MOVIMENTO APOSTOLICO
CATECHESI
LETTERA AGLI EBREI
CATANZARO 2004
MOVIMENTO APOSTOLICO
CATECHESI
LETTERA AGLI EBREI
CATANZARO 2004
PRESENTAZIONE
La Lettera agli Ebrei ha un solo cuore: Cristo Gesù, Vita di ogni vita.
Gesù è la vita dalla quale ogni altra vita nasce, nella quale ogni vita produce
frutti di verità e di giustizia, per la quale ogni altra vita vive.
Cristo Gesù è vita: della Parola di Dio, della Grazia di Dio, del credente in Dio,
delle vera fede in Dio, dell’adorazione di Dio, della glorificazione di Dio,
dell’obbedienza a Dio, della santità di Dio, del culto verso Dio, della carità di
Dio, della speranza in Dio.
Ogni relazione con Dio e con gli uomini è vera, è nella vita, nella santità e
nella giustizia se è posta in Cristo.
Fuori di Cristo niente ha vita. Fuori di Lui tutto viene avvolto dalla morte, che
inesorabilmente consuma ogni cosa, distruggendola e preparandola per la
perdizione eterna.
Chi vuole essere nella vita e condurre ogni altro nella verità della sua vita, deve
conoscere Cristo Gesù secondo pienezza di verità, di santità, di missione, di
opera, di Parola, di annunzio, di testimonianza.
Il grande annunzio della Lettera agli Ebrei è che Cristo non è da Sé. Cristo è
da Dio. Cristo Gesù è l’opera di Dio. Cristo Gesù, infatti, è dal Padre.
È dal Padre nell’eternità ed è dal padre nel tempo; è dal Padre nell’Antico
Testamento ed è dal Padre nel Nuovo.
Fino alla consumazione dei secoli, per tutta l’eternità, prima del tempo, nel
tempo e dopo il tempo, Cristo Gesù è dal Padre.
È dal Padre nella sua generazione eterna; è dal Padre nella sua incarnazione
nel tempo; è dal Padre nel suo Sacerdozio; è anche dal Padre nella sua
missione.
Il suo essere eterno è dal Padre. Cristo Gesù è la vita del Padre. Nella sua
divinità e nella sua umanità, nel suo essere vero Dio e nel suo essere vero
uomo Gesù Signore è sempre dal Padre.
In ogni Parola che Lui proferisce è dal Padre. In ogni opera che compie è dal
Padre. In ogni incontro è dal Padre. In ogni decisione è dal Padre. In ogni
missione è dal Padre.
Lettera agli Ebrei - Presentazione
Esiste dal Padre, nel tempo e nell’eternità, ma anche esiste per il Padre nel
tempo e nell’eternità. Cristo Gesù è sempre dalla volontà del Padre per
compiere la volontà del Padre.
In questo suo essere eternamente e temporalmente dal Padre è la nostra
salvezza. Lui è dal Padre, vive per il Padre. Dal Padre ha ricevuto ogni vita, al
Padre dona tutta la sua vita, in una obbedienza di morte di croce, che diviene
per il mondo intero causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.
Se la salvezza è in Lui, da Lui, per Lui, con Lui e Lui è dal Padre e per il
Padre, non si può dare alla salvezza altro significato se non questo: fare nostro
il mistero di Cristo, divenire con Lui una cosa sola: lasciarci anche noi
“fare” dal Padre, essere l’opera del Padre come Cristo è l’opera eterna del
Padre (Lui per generazione consustanziale nell’oggi dell’eternità) e sempre in
Cristo, con Cristo, per Cristo, divenire in Lui sacrificio e oblazione per la
consegna dell’intera nostra vita al Padre celeste.
Tutto questo passa però attraverso la Parola, alla quale Cristo ha conferito
pienezza di vita eterna. L’uomo accoglie la Parola, dalla Parola si lascia fare
da Dio, nella Parola si consegna al Signore e da Lui si lascia trasformare in
un’opera di salvezza per il mondo intero.
Questi brevissimi cenni sull’essere di Cristo dal Padre sono sufficienti solo
per creare nel cuore del discepolo di Gesù il desiderio di conoscere con ogni
sapienza di verità e di dottrina il mistero della Redenzione così come viene
presentato da questa Lettera agli Ebrei.
Chi la leggerà con attenzione, con amore, cura, in preghiera, meditando ogni
Parola nel cuore, attingerà nuova sapienza, nuova intelligenza, nuova
scienza sul mistero di Cristo Gesù e tutta la sua vita avrà una svolta, si
rimetterà in cammino, si libererà da un mondo di falsità, o di inesattezze, o
semplicemente di quell’ignoranza che quotidianamente ci conduce assai
lontano dall’imitazione di Cristo Gesù.
Perché la verità di Cristo emergesse in tutto il suo splendore di sapienza e di
dottrina, spesso abbiamo citato per intero i Passi Scritturistici di riferimento.
Si è scelta questa metodologia, perché l’intero passo dell’Antico Testamento,
letto nel contesto della verità di Cristo e dell’intelligenza e sapienza che
scaturisce dal suo mistero, dona una luce tutta nuova all’Antica Scrittura.
Il mistero di Cristo è così vasto da abbracciare tutta l’estensione dell’eternità
e del tempo. In queste pagine c’è solo un approccio. È come se si intravedesse
una luce, una stella, un sole scorgendo un piccolo puntino luminoso da
una distanza infinita.
A ciascuno di noi l’obbligo e il dovere di far sì che questo puntino luminoso
diventi luce accecante e principio unico di verità per la sua spiritualità.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, dalla quale la Luce Eterna, che è
Cristo, è nata, ci aiuti a meditare con frutto il mistero del Figlio Suo Gesù,
mirabilmente espresso e contenuto in questa Lettera agli Ebrei.
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INTRODUZIONE
La Lettera agli Ebrei introduce Cristo perché sia al centro del cuore credente.
Conoscere Cristo è scienza perfetta.
Questa scienza è richiesta ad ogni suo discepolo e per questo è giusto che si
impegni, dedicando del tempo ad imparare Cristo.
Cristo è vero nel cuore, se è vero nella mente. Ma anche è vero nella mente, se
è vero nel cuore. Imparare Cristo perché sia vero nella mente e nel cuore non è
tempo tolto all’azione e alla missione del cristiano; è invece via santa per dare
Cristo secondo verità ai nostri fratelli.
Un Cristo falso non serve a nessuno. Dare un Cristo falso è solo perdita
peccaminosa del tempo, oltre che profanazione di un così grande dono.
È utile allora che fin da subito ci si chieda: Chi è veramente Cristo secondo
l’esposizione che ci offre la Lettera agli Ebrei? Quali sono le sue note peculiari,
particolari?
Una risposta puntuale e precisa, esatta, senza equivoci, né ambiguità, ci
consentirà di intravedere la straordinaria grandezza del Signore Gesù e l’amore
eterno e divino con il quale il Padre nostro celeste ci ha amato.
Cristo Figlio di Dio. La prima verità che la Lettera agli Ebrei ci annunzia è
questa: Cristo Gesù è vero Figlio di Dio. Non Figlio per creazione, per adozione,
o semplicemente in senso morale e neanche perché il Padre celeste lo ha
amato e lo ha eletto, dichiarandolo suo Figlio.
Cristo Gesù è vero Figlio di Dio, perché da Lui è stato generato. Lui è impronta
della sua gloria; è irradiazione della sua sostanza. Lui è semplicemente di
natura divina. Tutta la natura divina del Padre è nel Figlio, la differenza tra il
Padre e il Figlio non è nella natura, che è una e la sola; è invece nella Persona.
Il Padre è persona distinta dal Figlio e il Figlio è persona distinta dal Padre,
Padre e Figlio sussistono però nell’unica sostanza, o natura divina, nella quale
sussiste anche lo Spirito Santo.
Cristo al vertice della creazione. Cristo Gesù è vero e perfetto uomo. È
insieme vero Dio e vero uomo. Come vero Dio è consustanziale con il Padre e
lo Spirito Santo; come vero uomo è consustanziale con la nostra umanità.
Come vero Dio è Autore della stessa creazione. Tutto è stato fatto per mezzo di
Lui. Come vero uomo è stato posto da Dio al vertice della creazione. Lui è il
punto di incontro tra il creato e l’increato, il divino e l’umano, ciò che esiste nel
Lettera agli Ebrei - Introduzione
tempo e ciò che è senza principio nel tempo, perché la sua origine eterna dal
Padre è senza origine di tempo, in quanto l’eternità è senza principio e senza
fine di creazione.
Creato e increato sono in Cristo la sua natura divina e la sua natura umana, che
insieme sono ipostaticamente unite nell’unica Persona del Verbo della vita. La
seconda Persona della Santissima Trinità vive tutta in due nature: quella divina
e quella umana. E tuttavia la Persona divina non è dalle due nature; essa è
preesistente alla stessa incarnazione. È la seconda Persona della Santissima
Trinità che si fa uomo. È il Verbo della Vita, che è in principio, che è presso Dio,
che è Dio, che si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi.
In quanto “ipostaticamente” unita al Verbo della Vita, la natura umana di Cristo
è natura della Seconda Persona della Santissima Trinità e per questo essa è
rivestita della stessa gloria che è proprio della Persona. Per questo essa è al
sommo della creazione. Essa è vera creazione, ma è posta dal Verbo sopra la
stessa creazione.
Non è però la natura creata al vertice o al sommo della creazione, perché la
natura umana di Cristo non esiste se non nella Persona divina, è della persona
divina. È la Persona divina che è sopra la stessa creazione, perché creatrice di
essa. Cristo Gesù, vero e perfetto uomo, è sopra ogni creatura, perché il Verbo
di Dio è sopra ogni creatura.
Cristo Autore della Redenzione. Questo Cristo, che è posto da Dio al vertice
della creazione in quanto vero e perfetto uomo, è l’Autore della Redenzione.
Dio ha deciso di redimere, salvare, giustificare il mondo per mezzo di Lui.
Tutto ciò che è prima della sua Incarnazione è in vista di Lui, è finalizzato alla
sua Incarnazione, al suo farsi vero uomo nel seno della Vergine Maria.
Tutto ciò che è dopo di Lui, guarda a Lui come al suo unico e solo Redentore e
Salvatore.
Lui è il vero frutto dell’Antico Testamento. La storia antica è tutta finalizzata a
questo frutto. Essa non ha altro scopo se non quello di far sì che fosse possibile
l’Incarnazione del Figlio di Dio.
Lui è il nuovo seme di vita dal quale deve sbocciare sulla terra ogni vita. Senza
questo seme non c’è alcun frutto di vita sulla nostra terra.
Questa è la verità di Cristo Gesù. Egli è il punto finale dell’Antico Testamento, il
punto iniziale del Nuovo. Tutto in Lui confluisce, tutto da Lui parte.
Tutto ciò che non arriva a Lui è falso. Tutto ciò che non prende vita da Lui è
anche falso.
Il Redentore dell’Antico Testamento è Cristo Gesù. Il Redentore della storia è
Cristo Gesù. Nulla si redime se non in Lui; niente diviene vero, se non in Lui;
nulla perde la sua falsità se non per mezzo di Lui; niente genera novità di vita
se non in Lui, con Lui, per Lui.
Prima di Cristo non c’è redenzione; senza di Cristo non c’è redenzione; dopo di
Cristo, ogni redenzione deve trovare il suo compimento, la sua perfezione, il
suo punto di arrivo e di partenza in Cristo Signore.
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
La sola ed unica redenzione possibile è quella operata da Cristo Gesù. Fuori di
Cristo non esiste redenzione, perché non c’è possibilità alcuna di vincere il
peccato che milita nelle membra dell’uomo.
Se Cristo è il solo Autore della Redenzione ne consegue che la non
conoscenza di Cristo, l’ignoranza di Lui lascia l’uomo nelle tenebre del peccato
e della morte.
Da questa verità nasce per la Chiesa l’urgenza, il dovere, la necessità di
predicare il Vangelo ad ogni creatura, di dare Cristo ad ogni uomo come sua
vera ed unica, sola redenzione.
Cristo superiore ad Angeli e ad uomini. Essendo Cristo Persona divina alla
quale sono ipostaticamente unite sia la natura divina che quella umana, poiché
la natura umana non vive se non nella Persona del Verbo, come Verbo
Incarnato, e non solamente come Verbo, o Unigenito del Padre, Cristo è
superiore agli Angeli e agli uomini.
Tutto è sottomesso ai suoi piedi: uomini ed Angeli. Tutta la natura creata è
inferiore a Lui, a Cristo Gesù. È inferiore perché Cristo è il Verbo di Dio che si è
fatto uomo.
Chi si è fatto uomo è il Verbo del Padre, che ora esiste come Verbo Incarnato e
non più semplicemente come Verbo di Dio.
L’Incarnazione porta un cambiamento sostanziale in Dio, non nella natura
divina, che è una, immutabile, eterna, non passibile di alcuna variazione, né
prima, né dopo la stessa Incarnazione.
Il cambiamento sostanziale è nella Seconda Persona della Santissima Trinità,
la quale prima dell’Incarnazione era “semplicemente e puramente” Dio.
Dopo l’incarnazione la Persona non è più “semplicemente e puramente” Dio. È
Dio incarnato, è Verbo che si è fatto uomo, è Figlio del Padre vero uomo.
Questo cambiamento per assunzione è vero cambiamento in seno alla Trinità.
Prima dell’Incarnazione Dio era Padre, Figlio e Spirito Santo. Ora, dopo
l’Incarnazione, Dio è Padre, Verbo Incarnato (o Figlio Incarnato), Spirito Santo.
L’Incarnazione non è un evento accidentale in Dio; è un evento sostanziale ed è
per questo evento, che ha mutato l’essere stesso di Dio nella Seconda Persona
del Figlio, che è possibile la Redenzione.
È questo evento irreversibile che fa sì che Cristo sia superiore agli Angeli e agli
uomini, ad ogni Angelo e ad ogni uomo. È superiore in ragione della Persona
divina che si è incarnata, che ha assunto l’umanità, divenendo uomo.
Questa verità che è essenziale in ordine alla conoscenza del vero mistero di
Gesù Signore, ha anche un ruolo funzionale, di convincimento, perché tutti
comprendano la straordinaria grazia che il Padre ci ha concesso stabilendo che
il Suo Verbo Incarnato fosse anche Colui attraverso il quale Egli ha voluto far
giungere al mondo intero la conoscenza del suo mistero di misericordia, di
grazia, di salvezza, costituendolo portatore nel mondo della sua Parola.
Cristo Gesù, Figlio di Dio, è il Rivelatore del Padre, è Colui attraverso il Quale il
Padre ci ha svelato il mistero della salvezza.
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
Ce lo ha svelato, o rivelato, nella sua forma ultima, definitiva, perfetta, piena. Ce
lo ha rivelato come compimento di ogni altra Parola di rivelazione, ma anche
come punto di avvio, o inizio per giungere alla pienezza della verità, che è e
rimane la conoscenza del suo mistero donato tutto all’umanità con il dono della
sua Persona.
Se Cristo è superiore agli Angeli e agli uomini, è anche vero che ogni Angelo e
ogni uomo è inferiore a Cristo.
Se è inferiore nell’essere, è anche inferiore nel ministero. Di conseguenza ogni
Angelo e ogni uomo deve trovare la pienezza della verità del suo ministero in
Cristo Gesù.
Tutti quelli che hanno parlato, parlano, parleranno di Dio devono trovare in
Cristo la verità della loro parola, di ogni loro parola.
Se Cristo non li garantisce, ma anche, se Cristo non diviene la loro verità, la
conoscenza di Dio e degli uomini che queste parole danno, o insegnano, non è
secondo pienezza di verità.
C’è in queste loro parole la falsità ed è falsità tutto ciò che si discosta
dall’essenza e dalla sostanza di Cristo Gesù e di ciò che il Signore ha fatto di
Lui per la nostra salvezza eterna.
Cristo Mediatore di una Nuova Alleanza. La Nuova Alleanza è quella
definitiva, per sempre, eterna, duratura, stabile sulla terra e nel cielo.
La Prima Alleanza, quella che Dio stipulò con il suo popolo, al Sinai era
semplicemente segno, figura, non realtà di ciò che il Signore si stava
accingendo a fare non solo con il suo popolo, ma con il mondo intero, verso
ogni uomo.
Quella, la Prima Alleanza, era solo propedeutica alla Nuova, funzionale ad
Essa. Era mezzo, strumento per pervenire alla Nuova ed Eterna Alleanza, che
Dio aveva già pensato fin dall’eternità.
Ancora il cielo e la terra non erano stati creati, l’uomo non esisteva e Dio aveva
pensato la sua salvezza nel suo Figlio Unigenito Incarnato.
Cristo Gesù non può essere considerato in nessun caso e in nessun modo
continuatore dell’Antica Alleanza. Non può perché l’Antica Alleanza era
destinata a sparire. Quell’Alleanza doveva lasciare il posto alla Nuova e della
Nuova Cristo Gesù è l’Unico, l’Eterno, il Solo Mediatore.
Essendo Cristo il Mediatore di una Nuova Alleanza, tutto ciò che è modalità,
forma, essenza, struttura, storia di quell’Alleanza, o Alleanza Antica, non esiste
più. Non può esistere. A quell’Alleanza non si può più ritornare perché Dio l’ha
abolita per sempre. Da Dio essa è stata dichiarata nulla.
Ciò che Dio dichiara nullo in ogni sua manifestazione, nella sua stessa struttura,
finalità, storicità, non può ricevere alcun valore dall’uomo, da nessun uomo.
C’è il prima e c’è il dopo. Il prima è finalizzato al dopo. Una volta che il dopo è
avvenuto, si è compiuto, il prima deve cessare di esistere, perché senza alcun
valore di salvezza, di redenzione, di giustificazione, di santificazione, di verità.
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
Avendo Dio stabilito, costituito Cristo Gesù Mediatore della sua Nuova
Alleanza, chi vuole conoscerla e viverla secondo verità, ma anche chi vuole
entrare nella vita che l’alleanza nuova ed Eterna promette, dona, elargisce,
deve partire da Cristo Gesù. Cristo Gesù deve conoscere in ogni sua parola,
pensiero, opera, volontà, segno, comando, desiderio che Lui ha manifestato,
operato, compiuto, detto, proferito.
Chi non conosce Cristo, non conosce la verità della sua nuova condizione, non
si conosce secondo la verità che Dio ha stabilito per Lui.
Non solo Cristo è Mediatore di una Nuova Alleanza, questa Nuova Alleanza è
Lui stesso. L’Alleanza Nuova ed Eterna è Lui, si vive in Lui, con Lui, per Lui, nel
suo Corpo.
Questa Nuova Alleanza è il dono della sua vita, della sua grazia, della sua
verità, ma è il dono della grazia, della vita, della verità che è Lui stesso.
Dinanzi a Cristo Gesù scompare Mosè, Aronne, l’antico culto, gli antichi
sacrifici, le antiche disposizioni, le forme e le modalità. Tutto scompare. Lui è il
Nuovo Assoluto, per ogni uomo, di ogni tempo, di ogni luogo.
Guardare indietro è non conoscere Cristo e la Novità del suo Dono.
Cristo Sacerdote al modo di Melchisedek. Della Nuova ed Eterna Alleanza
Cristo Gesù è tutto. È sacerdote, vittima e altare, legge, promessa, verità.
Della Nuova Alleanza Lui è l’unica Vittima, l’unico Sacerdote, l’unico Altare. In
eterno; per sempre è e sarà così.
Cambia l’Alleanza, cambia anche il Sacerdote. Gesù non è Sacerdote alla
maniera di Aronne. Lui è Sacerdote in eterno alla maniera, o al modo di
Melchisedek.
Tutto questo è possibile grazie all’eternità di Cristo e della sua Persona divina,
che è immortale, eterna. L’eternità appartiene alla Persona di Cristo per natura,
perché generato dal Padre prima di tutti i secoli.
Essendo eterno nella Persona, Cristo non ha successori nel suo Sacerdozio.
D’altronde neanche ne potrebbe avere. Essendo Lui la vittima, non potendo
esistere altra vittima dinanzi al Signore, anche per questo motivo non potrebbe
mai esserci successione nel Sacerdozio.
Se ci fosse successione nel sacerdozio, ci sarebbe anche cambio di vittima.
Invece in eterno un solo Sacerdote, Cristo Gesù, una sola Vittima, Cristo Gesù,
un solo altare, il Corpo di Cristo Gesù.
Volendo Gesù che il suo Sacrificio fosse offerto al Padre per tutti i giorni, fino
alla consumazione dei secoli, ha reso partecipe del suo unico sacerdozio i suoi
Apostoli e da questi la partecipazione è data per via sacramentale ai loro
successori (e in collaborazione con loro anche ai presbiteri che sono veri
sacerdoti della Nuova Alleanza, ma Sacerdoti che partecipano l’unico ed eterno
sacerdozio di Cristo per offrire l’unica vittima, Cristo Gesù nostro Signore,
nell’unico sacrificio che è quello della croce, offerto al Padre una volta per tutte,
per la remissione dei peccati).
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
La natura divina è una, una sola. Tutti i battezzati vengono resi partecipi di
questa unica e sola natura divina. Il Sacerdozio di Cristo è uno, uno solo. Tutti i
sacerdoti (Apostoli – vescovi e presbiteri) sono resi partecipi secondo gradi
diversi dell’unico sacerdozio di Gesù Signore.
Il Sacerdozio della Nuova Alleanza è l’offerta dell’unica vittima, nel nome
dell’unico Sacerdote, ma è fatta questa offerta alla maniera di Melchisedek,
offrendo il pane e il vino, che diventano corpo e sangue di Cristo, vero sacrificio
incruento, che si offre al Padre per la redenzione eterna di ogni uomo.
Volendo riassumere in forma assai sintetica la grandezza della Nuova ed
Eterna Alleanza, possiamo abbracciare il tutto in quattro semplici frasi:
Cristo abolisce l’Alleanza Antica. Essa è finita per sempre. Cristo vero
Sacerdote e unica Vittima. Viene dichiarata abolita ogni altra vittima. Cristo
Sacerdote eterno. Non c’è successione nel Suo Sacerdozio. C’è però
partecipazione del suo unico, sommo ed eterno Sacerdozio. Un unico
Sacerdote, un unico Sacerdozio, un’unica Vittima. E tuttavia coloro che nella
Nuova Alleanza esercitano il Sacerdozio di Cristo, sono veri Sacerdoti, anche
loro in eterno, al modo di Melchisedek. Lo sono però in Cristo, per Cristo, con
Cristo, agendo sempre in Persona Christi.
Cristo Redentore di ogni uomo. Anche questa è differenza sostanziale,
essenziale per rapporto all’Antica Alleanza.
L’Antica Alleanza era per il popolo del Signore, cioè per tutti i discendenti di
Abramo, per i suoi figli.
Nella Nuova Alleanza non c’è più legame di carne e di sangue. C’è un solo
legame: quello con il sangue di Cristo, nel quale veniamo lavati, del quale ci
nutriamo, per formare con Cristo un solo corpo.
Nella Nuova Alleanza si entra per mezzo della fede nella Parola di Cristo Gesù.
Si predica la Parola, la si accoglie, si crede in essa, ci si lascia battezzare, si
diviene nuove creature, si è fatti con Cristo un solo corpo, si entra in possesso
della salvezza e di ogni suo bene.
Essendo Cristo Gesù il Redentore dell’uomo, non di un uomo particolare, di un
popolo particolare, di una nazione particolare, Egli è Redentore universale,
unico, il solo.
Chi vuole entrare nei beni eterni della salvezza deve passare necessariamente
per la fede in Lui, fede esplicita, che si fa confessione e conoscenza di Lui,
della sua Parola, della sua Verità, della sua Grazia dinanzi ad ogni uomo.
Questa verità è di capitale importanza per tutti coloro che si sono accostati alla
fede in Lui.
Retrocedere dalla fede per ritornare nell’Antica Fede dell’Antica Alleanza non
solo è vera stoltezza – quell’alleanza non esiste più – ma anche è porsi fuori di
ogni altra salvezza. La salvezza è Cristo e solo Lui. Altre salvezze Dio non ne
ha date. Se non ne ha date, non esistono.
Abbandonare Cristo è porsi su una via di sicura perdizione eterna. Questo
devono sapere tutti coloro che si allontanano da Cristo e si incamminano per
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
altre vie di salvezza. Queste non sono da Dio, non vengono da Lui, perché Dio
ha un solo Salvatore, Gesù Cristo Suo Figlio e nostro Signore e non conosce
altri, perché altri Lui non ha inviato. Quanti Lui invia, invia perché preparino la
strada a Cristo, prima di Lui, con Lui, dopo di Lui.
Cristo nella tenda del Cielo, presso Dio. Altra differenza con l’Antica Alleanza
è questa: Aronne e i suoi figli entravano in un santuario fatto da mani d’uomo,
dietro una tenda, anch’essa fatta da mani d’uomo. Versano del sangue animale,
e per mezzo di esso imploravano Dio perché volesse perdonare i peccati.
Cristo Gesù non entra in una tenda fatta dall’uomo. Entra nella stessa casa di
Dio, nella tenda del Cielo, si presenta direttamente dinanzi al Padre Suo e Gli
offre il suo sacrificio, impetrando la remissione dei peccati per tutto il genere
umano, per i suoi fratelli.
Entra nella tenda del Cielo una volta per sempre e mai più esce da essa. Il suo
sacrificio è anche nel Cielo, come memoriale perenne dinanzi al Signore, per la
conversione, la giustificazione, la salvezza dell’uomo.
Un solo sacrificio, una sola entrata nel Cielo, una sola offerta, un solo
memoriale eterno: l’unico compiuto sulla croce.
Questa è la verità di Cristo. Al di fuori di quest’unico sacrificio, di quest’unica
offerta, di quest’unica vittima, di quest’unico sacerdote, di questo solo
sacerdozio, nulla è gradito al Signore.
Dio si compiace solo di Cristo Gesù e di quanto viene offerto in Lui, con Lui, per
Lui, divenendo in Cristo un solo mistero di offerta, di obbedienza, di santità.
Nella tenda del Cielo Lui è entrato con il suo corpo glorioso, incorruttibile,
immortale, spirituale. Nel suo corpo siamo anche noi, siamo tutti i battezzati; nel
suo corpo anche noi siamo già nel Cielo.
Dobbiamo raggiungere anche fisicamente il Cielo e non solo misticamente, nel
mistero di Cristo. La nostra entrata nella tenda del Cielo avverrà con la nostra
morte, se moriamo la stessa morte di Cristo. Altrimenti saremo esclusi per
sempre, per tutta l’eternità.
Non entra nel Cielo chi non vive sulla terra la vita di Cristo e non fa del Vangelo
la porta stretta che dovrà farlo penetrare nel Santuario eterno di Dio.
Cristo culmine e fonte di ogni vera fede. Per il suo sacerdozio, per la sua
offerta, per la sua obbedienza, per la sua Parola Cristo è costituito per tutto il
genere umano culmine e fonte di ogni vera fede.
La nostra fede è Cristo, si vive però in Cristo, con Cristo, per Cristo. Si vive
secondo la sua Parola, compiendola in ogni sua parte.
Da Cristo si parte per iniziare il cammino della fede. A Cristo si deve pervenire
se si vuole dare compimento ad esso.
Si parte da Cristo divenendo suo corpo, sua vita. Si perviene a Cristo
divenendo in tutto conforme a Lui nella nostra obbedienza al Padre dei Cieli.
Dicendo che è Cristo la nostra fede, la vera fede, la fede ultima, definitiva di
Dio, si vuol dire una sola verità: Cristo è la nostra salvezza, la nostra
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
redenzione, la nostra giustificazione, la nostra santificazione. Cristo è la verità
del nostro essere, del nostro operare, del nostro pensare, di ogni nostro
relazionarci con Dio e con gli uomini.
Cristo è per noi grazia e verità, salvezza e santità, vita nuova e obbedienza,
mistero di croce e di risurrezione, mistero di incarnazione, ma anche di
elevazione nel più alto dei Cieli.
La nostra fede è Cristo perché il fine della nostra fede è il compimento della vita
di Cristo in noi; è la nostra perfetta conformazione alla sua vita.
È la sua obbedienza al Padre che si fa nostra e la nostra che diviene sua. Una
sola obbedienza: quella di Cristo in noi e quella nostra in Cristo.
Una sola Parola: quella di Cristo, che è Parola del Padre, sua Volontà, sua
Verità.
Una sola grazia: la partecipazione della divina natura, che è anche
partecipazione della santità di Dio, nel dono dello Spirito Santo.
Una fede senza Cristo, fuori di Cristo, non in Cristo, non per Cristo, non con
Cristo, nel suo corpo, per il suo corpo, con il suo corpo, non è fede cristiana,
non è fede che salva, redime, giustifica; non è fede che conduce alla santità.
Il vero Cristo ci dona il vero Padre, il vero Spirito Santo; ci dona anche il vero
uomo, perché ci fa veri in Lui, veri della sua verità, veri nella sua santità, veri
nella sua grazia, conformemente alla sua Parola.
Cristo atteso. Attendere Cristo è il fine di tutto l’Antico Testamento. Cristo è il
frutto, l’unico frutto vero dell’Antico Testamento, perché esso ha come finalità
solo questa: darci Cristo, Messia e Salvatore, Redentore e Santificatore,
Giustizia, Sapienza, Saggezza del Padre.
Se l’Antico Testamento non perviene a Cristo, esso è semplicemente falso nella
sua comprensione, nella sua interpretazione, nella sua lettura, in ogni altro
rapporto con esso.
Chi dopo aver conosciuto Cristo, lo abbandona per ritornare nell’Antico
Testamento, sappia costui che il suo viaggio è dalla verità nella falsità, dal bene
al non bene, dal giusto al non giusto, da ciò che redime e salva a ciò che non
giustifica e non dona vita nuova.
Cristo venuto. L’Antico Testamento si è compiuto tutto in Cristo Gesù. Tutto
quanto è stato promesso si è realizzato; niente resta da realizzare.
Essendo l’Antico Testamento tutto e interamente compiuto in Cristo Gesù, esso
non deve compiersi più in niente, in nessuna altra parte.
Nulla si deve più attendere, nulla sperare, perché tutto è avvenuto e tutto
realizzato in ordine alla nostra salvezza.
La croce di Cristo Gesù e la sua risurrezione sono il punto culmine della storia,
ma anche il punto della sua eterna verità.
Cristo è la verità di tutto. Verità del sacerdozio, dell’offerta, della vittima, della
Parola, della rivelazione, dell’attesa, della vita, della morte, del singolo, della
comunità, dell’intera storia. Cristo è la verità dell’universo. Tutto riceve in Lui e
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Lettera agli Ebrei - Introduzione
da Lui, per Lui la sua verità. Niente senza di Lui è vero e quanto si distacca da
Cristo, ritorna nella sua falsità di un tempo, o nei molteplici peccati che
uccidono la sua vita e la rendono vuota dinanzi a Dio e alla storia.
Cristo che verrà. Cristo non solo è stato atteso. Non solo è già venuto. Egli
anche verrà.
C’è una differenza sostanziale tra la prima e la seconda venuta di Gesù
Signore.
La prima venuta, nella sua carne mortale, nascendo dalla Vergine Maria, è
stata per togliere il peccato del mondo e per dare ad ogni uomo, a causa del
suo sacrificio sulla croce, la grazia e la verità della sua salvezza.
Quando sarà l’ultimo giorno, Gesù non verrà più per la redenzione dell’umanità,
o per la sua santificazione; verrà per il giudizio.
Ogni uomo si presenterà dinanzi al suo cospetto e renderà ragione di ogni
opera compiuta quando era nel corpo, sia in bene che in male.
Poiché Egli è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti, giudice della
terra, ognuno di noi è obbligato a prepararsi il suo giudizio, in modo che Cristo
ci accolga nelle sue dimore eterne, nei Cieli.
È sicuro. Egli verrà per il giudizio. Dobbiamo rendere conto a Lui, unico e
supremo giudice, anche di ogni parola vana che abbiamo proferito quando
eravamo nel corpo, su questa terra.
Cristo crocifisso modello unico del cristiano. Si è detto che Cristo è la fede
del cristiano. Non solo Cristo è la fede unica del cristiano, è anche il modello
unico, cui perennemente conformarsi.
È modello unico dall’alto della croce, che è il compimento della volontà del
Padre anche nella rinuncia del suo corpo, esposto al ludibrio, allo scherno,
all’indicibile dolore, all’atroce passione.
La persecuzione non deve far paura al cristiano, perché la vocazione del
cristiano è la persecuzione.
Sapendo questo, il cristiano si prepara santamente, imitando in tutto Gesù
Signore che si preparò alla passione con la preghiera nell’Orto del Getsemani.
Se il cristiano vuole andare fino in fondo, altro non deve fare che mantenere lo
sguardo su Gesù Crocifisso, “autore e perfezionatore della fede”, modello unico
di come si glorifica il Padre.
Tutto ciò che è di Cristo è del Padre. Al Padre Egli lo dona, donando l’intera sua
vita. Glielo dona svuotando il corpo del suo sangue, perché essendo il sangue
la vita, questa vita che il Padre gli ha donato, Egli gliela rende intatta, santa,
purissima, perfettissima, perché resa tale dalla grande sofferenza.
Sulla via della croce. Al cristiano non resta che rinnegare se stesso, prendere
la croce e iniziare il lungo cammino che dovrà condurlo alla perfetta
conformazione, in vita e in morte, nella gioia e nella sofferenza, nell’accoglienza
e nel rifiuto, con il suo Maestro e Signore.
15
Lettera agli Ebrei - Introduzione
La via della croce è però una sola: la piena, perfetta, completa, totale
obbedienza al Padre, vivendo secondo la Parola di Cristo Gesù, Parola del
Padre, la cui comprensione sempre più piena ci viene donata dallo Spirito
Santo.
Chi vive la Parola crocifigge il mondo. Chi crocifigge il mondo, dal mondo sarà
crocifisso. Il cristiano che vive di Parola crocifigge spiritualmente il mondo,
perché ne dichiara la sua falsità. Il mondo crocifigge il cristiano non solo
spiritualmente, ma anche fisicamente. Lo priva della vita per attestare la sua
volontà contraria a Dio di restare nella sua superbia e falsità.
Fuori della città, portando il suo obbrobrio. L’obbrobrio di Cristo è la sua
croce. Per chi porta la croce di Cristo non c’è posto, né spazio nella Città degli
uomini.
Il cristiano lo sa. Prende la croce ed esce fuori della Città degli uomini. Vi esce
spiritualmente ed anche fisicamente.
La terra non è spazio idoneo per il cristiano. La terra per lui è solo il viaggio
della croce, la via crucis verso il Cielo.
Il cristiano, è vero cristiano, se vive da pellegrino verso il regno dei Cieli,
portando la croce di Cristo che è perfetta obbedienza alla verità.
Tutto è dal mistero di Cristo. Cristo è tutto per il cristiano e tutto è in Cristo,
per Cristo, con Cristo.
Cristo non è solo tutto per il cristiano. È tutto per ogni uomo. Ad ogni uomo
deve essere annunziato. Ogni uomo deve essere chiamato alla conversione e
alla fede al Vangelo.
Se è tutto per ogni uomo, a maggior ragione lo dovrà essere per quelli che già
credono, ma che sono tentati a cercare altrove ciò che altrove non esiste.
La persecuzione può chiedere la vita al cristiano, ma è proprio la vita che la
persecuzione chiede al cristiano il più grande segno della verità di Cristo Gesù.
Si salva, chi rimane in Cristo sempre; si salva chi per rimanere in Cristo esce da
se stesso, si spoglia di sé, allo stesso modo che Cristo Gesù per rimanere nel
Padre suo si è inchiodato sulla croce e si è spogliato dal suo corpo.
È Cristo nella pienezza del suo mistero il contenuto di questa Lettera agli Ebrei.
Ma è Cristo dono del Padre all’umanità intera per la sua Salvezza.
Cristo è dal Padre, per il Padre, con il Padre, nel Padre. Il Padre lo ha dato a
noi per la nostra salvezza.
Se Cristo è il dono eterno di Dio per l’uomo, se Dio è il nostro Dio per questo
dono e in questo dono, è illusoria, vana, inefficace, inutile ogni confessione di
Dio, compreso anche l’Antico Testamento, che non sfoci in Cristo e da Lui non
parta per la santificazione di chiunque crede.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, ci aiuti a credere in Cristo, secondo
la Parola di Cristo, che è Parola del Padre.
16
CAPITOLO PRIMO
PROLOGO
[1]Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi
ai padri per mezzo dei profeti,
Con queste semplicissime parole viene manifestato come il Signore Dio ha
rivelato la sua volontà ai padri.
Lo ha fatto, parlando loro, non direttamente, ma indirettamente, servendosi dei
profeti.
Lo ha fatto nei tempi antichi, cioè durante tutto il corso della storia passata, fino
a Giovanni il Battista.
Lo ha fatto in diversi modi. In verità molte sono le modalità attraverso cui il
Signore ha parlato. Possiamo dire che ogni profeta, ogni uomo di Dio, ha un
suo modo particolare, una sua peculiare specificità.
Lo ha fatto molte volte. La Parola di Dio ha accompagnato tutto il cammino
dell’uomo fino a Cristo, anche se il dono di questa Parola è stato
prevalentemente offerto ad un popolo: ai discendenti di Abramo, ai figli di
Israele.
Sempre i profeti si sono succeduti nel lungo arco del tempo e ogni tempo ha
avuto un suo particolare profeta, ognuno con una sua specifica Parola di Dio.
Tutta la storia di Israele è letta, guidata, interpretata, orientata dalla Parola di
Dio fatta udire per mezzo dei profeti.
Non è possibile comprendere questa storia se si prescinde dai profeti e dalla
Parola che essi di volta in volta facevano risuonare in mezzo al popolo di Dio.
Questa Parola mentre era finalizzata alla santificazione del presente, portava in
sé una speranza sempre più chiara, nitida, a volte dai contorni misteriosi.
Era questa speranza la vita del popolo, specie nei momenti più difficili della sua
esistenza.
Questa verità ci fa concludere che la vita del popolo di Dio è tutta dalla Parola e
nella Parola. Questa Parola è fatta risuonare sempre viva e vitale da Dio per
mezzo dei suoi profeti.
Questa Parola è fatta risuonare in una varietà di forme e di modi attraverso i
quali appare con chiarezza inconfutabile che essa può venire solo da Dio e da
nessun altro.
Questa Parola ha un unico contenuto, un solo soggetto, una sola speranza,
un’unica verità. Essa è l’annunzio di una salvezza che dovrà compiersi per
mezzo di un uomo, costituito da Dio suo Messia, suo Servo, suo Liberatore, suo
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Redentore per portare sulla terra il dono della pace, nella conversione e nella
fede.
Questa Parola, che ha accompagnato tutta la storia di Israele fino al presente è
una Parola non compiuta in sé, perché è una Parola che attende il suo
compimento.
Essa è come un albero che produce un fiore dal quale dovrà nascere il frutto
della vita per ogni uomo.
La vita non è nel fiore, ma è nel frutto. Fermarsi al fiore e non cogliere il frutto
che il fiore ha maturato, e che è il fine del fiore, è semplicemente follia,
stoltezza, grande insipienza.
ultimamente, [2]in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che
ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il
mondo.
L’Autore della Lettera agli Ebrei non vuole perdere tempo. Quanto Israele ha
ascoltato fino a questo momento è solo il fiore.
Il fiore ha già prodotto il frutto. Questo frutto è il Figlio di Dio.
Ultimamente, in questi giorni – sono i giorni di Cristo e della sua vita terrena –
Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.
Noi sappiamo chi è il Figlio attraverso il quale Dio ha parlato: è Gesù di
Nazaret.
Da questo versetto dobbiamo trarre alcune conclusioni non minime per la
comprensione del pensiero dell’Autore.
Il Figlio, oltre che essere l’Ultima e Definitiva Parola di Dio, Parola piena,
completa, perfetta, alla quale nulla si può aggiungere e nulla togliere, è stato
costituito erede di tutte le cose.
Dio ha dato tutto al Figlio. Qual è la deduzione di questa verità? Se il Figlio è
erede di tutte le cose, tutte le cose di Dio sono ora del Figlio.
Se sono del Figlio, è nel Figlio e dal Figlio che bisogna riceverle, ma è anche
nel Figlio che bisogna attingerle.
Dio ha dato tutto al Figlio. Per il Figlio dona ora tutto a noi. Dio non dona se non
per mezzo del Figlio.
Questo significa semplicemente che chi vuole i doni di Dio deve attingerli in
Cristo e chi non li attinge in Cristo non ha i doni di Dio.
Cristo è Colui che ci dona la Parola, ma anche Colui che ci dona ogni altro dono
di Dio, anche i beni promessi, il compimento cioè delle antiche profezie si
avvera solo in Cristo, avviene per Lui.
Chi non ha il Figlio non ha i doni divini. Chi rinnega il Figlio rinnega ogni dono di
Dio. Senza Cristo non si ha Dio, perché Dio è nella Parola di Cristo e nei Suoi
doni. Cristo ci dona Dio e ogni suo dono.
Questa è la prima verità sconvolgente, di esordio di questa Lettera. La seconda
verità ci annunzia il grande mistero che precede la stessa creazione, sia delle
18
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
cose che dello stesso uomo. Cristo Gesù non solo è erede di tutte le cose,
erede universale, è anche Colui per mezzo del quale Dio ha fatto il mondo.
Per mezzo del Figlio Dio ha fatto il mondo. Se lo ha fatto per mezzo di Lui, Lui
non è stato fatto. Lui non è semplice creatura. Lui è creatore con il Padre. Con il
Padre Lui è Dio.
È questa la vera identità di Gesù. Non solo uomo, ma anche Dio. Di Dio però è
Figlio: è il Figlio del Padre.
[3]Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua
sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver
compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà
nell'alto dei cieli,
In questo versetto è racchiusa tutta l’essenza, la missione, i frutti e la
glorificazione.
Cristo ci è “descritto” prima dell’incarnazione, che opera nella creazione, che
compie la redenzione, che viene innalzato di nuovo presso Dio.
È più che opportuno trattare ogni verità con ordine e separatamente, al fine di
aiutare una più perfetta e completa comprensione di Lui.
Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria: La gloria di Dio è la sua
essenza, la sua natura, la sua vita eterna.
Il Figlio è irradiazione eterna della vita del Padre. Lui è dal Padre, però è anche
nel Padre ed è per il Padre.
Dal Padre, nel Padre, per il Padre: rivolto verso di Lui perché in Lui è la
sorgente eterna della sua vita.
Non c’è nella creazione alcun elemento che possa farci penetrare, anche
superficialmente, il mistero della generazione eterna del Figlio, detta in questo
contesto: irradiazione.
Noi conosciamo l’irradiazione del sole: dal suo fuoco si sprigionano i raggi che
riscaldano la terra e le danno vita.
Quanto avviene nel sole non può mai avvenire nel Figlio. I raggi del sole,
escono dal sole, ma poi lasciano il sole e si perdono nell’universo. Si distaccano
da lui.
Cristo è dal Padre, ma è nel Padre e per il Padre, rivolto eternamente verso di
Lui di un amore eterno. Questo amore eterno è la vita del Figlio, ma questo
amore eterno che dal Padre si riversa tutto nel Figlio e dal Figlio tutto nel Padre,
è anche Lui Persona: è lo Spirito Santo, la Terza Persona della Santissima
Trinità.
La Chiesa quando ha voluto formulare la sua fede in questo mistero, ha detto
semplicemente: “Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di
Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio
vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”.
19
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
È questo il mistero di Cristo Gesù ed è questa la sua essenza eterna. Lui è
uomo e Dio, vero uomo e vero Dio, consustanziale con il Padre nella divinità,
consustanziale con l’uomo nell’umanità.
Impronta della sua sostanza: l’irradiazione viene ora specificata e chiarita
come “impronta della sua sostanza”.
Anche qui bisogna fare molta attenzione a non separare la sostanza che fa
l’impronta e l’impronta fatta.
Dio Padre ha generato Cristo come immagine di Sé, di fronte a Sé, non fuori di
sé. È fuori del Padre, Cristo Gesù, come Persona Divina, altra e differente dalla
Persona del Padre; non è fuori del Padre come natura divina, essendo la
stessa, l’unica natura o sostanza divina.
È questo il mistero della Trinità: un solo Dio, una sola natura o sostanza divina
in Tre Persone e Tre persone in una sola sostanza divina.
Dire che il Figlio è impronta della sostanza del Padre, vuol dire una cosa sola: il
Figlio è l’immagine perfettissima del Padre. È dal suo essere, dalla sua
essenza, ma non fuori del suo essere e della sua essenza, perché è il suo
stesso essere e la sua stessa essenza, quanto a natura, senza alcuna
differenza.
La differenza è nella Persona, che è distinta, diversa: l’uno è Padre, l’altro è
Figlio; l’uno genera, l’altro è generato; l’uno è non principiato, l’altro è
principiato, perché il principio del Figlio è il Padre. Principio eterno, non nel
tempo. Eterno è il Padre. Eterno è il Figlio. Da sempre e per sempre: Dio è
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Pur non entrando nella chiarificazione degli elementi del mistero, indicibili e
inspiegabili in sé, la Lettera agli Ebrei vuole introdurci in una differenza
sostanziale che esiste tra tutti gli inviati di Dio e Cristo.
Cristo è Dio stesso, è il Figlio di Dio che viene a parlarci del Padre.
Come è sostanziale la differenza della Persona, così è anche e sarà
sostanziale la rivelazione e l’opera che Lui è venuto a compiere.
Poiché Dio non ha altri Figli, non ha neanche altra rivelazione da fare, o altro
dono da offrirci.
In Cristo ci ha detto tutto, ci ha dato tutto. Cristo è il dono ultimo, perfetto, pieno,
completo, definitivo di Dio Padre.
Chi rifiuta Cristo, rimane, è rimasto, rimarrà con un’opera di salvezza iniziata,
ma non compiuta, accennata, ma non realizzata.
Sostiene tutto con la potenza della sua parola: viene specificato
ulteriormente chi è Cristo Gesù, il Figlio del Padre, benedetto nei secoli eterni.
La Parola di Cristo Gesù è creatrice come la Parola del Padre. È Onnipotente
come la Parola del Padre. Tutto è nella Parola di Cristo, come tutto è nella
Parola del Padre. Tutto è dalla Parola di Cristo come tutto è dalla Parola del
Padre.
20
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Non si può fare alcuna distinzione, o differenza, tra la Parola di Cristo e la
Parola del Padre. Chi non ha la Parola di Cristo non ha la Parola del Padre e
chi ha la Parola del Padre deve avere la Parola di Cristo. Se non ha la Parola di
Cristo non ha neanche la vera Parola del Padre.
Creare una distinzione tra la Parola di Cristo e la Parola del Padre significa una
cosa sola: essere fuori della Parola di Cristo e fuori della Parola del Padre; è
anche non avere né la Parola di Cristo, né la Parola del Padre.
Anzi, c’è da dire molto di più: la Parola di Dio è Cristo. Chi non ha Cristo non ha
alcuna vera Parola di Dio.
Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati: viene ora definita qual è
stata la missione di Gesù sulla nostra terra: quella di compiere la purificazione
dei peccati.
È questo in fondo l’argomento di questa Lettera. Si rimanda perciò alla
trattazione che la stessa Lettera offre con ogni abbondanza di particolari.
Si è assiso alla destra della maestà divina nell’alto dei cieli: è detto ora
cosa è avvenuto di Cristo.
Egli è risuscitato il terzo giorno. È rimasto in terra, in modo visibile, con i suoi
per quaranta giorni. Al quarantesimo giorno è salito al cielo e si è assiso alla
destra del Padre.
Questa puntualizzazione ha uno scopo ben preciso: insegnare che Dio non ha
ripudiato suo Figlio, come hanno fatto gli uomini, né lo ha abbandonato.
La sua morte era espiazione dei nostri peccati. Compiuta la redenzione, Egli è
risorto e Dio lo ha accreditato accogliendolo nel Cielo, facendolo sedere alla
sua destra.
Ora se Cristo è assiso alla destra della maestà divina, nell’alto dei cieli, ci può
essere un solo uomo sulla terra che non lo faccia sedere al centro del suo
cuore, della sua mente, della sua volontà, della sua anima?
Ci può essere un solo uomo che abbia il coraggio di ripudiare ciò che Dio ha
innalzato accanto a sé nella gloria?
Chi dovesse fare questo, attesta semplicemente la nullità della sua fede e la
falsità della sua verità.
[4]ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro
è il nome che ha ereditato.
Il nome ereditato è quello di Figlio, di Signore, di Dio.
Il nome però dice la sostanza.
Gli Angeli sono creature. Sono state fatte per mezzo del Figlio. Il Figlio è il loro
Signore, il loro Dio.
Ciò che bisogna puntualizzare in questo contesto è però un’altra verità.
Si è detto che Cristo Gesù è vero Dio e vero uomo.
21
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Il nome di Signore che ha ereditato non è solo per il vero Dio, è anche per il
vero uomo. Come vero uomo Gesù è Signore degli Angeli.
Come vero uomo Egli è Signore dell’intero creato. Lui che come vero uomo è
parte del creato, perché a sua volta è Lui stesso creatura, come creatura, in
ragione del nome che ha ereditato, è superiore allo stesso Creato ed è suo
Signore.
La questione è sostanziale, non è semplicemente accidentale, formale.
Questa superiorità sostanziale non è affermata semplicemente per definire
l’essere, la sostanza, la Persona, le nature che vivono nell’unica Persona
divina, secondo quella fede che la Chiesa ci insegna e che è stata definita a
partire dal Concilio di Nicea prima e di Calcedonia dopo.
La questione è teologica, cristologica, ma soprattutto soteriologica, di
redenzione e di rivelazione insieme.
Cristo Gesù è la Redenzione del Padre. Cristo Gesù è anche la Rivelazione del
Padre. È Colui che opera la redenzione, ma anche colui che dona la
rivelazione.
Anche questa tematica sarà sviluppata ampiamente nei capitoli che seguiranno.
