto non vi erano i fattori necessari per compiere tale ritualità].
Rispetto ai criteri del DSM IV-TR si è notato come nella realtà le manifestazioni di queste patologie
siano più sfumate, con il conseguente aumento della categoria DCA NAS che si presenta al suo
interno con una varietà di pazienti molto diversi, ad esempio individui nei quali la perdita di peso
non implica amenorrea (quindi non soddisfa i criteri per la diagnosi di AN), ma con la restante
sintomatologia caratteristica dell’anoressica; oppure pazienti che presentano condotte di
svuotamento inferiori alle 2 volte a settimana (non sufficienti per la diagnosi di BN), ma nel
complesso presentano il quadro bulimico. Tali considerazioni portano a superare la rigidità dei
criteri del DSM IV-TR e spostano l’attenzione sui due elementi dei DCA che sono considerati il
nucleo fondamentale della patologia:
1. Intensità dell’ossessione sul cibo, il peso e le forme corporee, è il nucleo psicopatologico
di tutti i disturbi del comportamento alimentare, criterio discriminante dei DCA, che
permette di differenziarli da altri quadri con elementi simili però dovuti a motivazioni
sottostanti diverse (come ad esempio una perdita di peso legata a contenuti depressivi).
2. Alterazione dello schema corporeo, tale aspetto è presente solamente nella BN e nell’AN.
In base alle considerazioni precedenti nella nuova classificazione DSM V si cercherà di ampliare i
criteri per renderli più adeguati e descrittivi della popolazione clinica dei DCA. Il BED verrà
inserito come quadro nosologico specifico, differenziandolo non soltanto dai DCA NAS,
diversamente dal DSM IV, ma anche dall’obesità. Il paziente con BED viene spesso scambiato per
obeso ma, in quest’ultimo, l’aumento di peso non è dovuto ad abbuffate, bensì riconducibile a
questioni personali, professionali ed emotive di vario tipo che hanno modificato lo stile di vita del
soggetto portandolo ad un aumento di peso; inoltre il soggetto obeso non presenta ossessioni sul
cibo, il peso e le forme corporee.
Recentemente l’attenzione è stata rivolta anche ad altre tipologie di disturbi non previsti dal DSM
IV- TR, che sono strettamente legati a dinamiche socioculturali. Tra questi, degni di nota, troviamo:
Ortoressia: preoccupazione eccessiva riguardante alimenti puri, sani, che porta all’eliminazione di
cibi considerati “tossici” e ad una riduzione del peso determinata dalle carenze nutrizionali con
conseguenti complicanze cliniche. Questi individui per seguire le loro abitudini di vita tendono
all’isolamento. Il loro atteggiamento rispetto al cibo non è dovuto tanto all’alterazione dello schema
corporeo quanto alla paura di ammalarsi.
Bigoressia: (anoressia al rovescio) è l’equivalente maschile dell’anoressia. Riguarda un'ossessione
verso la massa muscolare. Sono soggetti che praticano un'eccessiva attività fisica perché tendono a
vedere i loro muscoli sempre poco tonici, mentre nella realtà sono ipertrofici (è un disturbo evidente
negli ambienti di fitness ed è in costante aumento nella popolazione maschile più che in quella
femminile).
Secondo i dati del Ministero della Salute, la distribuzione in percentuale delle categorie
diagnostiche Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Disturbo del Comportamento Alimentare Non
Altrimenti Specificato e Disturbo da Alimentazione incontrollata, sul campione totale si
distribuiscono come segue:




AN = 31% (dei quali il 70% sono “vomiting”, cioè pazienti che raggiungono il sottopeso
vomitando, quindi sarebbero pazienti bulimiche, ma vengono considerate anoressiche
perché la diagnosi viene effettuata sul criterio del sottopeso; il 30% solamente sono
anoressiche restrittive “ascetiche”).
BN = 32%
EDNOS = 19%
BED = 17%
Data la complessità dei DCA, è consigliato un approccio transdiagnostico che li consideri come in
un continuum, proprio perché questi pazienti presentano tutti i tipi di patologia alimentare.