CRISTO È SUPERIORE AGLI ANGELI
[5]Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho
generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio?
Sono, queste, due citazioni dell’Antico Testamento. La prima citazione è tratta
dal Salmo 2, Salmo messianico per eccellenza:
“Perché le genti congiurano perché invano cospirano i popoli? Insorgono i re
della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo
Messia: Spezziamo le loro catene, gettiamo via i loro legami.
Se ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall'alto il Signore. Egli parla loro con ira,
li spaventa nel suo sdegno: Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo
monte. Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio, io
oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i
confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le
frantumerai. E ora, sovrani, siate saggi istruitevi, giudici della terra; servite Dio
con timore e con tremore esultate; che non si sdegni e voi perdiate la via.
Improvvisa divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia”.
La seconda citazione è invece del Secondo Libro di Samuele (7,14). Il Signore
promette a Davide un regno eterno, nel Figlio che nascerà da lui.
“Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato tregua da
tutti i suoi nemici all'intorno, disse al profeta Natan: Vedi, io abito in una casa di
cedro, mentre l'arca di Dio sta sotto una tenda. Natan rispose al re: Va’, fa’
quanto hai in mente di fare, perché il Signore è con te.
22
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Ma quella stessa notte questa parola del Signore fu rivolta a Natan: Va’ e
riferisci al mio servo Davide: Dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa,
perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli
Israeliti dall'Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un
padiglione. Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho
forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio
popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro?
Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti
presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio
popolo; sono stato con te dovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò
davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei
grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo
pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo
opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio
popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il
Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore.
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò
dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo
regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il
trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo
castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non
ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono
dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e
il tuo trono sarà reso stabile per sempre.
Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo questa visione. Allora il
re Davide andò a presentarsi al Signore e disse: Chi sono io, Signore Dio, e che
cos'è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto? E
questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, mio Signore: tu hai parlato
anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è come legge
dell'uomo, Signore Dio! Che potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo
servo, Signore Dio! Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai
compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo. Tu sei davvero
grande Signore Dio! Nessuno è come te e non vi è altro Dio fuori di te, proprio
come abbiamo udito con i nostri orecchi. E chi è come il tuo popolo, come
Israele, unica nazione sulla terra che Dio è venuto a riscattare come popolo per
sé e a dargli un nome? In suo favore hai operato cose grandi e tremende, per il
tuo paese, per il tuo popolo che ti sei riscattato dall'Egitto, dai popoli e dagli dei.
Tu hai stabilito il tuo popolo Israele per essere tuo popolo per sempre; tu,
Signore, sei divenuto il suo Dio.
Ora, Signore, la parola che hai pronunciata riguardo al tuo servo e alla sua
casa, confermala per sempre e fa’ come hai detto. Allora il tuo nome sarà
magnificato per sempre così: Il Signore degli eserciti è il Dio d'Israele! La casa
del tuo servo Davide sia dunque stabile davanti a te! Poiché tu, Signore degli
eserciti, Dio d'Israele, hai fatto una rivelazione al tuo servo e gli hai detto: Io ti
edificherò una casa! perciò il tuo servo ha trovato l'ardire di rivolgerti questa
preghiera. Ora, Signore, tu sei Dio, le tue parole sono verità e hai promesso
23
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
questo bene al tuo servo. Dègnati dunque di benedire ora la casa del tuo servo,
perché sussista sempre dinanzi a te! Poiché tu, Signore, hai parlato e per la tua
benedizione la casa del tuo servo sarà benedetta per sempre!”.
In queste due citazioni è manifestata la doppia origine di Cristo.
Egli è da Dio e dall’uomo, dall’eternità e dal tempo, è Figlio di Dio e Figlio di
Davide. Da Dio è generato nell’oggi dell’eternità; da sempre Egli è Dio; da
Davide è generato nel tempo, perché è nato dalla Vergine Maria.
Per la sua generazione eterna, per la sua origine da Dio, perché da Dio
generato, e anche per la sua generazione da Davide, Gesù è superiore agli
Angeli. Egli degli Angeli è il Signore anche come vero uomo, perché tale Dio lo
ha costituito, è il Creatore perché è il loro Dio.
La finalità della superiorità di Gesù sugli Angeli in questo contesto è finalizzata
ad affermare la superiorità della Parola che Dio ci ha donato per mezzo di Gesù
Cristo.
Questa finalità è manifestata alla fine di questo capitolo ed è in quel contesto
che ci si soffermerà a coglierla nei suoi molteplici aspetti.
Ora è giusto non disperderci e proseguire con la dimostrazione dell’Autore
finalizzata a manifestare chi è in verità Cristo, o cosa dice la Scrittura, rivelata
per mano di Angeli, di Cristo, o semplicemente cosa dicono gli Angeli di Cristo
Gesù, del Figlio di Dio.
Se gli Angeli rendono testimonianza a Cristo e alla superiorità che Lui ha su di
loro, ci potrà essere sulla terra un solo uomo che non renda testimonianza a
Cristo?
Se qualcuno non lo facesse, costui sappia che è fuori anche della
testimonianza che gli Angeli rendono a lui di Dio. È fuori perché la
testimonianza che loro rendono a lui di Dio attesta chiaramente che Dio ha
generato il Figlio e che lo ha costituito erede universale di tutte le cose, assieme
a tutte le altre verità che in questo stesso contesto vengono affermate.
[6]E di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo
adorino tutti gli angeli di Dio.
La citazione è tratta dal Salmo 96.
“Il Signore regna, esulti la terra, gioiscano le isole tutte. Nubi e tenebre lo
avvolgono, giustizia e diritto sono la base del suo trono. Davanti a lui cammina il
fuoco e brucia tutt'intorno i suoi nemici. Le sue folgori rischiarano il mondo:
vede e sussulta la terra. I monti fondono come cera davanti al Signore, davanti
al Signore di tutta la terra. I cieli annunziano la sua giustizia e tutti i popoli
contemplano la sua gloria. Siano confusi tutti gli adoratori di statue e chi si
gloria dei propri idoli. Si prostrino a lui tutti gli dei! (Lo adorino tutti gli
angeli di Dio: è secondo la versione greca). Ascolta Sion e ne gioisce,
esultano le città di Giuda per i tuoi giudizi, Signore. Perché tu sei, Signore,
l'Altissimo su tutta la terra, tu sei eccelso sopra tutti gli dei. Odiate il male, voi
che amate il Signore: lui che custodisce la vita dei suoi fedeli li strapperà dalle
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
mani degli empi. Una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti di cuore.
Rallegratevi, giusti, nel Signore, rendete grazie al suo santo nome”.
Anche il Deuteronomio contiene un’affermazione simile (Cfr. 32,43, ma sempre
secondo la versione greca). È bene conoscere il contenuto di questo capitolo. È
presentato Dio nella sua opera di salvezza a favore del suo popolo:
“Ascoltate, o cieli: io voglio parlare: oda la terra le parole della mia bocca! Stilli
come pioggia la mia dottrina, scenda come rugiada il mio dire; come scroscio
sull'erba del prato, come spruzzo sugli steli di grano. Voglio proclamare il nome
del Signore: date gloria al nostro Dio! Egli è la Roccia; perfetta è l'opera sua;
tutte le sue vie sono giustizia; è un Dio verace e senza malizia; Egli è giusto e
retto.
Peccarono contro di lui i figli degeneri, generazione tortuosa e perversa. Così
ripaghi il Signore, o popolo stolto e insipiente? Non è lui il padre che ti ha
creato, che ti ha fatto e ti ha costituito? Ricorda i giorni del tempo antico, medita
gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo
diranno. Quando l'Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i figli
dell'uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli Israeliti.
Perché porzione del Signore è il suo popolo, Giacobbe è sua eredità.
Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo
allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un'aquila che veglia la sua
nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle
sue ali, Il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun dio straniero. Lo fece
montare sulle alture della terra e lo nutrì con i prodotti della campagna; gli fece
succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia; crema di mucca e latte
di pecora insieme con grasso di agnelli, arieti di Basan e capri, fior di farina di
frumento e sangue di uva, che bevevi spumeggiante.
Giacobbe ha mangiato e si è saziato, sì, ti sei ingrassato, impinguato,
rimpinzato e ha respinto il Dio che lo aveva fatto, ha disprezzato la Roccia, sua
salvezza. Lo hanno fatto ingelosire con dei stranieri e provocato con abomini
all'ira. Hanno sacrificato a demoni che non sono Dio, a divinità che non
conoscevano, novità, venute da poco, che i vostri padri non avevano temuto. La
Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato; hai dimenticato il Dio che ti ha
procreato! Ma il Signore ha visto e ha disdegnato con ira i suoi figli e le sue
figlie. Ha detto: Io nasconderò loro il mio volto: vedrò quale sarà la loro fine.
Sono una generazione perfida, sono figli infedeli.
Mi resero geloso con ciò che non è Dio, mi irritarono con i loro idoli vani; io li
renderò gelosi con uno che non è popolo, li irriterò con una nazione stolta. Un
fuoco si è acceso nella mia collera e brucerà fino nella profondità degl'inferi;
divorerà la terra e il suo prodotto e incendierà le radici dei monti. Accumulerò
sopra di loro i malanni; le mie frecce esaurirò contro di loro. Saranno estenuati
dalla fame, divorati dalla febbre e da peste dolorosa. Il dente delle belve
manderò contro di essi, con il veleno dei rettili che strisciano nella polvere. Di
fuori la spada li priverà dei figli, dentro le case li ucciderà lo spavento. Periranno
insieme il giovane e la vergine, il lattante e l'uomo canuto.
25
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Io ho detto: Li voglio disperdere, cancellarne tra gli uomini il ricordo! se non
temessi l'arroganza del nemico, l'abbaglio dei loro avversari; non dicano: La
nostra mano ha vinto, non è il Signore che ha operato tutto questo! Sono un
popolo insensato e in essi non c'è intelligenza: se fossero saggi, capirebbero,
rifletterebbero sulla loro fine: Come può un uomo solo inseguirne mille o due
soli metterne in fuga diecimila? Non è forse perché la loro Roccia li ha venduti,
il Signore li ha consegnati? Perché la loro roccia non è come la nostra e i nostri
nemici ne sono testimoni. La loro vite è dal ceppo di Sòdoma, dalle piantagioni
di Gomorra. La loro uva è velenosa, ha grappoli amari. Tossico di serpenti è il
loro vino, micidiale veleno di vipere. Non è questo nascosto presso di me,
sigillato nei miei forzieri? Mia sarà la vendetta e il castigo, quando vacillerà il
loro piede! Sì, vicino è il giorno della loro rovina e il loro destino si affretta a
venire. Perché il Signore farà giustizia al suo popolo e dei suoi servi avrà
compassione; quando vedrà che ogni forza è svanita e non è rimasto né
schiavo, né libero.
Allora dirà: Dove sono i loro dei, la roccia in cui cercavano rifugio; quelli che
mangiavano il grasso dei loro sacrifici, che bevevano il vino delle loro libazioni?
Sorgano ora e vi soccorrano, siano il riparo per voi!
Ora vedete che io, io lo sono e nessun altro è dio accanto a me. Sono io che dò
la morte e faccio vivere; io percuoto e io guarisco e nessuno può liberare dalla
mia mano. Alzo la mano verso il cielo e dico: Per la mia vita, per sempre:
quando avrò affilato la folgore della mia spada e la mia mano inizierà il giudizio,
farò vendetta dei miei avversari, ripagherò i miei nemici. Inebrierò di sangue le
mie frecce, si pascerà di carne la mia spada, del sangue dei cadaveri e dei
prigionieri, delle teste dei condottieri nemici! Esultate, o nazioni, per il suo
popolo, perché Egli vendicherà il sangue dei suoi servi; volgerà la
vendetta contro i suoi avversari e purificherà la sua terra e il suo popolo”.
Mosè venne con Giosuè, figlio di Nun, e pronunziò agli orecchi del popolo tutte
le parole di questo canto. Quando Mosè ebbe finito di pronunziare tutte queste
parole davanti a tutto Israele, disse loro: Ponete nella vostra mente tutte le
parole che io oggi uso come testimonianza contro di voi. Le prescriverete ai
vostri figli, perché cerchino di eseguire tutte le parole di questa legge. Essa
infatti non è una parola senza valore per voi; anzi è la vostra vita; per questa
parola passerete lunghi giorni sulla terra di cui state per prendere possesso,
passando il Giordano.
In quello stesso giorno il Signore disse a Mosè: Sali su questo monte degli
Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gerico, e mira il
paese di Canaan, che io dò in possesso agli Israeliti. Tu morirai sul monte sul
quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello è
morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati, perché siete stati infedeli
verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque di Mèriba di Kades nel deserto di
Sin, perché non avete manifestato la mia santità. Tu vedrai il paese davanti a
te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai!”.
Dio è il Signore. Cristo è il Signore. Dio è il Salvatore. Cristo è il Salvatore. Ciò
che è del Padre, è del Figlio. Questa è la nostra verità ed è santissima.
26
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Gli Angeli non sono signori. Sono creature di Dio, suoi servi. Anche questa è
verità ed è santa per noi.
[7]Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli pari ai venti, e i suoi
ministri come fiamma di fuoco,
Gli Angeli non sono invece signori, perché la Signoria appartiene solo a Dio.
Sono ministri di Dio, suoi servi.
Essi sono sempre in ascolto della volontà di Dio per eseguirla in ogni sua parte.
Così parla il salmo 103 (sempre in versione greca) degli Angeli. Lo riportiamo
tutto perché ci aiuta a scoprire il posto degli Angeli nell’universo creato da Dio,
nel quale ogni creatura ha un suo ruolo definito e preciso:
“Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito
di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto. Tu stendi il cielo
come una tenda, costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento; fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme
guizzanti i tuoi ministri.
Hai fondato la terra sulle sue basi, mai potrà vacillare. L'oceano l'avvolgeva
come un manto, le acque coprivano le montagne. Alla tua minaccia sono
fuggite, al fragore del tuo tuono hanno tremato. Emergono i monti, scendono le
valli al luogo che hai loro assegnato. Hai posto un limite alle acque: non lo
passeranno, non torneranno a coprire la terra. Fai scaturire le sorgenti nelle
valli e scorrono tra i monti; ne bevono tutte le bestie selvatiche e gli ònagri
estinguono la loro sete. Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo, cantano tra le
fronde.
Dalle tue alte dimore irrighi i monti, con il frutto delle tue opere sazi la terra. Fai
crescere il fieno per gli armenti e l'erba al servizio dell'uomo, perché tragga
alimento dalla terra: il vino che allieta il cuore dell'uomo; l'olio che fa brillare il
suo volto e il pane che sostiene il suo vigore. Si saziano gli alberi del Signore, i
cedri del Libano da lui piantati. Là gli uccelli fanno il loro nido e la cicogna sui
cipressi ha la sua casa. Per i camosci sono le alte montagne, le rocce sono
rifugio per gli iràci. Per segnare le stagioni hai fatto la luna e il sole che conosce
il suo tramonto.
Stendi le tenebre e viene la notte e vagano tutte le bestie della foresta;
ruggiscono i leoncelli in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo. Sorge il
sole, si ritirano e si accovacciano nelle tane. Allora l'uomo esce al suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera. Quanto sono grandi, Signore, le tue opere!
Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature. Ecco il
mare spazioso e vasto: lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi. Lo
solcano le navi, il Leviatàn che hai plasmato perché in esso si diverta. Tutti da
te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo
raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni. Se nascondi il tuo volto,
vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. La gloria del
Signore sia per sempre; gioisca il Signore delle sue opere. Egli guarda la terra e
la fa sussultare, tocca i monti ed essi fumano. Voglio cantare al Signore finché
ho vita, cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia
27
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
gioia è nel Signore. Scompaiano i peccatori dalla terra e più non esistano gli
empi. Benedici il Signore, anima mia.
Non solo è detto che fa delle fiamme guizzanti (gli Angeli secondo la versione
greca) i suoi ministri, appare in tutto il contesto che queste fiamme guizzanti
sono opera di Dio.
Cristo invece non è opera di Dio. Cristo è generato da Dio, è il Figlio del Padre.
La differenza è grande ed è infinita. Supera l’estensione dell’intero universo.
Cristo è nell’universo, ma è anche al di là di tutto l’universo, perché Lui
dell’universo è il Creatore in quanto Dio e vero Figlio del Padre, che è Signore e
Creatore dal nulla di tutto ciò che esiste.
[8]del Figlio invece afferma: Il tuo trono, Dio, sta in eterno e: Scettro
giusto è lo scettro del tuo regno; [9]hai amato la giustizia e odiato
l'iniquità, perciò ti unse Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza più dei tuoi
compagni.
Mentre gli Angeli sono ministri, Gesù invece del Regno di Dio è il Re. Gli Angeli
sono a servizio del Gran Re, del Re dei re e del Principe di tutti i regnanti della
terra.
Leggiamo l’affermazione nel contesto del Salmo 44. È un Salmo messianico,
canta il Messia che verrà:
“Al maestro del coro. Su “I gigli...”. Dei figli di Core. Maskil. Canto d'amore.
Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema. La mia lingua è
stilo di scriba veloce. Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è
diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre. Cingi, prode, la spada al tuo
fianco, nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte, avanza per la verità, la
mitezza e la giustizia. La tua destra ti mostri prodigi: le tue frecce acute
colpiscono al cuore i nemici del re; sotto di te cadono i popoli. Il tuo trono, Dio,
dura per sempre; è scettro giusto lo scettro del tuo regno. Ami la giustizia
e l'empietà detesti: Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a
preferenza dei tuoi eguali. Le tue vesti son tutte mirra, aloè e cassia, dai
palazzi d'avorio ti allietano le cetre.
Figlie di re stanno tra le tue predilette; alla tua destra la regina in ori di Ofir.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo
padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui. Da Tiro
vengono portando doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo volto. La figlia del
re è tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il suo vestito. E` presentata al re
in preziosi ricami; con lei le vergini compagne a te sono condotte; guidate in
gioia ed esultanza entrano insieme nel palazzo del re. Ai tuoi padri
succederanno i tuoi figli; li farai capi di tutta la terra. Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni, e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre”.
Da notare come con chiarezza divina il Messia è detto Dio: Dio, il tuo Dio ti ha
consacrato con olio di letizia.
Dicendo: il tuo Dio, siamo anche introdotti nel mistero della vera umanità di
Cristo Gesù.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Di Cristo Dio è Padre, Padre per generazione. È anche Dio, per creazione, in
ragione della sua vera umanità. Dio è Padre di Cristo Gesù ed è anche Suo
Dio.
È questo il vero mistero che avvolge Cristo Gesù. Vero Figlio di Dio, vero Figlio
di Davide. Non due figli, uno di Dio e l’altro di Davide, ma un solo Figlio: di Dio
nell’eternità, di Davide nel tempo.
Tutto questo si può affermare di Cristo perché è la Sua Persona che nasce da
Dio e da Davide e la Persona è una sola. Le nature sono due, divina e umana,
la Persona è una sola: quella divina che è nata da Dio nell’eternità, da Maria nel
tempo. Per questo Gesù è vero Dio e Maria vera Madre di Dio.
[10]E ancora: Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle
tue mani sono i cieli. [11]Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno
tutti come un vestito. [12]Come un mantello li avvolgerai, come un abito e
saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine.
Questi versetti sono tratti dal Salmo 101. In essi sono attestate la Signoria
universale di Dio, che è anche di Cristo, e la sua eternità, che è anche di Cristo,
dinanzi all’universo intero destinato a perire, ad invecchiare, mentre il Signore
rimane in eterno.
Lui non cambia, non muta, non perisce. Così è anche di Cristo Gesù e del suo
Regno eterno, che non conoscerà mai fine.
Leggiamo il Salmo:
“Preghiera di un afflitto che è stanco e sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia.
Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido. Non nascondermi il
tuo volto; nel giorno della mia angoscia piega verso di me l'orecchio. Quando ti
invoco: presto, rispondimi. Si dissolvono in fumo i miei giorni e come brace
ardono le mie ossa. Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di
mangiare il mio pane. Per il lungo mio gemere aderisce la mia pelle alle mie
ossa. Sono simile al pellicano del deserto, sono come un gufo tra le rovine.
Veglio e gemo come uccello solitario sopra un tetto. Tutto il giorno mi insultano i
miei nemici, furenti imprecano contro il mio nome. Di cenere mi nutro come di
pane, alla mia bevanda mescolo il pianto, davanti alla tua collera e al tuo
sdegno, perché mi sollevi e mi scagli lontano.
I miei giorni sono come ombra che declina, e io come erba inaridisco. Ma tu,
Signore, rimani in eterno, il tuo ricordo per ogni generazione. Tu sorgerai,
avrai pietà di Sion, perché è tempo di usarle misericordia: l'ora è giunta. Poiché
ai tuoi servi sono care le sue pietre e li muove a pietà la sua rovina. I popoli
temeranno il nome del Signore e tutti i re della terra la tua gloria, quando il
Signore avrà ricostruito Sion e sarà apparso in tutto il suo splendore. Egli si
volge alla preghiera del misero e non disprezza la sua supplica. Questo si
scriva per la generazione futura e un popolo nuovo darà lode al Signore.
Il Signore si è affacciato dall'alto del suo santuario, dal cielo ha guardato la
terra, per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morte;
perché sia annunziato in Sion il nome del Signore e la sua lode in
Gerusalemme, quando si aduneranno insieme i popoli e i regni per servire il
29
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Signore. Ha fiaccato per via la mia forza, ha abbreviato i miei giorni. Io dico:
Mio Dio, non rapirmi a metà dei miei giorni; i tuoi anni durano per ogni
generazione. In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue
mani. Essi periranno, ma tu rimani, tutti si logorano come veste, come un
abito tu li muterai ed essi passeranno. Ma tu resti lo stesso e i tuoi anni
non hanno fine. I figli dei tuoi servi avranno una dimora, resterà salda davanti
a te la loro discendenza”.
Come si può constatare le parole riferite a Dio e alla sua eternità di fronte ad
ogni cosa che muta, invecchia e perisce, sono espresse in un contesto di
speranza.
L’eternità di Dio dona speranza al cuore credente. L’eternità di Cristo deve far
nascere la speranza nel cuore di ogni uomo.
Questo Cristo, che è eterno, perché è dall’eternità del Padre, da sempre e per
sempre, ci è stato dato perché sia in Lui e in Lui solo la fonte, la sorgente della
nostra salvezza.
Lui è lì in eterno dinanzi a noi, quale trono di grazia e di verità, perché in Lui
attingiamo la nostra verità, la nostra grazia, per divenire in Lui, con Lui, per Lui
grazia e verità. È questa la nostra salvezza ed è tutta in Lui.
[13]A quale degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io
non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?
Ancora un’altra citazione. È tratta dal Salmo 109, anch’esso Salmo sul Messia
di Dio.
Il Messia di Dio è il Trionfatore, il Vincitore, Colui che vince per vincere ancora,
Colui al quale ogni cosa è stata sottomessa.
Anche gli Angeli sono sottomessi a Lui.
Leggiamo il Salmo:
“Di Davide. Salmo. Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion: Domina in mezzo ai tuoi nemici. A te il principato nel
giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada,
io ti ho generato. Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per
sempre al modo di Melchisedek. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel
giorno della sua ira. Giudicherà i popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la
testa su vasta terra. Lungo il cammino si disseta al torrente e solleva alta la
testa.
In questo salmo di Cristo Gesù è detto tutto:
Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi
nemici a sgabello dei tuoi piedi. Dio è Signore. Cristo è Signore.
Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: Domina in mezzo ai tuoi
nemici. Dio dona lo scettro del regno eterno a Cristo.
A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori. Viene ricordato
il giorno della incoronazione, o glorificazione di Cristo.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato. È questa la sua
generazione eterna.
Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di
Melchisedek. Cristo non solo è Re, è anche Sacerdote, non però alla maniera di
Aronne, bensì alla maniera di Melchisedek.
Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Dio è con
Cristo e Cristo è con Dio.
Giudicherà i popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la testa su vasta terra.
Cristo è costituito Giudice universale di tutta la terra.
Gesù stesso si serve di questo passo per confondere la sapienza dei sapienti
scribi, farisei e sommi sacerdoti:
In questo capitolo Gesù è il Figlio per il quale il Padre fa il banchetto di nozze.
Lo riportiamo tutto, soprattutto per metterci di fronte alla saggezza divina,
proprio di Dio, con la quale Gesù argomenta e risponde:
Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: Il regno dei cieli è simile a un
re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a
chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò
altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali
ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non
se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi
presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate
le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse
ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni;
andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle
nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e
cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e,
scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai
potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai
servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e
stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.
Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi
discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli:
Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non
hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque
il tuo parere: E` lecito o no pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conoscendo la
loro malizia, rispose: Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del
tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: Di chi è questa
immagine e l'iscrizione? Gli risposero: Di Cesare. Allora disse loro: Rendete
dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. A queste
parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.
In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali affermano che non c'è
risurrezione, e lo interrogarono: Maestro, Mosè ha detto: Se qualcuno muore
senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza al
suo fratello. Ora, c'erano tra noi sette fratelli; il primo appena sposato morì e,
non avendo discendenza, lasciò la moglie a suo fratello. Così anche il secondo,
31
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
e il terzo, fino al settimo. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla
risurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? Poiché tutti l'hanno avuta. E
Gesù rispose loro: Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la
potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si
è come angeli nel cielo. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto
quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il
Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi. Udendo ciò, la folla era
sbalordita per la sua dottrina.
Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono
insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla
prova: Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? Gli rispose:
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la
tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è
simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due
comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.
Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: Che ne pensate del
Messia? Di chi è figlio? Gli risposero: Di Davide. Ed egli a loro: Come mai allora
Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio
Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi
piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?
Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò
interrogarlo”.
Come si può constatare Gesù stesso si applica il passo della Scrittura. Il Messia
è figlio di Davide, ma anche Signore di Davide.
È figlio in ragione della sua origine da Maria. È Signore per la sua origine da
Dio. L’origine da Dio è per generazione eterna.
Di nessun Angelo questo è stato mai detto. La Scrittura fa una distinzione netta,
precisa tra Dio e le sue creature, ma anche tra il Messia di Dio e ogni altra
creatura.
Questa distinzione è costitutiva dell’essere stesso di Cristo, è la sua essenza, la
sua natura.
Questa distinzione ci dice con chiarezza che Cristo è Dio. È questa la
superiorità di Cristo sugli Angeli.
Non è una superiorità per elevazione morale o per la più grande sua
“spiritualità”.
È invece una superiorità che è oltre ogni possibile superiorità che esiste nella
creazione.
Tra gli uomini e gli Angeli si può parlare di superiorità di questi ultimi per
rapporto ai primi.
Tra Cristo e gli Angeli invece neanche di per sé si potrebbe parlare di
superiorità, ma di infinità.
Cristo è infinitamente oltre gli Angeli, perché egli è di natura divina. Egli è il
Creatore e il Signore degli Angeli. Non è una differenza all’interno della
32
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
creazione, è una differenza che nasce dal di fuori della creazione. È la stessa
differenza che esiste tra Creato e Increato, tra Creatore e opera fatta.
Se questa è la differenza tra Cristo e gli Angeli, quale non sarà allora la
differenza tra le due rivelazioni: quella che ha affidato agli Angeli e quella che lo
stesso Dio ha affidato a Cristo Dio?
È questa differenza che l’Autore vuole cogliere in ogni suo particolare ed è
anche questo lo scopo della Lettera.
[14]Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire
coloro che devono ereditare la salvezza?
Con queste chiare parole viene presentata la natura degli Angeli assieme al
loro ministero.
Prima di ogni cosa è detto che gli Angeli sono di natura spirituale. Essi, a
differenza dell’uomo, non hanno il corpo e quindi non hanno storia, non hanno
divenire.
La natura spirituale è tutta se stessa allo stesso tempo, perché lo spirito è
senza tempo.
Lo spirito, al pari di ogni altro essere, è creatura di Dio.
Ogni creatura di Dio è stata fatta per un fine. Qual è il fine degli Angeli?
L’Autore lo dice con queste poche parole: sono incaricati di un ministero, inviati
per servire coloro che devono ereditare la salvezza.
Se si legge la Scrittura con mente limpida e con cuore puro, ci si accorge che
essi sono sempre presentati in relazione all’uomo e alla sua salvezza.
Essi sono a servizio della salvezza dell’uomo. Questo è il loro ministero, il loro
ufficio.
Loro servono quelli che devono ereditare la salvezza. Cristo invece è l’autore
della salvezza.
La salvezza si compie per mezzo di Lui, ma anche si compie in Lui e con Lui.
Anche in questo la superiorità di Cristo in ordine alla salvezza è eccelsa. È la
stessa differenza che esiste tra chi serve coloro che devono ereditare la
salvezza e colui che “crea” la salvezza e la dona come il suo più grande dono
d’amore.
È grande il mistero di Cristo. Lo si può accogliere solo nella fede, in quella fede
che nasce dalla libertà dal peccato e dalla povertà in spirito.
La libertà del peccato fa sì che lo Spirito Santo possa parlare al nostro spirito, al
nostro cuore, alla nostra intelligenza, alla nostra volontà.
La povertà in spirito fa sì che il nostro cuore sia vuoto da ogni pensiero della
terra, da ogni desiderio, anche da ogni comprensione passata di Cristo. Anche
dai vecchi pensieri ci dobbiamo svuotare, liberare, se vogliamo accogliere il
Signore che viene per operare salvezza nei nostri cuori.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Dinanzi alla Parola della rivelazione dobbiamo sempre presentarci con la
mitezza e l’umiltà. La mitezza ci fa essere sempre disponibile a Dio, l’umiltà ci
fa vedere il nostro niente, anche nei pensieri, chiamati ad abbandonare se
stessi, perché solo il pensiero di Dio sia l’unico oggetto della nostra mente, del
nostro cuore, del nostro spirito, della nostra volontà.
La verità di Cristo è radiosa per se stessa. Essa si coglie in ogni passo della
Scrittura.
La coglie però chi si fa libero dal peccato, chi diviene povero in spirito, chi si
edifica nella mitezza e nell’umiltà della mente e del cuore.
Il peccato è scudo potente che impedisce ogni penetrazione della verità nella
nostra mente e soprattutto nel nostro cuore.
L’uomo nel peccato è come se non avesse mente e non possedesse cuore. A
posto della mente e del cuore c’è il peccato. I suoi ragionamenti sono
ragionamenti di peccato, i suoi desideri sono desideri di peccato. La sua verità
è una verità di peccato.
Cristo è venuto per togliere il nostro peccato. Questa è la potenza della sua
grazia.
Anche questa è la superiorità di Cristo per rapporto alla rivelazione che Dio ci
ha fatto per mezzo di Angeli. Lo afferma con chiarezza San Giovanni nel suo
vangelo: “La legge ci fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità ci
vennero per mezzo di Gesù Cristo… Da Lui abbiamo attinto grazia su
grazia”.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Molte volte, in diversi modi, per mezzo dei profeti. Con queste semplici
parole viene annunziato il grande mistero della rivelazione. Essa ha la sua
origine in Dio. È Lui l’Autore. Lui però si serve di uomini. Questi uomini sono i
suoi profeti, coloro cioè che portano ad altri uomini la sua Volontà, la sua Verità,
la sua Santità, il suo mistero e il mistero dello stesso uomo. La mediazione
nella rivelazione è via ordinaria. Dio si serve di uno per i molti, di uno per tutti.
Per mezzo dei profeti Dio ha parlato molte volte e in diversi modi. Dio parla per:
rivelazione, manifestazione, ispirazione, visione, segni e parole intimamente
connessi. L’Antico Testamento è queste molte volte e i diversi modi attraverso i
quali Dio ha parlato, agendo nella storia e guidandola verso il suo compimento
di salvezza e di redenzione.
In questi giorni, oggi per mezzo del Figlio. Lo stesso, l’unico, il solo Dio che
ha parlato in diversi modi e molte volte nell’Antico Testamento, o un tempo, in
questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Il Figlio è Cristo Gesù. Con
Cristo il Padre ci ha manifestato, o detto tutto, ma anche ci ha dato tutto. Non
deve più né dirci, né darci qualcosa. Donandoci tutto Cristo, in Cristo ci ha
donato tutto, ogni cosa. Ci ha donato la pienezza della rivelazione e della
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
salvezza. Cristo Gesù è l’ultimo dono di Dio. Oltre questo dono, non ha nulla più
da darci. Donandoci Cristo Gesù, ha in Lui donato tutto se stesso. Il dono è
perfetto, la rivelazione è perfetta, la grazia è perfetta. Assai importante, anzi di
vitale importanza è questa verità: l’Autore di tutto è il Dio di Abramo, di
Isacco, di Giacobbe, da sempre il Dio che è Padre del Verbo della vita e
che dopo il sì della vergine Maria è Padre del Verbo Incarnato, Padre del
Messia, Gesù di Nazaret, vero Figlio di Dio, ma anche vero Figlio
dell’uomo. L’unicità dell’Autore pone gli ascoltatori dinanzi alla non possibilità
di separare il prima e il dopo nella rivelazione, ma di accogliere il dopo in nome
del prima, perché il prima è tutto finalizzato al dopo e il dopo è tutto
preannunziato nel prima. Chi opera tutto questo è sempre l’unico e solo Dio.
Non crede in Dio chi separa in Lui il prima e il dopo, accoglie il prima, rifiuta il
dopo. Sono un’unica rivelazione, un unico mistero, una sola salvezza, una sola
redenzione, giustificazione, santificazione, liberazione, verità. Sono un unico e
solo atto salvifico dell’unico e solo Dio. Appare fin da subito che il problema
o la questione cristologica si fa e diviene problema teologico. Da Cristo
tutto si sposta in Dio perché Cristo è l’opera di Dio e chi rifiuta Cristo opera di
Dio, rifiuta necessariamente il Dio che ha fatto l’opera e il Dio di quest’opera
mirabile agli occhi nostri è lo stesso ed unico Dio che l’ha iniziata con la
vocazione di Abramo, con la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, con
l’introduzione nella Terra Promessa, con la rivelazione fatta ai profeti. È questo
il motivo per cui chi non crede in Cristo non crede semplicemente in Dio e chi si
rifiuta di conoscere Cristo, si esclude dalla vera conoscenza di Dio. Si esclude
semplicemente e puramente dalla salvezza promessa da Dio ai Padri e
compiuta tutta nel suo Figlio Unigenito.
Erede di tutte le cose. Fin da subito è detto che Cristo Gesù, il Figlio Unigenito
del Padre, il Verbo che si è fatto carne nel seno della Vergine Maria, il Messia
atteso e promesso è costituito erede di tutte le cose. Lui è stato fatto da Dio
l’unico erede della sua verità e della sua grazia, l’unico erede del Paradiso.
Anche questa verità è carica di tremende conseguenze: Se Cristo, o il Figlio, è
l’unico e il solo erede, perché erede di tutte le cose, ne consegue che
nessuno potrà mai ereditare il Paradiso, la grazia, la verità, nessuno può
accedere a questi beni divini, se non divenendo una cosa sola con Cristo.
Questo avviene solo credendo nella sua Persona e nella sua missione, nella
sua Parola e nel suo Vangelo, in ogni Parola che è uscita dalla sua bocca. La
fede in Lui è la via per entrare in possesso di ogni promessa di Dio, fatta non
attraverso Cristo Gesù, ma per mezzo dei profeti nell’Antico Testamento.
Questo significa semplicemente che: quanti si escludono dal Nuovo
Testamento, perché si rifiutano di credere in Cristo, si escludono anche
dall’Antico, perché il compimento, la realizzazione, la perfezione
dell’Antico Testamento è Cristo Gesù. Non: è in Cristo Gesù, ma: è Cristo
Gesù, perché è Cristo la promessa fatta da Dio ad Abramo, a Davide, ai
profeti.
Mediatore nella creazione. Mediatore nella Redenzione. Cristo Gesù è
mediatore nella Creazione: tutto fu fatto per messo di Lui. È anche mediatore
nella Redenzione: tutta la salvezza è stata realizzata da Lui, in virtù del suo
sacrificio offerto al Padre sul legno della croce. Non due mediazioni, ma una
35
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
sola. Prima che fosse mediatore nella creazione, il Padre lo aveva già
chiamato ad essere mediatore nella redenzione ed è mediatore nella
creazione perché già costituito mediatore nella redenzione. È questo il
mistero che avvolge Cristo Gesù, mistero di eternità e di tempo, mistero nel
tempo perché già mistero nell’eternità. Il mistero di redenzione da realizzare nel
tempo dona origine e compimento al mistero vissuto all’inizio del tempo con la
creazione dell’universo visibile ed invisibile per mezzo di Lui e in vista di Lui.
Crede in Dio secondo verità chi accoglie e vive in tutta pienezza di verità, di
amore, di giustizia, di santità la mediazione del Verbo Incarnato sia in ordine
alla creazione che alla redenzione. Dio agisce così e questa modalità non è
accidentale, ma essenziale, eterna, nel tempo e nel cielo, prima del tempo,
nel tempo e dopo il tempo. Senza Cristo, il Padre non è più nella sua verità di
operazione. Senza Cristo, ogni confessione di Dio risulta parziale, incompleta,
lacunosa, risulta semplicemente inadeguata, inefficace, povera. Cristo e il
Padre sono l’unica e sola opera di salvezza. Se manca questa unicità, non vi è
neanche vera salvezza. Quella che si crede di possedere è semplicemente
un’idea umana di salvezza, ma in nessun caso è la verità divina della
redenzione.
Irradiazione della sua gloria. Chi è Cristo Gesù, il Crocifisso che è il Risorto,
Colui che era morto ma che ora è vivo ed è presso Dio, assiso alla sua destra?
La prima verità, senza la quale ogni altra diventa falsità, è questa: Cristo
Gesù non puramente e semplicemente un uomo. L’essenza di Gesù non è la
sua sola umanità. Lui, prima di farsi carne nel seno della Vergine Maria, è
Dio, è da Dio, è in Dio. Da vero Dio, esistente prima del tempo, nel tempo
si fa, diviene vero uomo. Chi si fa uomo è il Figlio del Padre. Questa la vera
essenza di Cristo: Dio che si fa uomo, vero Dio che si fa vero uomo. La divinità
gli appartiene per generazione eterna dal Padre. Come Figlio generato dal
Padre Lui è non creato, è Creatore; non è stato fatto, è Colui per mezzo del
quale esiste tutto ciò che esiste. Neanche Uomo egli è stato fatto; Uomo Egli è
divenuto, si è fatto. Ogni uomo è fatto uomo da un altro uomo. Il Verbo della
vita si è fatto, è divenuto uomo per opera dello Spirito Santo, nel seno
verginale di Maria Santissima, che a giusto titolo è Madre della Persona
che da Lei è nata e per questo Ella è vera Madre di Dio. Gesù è gloria dalla
gloria del Padre, per questo l’Autore non esita a dire che Gesù è irradiazione
della sua gloria. La gloria di Dio è la sua divinità e il Padre, generando il Figlio,
lo ha rivestito in eterno, dall’eternità, da sempre, di tutta la sua gloria. Poiché
questa generazione è fuori del tempo, essa è anche senza tempo. Da sempre e
per sempre, in principio, cioè fuori del tempo, il Verbo è generato dal Padre e
da sempre e per sempre Dio esiste nell’unità di una sola natura e nella trinità
delle Persone divine. L’irradiazione è eterna, cioè senza principio e senza
fine. Il Verbo è dal Padre, ma è eternamente da Lui. Non esiste prima il
Padre e poi in successione il Figlio. L’irradiazione dice simultaneità
eterna. Esiste il Padre, esiste il Figlio, esiste lo Spirito Santo. La simultaneità è
anche unità di natura. Una sola natura divina. È questo il mistero. Da questo
mistero bisogna partire se si vuole conoscere chi è Gesù.
Impronta della sua sostanza. L’irradiazione da sola per l’autore non è
sufficiente a dire l’essenza di Cristo Gesù. Per coglierla meglio si serve di
36
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
un’altra parola: impronta della sua sostanza. La sostanza divina è tutta in
Cristo Gesù. Non è però una sostanza diversa da quella del Padre. È la stessa
sostanza, l’unica e la sola, nella quale sussistono Padre, Figlio e Spirito Santo.
Cristo Gesù è di sostanza e natura divina. Questa gli appartiene per
generazione eterna. Lui è sostanzialmente Dio. Eternamente Dio. Infinitamente
Dio. L’autore, dicendo: impronta della sua sostanza, intende affermare che
tutta la sostanza divina del Padre è stata donata al Verbo della Vita. Questa
impronta di sostanza non ha però generato una nuova sostanza, anche se
divina ed eterna. Generata è stata la Persona del Verbo, la natura è la stessa,
la sola, l’unica che è del Padre. Non due sostanze, ma una sola; non due
nature, ma una sola nell’eternità. Nel tempo poi il Verbo, facendosi uomo, ha
acquisito anche la natura umana completa, è divenuto vero uomo. Anche se
l’immagine dell’impronta è debole per rapporto al mistero che essa
esprime, o contiene, la verità però non è debole. Potrebbe essere debole la
spiegazione, ma il contenuto è forte: Cristo Gesù non è solamente da Dio, Egli
è vero Dio, perché la sua natura è divina, la sua sostanza è eterna, la sua
impronta è dalla sostanza e nella sostanza del Padre. Egli è tutto questo per
generazione etera, prima del tempo, prima della creazione.
Sostiene tutte le cose con la potenza della sua parola. Il Verbo della vita,
ora Verbo della vita incarnato è Colui che dona vita a tutte le cose. Egli è fuori
delle cose, ma è dentro l’umanità. Da dentro l’umanità e anche fuori della
stessa creazione, Egli dona sussistenza ad ogni realtà esistente, visibile e
invisibile. Ogni cosa esiste per Lui, ma anche in vista di Lui. Senza di Lui nulla
esiste di ciò che esiste. Senza di Lui non c’è vita né naturale, né
soprannaturale. Egli è semplicemente la vita dell’universo sia nell’ordine
della natura che della grazia, sia della creazione che della redenzione.
Ogni vita è in Cristo, è per Cristo, è da Cristo, si vive con Cristo.
La purificazione dei peccati. L’autore rivela uno dei fini dell’incarnazione: la
purificazione dei peccati. Sappiamo che essa fu compiuta per espiazione
vicaria. Lui è pertanto il Giusto che si è offerto per gli ingiusti, perché fossero
cancellati i loro peccati. Non c’è purificazione dei peccati se non per mezzo di
Lui e nessun peccato verrà mai cancellato se non per Lui, per l’espiazione che
Lui ha fatto sulla croce.
Assiso alla destra del Padre. È manifestata qual è la vita attuale di Cristo
Gesù dopo la sua Passione, Morte, Risurrezione. Egli è asceso al Cielo e siede
alla destra del Padre. Egli è presso Dio. Dio non lo ha abbandonato nel
sepolcro. Non lo ha lasciato sulla nostra terra per sempre. Ha voluto che
sedesse nei Cieli alla sua destra. Chi è assiso alla destra del Padre è il
Verbo Incarnato nella gloria della sua umanità, trasformata dalla
risurrezione che ha reso il suo corpo tutto spirituale, incorruttibile,
immortale, glorioso.
Superiore agli Angeli. Gli Angeli sono esseri spirituali. Esistono come puri
spiriti, senza bisogno del corpo materiale. È questo il loro mistero. Per
creazione gli Angeli sono superiori agli uomini. Questa verità è attestata dalla
Scrittura Antica. Cristo Gesù invece, Verbo Incarnato, nello splendore della sua
umanità è superiore agli Angeli. Anche questa verità attesta la superiorità di
37
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Cristo, ma è anche funzionale alla rivelazione. Se si accoglie la rivelazione che
Dio ha fatto per mezzo degli Angeli (AT), tanto più si deve accogliere la
rivelazione fatta da chi agli Angeli è superiore. Se è superiore chi fa la
rivelazione, superiore è anche la rivelazione fatta. Il Nuovo Testamento ha
una superiorità per rapporto all’Antico non solo per il suo contenuto di salvezza,
ma anche per Colui che l’ha fatta e chi l’ha fatta è superiore agli Angeli.
Oggi ti ho generato. Tu sei mio figlio. È questa l’essenza eterna del
Crocifisso che è il Risorto. Egli è vero Figlio di Dio, vero Figlio per
generazione eterna. Dio l’ha generato prima del tempo, prima della creazione.
Questa verità fa la vera differenza tra Cristo ed ogni altro uomo. Ogni altro
uomo è stato fatto per mezzo di Cristo. Cristo non è stato fatto. È stato, anzi è,
generato dal Padre, oggi, nell’eternità. Tutti gli altri prima di Cristo, da Abramo
fino a Malachia, compresi gli Angeli, scompaiono dinanzi a Lui. Tutti costoro
sono da Lui, per Lui. Lui invece è dal Padre, per il Padre. Ogni uomo è da
Lui e per Lui. Non solo per redenzione deve essere da Lui e per Lui,
quanto anche per creazione è da Lui e per Lui. Abramo è da Cristo e per
Cristo, come anche Mosè, i profeti, tutti i giusti dell’Antico Testamento, ogni
uomo di ogni razza, popolo e lingua. Anche ogni fondatore di Religione è da
Cristo ed è per Cristo. Ogni suo discepolo, dopo Cristo, deve passare a Cristo,
perché ogni uomo è per Cristo e da Cristo.
Gli Angeli adorano Cristo. Gli Angeli non sono Signori. È questa una verità
tratta dalla Scrittura Antica. Gli Angeli non sono Signori, perché loro sono
creature del Signore. Signore è uno solo: Dio. Dio è il Signore del creato. È
Signore per creazione, perché Lui l’ha fatto e a Lui appartiene, a Lui
obbedisce in tutto. In quanto fattura di Cristo Gesù, gli Angeli
riconoscono Cristo come il loro Autore e come loro Autore lo adorano e
prestano l’ossequio della loro obbedienza. L’obbedienza è l’adorazione.
L’obbedienza si da a chi è Superiore e Cristo è Superiore non perché tale è
stato fatto, ma perché in se stesso è Dio.
Cristo è giudice. Cristo è Dio. Cristo è eterno. L’eternità e la divinità
appartengono a Cristo per generazione eterna. Il giudizio invece gli appartiene
sia perché vero Dio, ma anche perché vero Uomo. Dinanzi al Crocifisso che è
il Risorto si piegherà ogni ginocchio, confesserà che Cristo Gesù è il suo
Dio e Signore, il suo giudice che lo giudicherà con giudizio eterno. Ogni
uomo, nessuno escluso; ogni uomo, chi lo ha confessato, chi lo ha ignorato, chi
lo ha combattuto; ogni uomo, chi lo ha accolto e chi lo ha crocifisso; ogni uomo,
chi lo ha adorato e chi lo ha rinnegato, maltrattato, venduto, umiliato, schernito,
ucciso.
Cristo è alla destra del Padre. Cristo è Signore. Come Dio il Verbo è
Signore. Come Dio il Verbo è eternamente assiso alla destra del Padre. Chi è
Signore e chi è assiso alla destra del Padre non è il Verbo eterno che non
esiste più come solo Verbo eterno del Padre. Dopo il sì della Vergine Maria, il
Verbo eterno esiste solo ed unicamente come Verbo Eterno Incarnato,
Morto e Risorto. L’incarnazione è stato un divenire irreversibile. È questa
anche l’unione ipostatica. Come Verbo Eterno Incarnato, Morto e Risorto è alla
destra del Padre ed è Signore.
38
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
Cristo è Sacerdote. Il Verbo della Vita è Sacerdote perché ha offerto a Dio, in
espiazione dei peccati del mondo, la sua stessa vita, immolandosi nel suo
corpo mortale sulla croce. Si badi bene: non è il corpo che Lui ha offerto al
Padre. Al Padre ha offerto tutto se stesso. È il Figlio che è stato inchiodato
sulla croce, non solo il corpo; è il Figlio che muore in croce, non solo
l’umanità. Si offre il Figlio, ma nella sua umanità, nel suo corpo. È il corpo
la materia del sacrificio, ma chi si offre è il Figlio. Chi è il Figlio? Il Verbo
Eterno Incarnato, divenuto carne per compiere l’espiazione dei peccati.
Cristo è Figlio. Cristo Gesù non è figlio di Dio come ogni uomo: per creazione,
o per adozione. Cristo è Figlio del Padre per generazione eterna. Lui è il
solo, l’unico che Dio ha generato dalla sua sostanza divina. Lui è il solo
che è Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Lui è il solo Figlio generato e
non creato. Il Padre è Padre perché ha generato Cristo. È nostro Padre
perché ci dona la figliolanza di Cristo, ci fa suoi figli di adozione in Cristo, con
Cristo, per Cristo. Questa unicità è solo di Cristo Gesù. Questa verità fa la
differenza tra Cristo ed ogni altro uomo. Ogni altro è creatura. Cristo Gesù
invece non è creatura, è vero Figlio del Padre.
Cristo è Figlio di Davide ed è Signore di Davide. Poiché Creatore di Davide,
di Davide Cristo Gesù è Signore. In quanto però Verbo Eterno Incarnato nel
seno della Vergine Maria, Cristo è figlio di Davide, perché da Maria, che è carne
di Davide, è nata la Persona divina nella sua vera umanità. Poiché è la
Persona divina che nasce, Cristo Dio è vero Figlio di Davide, vero Figlio di
Maria. È questa la ragione teologica per cui Maria è vera Madre di Dio, ma
anche perché anche di Maria Gesù è il suo Dio e Signore.
Gli Angeli incaricati di un ministero di salvezza. L’autore specifica qual è la
relazione che intercorre tra gli Angeli e gli uomini. Gli Angeli sono incaricati di
un ministero di salvezza. Non sono loro gli autori della salvezza. Cristo
Gesù non è incaricato di un ministero di salvezza. Cristo Gesù è la stessa
salvezza; è l’Autore di essa. Se per l’Antico Testamento sono grandi gli
Angeli, quanto più grande è Cristo Gesù.
Tutto è dalla Scrittura. Dicendo che tutto è dalla Scrittura si vuole affermare
una sola verità. Tutta la Scrittura Antica conduce a Cristo. Lui essa vede. A Lui
prepara la strada. Di Lui parla. Lui annunzia. Lui profetizza. Di Lui tratteggia i
lineamenti. Di Lui dice ogni cosa. Se la Scrittura è questa verità, nessuno
che legge la Scrittura secondo verità può non approdare a Cristo Gesù.
Chi non approda a Cristo Gesù non legge la Scrittura secondo verità. Di
sicuro la leggerà in modo distorto, sbagliato, erroneo, falso. La leggerà
secondo criteri e principi umani, non di certo secondo vera esegesi,
autentica ermeneutica, vera saggezza e intelligenza nello Spirito Santo. La
legge con mentalità religiosa distorta, frutto spesso del peccato che oscura la
mente, accecandola. L’autore apparentemente compone un’opera cristologica,
in verità la sua argomentazione è una possente opera di teologia. L’Autore di
Cristo, per generazione eterna e per incarnazione nel tempo, è Dio. È lo stesso
e l’unico Dio che ha chiamato Abramo, Mosè, i Profeti, ogni altro saggio e
giusto perché annunziassero e preparassero il suo popolo ad accogliere il
Salvatore e Signore che Lui avrebbe inviato un giorno. La non fede in Cristo
39
Lettera agli Ebrei–Capitolo Primo
non è non fede in Cristo Gesù, è semplicemente non fede in Dio e nella
sua opera di salvezza. Chi non crede non è Cristo che in fondo rinnega,
rinnega e sconfessa quel Dio nel quale pensa di credere. In realtà non
crede perché rifiuta, rigetta, rinnega l'opera, la sola opera per la quale
ogni altra cosa è stata pensata, voluta, attuata. Cristo è l’opera di Dio. Chi
rinnega Cristo, rinnega Dio che ha “operato” Cristo. Ma se Cristo è l’opera di
salvezza di Dio, l’unica opera di salvezza, rinnegando Cristo, Dio non ha altra
salvezza da offrire. L’uomo rimane nella sua morte eterna. Cristo Gesù può
essere “compreso” solo partendo da Dio. È la sua opera. Dio però si può
comprendere solo partendo dall’opera. È l’opera che rivela il suo Autore. Senza
Cristo non si conosce Dio. Ma anche senza Dio non si conosce Cristo. Il vero
Dio ci dona il vero Cristo, il vero Cristo ci dona il vero Dio. Il Dio che non
ci dona Cristo non è il vero Dio. Il Cristo che non ci dona il vero Dio, non è
il vero Cristo. La Lettera agli Ebrei ci dona il vero Dio che ci dona il vero Cristo
e ci dona il vero Cristo che ci dona il vero Dio.
40
CAPITOLO SECONDO
NON RICUSIAMO LA SALVEZZA
[1]Proprio per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno
a quelle cose che abbiamo udito, per non andare fuori strada.
Viene indicata in questo versetto una regola metodologica dal valore perenne,
che mai tramonta; una regola che sempre si deve applicare, se si vuole
pervenire alla conoscenza della verità.
Chiunque dovesse disattenderla, immancabilmente verrebbe a trovarsi in un
istante fuori della verità, nella falsità più buia, nell’errore più nero. In una parola:
sarebbe già fuori della stessa salvezza.
Questa regola purtroppo sovente è disattesa, dimenticata, non applicata,
ignorata, vilipesa, contraffatta, presupposta.
È questo uno dei motivi, se non il motivo, di tanta falsità e dei molteplici errori
che regnano e imperano nella mente di molti credenti.
Questa regola si può così formulare, o sintetizzare: la via della conoscenza
della verità è la Parola.
La Parola dell’Antico Testamento non è tutta la verità, essa però conduce alla
Persona che è la nostra verità.
Questa regola la si può formulare anche in senso contrario: Cristo è la verità,
la via, la vita. Questa è la sua storia. Dallo studio della Parola dell’Antico
Testamento è possibile con facilità pervenire a Cristo verità, via e vita
dell’uomo.
Perché allora non si perviene? Il motivo è presto detto: non ci si applica con
l’impegno dovuto.
L’impegno dovuto non è solo quello per così dire “fisico” , o “spirituale” dello
studio.
Esso è prima di tutto volontà di pervenire alla verità, desiderio di ricercare la
verità, amore per la verità che ci conduce di verità in verità, fino alla pienezza
della verità che è Cristo Gesù.
L’impegno dovuto è pertanto nella volontà e nel cuore. Esso è volontà di
rinnegare noi stessi, la nostra gloria terrena, ogni altra relazione che ci è di
ostacolo nella conoscenza della verità tutta intera.
Dal Vangelo sappiamo e conosciamo che gli ostacoli maggiori sono due:
-
il peccato che inquina il cuore. Si toglie il peccato con la conversione e la
fede nella Parola;
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
-
la ricerca della gloria degli uomini, o la non libertà dinanzi agli uomini.
Chi cade in questa trappola, è difficile che possa abbracciare la verità. Il rispetto
umano gli farà sempre da freno, impedimento, muro.
Per quanto attiene invece al primo ostacolo, il peccato, è giusto osservare che
esso è trasgressione dei comandamenti e i comandamenti non hanno nulla a
che vedere con la “difficoltà” di credere in Cristo verità di Dio.
Uno potrebbe anche avere difficoltà nell’accogliere Cristo, ma qual è la difficoltà
per un credente per non accogliere i comandamenti, se proprio sulla base dei
comandamenti si fonda e si sancisce l’alleanza con Dio?
Qual è la difficoltà per un credente di non vivere la legge della carità, o praticare
la regola d’oro, se proprio questa legge è a fondamento della sua esistenza di
cristiano?
Il problema non è allora la verità impossibile da conoscere, è solamente il cuore
che non si vuole rendere puro.
È questo il motivo per cui chi rifiuta la verità ha nel suo cuore o un vizio di
peccato, o un vizio di fede e spesso ci sono l’uno e l’altro.
Lo si è già detto: il peccato è il grande ostacolo verso la verità. Il peccato oscura
la mente e priva lo spirito di ogni spiraglio di luce soprannaturale.
Altro aspetto, e non per nulla minimo, di questa regola è il seguente: poiché
verso la verità bisogna sempre camminare e il cammino non si esaurisce mai, è
obbligo ogni giorno applicarsi attraverso lo studio, la meditazione, la lettura
della Parola e far sì che la conoscenza del mistero sia sempre più illuminata
dalla Rivelazione.
Un cristiano non può trascorrere neanche un solo giorno senza il quotidiano
confronto, la giornaliera applicazione nella conoscenza della Rivelazione. È in
questa applicazione la sua buona crescita e il suo cammino verso l’acquisizione
della verità tutta intera, che è sì dono dello Spirito Santo, ma anche frutto della
nostra decisione e del nostro impegno.
Se questo non avviene, ben presto si è fuori strada, essendo o fuori
semplicemente della verità, o fuori della conoscenza della verità tutta intera.
Chi interrompe il cammino verso la verità tutta intera, interrompe anche il
cammino verso la pienezza della santità. Santità e verità camminano insieme. Il
Santo è vero e il Vero è santo. Né santità senza verità, né verità senza santità.
[2]Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata
salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione,
Con questo versetto l’Autore riprende il filo del discorso là dove lo aveva
interrotto, apportandovi nuovi elementi di convincimento sulla necessità e
urgenza di accogliere la Rivelazione operata da Cristo Gesù.
La prima verità è questa: nessuna Parola di Dio è caduta a vuoto. Ogni Parola
di Dio si è compiuta a suo tempo, in ogni sua promessa, sia in bene che in
male, sia in benedizione che in maledizione.
42
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
La verità della Parola di Dio è a fondamento di tutto l’Antico Testamento ed è
anche profezia di tutto il Nuovo.
Questa verità è incontrovertibile. Nessuno può dubitare di essa. Verità e Parola
in Dio sono una cosa sola. Verità e compimento sono una cosa sola. Parola e
compimento sono una cosa sola.
Questa coscienza avevano gli uomini di Dio dell’Antico Testamento. Questa
coscienza avrebbero voluto creare nel popolo i Profeti. Questa stessa
coscienza vuole formare Gesù nel Vangelo.
Basta fra tutti ricordare l’insegnamento di Giosuè, dopo la conquista della Terra
Promessa. Riportiamo integralmente il suo insegnamento (Gs 24,1-33):
“Giosuè radunò tutte le tribù d'Israele in Sichem e convocò gli anziani d'Israele,
i capi, i giudici e gli scribi del popolo, che si presentarono davanti a Dio. Giosuè
disse a tutto il popolo: Dice il Signore, Dio d'Israele: I vostri padri, come Terach
padre di Abramo e padre di Nacor, abitarono dai tempi antichi oltre il fiume e
servirono altri dei. Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume e gli feci
percorrere tutto il paese di Canaan; moltiplicai la sua discendenza e gli diedi
Isacco. Ad Isacco diedi Giacobbe ed Esaù e assegnai ad Esaù il possesso delle
montagne di Seir; Giacobbe e i suoi figli scesero in Egitto.
Poi mandai Mosè e Aronne e colpii l'Egitto con i prodigi che feci in mezzo ad
esso; dopo vi feci uscire. Feci dunque uscire dall'Egitto i vostri padri e voi
arrivaste al mare. Gli Egiziani inseguirono i vostri padri con carri e cavalieri fino
al Mare Rosso. Quelli gridarono al Signore ed egli pose fitte tenebre fra voi e gli
Egiziani; poi spinsi sopra loro il mare, che li sommerse; i vostri occhi videro ciò
che io avevo fatto agli Egiziani. Dimoraste lungo tempo nel deserto. Io vi
condussi poi nel paese degli Amorrei, che abitavano oltre il Giordano; essi
combatterono contro di voi e io li misi in vostro potere; voi prendeste possesso
del loro paese e io li distrussi dinanzi a voi.
Poi sorse Balak, figlio di Zippor, re di Moab, per muover guerra a Israele;
mandò a chiamare Balaam, figlio di Beor, perché vi maledicesse; ma io non volli
ascoltare Balaam; egli dovette benedirvi e vi liberai dalle mani di Balak.
Passaste il Giordano e arrivaste a Gerico. Gli abitanti di Gerico, gli Amorrei, i
Perizziti, i Cananei, gli Hittiti, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei combatterono
contro di voi e io li misi in vostro potere. Mandai avanti a voi i calabroni, che li
scacciarono dinanzi a voi, com'era avvenuto dei due re amorrei: ma ciò non
avvenne per la vostra spada, né per il vostro arco. Vi diedi una terra, che voi
non avevate lavorata, e abitate in città, che voi non avete costruite, e mangiate i
frutti delle vigne e degli oliveti, che non avete piantati. Temete dunque il Signore
e servitelo con integrità e fedeltà; eliminate gli dei che i vostri padri servirono
oltre il fiume e in Egitto e servite il Signore.
Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei
che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dei degli Amorrei, nel paese
dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore.
Allora il popolo rispose e disse: Lungi da noi l'abbandonare il Signore per
servire altri dei! Poiché il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri
dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto quei grandi miracoli
43
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
dinanzi agli occhi nostri e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto e in
mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Il Signore ha scacciato dinanzi a
noi tutti questi popoli e gli Amorrei che abitavano il paese. Perciò anche noi
vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio.
Giosuè disse al popolo: Voi non potrete servire il Signore, perché è un Dio
santo, è un Dio geloso; Egli non perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri
peccati. Se abbandonerete il Signore e servirete dei stranieri, Egli vi si volterà
contro e, dopo avervi fatto tanto bene, vi farà del male e vi consumerà. Il
popolo disse a Giosuè: No! Noi serviremo il Signore.
Allora Giosuè disse al popolo: Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete
scelto il Signore per servirlo!. Risposero: Siamo testimoni!
Giosuè disse: Eliminate gli dei dello straniero, che sono in mezzo a voi, e
rivolgete il cuore verso il Signore, Dio d'Israele! Il popolo rispose a Giosuè: Noi
serviremo il Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce! Giosuè in quel
giorno concluse un'alleanza con il popolo e gli diede uno statuto e una legge a
Sichem. Poi Giosuè scrisse queste cose nel libro della legge di Dio; prese una
grande pietra e la rizzò là, sotto il terebinto, che è nel santuario del Signore.
Giosuè disse a tutto il popolo: Ecco questa pietra sarà una testimonianza
per noi; perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha dette;
essa servirà quindi da testimonio contro di voi, perché non rinneghiate il
vostro Dio.
Poi Giosuè rimandò il popolo, ognuno al proprio territorio. Dopo queste cose,
Giosuè figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni e lo seppellirono
nel territorio di sua proprietà a Timnat-Serach, che è sulle montagne di Efraim,
a settentrione del monte Gaas. Israele servì il Signore per tutta la vita di
Giosuè e tutta la vita degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che
conoscevano tutte le opere che il Signore aveva compiute per Israele.
Le ossa di Giuseppe, che gli Israeliti avevano portate dall'Egitto, le seppellirono
a Sichem, nella parte della montagna che Giacobbe aveva acquistata dai figli di
Camor, padre di Sichem, per cento pezzi d'argento e che i figli di Giuseppe
avevano ricevuta in eredità. Poi morì anche Eleazaro, figlio di Aronne, e lo
seppellirono a Gàbaa di Pincas, che era stata data a suo figlio Pincas, sulle
montagne di Efraim.
Ogni Parola di Dio debitamente si compie. Questa è la fede di Israele. Per
questo non si può servire il Signore, perché ogni promessa si rivela contro di
noi, se non prestiamo fede alla Parola che abbiamo accolto di osservare.
Il punto forte è però questo: sempre secondo l’insegnamento allora vigente in
Israele si riteneva che fossero stati gli Angeli i mediatori della Legge, o della
Parola.
La conclusione non può essere che una sola: se Dio compie ogni Parola data
per mezzo di Angeli, cosa non farà per compiere la Parola data per mezzo di
Suo Figlio, del Suo Figlio unigenito?
Questa Parola non è come quella portata sulla terra dagli Angeli. Questa Parola
è pienezza di grazia e di verità, compimento di ogni altra Parola di Dio. Questa
44
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Parola è semplicemente la salvezza dell’uomo, di ogni uomo. L’Autore vuole
che ognuno consideri seriamente, con saggezza e intelligenza, questa
conclusione, applicandosi con ogni sapienza e verità.
[3]come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza così grande?
Questa infatti, dopo essere stata promulgata all'inizio dal Signore, è stata
confermata in mezzo a noi da quelli che l'avevano udita, [4]mentre Dio
testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi e miracoli d'ogni
genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà.
Se la punizione si abbatté su quanti hanno trascurato la salvezza che era stata
offerta per mezzo degli Angeli e non era una salvezza piena, definitiva,
compiuta, perché era una salvezza nella speranza della venuta della vera
salvezza sulla nostra terra, può, chi trascura una salvezza così grande, la
salvezza che Dio ci ha dato nel suo Figlio unigenito, scampare alla punizione, al
castigo, alla stessa morte eterna?
La risposta è no. È no, non però in relazione alla salvezza, ma al modo in cui
questa salvezza ci viene offerta.
La risposta è no in ragione di Cristo, che è il mediatore e l’autore della salvezza.
Cristo è il promulgatore, ma anche l’oggetto della salvezza; è il soggetto e
l’oggetto insieme della Rivelazione.
Cristo è Dio stesso, è il Signore, è il Figlio Unigenito del Padre.
È importante seguire l’Autore nel suo ragionamento perché ora ci insegna una
regola anch’essa valevole per ogni tempo e ogni luogo, per ogni missionario ed
evangelizzatore, per ognuno che in qualche modo ha una qualche relazione
con la Parola da annunziare.
L’annunzio, la promulgazione, la predicazione della Parola avviene in tre
momenti distinti, ma non in successione; differenti, ma nell’unità di una sola
offerta, o di un solo dono della Parola.
La Parola deve essere insieme: promulgata, confermata, testimoniata. Questa
triplice opera è fatta da tre soggetti differenti: Cristo Gesù, gli Apostoli, il
Signore Dio.
Cristo e il Padre operano sempre, se sempre c’è l’opera degli Apostoli, o di
coloro che l’hanno udita e quindi ne danno conferma.
Analizziamo i tre momenti:
-
Questa infatti, dopo essere stata promulgata all'inizio dal Signore: La
Parola della salvezza ci è stata data da Cristo nella sua forma ultima,
definitiva, piena. La promulgazione è avvenuta una volta per sempre e non
ce ne sono altre: né di ieri, né di oggi, né di domani. Con Cristo Dio ci ha
dato tutto. Niente più ci potrà donare. Questa verità deve essere creduta.
Essa è a fondamento della nostra fede.
-
È stata confermata in mezzo a noi da quelli che l'avevano udita: è
giusto domandarsi come avviene la conferma da pare di coloro che l’hanno
ascoltata. La conferma avviene in due modi: testimoniando l’evento storico,
l’avvenimento stesso di Cristo, attestando quanto essi hanno visto,
45
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
ascoltato, udito. Mostrando la verità di essa attraverso i frutti di conversione
e di santificazione che essa produce. Questo lavoro di conferma deve
avvenire ogni giorno. La Chiesa ha questo unico ministero nel mondo:
confermare la Parola promulgata da Cristo Gesù, insegnandola ad ogni
uomo, garantendo sulla sua verità attraverso la verità della propria vita
trasformata dalla Parola che essa conferma. La verità di Cristo passa per la
verità della Chiesa. Una Chiesa non vera non può confermare la verità della
Parola di Cristo, perché quella di Cristo è una Parola che si compie in chi la
crede. La conferma è nella fede e per la fede. Nella fede di chi dice la Parola
per far nascere la fede in chi la Parola ascolta.
-
Mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi e
miracoli d'ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la
sua volontà: Quando c’è la fede di chi annunzia la Parola, di chi cioè la
conferma, Dio interviene e testimonia la verità di Cristo e della Chiesa. Dio
testimonia in un solo modo: compiendo segni e prodigi, miracoli d’ogni
genere e doni dello Spirito Santo, distribuendoli secondo la sua volontà. La
Parola creduta che opera tutto questo in chi la crede – sempre per un
intervento puntuale, personale, libero di Dio – rende testimonianza a Cristo
dinanzi al mondo. Questi, se vuole, può credere che la Parola è vera,
perché si compie in chi la dice e opera prodigi in chi l’ascolta, accogliendola
nel suo cuore.
Sulla conferma è sufficiente ascoltare San Giovanni nella sua prima Lettera;
sulla testimonianza illuminante è San Marco. Ecco quanto essi ci riferiscono:
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre
mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita – poiché la vita si è fatta visibile,
noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita
eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi – quello che abbiamo
veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in
comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù
Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta. Questo è il
messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui
non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo
nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo
nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il
sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo che siamo
senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i
nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà
da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi” (1Gv 1,1-10).
“Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la
loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo
avevano visto risuscitato. Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e
predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà
salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che
accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i
46
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se
berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai
malati e questi guariranno. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu
assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e
predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e
confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano” (Mc 16,14-20).
Inutile precisare che Cristo e Dio ci sono sempre nella Parola, chi non sempre
c’è sovente è l’uomo incaricato di rendere testimonianza alla Parola.
Senza l’opera dell’uomo, l’opera di Cristo e di Dio sarebbe vana e per questo
loro non la pongono in essere. Non la pongono, perché manca la conferma da
parte della Chiesa.
Infine è giusto ricordare che l’intento dell’Autore in questi due versetti è chiaro,
preciso. Non può essere né disatteso, né ignorato.
Nessuno può ignorare la via della salvezza che Dio ha tracciato per noi in Cristo
Gesù. Non la può ignorare per ragioni divine e per ragioni storiche, per
testimonianza del cielo e per conferma della terra.
Cielo e terra, Dio e l’uomo, il Padre e il Figlio insieme attestano la verità della
salvezza offertaci da Cristo. Dinanzi a così divini testimoni e uomini trasformati
dalla salvezza alla quale rendono testimonianza, nessuno senza grave colpa,
può tirarsi indietro.
Il suo peccato sarebbe veramente grande. Peccherebbe contro il cielo e contro
la terra.
Se questa poi è l’unica modalità esatta di dare la salvezza, dobbiamo dire che
oggi la salvezza non è data perché manca la conferma della Chiesa. Molti
uomini di Chiesa non confermano la parola promulgata da Cristo, donano
invece loro pensieri e loro teorie di salvezza.
La salvezza, ognuno se lo ricordi, è solo nella conferma della Parola e
dell’opera di Cristo. Altre vie non sono consentite. Altre vie salvezza non ne
danno.
CRISTO È IL SALVATORE
[5]Non certo a degli angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale
parliamo.
Il mondo futuro è la vita eterna. Cristo è l’erede della vita eterna. Non solo è
erede, Lui stesso è la nostra vita eterna, perché Lui è la vita.
Lui è la vita. La vita è in Lui. È data per mezzo di Lui. Si vive oggi e nell’eternità
in Lui, con Lui, per Lui, nel suo corpo glorioso e immortale, incorruttibile e
spirituale. Anche la nostra risurrezione è nella sua, per la sua, ad immagine
perfetta di essa.
Gli Angeli di tutto questo mistero che si compie in Cristo sono dei fruitori, ma
non attori. Anche loro fruiscono nella gioia la gloria che si espande nel Cielo
47
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
dalla risurrezione di Cristo Gesù e dalla Sua Signoria. Non sono attori, perché
loro non sono eredi, non sono né la vita eterna, né la fonte di questa vita.
Anche loro sono creature e come ogni altra creatura, ricevono la vita da Cristo,
perché anche per loro Cristo è la vita e la luce della loro eternità.
Tutto è stato fatto per mezzo di Cristo, ma anche per Cristo, per Lui. Gli Angeli
sono parte di questo tutto, assieme agli uomini.
Gli Angeli quindi non sono gli eredi di Dio, il mondo futuro non è stato loro
assoggettato. Questa verità serve all’Autore per mettere ancora una volta in
risalto la differenza sostanziale che esiste tra Cristo e gli Angeli.
Cristo è fonte, sorgente, autore, erede della vita eterna. Gli Angeli godono di
questa vita perché la ricevono in dono. Tutto in loro è per dono. Tutto in Cristo è
per sorgente eterna.
[6]Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato: Che cos'è l'uomo perché ti
ricordi di lui o il figlio dell'uomo perché tu te ne curi? [7]Di poco l'hai fatto
inferiore agli angeli, di gloria e di onore l'hai coronato [8]e hai posto ogni
cosa sotto i suoi piedi. Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha
lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo
ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa.
È questo il Salmo 8, che così recita per intero: “Al maestro di coro. Sul canto: I
Torchi.... Salmo. Di Davide. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome
su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Con la bocca dei
bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al
silenzio nemici e ribelli. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e
le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio
dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di
gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue
mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le
bestie della campagna; Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che
percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo
nome su tutta la terra”.
Il Salmista osserva la creazione e vede che essa è stata posta sotto la signoria
dell’uomo.
Questa è la grandezza, la vera grandezza dell’uomo. Tuttavia quest’uomo
elevato in una così eccelsa dignità, è visto fatto poco meno degli Angeli. Questi
sono superiori agli uomini.
L’Autore cita questo salmo non tanto per magnificare la grandezza dell’uomo,
quanto per affermare che tutti gli uomini sono inferiori agli Angeli, mentre il solo
Cristo è superiore a loro.
Cristo è sopra gli Angeli non solo in ragione della sua divinità, per la quale Egli
è il loro Creatore, Signore, Dio. Ma anche in ragione della sua umanità, elevata
sopra i cori degli Angeli e fatta sedere alla destra della Maestà divina.
48
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
[8]Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse
sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a
lui sottomessa.
Tutto è di Cristo. Ogni cosa che esiste è stata sottomessa a Cristo, assoggetta
a Lui. Questa sottomissione a Cristo vale anche per gli Angeli.
Il ragionamento dell’Autore è sottile. Non dobbiamo mai dimenticare qual è il
suo intento: quello di affermare la superiorità della Parola di Cristo rispetto a
quella degli Angeli; o se si preferisce: della superiorità della Sua rivelazione per
rapporto ad ogni rivelazione precedente.
Con la conseguente deduzione: se gli Ebrei hanno accolto la rivelazione che
Dio ha fatto loro per mezzo degli Angeli, quanto più essi non dovranno
accogliere la Parola della salvezza, Parola di Dio ultima e definitiva dataci per
mezzo di Cristo Signore?
La presente economia della salvezza non si è ancora conclusa nella sua
definitività escatologica. Viviamo nel tempo, siamo in cammino verso la
pienezza e ancora siamo con gli occhi della carne e non vediamo ancora come
ogni cosa è già stata sottomessa a Cristo Signore.
La presente economia si vive nella fede e la fede è nella Parola, in tutto ciò che
la Parola ci dice. La fede non è visione di una realtà che si compie. La fede è
invece accoglienza di una Parola che deve compiersi tutta in noi e per mezzo
nostro nel mondo intero.
Quando saremo nel mondo della realtà celeste, solo allora vedremo la verità di
ogni parola del Vangelo, scopriremo che realmente ogni cosa è stata
sottomessa a Cristo Signore.
La fede è tutta riposta in Dio che parla, non nell’uomo che vede. La fede è data
a Dio. La Parola è di Dio, alla Parola si concede la fede. La visione è dell’uomo,
alla visione non si concede fede, perché ciò che è visto non è più oggetto di
fede.
Pietro non crede in Gesù, lo vede. Crede nella Parola di Gesù che ascolta, ma
che non vede ancora realizzata. Crede perché sa che solo nella Parola di Gesù
è la vita eterna per ogni uomo. “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita
eterna”. È questa la fede.
[9]Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora
coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché
per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Questo versetto ci annunzia due verità:
- Quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora
coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto,
- perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
È questa l’esaltazione della sua umanità, conformemente a quanto ci insegna
San Paolo nella Lettera ai Filippesi (cfr. 2,5-11): “Abbiate in voi gli stessi
sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non
considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se
49
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il
nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua
proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Cristo, nella morte dona tutto se stesso al Padre. Nella risurrezione il Padre
dona a Cristo tutta la sua gloria eterna. Lo riveste di sé.
Questo innalzamento pone Cristo Gesù, come vero uomo, oltre che vero ed
eterno Dio, al di sopra di tutto l’universo creato. Angeli e demoni, peccatori e
giusti, salvati e dannati piegano le ginocchia dinanzi alla sua gloria e lo
proclamano loro Signore, Dio, Giudice.
Fino a questo momento si è parlato solo di rivelazione – in questi ultimi tempi
Dio ha parlato per mezzo del Figlio Suo – ora viene introdotto il tema centrale
della Lettera: la redenzione operata sulla croce e tutto ciò che con essa è
connesso.
La prima verità è questa: la morte di Cristo è per noi tutti. L’Autore dice: “Perché
per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti”.
Con queste parole l’Autore legge la morte di Cristo secondo il mistero della
espiazione vicaria, manifestata in modo mirabile dal profeta Isaia (cfr. 52,1353,12):
“Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato.
Come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo
aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo così si
meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai
avevano udito.
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il
braccio del Signore? E` cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una
radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo
dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la
faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e
noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto
per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà
salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua
strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello
condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la
sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si
affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del
mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco
50
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno
nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando
offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si
compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo
tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio
servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli
darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha
consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”.
L’Autore ci dice anche che tutto questo è stato possibile per grazia e la grazia è
di Dio.
Quest’ultima verità ci deve convincere che non solo la missione è grazia, è
grazia la vocazione e anche il compimento di essa secondo pienezza di
perfezione e di attuazione.
Se è grazia, a Dio bisogna chiederla, da Lui impetrarla con preghiera costante,
assidua, ininterrotta.
È Dio che deve operare in noi il volere e l’agire, i pensieri e la volontà devono
essere perennemente affidati a Lui.
Ora ci interessa sapere che la morte di Gesù è stata vissuta per noi assieme
all’altra verità che tutto ciò è stato possibile solo per grazia di Dio. Sarà l’Autore
a dirci ogni altra cosa a suo tempo, seguendo la forza del suo ragionamento.
Perché Cristo ha sofferto
[10]Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose,
volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la
sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.
Questo versetto merita alcune puntualizzazioni.
Tutto ciò che avviene in Cristo è per noi ed è dato solo per grazia. Niente ci è
dovuto da Lui per giustizia, per merito, per acquisizione.
Perché allora l’Autore parla di cosa giusta, o semplicemente: perché dalla legge
della carità passa a quella della giustizia?
Il soggetto di questo verso è Dio Padre.
Dio Padre è colui per il quale e dal quale sono tutte le cose. Ogni cosa che
esiste Dio l’ha fatta per se, perché manifestasse nel creato la sua gloria.
Ogni cosa creata viene da Lui. Lui è il solo Signore, il solo Creatore, il solo ed
unico Dio di tutto ciò che esiste.
Così inizia il nostro credo: “Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente,
Creatore di tutte le cose visibili e invisibili”.
51
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
L’Autore continua, dicendo che era ben giusto che Dio “volendo portare molti
figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha
guidati alla salvezza”.
Era giusto cosa? Perché?
La risposta a questa domanda ci aiuta a comprendere secondo verità il mistero
di Cristo e ad amarlo con vero amore.
Il Figlio del Padre incarnandosi si è fatto Figlio dell’uomo, vero uomo, in tutto a
noi simile, tranne che nel peccato.
Ogni uomo deve a Dio il dono della sua obbedienza, del suo amore, del suo
rispetto. Ogni uomo deve compiere tutta e solo la volontà di Dio.
La prima verità è questa: Dio vuole portare i suoi figli alla gloria, li vuole cioè
portare nella sua eternità, nella sua vita, nella sua santità. Questa è la gloria
che Dio vuole donare alla creatura fatta a sua immagine e somiglianza.
La seconda verità dice che: Cristo Gesù, il Figlio di Dio fattosi Figlio
dell’uomo, di questa salvezza è il capo.
Capo è da intendere qui in un duplice senso: di mediatore, e anche di testa. Lui,
Gesù, del corpo che è la Chiesa è il capo dal quale fluisce ogni vita; Lui della
Chiesa è anche il Salvatore, il Redentore. In tal senso è Colui che non solo
procura la salvezza per il suo sacrificio, ma anche la dona.
Tutto è per Cristo, tutto è in Cristo, tutto è con Cristo, ma anche tutto da Cristo,
come origine, fonte. Cristo è capo dell’umanità nuova, perché è la fonte, la
sorgente della nuova umanità.
È capo dei figli di Dio, quindi loro fratello. È il fratello tra i molti fratelli. È il
fratello Capo, ma anche il fratello Mediatore, il Fratello fonte e sorgente, il
Fratello dal cui sacrificio la salvezza ha origine.
Ancora però non si è data risposta alla domanda: “era ben giusto che
rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla
salvezza”.
La perfezione è nell’obbedienza, non nella sofferenza. La perfezione è
nell’amore, non nel dolore.
La sofferenza, il dolore, la passione, la croce di Cristo si interpongono tra Lui e
il Padre come ostacolo, impedimento, tentazione all’obbedienza e all’amore.
Fino a che punto il Figlio dell’uomo è capace di amare il Suo Dio e Signore, il
Padre Suo? Qual è il grado di obbedienza che Egli potrà raggiungere?
La risposta è una sola: ogni obbedienza, ogni amore, sino alla fine, sino alla
morte di croce.
Questa è la perfezione di Cristo: l’obbedienza sino alla morte di croce, fino
all’annientamento di sé. Lui si è annientato nell’obbedienza.
In questa obbedienza è divenuto modello, esempio per il mondo intero. Lui,
vero uomo, ha amato il Padre sino alla morte di croce. Questa perfezione di
obbedienza e di amore Egli chiede ad ogni altro uomo.
52
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Chi vuole amare il Padre suo lo deve amare secondo questa intensità di
obbedienza. Se questa obbedienza non è sino alla fine, non è neanche perfetta,
o semplicemente non è più obbedienza. Manca ad essa la perfezione e quando
l’obbedienza manca nella perfezione, non è più obbedienza, perché è
sottrazione della nostra volontà al Padre celeste. Questa è la verità di Cristo,
alla cui perfezione anche noi siamo chiamati. Chi non raggiunge questa verità,
non è perfetto nell’amore, semplicemente non ama il Signore con l’intensità e la
perfezione di obbedienza di Cristo. Il suo è un amore incapace di donare
salvezza.
[11]Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono
tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli
fratelli,
Chi santifica è Cristo. Santifica perché è Capo, Fonte, Origine, Mediatore
dell’unica salvezza del Padre.
I santificati sono tutti coloro che dopo aver accolto la Parola di vita, si sono
lasciati immergere nelle acque del battesimo e sono nati da acqua e da Spirito
Santo.
Con una puntualizzazione: la santità iniziale, quella battesimale, deve
trasformarsi in santità di fede, di obbedienza, di amore, deve divenire offerta
della nostra vita al Padre, in una obbedienza perfetta alla Sua volontà.
A questa santificazione per mezzo della fede, dell’ascolto, delle opere ogni
battezzato è chiamato.
Senza la santificazione per mezzo della fede, che è ascolto ed obbedienza, la
santità battesimale non conduce alla gloria del cielo, nel Paradiso, perché viene
perduta con il primo peccato mortale, con ogni altra grave disobbedienza alla
Legge del Signore.
Chi santifica e chi è santificato proviene dalla stessa origine. L’origine è duplice:
da Dio e dall’uomo.
Ogni uomo è creatura di Dio. Ogni uomo è figlio di Adamo. Anche Cristo Gesù è
figlio di Adamo, divenuto figlio di Abramo, figlio di Davide, ma prima che figlio di
Davide e di Abramo, è figlio di Adamo.
In quanto figlio di Adamo è il Salvatore di ogni altro figlio di Adamo, cioè di ogni
suo fratello, perché ogni uomo è figlio di Adamo.
Questa verità è mirabilmente espressa nel Vangelo secondo Luca, che fa
risalire la genealogia di Cristo Gesù fino a Dio, anche in quanto uomo (cfr. Lc
3,23-38):
“Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio,
come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di
Melchi, figlio di Innài, figlio di Giuseppe, figlio di Mattatìa, figlio di Amos, figlio di
Naum, figlio di Esli, figlio di Naggài, figlio di Maat, figlio di Mattatìa, figlio di
Semèin, figlio di Iosek, figlio di Ioda, figlio di Ioanan, figlio di Resa, figlio di
Zorobabèle, figlio di Salatiel, figlio di Neri, figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di
Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di
53
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Iorim, figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di
Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliacim, figlio di Melèa, figlio di Menna, figlio
di Mattatà, figlio di Natàm, figlio di Davide, figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di
Booz, figlio di Sala, figlio di Naàsson, figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di
Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di
Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, figlio di Seruk, figlio di
Ragau, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, figlio di Cainam, figlio di
Arfàcsad, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamech, figlio di Matusalemme,
figlio di Enoch, figlio di Iaret, figlio di Malleèl, figlio di Cainam, figlio di Enos,
figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio”.
È la vera figliolanza e discendenza da Adamo che fa sì che Cristo Gesù sia
nostro vero fratello.
È questa figliolanza che lo costituisce nostro vero Salvatore. Cristo, vero uomo,
è vero Salvatore di ogni altro uomo e solo Lui, perché solo Lui è Capo, solo Lui
è anche Dio e nessun altro.
[12]dicendo: Annunzierò il tuo
all'assemblea canterò le tue lodi;
nome
ai
miei
fratelli,
in
mezzo
Questo versetto è tratto dal Salmo 21. È il Salmo della sofferenza del giusto.
Ma è anche il Salmo dell’Evangelizzazione della salvezza e dell’opera che Dio
compie proprio in virtù della sofferenza del giusto.
Il giusto sofferente loda il Signore perché lo ha “glorificato” e “liberato” dalla
sofferenza, facendolo però passare attraverso di essa.
Ma anche annunzia ai fratelli il grande mistero dell’amore di Dio che libera e
che salva. La sofferenza non è morte per l’uomo, bensì inizio della vera vita.
“Al maestro del coro. Sull'aria: Cerva dell'aurora. Salmo. Di Davide. Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza: sono le
parole del mio lamento. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e
non trovo riposo. Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele. In te hanno
sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono
salvati, sperando in te non rimasero delusi.
Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi
scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: Si è
affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico. Sei tu che mi hai
tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere
tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare
lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.
Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di
me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce. Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle
mie viscere. E` arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata
alla gola, su polvere di morte mi hai deposto. Un branco di cani mi circonda, mi
assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso
contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano: si dividono le mie
vesti, sul mio vestito gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
forza, accorri in mio aiuto. Scampami dalla spada, dalle unghie del cane la
mia vita. Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali.
Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo
tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato
l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido
d'aiuto, lo ha esaudito.
Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi
fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo
cercano: Viva il loro cuore per sempre. Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli.
Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si
prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti
discendono nella polvere. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si
parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno: Ecco l'opera del Signore!”.
Ciò che è importante per la trattazione in oggetto è proprio il tema
dell’evangelizzazione della grazia di Dio e della sua opera ai fratelli.
Chi sono evangelizzati sono i fratelli. Cristo Gesù non è un estraneo. È il
fratello. È il fratello che ci annuncia la salvezza del Padre.
Ce l’annunzia passando Lui attraverso la sofferenza e venendo liberato dal
Padre. Ora ogni fratello di Cristo lo sa: Dio, il Padre, è Colui che libera dalla
sofferenza facendo passare attraverso la sofferenza.
Verità importante è anche questa: fratello di Cristo è ogni uomo, anche i
discendenti di Abramo sono fratelli di Cristo, non sono estranei a Lui, né loro
devono considerarlo un estraneo.
È il loro fratello, il Capo, che deve guidare alla salvezza e che ora annunzia loro
la via della salvezza che Dio ha compiuto nella sua sofferenza.
[13]e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccoci, io e i figli
che Dio mi ha dato.
Questo versetto è tratto da Isaia (cfr. 8,1-23):
“Il Signore mi disse: Prenditi una grande tavoletta e scrivici con caratteri
ordinari: A Mahèr-salàl-cash-baz. Io mi presi testimoni fidati, il sacerdote Uria e
Zaccaria figlio di Iebarachìa. Poi mi unii alla profetessa, la quale concepì e
partorì un figlio. Il Signore mi disse: Chiamalo Mahèr-salàl-cash-baz, poiché,
prima che il bambino sappia dire babbo e mamma, le ricchezze di Damasco e
le spoglie di Samaria saranno portate davanti al re di Assiria.
Il Signore mi disse di nuovo: Poiché questo popolo ha rigettato le acque di
Siloe, che scorrono piano, e trema per Rezìn e per il figlio di Romelia, per
questo, ecco, il Signore gonfierà contro di loro le acque del fiume, impetuose e
abbondanti: cioè il re assiro con tutto il suo splendore, irromperà in tutti i suoi
canali e strariperà da tutte le sue sponde.
55
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Penetrerà in Giuda, lo inonderà e lo attraverserà fino a giungere al collo. Le sue
ali distese copriranno tutta l'estensione del tuo paese, Emmanuele. Sappiatelo,
popoli: sarete frantumati; ascoltate voi tutte, nazioni lontane, cingete le armi e
sarete frantumate. Preparate un piano, sarà senza effetti; fate un proclama, non
si realizzerà, perché Dio è con noi.
Poiché così il Signore mi disse, quando mi aveva preso per mano e mi aveva
proibito di incamminarmi nella via di questo popolo: Non chiamate congiura ciò
che questo popolo chiama congiura, non temete ciò che esso teme e non
abbiate paura.
Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. Egli sia l'oggetto del vostro
timore, della vostra paura. Egli sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa
cadere per le due case di Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in
Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno,
saranno presi e catturati. Si chiuda questa testimonianza, si sigilli questa
rivelazione nel cuore dei miei discepoli.
Io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto il volto alla casa di Giacobbe, e spero
in lui. Ecco, io e i figli che il Signore mi ha dato, siamo segni e presagi per
Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita sul monte Sion. Quando vi
diranno: Interrogate gli spiriti e gli indovini che bisbigliano e mormorano formule.
Forse un popolo non deve consultare i suoi dei? Per i vivi consultare i morti?,
attenetevi alla rivelazione, alla testimonianza. Certo, faranno questo discorso
che non offre speranza d'aurora. Egli si aggirerà nel paese oppresso e
affamato, e, quando sarà affamato e preso dall'ira, maledirà il suo re e il suo
dio. Guarderà in alto e rivolgerà lo sguardo sulla terra ed ecco angustia e
tenebre e oscurità desolante. Ma la caligine sarà dissipata, poiché non ci sarà
più oscurità dove ora è angoscia. In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra
di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la
curva di Goim”.
Dinanzi alla non fede generale, che trova soluzioni di salvezza non in Dio, Isaia
annunzia la grande verità: la fiducia è solo nel Signore. Di questa fiducia di
salvezza lui e i suoi figli sono un segno.
In ordine al tema che l’Autore sta trattando, la citazione di questo capitolo di
Isaia ha un solo importante significato: affermare che non ci sono altre
salvezze, perché l’unica salvezza è quella evangelizzata da Cristo Signore,
compiuta da Lui.
In questa salvezza tutti i figli di Abramo devono porre lo loro fiducia. Non si
devono comportare come i loro padri, che posero la fiducia fuori di Dio e della
sua santissima volontà.
Ancora una volta è ribadita la vera figliolanza di Cristo da Adamo, oltre che da
Dio.
[14]Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli
ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui
che della morte ha il potere, cioè il diavolo,
La comune figliolanza è anche comunione di carne e di sangue.
56
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Cristo con l’umanità intera partecipa il sangue e la carne. La carne e il sangue
di Cristo sono carne e sangue della natura umana.
Essendo in tutto partecipe della nostra carne e del nostro sangue, tranne che
nel peccato, ed essendo anche Egli in grado di portare alla perfezione la sua
carne e il suo sangue, quelli propri della sua natura, egli può ridurre
all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il
diavolo.
È detto espressamente che il Figlio di Dio può ridurre all’impotenza il diavolo
che ha il potere sulla morte proprio in ragione del suo essere figlio dell’uomo,
perché degli uomini partecipa la carne e il sangue che sono soggetti alla morte,
il cui potere è ora nelle mani del diavolo.
Portando, mediante la morte sofferta, la sua carne e il suo sangue
nell’obbedienza al Padre, il peccato non ha potere su di Cristo. Non avendo
potere il peccato, neanche il diavolo ha il potere e se non ha potere il diavolo
neanche la morte.
L’obbedienza di Cristo, o la morte di Cristo vissuta nella perfezione di
obbedienza al Padre, ha liberato la sua carne e il suo sangue dal potere del
diavolo e nella sua carne e nel suo sangue ogni altra carne e ogni altro sangue
vengono liberati.
Vengono liberati dal potere del diavolo, che è il peccato. Liberi dal peccato,
sono anche liberi dalla vera morte che è quella eterna. Dalla morte nel tempo
non siamo liberati, perché quella bisogna viverla alla maniera di Cristo Gesù,
cioè nella perfetta obbedienza al Padre, per essere eternamente liberati dal
potere del diavolo e dalla morte eterna che è sotto il potere del diavolo.
È quanto viene affermato con chiarezza nel versetto seguente:
[15]e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a
schiavitù per tutta la vita.
Ora è giusto che ci chiediamo come avviene questa liberazione e cosa
comporta.
Prima di tutto è giusto precisare che sotto il dominio della schiavitù del peccato
e della morte è ogni uomo. Ogni uomo è figlio di Adamo. Ogni uomo ha
ereditato la morte.
Da questa schiavitù e da questo timore nessuno si può liberare da sé. La
liberazione è per dono, per grazia, per misericordia di Dio.
Tutti devono essere liberati da Cristo. Tutti si devono lasciare liberare da Lui.
Tutti devono accogliere la liberazione che Cristo ha loro procurato.
L’universalità della morte e della grazia è la verità della nostra fede. Senza
questa verità la nostra fede non sarebbe assoluta, non sarebbe neanche fede.
La fede è fede perché è universale, è per tutti, per ogni uomo, indistintamente,
di ogni razza e tribù. È universale perché riguarda l’uomo e non un uomo,
riguarda tutti gli uomini e non degli uomini particolari.
57
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
La liberazione avviene per grazia, cioè per dono di Dio. Questo dono lo ha
meritato Cristo Gesù per noi. Dio, generandoci a suoi figli adottivi in Cristo, ci
dona il merito e il frutto dell’obbedienza di Cristo.
Come la prima nascita, quella secondo la carne, conferisce ad ogni uomo il
demerito e la disubbidienza di Adamo, lo fa cioè erede della sua morte e della
sua disobbedienza, per cui ogni uomo nasce nel peccato, con le conseguenze
del peccato che sono la concupiscenza e l’inclinazione al male, così la seconda
nascita, quella da acqua e da Spirito Santo, in Cristo, per mezzo di Cristo,
conferisce l’obbedienza di Cristo e la vittoria sul peccato di Cristo, assieme alla
forza di Cristo perché anche noi come Lui possiamo vincere la concupiscenza e
debellare il peccato nella nostra carne.
Debellando il peccato, vinciamo anche la morte. Quella del corpo non è più
morte, ma un addormentarsi nel Signore in attesa di essere in Lui risuscitati
nell’ultimo giorno ed entrare in corpo ed anima nella gloria del Cielo.
Così l’uomo passa dall’eredità di Adamo all’eredità di Cristo, deve passare però
attraverso la nascita e senza nascita non c’è il dono dell’eredità di Cristo e
l’uomo vive solo la prima eredità, quella del peccato e della morte.
Questa verità ci conduce ad un’altra verità. La nascita da acqua e da Spirito
Santo non è facoltativa, è obbligatoria per ricevere l’eredità di Cristo. Nessuna
eredità è possibile senza questa nascita spirituale, o rigenerazione per mezzo
della fede.
Questa seconda nascita è finalizzata a vivere secondo l’eredità di Cristo,
perché questa è la vera salvezza. L’eredità di Cristo è una sola: la vittoria sul
peccato e sulla morte.
Un cristiano che non vive di vittoria sul peccato, non vive neanche di vittoria
sulla morte. È un cristiano non cristiano. È uno che ha ricevuto l’eredità di
Cristo, ma non vive secondo questa eredità.
Chi non vive secondo l’eredità di Cristo, di sicuro vive secondo l’eredità di
Adamo; vive nel peccato e nella sua concupiscenza di un tempo, per
consumare i suoi giorni nell’idolatria, nella fragilità, nella non vittoria sul peccato
e sulla morte.
È questa la più grave tra tutte le eresie che sono nate nel lungo corso della
storia della Chiesa. È una eresia così subdola, così sottile, così perniciosa che
non solo ha invaso la coscienza dei semplici e di coloro che hanno una
conoscenza assai povera della nostra fede, quanto si è fatta strada nella mente
dei sapienti e degli intelligenti, anche nei maestri del sapere teologico e questi
la insegnano con disinvoltura, rinnegando così la verità sull’eredità secondo
Cristo.
È necessario affermare questa verità con fermezza, con decisione. Non c’è
fede se non si crede che l’eredità di Cristo è data per vincere l’eredità secondo
Adamo, per distruggere l’uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni
ingannatrici in modo che solo l’uomo nuovo viva in noi, l’uomo nato secondo
Cristo e la sua eredità, che è eredità di obbedienza sino alla morte e alla morte
di croce, per il compimento pieno e perfetto della volontà del Padre.
58
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Questa eredità Cristo l’ha guadagnata per se stesso con la sua obbedienza
sulla croce. È infatti sulla croce che egli ha sconfitto il peccato in modo
definitivo, per sempre, nel suo corpo e nella sua vita.
A tutti coloro che credono nel suo nome e accolgono la sua Parola, egli ne fa
dono, introducendoli nel mistero della sua stessa vita. Un uomo è libero quando
vive la vita di Cristo, se non vive questa vita in nessun modo potrà dirsi libero.
Egli è nella schiavitù del peccato e della morte. La redenzione per Lui è stata
data vanamente, per nulla.
Il versetto parla di quelli che “per timore della morte erano soggetti a
schiavitù per tutta la vita”. Costoro libera Gesù. Costoro sono tutti gli uomini.
Lo si è già detto: la liberazione è per ogni uomo, per tutti gli uomini
indistintamente.
È giusto chiedersi: perché proprio per timore della morte erano soggetti a
schiavitù per tutta la vita?
La spiegazione non può essere che una sola: la morte è il frutto del peccato.
Questa morte non è solamente la separazione dell’anima dal corpo, cioè la
morte fisica, è anche la separazione che avviene all’interno dell’uomo tra le sue
facoltà spirituali con il conseguente loro indebolimento e fragilità.
Questo indebolimento ha portato l’uomo a non pensare secondo verità;
addirittura lo ha portato al non pensiero, alla non razionalità, alla non
intelligenza.
Lo ha portato fino all’idolatria che è la negazione assoluta della verità dell’uomo
stesso e non soltanto di Dio.
Il versetto si potrebbe così spiegare: volendo l’uomo vincere ad ogni costo la
morte (per timore della morte) si è consegnato ad ogni genere di idolatria e di
peccato e questo altro non ha fatto se non aumentare la propria morte
spirituale. Ciò che lui pensava via per liberarsi dalla morte diveniva strada per
immergersi sempre più profondamente in essa, senza alcuna possibilità di
poterne uscire.
È impossibile uscire da se stessi dalla morte ereditata da Adamo. Questa
impossibilità si moltiplica nel momento in cui un uomo commette un peccato
personale. Si passa in questo caso dall’eredità di Adamo all’eredità personale.
Si cammina di morte in morte e dal peccato originale si passa al peccato
attuale, che comporta la personale responsabilità dinanzi a Dio.
Il timore della morte che porta l’uomo di peccato in peccato lo rende ancora più
fortemente schiavo del peccato e della morte.
Da tutto questo ci libera il Signore, donandoci la sua eredità, facendoci nascere
secondo la fede, generandoci in Lui alla grazia e alla verità.
[16]Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo
si prende cura.