Va fatta una diagnosi di stato, ovvero una diagnosi nell’hic et nunc, per poi procedere ad un’analisi
retrograda per capire come si è evoluta la patologia nel tempo (es. paziente che passa da un'iniziale
anoressia restrittiva a una bulimica, per poi sfociare in una bulimia conclamata). Raramente si
presentano quadri con una sola patologia alimentare: generalmente ci sono, o ci sono state, almeno
2 o 3 patologie, tutte con un elemento in comune: l'ossessione per il corpo, il cibo e le forme
corporee.
Oltre a questa comorbilità tra i quadri psicopatologici dei DCA, si evidenzia anche come questi
siano concatenati con altre patologie psichiatriche, quindi quasi mai sono presenti disturbi
alimentari puri (il 60% sono in comorbilità psichiatrica):
 l'anoressia nervosa è collegata con tutto il quadro ossessivo-compulsivo, con l’ansia fobica
sociale, con i disturbi affettivi;
 la bulimia nervosa è associata al disturbo borderline di personalità, disturbi bipolari, spettro
delle dipendenze. La forma più grave e insidiosa è la bulimia multicompulsiva associata al
disturbo borderline di personalità, si manifesta in molte aree, non solamente rispetto al cibo
ma anche nell’abuso di alcol, sostanze, cleptomanie, disturbi della condotta sessuale,
shopping compulsivo. Sostanzialmente è una patologia caratterizzata dal mancato controllo
degli impulsi; tale quadro si differenzia sostanzialmente dall’anoressia restrittiva che
mantiene a grandi linee un buon funzionamento. La bulimia multicompulsiva è una
configurazione rappresentativa della società odierna, che enfatizza il consumo a discapito
del controllo.
INTERVENTI, STRUTTURE E TRATTAMENTI
I disturbi del comportamento alimentare sono malattie gravi e pericolose e devono poter usufruire di
diversi livelli di cura che determinino una rete di intervento molto complessa e ramificata. Sono
disturbi che hanno una complessità biologica e psicologica e quindi necessitano di assistenza
diversa a seconda della gravità. Quest’ultima viene valutata anche basandosi sull’indice di massa
corporea BMI (rapporto peso-altezza), considerato nella norma se si mantiene tra i 18-22. Al di
sotto di 18 si parla di sottopeso mentre se l’indice scende sotto il 12 risulta necessaria
l’ospedalizzazione, intesa nei termini di un ricovero salvavita che non deve durare per troppo tempo
poichè successivamente il paziente, una volta ristabiliti i parametri vitali normali, viene affiancato
da strutture extraospedaliere dove può continuare il percorso riabilitativo.
La rete di intervento si compone di cinque livelli di intensità assistenziale :
1. Ospedale (ricovero salvavita),
2. Day hospital,
3. Ambulatorio (soprattutto per pazienti che sono all’inizio della patologia),
4. Struttura residenziale riabilitativa,
5. Comunità.
Il 60% dei pazienti vengono curati in ambulatorio. Tale struttura deve essere integrata cioè
comprendere tutte le figure professionali (psicologiche, nutrizionali e familiari) necessarie. La
letteratura scientifica conviene sul fatto che ci possa essere discordanza sulle tipologie di
psicoterapie e i trattamenti nutrizionali più efficaci, ma concorda sulla probabilità di ottenere
migliori risultati con il trattamento integrato rispetto a quello di tipo monoprofessionale, che
paradossalmente è il più diffuso.
Il trattamento combinato prevede un’azione a 360 gradi che aggredisce la patologia da ogni
angolazione per aumentare le probabilità di sconfiggerla. L’intervento deve iniziare il prima
possibile e prevedere sia esperti in ambito psicologico (psichiatri, psicoterapeuti, psicologici) sia in
ambito biologico (nutrizionisti, dietisti, endocrinologi), affiancati contemporaneamente da qualcuno
che lavori con la famiglia.
Esempio di collaborazione tra diverse figure professionali: un paziente con un grave sottopeso è
inaccessibile dal punto di vista psichico, perché sotto 14 BMI il cervello non “funziona”, in quanto
è completamente assorto dall’ossessione del peso, del cibo e delle forme corporee. Proprio per
questo sul piano psicodinamico sarà molto difficile scardinare tale ossessione. Risulta
fondamentale la presenza di una figura nutrizionale che aiuti a superare l'empasse sul piano fisico,
in modo tale da ridurre l’ideazione ossessiva e permettere al paziente di avere delle aree psichiche
più libere e accessibili dal punto di vista psicoterapeutico; simultaneamente si potrà coinvolgere la
famiglia nel progetto terapeutico traverso un trattamento familiare.
A tale riguardo, secondo le ultime evidenze empiriche, pazienti al di sotto dei 18 anni hanno
maggiori prognosi positive se hanno ricevuto un intervento psicoterapeutico centrato sulla famiglia.
In linea con quanto finora detto anche le raccomandazioni dell’APA 2006 sostengono che:
Il trattamento d’elezione è un trattamento d’equipe multidisciplinare psiconutrizionale che
comprende medici, internisti, psichiatri, psicologi, dietisti, fisioterapisti, infermieri, educatori e
tecnici della riabilitazione. Inoltre è molto importante che ci sia una continuità della cura e un
controllo delle ricadute.
Data l’enorme complessità del quadro patologico dei DCA, per guarire è necessario molto tempo.
Ci vogliono almeno due anni per i pazienti con una sintomatologia non troppo grave, non
cronicizzata e che non presenta comorbilità. Bisogna diffidare dalle terapie focali a breve tempo
(qualche mese) perché si concentrano sull’eliminazione del sintomo, ma non intaccano il nucleo
centrale della patologia (ossessione per il peso, il cibo, il corpo e l’alterazione dello schema
corporeo), con il conseguente aumento delle ricadute. Lo scopo del trattamento non è la remissione
della sintomatologia fisica ma la riduzione dell’ossessione. Non ci si limita, quindi, a lavorare
esclusivamente su aspetti fisici ma bisogna curare attentamente quelli psichici (come nel caso della
dispercezione corporea che tende a persistere anche dopo due anni dalla remissione dei sintomi
legati al comportamento alimentare e la ripresa della vita normale).
Un ulteriore problema è che la maggior parte dei pazienti arriva in consultazione tardi e con una
storia di trattamenti pregressi non adeguati (solo il 15% arrivano in prima battuta a servizi idonei).
DISTRIBUZIONE DELLE STRUTTURE IN ITALIA
www.disturbialimentari.it
I centri italiani sono 166, in rapporto all’incidenza del disturbo (3 milioni di persone ammalate)
risultano insufficienti; tra questi solo 7 sono strutture residenziali come il Francisci di Todi, che
presentano liste di attesa infinite.
Questa situazione nazionale complica ulteriormente la tempestività della diagnosi: le pazienti
malate non trovano luoghi di cura adeguati, perdono ulteriormente altro tempo aggravando il loro
quadro con la conseguente irreversibilità di alcuni sintomi:
- Osteoporosi (assenza di calcio);
- Sotto i 12 anni blocco dell’accrescimento;
- Sotto i 12 anni blocco del menarca; ecc.
È di nuovo importante sottolineare l’importanza di un intervento precoce, soprattutto perché in
letteratura non è presente nessun caso di remissione spontanea.
Una particolare criticità è collegata all'assenza di spazi di cura per pazienti in età prepuberale. La
maggior parte delle strutture censite non accolgono pazienti sotto i 14 anni. L’inappropriatezza delle
cure è ancora più determinante in pazienti così giovani perché l’esordio è avvenuto in un momento
evolutivo particolare, in cui l’apparato psichico non è ancora completamente strutturato e maturo.
Tali pazienti presentano strutture mentali più danneggiate dato che l’ossessione ha intaccato la
strutturazione dell’Io in formazione.
LA RESIDENZA PALAZZO FRANCISCI
La residenza del palazzo Francisci è stata fondata dalla dottoressa Laura Dalla Ragione nel 2000, a
Todi in Umbria. È la prima struttura pubblica italiana extraospedaliera.