Viene affermato in questo versetto che la redenzione di Cristo è solo per la
stirpe di Abramo, non per gli Angeli.
59
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Dicendo che Gesù si prende cura della stirpe di Abramo non si vuole delimitare
il campo di azione della redenzione, ma semplicemente operare una distinzione
netta tra gli angeli e l’uomo.
Cristo è venuto per l’uomo, non per gli angeli; è venuto per ogni uomo in
particolare, indistintamente per tutti, nessuno escluso. Egli è il Salvatore
dell’uomo. Questa è la verità su Cristo Gesù e sulla sua missione di liberazione
e di salvezza.
L’angelo non può essere redento, per due motivi: perché non ha discendenza,
essendo ognuno creato direttamente da Dio – negli angeli non c’è generazione
– e anche perché loro non hanno storia, non hanno divenire. Il loro peccato fu
eterno, come eterno fu il loro superamento della prova.
Cristo può essere nostro Salvatore proprio in virtù della carne che ha assunto.
La sua carne è la nostra carne. La carne che ha peccato è la carne che supera
ora la tentazione e vive un’obbedienza a Dio fino al dono totale di sé.
Ma qui entriamo nel mistero più profondo della salvezza, il cui fondamento
supremo ultimo è la giustizia.
Non c’è salvezza senza giustizia. La carne di Cristo rende giustizia a Dio e può
cancellare l’altra ingiustizia, commessa dalla stessa carne in Adamo.
Man mano che la trattazione si fa più chiara, puntuale ed esplicita saranno
offerti altri elementi di riflessione per una comprensione più grande possibile ad
una mente umana del mistero della redenzione, perché di vero mistero si tratta.
Quanti hanno perso il senso del mistero della redenzione altro non fanno che
dire una moltitudine di parole vane che non danno né verità, né salvezza e
lasciano l’uomo nella morte della disobbedienza e del peccato.
Se invece si ha una idea chiara del mistero, si comprende anche perché non
c’è redenzione senza pentimento e non c’è giustificazione senza obbedienza,
come anche non c’è liberazione dalla morte se non nella conversione e nella
fede.
Queste molteplici verità sono come scomparse dalla mente credente, da qui la
grande confusione e soprattutto l’impossibilità che la redenzione di Cristo possa
divenire vera redenzione dell’uomo.
[17]Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un
sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio,
allo scopo di espiare i peccati del popolo.
La similitudine di Cristo a noi in tutto è necessaria per l’espiazione dei peccati
dell’umanità intera.
L’espiazione non è per un popolo, ma del popolo, cioè di ogni uomo. Questa è
la prima verità.
Questa espiazione non può essere fatta se non dalla carne che ha peccato. La
carne pecca, la carne espia.
Ma la carne che ha peccato non può espiare, perché è nella morte, nel peccato,
nella disobbedienza.
60
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Chi è nella disobbedienza, nel peccato, nella morte non può espiare. Lui stesso
ha bisogno di espiazione, di liberazione dal peccato.
Questa è verità fondamentale. Chi è nella morte non può espiare né per sé né
per gli altri.
Da qui la “nuova creazione” di Dio, o l’Incarnazione del Figlio dell’Altissimo. Per
l’espiazione di Cristo, Dio fa sì che la Vergine Maria sia concepita senza
peccato, Immacolata, purissima.
Dalla carne purissima di Maria nasce nella carne purissima il Figlio
dell’Altissimo, nasce senza peccato, senza macchia, senza colpa. Nasce con
una carne capace di espiazione, di liberare il mondo dal peccato.
In questo versetto è detto che è per la carne che il Figlio di Dio può diventare
sommo sacerdote.
Il sommo sacerdote aveva come mansione, ministero, proprio quello di espiare i
peccati del suo popolo.
Cristo nasce con il ministero di espiare i peccati del mondo. Questa è già una
prima differenza.
La seconda differenza è nel modo attraverso cui l’espiazione si compie: non
attraverso il sangue dei tori e dei vitelli, ma per mezzo del proprio sangue.
Ora ci interessa solo annunziare questa seconda differenza. Nei capitoli che
seguiranno essa sarà oggetto di una trattazione lunga e particolareggiata.
Vengono annunziate due caratteristiche di Cristo sommo sacerdote: egli è
misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio.
Per la sua misericordia, il suo amore egli si sostituisce a noi, a ciascuno di noi
in particolare. Cristo Gesù ha preso il posto di ciascuno di noi. È come se in Lui
ognuno di noi si fosse offerto nella sua carne al Padre per la propria
redenzione.
È questa la misericordia di Gesù Signore. La seconda caratteristica, o qualità di
Cristo è la sua fedeltà nelle cose che riguardano Dio.
Riguarda Dio una cosa sola: la conoscenza e l’insegnamento della sua volontà
assieme al compimento perfetto di essa.
Gesù fedelmente insegna la volontà di Dio, fedelmente la conosce, fedelmente
la vive. In ogni sua parte la conosce, in ogni sua parte la insegna, in ogni sua
parte la vive.
Da sempre l’uomo in questa fedeltà si trova in difetto. È un difetto tanto grande
che arriva al punto o dell’annullamento della volontà di Dio, o della sostituzione
totale, completa, tutta intera.
È verità: nessuno può portare salvezza in questo mondo se manca della fedeltà
nelle cose che riguardano Dio.
È verità: nessuno può portare salvezza se non si veste di misericordia, di carità.
È misericordioso e caritatevole chi è capace di prendere il posto dell’altro ed
espiare per lui ogni sua colpa e ogni suo peccato.
61
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
La conclusione non può essere che una sola: la salvezza in questo mondo la
può compiere chi conosce, dona e vive tutta la Parola di Dio e in questo dono
totale prende il posto dell’altro ed espia il suo peccato in una carne santa.
Nessuna salvezza sarà mai possibile da una carne che non è santa,
pienamente santa, libera anche dai più piccoli peccati, anche quelli invisibili ad
occhio umano, ma che la coscienza sa che sono in noi e dai quali urge liberarsi,
proprio a motivo dell’alto ministero che ci è stato affidato di portare salvezza in
questo mondo in Cristo, con Cristo, per Cristo, alla maniera di Gesù Signore, il
solo ed unico Salvatore e Redentore dell’umanità.
[18]Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto
personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la
prova.
In questo versetto ancora siamo nei preliminari. Non si è entrati nella trattazione
vera e propria del tema dell’espiazione vicaria, o della purificazione dei peccati
attraverso l’offerta sacrificale della propria vita al Padre.
La salvezza viene vista ora in senso morale, o di carità. Precisamente: il Figlio
di Dio è vero uomo. La verità della sua umanità è dato essenziale nella
confessione della sua identità.
Se Cristo non fosse vero uomo, in nessun modo avrebbe potuto aiutarci e così
ci sarebbe stato inutile se non fosse vero Dio. La salvezza è dal vero Dio che si
fa vero uomo, ma anche dal vero uomo che vive da vero uomo.
Chi vive da vero uomo? Chi stabilisce un rapporto di vera obbedienza con Dio.
L’umanità è vera nell’atto della confessione della sua origine da Dio e del suo
essere da Dio sempre. Si è da Dio se si è dalla sua Parola, oggi, in ogni istante,
in ogni tempo.
Chi non è dalla Parola di Dio, non è neanche dalla vita di Dio, dalla sua verità e
quindi rimane nella falsità della sua umanità. È una umanità falsa, bugiarda,
erronea, non veritiera quella che non è oggi, in questo istante, dalla Parola di
Dio.
Non solo bisogna pensarsi dalla volontà di Dio, il pensiero deve divenire atto,
realizzazione, compimento della volontà di Dio. Nel compimento di sé da Dio, si
è in Dio, si è per il Signore.
Gesù, vero uomo, rimane nella verità della sua umanità. Vi rimane perché è
sempre dal compimento della volontà del Padre. Lui vive nella volontà del
Padre per il compimento della volontà del Padre.
Avendo sperimentato su di sé la grande sofferenza della croce al fine di
rimanere nella volontà del Padre, è in grado di venire in aiuto a quelli che
subiscono la prova.
Gesù sa quanto è dura la prova della fedeltà. Per Lui è stata dura una morte di
croce, tra supplizi e ogni genere di sofferenza sia fisica che morale.
Sapendo questo, viene in aiuto alla “sua carne”, ai “suoi fratelli”, donando loro la
sua forza, il suo aiuto, il suo Santo Spirito, la sua grazia.
62
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Tutto dona di sé ai suoi fratelli: la sua morte per l’espiazione dei loro peccati; la
sua vita per la loro vittoria sul peccato e sulla morte.
Fa tutto questo per il suo grande amore, la sua misericordia, la sua
compassione.
Fa tutto questo perché è in grado di poterlo fare. Lo può fare a motivo del frutto
di grazia e di verità che Lui ha maturato per noi sulla croce. Lo si è già detto: la
carne che ha sofferto sulla croce è la nostra carne. Nella sua carne santissima
la nostra è stata già redenta e santificata.
Si tratta ora di fare propria ognuno, attraverso la conversione e la fede, questa
redenzione e santificazione e produrre anche noi frutti di verità e di grazia nella
santità della vita.
In questo versetto preme cogliere una sola verità: Cristo può venire in nostro
aiuto a motivo della sofferenza.
Da puntualizzare però che non è la sofferenza in sé che salva. Salva quella
sofferenza che è generata nella sua carne dalla più pura e più perfetta
obbedienza al Padre.
Tutta la sofferenza di Cristo nasce da questa obbedienza. Senza obbedienza
non c’è sofferenza redentrice.
Prova di obbedienza, obbedienza alla volontà di Dio, sofferenza per il
compimento della volontà di Dio nella fedeltà assoluta, compimento della
volontà di Dio attraverso e nella nostra carne santa: sono questi gli elementi
che permettono che si possa parlare di redenzione.
Se uno solo di questi elementi manca, nessuna redenzione sarà mai possibile.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Applicarsi con maggiore impegno. Impegno fisico. Impegno della volontà.
Impegno del cuore. Nelle cose di Dio, sia nella conoscenza che nel
compimento della volontà del Signore occorre ogni giorno un impegno
maggiore, o come dice l’Autore: ci si deve applicare con maggiore impegno.
Ogni giorno bisogna crescere in sapienza e in grazia, in conoscenza e in
realizzazione della Parola di Dio. Tutto l’uomo deve impegnarsi: corpo,
volontà, cuore, spirito, anima. Tutto l’uomo deve mettere tutto se stesso con
sempre più grande intensità. La crescita quotidiana è la regola, è la sola
regola. Chi non cresce, decresce e chi non aumenta diminuisce fino a morire
ad ogni conoscenza e ad ogni realizzazione della Volontà di Dio.
Gli ostacoli della fede: peccato e gloria dell’uomo, non libertà dagli
uomini. Gli ostacoli che impediscono sia di accedere alla retta fede che di
crescere in essa sono: il peccato, la ricerca della propria gloria, la non
libertà dagli uomini. Con il peccato si uccide la grazia nell’anima. È come se si
privasse il corpo della sua vita. Un corpo morto non cresce. Un’anima morta
non matura alcun frutto di retta e vera fede. Con la ricerca della propria gloria si
incammina su un sentiero opposto alla retta e vera fede che è sola ed esclusiva
63
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
ricerca della gloria di Dio. Nella non libertà dagli uomini si è come in una
trappola. Si vorrebbe andare verso Dio, ma si vuole conservare la loro stima e
la loro considerazione, la loro amicizia. Chi non è libero da se stesso e dagli
altri non può accedere mai alla retta e pura fede, non può perché non vive
la prima delle beatitudini che è la povertà in spirito. La fede inizia dalla
povertà in spirito e chi non si fa povero in spirito, libero anche da
un’amicizia terrena, non può camminare di fede in fede. Chi non si fa
povero in spirito ha una fede morta e chi possiede una fede morta è morto alla
vera fede.
Volontà di Dio e santità: una cosa sola. La santità è nel compimento perfetto
della volontà di Dio. Chi vuole la santità deve volere la volontà di Dio, tutta,
interamente, in ogni sua parte. Chi non vuole la volontà di Dio non vuole
neanche la santità. Chi separa santità e volontà di Dio, neanche costui giunge
alla santità. Non può, perché manca dell’oggetto proprio della santità che è il
compimento della volontà di Dio.
La Parola si compie tutta e sempre. È verità: la Parola di Dio si compie tutta e
in ogni sua parte. Il compimento della parte visibile attesta il compimento
della parte invisibile. Come visibilmente si è compiuta in una parte, così si
compirà nell’altra. Il compimento della sua parte visibile diviene segno per il
cristiano della verità dell’altra parte, quella che dice le cose invisibili.
Parola e verità, verità e compimento, Parola e compimento: una cosa sola.
Parola, verità, compimento sono una cosa sola perché esse dicono ciò che Dio
ha fatto, fa e farà. Tutto è da Dio. Dio dice e le cose sono. Dio vuole e le cose
avvengono. Dio parla e tutto viene creato. Tutto però si compie ed avviene
secondo l’interiore verità della Parola, non secondo le possibili, buone o
cattive nostre interpretazioni. La verità è della Parola, non della sua
interpretazione umana. Questa potrebbe anche essere falsa e inadeguata.
Quella invece – la verità contenuta nella Parola – è la sola verità della Parola e
secondo quella verità interiore essa si compie. La Parola contiene la verità. Si
compie la verità contenuta nella Parola. Uno degli errori più gravi per i cristiani è
proprio questo: donano alla Parola una loro “verità” e poi vorrebbero che questa
verità donata da loro si compisse. Dio non ha garantito le nostre
interpretazioni. Dio garantisce solo la sua Parola, secondo la sua Verità. In
questo errore è giusto che nessuno di noi cada, ma anche è giusto aiutare gli
altri a non cadere.
Parola data per mezzo degli Angeli: AT. Parola data per mezzo del Figlio:
NT. È questa la differenza abissale – si prescinde in questa riflessione dal
contenuto che è perfetto compimento per superamento della stessa
immaginazione dell’uomo – che esiste tra il Nuovo e l’Antico Testamento in
ordine alle modalità della trasmissione della Parola. Nell’Antico Testamento Dio
ha parlato per mezzo di creature (Angeli o uomini), nel Nuovo Testamento ha
parlato per mezzo del Figlio, che è Dio, è presso Dio, è in Dio, è nel seno del
Padre e ci parla dal seno del Padre.
Compimento di ogni Parola di Dio: AT e NT. È questa la nostra fede: tutto ciò
che il Signore ha proferito sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo si compirà
per noi. L’Antico già si è compiuto in ogni sua parte. Il Nuovo si dovrà anch’esso
64
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
compiere tutto in ogni sua affermazione. Lo si è già detto: si compie la Parola
di Dio secondo la verità che Dio ha posto in essa e non secondo le nostre
umane interpretazioni. Il compimento è vero. Le modalità sono sempre oltre la
portata immaginativa dell’uomo, di ogni uomo. La verità di Dio contenuta nella
sua Parola è sempre, infinitamente sempre oltre ogni mente creata. L’uomo di
Dio che sa, questo vive camminando di verità in verità, fino alla pienezza della
verità, verso cui lo conduce lo Spirito del Signore. Nessuna modalità esaurisce
la verità contenuta nella Parola.
La Parola è: promulgata, confermata, testimoniata. Perché vi sia vero
annunzio del Vangelo è necessario che la Parola sia insieme: promulgata,
confermata, testimoniata. La parola si promulga annunziandola, dicendola. Chi
deve ora promulgare la Parola sono gli Apostoli. Ad essi spetta il compito, o
ministero, di dirla, o di farla conoscere ad ogni uomo. Assieme alla
promulgazione, è necessario che essi attestino la sua verità. Diano cioè
conferma della sua verità. Non basta dire il Vangelo perché vi sia
annunzio di salvezza. Il Vangelo bisogna confermarlo nella sua assoluta
unicità di salvezza. Se manca questa conferma, il Vangelo non è più annunzio
di salvezza. È una parola come tutte le altre parole. In questo è necessario che
il ministro della Parola impegni tutta la sua fede. Come si impegna tutta la
fede? Testimoniando con la propria vita la verità del Vangelo. Ciò avviene
vivendo solo e tutto il Vangelo, compiendolo in ogni sua Parola nella
propria vita. Questo significa una cosa sola: che bisogna parlare da dentro il
Vangelo, divenendo Parola vivente di Vangelo, come Dio parla dall’intimo di Se
Stesso dicendo la Parola che è Lui stesso. Il ministro della Parola dicendo la
Parola si deve dire, o deve dire se stesso. Se manca di questa identità più
profonda, lui non dice secondo verità la Parola. Parla, ma non annunzia; dice
ma non evangelizza; proclama, ma non profetizza nel nome del Signore.
Come la Chiesa conferma la Parola. La salvezza è solo nella conferma che
la Chiesa fa della Parola. La Chiesa conferma la Parola divenendo essa
stessa Parola di Dio e diviene Parola di Dio trasformandosi in Parola di Dio. Se
manca questa trasformazione nella Parola, essa parlerà sempre dal di fuori
della Parola e mai potrà attestare la sua verità. La salvezza è solo in questa
conferma e da questa conferma, perché il mondo è messo in condizione
di vedere la verità della Parola annunziata, proclamata, profetizzata dalla
Chiesa. Senza la visione la fede manca del segno della verità della Parola
annunziata e ognuno potrà prendere, o considerare la Parola degli Apostoli
come una parola uguale a tutte le altre che si dicono o si proferiscono in questo
mondo. Gli Apostoli devono attestare al mondo intero la verità di quanto essi
dicono. Quanto essi dicono è verità perché Dio lo ha detto. Questa è la prima
conferma. È anche verità perché la Parola si è compiuta tutta nella loro vita.
Essi confermano la verità della Parola e su questa conferma appongono il
sigillo del loro sangue, della vita versata per confermare che l’unica
Parola vera e che dona salvezza è quella che da loro è stata annunziata.
La salvezza è tutta da Dio, ma essa è stata posta interamente nelle mani della
Chiesa, nella sua fede e nella sua vita, nella sua carne e nel suo sangue.
Differenza tra Cristo e gli Angeli. Cristo come vero uomo è superiore agli
Angeli. Sull’argomento si è già detto tutto. È opportuno ricordare una sola
65
Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
verità: Se gli Ebrei hanno creduto ad una Parola che Dio ha dato loro per mano
degli Angeli, non dovrebbero molto di più credere nella Parola che Dio ha dato
per mezzo del Figlio Suo Unigenito? Se si accetta la testimonianza di una
creatura, non si dovrebbe accettare con maggiore fede e accoglienza la
testimonianza dello stesso Creatore dell’uomo? Perché si crede agli Angeli e
non a Dio. Non è forse Dio che ha dato la Parola agli Angeli? L’intento
dell’Autore è uno solo: convincere gli Ebrei che è a Dio che loro non
credono. Perché prima hanno creduto e ora non più? La ragione
certamente non è in Dio. È in loro che bisogna cercarla. Trovarla è obbligo
per pervenire alla retta fede, alla fede che salva e santifica la loro vita.
Cosa è la fede. Fede tra Passato, presente, futuro. Fede e visione. La fede
è accoglienza della Parola di Dio e costruire su di essa il proprio edificio umano
e spirituale, terreno e celeste, personale e di relazione. Poiché la fede nasce
dalla Parola, la Parola ha un passato, un presente, un futuro. Il passato della
Parola diviene certezza del presente, ma anche speranza del futuro. È la verità
del passato della Parola il fondamento della verità del presente e della
speranza del futuro. Questa verità per noi è una sola: la morte e la
risurrezione di Cristo Gesù. Questa verità è certezza della nostra risurrezione a
vita nuova oggi, ma è anche speranza della risurrezione nell’ultimo giorno, in
Cristo, per Cristo, con Cristo. Ogni cristiano deve poter fondare la verità del suo
presente sulla verità del suo passato e il passato non deve essere nella Parola,
deve essere in lui, cioè nel suo essere divenuto ciò che la Parola gli ha
annunziato, creandolo in lui. Poiché la fede nasce dalla Parola ed è la Parola
che crea la realtà del cristiano, dove non c’è Parola non c’è neanche fede.
La visione, per divenire esperienza di fede, deve essere necessariamente
accompagnata, preceduta, o seguita dalla Parola. Sarebbe sufficiente
convincersi di questa verità e si eviterebbero tante forme distorte di pensare, o
di servire la fede.
La gloria di Gesù vero uomo. La gloria è di Dio. Solo Sua e di nessun altro.
Ogni gloria vera è per partecipazione della gloria eterna di Dio. In Quanto Dio,
Cristo ha la gloria propria della divinità. In quanto uomo possiede la pienezza
della gloria eterna di cui è stata resa partecipe la sua umanità. Questa
partecipazione di gloria è proporzionata alla nostra obbedienza, al
compimento della volontà di Dio nella nostra vita. Cristo è stato reso
partecipe della gloria di Dio nella sua umanità nel modo più alto possibile in
ragione del dono totale che ha fatto al Padre della sua vita sulla croce. Cristo ha
dato tutto se stesso per glorificare il Padre, il Padre ha dato tutto se stesso al
Figlio per la sua glorificazione. Questa gloria consiste nell’essere stato esaltato
ed innalzato al di sopra di ogni creatura. Di ogni creatura egli è il Signore e il
Giudice, il Re, il Salvatore, il Redentore. Tutto egli è di ogni creatura ed è tutto
nella sua umanità. Gloria più grande non può esistere e questa gloria è solo di
Cristo Gesù e di nessun altro.
La morte a vantaggio di tutti. Cristo non è morto per un solo uomo, per un
solo popolo, per una sola nazione. Cristo è morto per ogni uomo, di ogni
popolo, di ogni nazione, di ogni tempo, di ogni luogo. Cristo è il Salvatore
dell'uomo ed è l'unico e il solo salvatore di tutti gli uomini. Questa verità è
assoluta. Non c’è salvezza se non in Cristo, per Cristo, con Cristo. Non c’è
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
redenzione se non in Lui, con Lui, per Lui. L’universalità della salvezza in
Cristo, con Cristo, per Cristo è essenza stessa della nostra fede. È la
nostra fede. L’universalità di fede genera l’universalità della missione
evangelizzatrice. Cristo deve essere fatto conoscere ad ogni uomo, perché di
ogni uomo è il Salvatore, il Redentore, il Signore.
Tutto è per grazia. Tutto è grazia, perché tutto è da Dio ed è per dono di Dio.
La grazia deve però produrre in noi un frutto di vita eterna. Questo frutto non
può essere prodotto senza la fede. La perfezione della fede è
nell’obbedienza. L’obbedienza è alla Parola del Vangelo. A Dio bisogna
ritornare non con la grazia ricevuta, bensì con la grazia fruttificata. La gloria del
Cielo è proporzionata alla grazia ricevuta e che noi abbiamo saputo fruttificare.
Come anche l’esclusione dal Cielo è dovuta alla grazia ricevuta, ma non fatta
fruttificare.
La figliolanza di Gesù. La figliolanza di Gesù è duplice: Lui è vero Figlio di Dio,
ma anche vero Figlio della Vergine Maria. Nasce da Dio, per generazione
eterna, prima della creazione; nasce dalla Vergine Maria, per generazione
nel tempo, dopo il sì detto da Maria all’Angelo Gabriele che le recava il
lieto annunzio di essere stata scelta per essere la Madre del Figlio
dell’Altissimo. Gesù è il solo che è nella sua Persona divina vero Figlio di Dio
e vero Figlio dell’uomo, consustanziale a Dio nella divinità, consustanziale
all’uomo nell’umanità.
Gesù evangelizzatore dei suoi fratelli. Anche i figli di Abramo sono fratelli
di Gesù. Essendo consustanziale agli uomini in ragione della sua vera, perfetta
umanità, Gesù è fratello di ogni uomo. Poiché è fratello di ogni uomo, ogni
uomo da Lui è stato redento, giustificato, salvato. Egli è venuto per portare ad
ogni uomo il lieto messaggio della salvezza. La sua opera però non agisce
indipendentemente dall’uomo. Agisce nella fede dell’uomo e per questo è
necessario che la Chiesa promulghi, confermi, testimoni la Parola di
Gesù, allo stesso modo che Gesù ha promulgato, confermato,
testimoniato la Parola del Padre. L’annunzio dona la Parola secondo le giuste
modalità. La Parola fa nascere la fede. La fede genera la salvezza. La salvezza
diviene santità perfetta. L’annunzio deve essere fatto ad ogni uomo.
La fiducia nel Signore è fiducia in Cristo. La fiducia nel Signore è fiducia in
Cristo, perché Cristo è l’inviato del Padre per compiere la nostra salvezza. Chi
non ha fiducia in Cristo, inviato del Padre, non ha neanche fiducia in Dio che ha
inviato Cristo Gesù. Il Padre e il Figlio sono una sola volontà di salvezza. La
volontà del Padre si è fatta volontà del Figlio, ma anche la volontà del
Figlio si è fatta volontà del Padre. Separare il Figlio dal Padre e il Padre
dal Figlio è porsi fuori della salvezza del Padre compiuta nel Figlio. È
Cristo la salvezza di Dio e fuori di Cristo Dio non opera alcuna salvezza.
La liberazione dal potere del diavolo. Cristo ci salva dal potere del diavolo
che è potere di falsità e di menzogna. Ci libera dalla sua falsità e ci introduce
nella verità del Padre. Oggi il mondo è sotto il potere del diavolo perché
immerso nella falsità: falsità su Dio, falsità sull’uomo, falsità sul presente,
falsità sull’eternità. Falsità sulla vita e falsità sulla morte. La verità genera
vita e libertà. La falsità genera morte e schiavitù spirituale e anche fisica. Libera
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
il mondo dal potere del diavolo chi lo introduce nella verità di Cristo Gesù. La
verità di Gesù è il Suo Vangelo. Finché un uomo non entra nel Vangelo, egli è
schiavo del diavolo, è sotto il suo potere di falsità.
La fede: o è universale, o non è fede. Si è detto che la fede nasce dalla
Parola. La Parola è il Vangelo. Non si può separare nel Vangelo parola da
parola, verità da verità, frase da frase, concetto da concetto. Tutta la
Parola, o Tutto il Vangelo dice la fede. Una sola verità del Vangelo esclusa,
rende tutta la fede falsa. Chi esclude il Vangelo dalla fede, si esclude
semplicemente dalla fede.
Dall’eredità di Adamo all’eredità di Cristo. Qual è l’eredità di Cristo.
L’eredità di Adamo è la morte, il peccato. L’eredità di Cristo è la vita, la grazia,
la luce eterna, il Paradiso, la risurrezione gloriosa nell’ultimo giorno. In una sola
parola: l’eredità di Cristo è il Padre e tutto ciò che è del Padre. Tutto il
Padre si è dato tutto a Cristo. Tutto Cristo si è dato tutto al Padre. Chi si
dona tutto a Cristo, riceve tutto il Padre. È questa l’eredità che attende
coloro che si consegnano a Cristo nella sua Parola, in una obbedienza perfetta
alla sua volontà. La salvezza è questo passaggio: dalla morte alla vita, dal
peccato alla grazia, dal padre di morte Adamo al Padre di ogni vita che è Dio.
Gesù Salvatore degli uomini, non degli Angeli. Gesù è Salvatore degli
uomini a motivo della sua consustanzialità con la natura umana. Non è
Salvatore degli Angeli, né mai lo potrà divenire, essendo gli Angeli nature
separate, distinte, ognuna creata per se stessa da Dio. La natura umana espia
per se stessa. È questo il grande mistero dell’Incarnazione. L’Angelo non ha
generazione. Non ha comunicazione della sua natura.
Mistero della salvezza e giustizia. Espiare i peccati del mondo. Espiazione
vicaria. Fedeltà a Dio, espiazione per l’uomo. La salvezza non è un dono
gratuito, un condono puro e semplice del peccato. Essa è un frutto di giustizia
offerto al Padre da Cristo Gesù per noi. In tal senso la salvezza avviene per
espiazione vicaria. Gesù prende il nostro posto e si offre al Padre per noi. Egli
compie l’espiazione vicaria a causa della sua fedeltà al Padre suo. Egli vive
per compiere la volontà del Padre, per realizzare un’obbedienza perfettissima.
Questa obbedienza produce per Lui un frutto di risurrezione gloriosa. Il
Signore gli dona un corpo spirituale, incorruttibile, immortale, glorioso. Il
Padre dona a noi, sempre per l’opera di obbedienza del Figlio non solo il
perdono dei peccati, ma la stessa relazione che il Figlio ha con Lui e la
relazione è di figliolanza assieme a tutti i beni divini che possiede il Figlio.
Siamo purificati da ogni peccato, ma anche elevati alla dignità di figli
adottivi e resi partecipi della divina natura. Questo è il frutto di giustizia che
ci salva. Questa verità deve insegnarci che chi vuole operare salvezza in
questo mondo, deve anche lui come Cristo produrre frutti di giustizia e questi
non si producono se non attraverso la nostra perfetta obbedienza alla volontà
del Padre. Non sono le opere che noi facciamo che redimono il mondo, sono
invece le opere di obbedienza, il compimento della volontà del Padre,
l’osservanza pura e semplice di ogni Parola del Vangelo. È il Vangelo la via
della salvezza, ma è il Vangelo osservato in ogni sua parte, messo in
pratica in ogni sua prescrizione, ma come obbedienza perfetta sempre al
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
Signore Dio nostro. Chi vuole cooperare con Cristo alla redenzione dei suoi
fratelli, deve portare la sua vita tutta nel Vangelo.
Redenzione, pentimento, giustificazione, obbedienza, conversione, fede.
Con la sua espiazione vicaria Cristo ci ha redenti. La redenzione operata da
Cristo non è ancora salvezza per noi. La redenzione è salvezza quando si
accoglie la Parola della predicazione, ci si pente dei propri peccati, ci si lascia
battezzare nel nome di Cristo Gesù, si diviene giustificati. Il nostro peccato è
cancellato. Noi siamo rigenerati a vita nuova ed eterna. La giustificazione non
è ancora compimento della salvezza. La salvezza avviene per noi nella
santità e la santità è compimento in ogni sua parte della Volontà del Padre, in
una obbedienza ad ogni Parola del Vangelo. Si obbedisce al Vangelo nella
fede. Per fede si crede che il Vangelo è l’unica via della salvezza. Al Vangelo
quotidianamente ci si converte. Il Vangelo si vive. Vivendo di verità in verità,
progredendo di fede in fede, ma sempre nella Parola, il cristiano compie il
cammino della sua santificazione e raggiunge la salvezza definitiva nel
Regno eterno di Dio che è il Paradiso. È salvo chi entra in Paradiso. Chi
viene escluso dal Paradiso, anche se ha iniziato con la salvezza, ora termina la
sua vita nella perdizione eterna. Ecco perché siamo invitati ad attendere alla
nostra salvezza con timore e tremore. Questo avviene se conserviamo la nostra
vita solo e sempre nel Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
Vero uomo messo alla prova. Cristo è vero e perfetto uomo. Come tale anche
Lui deve andare a Dio attraverso l’obbedienza, l’ascolto della sua volontà. Lui
ha compiuto la volontà del Padre fino alla morte di croce. Tutto ha dato di sé al
Padre, niente gli resta da dare. È questa prova la causa della nostra
salvezza. La prova di Cristo Gesù è un’obbedienza per il dono della
propria vita. Avendo Lui superato la prova, può venire in nostro soccorso,
in aiuto, avendo conoscenza della sofferenza che sovente accompagna la
nostra prova. Ma anche è in grado di sentire compassione per i peccati di
molti. La compassione si trasforma in Lui in preghiera e in intercessione perché
non solo siano cancellati i nostri peccati, ma anche perché la grazia del Padre
sostenga il nostro cammino e lo renda perfetto compimento della Sua volontà.
Obbedienza, volontà di Dio, sofferenza di obbedienza, compimento della
volontà di Dio nella carne santa: redenzione. La sofferenza che salva l’uomo
non è quella che nasce dal peccato. Questa serve unicamente per espiare il
nostro peccato, al fine di liberare la nostra anima dalle pene temporali dovute ai
peccati. Quella di Cristo è una sofferenza di obbedienza, di compimento della
volontà del Padre fatta da Lui in una carne santissima, giusta, tutta ricolma di
grazia e di verità. È la santità nel compimento della volontà del Padre che
redime il mondo. È la perfetta giustizia di Cristo che fa della sua opera di
obbedienza un atto di redenzione e di salvezza. Dove manca la santità non
c’è obbedienza e dove non c’è obbedienza non c’è redenzione, perché non si
può compiere l’espiazione vicaria. Giusto per gli ingiusti, santo per i non santi,
fedele per gli infedeli, amico di Dio per tutti i nemici del Padre. Questo è lo
specifico dell’opera di Gesù Signore. Monito per noi che siamo coinvolti
nell’opera di redenzione e di giustificazione del mondo. Se non entriamo in una
giustizia perfetta, non possiamo cooperare con Cristo né per la redenzione, né
per la salvezza. Siamo esclusi dalla redenzione perché noi non viviamo da
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Secondo
redenti, da giustificati, semplicemente da santi. Dobbiamo tutti entrare in questa
visione e verità di fede, altrimenti il rischio è uno solo: vanificare ogni nostra
opera, rendere infruttuoso, quanto alla salvezza, ogni nostro lavoro nella
Vigna del Signore. La redenzione è obbedienza. L’obbedienza è alla Volontà
di Dio. La volontà di Dio è il Vangelo. La salvezza nasce dalla nostra vita tutta
portata nel Vangelo. La prima obbedienza a Dio non è forse quella di
accogliere Cristo come l’Inviato di Dio per compiere la nostra redenzione
e salvezza? Non è forse vivere la sua Parola come vera Parola del Padre?
Ci può essere obbedienza di salvezza e di redenzione per coloro che
escludono la volontà attuale di Dio nell’opera della propria santificazione?
Cristo Gesù è la Volontà di Dio per noi. Chi accoglie Lui accoglie la volontà di
Dio ed entra nel mistero della vera salvezza, della giustificazione, della
santificazione. Ma anche la verità tutta intera verso cui conduce lo Spirito Santo
deve essere obbedienza a Dio. Fermare la storia alla verità di Dio di ieri,
senza aggiungere la pienezza di verità che oggi lo Spirito rivela alla sua
Chiesa, è già porsi fuori della vera obbedienza a Dio. Si è fuori della
redenzione e della giustificazione. L’obbedienza è a Dio che ha parlato ieri, sia
attraverso i profeti che per mezzo di Gesù Cristo, ma è anche a Dio che parla
oggi sia mediante il Suo Santo Spirito muovendo i cuori, o illuminando la mente
conducendola verso la verità tutta intera, come anche manifestandosi a
persone particolari e indicando loro la via da seguire sia per loro stessi che per
altri. Non c’è vera obbedienza a Dio senza l’ascolto del Signore che parla
oggi alla sua Chiesa. Senza vera obbedienza nessuna redenzione sarà mai
possibile. Senza obbedienza, si lavora, ma invano; ci si affatica, ma inutilmente.
70
CAPITOLO TERZO
CRISTO È SUPERIORE A MOSÈ
[1]Perciò, fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo
sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede che noi
professiamo,
I “fratelli santi” sono i cristiani. Sono santi, perché santificati dal sangue di
Cristo, purificati nelle acque del Battesimo e rigenerati dallo Spirito Santo.
Sono santi perché sono stati resi partecipi della santità di Dio. Questa la loro
altissima dignità.
Di questa dignità ogni cristiano deve prendere coscienza. Di questa dignità è
sommamente responsabile. Questa sua nuova dignità deve attestare dinanzi al
mondo intero con una condotta santa di vita.
I cristiani sono santi per dono di grazia, devono essere santi in ogni singolo atto
della loro vita, la quale, in ogni più piccola sua manifestazione o espressione,
deve attestare questa nuova dignità, ricevuta per grazia, non certo per merito.
I cristiani sono partecipi “di una vocazione celeste”. Qual è questa vocazione
celeste? Anche se l’Autore non lo dice in questo contesto con parole esplicite,
essa si può facilmente desumere.
La vocazione celeste del cristiano è quella di essere figlio di Dio per
adozione e quindi di essere erede del Cielo.
Il cristiano è chiamato al Cielo, al Paradiso, alla vita eterna, alla comunione con
Dio, ad essere suo figlio di adozione e ad abitare per sempre nella sua casa.
La vocazione celeste è anche quella di essere “corpo di Cristo”, “tempio
dello Spirito Santo”, “casa di Dio” sulla terra.
La vocazione celeste è la sua elevazione alla “divinizzazione”: “Voi siete
dei”, “Dei” per generazione spirituale da Dio, per partecipazione della sua
divina natura.
Questa è la più alta vocazione concessa mai ad una creatura: essere resa
partecipe della divina natura.
Di questa vocazione il cristiano deve prendere coscienza, deve essere
responsabile, deve produrre ogni frutto di santità, di grazia, di verità, di giustizia
e di pace secondo questa sua nuova vocazione e anche nuova natura, perché
in Cristo realmente ha ricevuto una nuova natura, realmente è stato rigenerato,
realmente è nato a nuova vita, è stato fatto figlio di Dio, è stato reso partecipe
della natura divina.
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Dopo aver richiamato il cristiano a considerare la sua nuova, altissima dignità,
la sua nuova, altissima vocazione, l’Autore lo invita a fissare bene lo sguardo su
Gesù.
Il cristiano si comprende se guarda Cristo, se fissa lo sguardo su di Lui. Deve
fissare lo sguardo di Gesù per conoscerlo, per sapere chi Lui è secondo
pienezza di verità.
Ogni errore su Cristo immancabilmente, irrimediabilmente diviene un errore sul
cristiano e in modo più generale sull’uomo.
L’uomo si comprende da Cristo, si conosce da Lui. Si sa chi è l’uomo
guardando e fissando lo sguardo su Gesù.
Chi non guarda Cristo non sa chi lui è, non sa neanche chi è l’uomo, perché
esiste, qual è la sua vocazione, quale il suo futuro.
Tutto è da Cristo. Niente è senza di Cristo, fuori di Cristo, lontano da Lui.
Per questo motivo è necessario conoscere Cristo e conoscerlo secondo
pienezza di verità, di dottrina, di scienza, di sapienza, di intelligenza, di ogni
altro genere di conoscenza.
Questa conoscenza non può avvenire se non nello Spirito Santo. Ma lo Spirito
Santo agisce nella preghiera del cristiano, nella sua applicazione di meditazione
e di riflessione, nella sua crescita in santità.
La vera conoscenza di Cristo è dono dello Spirito Santo e lavoro ininterrotto da
parte dello stesso cristiano. Questi cresce nella conoscenza vera di Cristo, se
cresce in grazia. Se non cresce in grazia, neanche può crescere in conoscenza.
La grazia aiuta la conoscenza; la conoscenza aiuta la grazia.
Chi è Cristo, su cui bisogna fissare bene lo sguardo? In questo primo versetto
viene definito “l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi
professiamo”.
Gesù è colui che dona la vera fede. Gesù è colui che serve la vera fede. La
dona e la serve. La dice e la insegna. L’annunzia e la spiega.
È apostolo perché inviato dal Padre. L’apostolo non è da sé. Se fosse da sé
non sarebbe apostolo.
L’apostolo è da “altri”. Gesù è dal Padre, da Dio.
Viene manifestata la missione celeste di Cristo. Egli è apostolo della nostra
fede non per sua volontà, ma per volontà di Colui che lo ha inviato, che lo ha
chiamato, che lo ha costituito.
Così dicasi anche dell’altra espressione: “sommo sacerdote”. Anche il
“sacerdote” non è da sé, è da Dio. È Dio che sceglie e che costituisce; è Dio
che chiama e che consacra; è Dio che suscita e che eleva.
Dicendo l’Autore che Gesù è “l’apostolo e il sommo sacerdote della fede
che noi professiamo”, dice una verità assai gravida di responsabilità: la fede
che noi professiamo non viene dalla terra, viene dal Cielo, viene da Dio.
72
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Viene da Dio perché Cristo Gesù viene da Dio, è da Dio. L’origine di Cristo è da
Dio. Se è da Dio, dobbiamo chiederci perché Dio ha voluto così, ma prima
ancora: se crediamo in Dio dobbiamo accogliere colui che Dio ci ha inviato per
manifestarci la sua volontà.
Il problema cristologico si fa immediatamente teologico. La risposta su Cristo la
si trova in Dio, non in Cristo.
Cristo è dalla volontà del Padre, dal volere di Dio. Cristo è in mezzo a noi
perché così Dio ha deciso, voluto, stabilito, attuato.
Spostando il problema da Cristo a Dio si entra nel mistero insondabile della
libertà di Dio.
La volontà di Dio si può accogliere, si può rifiutare. Chi l’accoglie, accoglie la
vita; chi la rifiuta, percorre vie di morte.
Da puntualizzare che uno dei compiti, anzi il compito per eccellenza del
Sacerdote era quello dell’insegnamento della Legge. Prima che un offerente il
Sacerdote era un insegnante, uno che dava, spiegava, insegnava,
applicava al popolo la Legge del Dio Altissimo.
Due citazioni bastano da sole a confermare questa verità (cfr. Lev. 10,8-11
“Il Signore parlò ad Aronne: Non bevete vino o bevanda inebriante né tu né i
tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, perché non moriate;
sarà una legge perenne, di generazione in generazione; questo perché possiate
distinguere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è immondo da ciò
che è mondo e possiate insegnare agli Israeliti tutte le leggi che il Signore ha
date loro per mezzo di Mosè” (Lev. 10.8-11).
In Osea è mostrato tutto il disastro spirituale del popolo, perché carente
dell’insegnamento del Sacerdote. È bene leggere tutto il capitolo 4.
“Ascoltate la parola del Signore, o Israeliti, poiché il Signore ha un processo con
gli abitanti del paese. Non c'è infatti sincerità né amore del prossimo, né
conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si
commette adulterio, si fa strage e si versa sangue su sangue.
Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali
della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno. Ma
nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo
l'accusa. Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e fai
perire tua madre. Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza.
Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai
dimenticato la legge del tuo Dio e io dimenticherò i tuoi figli.
Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in vituperio. Essi si
nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità. Il popolo e il
sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro condotta, e li
retribuirò dei loro misfatti. Mangeranno, ma non si sazieranno, si
prostituiranno, ma non avranno prole, perché hanno abbandonato il Signore per
darsi alla prostituzione. Il vino e il mosto tolgono il senno.
73
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Il mio popolo consulta il suo pezzo di legno e il suo bastone gli dà il responso,
poiché uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal
loro Dio. Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano incensi sotto la
quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è la loro ombra. Perciò si
prostituiscono le vostre figlie e le vostre nuore commettono adulterio. Non
punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono
adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e con le prostitute
sacre offrono sacrifici; un popolo, che non comprende, va a precipizio. Se ti
prostituisci tu, Israele, non si renda colpevole Giuda. Non andate a Gàlgala, non
salite a Bet-Avèn, non giurate per il Signore vivente. E poiché come giovenca
ribelle si ribella Israele, forse potrà pascolarlo il Signore come agnello in luoghi
aperti? Si è alleato agli idoli Efraim, si accompagna ai beoni; si son dati alla
prostituzione, han preferito il disonore alla loro gloria. Un vento li travolgerà con
le sue ali e si vergogneranno dei loro sacrifici”.
[2]il quale è fedele a colui che l'ha costituito, come lo fu anche Mosè in
tutta la sua casa.
Gesù è l’inviato di Dio. La domanda giusta che ognuno potrebbe farsi è questa:
Gesù è stato fedele a Dio, a colui che lo ha costituito “apostolo e sommo
sacerdote della fede”?
La risposta è affermativa, senza ombra di dubbio: Gesù è stato fede al pari di
Mosè.
Come Mosè fu costituito a capo della casa di Dio, cioè del suo popolo, e fu
trovato fedele, così anche Cristo Gesù, costituito da Dio a capo della sua casa,
del suo popolo, è stato trovato fedele in tutto.
Di questo fatto si parla nel Libro dei Numeri. Leggendo il capitolo 12 si ha una
chiara comprensione di chi è stato veramente Mosè per il Signore:
“Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della donna etiope che aveva
sposata; infatti aveva sposato una Etiope. Dissero: Il Signore ha forse parlato
soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro? Il
Signore udì. Ora Mosè era molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra.
Il Signore disse subito a Mosè, ad Aronne e a Maria: Uscite tutti e tre e andate
alla tenda del convegno. Uscirono tutti e tre. Il Signore allora scese in una
colonna di nube, si fermò all'ingresso della tenda e chiamò Aronne e Maria. I
due si fecero avanti. Il Signore disse: Ascoltate le mie parole! Se ci sarà un
vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò
con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la
mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli
guarda l'immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il
mio servo Mosè?
L'ira del Signore si accese contro di loro ed Egli se ne andò; la nuvola si ritirò di
sopra alla tenda ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aronne guardò
Maria ed ecco era lebbrosa. Aronne disse a Mosè: Signor mio, non addossarci
la pena del peccato che abbiamo stoltamente commesso, essa non sia come il
bambino nato morto, la cui carne è già mezzo consumata quando esce dal
seno della madre. Mosè gridò al Signore: Guariscila, Dio! Il Signore rispose a
74
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Mosè: Se suo padre le avesse sputato in viso, non ne porterebbe essa
vergogna per sette giorni? Stia dunque isolata fuori dell'accampamento sette
giorni; poi vi sarà di nuovo ammessa. Maria dunque rimase isolata, fuori
dell'accampamento sette giorni; il popolo non riprese il cammino, finché Maria
non fu riammessa nell'accampamento. Poi il popolo partì da Caserot e si
accampò nel deserto di Paran”.
In questo versetto si afferma la prima fondamentale verità su Cristo: Egli è stato
fedele a Dio al pari di Mosè. Ma anche: Egli, al pari di Mosè, è stato costituito
da Dio uomo di fiducia sulla sua casa.
Se la fedeltà è uguale, le persone non sono uguali. Cristo e Mosè non sono
uguali. Qual è dunque la differenza che fa distinguere Cristo da Mosè e Mosè
da Cristo?
[3]Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta maggior
gloria, quanto l'onore del costruttore della casa supera quello della casa
stessa.
La differenza è detta attraverso una similitudine che merita tutta la nostra
attenzione, ma soprattutto la nostra intelligenza per comprenderla nel suo vero
significato di rivelazione.
La casa è per l’uomo, non l’uomo per la casa. Mosè è per la casa. La casa è di
Dio. La casa è per il Signore. Mosè è per il Signore, perché Lui è per la casa del
Signore.
La casa è di Dio e Mosè in questa casa è l’uomo di fiducia di Dio. La casa non è
di Mosè.
Mosè non è né il padrone, né il signore della casa. Lui è il servitore della casa.
Affiora e si manifesta la prima differenza tra Mosè e Cristo. La gloria di Mosè è
quella di essere stato servitore della casa di Dio.
La gloria di Cristo è molto più grande. La sua è la stessa gloria del Padrone, del
Signore della casa.
Gesù è il costruttore della casa, Mosè è il servo. La casa è di Cristo, Mosè è
servo di Cristo.
Mosè è per Cristo, è in funzione di Cristo, è a servizio di Cristo.
Se fu grande la gloria di Mosè, più grande, divinamente più grande dovrà
essere la gloria di Gesù.
Se la gloria di Mosè era reputata più grande della gloria degli Angeli, quale non
sarà mai la gloria di Cristo, Creatore e Signore degli stessi Angeli?
Mosè, al pari degli Angeli, è una creatura di Dio, anche se investita di una
missione particolare, singolare, unica.
Cristo non è solo creatura, perché vero uomo, è anche Creatore, perché vero
Dio. Questa differenza non può essere nascosta, taciuta, sminuita, contraffatta,
alterata. Questa differenza deve essere evidenziata in tutta chiarezza di verità e
di dottrina. Lo esige la fede, di cui Gesù è apostolo e sommo sacerdote; lo
75
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
esige la verità che Lui è venuto ad annunziare al mondo intero; lo richiede il
Vangelo che Lui è venuto a proclamare ad ogni uomo.
[4]Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito
tutto è Dio.
Viene ribadita la verità già evidenziata.
Ogni casa viene costruita da qualcuno. Mosè non è il costruttore della casa di
Dio. Mosè è solo il custode fedele.
Costruttore della casa è Dio. Anzi qui Dio viene detto “costruttore di tutto”.
Dicendo che Dio è costruttore di tutto si vuole affermare una verità che va oltre
ogni attesa.
Prima di tutto si mette la coscienza del cristiano dinanzi a Dio, alla sua volontà,
alla sua opera.
La coscienza del cristiano non deve relazionarsi con Cristo. Cristo non è da sé.
Se fosse da sé, sarebbe giusto che ci relazionassimo con Lui.
Ma Cristo non è da sé, è da Dio e quindi è giusto che ci relazioniamo con Dio.
Qual è la verità che supera ogni attesa? È proprio questa: lo spostamento
dell’asse di coscienza da Cristo a Dio.
L’autore afferma la verità delle verità: Cristo è “costruito da Dio”, dal
momento che “costruttore di tutto è Dio”.
Se Cristo è stato “costruito da Dio”, è giusto che ci chiediamo perché Dio lo
ha costruito?
La coscienza che si pone davanti a Dio riguardo a Cristo, deve porsi anche
davanti a Dio nei confronti di Mosè.
Mosè è costruito da Dio. Cristo è costruito anche da Dio. Perché Dio ha
costruito Mosè? Perché ha costruito Cristo?
Se accettiamo Mosè, perché non dovremmo accettare Cristo, dal momento che
Autore di entrambi è Dio?
È possibile accogliere Mosè e rifiutare Cristo, o rifiutare Cristo in nome di Mosè,
dal momento che il punto di riferimento della coscienza non è né Mosè, né
Cristo, ma Dio?
Questa metodologia per spostamento dell’asse della coscienza non vale solo
per rapporto a Cristo e a Mosè, vale per ogni altro intervento di Dio sulla nostra
terra.
Se è Dio che costruisce tutto, che ha costruito tutto, la prima domanda che
dobbiamo porre al nostro spirito è questa: ciò che è dinanzi ai nostri occhi è
vera costruzione di Dio?
Se cogliamo dalla Scrittura che è vera costruzione di Dio, l’asse si sposta
ancora una volta e va dalla nostra intelligenza alla sapienza eterna di Dio e alla
sua volontà che è imperscrutabile.
76
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Noi abbiamo il dovere di cogliere la verità di un’opera di Dio, partendo dalla
Scrittura, non abbiamo il potere di conoscerne il perché. Questo non ci è
dovuto, come non è dovuto al servo sapere il perché di una costruzione del
Padrone, o perché il Padrone usa quella forma anziché quell’altra, oppure
quelle persone, anziché altre.
Verità e mistero, volontà e intelligenza non sono la stessa cosa. La volontà è
del Signore. L’opera è del Signore. Le persone sono del Signore.
A noi appartiene cogliere la verità. Il resto non ci è dato, perché non è nostro. È
di Dio e lo è in modo assoluto.
[5]In verità Mosè fu fedele in tutta la sua casa come servitore, per rendere
testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi;
In questo versetto vengono annunciate due verità: chi è Mosè, qual è stata la
missione di Mosè.
Mosè è il servitore in tutta la casa di Dio. Nel suo servizio fu trovato fedele.
La sua missione però non finiva in se stessa, nella sua persona.
Il suo servizio era finalizzato a preparare le cose future, ciò che il Signore
avrebbe annunziato più tardi.
Così definita e compresa la missione di Mosè, è un servizio e una missione che
preparano a Cristo.
Mosè è in funzione di Cristo. Mosè è servo di Cristo, servo cioè della sua
missione, che egli in qualche modo deve preparare, anche se remotamente, in
tempi assai lontani.
Che la missione non finisce in Mosè, non finisce con Mosè lo attesta la stessa
promessa fatta da Dio allo stesso Mosè. Leggiamo infatti nel Deuteronomio, al
capitolo 18, 15-19:
“Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un
profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al
Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non
oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco,
perché non muoia. Il Signore mi rispose: Quello che hanno detto, va bene; io
susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie
parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le
parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”.
Mosè stesso guarda molto in avanti, in un futuro assai lontano dai suoi occhi di
carne. Ciò vuol dire una cosa sola: non è lui la salvezza definitiva del popolo di
Dio; non è in Lui che questa salvezza si compie.
Tuttavia c’è da dire una verità: l’Autore può affermare questo perché sa leggere
la Storia della Salvezza in tutto il suo arco di preparazione. Il fondamento di
quanto egli sta dicendo di Mosè lo si trova nella Scrittura, in tutta la Scrittura.
Nessuno pensi che lui faccia il ragionamento opposto: che parta cioè dalla
storia di Gesù, dalla sua missione, per affermare l’incompiutezza dell’opera di
Mosè o la sua finalizzazione a Cristo Signore.
77
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Se avesse fatto questo, la sua sarebbe interpretazione, rivelazione e non
dimostrazione.
Invece l’Autore ha un solo fine nella sua trattazione: dimostrare attraverso la
Scrittura – e per Scrittura intende e si deve intendere l’Antico Testamento e solo
Esso – che quanti hanno preceduto Cristo, dal più piccolo al più grande,
passando per Abramo, Mosè, Davide, i Profeti, i Giusti e i Saggi della storia di
Israele, tutti costoro hanno guardato assai lontano dai loro occhi.
Tutta la Scrittura Antica guarda verso Colui che deve venire e chi deve venire è
solo il Messia di Dio, che non è nessuno tra tutti coloro che lo annunziano ed
essi stessi lo attendono.
Anche Mosè guardava lontano, assai lontano, allo stesso modo di Abramo, di
Isacco, di Giacobbe e di ogni altro uomo di Dio.
Questa è verità constatabile, verificabile, evidente. È sufficiente aprire la
Scrittura Antica ed ogni sua pagina invita a guardare oltre se stessa.
[6]Cristo, invece, lo fu come figlio costituito sopra la sua propria casa. E
la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci
vantiamo.
Dalla stessa Scrittura Antica sappiamo, dobbiamo pervenire alla vera
conoscenza di Cristo Gesù.
La prima verità su Cristo è questa: Egli non è nella casa di Dio come servitore.
Non così lo ha costituito il Signore.
Gesù è stato costituito figlio e la casa è anche sua. È figlio nella sua propria
casa.
La prima differenza con Mosè è nella figliolanza. Cristo è vero Figlio di Dio,
figlio generato, figlio che è da Lui, che è della sua stessa natura.
Questa identità naturale, per generazione, è solo di Gesù e di nessun altro
uomo, né prima Mosè, né dopo Mosè, e nemmeno dopo lo stesso Cristo. Gesù
è il solo, è l’unico, è eternamente così. Prima della stessa creazione del cielo e
della terra Lui è figlio del Padre.
La seconda differenza è la stessa relazione con la casa di Dio. La casa di Dio è
casa di Cristo; è propria di Dio, come è propria di Cristo.
È propria di Cristo, perché Lui è il Figlio del Padre ed essendo Figlio del Padre
è suo tutto ciò che è del Padre.
Non dimentichiamoci che l’Autore ha iniziato la sua trattazione su Cristo
dicendo che Lui è stato costituito da Dio suo erede universale. Tutto ciò che è
del Padre è suo. Sua è anche la casa da salvare, il popolo da redimere,
l’umanità da condurre alla salvezza.
Viene anche precisato chi è “la casa di Dio”, la “sua propria casa”. Questa
casa sono tutti coloro che hanno creduto, credono e crederanno in Cristo Gesù.
Si diviene casa di Dio per la fede in Cristo e rinascendo da acqua e da Spirito
Santo. Ma il divenire casa, non significa rimanere per sempre casa di Dio, casa
di Cristo.
78
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Rimane casa di Dio e di Cristo chi conserva la libertà e la speranza che ha
ricevuto il giorno in cui è divenuto credente e di cui si vanta.
La libertà del cristiano è la sua verità. La sua verità è Cristo Gesù. Anche la
speranza del cristiano è Cristo. È la vittoria sulla morte che lo avvolgerà
nell’ultimo giorno, ma prima ancora è la certezza di abitare già fin dal momento
della morte nel Cielo, presso Dio, in comunione con gli Angeli e con i Santi.
La speranza è il frutto della libertà, mentre la libertà è frutto della verità. La
verità è il frutto della conoscenza santa della Parola di Cristo.
Chi si distacca dalla Parola di Cristo, si distacca da Cristo, perde la Parola, la
verità, la libertà, la speranza, ritorna nella sua vecchia schiavitù del peccato,
delle tenebre, dell’errore, del vizio, del male.
È questo il motivo per cui bisogna conservare la libertà e la speranza di Cristo,
perché sono questi i beni che Gesù è venuto a creare in noi, ma li crea non
separatamente da Lui, dalla sua Parola, dal Suo Vangelo. Li crea invece in Lui,
attraverso la Sua Parola, che si fa verità in noi, libertà, speranza.
Anche in questo vi è una grandissima differenza con Mosè. La Parola di Mosè
era Parola di Dio, non era parola sua. Quella di Cristo è insieme Parola di Dio e
Parola di Cristo. È una sola Parola: di Cristo e di Dio.
È questa Parola la fonte della libertà e della speranza, perché Cristo è la fonte
di questi beni divini.
Tutto questo è per l’Autore desumibile dalla Scrittura Antica ed in verità è
proprio così.
ESORTAZIONE ALLA FEDELTÀ
[7]Per questo, come dice lo Spirito Santo: Oggi, se udite la sua voce,
[8]non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno
della tentazione nel deserto, [9]dove mi tentarono i vostri padri
mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant'anni le mie opere.
[10]Perciò mi disgustai di quella generazione e dissi: Sempre hanno il
cuore sviato. Non hanno conosciuto le mie vie. [11]Così ho giurato nella
mia ira: Non entreranno nel mio riposo.
Questi versetti sono tratti dal Salmo 94, che così recita:
“Venite, applaudiamo al Signore, acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia.
Poiché grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dei. Nella sua mano
sono gli abissi della terra, sono sue le vette dei monti. Suo è il mare, egli l'ha
fatto, le sue mani hanno plasmato la terra. Venite, prostràti adoriamo, in
ginocchio davanti al Signore che ci ha creati. Egli è il nostro Dio, e noi il popolo
del suo pascolo, il gregge che egli conduce. Ascoltate oggi la sua voce: Non
indurite il cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le
mie opere. Per quarant'anni mi disgustai di quella generazione e dissi:
79
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie; perciò ho
giurato nel mio sdegno: Non entreranno nel luogo del mio riposo”.
La professione di fede in Dio deve divenire necessariamente ascolto della sua
voce.
Dio è il pastore del gregge. Israele è il popolo del suo pascolo. Tra Pastore e
gregge c’è una sola legge possibile: l’ascolto della voce del Pastore. Altre leggi
non sono di vita, bensì di morte.
È successo invece che tra il popolo del suo pascolo e il Signore quasi sempre
ha regnato la legge del non ascolto, della ribellione.
Ecco i due episodi per cui il Signore decide che la generazione uscita dall’Egitto
mai avrebbe messo piedi nella Terra Promessa. Anche Mosè, a causa del
Popolo, fu condannato alla stessa pena. Sono due esempi paradigmatici di non
ascolto (cfr. Numeri cc.14 e 20)
Numeri 14: “Allora tutta la comunità alzò la voce e diede in alte grida; il popolo
pianse tutta quella notte. Tutti gli Israeliti mormoravano contro Mosè e contro
Aronne e tutta la comunità disse loro: Oh! fossimo morti nel paese d'Egitto o
fossimo morti in questo deserto! E perché il Signore ci conduce in quel paese
per cadere di spada? Le nostre mogli e i nostri bambini saranno preda. Non
sarebbe meglio per noi tornare in Egitto? Si dissero l'un l'altro: Diamoci un capo
e torniamo in Egitto. Allora Mosè e Aronne si prostrarono a terra dinanzi a tutta
la comunità riunita degli Israeliti. Giosuè figlio di Nun e Caleb figlio di
Iefunne, che erano fra coloro che avevano esplorato il paese, si
stracciarono le vesti e parlarono così a tutta la comunità degli Israeliti: Il
paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese molto buono.
Se il Signore ci è favorevole, ci introdurrà in quel paese e ce lo darà: è un
paese dove scorre latte e miele. Soltanto, non vi ribellate al Signore e non
abbiate paura del popolo del paese; è pane per noi e la loro difesa li ha
abbandonati mentre il Signore è con noi; non ne abbiate paura.
Allora tutta la comunità parlò di lapidarli; ma la Gloria del Signore apparve sulla
tenda del convegno a tutti gli Israeliti. Il Signore disse a Mosè: Fino a quando mi
disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti
i miracoli che ho fatti in mezzo a loro? Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò,
ma farò di te una nazione più grande e più potente di esso. Mosè disse al
Signore: Ma gli Egiziani hanno saputo che tu hai fatto uscire questo popolo con
la tua potenza e lo hanno detto agli abitanti di questo paese. Essi hanno udito
che tu, Signore, sei in mezzo a questo popolo, e ti mostri loro faccia a faccia,
che la tua nube si ferma sopra di loro e che cammini davanti a loro di giorno in
una colonna di nube e di notte in una colonna di fuoco. Ora se fai perire questo
popolo come un solo uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno:
Siccome il Signore non è stato in grado di far entrare questo popolo nel paese
che aveva giurato di dargli, li ha ammazzati nel deserto. Ora si mostri grande la
potenza del mio Signore, perché tu hai detto:
Il Signore è lento all'ira e grande in bontà, perdona la colpa e la ribellione, ma
non lascia senza punizione; castiga la colpa dei padri nei figli fino alla terza e
alla quarta generazione. Perdona l'iniquità di questo popolo, secondo la
80
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
grandezza della tua bontà, così come hai perdonato a questo popolo dall'Egitto
fin qui.
Il Signore disse: Io perdono come tu hai chiesto; ma, per la mia vita, com'è vero
che tutta la terra sarà piena della gloria del Signore, tutti quegli uomini che
hanno visto la mia gloria e i prodigi compiuti da me in Egitto e nel deserto
e tuttavia mi hanno messo alla prova già dieci volte e non hanno obbedito
alla mia voce, certo non vedranno il paese che ho giurato di dare ai loro
padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà; ma il mio
servo Caleb che è stato animato da un altro spirito e mi ha seguito
fedelmente io lo introdurrò nel paese dove è andato; la sua stirpe lo
possiederà. Gli Amaleciti e i Cananei abitano nella valle; domani tornate
indietro, incamminatevi verso il deserto, per la via del Mare Rosso.
Il Signore disse ancora a Mosè e ad Aronne: Fino a quando sopporterò io
questa comunità malvagia che mormora contro di me? Io ho udito le lamentele
degli Israeliti contro di me. Riferisci loro: Per la mia vita, dice il Signore, io vi
farò quello che ho sentito dire da voi. I vostri cadaveri cadranno in questo
deserto. Nessuno di voi, di quanti siete stati registrati dall'età di venti anni in su
e avete mormorato contro di me, potrà entrare nel paese nel quale ho giurato di
farvi abitare, se non Caleb, figlio di Iefunne, e Giosuè figlio di Nun. I vostri
bambini, dei quali avete detto che sarebbero diventati una preda di guerra,
quelli ve li farò entrare; essi conosceranno il paese che voi avete disprezzato.
Ma i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. I vostri figli saranno nòmadi
nel deserto per quarant'anni e porteranno il peso delle vostre infedeltà,
finché i vostri cadaveri siano tutti quanti nel deserto. Secondo il numero
dei giorni che avete impiegato per esplorare il paese, quaranta giorni,
sconterete le vostre iniquità per quarant'anni, un anno per ogni giorno e
conoscerete la mia ostilità. Io, il Signore, ho parlato. Così agirò con tutta
questa comunità malvagia che si è riunita contro di me: in questo deserto
saranno annientati e qui moriranno.
Gli uomini che Mosè aveva mandati a esplorare il paese e che, tornati, avevano
fatto mormorare tutta la comunità contro di lui diffondendo il discredito sul
paese, quegli uomini che avevano propagato cattive voci su quel paese,
morirono colpiti da un flagello, davanti al Signore. Ma di quelli che erano andati
a esplorare il paese rimasero vivi Giosuè, figlio di Nun, e Caleb, figlio di Iefunne.
Mosè riferì quelle parole a tutti gli Israeliti; il popolo ne fu molto turbato. La
mattina si alzarono presto per salire verso la cima del monte, dicendo: Eccoci
qua; noi saliremo al luogo del quale il Signore ha detto che noi abbiamo
peccato. Ma Mosè disse: Perché trasgredite l'ordine del Signore? La cosa non
vi riuscirà. Poiché il Signore non è in mezzo a voi, non salite perché non siate
sconfitti dai vostri nemici! Perché di fronte a voi stanno gli Amaleciti e i Cananei
e voi cadrete di spada; perché avete abbandonato il Signore, il Signore non
sarà con voi. Si ostinarono a salire verso la cima del monte, ma l'arca
dell'alleanza del Signore e Mosè non si mossero dall'accampamento. Allora gli
Amaleciti e i Cananei che abitavano su quel monte scesero, li batterono e ne
fecero strage fino a Corma”.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Numeri 20: “Ora tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin il primo
mese e il popolo si fermò a Kades. Qui morì e fu sepolta Maria. Mancava
l'acqua per la comunità: ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aronne.
Il popolo ebbe una lite con Mosè, dicendo: Magari fossimo morti quando
morirono i nostri fratelli davanti al Signore! Perché avete condotto la
comunità del Signore in questo deserto per far morire noi e il nostro
bestiame? E perché ci avete fatti uscire dall'Egitto per condurci in questo
luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono
fichi, non vigne, non melograni e non c'è acqua da bere.
Allora Mosè e Aronne si allontanarono dalla comunità per recarsi all'ingresso
della tenda del convegno; si prostrarono con la faccia a terra e la gloria del
Signore apparve loro. Il Signore disse a Mosè: Prendi il bastone e tu e tuo
fratello Aronne convocate la comunità e alla loro presenza parlate a quella
roccia, ed essa farà uscire l'acqua; tu farai sgorgare per loro l'acqua dalla
roccia e darai da bere alla comunità e al suo bestiame.
Mosè dunque prese il bastone che era davanti al Signore, come il Signore gli
aveva ordinato. Mosè e Aronne convocarono la comunità davanti alla roccia e
Mosè disse loro: Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da
questa roccia? Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte
e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e tutto il bestiame.
Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: Poiché non avete avuto fiducia in me
per dar gloria al mio santo nome agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete
questa comunità nel paese che io le dò.
Queste sono le acque di Mèriba, dove gli Israeliti contesero con il Signore e
dove Egli si dimostrò santo in mezzo a loro. Mosè mandò da Kades messaggeri
al re di Edom per dirgli: Dice Israele tuo fratello: Tu sai tutte le tribolazioni che ci
sono avvenute: come i nostri padri scesero in Egitto e noi in Egitto dimorammo
per lungo tempo e gli Egiziani maltrattarono noi e i nostri padri. Noi gridammo al
Signore ed egli udì la nostra voce e mandò un angelo e ci fece uscire
dall'Egitto; eccoci ora in Kades, che è città ai tuoi estremi confini. Permettici di
passare per il tuo paese; non passeremo né per campi, né per vigne e non
berremo l'acqua dei pozzi; seguiremo la via Regia, senza deviare né a destra
né a sinistra, finché avremo oltrepassati i tuoi confini. Ma Edom gli rispose: Tu
non passerai sul mio territorio; altrimenti uscirò contro di te con la spada. Gli
Israeliti gli dissero: Passeremo per la strada maestra; se noi e il nostro
bestiame berremo la tua acqua, te la pagheremo; lasciaci soltanto transitare a
piedi. Ma quegli rispose: Non passerai! Edom mosse contro Israele con molta
gente e con mano potente. Così Edom rifiutò a Israele il transito per i suoi
confini e Israele si allontanò da lui. Tutta la comunità degli Israeliti levò
l'accampamento da Kades e arrivò al monte Cor. Il Signore disse a Mosè e ad
Aronne al monte Cor, sui confini del paese di Edom: Aronne sta per essere
riunito ai suoi antenati e non entrerà nel paese che ho dato agli Israeliti,
perché siete stati ribelli al mio comandamento alle acque di Mèriba. Prendi
Aronne e suo figlio Eleazaro e falli salire sul monte Cor. Spoglia Aronne
delle sue vesti e falle indossare a suo figlio Eleazaro; in quel luogo
Aronne sarà riunito ai suoi antenati e morirà. Mosè fece come il Signore
82
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
aveva ordinato ed essi salirono sul monte Cor, in vista di tutta la
comunità. Mosè spogliò Aronne delle sue vesti e le fece indossare a
Eleazaro suo figlio; Aronne morì in quel luogo sulla cima del monte. Poi
Mosè ed Eleazaro scesero dal monte. Quando tutta la comunità vide che
Aronne era morto, tutta la casa d'Israele lo pianse per trenta giorni”.
Sono questi momenti drammatici del non ascolto del Signore, ma tutto il
cammino dei figli di Israele nel deserto, nei lunghi quaranta anni fu drammatico,
segnato sempre dal non ascolto e dalla non fede nella Parola del Signore.
Il pericolo è uno solo, lo stesso che segnala Paolo nella Prima Lettera ai
Corinzi:
“Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la
nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè
nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero
la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li
accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro
Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò
avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come
essi le desiderarono. Non diventate idolàtri come alcuni di loro, secondo quanto
sta scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. Non
abbandoniamoci alla fornicazione, come vi si abbandonarono alcuni di essi e ne
caddero in un solo giorno ventitremila. Non mettiamo alla prova il Signore,
come fecero alcuni di essi, e caddero vittime dei serpenti. Non mormorate,
come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte
queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per
ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi
crede di stare in piedi, guardi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha finora
sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati
oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza
per sopportarla. Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria” (Cfr. 1Cor 10 1-14).
L’idolatria è dare valore divino ai pensieri umani, alla volontà umana, ai desideri
umani, ai progetti umani, ad ogni opera dell’uomo.
Si è sempre nell’idolatria quando la parola dell’uomo, la sua scienza, la sua
intelligenza, la sua dottrina, la sua teologia prende il posto della Parola di Dio.
[12]Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore
perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.
L’ammonimento, fatto alla luce di quanto è avvenuto ai padri nel deserto, è
carico di tragiche responsabilità.
Ognuno è avvisato, santamente messo in guarda da ogni forma di idolatria.
Ma qual è l’idolatria, quale la non fede per uno che viveva nei tempi di Cristo
Gesù?
L’idolatria e la non fede è rimanere ancorati alla dottrina e alla Parola dell’Antico
Testamento e non passare all’insegnamento e alla Verità del Nuovo.
83
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
È idolatria, è non fede restare ancorati alla Legge di Mosè, mentre ora la voce
di Dio, la voce che parla oggi, ci annunzia la grazia e la verità per mezzo di
Gesù Cristo.
In fondo si chiede di fare il passaggio che il Vangelo secondo Giovanni esprime
chiaramente nel Prologo (cfr. Gv 1,1-18):
“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in
principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è
stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli
uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. Venne
un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come
testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per
mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel
mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno
accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel
suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di
uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad
abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di
unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che
viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me. Dalla sua
pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu
data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù
Cristo. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel
seno del Padre, lui lo ha rivelato”.
Chiunque non fa questo passaggio dalla Legge alla Grazia e alla Verità che Dio
ci ha donato per mezzo di Gesù Cristo, vive da idolatra, rimane con un cuore
perverso, resta senza la vera fede. Il suo è un cuore che si allontana da Dio.
Perché questo cuore è perverso? È perverso perché giudica l’agire del Signore.
È perverso perché è lui che decide ciò che è buono da ciò che è cattivo, ciò che
è verità da ciò che non lo è, ciò che è Parola di Dio da ciò che non è parola di
Dio; ciò che bisogna accogliere da ciò che non bisogna accogliere, ciò che si
deve vivere da ciò che non è opportuno, giusto che si viva.
Questo cuore è perverso perché è idolatra ed è idolatra chiunque rimane fuori
della Parola di Gesù, fuori della sua Grazia e della sua Verità, fuori del suo
Vangelo, semplicemente fuori di Cristo. Essere lontani dal Dio vivente equivale
ora ad essere lontani dal Cristo vivente.
Tutti devono mettere ogni attenzione, ogni vigilanza a non allontanarsi da Cristo
Gesù. È Lui ora l’apostolo e il sommo sacerdote della fede e quindi della Parola
e della Verità del Padre.
[13]Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura quest'oggi,
perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato.
84
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
L’oggi che dura è il tempo della misericordia di Dio, il tempo del suo amore, il
tempo del dono della sua Parola, della sua Grazia, della sua Verità. L’oggi è il
tempo della compassione di Cristo, che va alla ricerca della pecorella smarrita.
La domanda da porre al nostro spirito è una sola: quanto dura quest’oggi?
La Scrittura, sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento, insegna che Dio è ricco
di pietà e di misericordia, ma anche che è lento all’ira. Ci insegna che c’è un
limite non superabile dall’uomo nel peccato.
Il Nuovo Testamento pone questo limite nel peccato contro lo Spirito Santo, che
non è solo il combattimento contro la verità di Dio e di Cristo, ma anche la
presunzione di salvarsi senza merito, senza cioè accogliere la Parola di Cristo e
vivere secondo ogni suo insegnamento.
Quest’oggi dura finché l’uomo non si indurisce sotto il suo peccato, finché il suo
cuore non sarà divenuto tutto di pietra, di bronzo, di ferro.
È questo il momento del non ritorno.
Nessuno deve tentare il Signore, sfidare la sua misericordia, abusare della sua
grazia, restando senza fede e camminando di peccato in peccato, lontano dalla
verità e dalla grazia di Cristo.
Pur non conoscendo il mistero del dono della grazia e della verità di Dio per
ogni singolo cuore, dobbiamo però confessare una verità con timore e con
tremore. La verità è questa: il tempo della misericordia può finire, finisce.
Sapendo questo, comprendiamo il significato del versetto (13) che stiamo
trattando: bisogna che ognuno si faccia carico dell’anima di suo fratello e con
ogni esortazione lo convinca dell’urgenza di rimanere ancorato in Cristo Gesù e
nella Nuova Via da Lui istituita per attraversare il deserto della vita fino al
raggiungimento del Cielo.
Questa opera di amore, di carità, di compassione, che si fa aiuto vicendevole,
sostegno reciproco, non deve essere fatta una volta e poi basta; deve essere
opera quotidiana, giornaliera.
Ogni giorno ci si deve esortare alla fede, alla fedeltà, all’ascolto, alla messa in
pratica della Parola di Gesù.
Più si cresce nella fede e più grande è la certezza di rimanere ancorati in essa,
lontani da ogni peccato.
Per questo è urgente l’opera di tutti verso tutti. È questo il vero stile della
comunità del Signore. Non uno verso tutti. Non ce la farebbe. Ma tutti verso
tutti.
Qual è il fine di questa universale e quotidiana reciproca esortazione? Quello di
far sì che nessuno cada nel peccato dell’idolatria e nessuno in questo peccato
indurisca il suo cuore, fino al punto del non ritorno.
È questa una regola divina. È la vera regola che deve regnare in ogni comunità
cristiana. Ognuno è chiamato a farsi carico della vita spirituale dei suoi fratelli.
Le modalità devono essere quelle della discrezione, della dolcezza, della
grande carità, del silenzio, della preghiera, del saggio consiglio, della prudenza,
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
della circospezione nel fare l’esortazione, nella grande umiltà di chi vuole solo il
bene dell’altro e per questo sta lontano da ogni superbia, vanagloria, arroganza,
presunzione, fariseismo e peccati del genere.
Le forme potrebbero essere quelle indicate da San Paolo nella Prima Lettera ai
Corinzi, Inno della carità (c. 13) e nella Lettera ai Romani, il vero culto spirituale
(c. 12).
Queste regole vengono riportate per ottenere una convinzione immediata sulla
loro grande opportunità, in modo che il nostro amore non vada perduto e l’altro
si indurisca sotto il peso del peccato a causa della nostra poca accortezza in
amore e in carità.
Prima lettera ai Corinzi (13,1-13): “Se anche parlassi le lingue degli uomini e
degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un
cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i
misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da
trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche
distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non
avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è
invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca
il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera,
tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono
delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e
imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è
imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da
bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino
l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma
allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora
conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre
cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la
carità!”
Lettera ai Romani (12,1-21): “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di
Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è
questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo
secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la
volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è
stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è
conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta
valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché,
come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno
tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo
corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri.
Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha
il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un
ministero attenda al ministero; chi l'insegnamento, all'insegnamento; chi
l'esortazione, all'esortazione. Chi dá, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo
faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. La carità
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni
gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore.
Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera,
solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro
che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono
nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi
sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece
a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a
nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.
Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non
fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto
infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. Al contrario, se
il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo
questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti
vincere dal male, ma vinci con il bene il male”.
Seguendo queste regole di amore, l’esortazione di sicuro produrrà frutti di vera
crescita nella fede e di autentico sostegno nel cammino nella Parola di Gesù.
[14]Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mantenere
salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio.
La fede cristiana vive di due momenti essenziali, di cui l’uno non può esistere
senza l’altro.
Questi due momenti sono: la nuova realtà che viene generata dalla fede; il
cammino nella fede perché la nuova realtà generata dalla fede porti frutti.
Quando un uomo, una donna, un bambino, un adulto credono alla Parola che
viene loro annunziata e si lasciano battezzare, loro acquisiscono una nuova
realtà.
Questa realtà è chiamata in modi diversi, che indicano però una cosa sola: il
dono che Dio ha fatto di sé a colui che ha creduto e che lo ha trasformato nella
natura.
L’Autore chiama questa nuova realtà: “partecipi di Cristo”. San Pietro dice la
stessa cosa : “partecipi della divina natura”.
Cristo è diventato parte di noi e noi parte di Cristo. San Paolo dice tutto questo
con un'altra parola: “Corpo di Cristo”. Il cristiano è corpo di Cristo. Cristo è il
Capo, noi siamo le membra.
San Giovanni nel suo Vangelo, parla di “vite e di tralci”. Cristo è la vite, noi
siamo i tralci. Traiamo la linfa vitale da Lui e per Lui produciamo.
Questa nuova realtà ci è data però a modo di seme. Come il seme viene
affidato alla terra perché lo faccia germogliare e produrre, fino alla completa
maturazione del frutto, così è la nuova realtà che Dio, Cristo, lo Spirito Santo
creano in noi.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Essa viene seminata nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra natura. Dal
momento in cui viene seminata, fino all’ultimo giorno della nostra esistenza
sulla terra essa ci viene affidata perché noi la facciamo crescere e fruttificare.
Qual è la via giusta, l’unica via che ci consente di fare questo?
La risposta dell’Autore è assai esplicita e semplice allo stesso tempo: a
condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta
da principio.
Qual è la fiducia che abbiamo avuto fin da principio? È senz’altro la fede
risposta nella Parola.
A noi è stata annunziata la Parola di Gesù. In questa Parola abbiamo creduto.
In questa Parola ci siamo lasciati battezzare. Per questa Parola creduta siamo
divenuti partecipi di Cristo.
Se usciamo dalla Parola, usciamo da Cristo, non siamo più partecipi di Lui,
perché cadiamo nella morte e chi è nella morte è privo sia della vita che della
grazia di Gesù Signore.
Realizza la nuova realtà, la porta a compimento solo colui che persevera nella
Parola.
Ritornando all’argomento della Lettera: qual è la Parola che dobbiamo
osservare?
La risposta è una sola: quella di Cristo Gesù. Ora la via della vita è nella Parola
di Gesù. Chi non mantiene fede alla Parola di Gesù, esce dalla via della vita e
ritorna in una via di morte, senza alcuna possibilità di salvezza, di redenzione di
vita eterna.
Chi separa i due momenti non ha Cristo. Chi non compie i due momenti non ha
Cristo. Chi sceglie solo il primo momento non ha Cristo.
Cristo è all’inizio, durante e dopo, sempre. È prima, durante, dopo se è nella
Parola. Cristo e Parola non si possono separare, come non si possono
separare Dio e Parola.
La Parola di Dio è la Parola di Cristo Gesù. Non ha la Parola di Dio chi si
distacca dalla Parola di Cristo Gesù.
Ricordiamoci l’inizio della Lettera: prima Dio ha parlato per mezzo dei Profeti.
Ora ci parla per mezzo del Figlio.
Il Figlio è ora, in quest’oggi, la Parola di Dio. È questa la verità che dona
salvezza. Su questa verità bisogna mantenere salda la fiducia che si ha avuta
fin da principio.
Avere un solo dubbio sulla verità di Cristo significa non avere più fiducia e
senza più fiducia non si è più partecipi di Cristo.
[15]Quando pertanto si dice: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i
vostri cuori come nel giorno della ribellione, [16]chi furono quelli che,
dopo aver udita la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che
erano usciti dall'Egitto sotto la guida di Mosè? [17]E chi furono coloro di
cui si è disgustato per quarant'anni? Non furono quelli che avevano
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? [18]E a chi giurò che non
sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano
creduto?
In questi versetti viene illustrato, attraverso il riferimento esplicito all’Antico
Testamento, quanto affermato circa il legame inscindibile, di vita, tra le due
realtà: il prima e il dopo.
L’Autore vede un rischio latente nella comunità degli Ebrei, tra quanti cioè erano
venuti alla fede in Cristo dal Giudaismo.
Il rischio è questo: abbandonare la Parola di Gesù per ritornare alla vecchia
fede, o alle vecchie credenze.
Questo rischio si vince, o si supera mantenendo la fiducia accordata da
principio alla Parola.
Perché questa fiducia venga accordata sempre, l’Autore dona un aiuto
leggendo la storia passata, dalla quale si evince che non c’è salvezza senza
perseveranza nell’ascolto.
Chi non entrò nella Terra Promessa? Tutti coloro che, usciti dall’Egitto, non
prestarono più fede alla Parola di Dio.
A che cosa ci si ribella, se non alla Parola che Dio faceva udire “oggi” per
mezzo di Mosè?
Ma chi è uscito dall’Egitto se non chi aveva prestato fede alla Parola di Dio?
La Parola di Dio aveva condotto fuori dall’Egitto. La stessa Parola avrebbe
dovuto introdurli nella Terra Promessa.
La Parola che libera dall’Egitto è detta “oggi”, nel giorno della liberazione. Ma
anche la Parola che introduce nella Terra Promessa è detta “oggi”, nel giorno
del nuovo cammino.
Una volta che c’è una ribellione nella Parola detta “oggi”, c’è anche una
interruzione nel cammino, che potrebbe essere momentanea, se si ritorna nella
fede e quindi nell’ascolto di ciò che è stato proferito, oppure il cammino si perde
per sempre e non si entra nella “terra”.
La verità che l’Autore ci insegna è questa: nessuno compie l’opera della
liberazione che è stata generata dalla Parola se non persevera nell’ascolto della
Parola sino alla fine.
È valso per quanti sono usciti dall’Egitto, vale per quanti sono stati resi partecipi
di Cristo.
La conclusione è duplice: ognuno si può escludere da sé dal cammino della
vita, decidendo di mettersi fuori della Parola per sempre.
Ma c’è l’altra verità: Dio potrebbe decidere di escludere qualcuno a motivo del
suo peccato.
Lo si è già detto: ognuno stia attento a non arrivare al punto del non ritorno
nella grazia. Questo punto è il peccato contro lo Spirito Santo.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Questo peccato esclude dalla vita eterna già su questa terra. Uno non deve
attendere il momento della morte per essere nella morte eterna; nella morte
eterna si è già in vita. Si vive, ma è come se fossimo già morti e questo a
motivo dell’esclusione che Dio ha sanzionato per noi.
Mistero tremendo! Mistero vero! Mistero della volontà dell’uomo e della sua
responsabilità eterna!
[19]In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro
mancanza di fede.
In questo versetto è detto in modo chiaro, esplicito, senza alcuna possibilità di
fraintendimento che la non entrata nella Terra Promessa avvenne per la loro
mancanza di fede.
Il concetto è già stato precisato. Si tratta ora di puntualizzarlo in vista della
verità che l’Autore ci vuole insegnare.
Chiediamoci: qual è la verità che sta molto a cuore all’Autore e che in ogni
modo sta cercando di mettere in evidenza?
Essa può essere così sistematicizzata, o presentata:
Dio non ha parlato ai Padri una volta sola e basta. Dio parlava ai Padri. La
Parola di Dio quotidianamente scendeva dal Cielo.
Se vogliamo fare un paragone, essa può essere paragonata alla manna. Come
la manna cadeva ogni giorno, così cade ogni giorno la Parola di Dio dal Cielo.
Come i figli di Israele raccoglievano la manna, così avrebbero dovuto
raccogliere la Parola, per nutrirsi della vita divina e poter proseguire il viaggio
fino al raggiungimento della vera Terra Promessa, che è il Paradiso.
Dio parla, non ha semplicemente parlato: è questa la verità dell’Autore.
A Dio che parla si risponde con la fede. Dio parla oggi. Oggi bisogna porre tutta
la nostra fede nella sua Parola. Se questo non avviene e si rimane nella non
fede, la vera Terra Promessa non si raggiunge.
Senza la Parola di Dio siamo privi della sua vita divina in noi e ogni forza ci
manca per continuare il viaggio verso la vita eterna.
In questo dono della Parola, Cristo Gesù occupa il primo posto, più che Mosè,
più che gli Angeli, più che ogni altro profeta dell’Antico Testamento.
Gesù è il Figlio del Padre che ci porta la Parola ultima, definitiva del Padre, ci
dona la sua volontà di salvezza e di redenzione, ci indica il sentiero per il
raggiungimento della vita eterna.
Chi non crede che Cristo è l’apostolo e il sommo sacerdote della Parola di Dio
cade dalla fede, viene a trovarsi privo della Parola della vita.
È senza vita, perché è senza la Parola di Dio. Essendo senza vita, è già nella
morte. È in tutto simile ai suoi padri che sono morti nel deserto a causa della
loro non fede nella Parola che Dio quotidianamente faceva giungere loro per
mezzo del suo servo Mosè.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Non è sufficiente aver accolto un tempo la Parola, nella Parola bisogna
perseverare sino alla fine dei nostri giorni. La vita è nella Parola. Dio la dona,
l’uomo la raccoglie, la mangia, vive per essa.
Poiché la vita dell’uomo è dalla Parola ed è nella Parola, c’è un’altra verità che
bisogna mettere in evidenza, in risalto, sul candelabro.
Noi che crediamo nella Parola abbiamo l’altro grave obbligo di camminare nella
Parola verso la verità tutta intera, verità che la Parola contiene, che però solo lo
Spirito Santo può rendere chiara ed esplicita alla nostra mente e al nostro
cuore.
Come incorreva nella morte chi uscito dall’Egitto smetteva di ascoltare la Parola
di Dio, così incorre nella morte, non fa un buon cammino spirituale, anzi non lo
fa affatto, anche chi quotidianamente non si lascia condurre dallo Spirito Santo
verso la verità tutta intera.
La Chiesa vive se ascolta lo Spirito Santo. Questa è la sua verità, questa deve
essere la nostra verità, perché Chiesa è ognuno di noi chiamato a lasciarsi
condurre dallo Spirito verso la verità tutta intera per entrare in possesso della
vita eterna, oggi e nell’eternità beata.
La conclusione non può essere che una sola: è nella morte chi non ascolta la
Parola che Dio fa risuonare oggi per mezzo di Cristo; è nella morte chi non
cammina verso la verità tutta intera cui oggi conduce lo Spirito del Signore.
Chi vuole la vita deve camminare nell’oggi di Cristo e nell’oggi dello Spirito
Santo.
Proviamo ora a leggere le parole iniziali del capitolo, di sicuro le
comprenderemo assai meglio:
“Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della
ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri
mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant'anni le mie opere. Perciò
mi disgustai di quella generazione e dissi: Sempre hanno il cuore sviato. Non
hanno conosciuto le mie vie. Così ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel
mio riposo”.
Il Signore ci conceda di ascoltare sempre la voce dello Spirito Santo che parla
alla nostra intelligenza, al nostro cuore, alla nostra volontà per condurci alla
verità tutta intera oggi, domani, sempre, per tutti i giorni della nostra vita.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Fratelli santi. I cristiani sono fratelli santi perché santificati dal sangue di Cristo
Gesù, dal suo sacrificio, dalla sua obbedienza. Sono santi perché resi partecipi
della santità di Dio in Cristo Gesù, con il quale formano un solo corpo, una
sola vita, ma anche una sola santità, a condizione che rimangano sempre
nell’obbedienza alla parola di vita contenuta nel Vangelo. La santità
battesimale deve divenire santità obbedienziale, compimento perfetto di
ogni Parola del Vangelo. È questo il cammino del cristiano e deve compierlo
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
fino all’ultimo giorno della sua vita. Niente di ciò che è Vangelo deve essere
tralasciato da lui. Tutto invece deve essere operato per una crescita in santità
sempre più grande, sempre più carica di frutti di vera fede, carità e speranza.
Vocazione celeste. La vocazione è celeste perché viene dal Cielo, da Dio. Ma
anche perché ci chiama al Cielo, a Dio. Non è l’uomo che si dona la
vocazione. Se è l’uomo a donarsi la vocazione, questa non è vocazione.
La vocazione può venire solo dal Signore. Solo Lui può stabilire di una vita
perché ogni vita è sua. Se Lui è il solo Signore di ogni vita ciò significa che ogni
vita gli appartiene, è sua e Lui può fare ciò che vuole e per questo chiama. Il
cristiano è chiamato dal cielo per andare al cielo. Questa la sua vocazione
primaria. Le altre vocazioni sono tutte in funzione di questa e senza questa le
altre vocazioni sono senza finalità.
Gesù apostolo e sommo sacerdote della fede. Gesù è apostolo della fede
perché Lui è la Parola della Fede e l’Annunciatore di essa. Lui è disceso dal
Cielo per rivelarci tutta la volontà del Padre, ma anche per insegnarci come
concretamente si obbedisce al Padre. Della fede è anche sommo sacerdote
perché è proprio del sacerdote formare il popolo del Signore nella
conoscenza della Parola di Dio. Cristo è la Parola del Padre, dona la Parola,
sulla Parola ammaestra, la Parola insegna, spiega, annunzia, dona, predica. Il
sacerdote è l’uomo della Parola e non soltanto della grazia. È l’uomo della
grazia e della verità. È l’uomo della fede. Lui è insieme fede e via della fede.
È Lui la Parola della fede e dona se stesso come unica Parola della fede,
per ogni uomo di ogni tempo e luogo. Chi non crede in Lui, rimane escluso in
eterno dalla fede. Chi abbandona Lui, abbandona semplicemente la via della
salvezza. Altre vie non esistono. Altre vie sono state costituite dagli uomini, ma
non da Dio. Dio ha costituito quest’unica e sola via.
L’uomo si comprende comprendendo Cristo. Cristo è l’Uomo vero. La verità
dell’uomo è Lui. Chi vuole conoscere secondo verità chi è l’uomo, deve
necessariamente conoscere Cristo. Chi conosce Cristo secondo verità,
conosce se stesso secondo verità. Chi non conosce Cristo neanche si
conosce. Ogni conoscenza che lui produce di se stesso è una conoscenza o
incompleta, o erronea, o falsa, o ambigua, o semplicemente nulla. Questa
verità ci dice quanto sia urgente dare Cristo al mondo intero affinché ogni
uomo possa conoscere se stesso, conoscendo il mistero di Gesù Signore.
Questa verità ci insegna anche che a nulla serve dare la grazia se si
omette di dare la retta, santa, giusta conoscenza di Gesù Signore. Il
mistero dell’uomo è tutto racchiuso nel mistero di Cristo. È il mistero di
Cristo che ogni uomo è chiamato a realizzare, se vuole realizzare se stesso
secondo verità.
La comprensione della verità è dalla crescita in grazia. Ogni vera
comprensione del mistero di Cristo, della sua verità è per dono dello Spirito
Santo. Lo Spirito Santo opera nello stato di grazia dell’uomo. Più l’uomo
cresce in grazia, più si eleva in santità, più dona spazio allo Spirito del
Signore perché lo faccia crescere nella conoscenza del mistero di Cristo
Gesù. Ogni peccato, ogni vizio, anche il più piccolo, ogni imperfezione limita
l’azione dello Spirito Santo e Questi non può operare secondo l’immensità
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
divina della sua azione. Ogni peccato, ogni vizio, ogni imperfezione diviene
nell’uomo un ostacolo affinché possa consegnarsi interamente allo Spirito del
Signore che deve formare Cristo e la sua verità in lui.
Il problema cristologico si fa teologico: è Dio che costituisce. La questione
è stata già accennata. Chi è fonte di tutto è Dio Padre. Chi opera tutto è Dio
Padre. Chi vuole tutto è Dio Padre. Cristo Gesù è dal Padre. È dal Padre
nell’eternità ed è dal Padre nel tempo; è dal Padre nel suo essere divino
ed anche nella sua missione terrena. Se è dal Padre, tutto diviene e si fa
questione teologica. Non c’è Dio e poi Cristo che si dice inviato di Dio. È
Dio stesso che “dice” il Suo Figlio. Lo “dice” nell’eternità, generandolo; lo “dice”
nel tempo, indicandolo come il Suo Messia, il Figlio Suo Diletto, Colui nel quale
Egli si è compiaciuto. La nostra fede non è quindi in Cristo, è nel Padre che
ci dona Cristo. Chi non crede in Cristo, non crede semplicemente in Dio che ci
dona Cristo, che costituisce Cristo proclamandolo suo Figlio diletto.
Il sacerdote: insegnante prima, offerente dopo. Tutto nella nostra fede è
finalizzato al compimento della volontà del Padre. È il compimento della
volontà del Padre la nostra salvezza. È il compimento della volontà del
Padre la vera adorazione, la vera glorificazione di Dio. Il Sacerdote è il
ministro della Parola. In quanto ministro della Parola è anche ministro della
grazia. Diviene ministro della grazia, producendo un frutto di grazia vivendo
tutta la Parola. Cristo Gesù ci ha salvato per aver vissuto tutta la volontà
del Padre. La grazia che ci dona salvezza è il suo perfetto compimento
della volontà del Padre. La grazia è il frutto dell’obbedienza. L’obbedienza
è la vita secondo la Parola. Il sacerdote dona la Parola, vive la Parola,
insegna la Parola, si fa ministro di grazia per il mondo intero. Si dona come
frutto di grazia per i suoi fratelli. Non vedere la grazia come il frutto
dell’obbedienza e l’obbedienza come la vita secondo la Parola è il più grande
oscuramento della nostra fede.
Fedele e uomo di fiducia. Gesù è fedele al Padre perché compie in ogni cosa
solo la volontà del Padre. È l’uomo di fiducia di tutta la casa di Dio, perché a
Lui il Signore Dio gli ha affidato l’opera della salvezza. Lui è il testimone
fedele del Padre: è fedele nell’obbedienza; è fedele nel servizio; è fedele nella
custodia della casa della salvezza del Padre. In Lui il Padre si compiace,
perché egli agisce in tutto secondo la Sua Volontà.
Mosè servo. Cristo Signore, Servo e Costruttore. Per rapporto a Dio, Mosè è
servo nella Casa del Padre. Cristo Signore invece è Servo e Costruttore. È
Lui l’Autore della Casa della salvezza, ma anche Colui che serve questa Casa
compiendo la salvezza a beneficio del mondo intero. Mosè è in funzione di
Cristo. Egli è servo in vista di Cristo. Fermarsi a Mosè e non passare a
Cristo, è fermarsi a colui che vive tutto in funzione di Cristo, che opera in
vista di Cristo, il solo cui il Signore Dio ha affidato la Costruzione della
Casa della salvezza del mondo. Fermarsi a Mosè è rimanere fuori di questa
Casa di salvezza. Mosè è l’Antico Testamento, è la Legge. L’Antico Testamento
non è la Casa della Salvezza di Dio. L’Antico Testamento guarda a Cristo e lo
attende come il suo vero compimento, la sua vera perfezione.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
Dio costruttore di tutto. L’asse della coscienza si sposta da Cristo a Dio.
Mosè è stato costituito da Dio. Anche Cristo è stato costituito da Dio. L’uno però
è servo, mentre Cristo è Figlio e Autore della Salvezza, costruttore della Casa
della salvezza di Dio. Chi vuole conoscere Cristo secondo verità, deve partire
da ciò che Dio ha fatto di Lui. Ciò che Dio ha fatto di Lui è tutto scritto
nell’Antico Testamento. Tutto l’Antico Testamento parla di Cristo, annunzia
Cristo, vede Cristo. L'Antico Testamento non è di Cristo, è del Padre, è di
Dio. Se Cristo è il vero frutto di Dio, chi non riconosce questo vero frutto,
non riconosce neanche l’Autore del frutto. La verità di Dio conduce alla
verità di Cristo, la verità di Cristo necessariamente deve portare alla verità
di Dio. Chi non riconosce Cristo, non riconosce l’Autore di Cristo. Il suo Dio non
è il vero Dio, perché il vero Dio è l’Autore di Cristo, è il Padre di Cristo, è colui
che ha costituito Cristo e lo ha inviato nel mondo. Cristo è dal Padre sempre nel
cielo e sulla terra, nell’essere e nella missione.
Relazione tra mistero, verità, volontà, intelligenza. Il mistero viene rivelato,
annunziato, proclamato, predicato. Il mistero è portatore di una verità eterna
che riguarda direttamente Dio e l’uomo, fatto ad immagine e a somiglianza del
suo Dio e Signore. La verità è affidata all’intelligenza perché ne penetri la
profondità, l’altezza e la larghezza, per quanto è consentito ad una creatura.
L’intelligenza affida la verità compresa alla volontà perché la realizzi nella
propria vita, faccia della verità conosciuta la propria esistenza . È questo un
processo che deve durare per tutta la vita. Mai deve essere interrotto. Chi lo
interrompe, interrompe la vita di se stesso e del mondo intero.
Metodologia: dalla Scrittura a Cristo. La Scrittura Antica invita a guardare
oltre se stessa. La Scrittura Antica non è fine a se stessa. Essa è tutta
finalizzata, orientata al dono di Cristo. Chi la legge con spirito di libertà, di
sicuro troverà in essa Cristo, a Cristo passerà. Se la Scrittura Antica dona
Cristo, non passare a Cristo sarebbe la più grande forma di tradimento di
essa. La si dichiarerebbe semplicemente falsa. Tutti coloro che si fermano
all’Antico Testamento senza passare a Cristo, non si fermano al Dio che esso
contiene, al vero Dio che indica Cristo e ce lo dona. Tutti costoro sono falsi
lettori di esso. Cristo è il fine della Scrittura Antica. Privare un’opera del suo
fine, è dichiararla semplicemente inutile, vana, sterile, inoperosa. Questa
Scrittura semplicemente non serve.
Cristo Figlio nella Casa. La Casa siamo noi. Viene ribadita la differenza tra
Cristo e Mosè in ordine alla Casa di Dio. Cristo è il Figlio, Mosè è il servo.
Mosè indica Cristo, guarda a Cristo, prepara la strada a Cristo. Anche Lui
attende la salvezza dal Figlio, anche Lui è servo di quella Casa nella quale
Cristo solo è il Figlio del Padre. La Casa di Dio siamo noi. La Casa di Dio
sono tutti coloro che attraverso la fede si aprono a Cristo e vivono secondo la
sua Parola. In questa Casa si entra per la fede in Cristo, si rimane per la fede in
Cristo, si progredisce per la fede in Cristo.
Conservare la speranza e la libertà. Si è nella Casa di Cristo se si conserva la
speranza e la libertà. La speranza riguarda la salvezza piena che Cristo ci
ha portato e che si compirà per noi in Paradiso. La libertà invece è la fede
piena nella sua Parola. Senza la Parola di Cristo accolta e vissuta non c’è
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
né speranza e né libertà. Si conserva la speranza e la libertà mantenendo
ferma la nostra professione di fede, senza vacillare in essa.