 La struttura dispone di 18 posti letto. E’ all’interno del centro storico di Todi.
 La Casa Di Pandora Appartamento per l’autonomia (4 posti letto).
 La durata media del trattamento è di tre mesi.
 Il Centro accoglie pazienti da tutto il territorio nazionale con una particolare vocazione per
pazienti molto giovani, inferiori a 14 anni.
 I pazienti possono, durante il periodo riabilitativo, frequentare la scuola.
 All’ingresso la paziente firma un vero e proprio contratto terapeutico (se è minorenne verrà
firmato dai suoi genitori) in cui si impegna a rispettare le regole della struttura.
 La giornata è molto strutturata, con attività terapeutiche e riabilitative al fine di impedire il
rimuginare ossessivo delle pazienti.
 Esistono regole chiare che vanno rispettate dalle ragazze: non tenere il cellulare acceso
durante il giorno, non tenere del cibo in camera, non uscire senza autorizzazione, non avere
specchi o bilance, ordinare la propria stanza e lavarsi da sole i propri vestiti.
 Il personale non deve indossare il camice.
 Non vengono ammesse pazienti che non accettano le cure.
 È concepito come uno spazio di accoglienza simile ad una casa (all’interno assomiglia a un
college).
Per un trattamento così complesso è stato necessario costituire un’equipe composta da molte figure
professionali (circa 28 persone con l’aggiunta di personale di servizio e amministrativo) che
lavorano all’interno di un progetto terapeutico condiviso, verificato da una riunione d’equipe
settimanale e da briefings quotidiani. I protocolli di intervento sono sottoposti a continua verifica e
monitoraggio. Tutto il personale ha seguito un percorso di aggiornamento specifico con
supervisioni continue.
Una grande innovazione del centro è la sua struttura aperta (non ci sono chiavi nelle porte o sbarre
alle finestre). Tale cambiamento ha suscitato non poche obiezioni che contestavano la concessa
libertà dei pazienti ipotizzando possibili fughe e atti suicidari. In realtà tutto ciò non si è verificato e
il Francisci ha fatto di questo aspetto il suo punto di forza. La giornata è strutturata e comprende
varie attività espressive: danza-terapia, laboratorio teatrale, Tai Chi, laboratorio fotografico e altre
attività creative. I pasti vengono consumati 4/5 volte al giorno, sono serviti ad orari prestabiliti e
sono assistiti, non si possono consumare in tempi infiniti, non si può spezzettare il cibo in pezzi
microscopici, né abbuffarsi, né masticare fino allo sfinimento. Il cibo è visto come terapia, si cerca
di arrivare a depotenziare e desensibilizzare il significato che le pazienti attribuiscono al cibo. Ogni
paziente ha la sua porzione giornaliera, decisa precedentemente con gli esperti.
Oltre al cibo, all’interno del centro vengono praticate varie terapie: di gruppo, individuale e
familiare. Vengono inoltre utilizzati dei trattamenti di medicina complementare come agopuntura,
auricoloterapia, omotossicologia e meditazione.
Una particolarità del centro è l’utilizzo della “Terapia Specchio” concepita per portare il soggetto ad
avere maggiore consapevolezza dell’immagine del proprio corpo reale. Tale tecnica cerca di
correggere gradualmente la percezione distorta che le pazienti hanno circa il loro fisico. Questa
terapia consiste in 7 sedute che prevedono l’esposizione davanti a uno specchio a tre ante: nelle
prime sedute la paziente si specchia vestita, nelle ultime si cerca di raggiungere l’esposizione in
intimo. È una terapia molto delicata che non tutti possono affrontare. Altre terapie analoghe sono
quella della fotografia e del video, anche qui lo scopo finale è quello di mostrare alle pazienti come
sono realmente. Si è appurato che le pazienti anoressiche non riescono a vedersi come sono allo
specchio, cosa che invece riescono a fare se guardano una loro foto o un loro video, ciò perché
l'ansia e la paura non permettono di vedere la loro vera figura. Questo metodo non è correttivo in
automatico, va seguito comunque un percorso per arrivare ad una giusta concezione di sé. La
diagnosi nelle bambine piccole risulta più difficile perché spesso i pensieri connessi a tale patologia
non vengono esplicitati. Frequente è il caso di bambine che, anziché comunicare preoccupazioni per
il peso o la forma fisica, affermano semplicemente di non aver fame, avere dolori intestinali, etc. In
questi casi deve essere indagata un’eventuale patologia sottostante con metodologie indirette.