Il cuore perverso e senza fede. Il cuore è perverso e senza fede, quando
abbandona la via di Cristo e della sua Parola e si attacca all’Antica Scrittura, a
Mosè. Si rinnega Cristo, per fermarsi a Colui che ci indica Cristo, ma
senza il Cristo che Lui, Mosè, ci indica. Chi fa questo manifesta al mondo
semplicemente che il suo cuore è perverso e senza fede.
Cosa è in verità l’idolatria? L’idolatria è: il non passaggio dalla Legge alla
Grazia e alla Verità di Gesù. Il non passaggio dalla dottrina alla Parola.
Essere fuori del Cristo Vivente. Ogni forma di teismo. Ogni religione che
non professa la Beata Trinità e l’Incarnazione del Verbo della vita. Ogni
indurimento che nasce dal peccato. Tutto questo è idolatria perché è
esclusione di Cristo e della sua Parola come unica via di salvezza, di
redenzione, di giustificazione, di santificazione per il mondo intero. È idolatria
ogni vanità di pensiero e di opera. Anche la teologia rischia di essere opera
di idolatria, se chiude se stessa nei suoi sistemi e non si apre alla perenne
novità dello Spirito Santo, che guida la Chiesa verso la verità tutta intera.
Esortazione: tutti verso tutti. La fede nasce, cresce, si purifica, produce veri
frutti di salvezza se essa viene portata avanti da un’azione corale. Tutti sono
responsabili della fede di tutti. Se uno solo si assopisce, interrompe l’opera
della sua responsabilità, il cammino della fede si arresta, si interrompe e molti
ritornano nel buio, nelle tenebre, nel peccato.
Quanto dura l’oggi della grazia divina? Da parte di Dio durerà fino alla
consumazione del mondo. Da parte dell’uomo finisce l’oggi della grazia nello
stesso momento in cui cade nel peccato contro lo Spirito Santo. Questa verità
deve essere per tutti un severo monito a non lasciare cadere invano la
grazia di Dio. Chi non accoglie con prontezza la grazia del Signore, indebolisce
la propria natura e questa andando di peccato in peccato, potrebbe anche
giungere al peccato contro lo Spirito Santo ed è la fine della sua salvezza.
Partecipi di Cristo. È questa la più grande grazia della salvezza. Dio ci ha
elevato alla grande dignità di renderci partecipi di Cristo, della sua vita,
dei suoi doni, della sua verità, della sua grazia, della sua morte, della sua
risurrezione, della sua eternità. Lui ci ha fatto una cosa sola in Cristo, ci ha
fatto suo corpo. In Lui ci ha fatti anche suoi figli di adozione. In Lui ci dona
l’eredità eterna. A causa di questa partecipazione di Cristo, la questione
della santità non è più morale, ma ontologica. Siamo chiamati a divenire
Cristo. Siamo Cristo. Viviamo la vita di Cristo. Cristo e noi, noi in Cristo, Cristo
in noi siamo una sola vita. Non due vite, ma una sola vita. Questa sola vita deve
essere santa, perché Cristo è santo.
Saldi nella fiducia dell’inizio. La fede è sempre esposta a tentazione. Ognuno
è chiamato a conservare integra, pura la fiducia riposta in Cristo fin dall’inizio,
quando è divenuto credente. Può conservare integra e pura questa fiducia,
può essere saldo in essa, chi quotidianamente cresce nella conoscenza
della verità di Cristo e si irrobustisce nella grazia. Quando vi è perdita di
fiducia, quando non si è più saldi in essa, è il segno che si è caduti dalla grazia
e dalla conoscenza. Si è interrotto il cammino della crescita e il vento del male
95
Lettera agli Ebrei–Capitolo Terzo
sta per sradicarci dalla fonte della nostra salvezza. Chi vuole restare ancorato
a Cristo, deve crescere in Cristo, nella sua grazia e nella sua verità. Questa
è la legge della fede e della vita. Questa legge mai potrà essere disattesa. Chi
la disattende inesorabilmente cade, si perde.
Il Figlio è la Parola di Dio. Il Figlio è la Parola ultima, definitiva di Dio in ordine
alla fede e alla salvezza dell’umanità intera. Da puntualizzare: il Figlio non è
Parola di salvezza accanto all’altra Parola, quella che Dio ha proferito
nell’Antico Testamento, o in concomitanza con essa. Il Figlio è la Parola
eterna di Dio. Dio non parla se non per indicarci il Figlio, non ci parla se non
attraverso il Figlio, non ha altra parola da dirci se non il suo Figlio diletto. La
conclusione non può essere che una sola: Chi esclude il Figlio, si esclude
dalla Parola di Dio. Senza il Figlio, Dio per lui è muto. Senza il Figlio, chi
adora Dio, adora un Dio muto. Questa è vera idolatria. La vita di Dio è nella
Parola di Dio che è Cristo Gesù. Questa è la verità eterna della nostra fede.
Salva la Parola detta oggi. Oggi il Signore parla. Oggi si deve ascoltare. Si
deve ascoltare oggi, perché oggi il Signore manifesta la sua volontà. Il mistero è
uno. Il mistero è Dio. La Parola ci manifesta la volontà di Dio. Ci dice come
il Signore vuole che ognuno di noi storicamente compia il mistero, lo
realizzi nella sua vita. Il mistero da realizzare è uno. Le vie e i modi sono tanti,
molti. La salvezza diviene così compimento del mistero secondo la volontà
attuale di Dio sulla singola persona. Il cristiano deve per questo preparare il
suo cuore, la sua mente, la sua volontà, il suo spirito ad ascoltare il
Signore che parla. Raggiunge la perfetta santità chi è capace di ascoltare il
Signore e di mettere in pratica ogni sua Parola, ogni manifestazione della sua
volontà.
La Parola dono attuale di Dio. La verità dono attuale dello Spirito Santo.
La Parola diviene così dono attuale di Dio. Dono fatto alla persona in un tempo
determinato per una realizzazione della divina volontà secondo indicazioni
puntuali, precise. La Parola del Signore, portatrice di una verità eterna
viene resa comprensibile alla nostra intelligenza dallo Spirito Santo, che
ci conduce verso la verità tutta intera. Verità tutta intera nella comprensione
dell’unico mistero, ma anche verità tutta intera della Parola del Signore che nel
corso della storia ci manifesta la divina volontà da attuare e da realizzare.
L’oggi di Cristo è l’oggi dello Spirito Santo. L’oggi di Cristo è l’oggi dello
Spirito Santo perché è lo Spirito Santo che ci dona la comprensione sia del
mistero di Dio che di ogni parola storica che ci guida verso la sua realizzazione
nella vita personale di ogni singolo credente. Senza lo Spirito Santo non c’è
vera comprensione e l’uomo rimane ancorato ad un passato che non è la
sua vita. Perché lo Spirito ci guidi e ci conduca di verità in verità è necessario
che noi lo invochiamo, ma anche che viviamo in perenne stato di grazia
santificante. La santità è il cammino del credente nella perenne attualità dello
Spirito del Signore.
96
CAPITOLO QUARTO
SENZA TIMORE
[1]Dobbiamo dunque temere che, mentre ancora rimane in vigore la
promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato
escluso.
Per l’Autore il discorso non può dirsi ancora concluso. Ritiene giusto passare
dall’implicito all’esplicito, dalla trattazione indiretta al coinvolgimento diretto dei
destinatari della Lettera.
C’è un timore che deve avvolgere ogni cuore ed è questo: è possibile non
entrare nel riposo di Dio. È possibile venirne esclusi.
Chi? Non gli Ebrei di ieri, ma proprio quelli di oggi. Anzi proprio quelli che hanno
già creduto in Cristo. Proprio costoro sono esposti alla perdizione eterna.
È giusto allora che ognuno si chieda perché regni questo grave pericolo. La
risposta non può essere che una sola: finché si è su questa terra, nessuno ha
raggiunto il riposo promesso da Dio.
Siamo tutti in cammino, nessuno vi è ancora arrivato, né mai potrà dirsi nel
riposo di Dio chi è su questa terra.
Il riposo di Dio si raggiunge con la morte e finché si è in vita si cammina verso
di esso.
Chi alla fine potrà essere giudicato non degno di entrare nel riposo di Dio? Tutti
coloro che sono caduti dalla fede, che non hanno perseverato in essa.
Ma in quale fede avrebbero dovuto perseverare tutti costoro? Nell’ascolto della
Parola che Dio aveva fatto risuonare loro per mezzo di Cristo Gesù, Parola
dallo stesso Gesù consegnata allo Spirito perché introducesse i credenti nella
pienezza della sua verità.
Cadere dalla fede è facile. È sufficiente distaccarsi da una sola Parola del
Vangelo e si è già senza più fede nel cuore.
Questo rischio è sempre dinanzi ai nostri occhi. Anche la teologia e i suoi
molteplici e complessi sistemi di interpretazione del mistero potrebbero essere
una vera caduta dalla fede.
È caduta dalla fede perché si lascia la Parola di Dio e ci si affida a dei sistemi di
comprensione che mai potranno esaurire il contenuto di verità e di sapienza che
emana da essa.
Il cristiano deve vigilare perché questo mai accada. Deve porre ogni attenzione
non solo a rimanere nella Parola, ma anche a crescere nella sua verità, oggi.
Tutto ciò che è stato ieri, è di ieri e deve rimanere di ieri. Oggi la Parola parla al
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
cuore; oggi lo Spirito conduce verso la verità tutta intera. Oggi è giusto che ci si
lasci parlare dalla Parola; oggi è cosa santa che ci si lasci guidare dallo Spirito
verso la verità tutta intera.
È questo il timore dell’Autore ed è ben fondato. Basta un niente e si è già fuori
della vera fede. Chi si pone fuori della fede corre il rischio di non entrare nel
riposo del Signore.
[2]Poiché anche a noi, al pari di quelli, è stata annunziata una buona
novella: purtroppo però ad essi la parola udita non giovò in nulla, non
essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato.
La buona novella è la nostra vocazione eterna: Dio ci chiama accanto a sé nella
gloria del Cielo, rivestiti della spiritualità che rifulge ora nel corpo di Cristo.
Il Vangelo che viene annunziato è la porta, la via attraverso cui bisogna
inoltrarsi per raggiungere la gloria promessa.
La verità che viene ora proclamata in questo versetto è questa: Il Vangelo si
annunzia, nel Vangelo bisogna rimanere. Si rimane nel Vangelo, rimanendo
uniti nella fede a quelli che lo annunziano.
Se si perde la fede nella Parola annunciata, se ci si separa da coloro che lo
annunciano, cioè gli Apostoli, non si è più nel Vangelo, si è fuori della via che
conduce all’eredità eterna, siamo semplicemente senza salvezza.
In altre parole: Dio non parla direttamente ai cuori, Dio non spiega direttamente
la sua verità alle menti e alle intelligenze.
C’è la mediazione sia nel dono della Parola che nell’insegnamento e nella
comprensione di essa.
Nel Vangelo non c’è autonomia né di comprensione, né d’interpretazione, né di
lettura, né di spiegazione.
Nel Vangelo c’è solamente ascolto: ascolto di annunzio, ascolto di
insegnamento, unità di verità e unità di fede; legame di comprensione e di
interpretazione.
Questo significa che l’elemento che dona vita alla Parola è il mediatore della
Parola e il mediatore è l’Apostolo del Signore.
Nella Chiesa si ascolta il mediatore, si segue l’insegnamento dell’Apostolo, in
una comunione di fede, di verità, di dottrina, di comprensione.
Questa comunione non è facoltativa, è obbligatoria se si vuole rimanere nella
verità della salvezza, se si vuole percorrere la via che conduce alla gloria
eterna, che è la nostra vocazione.
Questo ci deve anche condurre ad affermare che quanti sono senza l’Apostolo,
il mediatore della Parola, sono anche senza la retta fede nel Vangelo. La parola
che costoro danno o che vivono non è per quanti la vivono garanzia di verità,
certezza di cammino sicuro.
Chi non entrò nella Terra Promessa tra quanti sono usciti dall’Egitto? Tutti
coloro che non hanno ascoltato la Parola che veniva loro annunziata per mezzo
del Mediatore Mosè. Mosè era la voce di Dio in mezzo a loro. L’unione di fede
98
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
con Mosè era garanzia di verità, sicurezza nel cammino verso la Terra,
certezza di realizzare ogni buona e santa promessa di Dio.
Chi non entrerà nella gloria del Cielo? Tutti coloro che si distaccano, si sono
distaccati e si distaccheranno da Coloro che Dio ha costituiti Mediatori della
Sua Volontà di Salvezza, Portatori agli uomini della Sua Verità, Annunciatori del
Suo Vangelo, Suoi ministri per indicare la via del Cielo ad ogni uomo.
Non bisogna mai dimenticare che una delle note costitutive della Chiesa è
proprio l’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli. Questa verità la troviamo sia
negli Atti degli Apostoli, che nel Credo.
Atti degli Apostoli cap. 2,42: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento
degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.
E nel Credo: Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica.
L’apostolicità della Chiesa è proprio in ordine al dono attuale della Verità,
assieme all’altro dono della grazia. Grazia e verità vengono dall’Apostolo e
senza Apostolo non c’è verità, non c’è grazia di Cristo Gesù.
[3]Infatti noi che abbiamo creduto possiamo entrare in quel riposo,
secondo ciò che egli ha detto: Sicché ho giurato nella mia ira: Non
entreranno nel mio riposo! Questo, benché le sue opere fossero compiute
fin dalla fondazione del mondo.
Il riposo di Dio è quello eterno. È il Paradiso. Verso questo riposo deve
camminare il cristiano.
La via è la fede nella Parola. La fede nella Parola si conserva rimanendo uniti a
coloro che sono i Ministri e i Mediatori sulla terra della Parola di Dio.
La fede inizia nel momento in cui si ascolta la Parola e la si accoglie nel cuore.
La fede rimane, finché rimane nel cuore la Parola assieme alla comunione con
coloro che sono gli Strumenti del dono della Parola.
Per gli Ebrei il “riposo” iniziale era il possesso della Terra Promessa. Per i
cristiani, per tutti coloro che sono dopo di Cristo, il riposo è la vita eterna nel
Paradiso.
È questa anche la preghiera della Chiesa verso coloro che sono morti. Per loro
chiede il riposo eterno: “L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la
luce perpetua. Riposino in pace”.
Il riposo eterno, la pace eterna, la luce perpetua regnano solo nel Paradiso. La
terra è luogo di travaglio, di cammino, di fatica, di sofferenza, di croce, di dolore,
di affanno, di inquietudine, di morte.
Il Paradiso è luogo di gioia, di pace, di riposo, di tranquillità, di non affanno, di
non più lacrime, di serenità eterna.
Verso questa eternità di gioia e di pace, di serenità e di amore il cristiano deve
camminare lungo tutto il cammino della sua vita e il cammino deve farlo nella
fede. Questa è la nostra verità. Ogni altro insegnamento contrario è falsità,
errore, idolatria, menzogna, pensiero dell’uomo, non certo insegnamento di
99
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Cristo, trasmesso secondo verità da coloro che Lui stesso ha costituito suoi
ministri e amministratori dei suoi misteri.
L’argomentazione si fa delicata, anzi sottile. Per comprenderla non dobbiamo
dimenticarci che l’Autore sta parlando agli Ebrei.
Chi sono gli Ebrei? Sono i discendenti di Abramo, ai quali il Signore aveva
promesso la Terra calpestata da Abramo.
Domanda: questa Terra era la realtà ultima, o solo figura di ciò che il Signore
avrebbe un giorno dato a tutti quelli che avrebbero vissuto secondo la fede di
Abramo?
Per l’Autore non ci sono dubbi. L’eredità di Abramo è Cristo Signore. L’eredità
dei figli di Israele non è quella cui li ha condotti Mosè, è invece quella cui li
conduce Cristo Gesù.
Qual è la conclusione? Gli Ebrei non sono ancora entrati nel luogo del loro
riposo. Loro vi entreranno se ascolteranno la Parola di Cristo e ad essa
rimarranno uniti ascoltando coloro che Gesù ha posto e costituito Mediatori
della sua grazia e della sua verità.
Con questo versetto e con quelli che seguono immediatamente dopo, l’Autore
sposta il luogo del riposo: dalla Terra Promessa alla Gloria Celeste.
Non è lui in realtà che lo sposta, è la stessa Scrittura, che lui legge alla luce
dello Spirito Santo.
Infatti: Se si collega l’ultima frase di questo versetto con quanto segue, si
comprende ogni cosa con molta facilità. Proviamoci:
Benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo.
[4]Si dice infatti in qualche luogo a proposito del settimo giorno: E Dio si
riposò nel settimo giorno da tutte le opere sue.
Dopo che Dio ha creato il mondo (benché le sue opere fossero compiute fin
dalla fondazione del mondo), finisce per il Signore il lavoro e Lui entra nel suo
riposo.
Lo afferma con ogni chiarezza la Genesi (cc1,1-2-4), nei quali è descritta tutta
la Creazione di Dio, che finisce con l’affidamento del Creato all’uomo e con il
riposo del Signore. Finisce l’opera di Dio, inizia quella dell’uomo. Qual è l’opera
dell’uomo? Quella di portare se stesso in Dio, nella sua gloria, secondo l’Autore
della Lettera agli Ebrei.
Ora però ci interessa sapere che Dio è entrato nel suo risposo al termine del
lavoro e che l’uomo entrerà anche lui nel riposo di Dio al termine del suo lavoro.
Leggiamo:
“In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le
tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse:
Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce
dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina:
primo giorno.
100
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Dio disse: Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque
dalle acque. Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il
firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. Dio
chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Dio disse: Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo
e appaia l'asciutto. E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa
delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: La terra
produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che
facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie. E
così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna
secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme,
secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina:
terzo giorno.
Dio disse: Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla
notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da
luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra. E così avvenne: Dio fece le
due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per
regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare
la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio
vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
Dio disse: Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la
terra, davanti al firmamento del cielo. Dio creò i grandi mostri marini e tutti
gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie,
e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.
Dio li benedisse: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari;
gli uccelli si moltiplichino sulla terra. E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
Dio disse: La terra produca esseri viventi secondo la loro specie:
bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie. E così
avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame
secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio
vide che era cosa buona. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine,
a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo,
sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano
sulla terra. Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del
mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra. Poi Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su
tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il
vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti
gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo
ogni erba verde. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era
cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora
Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel
settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo
101
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva
fatto”.
Qual è il lavoro che l’uomo dovrà fare? Esso è uno solo: entrare e rimanere
nella Parola di Dio.
La Parola di Dio che lo ha fatto, la stessa Parola lo nutre, lo conduce, lo guida,
lo sostiene, lo protegge, lo conserva in vita, lo porta nel luogo del riposo di Dio.
Entrare e non rimanere non dona vita. La vita è nell’entrare e nel rimanere.
Si entra ascoltando la predicazione degli Apostoli. Si rimane ascoltando
l’insegnamento degli Apostoli.
La Parola della vita è di Cristo Gesù. Cristo l’ha donata agli Apostoli. Gli
Apostoli la danno non una volta per sempre. La danno insegnandola, la
insegnano donandola, oggi, in quest’ora storica, in questo momento del lavoro
dell’uomo.
[5]E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo!
Questo versetto – lo si è già citato in tutto il contesto del salmo 94 – viene qui
riportato con un solo intento.
Anche questa verità è già stata annunziata: è il passaggio dalla Terra
Promessa alla Promessa dei Cieli Nuovi e della Terra Nuova.
Il viaggio sia degli Ebrei che di ogni altro uomo è questa vocazione ad
incamminarsi verso i Cieli Nuovi e la Terra Nuova.
La Terra Promessa è solo figura; se è figura di una realtà più grande, divina,
anche gli Ebrei sono chiamati a cambiare l’oggetto della loro speranza e quindi
la fonte della loro fede.
Non si può cambiare l’oggetto della Speranza se non si cambia la fonte della
fede.
La fonte della fede è Cristo. Cristo ha costituito strumenti della Sua Fonte gli
Apostoli nella Chiesa.
Ascoltando la Parola degli Apostoli si accoglie la Nuova Promessa, perché
Nuova è la Parola della Fede.
Si può comprendere tutto questo, se si puntualizza una piccolissima verità: la
fede che noi professiamo non è in Dio. La fede è nella Parola di Dio. La fede è
nella Parola che Dio ci dona oggi.
Poiché Dio oggi parla, oggi dona la Parola, oggi noi dobbiamo credere nella
Parola che Lui ci dona.
Se rimaniamo ancorati alla Parola di ieri, siamo fuori della retta fede. La fede di
ieri era per ieri. La fede di oggi è per oggi. Oggi Dio parla per oggi. Domani
parlerà per domani.
Dio, per mezzo di Mosè, ha parlato in Egitto. Si è compiuta la liberazione.
Quella Parola serviva al faraone per lasciare partire il suo popolo.
102
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Il popolo è partito. C’è un mare da attraversare, c’è un deserto da percorrere.
Dio quotidianamente deve parlare. La fede è nella Parola quotidiana di Dio.
Israele è entrato nella Terra Promessa. Questo possesso è solo figura, non
realtà della sua vera vocazione.
La realtà della sua vocazione Dio l’annunzia, preparandola, con i profeti. La
compie in Cristo. L’annunzia attraverso la Parola di Cristo.
Chi non ascolta la Parola di Cristo rimane fuori della realtà. Resta nella figura,
ma la figura non è il compimento della promessa di Dio.
In altre parole: il riposo di Dio non è la Terra, bensì il Cielo. Il Cielo non è
manifestato dalla Parola di Mosè, ma da quella di Cristo Gesù.
La Parola della fede è ora quella di Cristo Gesù. Chi ci dona questa parola e
come essa ci viene donata?
Questa Parola ce la donano gli Apostoli oggi attraverso l’annunzio e
l’insegnamento.
Finché dura il cammino verso il Cielo, chi vuole pervenire ed entrare in esso,
deve ascoltare Parola ed insegnamento degli Apostoli.
[6]Poiché dunque risulta che alcuni debbono ancora entrare in quel riposo
e quelli che per primi ricevettero la buona novella non entrarono a causa
della loro disobbedienza, [7]egli fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo in
Davide dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri
cuori!
Qui l’Autore fa un altro passaggio, in verità già presentato, anche se non ancora
con tutta la chiarezza che ora merita che gli venga donata.
Ci sono due Parole di Dio. È su questa “duplice” Parola di Dio che tutta
l’argomentazione dell’Autore si fonda.
La prima Parola Dio l’ha detta nel deserto. Lì Egli promise che quanti non
avevano ascoltato la sua voce non sarebbero entrati nel luogo del suo riposo.
Il riposo contenuto in questa “prima” Parola di Dio è la Terra Promessa, figura,
non realtà, della vera e definitiva promessa di Dio.
Quanti hanno creduto sono entrati nel riposo di Dio. Sono entrati però nella
figura, non nella realtà del riposo.
Nella realtà del riposo, che è il Cielo, sarebbero dovuti entrare, ma per questo
avrebbero dovuto iniziare ad ascoltare nuovamente il Signore che con sapienza
e saggezza infinita li stava conducendo.
Avvenne invece che il popolo si concentrò tutto sulla terra già conquistata,
pensando che questo fosse il luogo definitivo del suo riposo.
Su questo errore cominciò ad interpretare ogni nuova Parola di Dio. Così
operando altro non faceva se non portare sempre e continuamente la sua
vecchia storia, il suo vecchio riposo, la figura nella nuova realtà di Dio, anziché
la nuova realtà di Dio nella sua vecchia storia e nel suo vecchio riposo.
103
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
In fondo Israele commise lo stesso errore di molti uomini di Chiesa: anziché
portare tutto l’Antico Testamento nella realtà nuova di Cristo, hanno portato la
realtà nuova di Cristo nella vecchia struttura dell’Antico Testamento.
Qual è il risultato? Ci si taglia fuori del cammino verso il riposo verso cui Dio sta
conducendo ogni uomo.
Questo accade quando ci si dimentica che la fede non è in Dio, ma nella sua
Parola; e per noi: quando ci dimentichiamo che la fede non è solo nella Parola
di Dio, ma anche nella Verità tutta intera cui conduce lo Spirito del Signore,
mediante l’Apostolo di Cristo Gesù.
Anche ogni sistema teologico deve essere considerato e visto come una
fotografia, che blocca la verità in quell’attimo in cui il sistema viene pensato.
Una fotografia non è la verità tutta intera della Parola. È un momento di essa.
Da aggiungere che lo stesso “soggetto” può essere visto da angolazioni
differenti ed ecco nello stesso tempo, nello stesso luogo, diverse sfaccettature,
che altro non sono che un insieme di fotogrammi dell’unica verità in quel
medesimo ed unico tempo.
Questo vuol dire una cosa sola: la storia di ieri, tutta la storia della santità
cristiana, deve essere considerata come una fotografia della verità tutta
intera cui fino a quel momento ha condotto lo Spirito Santo. Quella storia
però non è la verità tutta intera. Oggi lo Spirito parla alla sua Chiesa, oggi
bisogna porsi all’ascolto dello Spirito Santo, come domani, come sempre.
[8]Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe
parlato, in seguito, di un altro giorno.
Viene ancora una volta affermato con chiarezza il mistero della promessa di
Dio. Viene detto che la vera terra non è la Terra di Canaan, bensì quella del
Cielo.
In effetti è così. Se la Terra Promessa fosse l’oggetto della rivelazione di Dio,
con l’entrata del Popolo del Signore in quella Terra, la rivelazione si sarebbe
potuta considerare conclusa.
Dio ha chiamato Abramo, gli ha promesso la Terra, ora che la promessa è stata
realizzata, tutto si sarebbe potuto dichiarare finito.
Invece nulla di tutto questo: lo sguardo di Dio è perennemente oltre ogni
conquista già acquisita e ogni promessa già realizzata, compiuta.
Lo sguardo di Dio è verso un’altra promessa, un’altra salvezza, un’altra
liberazione, un altro popolo, un’altra conquista.
È quest’altra cosa che interessa al Signore ed è per essa che Lui lavora, opera.
Se Israele non comprende questo, nulla ha compreso della sua vocazione,
nulla ha compreso di Dio, nulla sa di se stesso.
Dio è infinitamente oltre lo stesso senso letterale della sua Parola, di ogni sua
Parola.
Ogni Parola di Dio è carica di mistero, che nessuna realizzazione, nessun
compimento potrà mai esaurire.
104
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Dio vuole attrarre al suo mistero che è infinito, eterno, incommensurabile, oltre
ogni possibile comprensione.
Verso questo mistero egli conduce l’uomo, se questi si lascia condurre.
Per lasciarsi condurre, l’uomo deve porgere l’orecchio ad ogni Parola che Dio fa
udire nell’oggi della storia.
Se Lui ha parlato prima con Mosè e poi con Davide, la Parola detta per bocca di
Davide e l’altra detta per bocca di Mosè non sono la stessa cosa. Non lo sono
perché la storia è cambiata, l’uomo è cambiato.
L’uomo a cui parla Mosè è uno. L’uomo a cui parla Davide è un altro. Ciò che
Dio dice per bocca di Mosè non è ciò che dice per bocca di Davide.
Chi non porge ascolto a ciò che Dio veramente vuole dire, rimarrà sempre nella
più nera delle confusioni e nessuna verità potrà mai farsi strada nel suo cuore.
Ogni Parola di Dio ha un suo significato particolare ed è questo significato che
ci conduce verso la pienezza del mistero che Dio vuole realizzare attraverso
noi.
La Parola di Davide rivela dunque che c’è una Terra oltre la Terra Promessa;
ci dice che la Terra Promessa non è la Terra di Dio, quella ultima e definitiva.
Ci dice anche che c’è la reale possibilità che questa Terra non venga raggiunta,
se oggi non si pone ascolto alla Voce del Signore.
L’Autore non ha dubbi, leggendo la Scrittura: Dio parla oggi. La vera saggezza
dell’uomo è sapere e volere ascoltare il Dio che parla oggi.
L’oggetto della fede non è la Parola di ieri, è la Parola di oggi. È questa Parola
che ci introduce verso la Terra oltre ogni terra già conquistata.
[9]E` dunque riservato ancora un riposo sabatico per il popolo di Dio.
Anche questo riposo sabatico è oltre il riposo sabatico, o dell’anno giubilare
allora vissuto.
Cosa è in verità l’anno sabatico e l’altro anno: quello del grande giubileo?
Leggiamo in Levitico 25:
Circa l’Anno sabatico (Lev 25,1-7): “Il Signore disse ancora a Mosè sul monte
Sinai: Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando entrerete nel paese che io vi dò,
la terra dovrà avere il suo sabato consacrato al Signore. Per sei anni seminerai
il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno
sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del
Signore; non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Non
mieterai quello che nascerà spontaneamente dal seme caduto nella tua
mietitura precedente e non vendemmierai l'uva della vigna che non avrai
potata; sarà un anno di completo riposo per la terra. Ciò che la terra
produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua
schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te; anche al tuo
bestiame e agli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento quanto
essa produrrà”.
105
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Circa l’Anno del giubileo (Lev. 25,8-28): “Conterai anche sette settimane di
anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un
periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare
la tromba dell'acclamazione; nel giorno dell'espiazione farete squillare la tromba
per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la
liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di
voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà
per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi
produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché
è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i
campi.
In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo. Quando
vendete qualche cosa al vostro prossimo o quando acquistate qualche cosa dal
vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello. Regolerai l'acquisto che farai
dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l'ultimo giubileo:
egli venderà a te in base agli anni di rendita. Quanti più anni resteranno, tanto
più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il
prezzo; perché egli ti vende la somma dei raccolti.
Nessuno di voi danneggi il fratello, ma temete il vostro Dio, poiché io sono il
Signore vostro Dio. Metterete in pratica le mie leggi e osserverete le mie
prescrizioni, le adempirete e abiterete il paese tranquilli. La terra produrrà frutti,
voi ne mangerete a sazietà e vi abiterete tranquilli. Se dite: Che mangeremo il
settimo anno, se non semineremo e non raccoglieremo i nostri prodotti?, io
disporrò in vostro favore un raccolto abbondante per il sesto anno ed esso vi
darà frutti per tre anni. L'ottavo anno seminerete e consumerete il vecchio
raccolto fino al nono anno; mangerete il raccolto vecchio finché venga il nuovo.
Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete
presso di me come forestieri e inquilini. Perciò, in tutto il paese che avrete in
possesso, concederete il diritto di riscatto per quanto riguarda il suolo. Se il tuo
fratello, divenuto povero, vende una parte della sua proprietà, colui che ha il
diritto di riscatto, cioè il suo parente più stretto, verrà e riscatterà ciò che il
fratello ha venduto. Se uno non ha chi possa fare il riscatto, ma giunge a
procurarsi da sé la somma necessaria al riscatto, conterà le annate passate
dopo la vendita, restituirà al compratore il valore degli anni che ancora
rimangono e rientrerà così in possesso del suo patrimonio. Ma se non trova da
sé la somma sufficiente a rimborsarlo, ciò che ha venduto rimarrà in mano al
compratore fino all'anno del giubileo; al giubileo il compratore uscirà e l'altro
rientrerà in possesso del suo patrimonio”.
Si è già detto che bisogna andare oltre tutto l’esistente. C’è qualcosa che si
deve compiere e ciò che si è compiuto è solamente una pallidissima figura.
Il riposo sabatico è quello eterno. Sarà nel cielo che l’uomo smetterà di
lavorare. Ora, fino a quel giorno, dovrà sempre lavorare e il suo lavoro consiste
in una sola opera: condurre se stesso nel Regno dei Cieli, accogliendo e
rimanendo nella Parola che Dio oggi dona all’uomo.
Questo riposo sabatico inizia accogliendo l’anno di grazia, o il giubileo che
Cristo Gesù è venuto ad annunziare, proclamare, bandire.
106
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Esso dona la remissione di ogni peccato, l’espiazione di ogni debito, la
cancellazione di ogni pena dovuta alle colpe, in modo che ogni uomo possa
iniziare come nuova creatura il suo nuovo cammino che lo porterà nella nuova
terra.
Nuova creatura, nuovo cammino, nuova Parola, nuova Terra, nuovo riposo,
nuova vita: vita eterna che è posta tutta nella Parola nuova che Gesù è venuto
a portare sulla nostra terra e che gli Apostoli hanno iniziato a predicare per tutto
il mondo, offrendo ad ognuno la grazia e la verità che sono in Cristo Gesù.
Anche gli Ebrei devono passare dal vecchio anno sabatico al nuovo e dal
vecchio giubileo al nuovo. Chi non fa questo passaggio, rimane nella vecchia
Parola e quella non dona più salvezza, perché ora la Parola di Dio è Cristo
Gesù ed è data per mezzo dei suoi Apostoli.
È l’Antico Testamento che invita ad andare oltre se stesso. Guai a fermarsi ad
esso. Non è più strumento di vera vita.
Così è per il Nuovo Testamento. Anche Esso ci invita ad andare sempre oltre, a
non fermarsi alla sua Lettera, perché la Lettera deve essere letta e spiegata
dallo Spirito Santo.
Tutti i guai nella Chiesa nascono nel momento in cui ci si ferma a ieri: alla
Parola di ieri, alla comprensione di ieri, alla teologia di ieri, alla spiritualità di ieri,
al Movimento di ieri, al Gruppo di ieri, all’Associazione di ieri, all’Ordine di ieri,
alla Congregazione di ieri.
Lo Spirito non può essere fermato a “ieri”. Lo Spirito oggi parla alla Chiesa,
all’uomo, alle comunità, alle Chiese, ad ogni associazione ed è oggi che
bisogna ascoltarlo, perché bisogna andare sempre oltre, infinitamente oltre,
oltre fino al raggiungimento della pienezza della verità: pienezza di ieri che non
può essere più pienezza di oggi. Ad ogni giorno la sua pienezza, ad ogni giorno
il superamento di ieri.
Questa è la struttura della via eterna: il cammino nell’oggi dello Spirito Santo.
[10]Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch'egli dalle sue opere,
come Dio dalle proprie.
Dio ha cessato dalle opere compiute non appena ebbe finito la creazione del
cielo, della terra, dell’uomo.
Ha cessato dopo aver affidato l’universo alle cure e alla custodia dell’uomo.
L’uomo, quando entrerà nel suo riposo? Entrerà dopo aver finito il
completamento del suo cammino, dopo aver percorso tutta la via che lo
conduce nella Nuova Terra e nei Nuovi Cieli.
Quello dell’uomo è un cammino inverso a quello di Dio. Dio si riposò dopo aver
compiuto un’opera fuori di sé. L’uomo si riposa dopo aver portato a compimento
l’opera dentro di sé.
Come porta a compimento quest’opera? Accogliendo ogni Parola che Dio
proferisce oggi, o di cui oggi dona il suo vero significato e realizzandola nella
sua carne, nel suo spirito, nella sua anima.
107
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Con la Parola Dio crea l’universo fuori di sé. Con la stessa Parola che è fuori di
Sé, perché è da Dio, l’uomo crea l’universo di Dio dentro di sé e l’universo di
Dio è la vita eterna.
Dal momento che l’uomo ancora non è entrato nel suo riposo è segno che
ancora deve lavorare. Gli Ebrei, poiché a loro è indirizzata la Lettera, non sono
nel riposo ultimo, definitivo, completo. Non sono neanche sulla giusta via. Per
loro il primo passo da fare è quello di passare dalla Parola di Dio alla Parola di
Cristo e dall’insegnamento dei loro Rabbini all’insegnamento degli Apostoli.
È attraverso questa via nuova che si entra nella vita nuova e si potrà
raggiungere il riposo ultimo, definitivo, vero, eterno.
In conclusione: L’Antico Testamento, Mosè, i Profeti, la Legge, le Istituzioni, lo
stesso culto, la moralità, la fede sono incompleti. Tutto è incompleto.
L’Antico Testamento ha il suo compimento in Cristo, la sua Verità in Cristo, il
suo Culto in Cristo, la sua vita in Cristo. Tutto è in Cristo e chi non passa a
Cristo rimane in una religione bloccata in se stessa, finita per sempre.
LA PAROLA DI DIO
[11]Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada
nello stesso tipo di disobbedienza.
Se è vero – ed è vero – quanto l’Autore ha dimostrato, argomentando con
l’Antica Scrittura, o Antico Testamento, nasce una urgenza per ogni coscienza.
La verità obbliga per se stessa. Una volta attestata, dimostrata, desunta,
argomentata, essa necessariamente deve essere accolta. Lo esige la natura
razionale dell’uomo.
Se non accetta la verità, non è più questione di razionalità, bensì di volontà.
Non è più per incapacità di comprendere, ma per cattiva volontà che non si
abbraccia la verità, non la si accoglie.
Nasce l’appello alla volontà. È per volontà che l’uomo può affrettarsi ad entrare
nel riposo che Dio gli offre, gli dona in Cristo Gesù.
Se la volontà si sottrae, non c’è alcuna argomentazione che possa valere. Ogni
parola risulterà inutile, vana, inefficace.
La volontà può soffocare la verità e la soffoca quando è nell’ingiustizia, nel
peccato, nella chiusura della mente e del cuore.
San Paolo ha una bellissima argomentazione su questa tematica della
relazione tra verità, volontà, ingiustizia, soffocamento della verità. La troviamo
nella Lettera ai Romani (c. 1):
“Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare
il vangelo di Dio, che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle
sacre Scritture, riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la
carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione
108
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. Per mezzo di lui
abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da
parte di tutte le genti, a gloria del suo nome; e tra queste siete anche voi,
chiamati da Gesù Cristo. A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per
vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi,
perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. Quel Dio, al quale
rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone
che io mi ricordo sempre di voi, chiedendo sempre nelle mie preghiere che per
volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi. Ho infatti un vivo
desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate
fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che
abbiamo in comune, voi e io.
Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di
venire fino a voi ma finora ne sono stato impedito per raccogliere qualche frutto
anche tra voi, come tra gli altri Gentili. Poiché sono in debito verso i Greci come
verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per
quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma. Io infatti non mi
vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque
crede, del Giudeo prima e poi del Greco. E` in esso che si rivela la giustizia di
Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. In realtà
l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di
uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può
conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla
creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere
contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna
potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo
Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma
hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente
ottusa.
Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria
dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli,
di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i
desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi
hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la
creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo
Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti
naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il
rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri,
commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la
punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la
conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza
depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni
sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di
omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio,
oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati,
sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio,
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a
farle, ma anche approvano chi le fa”.
L’Autore è esplicito, formalmente esplicito nella sua affermazione. Alla Parola di
Dio si risponde con l’ascolto, con l’obbedienza totale.
L’obbedienza è cambiamento di vita secondo la Parola ascoltata, allo stesso
modo che era cambiamento di cammino la Parola ascoltata durante l’Esodo, o il
viaggio nel deserto. Se non si cambia vita – e il cambiamento di vita è uno solo:
il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dall’Antica Parola di Dio alla
Nuova Parola di Dio – ci si mette nella disobbedienza e questa ha un solo
risultato: il non raggiungimento del riposo eterno di Dio.
Affrettarsi vuol dire non tergiversare, non rimandare, non ritardare e soprattutto
non giocare con il Signore, o peggio con il proprio peccato, la propria ingiustizia.
Chi non crede nella Nuova Parola di Dio e non si affretta difficilmente compirà
l’attraversamento del deserto della vita. Morirà nella sua ingiustizia, nella sua
idolatria, nella sua empietà.
[12]Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a
doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello
spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del
cuore.
Ancora una volta l’Autore rinvia alla Parola. Non alla Parola del Vangelo. Alla
Parola dell’Antico Testamento.
Quanto dice della Parola dell’Antico Testamento si applica per contenuto anche
a quella del Nuovo.
Ma lui non parte dalla Parola del Nuovo per dimostrare la verità della Parola del
Vecchio. Fa il ragionamento contrario: parte dalla Parola del Vecchio per
attestare che Essa non si esaurisce in se stessa. La forza della Parola
dell’Antico Testamento è proprio quella di condurre a quella del Nuovo.
Se non conduce a quella del Nuovo, è una Parola già morta, inutile per tutti
coloro che si affidano ad essa.
La salvezza non è in essa. La salvezza è altrove. È altrove che noi dobbiamo
cercarla. L’altrove dell’Antico Testamento è Cristo Signore, è la sua grazia, è la
sua verità.
I Versetti 12 e 13 sono un inno alla Parola, un canto alla sua verità.
È giusto che ogni affermazione sulla Parola venga compresa per se stessa. Le
molteplici comprensioni, singolarmente offerte, nell’insieme ci riveleranno tutta
la fede dell’Autore nella Parola di Dio.
Ecco l’esame dettagliato:
Infatti la parola di Dio è viva: La prima nota, o caratteristica della Parola di Dio
è l’affermazione che essa è viva. È viva perché Dio è vivo e la ricolma della sua
vita. È viva perché ha la forza in sé di rigenerarsi, di togliere da sé ciò che è
vecchio, ciò che era di ieri, e aggiungere ciò che è di oggi, che appartiene
all’ora presente della storia. È viva perché in essa opera lo Spirito Santo che la
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
ricolma con la vita della sua verità tutta intera. È viva perché ha la forza di
rendere vecchio ogni sistema teologico, ogni comprensione di Dio, ogni forma
di relazionarsi a Lui, ogni religione, ogni idea, ogni pensiero. Tutto rende
antiquato la Parola di Dio.
Per questo motivo è giusto, anzi doveroso non solo annunziare ogni giorno la
Parola di Dio, quanto anche ogni giorno insegnarla spiegandola, donando il suo
significato, quello che lo Spirito Santo detta alla mente e allo spirito di colui che
si piega sulla Scrittura per trarre ogni verità di salvezza, di redenzione, di
giustificazione, di vita eterna.
Lo Spirito Santo è nella Parola e solo in Essa. Ogni altra verità bisogna
comprenderla partendo dalla Parola, lasciandosi giudicare da Essa.
È questo l’unico metodo e il solo, se si vuole portare verità e salvezza in questo
mondo.
Gesù diede come comando ai suoi Apostoli di andare per il mondo e di
annunziare la Sua Parola. Annunziando, spiegandola, facendola comprendere
nella sua verità sempre più piena verso cui conduce lo Spirito del Signore, essi
donano ad ogni uomo la possibilità di essere salvati.
Efficace: Poiché è viva, essa produce salvezza. È questa l’efficacia della
Parola. Quando essa viene accolta in un cuore, lo smuove, lo rimuove, lo libera
dal peccato, lo apre alla grazia, lo spinge verso la santità.
È efficace perché essa opera sempre un giudizio di approvazione o di
condanna di ogni azione dell’uomo.
Qual è, però, l’efficacia che è nella Parola? Essa non è efficacia sacramentale.
Questo genere di efficacia produce gli effetti, al di là della santità di chi
amministra il sacramento.
L’efficacia della Parola è subordinata alla santità di chi l’annunzia e alla fede di
chi l’ascolta.
Nella santità di chi l’annunzia dimora lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è nella
Parola annunziata perché è nel cuore di chi l’annunzia. Con la Parola
annunziata scende nel cuore di chi l’accoglie con fede e lo apre a Cristo, al suo
mistero, alla sua verità, alla sua grazia, alla sua santità.
In un cuore pieno di peccato, la Parola non abita nella sua vita e non se non
vive in noi, neanche può essere efficace. È una parola morta quella che si
dona.
Va da sé che una parola morta donata non può mai generare vita. Da qui la sua
inefficacia, la sua vanità, la sua inefficienza, il suo nulla.
Tutti i fallimenti della pastorale risiedono in questa parola morta in noi che si
dona agli altri. È morta in noi, perché il nostro cuore è morto alla verità e alla
grazia di Cristo Gesù.
La parola morta è anche senza contenuti di verità. Essa è priva di ogni forza
vitale. Con essa il mondo resta quello che è: nel suo peccato e nella sua falsità.
111
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
In ordine all’argomento della Lettera, queste due prime note della Parola si
rivestono di un significato ben preciso, che possiamo così sintetizzare:
-
Come ogni organismo che vive, vive pienamente compiuto nel presente, ma
anche la compiutezza nel presente è incompiutezza per rapporto al futuro.
La Parola di Dio che è viva, si deve cogliere nella vita del giorno. Oggi per
oggi, domani per domani. Mosè parlò ai figli di Israele nel deserto. I Profeti
parlano ai figli di Israele nella Terra Promessa. Cristo Gesù parlò alle pecore
perdute della casa di Israele. Gli Apostoli dovranno parlare ogni giorno al
mondo intero. Oggi Dio parla per mezzo degli Apostoli. Sono oggi loro che ci
danno la Parola di Dio, quella vera. Oggi per oggi. Domani per domani.
-
L’efficacia della Parola, oggi, non è quella di Mosè, non è quella dei Profeti,
neanche è quella proferita da Gesù Signore. L’efficacia, oggi è data da Colui
che la Parola proferisce. Se proferisce la Parola di Dio, questa diviene
efficace. Se non proferisce la Parola di Dio, la parola dell’uomo non ha
alcuna efficacia. L’efficacia è della Parola di Dio viva ed è viva la Parola di
Dio detta oggi dagli Apostoli e questa Parola è efficace.
Nasce per tutti l’obbligo di stringersi in comunione di verità e di fede con gli
Apostoli, perché sono loro i portatori nel mondo della Parola viva ed efficace del
Dio vivente.
La Parola è viva in loro, se è vivo lo Spirito di Cristo in loro. Per questo in loro
deve essere grande la santità.
E più tagliente di ogni spada a doppio taglio: la spada serve a separare. La
Parola di Dio separa bene e male, giusto ed ingiusto, sacro e profano, santità e
peccato, bontà e cattiveria, pensiero di Dio e pensiero dell’uomo, vie di Dio e
vie dell’uomo.
Chi vuole sapere cosa è bene e cosa è male, giusto ed ingiusto, opportuno e
non opportuno, conveniente e non conveniente, non può desumerlo dai suoi
pensieri; deve attingerlo nella Parola di Dio.
Questa verità obbliga ognuno che parla in nome di Dio a dire la Parola di Dio e
solo quella. Per questo deve offrire all’altro la più alta garanzia che ciò che dice
non è suo pensiero, sua volontà, sua decisione, suo desiderio, ma è solo Parola
di Dio.
Anche la più semplice delle deduzioni o argomentazioni, tratte dalla Parola,
devono essere perennemente verificate dalla Parola, se si vuole tagliare netto
bene e male, vie di Dio e vie degli uomini.
A questo non ci siamo. C’è una sostituzione capillare della volontà di Dio
facendo infiltrare in essa i nostri pensieri e ogni desiderio del nostro cuore.
Quando ognuno di noi avrà tanta onesta, tanta cura, tanta attenzione di non
aggiungere e di non togliere niente alla Parola di Dio, solo allora sarà un buon
amministratore nella sua casa.
È cosa disonesta aggiungere, o togliere alla Parola e dire che il risultato è
Parola di Dio, o Volontà di Dio, o Desiderio di Dio. L’attenzione in questo non
sarà mai sufficiente, mai troppa, mai abbastanza.
112
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Tutta la pastorale è inficiata dalla sostituzione della Volontà di Dio con i nostri
desideri o le nostre vie.
Essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle
giunture e delle midolla:
Quando la Parola viene annunziata, proclamata, proferita, detta, predicata,
insegnata, essa non lascia il cuore indifferente. Tutto l’uomo viene penetrato
dalla Parola e messo in questione, in discussione.
Dinanzi alla Parola di Dio non esiste indifferenza. O la si accoglie, o la si rifiuta.
Se la si accoglie essa produce un frutto di vita; se la si rifiuta genera un frutto di
morte. Ognuno deve rendere conto a Dio del perché ha rifiutato la Parola
ascoltata.
Non può dire: non sapevo che era tua Parola, oppure non l’ho riconosciuta
come tua Parola.
La Parola di Dio si fa riconoscere per se stessa, basta pronunciarla,
proclamarla. È questa la sua forza, questa la sua vita, questa la sua efficacia.
Perché allora molti non la riconoscono come Parola di Dio? Perché quella che
ascoltano spesso non è Parola di Dio. È un miscuglio di parole umane,
imbevute o intrise di qualche Parola di Dio, ma non è Parola di Dio.
La Parola di Dio, per essere Parola di Dio, deve essere libera da qualsiasi
parola umana, o pensiero umano, o desiderio umano.
Questa totalità esige la Parola, questa totalità dobbiamo darle. La Parola di Dio
è santa e non può essere inquinata da nessuna parola umana.
Detta e proferita nella sua santità, la Parola penetra nel cuore, nella mente,
arriva fino alle giunture e alle midolla. Tutto l’uomo, anche nelle sue parti più
inaccessibili, viene compenetrato di Parola del Signore.
E scruta i sentimenti e i pensieri del cuore: Anche i sentimenti e i pensieri
del cuore vengono scrutati dalla Parola di Dio, per appurare la loro verità, la loro
falsità, la loro confusione, la loro tenebra, la loro luce.
Niente che è nell’uomo rimane estraneo dinanzi alla forza della Parola e alla
potenza della sua luce che penetra in lui.
Questo accade, però, se quella che diciamo è Parola di Dio. Se non è Parola di
Dio nulla accade. Il cuore rimane freddo e l’anima nel suo sonno spirituale.
[13]Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui: Quanto finora
detto non vale solo per un uomo. Vale per tutti gli uomini indistintamente, di
ogni razza, popolo, lingua, tempo, luogo.
Fino alla consumazione dei secoli, finché ci sarà un solo uomo sulla terra, se
posto dinanzi alla verità e alla santità della Parola non potrà restare insensibile.
La Parola che penetra nel suo intimo lo scuote, lo muove, lo attira a sé, lo salva.
Perché allora tanto scetticismo dinanzi al parola annunziata? Perché spesso
quella che diciamo non è la Parola di Dio, quella che doniamo non è la verità di
113
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Dio. Sono o parole, o sistemi di pensiero, o vie che Dio non ha scelto, non ha
voluto, non ci ha comandato né di dire, né di fare.
Questo implica che c’è un dovere costante in noi, chiamati a dare la vera Parola
di Dio: quello di liberarci da ogni pensiero umano, ma anche da ogni forma e da
ogni struttura nella quale abbiamo calato la Parola di Dio.
La Parola di Dio può assumere ogni forma, ma senza identificarsi con nessuna
di esse. Può assumere anche ogni pensiero, ma restando sempre fuori di esso.
Dio è tutto in ogni cosa, ma è sempre fuori di ogni cosa. Ha una sua identità
Personale, anzi tri personale, essendo Lui Padre, Figlio e Spirito Santo
nell’unità di una sola natura, o sostanza divina.
Così deve essere detto della sua Parola: è in ogni pensiero, ma deve essere
fuori di ogni pensiero; è in ogni forma, ma deve essere fuori di ogni forma.
Essa deve verificare ogni pensiero, ogni forma, ogni via, ogni struttura, ogni rito,
ogni culto, sempre, in ogni tempo, in ogni luogo.
ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi: La Parola di Dio è luce eterna,
divina che brilla nelle nostre tenebre con chiarore più splendente di mille miriadi
di soli, di stelle, di galassie.
Tutto essa porta alla luce. Nulla rimane nascosto dinanzi ad essa.
Sorge una considerazione: se questa è la potenza della Parola, perché ci
arrabattiamo a dire parole umane? Non sarebbe più saggio, più intelligente, più
sapiente dire solamente Parole di Dio?
A questa considerazione ci risponde Cristo Gesù: la bocca parla della pienezza
del cuore. Se Dio è nel cuore, la bocca parla Parole di Dio. Se c’è il peccato, la
bocca dice parole di peccato, di tenebra, di buio, di menzogna (cfr. Mt 12,2237):
“In quel tempo gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo guarì,
sicché il muto parlava e vedeva. E tutta la folla era sbalordita e diceva: Non è
forse costui il figlio di Davide? Ma i farisei, udendo questo, presero a dire:
Costui scaccia i demòni in nome di Beelzebùl, principe dei demòni. Ma
egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: Ogni regno discorde cade in
rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia
satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo
regno?
E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li
scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. Ma se io scaccio i
demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. Come
potrebbe uno penetrare nella casa dell'uomo forte e rapirgli le sue cose, se
prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. Chi non è con
me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.
Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini,
ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà
male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito,
non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro. Se prendete un
114
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero
cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce
l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete
cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L'uomo buono dal
suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo
tesoro trae cose cattive. Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli
uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue
parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato”.
Chi vuole parlare Parole di Dio deve avere il cuore pieno di Dio. Questa verità
però ne dice un’altra: poiché è facile perdere Dio dal cuore, è anche facile
perdere la Parola di Dio dalle nostre labbra. Se non c’è la stabilità nella grazia:
oggi si parla di Dio e domani del diavolo; oggi si invita al bene e domani al
male; oggi si risponde alla tentazione e domani la si accoglie.
E a lui noi dobbiamo rendere conto: Dobbiamo rendere conto di ogni Parola
di Dio ascoltata e di come essa è stata messa a frutto.
La Parola di Dio è come il talento della Parabola. Chi la riceve deve farla
fruttificare. Essa è un dono divino e non può restare infruttuosa.
Anche questa verità è insegnata da Gesù con divina chiarezza. Leggiamo in
due passi distinti:
Vangelo secondo Matteo cap. 11,16-24: “Ma a chi paragonerò io questa
generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono
agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. E` venuto Giovanni, che non
mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E` venuto il Figlio
dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico
dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue
opere. Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il
maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: Guai a te, Corazin!
Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i
miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto
penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e
Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra.
E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi
precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in
te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del
giudizio avrà una sorte meno dura della tua!”.
Vangelo secondo Matteo cap. 25, 14-30: “Avverrà come di un uomo che,
partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno
diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua
capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò
altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri
due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel
terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
115
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo:
Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti
darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi
colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due
talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose
il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla
gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento,
disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e
raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento
sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo,
sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti
dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio
con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà
tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là
sarà pianto e stridore di denti.
Deve rendere conto a Dio chi è stato incaricato di annunziare la Parola e non lo
ha fatto, come anche colui al quale la Parola è stata annunziata e non l’ha fatta
fruttificare.
Il vero credente nella Parola di Dio è Giona. Lui si rifiuta di recarsi a Ninive
perché sapeva che se avesse proferito la Parola di Dio nella città, questa si
sarebbe convertita e per questo fugge lontano dal Signore.
Giona cc. 3 e 4: “Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del
Signore: Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò.
Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una
città molto grande, di tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la
città, per un giorno di cammino e predicava: Ancora quaranta giorni e Ninive
sarà distrutta. I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno,
vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re
di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise
a sedere sulla cenere. Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per
ordine del re e dei suoi grandi: Uomini e animali, grandi e piccoli, non
gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e bestie si
coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta
dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa
che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che
noi non moriamo? Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla
loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva
minacciato di fare loro e non lo fece”.
“Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore:
Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per ciò mi
affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e
clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male
minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire
116
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
che vivere! Ma il Signore gli rispose: Ti sembra giusto essere sdegnato così?
Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì un riparo di
frasche e vi si mise all'ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella
città.
Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per
fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande
gioia per quel ricino. Ma il giorno dopo, allo spuntar dell'alba, Dio mandò un
verme a rodere il ricino e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece
soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì
venir meno e chiese di morire, dicendo: Meglio per me morire che vivere. Dio
disse a Giona: Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?
Egli rispose: Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte! Ma il
Signore gli rispose: Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non
hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è
cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive,
quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che
non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande
quantità di animali?”.
È questo il conto che dobbiamo rendere a Dio. È un conto eterno: di vita, o di
morte, di Paradiso, o di inferno.
[14]Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha
attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione
della nostra fede.
Con questo versetto si entra nel vivo della Lettera e della sua argomentazione.
Ora viene annunciato Cristo, la Sua Persona, la Sua Opera, il Suo Sacrificio, i
Frutti di esso. Il tutto ci viene offerto nella sua distinzione e differenza con
quanto di analogo avveniva nell’Antico Testamento.
Chi è Cristo Gesù? La prima risposta è: un grande sommo sacerdote.
Ma chi era il sommo sacerdote? Era colui che compiva il grande rito di
espiazione per il popolo. Ecco come ce lo presenta il Libro del Levitico (cfr. Lev.
16,1-34).
“Il Signore parlò a Mosè dopo che i due figli di Aronne erano morti mentre
presentavano un'offerta davanti al Signore. Il Signore disse a Mosè: Parla ad
Aronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualunque tempo nel santuario,
oltre il velo, davanti al coperchio che è sull'arca; altrimenti potrebbe morire,
quando io apparirò nella nuvola sul coperchio. Aronne entrerà nel santuario
in questo modo: prenderà un giovenco per il sacrificio espiatorio e un ariete
per l'olocausto. Si metterà la tunica sacra di lino, indosserà sul corpo i calzoni di
lino, si cingerà della cintura di lino e si metterà in capo il turbante di lino. Sono
queste le vesti sacre che indosserà dopo essersi lavato la persona con l'acqua.
Dalla comunità degli Israeliti prenderà due capri per un sacrificio espiatorio e un
ariete per un olocausto. Aronne offrirà il proprio giovenco in sacrificio espiatorio
e compirà l'espiazione per sé e per la sua casa. Poi prenderà i due capri e li
farà stare davanti al Signore all'ingresso della tenda del convegno e
getterà le sorti per vedere quale dei due debba essere del Signore e quale di
117
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Azazel. Farà quindi avvicinare il capro che è toccato in sorte al Signore e
l'offrirà in sacrificio espiatorio; invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel
sarà posto vivo davanti al Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e
sia mandato poi ad Azazel nel deserto. Aronne offrirà dunque il proprio
giovenco in sacrificio espiatorio per sé e, fatta l'espiazione per sé e per la sua
casa, immolerà il giovenco del sacrificio espiatorio per sé.
Poi prenderà l'incensiere pieno di brace tolta dall'altare davanti al Signore e due
manciate di incenso odoroso polverizzato; porterà ogni cosa oltre il velo.
Metterà l'incenso sul fuoco davanti al Signore, perché la nube dell'incenso
copra il coperchio che è sull'arca e così non muoia. Poi prenderà un po’ di
sangue del giovenco e ne aspergerà con il dito il coperchio dal lato
d'oriente e farà sette volte l'aspersione del sangue con il dito, davanti al
coperchio.
Poi immolerà il capro del sacrificio espiatorio, quello per il popolo, e ne porterà il
sangue oltre il velo; farà con questo sangue quello che ha fatto con il sangue
del giovenco: lo aspergerà sul coperchio e davanti al coperchio. Così farà
l'espiazione sul santuario per l'impurità degli Israeliti, per le loro trasgressioni e
per tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda del convegno che si trova fra
di loro, in mezzo alle loro impurità.
Nella tenda del convegno non dovrà esserci alcuno, da quando egli entrerà nel
santuario per farvi il rito espiatorio, finché egli non sia uscito e non abbia
compiuto il rito espiatorio per sé, per la sua casa e per tutta la comunità
d'Israele. Uscito dunque verso l'altare, che è davanti al Signore, compirà il rito
espiatorio per esso, prendendo il sangue del giovenco e il sangue del capro e
bagnandone intorno i corni dell'altare. Farà per sette volte l'aspersione del
sangue con il dito sopra l'altare; così lo purificherà e lo santificherà dalle
impurità degli Israeliti. Quando avrà finito l'aspersione per il santuario, per la
tenda del convegno e per l'altare, farà accostare il capro vivo.
Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte
le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà
sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via
nel deserto. Quel capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione
solitaria, sarà lasciato andare nel deserto. Poi Aronne entrerà nella tenda del
convegno, si toglierà le vesti di lino che aveva indossate per entrare nel
santuario e le deporrà in quel luogo. Laverà la sua persona nell'acqua in
luogo santo, indosserà le sue vesti e uscirà ad offrire il suo olocausto e
l'olocausto del popolo e a compiere il rito espiatorio per sé e per il popolo. E
farà ardere sull'altare le parti grasse del sacrificio espiatorio.
Colui che avrà lasciato andare il capro destinato ad Azazel si laverà le vesti,
laverà il suo corpo nell'acqua; dopo, rientrerà nel campo. Si porterà fuori del
campo il giovenco del sacrificio espiatorio e il capro del sacrificio, il cui sangue
è stato introdotto nel santuario per compiere il rito espiatorio, se ne bruceranno
nel fuoco la pelle, la carne e gli escrementi. Poi colui che li avrà bruciati dovrà
lavarsi le vesti e bagnarsi il corpo nell'acqua; dopo, rientrerà nel campo. Questa
sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, nel decimo giorno del mese,
vi umilierete, vi asterrete da qualsiasi lavoro, sia colui che è nativo del paese,
118
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi. Poiché in quel giorno si compirà il
rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri
peccati, davanti al Signore. Sarà per voi un sabato di riposo assoluto e voi vi
umilierete; è una legge perenne. Il sacerdote che ha ricevuto l'unzione ed è
rivestito del sacerdozio al posto di suo padre, compirà il rito espiatorio; si
vestirà delle vesti di lino, delle vesti sacre. Farà l'espiazione per il santuario,
per la tenda del convegno e per l'altare; farà l'espiazione per i sacerdoti e per
tutto il popolo della comunità. Questa sarà per voi legge perenne: una volta
all'anno, per gli Israeliti, si farà l'espiazione di tutti i loro peccati. E si fece
come il Signore aveva ordinato a Mosè”.
La prima differenza che qui viene affermata è questa: Gesù grande sommo
sacerdote non entra nella tenda del convegno, né nel tempio costruito
dall’uomo, anche se luogo della presenza di Dio.
Gesù entra nel cieli, li attraversa. Il Cielo è il luogo della dimora di Dio. Gesù va
direttamente presso Dio, non sulla terra, ma nel Cielo. Lui entra nel Santuario
del Cielo.
Perché entra nel Santuario del Cielo? Per compiere il sacrificio di espiazione
per i peccati del popolo. Ma non di un popolo. Di ogni uomo.
La “liturgia” con Gesù si sposta dalla terra al cielo, dal tempio costruito da mani
d’uomo, ad un tempio eterno, dimora eterna di Dio.
Cristo entra nel cielo. Accede direttamente al trono della gloria eterna di Dio. A
Lui direttamente offre il sacrificio per il perdono dei peccati.
Ora interessa affermare questa prima differenza, che non è solo accidentale, è
sostanziale. Gesù è Colui che può accedere al trono eterno di Dio nel Cielo. È
Colui che può vedere Dio faccia a faccia e faccia a faccia può pregarlo,
invocarlo, come un uomo fa con un altro uomo.
Mosè non vide mai la faccia di Dio. Né mai è salito al Cielo. Mosè ha incontrato
il Signore sul monte e gli parlava dalla nube.
Anche questa è differenza sostanziale tra Cristo e Mosè. Se è sostanziale la
differenza, sostanziale è anche la differenza con la Persona sia di Mosè che del
sommo sacerdote.
Questa differenza è già stata presentata dall’Autore: tutti gli altri sono servi,
ministri, strumenti. Gesù è il Figlio di Dio. Per questo può entrare nei Cieli, li può
attraversare. Entra come Figlio. Li attraversa come Figlio. Si presenta al Padre
come Figlio. Figlio non creato, ma generato, della stessa sostanza del Padre e
questa generazione è eterna, prima della creazione del mondo.
Questa verità esige che noi manteniamo ferma la professione della nostra fede.
Qual è questa professione di fede? Quella accolta al momento in cui si è
divenuti credenti?
Quale era allora questa professione di fede? Quella annunziata da Pietro negli
Atti: “Non c’è altro nome nel quale è stabilito che possiamo essere salvati
se non nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”.
119
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Gesù è l’unico Salvatore, il solo Redentore. Perché? Perché è l’unico sommo
sacerdote che ha attraversato i Cieli per compiere per noi presso il Padre
l’espiazione dei nostri peccati.
Chi non mantiene fede a questa professione di fede, ritornerà nella ritualità di
un tempo, ai sommi sacerdoti di un tempo. Ma questi non danno salvezza, non
offrono redenzione. Chi cade della fede, ritorna semplicemente nell’idolatria ed
è idolatria ogni parola antica di Dio che non conduce alla nuova Parola di Dio,
detta a noi in Cristo Gesù, compiuta per noi da Lui e in Lui.
[15]Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le
nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a
somiglianza di noi, escluso il peccato.
In questo versetto viene affermata la vera umanità di Gesù. Egli è Figlio di Dio,
ma anche Figlio dell’uomo, vero Dio e vero uomo.
Come vero uomo egli è stato provato in ogni cosa, a somiglianza di noi. L’unica
cosa che Lui non ha conosciuto della nostra umanità è il peccato.
Egli è rimasto sempre nella Volontà di Dio, sempre nella Legge del Padre, in
ogni cosa.
Lui sa cosa è la tentazione, sa cosa è la fame, la nudità, la povertà, il dolore, la
persecuzione, ogni genere di sofferenza fisica e spirituale, del corpo e
dell’anima.
In ogni prova egli è rimasto fedele a Dio. In ogni prova però ha sperimentato
l’infermità della natura umana. Lui sa per esperienza personale di che cosa è
fatto l’uomo, anche se lo sa attraverso una natura non concepita nel peccato
originale. La sua è vera esperienza, come vera è la sua umanità.
Essendo Lui vero uomo al pari di noi, egli può venire in nostro soccorso. Ci può
compatire, sa compatirci, proprio a motivo delle prove che egli ha subito per
rimanere fedele a Dio.
Compatire le nostre infermità, o saper compatire le nostre infermità non deve
significare “giustificare il nostro peccato”.
Il peccato non si giustifica, si scusa, si perdona, si espia, mai però si giustifica.
Giustificare il peccato è dare ad esso il diritto di essere commesso come cosa
buona, giusta, santa.
Mentre il peccato rimane sempre peccato, atto ingiusto dinanzi a Dio e agli
uomini, azione di male, opera che è contro Dio e contro l’uomo, che distrugge la
natura dell’uomo e la conduce nella morte.
Compatire le nostre infermità deve avere un solo significato: Gesù ci
compatisce espiando per noi, ma anche donandoci la sua stessa forza perché
noi non pecchiamo più.
Il compatimento diviene allora soffrire al posto nostro, espiare in vece nostra,
ma per entrare noi nella grazia, nella verità, nella forza divina per crescere
come Lui in grazia e in verità sino alla fine dei nostri giorni.
120
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Lui è vero uomo. Conosce le difficoltà della nostra infermità. Anche Lui ha
sperimentato la debolezza della carne. Anche Lui ha chiesto che si pregasse un
poco insieme a Lui nell’orto degli ulivi.
Sapendo questo, egli soffre per noi, in vece nostra; ci dona la sua forza, la sua
grazia, il suo Santo Spirito per renderci impeccabili, come Lui, dinanzi a Dio e
agli uomini. A causa della sua compassione, per quello che Lui ha fatto per noi,
la nostra natura, se lo vuole, può divenire impeccabile, può veramente vivere
tutta e sempre nella Legge santa di Dio. Questa è la vera compassione di Cristo
Gesù; questo il suo vero amore per noi, per tutti noi, per ogni uomo di ogni
tempo e di ogni luogo.
La sua è una compassione che deve condurci all’impeccabilità, alla più alta
santità. Altre interpretazioni non sono consentite. Verrebbero a contraddire
intrinsecamente la compassione di Cristo, o la sua morte subita per noi, al
posto nostro.
[16]Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per
ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento
opportuno.
La compassione di Cristo diviene e si specifica come un trono di grazia. Ancora
l’Autore non ci ha detto come tutto ciò sia avvenuto. Ci dice però il frutto del
sacrificio di Cristo, o se si preferisce – per restare nel suo linguaggio, o più
semplicemente in quello che ci ha insegnato fino a questo momento – qual è il
frutto che l’azione di Cristo, che penetra nei cieli quale grande sommo
sacerdote, ha prodotto per noi.
Entrando nei cieli, quale grande sommo sacerdote, Gesù è come se si fosse
seduto sopra un trono di grazia. Presso di Lui ognuno può ricorrere per ricevere
misericordia, per ottenere grazia, per essere aiutato al momento opportuno.
A questo trono di grazia però bisogna accostarsi, recarsi, andare, rivolgersi.
Come ci si reca e come ci si rivolge? Le vie sono due: con la fede in Cristo
grande sommo sacerdote. Con la preghiera fiduciosa, che penetra nel cielo e
muove il cuore di Cristo Gesù a compassione e a pietà.
A questo punto è giusto precisare due verità, che stanno molto a cuore
all’Autore.
-
La grazia bisogna attingerla sempre, attimo per attimo, in ogni momento.
Non c’è autonomia del cristiano da Cristo. Chi pensasse diversamente, si
troverebbe fuori del cammino della salvezza.
-
La grazia si attinge perseverando nella fede, mai venendo meno in essa. Si
accosta a questo trono della grazia chi ha fede; chi cade dalla fede non può
accostarsi.
Come si può constatare, riappare sempre, anche se non in modo esplicito, il
tema centrale della Lettera: Salva la fede in Cristo. Cristo è la nostra fede.
Da questa fede non si può retrocedere, pena il fallimento della nostra esistenza
terrena e la morte eterna.
121
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Questa fede bisogna che ogni giorno venga rinsaldata nel cuore, nella mente,
nello spirito, nell’anima, nello stesso corpo.
Questa fede bisogna respirare come l’aria. Anzi, più che l’aria. Questa fede
deve crescere, maturare, fruttificare, raggiungere la sua più alta maturità ed
espressività.
Questa fede deve trasformare tutta la nostra vita, fino a farla divenire ad
immagine di essa. Poiché questa fede è Cristo ed è in Cristo, essa matura se la
nostra vita diviene tutta simile a quella di Gesù Signore. È questa la vera
maturità della nostra fede: divenire noi in tutto simili a Cristo, nella vita, nella
morte, nella gloria, sulla terra, nel cielo.
Tutto però discende come grazia, misericordia, aiuto da Cristo, perché tutto è in
Cristo non fuori di Lui.
A Lui allora bisogna accostarsi con piena fiducia, nella certezza di amore che
Lui non potrà deluderci in niente. Il suo amore sarà sempre più grande del
nostro e saprà venire incontro ad ogni nostra richiesta di un amore più grande,
di un amore in noi simile al suo.
La ragione ultima della fiducia non è in noi, è in Cristo. È nel suo amore che si
fa sacrificio per noi, senza che nessuno di noi lo chiedesse.
La fiducia trova la sua sorgente di verità nella carità del Padre che previene
ogni nostra richiesta di salvezza e nell’amore di Cristo che si dona al Padre per
la nostra redenzione eterna.
È questa la grandezza divina della fiducia del cristiano: l’amore di Dio che non
delude perché è stato riversato tutto nei nostri cuori.
Dio ci ha dato tutto donandoci il Figlio. Il Figlio ci ha dato tutto, donandosi. Al
Padre che dona il Figlio e al Figlio che dona se stesso non si può andare se
non con fiducia. È il suo amore il trono della grazia, cui ci dobbiamo accostare
con fiducia.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Il timore di essere esclusi. Si è esclusi dalla salvezza quando ci si esclude
dalla fede. La salvezza è dalla fede. Chi si esclude dalla fede, si esclude
anche dalla salvezza. Ognuno pertanto è chiamato a rimanere saldo, ancorato
nella fede al fine di rimanere saldo e ancorato nella salvezza. La fede è in
Cristo Gesù e nella sua Parola.
Relazione tra oggi, ieri, domani. La fede è accoglienza del mistero di Cristo
Gesù, di tutto il suo mistero. Il mistero è stato compiuto in ogni sua parte da
Gesù Signore e in ogni sua parte è stato annunziato. Il mistero che si è
compiuto tutto, una volta per sempre, tutto non è stato ancora annunziato,
o non è stato ancora annunziato tutto a tutti. La Chiesa ha l’obbligo di
annunziarlo tutto a tutti, senza alcuna alterazione, cambiamento, o
trasformazione. La Chiesa riceve il mistero dal passato, lo annunzia e lo
vive tutto oggi, lo trasmette a quanti succedono nella storia, perché anche
122
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
loro si lascino trasformare da quest’unico e solo mistero di vita. Senza il
passato non c’è vero presente. Se il passato viene alterato, anche il presente
viene trasformato. Ma se si trasforma, o si altera il passato, anche il presente
risulterà alterato e diverrà un presente non salvato, non salvabile. Se il presente
è alterato, anche il futuro sarà di conseguenza alterato e neanche esso potrà
essere un futuro di salvezza per quanti lo riceveranno. Nasce per tutti
l’urgenza, ma anche la grande responsabilità di trasmettere la fede
integra, pura, nella santità più splendente. La salvezza è dalla fede. La fede
è nella purezza del mistero. La purezza del mistero è nella purezza della Parola
che lo annunzia. La purezza di domani è nella purezza di oggi e solo chi sa
conservare pura e integra la fede oggi, potrà aiutare il domani a realizzarsi nella
santità più pura e più santa.
Uniti nella fede. Uniti a chi? La fede si vive in unione e in comunione con ogni
altro cristiano, si vive in unità con gli altri. C’è una unità di conforto e di
sostegno ed è l’unità tra i cristiani che si incoraggiano e si stimolano a vicenda
nella vita secondo la fede. Ma anche c’è una unità che è a fondamento della
stessa fede. Questa unità è la comunione gerarchica con quanti nella
Chiesa sono i ministri della Parola. La comunione e l’unità con loro è
necessaria, anzi indispensabile, al fine di non rischiare di correre invano,
di lavorare ma inutilmente. Sono i ministri della Parola, ognuno secondo la
sua responsabilità che nasce dal Sacramento dell’ordine, a dare verità alla
nostra fede e santità al nostro cammino.
Mediazione nel dono, nell’insegnamento, nella comprensione. Sono i
ministri della Parola i mediatori di essa. La Parola ci è data per mezzo del loro
ministero. La mediazione è nel dono: la Parola è data a loro perché siano loro
a consegnarla a noi integra e pura, santa e immacolata così come è uscita dalla
bocca e dal cuore di Gesù Signore. La mediazione è nell’insegnamento: sono
loro che devono insegnarcela secondo la verità del mistero che la Parola
contiene. La mediazione è anche nella comprensione: sono loro che devono
aiutarci ad avere una corretta, esatta, perfetta comprensione di ogni Parola che
Dio ha fatto risuonare tra noi per mezzo di Gesù Signore. Questa triplice
mediazione nella Chiesa è affidata agli Apostoli e, in comunione gerarchica
con loro, è affidata anche ai loro collaboratori nell’ordine episcopale che sono i
sacerdoti. Il ministro della Parola dona la Parola, insegna secondo la Parola, ci
offre ogni comprensione contenuta nella Parola. Se una sola di queste
mediazioni viene omessa, non si esercita secondo pienezza di verità il ministero
della Parola. Questo ministero fa la Parola vera, ma anche fa la Parola
falsa. Questo ministero genera vita nel mondo, ma anche morte. Ogni
ministro della Parola è responsabile di ogni morte che il tradimento del suo
ministero genera nel mondo.
La verità della Parola è nel Mediatore di essa. Dicendo che la verità della
Parola è nel Mediatore di essa si vuole dire che tutto è nell’opera e dall’opera
del Mediatore. Se il Mediatore rimane nella verità della triplice mediazione
(dono, insegnamento, comprensione) il mondo viene rischiarato dalla sua
luce e la Parola brilla in tutto il suo splendore di verità. Se invece il
Mediatore cade nella falsità, anche in una sola delle sue mediazioni, tutto
il mondo sprofonda nella falsità. La Parola non cammina senza mediazione.
123
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
La mediazione è il veicolo perenne della Parola. Sapendo questo, il Mediatore
porrà ogni attenzione a che nessun elemento impuro si introduca nell’esercizio
del suo triplice ministero di mediazione. Intere generazioni vengono
contagiate da un insegnamento falso. Se questo insegnamento falso è dato
ad altri che a loro volta dovranno essere mediatori della Parola, il danno sarà
veramente incalcolabile ed irreparabile. Possiamo convincerci di questa verità
pensando a tutto il male che una sola menzogna ha introdotto nel mondo:
quella che il serpente disse ad Eva nel Giardino dell’Eden.
Apostolo: dono attuale della verità. Come la Parola non cammina da sola,
ma attraverso il Mediatore costituito da Cristo Gesù, così anche la verità della
Parola non cammina da sola, bensì mediante lo stesso Mediatore della Parola.
La missione dell’Apostolo è proprio questa: dare ad ogni uomo sia la
Parola nella sua più alta purezza e integrità, come anche la verità
contenuta nella Parola nella sua attualità più pura e più santa. Potrà
svolgere l’uno e l’altro ministero, se vivrà in perfetta santità e perennemente si
lascerà guidare dallo Spirito del Signore, il solo che può mantenere nel cuore
dell’Apostolo sia integra e pura la Parola, sia attuale la Verità che è tutta
contenuta nella Parola.
L’eredità di Abramo è Gesù. Dicendo che Gesù è l’eredità di Abramo si vuole
insegnare una sola verità: tutto il Nuovo Testamento è l’eredità dell’Antico. Se
l’Antico Testamento non approda tutto nel Nuovo, in Cristo, esso è senza
eredità. Se è senza eredità, è finito in se stesso, è morto. La sua vita è finita
per sempre, in eterno. La verità dell’Antico Testamento è il Nuovo. Senza il
Nuovo, l’Antico Testamento è senza verità. Quella che possiede non è la sua
verità, perché la sua Verità è solo una: Cristo Gesù.
Il riposo di Dio è il vero riposo dell’uomo. Dalla terra promessa al cielo
promesso. Il riposo nel quale il Signore vuole introdurre l’uomo non è l’antica
Terra Promessa. Il risposo del Signore è il suo cielo, il suo paradiso.
L’uomo entrerà nel riposo di Dio solo quando avrà raggiunto il Paradiso. Fino a
quel momento dovrà camminare, senza mai fermarsi, per raggiungerlo. Fino al
momento della morte non c’è riposo per l’uomo nel cammino della sua
santità, nella verità e nella grazia; come anche non c’è riposo
nell’acquisizione della verità o nella crescita in sapienza e grazia. Non c’è
riposo né nella comprensione del mistero, né nella sua attuazione, o
realizzazione sia come comunità che come singola persona. Chi si ferma a ieri,
o anche ad oggi, si pone fuori del cammino verso il riposo eterno, nel Cielo.
Entrare e rimanere nella fede. Si entra ascoltando la Parola degli Apostoli.
Si rimane ascoltando l’insegnamento degli Apostoli. Nella fede si entra e
si rimane. Si entra per rimanere. Si rimane per crescere in essa. Si entra,
ascoltando la Parola degli Apostoli. Si rimane ascoltando ancora una volta la
Parola degli Apostoli. Si cresce di fede in fede ascoltando l’insegnamento
degli Apostoli che hanno il mandato da parte di Cristo Gesù di aiutarci a
crescere in una comprensione della fede sempre più grande. È questo il
cammino di verità in verità, fino al possesso per noi della verità tutta intera.
Ognuno ha un cammino personale nella verità ed è questa personalizzazione
della verità la bellezza e la santità del cammino comunitario della fede.
124
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
La fede è nella Parola. La fonte della fede: Cristo. La fede nasce dalla
Parola. Dove non c’è Parola, non c’è neanche fede. La Parola della fede è solo
quella di Cristo Gesù. Dove non c’è la Parola di Cristo Gesù, neanche c’è
fede. Cristo ha consegnato se stesso, la sua vita, la sua grazia, la sua
verità agli Apostoli. Dove non c’è l’Apostolo del Signore, lì non c’è Cristo.
Dove non c’è Cristo non c’è Parola di Cristo. Dove non c’è Parola di Cristo, lì
non c’è semplicemente fede. Dove non c’è fede, ci sono solo credenze, ma la
credenza non è fede, non è verità di fede e quindi non salva l’uomo.
Il principio diventa vera speranza: la Parola di Gesù. Non c’è speranza fuori
della Parola di Dio e di Cristo Gesù, perché non c’è altra Parola creatrice, che
crea quanto dice e realizza quanto promette. C’è speranza nella Parola di
Gesù perché Dio e Cristo hanno garantito la loro Parola con la loro
Onnipotenza creatrice dal nulla di ogni cosa. È questo il motivo per cui il
ministro della Parola deve proferire solo la Parola di Cristo secondo la verità
che Cristo ha messo nella Parola. Dio non garantisce nessuna parola d’uomo,
neanche se detta nel suo nome. Dio si è reso garante, si rende garante, si
renderà garante sempre è solo della sua Parola.
La fede è nella Parola e nell’insegnamento dell’Apostolo. Poiché Cristo
Gesù si è consegnato tutto ai suoi Apostoli, non può esserci altra fede se non
quella che nasce dalla Parola degli Apostoli, né altra comprensione della
Parola se non quella che oggi gli Apostoli fanno risuonare per il mondo
intero. L’apostolicità della fede è nota essenziale della stessa fede e dove non
c’è l’apostolicità nella fede, lì semplicemente non c’è fede.
Portare la figura (AT) nella Realtà (NT), non la realtà (NT) nella figura (AT).
La realtà, il compimento, la verità della fede è Cristo Gesù. Se tutto si compie in
Cristo, tutto deve ricevere la sua verità da Cristo. Questo significa che
dobbiamo sempre leggere l’Antico Testamento a partire dal Nuovo perché
è il Nuovo la verità dell’Antico. Così anche dobbiamo aggiornare l’Antico
Testamento sul Nuovo e non invece portare il Nuovo Nell’Antico. Questo vale
per la Liturgia, per le forme di culto, per ogni preghiera. Tutto è reso vero
da Cristo Gesù e fuori di Cristo Gesù non c’è verità. Ogni altra verità deve
trovare la sua consistenza, la sua verifica, il suo discernimento in Cristo.
Fede nella Parola di Dio. Fede nella verità tutta intera. La fede che l’Autore
chiede non è direttamente in Cristo, è fede nella Parola di Dio. Quale Parola di
Dio? Quella proferita per mezzo di Mosè e dei Profeti. È quella Parola che
annunzia Cristo, verso Cristo orienta, Cristo attende, in Cristo spera. È
quella Parola che promette Cristo. Si chiede la fede in Cristo, ma come
“contenuto”, o “verità” della Parola di Dio. Si chiede la fede in Cristo perché
la Parola dice Cristo, si identifica con Cristo. Si crede in tutta la Parola e in tutta
la verità che la Parola contiene, sia nella sua promessa che nel suo
compimento. È questa la via della fede. È questa la vera questione da
affrontare ed è, come spesso si è ripetuto, questione teologica. In quanto
questione teologica si fa e diviene questione cristologica.
Oltre, verso il mistero. La Parola domanda di andare sempre oltre se stessa.
Chiede di fissare lo sguardo nel mistero che essa annunzia e che anche si
compie. C’è la Parola e c’è il mistero. Il mistero è infinitamente oltre ogni
125
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Parola perché il mistero riguarda Dio nella sua natura e nella trinità delle
Persone divine. La Parola dice il mistero. La comprensione però non è
affidata alla Parola, ma allo Spirito Santo, che deve condurre i credenti
nella Chiesa verso la verità tutta intera. Deve condurli verso l’intelligenza
piena del mistero divino, anche se questo mistero rimane sempre oltre,
infinitamente oltre ogni possibile comprensione di mente creata.
Dio parla oggi. Dio è nella Parola, ma è anche fuori della Parola. Dio è trinità di
Persone, unità di natura. Poiché Trinità di Persone, poiché Persone divine, è la
Persona divina che entra in comunione con la persona umana, anche se lo fa
attraverso la Parola. La Parola della Scrittura contiene tutto il mistero di Dio. Ci
dice chi è Dio e cosa ha fatto per la nostra salvezza. Ci dice chi è Dio e chi è
l’uomo. Cosa vuole Dio e cosa deve fare l’uomo. Ma quella Parola non è
limitativa nei confronti del Signore. Dio ha parlato ieri, parla oggi. Parla
non per dirci un altro mistero, o per aggiungere qualcosa a quel mistero
che è Lui stesso e che ha tutto rivelato agli uomini, parla perché Persona
che si intrattiene con altre persone. Parla per introdurre ogni uomo in una
comunione sempre più intensa, più viva con Sé. Dio non ha finito di parlare,
perché non ha finito di entrare in comunione con gli uomini. Parla con alcuni
uomini per manifestare l’immensità di quell’amore e di quella verità che è tutta
contenuta nella Parola storica che egli ha proferito e che è tutta contenuta nella
Scrittura Santa (NT e AT). È sempre da una Parola proferita oggi da Dio che la
vita di verità e di grazia ricomincia a fiorire sulla terra con più slancio, più vigore,
più energia.
Verso la terra oltre ogni terra già conquistata. La Parola di Dio ha un unico
fine, un solo scopo: condurre ogni uomo a Dio, inserendolo nel suo mistero di
verità e di grazia, di santità, di carità. Questo inserimento sarà perfetto solo
quando il cristiano raggiungerà la gloria del Paradiso. Fino a quell’istante l’uomo
dovrà sempre camminare verso Dio. Mai dovrà, o potrà dire di essere
pervenuto al raggiungimento del suo fine. Anche nella conoscenza e nella
comprensione del mistero dovrà sempre crescere. Nessuno mai potrà dire:
conosco Dio. Non ho bisogno di ulteriori conoscenze. Dio è infinito. L’uomo è
finito. Il finito mai potrà esaurire in sé l’infinito. Il finito può sempre inoltrarsi
verso l’infinito. In questo cammino, però, mai raggiungerà la fine. Questo
cammino è sempre agli inizi.
Oltre l’Antico Testamento. Oltre la lettera del Nuovo. Bisogna andare oltre
l’Antico Testamento, perché oltre l’Antico c’è il Nuovo. Chi non giunge al Nuovo
Testamento e si ferma all’Antico non ha la vera conoscenza di Dio.
Semplicemente non conosce Dio. Bisogna andare oltre la Lettera del Nuovo
Testamento, perché la Lettera del Nuovo è portatrice di un mistero, di una verità
che sono stati affidati allo Spirito perché ce li faccia comprendere nella loro più
piena verità. La Chiesa cammina nella verità, ma cammina sempre verso la
verità tutta intera. Ciò che conosce oggi è sempre poco per rapporto a ciò
che è chiamata a conoscere della verità del suo Signore e Dio. Per questo
ognuno deve volersi mettere quotidianamente in cammino, condotto dallo
Spirito del Signore, verso la verità tutta intera. Nessuno potrà mai arrestare il
cammino verso la verità tutta intera. Non potrà arrestarlo, perché nessuno
potrà mai arrestare lo Spirito del Signore. È lo Spirito Santo il custode divino
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
della verità di Dio. È Lui il Maestro che quotidianamente illumina le menti che a
Lui si consegnano, perché la verità di Dio risplenda sulla terra con uno
splendore sempre più intenso e sempre più luminoso.
Non fermare lo Spirito a “ieri”. La verità è sempre in cammino, perennemente
in cammino verso la sua pienezza. Se la verità è in cammino, anche la
comprensione di essa è in cammino. Chi conduce il cammino è lo Spirito del
Signore. Fermare la verità a “ieri”, significa fermare lo Spirito a “ieri”.
Questo non sarà mai possibile. Lo Spirito cammina e anche il cristiano deve
camminare. Se non cammina, commette un grave peccato di omissione. Si
rende responsabile di vivere una verità di ieri, anche di dare una verità di ieri,
ad un uomo che vive oggi, che vuole camminare oggi con lo Spirito del Signore.
La religione bloccata. La religione viene bloccata quando il cammino della
verità viene bloccato. Nessun teologo, nessun uomo di Dio, nessuna
comprensione della verità, nessuna pratica religiosa è la fede, è la verità
tutta intera verso cui conduce lo Spirito. Se ci convinciamo di questa verità,
inizieremo a riprendere il cammino, a lasciare ciò che fu di ieri, perché oggi lo
Spirito del Signore possa parlare ai nostri cuori e indicarci la via della verità e
della vita cui vuole condurci il Padre nostro che è nei Cieli. Ognuno si ricordi:
anche una sola pratica religiosa di ieri può bloccare il cammino della
verità e della fede. Anche l’identificazione della fede con una pratica religiosa
ferma la fede alla pratica di ieri e blocca il cammino della verità.
La Parola di Dio è viva. Partire sempre dalla Parola. La Parola di Dio è viva
perché in essa c’è un germe di vita eterna, di verità, di santità e di giustizia che
deve svilupparsi, crescere, produrre ogni frutto di verità, di carità, di fede, di
speranza. Ognuno di noi, in modo particolare ogni ministro della Parola, è
sempre dalla Parola che deve partire, la Parola deve dare, la Parola deve
spiegare, la Parola annunziare, la Parola far comprendere. Ogni
comprensione della verità è sempre una comprensione storica. Serviva
per ieri, non può servire per oggi. Oggi l’uomo vive ed oggi lo Spirito deve
parlare attraverso la Parola a quest’uomo storico, che vive qui ed ora in questo
contesto e in questa realtà. Se dimentichiamo questo principio, diciamo
verità che non lo interessano e se non lo interessano, non ci ascolta e se
ne va, costruendosi lui stesso una sua parola, la quale, non essendo più
la Parola di Cristo, diviene una parola che non lo salva, anzi lo conduce in
una falsità ancora più grande. Ma di questo sono responsabili coloro che
sono ministri della Parola. Il ministro della Parola deve dire sempre la verità
tutta intera cui oggi lo ha condotto lo Spirito Santo. Per questo lui e lo Spirito
Santo devono essere una sola verità, una sola comunione, una sola vita.
La Parola di Dio è efficace. La Parola di Dio è efficace perché è di Dio che è
Onnipotente. È efficace la Parola di Dio secondo la verità tutta intera cui
conduce lo Spirito Santo. Se l’uomo la sostituisce con la sua parola, o con
una sua comprensione, la Parola di Dio non è più efficace. Non è più
efficace perché non è più Parola di Dio. È semplicemente parola d’uomo. Dio
garantisce solo la sua Parola secondo la sua attuale verità. Dio opera
attraverso la sua Parola nella sua attuale verità più piena.
127
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
La parola di Dio è tagliente. La parola di Dio è tagliente, perché separa il bene
dal male, taglia la storia, la vita in due: da una parte il bene e dall’altra
parte il male, da una parte la luce e dall’altra le tenebre, da una parte la
santità e dall’altra il peccato. La parola dell’uomo non è tagliente perché
anziché separare il bene dal male, li confonde, anzi dice il male bene e il bene
male. Questa è la differenza abissale che esiste tra la Parola di Dio e la parola
dell’uomo.
La Parola di Dio penetra nei cuori. La Parola di Dio penetra nel cuore e lo
mette in stato di conversione perché in essa opera ed agisce lo Spirito del
Signore. Essendo essa portatrice di una verità assoluta, della stessa verità che
è scritta nella natura dell’uomo, la Parola di Dio ognuno la può riconoscere nella
sua verità. La Parola di Dio porta in se stessa il principio della sua verità. Essa
è l’unica Parola che non deve cercare fuori di sé il principio della sua
interiore verità e neanche ha bisogno di dimostrazione, poiché è lo Spirito
Santo che la rende credibile al nostro cuore e intelligibile alla nostra
intelligenza. Per questo motivo nessuno può nascondersi dinanzi ad essa. Chi
si nasconde, lo fa in ragione della sua cattiva volontà. Non vuole
abbandonare la via della falsità che percorre e per questo non solo si nasconde
dalla Parola, ma anche la combatte. Vuole la sua distruzione per poter
continuare a vivere nel proprio peccato, nella propria falsità, nel proprio errore.
La Parola assume, non si identifica. La Parola di Dio essendo all’origine di
ogni verità, essendo anche il fondamento e il principio di ogni verità di salvezza
e di redenzione, assume ogni realtà per condurla nella salvezza e nella santità
di Dio, ma non si identifica con nessuna realtà assunta e con nessuna forma
storica che l’ha precedentemente incarnata. Essa è dentro le cose assunte,
ma anche fuori di esse. Anche quelle che sono fuori di essa è necessario che
entrino in essa, senza però avere la pretesa di esaurire la forza vitale della
Parola che precede sempre ogni cosa, ma anche segue sempre ogni cosa. La
Parola di Dio è realtà soprannaturale, divina, santa. Essa è purissima
trascendenza che non si identifica con nessuna immanenza. Ogni santità
è nella Parola e dalla Parola, ma nessuna santità esaurisce la Parola, o la
santità che nasce dalla Parola. Chi cammina con questo principio di fede
saprà sempre che tutto è dinanzi a sé e che niente è dietro di sé.
Stabilità di grazia, stabilità di parola. Chi vuole camminare nella verità della
Parola, deve iniziare un vero cammino di santità. Santità e verità camminano
insieme. Chi non cammina nella santità non cammina neanche nella verità
e chi non cammina nella verità attuale dello Spirito del Signore neanche si
può santificare, perché la santità altro non è che la verità conosciuta
nell’oggi dello Spirito del Signore realizzata in ogni sua parte nella nostra
vita. La stabilità nella grazia e il nostro cammino in essa dice anche stabilità
della nostra permanenza nella verità della Parola e cammino in essa. Chi non
cresce in santità attesta che non è cresciuto in verità, ma anche chi non cresce
in verità attesta di non essere cresciuto in santità.
Vero esempio di fede nella Parola: Giona. Nella Scrittura Antica Giona è vero
esempio di fede nella Parola di Dio perché lui si rifiuta di andare a predicare a
Ninive perché credeva che se lui si fosse recato e avesse proferito la Parola di
128
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
Dio, così come il Signore l’aveva detta a lui, tutta la Città si sarebbe convertita e
Dio avrebbe perdonato loro ogni peccato. Cosa che in verità è avvenuta. Giona
predicò, la Città si convertì, Dio perdonò i loro peccati.
Grande sommo sacerdote che attraversa i cieli. La Parola annunzia che
Cristo è il sommo sacerdote, perché tale è stato costituito da Dio. Cristo Gesù
non è entrato però in un santuario fatto da mano d’uomo. Cristo Gesù è
entrato direttamente nel Cielo. È nel Cielo, quale sommo sacerdote della
Nuova Alleanza, che intercede perché siano perdonati i nostri peccati.
Cristo è vero sommo sacerdote. La sua è vera intercessione. Il suo è vero
sacrificio.
Mantenere ferma la professione della fede. Chi vuole entrare nella salvezza
di Dio, deve mantenere ferma la professione della fede. Qual è la professione
della fede? Essa è una sola: Non c’è salvezza se non per mezzo del
sacerdozio di Cristo Gesù. Chi non mantiene ferma questa professione di fede,
chi retrocede da essa, chi abbandona Cristo, abbandona semplicemente la via
della salvezza e ritorna nel suo peccato.
La Parola e l’idolatria che scaturisce da essa. La Parola di Dio è verità. Se
si accoglie la Parola, ma non la verità tutta intera verso cui conduce lo Spirito
Santo, prima o poi il cristiano diventa idolatra. È idolatra perché crede in una
Parola senza verità, senza salvezza. È idolatra perché crede in una Parola
vana. È vana ogni Parola di Dio che è senza la verità attuale dello Spirito del
Signore.
Ha sperimentato l’infermità della natura umana. Quella che ha rivestito
Cristo è vera umanità. Questa umanità egli ha condotto nella più alta e perfetta
obbedienza, fino alla morte di croce. Avendo egli sperimentato tutta la
fragilità della natura umana, egli è in grado di provare compassione per
noi. La compassione si trasforma in un dono più grande di grazia perché anche
noi possiamo percorrere il suo stesso cammino di obbedienza, fino al dono
pieno della vita al Signore nel compimento della sua volontà.
Compatire non è giustificare. La vera compassione di Gesù. Compassione
per la nostra impeccabilità. La compassione di Cristo non è giustificazione
della nostra fragilità. È invece dono della sua vita al Padre perché il Padre ci
conceda ogni grazia per il superamento della nostra fragilità. La
compassione di Cristo non è perché noi continuiamo a peccare. È invece
perché noi non pecchiamo più in eterno. Lui ci ricolma della sua grazia, della
sua verità, del suo Santo Spirito e noi diveniamo impeccabili. Siamo impeccabili
perché Lui ha avuto compassione di noi e per noi è morto ed è risorto. Questa è
la vera compassione di Cristo. Altre forme, o modi di comprendere la
compassione di Cristo, tutti finalizzati alla giustificazione del nostro stato
peccaminoso, non sono vere. Sono frutti del nostro cuore perverso che di
tutto si serve, anche delle cose più sante, a giustificazione della propria falsità e
cattiveria. Molti sono coloro che cadono in questo errore. Moltissimi coloro che
si giustificano in ogni loro trasgressione facendo appello alla loro fragilità
umana.
La grazia si attinge con la fede. La grazia della salvezza, che è frutto della
giusta, vera, santa compassione di Cristo Gesù, viene data all’uomo per mezzo
129
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quarto
della fede. Lui crede in Cristo suo Salvatore e Redentore, crede nella
Parola della salvezza e della Redenzione, si converte ad essa, vive in
essa, e da questa vita e da questa fede ogni abbondanza di grazia si
riversa su di lui per la sua redenzione eterna. Tutto si compie in noi per
mezzo della fede. Niente avviene per chi si pone fuori della fede. Senza fede
non possiamo accedere al trono della grazia di Dio. La prima fede da
possedere è questa: la Parola di Dio è vera e si compie in ogni sua parte. Si
compie perché Dio l’ha detta e ciò che Dio dice è anche capace di realizzarlo.
Lui è Onnipotente, Signore del cielo e della terra, Lui è il Creatore di tutto ciò
che esiste. La seconda fede invece è: tutto Dio compie per amore di colui che
lo ama. Ama Dio chi osserva la sua Parola. Dio compie la parola di chi lo
invoca, perché chi lo invoca compie la Parola di Dio. La terza fede è questa:
Dio compie ogni cosa secondo la sua eterna scienza, intelligenza, sapienza.
Ogni grazia è in questa triplice fede e da questa triplice fede. È fede: tutto è
grazia. Tutto si attinge in Dio. Tutto si deve chiedere nella fede per mezzo della
preghiera.
Tutto è in Cristo, non fuori di Lui. Ogni grazia che il Padre ci dona, ce la dona
in Cristo, con Cristo, per mezzo di Cristo. Tutto infatti Egli ha dato al Figlio
suo Diletto e tutto deve donarci per Lui, in Lui, con Lui. Chi vuole accedere al
trono della grazia di Dio deve essere in Cristo, vivere di perfetta comunione
con il suo corpo mistico, chiedere a Cristo Gesù che si faccia sua voce presso il
Padre, perché il Padre non conosce altra voce se non quella di suo Figlio Gesù.
Solo così si prega per mezzo di Lui. È questo il grande mistero della preghiera
e della mediazione di Cristo Gesù, ma è anche questo il grande mistero della
comunione all’interno del corpo mistico di Cristo. Se prega Cristo, non prega
solo una cellula di Cristo, prega tutto il corpo di Cristo. Se prega Cristo
non prega solo per una parte del suo corpo, prega per tutto il corpo. Tutto
il corpo prega per tutto il corpo, ma prega perché corpo del Signore Gesù.
È questa verità la forza della preghiera cristiana. È in questa verità che
dovremmo portare ogni preghiera nella Chiesa. È da questa verità che
dovremmo sempre pregare.
La ragione della fiducia non è in noi, ma in Cristo. Noi possiamo accedere a
Dio Padre con fiducia di essere esauditi. La fiducia però non è da fondare in noi
stessi, nei nostri meriti, o nella nostra santità. La fiducia bisogna fondarla su
Cristo e su di Lui solamente. È Lui l’unico che il Padre ascolta. È in Lui
che ogni preghiera viene ascoltata, ma è anche per mezzo di Lui che ogni
preghiera deve essere elevata. Chi vive santamente questa regola, chi ha
fede in Cristo e vive con Lui una relazione di perfetto ascolto della sua Parola,
chi mette in pratica il Vangelo, solo costui ha fiducia nella preghiera di Cristo
Gesù, solo costui può avere fiducia. Chi non vive la sua Parola non può avere
fiducia, perché lui è fuori di Cristo, non è in Cristo, non vive con Cristo, né per
Lui. La Parola vissuta è il fondamento della fiducia nell’esaudimento di ogni
nostra preghiera.