[Esempio: alla dottoressa Laura Dalla Ragione venne presentata una bambina (all’incirca di dieciundici anni ) che aveva perso 15 kg, e di cui si sospettava un disturbo di anoressia in quanto, grazie
alla sensibilità dello zio medico, si accorsero che la stessa spezzettava il cibo in molti pezzi e
scartava alcune parti dei cibi (es: il grasso del prosciutto) durante i pasti. In fase diagnostica, per
far emergere la componente ossessiva del disturbo, vennero mostrate alla bambina delle fotografie
che la ritraevano l'estate precedente in costume e solo allora la bambina esplicitò preoccupazioni
relative all'aspetto fisico, nonostante fosse a tutti gli effetti normopeso (“vede dottoressa che pancia
che ho qui, come sono orribile” )].
La principale risorsa ambientale è sicuramente la famiglia alla quale va destinato un grande lavoro
di riabilitazione, in quanto essa può giocare un ruolo decisivo nel mantenimento del disturbo. Si
lavora sulle competenze nutrizionali e psicologiche perdute. Particolare attenzione viene rivolta ai
genitori dei pazienti, che arrivano estenuati dal dramma di avere il proprio figlio che rischia la vita
per un disturbo così severo, e dalle peregrinazioni per cercare un aiuto che spesso non riescono a
trovare. I genitori arrivano carichi di preoccupazione, estenuati da mesi di contrattazione sul cibo, e
dilaniati dai sensi di colpa. Il tema della colpa è stato ridimensionato rispetto al passato, in cui si
ritenevano i genitori la causa principale del disturbo, ad esempio la Selvini Palazzoli riteneva che la
famiglia mantenesse e alimentasse il sintomo. Ad oggi sappiamo che i disturbi del comportamento
alimentarti sono disturbi multifattoriali, ovvero non ascrivibili ad una sola causa ma ad una serie di
fattori bio-psico-sociali concatenati fra loro.
La riabilitazione deve avvenire in spazi di cura dove l’assistenza sanitaria si coniuga con un grande
accudimento e, sostanzialmente, costruendo uno spazio di cura poco medicalizzato ma nello stesso
tempo specifico.
Si assiste all’evoluzione da spazio a luogo della cura, formato principalmente da persone e dal
lavoro di equipe.
“Le parole possono farti ammalare, ma al tempo stesso possono farti guarire”
Domande
Come si svolge una giornata tipo al Francisci?
Sono presenti tre strutture al momento: Francisci, DAI, Nido della Rondine, che offrono servizio
residenziale. Il centro di Todi ospita 18 posti letto, le pazienti rimangono per circa tre mesi, durante
i quali frequentano la scuola. Per entrare i pazienti firmano un contratto terapeutico. La giornata è
totalmente strutturata e vengono svolte numerose attività: attività nutrizionali, gruppi terapeutici,
attività motorie e espressive (come danza, Tai Chi, teatro), terapia dello specchio, videoconfrontation, terapie con medicina complementare, cibo terapia. Esistono numerose regole tra cui
non portare il cibo in camera e non usare il telefonino durante il giorno. Il tutto è basato su un
grande lavoro di equipe e di collaborazione con la famiglia. Uno degli obiettivi fondamentali è
quello di sollevare dal senso di colpa pazienti e famiglie. La riabilitazione avviene in un luogo
diverso dall'ospedale, ricco di significato affettivo.
Nelle prime fasi della patologia quanta influenza ha l'opinione di parenti e amici riguardo i
cambiamenti fisici?
Questa viene definita fase di “luna di miele”. Certamente i fattori culturali spiegano la grande
diffusione dell'anoressia, però non si muore per diventare modelle. Esiste un dolore interno in
quanto parliamo comunque di una malattia mentale, che è aumentata in maniera esponenziale più di
tutte le altre.
Quali sono i diversi livelli di trattamento?
Il trattamento residenziale è solo un segmento della cura (3-5 mesi). Successivamente la figura di
riferimento diventa il proprio terapeuta (pubblico o privato ma comunque esterno alle strutture del
Francisci) che svolge una psicoterapia. Nel centro si fa ricorso a vari approcci terapeutici: il
cognitivo per la terapia nutrizionale, lo psicodinamico per la psicoterapia e il sistemico-relazionale
per l'intervento con le famiglie.
Quali test vengono somministrati?
Una batteria di test viene somministrata all'ingresso e all'uscita dal centro e comprende: EDI 2,
SCL-90, BAT, MMPI, Rorschach.
A cosa può essere dovuto il fatto che la paziente anoressica riesca a riconoscere la sua
immagine reale solo tramite foto e video?
Non c'è una risposta, si può ipotizzare che la causa di questo fenomeno sia la posticipazione sul
piano temporale. Gli ultimi studi neurofisiologici dimostrano una certa cecità e alterazione cerebrale
nelle anoressiche: più scende il peso più aumenta la dispercezione.
Ci sono stati tentativi di suicidio?
Nel centro è difficile. Bisogna fare attenzione nel momento in cui la paziente aumenta di peso, in
quanto il sintomo è meno conclamato e quindi perde la sua funzione difensiva.
Esiste alleanza tra i pazienti?
Sì molta, in quanto vivono una vera esperienza di comunità, si instaurano quindi legami forti tra
loro e nei confronti del personale.
Come possono essere gestiti i moderni modelli culturali?
I vari tipi di intervento per diminuire l'impatto sociale della magrezza non hanno ottenuto troppi
risultati, si preferisce quindi lavorare sull'autostima del paziente e sui fattori protettivi. I siti pro-ana
vengono chiusi, ma riaperti immediatamente dopo, l'unico modo per cercare di arginare la loro
influenza, è agire dall'interno, inserendosi nel sito e dando messaggi contrari. In Italia sono due i
fattori da considerare nell'ambito dell'anoressia: l'offerta abbondante di cibo attraverso le pubblicità
e nei programmi televisivi, come momento di condivisione e, sul versante opposto, la diffusione del
modello della magrezza.
Il cibo, quindi, rappresenterebbe un paradosso: motivo per stare insieme ma
contemporaneamente sappiamo che le abbuffate bulimiche avvengono di nascosto.
Sì, in quanto il cibo nella patologia cambia significato: non è più fonte di piacere, perde il suo
significato buono, non ha più importanza né la qualità né la quantità, diventa una dipendenza
assimilabile a quella nei confronti dell'alcool, con la differenza che ad un alcolista si può dire di non
tenere alcool in casa, mentre è impensabile non avere cibo a casa.
Qual è l'utilità di interventi volti al controllo e qual è l'attaccamento che può avere una
persona anoressica?
L'intervento consiste nel deresponsabilizzare il paziente, togliendogli il peso della scelta di
mangiare o meno; durante i pasti avviene una vera e propria terapia e il cibo ne è lo strumento, lo
scopo è recuperare il significato proprio del pasto e del cibo. Sicuramente vi è la presenza di un
disturbo di attaccamento e si lavora su questo durante la psicoterapia.
Bibliografia e sitografia
 video ridotto (mostrato a lezione):
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http://www.youtube.com/watch?v=jVT7CFz19eo&feature=youtu.be
video completo: http://www.ausl2.umbria.it/MEDIACENTER/FE/media/la-casa-delle-bambineche-non-mangiano.html
Dalla Ragione, L. (2005) La casa delle bambine che non mangiano. Il Pensiero Scientifico
Editore.
Dalla Ragione, L. e Mencarelli S. (2012) L'inganno dello specchio. Angeli Editore Milano.
Rossi, P. (2010) Mangiare. Edizioni il Mulino.
Dalla Ragione, L. e Marucci S. (2007) L'anima ha bisogno di un luogo. Tecniche Nuove
Editore
www.disturbialimentari.it
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