130
CAPITOLO QUINTO
CRISTO VERO PONTEFICE
[1]Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene
degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i
peccati.
Viene definito in questo versetto qual è il ministero del sommo sacerdote.
Prima di tutto viene affermato che ogni sommo sacerdote è preso fra gli uomini.
Egli è uomo fra gli uomini, fratello tra i fratelli, figlio di Adamo tra i figli di Adamo.
Viene qui espressa la sua appartenenza alla natura umana, che è il dato
costitutivo del suo essere sommo sacerdote.
Nessuno si fa sommo sacerdote. Il sommo sacerdote viene fatto. Anche questo
è dato essenziale del suo essere.
Precisate queste due verità – vera umanità e vera chiamata, o elezione – è
detto cosa fa un sommo sacerdote.
Egli vive il suo ministero per il bene degli uomini. Il suo è ministero non a
servizio, o a beneficio della Sua persona, bensì per il bene dei suoi fratelli. Egli
vive in funzione dei suoi fratelli. Egli è per gli altri, non per se stesso.
Questa verità primaria della sua vocazione e del suo ministero. La sua è una
vita consacrata al bene dei fratelli.
Qual è il bene dei fratelli? Non certo quello materiale. È invece il bene spirituale.
È il bene nelle cose che riguardano Dio.
Lui è per questo bene. Altri si dedicheranno ad ogni altro bene. Lui non può,
non deve, perché è costituito per il bene dei fratelli nelle cose che riguardano
Dio.
Ora viene indicato uno di questi beni. Non è l’unico, non è l’esclusivo, ma è
essenziale: offrire sacrifici e olocausti per i peccati.
Egli è chiamato ad essere strumento di riconciliazione tra Dio e l’uomo. A Dio
deve offrire il sacrificio espiatorio per il perdono dei peccati; all’uomo deve
offrire da parte di Dio il suo perdono, la sua misericordia, la sua benevolenza.
Egli è visto in questo primo versetto come un intercessore, uno che sta di fronte
a Dio in favore del popolo.
C’è un Salmo che ci presenta un’immagine viva di questa intercessione. È una
intercessione di preghiera ed è di Mosè, che non è sacerdote, ma vive una
particolare mediazione di salvezza.
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Così il Salmo 105: “Alleluia. Celebrate il Signore, perché è buono, perché
eterna è la sua misericordia. Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare
tutta la sua lode? Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il diritto in
ogni tempo. Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo, visitaci con la
tua salvezza, perché vediamo la felicità dei tuoi eletti, godiamo della gioia del
tuo popolo, ci gloriamo con la tua eredità. Abbiamo peccato come i nostri
padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non
compresero i tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono
presso il mare, presso il mar Rosso. Ma Dio li salvò per il suo nome, per
manifestare la sua potenza. Minacciò il mar Rosso e fu disseccato, li condusse
tra i flutti come per un deserto; li salvò dalla mano di chi li odiava, li riscattò
dalla mano del nemico. L'acqua sommerse i loro avversari; nessuno di essi
sopravvisse.
Allora credettero alle sue parole e cantarono la sua lode. Ma presto
dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno, arsero di
brame nel deserto, e tentarono Dio nella steppa. Concesse loro quanto
domandavano e saziò la loro ingordigia.
Divennero gelosi di Mosè negli accampamenti, e di Aronne, il consacrato
del Signore. Allora si aprì la terra e inghiottì Datan, e seppellì l'assemblea di
Abiron. Divampò il fuoco nella loro fazione e la fiamma divorò i ribelli.
Si fabbricarono un vitello sull'Oreb, si prostrarono a un'immagine di metallo
fuso; scambiarono la loro gloria con la figura di un toro che mangia fieno.
Dimenticarono Dio che li aveva salvati, che aveva operato in Egitto cose grandi,
prodigi nel paese di Cam, cose terribili presso il mar Rosso. E aveva già deciso
di sterminarli, se Mosè suo eletto non fosse stato sulla breccia di fronte a lui,
per stornare la sua collera dallo sterminio.
Rifiutarono un paese di delizie, non credettero alla sua parola. Mormorarono
nelle loro tende, non ascoltarono la voce del Signore. Egli alzò la mano su di
loro giurando di abbatterli nel deserto, di disperdere i loro discendenti tra le
genti e disseminarli per il paese. Si asservirono a Baal-Peor e mangiarono i
sacrifici dei morti, provocarono Dio con tali azioni e tra essi scoppiò una
pestilenza. Ma Finees si alzò e si fece giudice, allora cessò la peste e gli fu
computato a giustizia presso ogni generazione, sempre.
Lo irritarono anche alle acque di Meriba e Mosè fu punito per causa loro,
perché avevano inasprito l'animo suo ed egli disse parole insipienti. Non
sterminarono i popoli come aveva ordinato il Signore, ma si mescolarono con le
nazioni e impararono le opere loro. Servirono i loro idoli e questi furono per loro
un tranello. Immolarono i loro figli e le loro figlie agli dei falsi. Versarono sangue
innocente, il sangue dei figli e delle figlie sacrificati agli idoli di Canaan; la terra
fu profanata dal sangue, si contaminarono con le opere loro, si macchiarono
con i loro misfatti. L'ira del Signore si accese contro il suo popolo, ebbe in orrore
il suo possesso; e li diede in balìa dei popoli, li dominarono i loro avversari, li
oppressero i loro nemici e dovettero piegarsi sotto la loro mano. Molte volte li
aveva liberati; ma essi si ostinarono nei loro disegni e per le loro iniquità furono
abbattuti. Pure, egli guardò alla loro angoscia quando udì il loro grido. Si ricordò
della sua alleanza con loro, si mosse a pietà per il suo grande amore. Fece loro
132
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
trovare grazia presso quanti li avevano deportati. Salvaci, Signore Dio nostro, e
raccoglici di mezzo ai popoli, perché proclamiamo il tuo santo nome e ci
gloriamo della tua lode. Benedetto il Signore, Dio d'Israele da sempre, per
sempre. Tutto il popolo dica: Amen”.
Nel Siracide (cap. 45) si dice invece sempre a proposito di Mosè e di Aronne in
particolare: “Da lui fece sorgere un uomo di pietà, che riscosse una stima
universale e fu amato da Dio e dagli uomini: Mosè, il cui ricordo è benedizione.
Lo rese glorioso come i santi e lo rese grande a timore dei nemici. Per la sua
parola fece cessare i prodigi e lo glorificò davanti ai re; gli diede autorità sul suo
popolo e gli mostrò una parte della sua gloria. Lo santificò nella fedeltà e nella
mansuetudine; lo scelse fra tutti i viventi. Gli fece udire la sua voce; lo
introdusse nella nube oscura e gli diede a faccia a faccia i comandamenti, legge
di vita e di intelligenza, perché spiegasse a Giacobbe la sua alleanza, i suoi
decreti a Israele.
Egli innalzò Aronne, santo come lui, suo fratello, della tribù di Levi. Stabilì con
lui un'alleanza perenne e gli diede il sacerdozio tra il popolo. Lo onorò con
splendidi ornamenti e gli fece indossare una veste di gloria. Lo rivestì con tutta
la magnificenza, lo adornò con paramenti maestosi: calzoni, tunica e manto.
All'orlo della sua veste pose melagrane, e numerosi campanelli d'oro all'intorno,
che suonassero al muovere dei suoi passi, diffondendo il tintinnio nel tempio,
come richiamo per i figli del suo popolo. L'ornò con una veste sacra, d'oro,
violetto e porpora, capolavoro di ricamo; con il pettorale del giudizio, con i segni
della verità, e con tessuto di lino scarlatto, capolavoro di artista; con pietre
preziose, incise come sigilli, su castoni d'oro, capolavoro di intagliatore, quale
memoriale con le parole incise secondo il numero delle tribù di Israele.
Sopra il turbante gli pose una corona d'oro con incisa l'iscrizione sacra, insegna
d'onore, lavoro stupendo, ornamento delizioso per gli occhi.
Prima di lui non si erano viste cose simili, mai un estraneo le ha indossate; esse
sono riservate solo ai suoi figli e ai suoi discendenti per sempre. I suoi sacrifici
vengono tutti bruciati, due volte al giorno, senza interruzione. Mosè lo
consacrò e l'unse con l'olio santo. Costituì un'alleanza perenne per lui e
per i suoi discendenti, finché dura il cielo: quella di presiedere al culto ed
esercitare il sacerdozio e benedire il popolo nel nome del Signore. Il
Signore lo scelse tra tutti i viventi perché gli offrisse sacrifici, incenso e
profumo come memoriale e perché compisse l'espiazione per il suo
popolo. Gli affidò i suoi comandamenti, il potere sulle prescrizioni del
diritto, perché insegnasse a Giacobbe i decreti e illuminasse Israele nella
sua legge.
Contro di lui insorsero uomini estranei e furono gelosi di lui nel deserto; erano
gli uomini di Datan e di Abiron e quelli della banda di Core, furiosi e violenti. Il
Signore vide e se ne indignò; essi finirono annientati nella furia della sua ira.
Egli compì prodigi a loro danno per distruggerli con il fuoco della sua fiamma.
E aumentò la gloria di Aronne, gli assegnò un patrimonio, gli riservò le primizie
dei frutti, dandogli innanzi tutto pane in abbondanza. Si nutrono infatti delle
vittime offerte al Signore che egli ha assegnato ad Aronne e ai suoi discendenti.
Tuttavia non ha un patrimonio nel paese del popolo, non c'è porzione per
133
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
lui in mezzo al popolo, perché il Signore è la sua parte e la sua eredità.
Pincas, figlio di Eleazaro, fu il terzo nella gloria per il suo zelo nel timore del
Signore per la sua fermezza quando il popolo si ribellò, egli infatti intervenne
con generoso coraggio e placò Dio in favore di Israele. Per questo fu
stabilita con lui un'alleanza di pace, perché presiedesse al santuario e al
popolo; così a lui e alla sua discendenza fu riservata la dignità del sacerdozio
per sempre. Ci fu anche un'alleanza con Davide, figlio di Iesse, della tribù di
Giuda; la successione reale dal padre a uno solo dei figli, la successione di
Aronne, a tutta la sua discendenza. Vi infonda Dio sapienza nel cuore per
governare il popolo con giustizia, perché non scompaiano le virtù dei
padri e la loro gloria nelle varie generazioni”.
Possiamo così riassumere le cose che riguardano Dio:
-
il dono della Legge e il suo insegnamento;
-
l’espiazione dei peccati;
-
la preghiera di intercessione a favore del popolo.
Tra Dio e il popolo c’è un uomo. Quest’uomo deve curare gli interessi di Dio in
mezzo al popolo. Deve curare gli interessi del popolo dinanzi a Dio.
È il grande mistero della mediazione.
Il Libro del Levitico, nella prima parte, è tutta una descrizione di come si
compiva il sacrificio, presentando singolarmente e con esattezza di particolari
ogni tipo sacrificio. Al di là del fatto puramente rituale, o storico, attesta una
verità: Dio è Santo e la santità si addice ai suoi figli. “Siate Santi, perché io, il
Signore Dio vostro, sono santo”.
Le cose che riguardano Dio sono la manifestazione della sua santità nel popolo
attraverso la santificazione di ogni singola persona.
Il sacerdote è l’uomo della santità. Questo è il suo ministero: fare santi, ad
immagine del Dio tre volte santo, tutti gli uomini, il mondo intero.
[2]In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che
sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza;
Si è detto che il sommo sacerdote è uomo tra gli uomini, affermando così la
verità della sua natura umana.
Proprio partendo da questa natura, l’Autore dice cosa deve fare il sacerdote, o
cosa è in grado di fare.
Egli si deve vestire di compassione, deve essere l’uomo della compassione,
della misericordia, della pietà, della grande carità.
Lui è uomo. Sente dentro di sé la debolezza della natura umana, la sua fragilità.
Egli deve portare questa debolezza e questa fragilità alla santità, nella verità di
Dio. Non solo la sua debolezza e fragilità, ma la debolezza e la fragilità di ogni
uomo, dell’intero popolo, deve condurre alla santità, nella verità di Dio.
Per questo egli deve sentire giusta compassione per quelli che sono
nell’ignoranza e nell’errore. Deve fare suoi sia l’ignoranza che l’errore e avere
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
per gli altri tanta compassione e tanta misericordia come per se stesso, anzi più
che per se stesso.
L’ignoranza e l’errore sono nelle cose che riguardano Dio. L’ignoranza è
ignoranza della verità, che nasce dalla non conoscenza della Legge di Dio.
La giusta compassione vuole che egli si pieghi su questa ignoranza e la estirpi
con ogni saggezza e sapienza di dottrina, con ogni insegnamento.
Se non fa questo, egli non sente giusta compassione. Perché non è
compassione condannare l’ignoranza; è giusta compassione togliere
l’ignoranza e questa si toglie in un solo modo: giorno per giorno annunziando,
insegnando, spiegando, ammaestrando, impartendo lezioni sulla Legge del
Signore.
Il sacerdote deve essere un esperto conoscitore della Legge di Dio. Egli deve
vivere in funzione della Legge e solo per essa: per la sua conoscenza e per il
suo insegnamento.
L’amore per la legge fa di un sacerdote un uomo di vera, giusta, santa
compassione.
L’altra compassione è per l’errore. L’errore è ogni trasgressione della Legge,
fatta sia con coscienza, sia per incoscienza, o non conoscenza, sia per
cattiveria, o malvagità che per fragilità, sia con volontà, sia senza volontà, per
abitudine, per vizio, per qualunque altra causa, o motivo.
Non c’è motivo alcuno che giustifichi la trasgressione della Legge del Signore.
Questa è la prima e fondamentale verità.
Il Sacerdote, con tutta la compassione che nasce dal suo cuore, deve
insegnare come si osserva la Legge del Signore in ogni sua parte, anche la più
piccola ed insignificante per la coscienza di un uomo. Deve altresì riparare ogni
trasgressione, ogni violazione, ogni peccato, ogni errore.
Lo deve fare offrendo i sacrifici per i peccati, lo deve fare con la sua personale
intercessione.
La giusta compassione del sacerdote si vive nella sua quotidiana intercessione.
L’intercessione consta di due opere: l’impetrazione del perdono, la richiesta di
ogni grazia perché il peccato non si commetta.
[3]proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i
peccati, come lo fa per il popolo.
Si è detto che il sommo sacerdote è scelto tra gli uomini e che lui è rivestito di
vera umanità. Essendo vera umanità, anche egli è rivestito di fragilità.
La fragilità porta anche lui a peccare. Lui non è impeccabile per ministero, per
ufficio. Lui dovrà divenire impeccabile per grazia, per dono dall’Alto.
A causa della fragilità della sua natura umana, allo stesso modo che sente
giusta compassione per gli altri, deve sentirla anche per se stesso e per questo
anche per i suoi peccati è giusto che offra il sacrificio di espiazione, di
purificazione, come lo fa per il popolo.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Questa verità ci fa vedere un uomo immerso nell’umanità, che è parte di questa
umanità, che santifica l’umanità santificandosi, espia il peccato degli altri
espiando il proprio, insegna la Legge di Dio ai fratelli insegnandola a sé stesso
in una ricerca costante di elevazione, di santificazione, di purificazione.
Il più grande e tremendo errore che un sacerdote può commettere è proprio
questo: separarsi dagli altri, considerarsi appartenente ad un’altra natura, porsi
fuori della legge della fragilità che avvolge la natura umana.
Questo si può fare in due modi:
-
Attraverso il peccato della superbia e della presunzione che gli va vedere
santa la sua umanità e peccatrice l’umanità degli altri, dinanzi ai quali si
pone con la sufficienza e l’alterigia del giudice implacabile che emette
sentenze di condanna, di rimprovero, di accusa, senza alcuna pietà e
commiserazione.
-
Attraverso il chiudersi nel suo mondo fatto di sola sacralità, ignorando e
dimenticandosi del tutto della giusta compassione che deve portarlo ad
eliminare tra il popolo ogni ignoranza e ogni errore.
Un sacerdote così non serve a Dio, non serve all’uomo. A Dio e agli uomini
serve un sacerdote che vive la piena appartenenza a questa umanità fragile e
peccatrice, ignorante e trasgreditrice dei comandamenti di Dio, della Sua
santissima Legge e che con ogni impegno purifica se stesso e aiuta i suoi
fratelli a crescere in sapienza e grazia come lui stesso cresce ogni giorno.
Il sacerdote è colui che quotidianamente estirpa il peccato dalla sua natura
umana perché possa aiutare i suoi fratelli a fare altrettanto.
Giusta compassione mai deve significare compatimento del peccato dei fratelli
o sua giustificazione. La giusta compassione espia, elimina, toglie, purifica,
perdona, santifica, eleva. Ogni altra forma di relazionarsi con il peccato degli
uomini non è forma santa, voluta da Dio. Ogni altra forma deve essere bandita,
eliminata.
[4]Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è
chiamato da Dio, come Aronne.
Viene ora chiarita la prima verità annunziata, quando si è definito il ruolo e il
ministero del sommo sacerdote. Rileggiamo: “Ogni sommo sacerdote, preso
fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che
riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”.
È detto: preso fra gli uomini, viene costituito.
È preso da Dio e da Dio è costituito. La legge del sacerdozio non la stabilisce
l’uomo, nessun uomo, neanche la Chiesa può stabilirla. La legge del sacerdozio
la stabilisce Dio e solo Lui e Lui l’ha stabilita prima con Aronne, poi con Cristo
Gesù.
La prima legge è questa: è Dio che chiama al Sacerdozio. È Lui che prende. È
Lui che sceglie. È Lui che suscita nel cuore il desiderio. È Lui che determina la
volontà. Tutto è da Lui. Ma anche tutto è per Lui.
136
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
L’onore del sacerdozio nessuno se lo può attribuire, né altri lo possono
attribuire, al di fuori della legge di Dio. Questa è verità eterna e tale deve
rimanere nei secoli.
Nell’Antica Alleanza il Sacerdozio, per Legge divina, apparteneva solo ad
Aronne e alla sua discendenza. A nessun altro.
Nell’Esodo al capitolo 28 viene manifestata non solo la scelta di Dio che cade
su Aronne e sui suoi figli, sulla sua discendenza, ma anche la cura dei
particolari nella modalità e nella forma di essere sacerdoti dinanzi a Dio e al suo
popolo:
“Tu fa’ avvicinare a te tra gli Israeliti, Aronne tuo fratello e i suoi figli con lui,
perché siano miei sacerdoti; Aronne e Nadab, Abiu, Eleazaro, Itamar, figli di
Aronne. Farai per Aronne, tuo fratello, abiti sacri, che esprimano gloria e
maestà. Tu parlerai a tutti gli artigiani più esperti, ai quali io ho dato uno spirito
di saggezza, ed essi faranno gli abiti di Aronne per la sua consacrazione e per
l'esercizio del sacerdozio in mio onore. Ed ecco gli abiti che faranno: il pettorale
e l'efod, il manto, la tunica damascata, il turbante e la cintura. Faranno vesti
sacre per Aronne tuo fratello e per i suoi figli, perché esercitino il sacerdozio in
mio onore.
Essi dovranno usare oro, porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso.
Faranno l'efod con oro, porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto,
artisticamente lavorati. Avrà due spalline attaccate alle due estremità e in tal
modo formerà un pezzo ben unito. La cintura per fissarlo e che sta sopra di
esso sarà della stessa fattura e sarà d'un sol pezzo: sarà intessuta d'oro, di
porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. Prenderai due pietre di
ònice e inciderai su di esse i nomi degli Israeliti: sei dei loro nomi sulla prima
pietra e gli altri sei nomi sulla seconda pietra, in ordine di nascita. Inciderai le
due pietre con i nomi degli Israeliti, seguendo l'arte dell'intagliatore di pietre per
l'incisione di un sigillo; le inserirai in castoni d'oro. Fisserai le due pietre sulle
spalline dell'efod, come pietre che ricordino presso di me gli Israeliti; così
Aronne porterà i loro nomi sulle sue spalle davanti al Signore, come un
memoriale.
Farai anche i castoni d'oro e due catene d'oro in forma di cordoni, con un lavoro
d'intreccio; poi fisserai le catene a intreccio sui castoni. Farai il pettorale del
giudizio, artisticamente lavorato, di fattura uguale a quella dell'efod: con oro,
porpora viola, porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. Sarà quadrato, doppio;
avrà una spanna di lunghezza e una spanna di larghezza. Lo coprirai con una
incastonatura di pietre preziose, disposte in quattro file. Una fila: una cornalina,
un topazio e uno smeraldo: così la prima fila. La seconda fila: un turchese, uno
zaffìro e un berillo. La terza fila: un giacinto, un'àgata e un'ametista. La quarta
fila: un crisòlito, un ònice e un diaspro. Saranno inserite nell'oro mediante i loro
castoni. Le pietre corrisponderanno ai nomi degli Israeliti: dodici, secondo
i loro nomi, e saranno incise come sigilli, ciascuna con il nome
corrispondente, secondo le dodici tribù. Poi farai sul pettorale catene in
forma di cordoni, lavoro d'intreccio d'oro puro. Farai sul pettorale due anelli
d'oro e metterai i due anelli alle estremità del pettorale. Metterai le due catene
d'oro sui due anelli alle estremità del pettorale. Quanto alle due altre estremità
137
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
delle catene, le fisserai sui due castoni e le farai passare sulle due spalline
dell'efod nella parte anteriore.
Farai due anelli d'oro e li metterai sulle due estremità del pettorale sul suo
bordo che è dalla parte dell'efod, verso l'interno. Farai due altri anelli d'oro e li
metterai sulle due spalline dell'efod in basso, sul suo lato anteriore, in vicinanza
del punto di attacco, al di sopra della cintura dell'efod. Si legherà il pettorale con
i suoi anelli agli anelli dell'efod mediante un cordone di porpora viola, perché
stia al di sopra della cintura dell'efod e perché il pettorale non si distacchi
dall'efod. Così Aronne porterà i nomi degli Israeliti sul pettorale del
giudizio, sopra il suo cuore, quando entrerà nel Santo, come memoriale
davanti al Signore per sempre.
Unirai al pettorale del giudizio gli urim e i tummim. Saranno così sopra il cuore
di Aronne quando entrerà alla presenza del Signore: Aronne porterà il giudizio
degli Israeliti sopra il suo cuore alla presenza del Signore per sempre. Farai il
manto dell'efod, tutto di porpora viola con in mezzo una scollatura per la testa; il
bordo attorno alla scollatura sarà un lavoro di tessitore come la scollatura di una
corazza, che non si lacera.
Farai sul suo lembo melagrane di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto,
intorno al suo lembo, e in mezzo porrai sonagli d'oro: un sonaglio d'oro e una
melagrana, un sonaglio d'oro e una melagrana intorno all'orlo del manto. Esso
rivestirà Aronne nelle funzioni sacerdotali e se ne sentirà il suono quando egli
entrerà nel Santo alla presenza del Signore e quando ne uscirà; così non
morirà. Farai una lamina d'oro puro e vi inciderai, come su di un sigillo: Sacro al
Signore. L'attaccherai con un cordone di porpora viola al turbante, sulla parte
anteriore. Starà sulla fronte di Aronne; Aronne porterà il carico delle colpe
che potranno commettere gli Israeliti, in occasione delle offerte sacre da
loro presentate. Aronne la porterà sempre sulla sua fronte, per attirare su
di essi il favore del Signore.
Tesserai la tunica di bisso. Farai un turbante di bisso e una cintura, lavoro di
ricamo. Per i figli di Aronne farai tuniche e cinture. Per essi farai anche berretti a
gloria e decoro. Farai indossare queste vesti ad Aronne, tuo fratello, e ai suoi
figli. Poi li ungerai, darai loro l'investitura e li consacrerai, perché
esercitino il sacerdozio in mio onore.
Farai loro inoltre calzoni di lino, per coprire la loro nudità; dovranno arrivare dai
fianchi fino alle cosce. Aronne e i suoi figli li indosseranno quando entreranno
nella tenda del convegno o quando si avvicineranno all'altare per officiare nel
santuario, perché non incorrano in una colpa che li farebbe morire. E` una
prescrizione rituale perenne per lui e per i suoi discendenti”.
Era un sacerdozio per discendenza secondo la carne. Questa Legge Dio la
cambierà un giorno, quando anche tra i figli dei pagani si prenderà Sacerdoti e
Leviti. Ciò che il profeta Isaia annunzia è veramente inaudito, in certa misura
anche incomprensibile per la mentalità dei figli di Israele.
Isaia cap. 66: “Così dice il Signore: Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei
miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la
dimora? Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie oracolo del
138
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Signore. Su chi volgerò lo sguardo? Sull'umile e su chi ha lo spirito contrito e su
chi teme la mia parola. Uno sacrifica un bue e poi uccide un uomo, uno immola
una pecora e poi strozza un cane, uno presenta un'offerta e poi sangue di
porco, uno brucia incenso e poi venera l'iniquità.
Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini; anch'io
sceglierò la loro sventura e farò piombare su di essi ciò che temono, perché io
avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha ascoltato.
Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi, hanno preferito quello che a me
dispiace.
Ascoltate la parola del Signore, voi che venerate la sua parola. Hanno detto i
vostri fratelli che vi odiano, che vi respingono a causa del mio nome: Mostri il
Signore la sua gloria, e voi fateci vedere la vostra gioia! Ma essi saranno
confusi. Giunge un rumore, un frastuono dalla città, un rumore dal tempio: è la
voce del Signore che paga il contraccambio ai suoi nemici. Prima di provare i
dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio.
Chi ha mai udito una cosa simile, chi ha visto cose come queste? Nasce forse
un paese in un giorno; un popolo è generato forse in un istante? Eppure Sion,
appena sentiti i dolori, ha partorito i figli. Io che apro il grembo materno, non
farò partorire? dice il Signore. Io che faccio generare, chiuderei il seno? dice il
tuo Dio. Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate.
Sfavillate di gioia con essa voi tutti che avete partecipato al suo lutto. Così
succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete,
deliziandovi, all'abbondanza del suo seno. Poiché così dice il Signore: Ecco io
farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità; come un torrente in
piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle
ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi
consolerò; in Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro
cuore, le vostre ossa saran rigogliose come erba fresca.
La mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi, ma si sdegnerà contro i
suoi nemici. Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, i suoi carri sono come
un turbine, per riversare con ardore l'ira, la sua minaccia con fiamme di fuoco.
Con il fuoco infatti il Signore farà giustizia su tutta la terra e con la spada su
ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore. Coloro che si consacrano e
purificano nei giardini, seguendo uno che sta in mezzo, che mangiano carne
suina, cose abominevoli e topi, insieme finiranno oracolo del Signore con le loro
opere e i loro propositi. Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue;
essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e
manderò i loro superstiti alle genti di Tarsis, Put, Lud, Mesech, Ros, Tubal
e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno
visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su
cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di
Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l'offerta su vasi puri
nel tempio del Signore. Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti, dice il
Signore. Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per
sempre davanti a me oracolo del Signore così dureranno la vostra discendenza
139
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
e il vostro nome. In ogni mese al novilunio, e al sabato di ogni settimana, verrà
ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore. Uscendo, vedranno i cadaveri
degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il
loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti”.
Il Signore che aveva stabilito per la prima Alleanza che solo i discendenti di
Aronne sarebbero stati suoi sacerdoti, quando Lui verrà a radunare tutti i popoli
e tutte le lingue, in quel giorno anche tra essi prenderà sacerdoti e leviti.
Questo avverrà il giorno di Pentecoste e da quel giorno finirà il sacerdozio
secondo Aronne, inizierà il sacerdozio secondo la Nuova Alleanza.
Una Nuova Alleanza un Nuovo Sacerdozio. Ma è sempre il Signore che si
prenderà sacerdoti e leviti. L’onore del Sacerdozio è per scelta di Dio e solo
sua.
Verità fondamentale è questa: Dio che si prende sacerdoti e leviti, ma anche Lui
dice perché se li prende e cosa devono fare. Nella scelta e nella missione
non possono entrare elementi dell’uomo, di nessun uomo.
Il sacerdozio è per costituzione divina nella scelta e nella missione; è per
mediazione umana nella trasmissione dei poteri. Questo sì che è per mezzo
degli uomini di Dio.
Essi esaminano i requisiti perché vi sia vera scelta da parte di Dio e una volta
constatato che essi ci sono trasmettono il potere sacerdotale, assieme alla
missione.
Questo è chiaramente manifestato ed espresso nel Vangelo secondo Giovanni,
quanto alla trasmissione dei poteri: “come il Padre ha mandato me, anch’io
mando voi”. Mentre negli Atti e nel resto del Nuovo Testamento vengono
indicati i requisiti che un candidato deve possedere prima di essere accolto e
consacrato come Sacerdote nella Casa di Dio, nella Sua Chiesa.
Che sia Dio che elegge appare chiaro dagli Atti degli Apostoli (cfr. 1,15-26):
“In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone
radunate era circa centoventi) e disse: Fratelli, era necessario che si adempisse
ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide
riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. Egli era
stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda
comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in
avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è
divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato
chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. Infatti sta scritto
nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta, e nessuno vi abiti, il suo
incarico lo prenda un altro. Bisogna dunque che tra coloro che ci furono
compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi,
incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi
assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua
risurrezione.
Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato
Giusto, e Mattia. Allora essi pregarono dicendo: Tu, Signore, che conosci il
140
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato a prendere il posto in
questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al
posto da lui scelto. Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su
Mattia, che fu associato agli undici apostoli”.
Divina saggezza di Pietro, che deve sempre accompagnare la Chiesa nella
consacrazione dei suoi sacerdoti. Non è l’uomo che sceglie. È Dio che deve
farlo. L’uomo di Dio deve però richiedere i requisiti, sempre secondo la volontà
di Dio.
La santità della Chiesa è in questa libertà di Dio di agire nel suo seno, sempre.
[5]Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote,
ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato.
[6]Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera
di Melchìsedek.
L’Autore applica a Cristo Gesù la Legge di Dio circa il sacerdozio: “È Dio che
si prende sacerdoti e leviti. È Dio che se li prende ma non
necessariamente dalla discendenza di Aronne, secondo il sacerdozio di
Aronne”.
Dio sceglie Cristo come suo sacerdote. Quando lo sceglie?
Se lo sceglie nell’Eternità, nel Cielo; se lo sceglie al momento stesso della sua
generazione eterna. Generandolo, Dio lo ha costituito suo Sacerdote. Ancora il
cielo e la terra non esistevano, e Dio aveva scelto Cristo come suo sommo
sacerdote.
Lo costituisce sommo sacerdote, però, non alla maniera di Aronne, bensì alla
maniera di Melchisedek.
Ecco i passi biblici sui cui l’Autore fonda la sua argomentazione. Sono i Salmi 2
e 109:
Salmo 2: “Perché le genti congiurano perché invano cospirano i popoli?
Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e
contro il suo Messia: Spezziamo le loro catene, gettiamo via i loro legami. Se
ne ride chi abita i cieli, li schernisce dall'alto il Signore. Egli parla loro con ira, li
spaventa nel suo sdegno: Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo
monte. Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in
dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di
argilla le frantumerai. E ora, sovrani, siate saggi istruitevi, giudici della terra;
servite Dio con timore e con tremore esultate; che non si sdegni e voi perdiate
la via. Improvvisa divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia”.
In questo Salmo 2 viene chiaramente affermato che il Messia è Figlio di Dio e
che la sua generazione avviene nell’oggi dell’eternità.
Viene altresì affermata la missione universale del Messia di Dio: non solo verso
il suo popolo, ma verso ogni uomo: ti darò in possesso le genti e in dominio i
confini della terra.
Gli elementi essenziali di questo Salmo sono quindi:
141
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
-
Il Figlio di Dio è il Messia.
-
Il Figlio di Dio è generato nei giorni dell’eternità.
-
Il Figlio di Dio e investito di una missione universale: per tutte le genti
e i confini della terra.
Salmo 109: “Di Davide. Salmo. Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi
alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo
scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: Domina in mezzo ai tuoi
nemici. A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal
seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato. Il Signore ha giurato e
non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek. Il
Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Giudicherà i
popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la testa su vasta terra. Lungo il
cammino si disseta al torrente e solleva alta la testa”.
In questo Salmo 109, assieme ai primi tre elementi essenziali (Messia,
generazione eterna, missione universale), troviamo il legame che mancava,
cioè quello di Messia e di Sacerdote. Inoltre vi è l’affermazione “principe”,
quella, cioè, secondo la quale il Messia non è solamente un uomo, è anche
Dio, è il Signore.
Proviamo a mettere in successione le affermazioni di questo Salmo 109:
-
Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io
ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi (Dio e Messia. Signore e
Cristo).
-
Dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato (generazione
eterna, Figlio eterno del Padre).
-
Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al
modo di Melchisedek (sacerdote per sempre, ma non secondo Aronne,
bensì secondo e alla maniera di Melchisedek).
Il Figlio di Dio è Messia e Sacerdote. Non è sacerdote alla maniera di Aronne. È
Sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek.
Aronne fu spogliato delle sue vesti sacerdotali. Cristo non sarà mai spogliato
del suo sacerdozio.
Queste due citazioni della Scrittura su Aronne e su Melchisedek servono a
chiarire in ogni particolare quanto affermato fin ora dall’Autore:
“Tutta la comunità degli Israeliti levò l'accampamento da Kades e arrivò al
monte Cor. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne al monte Cor, sui confini del
paese di Edom: Aronne sta per essere riunito ai suoi antenati e non entrerà nel
paese che ho dato agli Israeliti, perché siete stati ribelli al mio comandamento
alle acque di Mèriba. Prendi Aronne e suo figlio Eleazaro e falli salire sul monte
Cor. Spoglia Aronne delle sue vesti e falle indossare a suo figlio Eleazaro;
in quel luogo Aronne sarà riunito ai suoi antenati e morirà. Mosè fece come
il Signore aveva ordinato ed essi salirono sul monte Cor, in vista di tutta la
comunità. Mosè spogliò Aronne delle sue vesti e le fece indossare a
Eleazaro suo figlio; Aronne morì in quel luogo sulla cima del monte. Poi
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Mosè ed Eleazaro scesero dal monte. Quando tutta la comunità vide che
Aronne era morto, tutta la casa d'Israele lo pianse per trenta giorni” (Cfr. Num.
20,22-29).
Di Melchisedek si parla in un solo episodio e per di più avvolto dal mistero.
Leggiamo in Genesi 14,17-24:
“Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che
erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle
del re. Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del
Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: Sia benedetto Abram dal
Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici. Abram gli diede la decima di tutto”.
Tutto ciò che si conosce di Melchisedek è in questo brano. Poi Melchisedek
scompare. Nell’Antico Testamento è ricordato solo nel Salmo 109, ora citato.
Nel Nuovo Testamento ricorre per ben 8 volte, ma solo in questa Lettera (5,6;
5.10; 6,20; 7,1; 7,10; 7,11; 7,15; 7,17).
È giusto che vengano puntualizzate una per una le affermazioni su
Melchisedek:
-
Melchisedek, re di Salem.
-
Offrì pane e vino.
-
Era sacerdote del Dio altissimo.
-
Benedisse Abram con queste parole: Sia benedetto Abram dal Dio
altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio
altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici.
-
Abram gli diede la decima di tutto.
Volendo chiarire ulteriormente:
-
Melchisedek è Re e Sacerdote.
-
Offre pane e vino.
-
Lo offre al Dio altissimo.
-
Benedice Abramo.
-
Abramo gli dona la decima.
Come si può constatare è superiore ad Abramo (lo benedice. Abramo gli dona
la decima di tutto il bottino)
È insieme Re e Sacerdote (in Israele le funzioni erano separate. Fu questo uno
dei motivi per cui Saul fu scartato come Re di Israele).
È Sacerdote del Dio altissimo, al quale offre pane e vino (il sacerdozio di
Aronne offriva animali).
Cristo è Re, Sacerdote e Profeta del Dio Altissimo.
Il pane e vino che Lui offre è il sacramento dell’offerta del Suo corpo e del Suo
sangue. È il memoriale del suo sacrificio cruento sulla croce.
143
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
È Lui la benedizione di Dio sul mondo intero.
Sono, tutti questi, elementi che l’Autore analizzerà uno per uno. Ora ci interessa
sapere una cosa sola:
Cristo è stato scelto e consacrato da Dio quale suo sommo sacerdote, non alla
maniera di Aronne, bensì alla maniera di Melchisedek.
Cristo unisce in sé la regalità e il sacerdozio. È Messia e Sacerdote del Dio
altissimo.
[7]Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e
suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e
fu esaudito per la sua pietà;
Viene ora presentato Cristo nell’esercizio del suo sacerdozio.
La prima verità che dobbiamo affermare è questa: l’esercizio non è fuori di Lui,
è in Lui, nella Sua Persona.
Tutto avviene in Lui. Niente avviene fuori di Lui. Se comprendiamo questo,
capiremo una volta per tutte qual è la nuova natura del sacerdozio secondo
Cristo, differente per forma e per essenza sia da quello di Aronne come anche
da quello di Melchisedek.
La differenza con quello di Aronne consiste nell’abolizione per sempre della
vittima animale. Gesù non offre il sangue dei tori e dei vitelli; Gesù non sacrifica
né capri, né arieti e non offre nessun’altra cosa che appartenga al mondo
vegetale.
Lui offre al Padre preghiere e suppliche, fatte con forti grida e lacrime. È questo
attestato dalla preghiera fatta sia nell’Orto degli Ulivi che sulla croce,
testimoniata dai Vangeli.
Leggiamo nel Vangelo secondo Luca:
“Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo
seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: Pregate, per non entrare in tentazione.
Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava:
Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la
mia, ma la tua volontà. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo.
In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò
come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera,
andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza” (cfr. Lc 22, 39-45).
Mentre nel Vangelo secondo Matteo è detto:
“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso
le tre, Gesù gridò a gran voce: Elì, Elì, lemà sabactàni?, che significa: Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Udendo questo, alcuni dei
presenti dicevano: Costui chiama Elia. E subito uno di loro corse a prendere
una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da
bere. Gli altri dicevano: Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo! E Gesù,
emesso un alto grido, spirò” (cfr. Mt 27, 45-50).
144
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
È giusto chiedersi qual è l’offerta fatta nella preghiera. La risposta non può
essere che una sola: il dono della sua volontà al Padre.
Tutto è di Dio: la vita e la morte, la gioia e il dolore, il presente, il passato, il
futuro, le cose, l’intero universo. Poiché tutto è di Dio a Lui niente si può offrire.
Una cosa sola appartiene all’uomo: la volontà. Solo questa si può offrire. Solo
questa Cristo Gesù ha offerto al Padre. Gliel’ha consegnata per amore.
Dio avrebbe potuto liberarlo dalla morte, non lo liberò a motivo dell’offerta. Per
la pietà di Cristo Gesù, cioè per il suo amore, il Padre accolse il dono e permise
che Cristo andasse incontro alla morte.
Lui lo avrebbe liberato non appena si fosse consumato il dono della volontà,
cioè una volta che il sacrificio fosse stato presentato.
È questo l’esaudimento di Dio: accogliere il sacrificio e poi rispondere con tutta
la potenza del suo amore.
È questo il motivo per cui tutto è in Cristo e niente è fuori di Lui e in questo
senso il sacerdozio di Cristo si differenzia sostanzialmente con quello di
Melchisedek.
Melchisedek offriva pane e vino. Gesù offre la sua volontà. È simile solo nella
forma esterna con quello di Melchisedek, nel senso che anche nel sacrificio di
Cristo c’è il pane e il vino ma solo come la materia del sacramento, perché
l’essenza e il contenuto è l’unico ed eterno sacrificio offerto al Padre della sua
volontà.
L’offerta di Cristo ci conduce a rivedere ogni nostra relazione con Dio. Lui
gradisce da noi una cosa sola: il dono della nostra volontà. Solo questo dono
Lui vuole, solo questo dono dobbiamo offrirgli, togliendo la nostra volontà dal
nostro spirito e mettendo la sua, facendo in tutto secondo il suo volere.
Questo dono però è nella sofferenza e nel dolore, perché è un dono che si può
fare solo nel rinnegamento di noi stessi e nel prendere la croce per portarla fino
in fondo. Questo sacrificio, questa offerta è in noi, non fuori di noi. Per questa
offerta scaturisce il dono della salvezza del mondo, se fatta in Cristo, con
Cristo, per Cristo.
La pietà è la relazione filiale tra il Padre e il Figlio, governata solo dall’amore,
esclusivamente dall’amore e l’amore è il dono della vita del Figlio al Padre, nel
dono della propria volontà.
È quanto ci insegna il Salmo 39:
“Al maestro del coro. Di Davide. Salmo. Ho sperato: ho sperato nel Signore ed
egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto dalla fossa
della morte, dal fango della palude; i miei piedi ha stabilito sulla roccia, ha reso
sicuri i miei passi. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore. Beato l'uomo che
spera nel Signore e non si mette dalla parte dei superbi, né si volge a chi segue
la menzogna. Quanti prodigi tu hai fatto, Signore Dio mio, quali disegni in nostro
favore: nessuno a te si può paragonare. Se li voglio annunziare e proclamare
sono troppi per essere contati.
145
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto
olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del
libro di me è scritto, che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la
tua legge è nel profondo del mio cuore. Ho annunziato la tua giustizia nella
grande assemblea; vedi, non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai. Non ho
nascosto la tua giustizia in fondo al cuore, la tua fedeltà e la tua salvezza ho
proclamato. Non ho nascosto la tua grazia e la tua fedeltà alla grande
assemblea. Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia, la tua fedeltà e la tua
grazia mi proteggano sempre, poiché mi circondano mali senza numero, le mie
colpe mi opprimono e non posso più vedere. Sono più dei capelli del mio capo,
il mio cuore viene meno.
Degnati, Signore, di liberarmi; accorri, Signore, in mio aiuto. Vergogna e
confusione per quanti cercano di togliermi la vita. Retrocedano coperti d'infamia
quelli che godono della mia sventura. Siano presi da tremore e da vergogna
quelli che mi scherniscono. Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano, dicano
sempre: Il Signore è grande, quelli che bramano la tua salvezza. Io sono povero
e infelice; di me ha cura il Signore. Tu, mio aiuto e mia liberazione, mio Dio, non
tardare”.
[8]pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì
L’obbedienza costa il sacrificio di se stessi. È sacrificio di sé, perché essa si
vive oggi nella condizione della natura umana che è nel peccato.
A questa obbedienza il Figlio si sottomette. Va incontro ad essa fino alla morte
e alla morte di croce. Questo è il valore del suo sacrificio.
Tuttavia in questo versetto è annunziata una verità che merita una speciale
considerazione.
Chi obbedisce è il Figlio eterno del Padre. Si è detto che l’obbedienza è nel
dono della propria volontà. Poiché la volontà è la vita, l’obbedienza è nel dono
della vita.
Non dono simbolico, ma reale; non apparente, ma vero; non per un attimo, o
fino ad un certo punto, ma per sempre sino alla fine.
Cosa è l’obbedienza se non il ritorno della nostra vita a Dio, in una relazione di
purissimo amore.
Questa obbedienza il Figlio l’ha fatta come Dio e come uomo, come vero Dio e
vero uomo.
Come vero Dio ha ricevuto nell’oggi eterno la vita dal Padre. Nell’eternità egli
vive donando la vita al Padre, in un movimento eterno d’amore, che mai si
consuma, mai viene meno, perché è eterno. Cristo vive nell’eternità donandosi
al Padre. Il Padre vive donandosi al Figlio. Questo dono è nello Spirito Santo, la
Comunione d’amore eterno tra il Padre e il Figlio.
Nell’eternità, questo dono è purissima e intensissima vita. Lì siamo nella verità,
nella santità, lì non c’è né il dolore e né la sofferenza nel dono.
Sulla terra non c’è dono se non nella morte di se stessi, nella vittoria completa
sul peccato.
146
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Questo dono si può fare solo rimanendo sempre nel dono, senza mai uscire da
esso e si esce ogni qualvolta si commette anche il più piccolo, o insignificante
peccato di pensiero, o di parola, o di omissione, o di azione.
Ecco perché Gesù nella sua passione è santissimo. Lui non conobbe mai il
peccato. Se lo avesse conosciuto si sarebbe in qualche modo appropriato della
sua volontà.
Sulla terra l’obbedienza è nella sofferenza. Il male si abbatte contro l’uomo di
Dio, vuole schiacciarlo, annientarlo. L’uomo di Dio resta nel bene, perché
risponde al male con il bene. È questa la sofferenza dell’uomo di Dio. È
sofferenza perché è dolore fisico, morale, spirituale.
In questa sofferenza si resta sempre nell’amore: amore verso Dio, amore verso
l’uomo; dono della vita a Dio, dono della vita all’uomo per la sua salvezza.
Questo è il grande mistero dell’obbedienza.
[9]e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che
gli obbediscono,
In questo versetto vengono offerte tre verità che meritano ognuna si essere
trattata singolarmente:
Reso perfetto: La sofferenza rende perfetto Cristo. In che senso?
Nel senso che il dono è fatto interamente, tutto. Niente Cristo Gesù tiene per
sé. Tutto offre a Dio e agli uomini.
La sua vita è dono totale, pieno, fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultimo
respiro. È perfetto, Cristo Gesù, perché sulla croce non conobbe il peccato
neanche in una piccolissima parola vana.
Fu tutto di Dio e degli uomini, sempre, pienamente, completamente, totalmente.
Niente di Lui è per Lui; tutto di Lui è per il Padre, perché la sua volontà di
salvezza trovasse attuazione universale.
Divenne causa di salvezza eterna: la sua offerta, l’offerta della sua volontà al
Padre genera un frutto di salvezza eterna per ogni uomo.
Dio dona la grazia, la verità, lo Spirito di Cristo ad ogni uomo. In virtù della sua
obbedienza perfetta il Padre cancella i nostri peccati, ci genera a suoi figli
adottivi, manda su di noi il Suo Santo Spirito, che è Spirito di comunione, di
verità, di santità, di fortezza.
La nuova vita nasce dal sacrificio di Cristo, dalla sua obbedienza. Siamo salvati
per Lui, per la Sua morte, il Suo sacrificio, il dono di Sé stesso al Padre.
Per questa ragione è causa di salvezza. Ma è una causa non fuori di sé, ma
dentro di sé. Tutto è in Cristo, niente è fuori di Cristo. Né la redenzione
oggettiva, né quella soggettiva. È tutto in Cristo, perché si attinge divenendo
una cosa sola con Lui, si vive restando una cosa sola con Lui. Questa è la
specificità della salvezza eterna che Dio ci dona in Gesù Suo Figlio.
147
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Per coloro che gli obbediscono: Gesù è causa di salvezza eterna per ogni
uomo, per il mondo intero. Diventano però partecipi di essa tutti coloro che
ascoltano la sua Parola e sul suo esempio offrono la vita al Padre.
Viene qui chiarito e specificato che l’obbedienza non è più alla Parola del Padre
è invece alla Parola del Figlio.
È la Parola del Figlio la via della salvezza ed è nell’obbedienza perfetta ad
essa, allo stesso modo che obbedì Cristo e divenne perfetto attraverso le cose
che patì.
Questo ci indirizza vero un’altra verità che ci consente di aggiungere un altro
tassello a quanto l’Autore sta dimostrando.
Si è detto che tutto l’Antico Testamento tende a Cristo e che Cristo è il frutto cui
guarda tutta l’Antica Scrittura. Ora si dice che è finito il tempo in cui l’Antica
Scrittura aveva valore di alleanza e di salvezza. Questo valore non ce lo ha più.
Ora il valore dell’alleanza è tutto nella Parola di Cristo Gesù.
L’obbedienza passa ora dalla Parola Antica alla Nuova, da quella che il Signore
ha detto in tanti modi e molte volte ai Padri alla Parola che ora ci dice per
mezzo di Gesù Signore.
Fermarsi alla Parola dell’Antico Testamento non dona salvezza. Questo Israele
deve sapere. C’è un passaggio obbligatorio che lui è chiamato a fare e questo
passaggio è alla Parola di Cristo, è all’obbedienza a Lui.
Senza questo passaggio non c’è salvezza. Si rimane vincolati o legati ad una
Parola di Dio che non dona vita, perché la vita è tutta nella Parola di Gesù
Signore.
Questo vale per oggi, domani, sempre. Vale per ogni uomo e per tutti gli uomini.
Sbagliano, sono fuori strada tutti quei falsi predicatori della Parola di Dio che
annunziano una salvezza senza l’obbedienza a Cristo, senza cioè il dono della
propria volontà a Cristo perché si compia l’offerta della propria vita, alla maniera
e nella forma di Gesù Signore.
Lo affermiamo con fermezza di verità e di dottrina: senza obbedienza non c’è
salvezza, perché la salvezza dell’uomo è il suo ritorno nell’obbedienza. Questa
è la salvezza: la capacità riconquistata di donare tutta intera la nostra volontà a
Dio fino alla morte e alla morte di croce.
[10]essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di
Melchìsedek.
Questo versetto apparentemente potrebbe sembrare inutile. Invece è il sigillo a
quanto finora detto.
Perché l’Autore si preoccupa di ricordare che Gesù è sommo sacerdote alla
maniera di Melchisedek?
La ragione la più semplice è questa: la mentalità ebraica non concepiva
nessuna espiazione se non nel versamento del sangue animale. Se Gesù non
ha versato il sangue animale, non è entrato nel tempio, come può aver ottenuto
la purificazione dei peccati.
148
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Lui l’ha attenuta, perché non era sacerdote alla maniera di Aronne (sangue
animale), ma alla maniera di Melchisedek (pane e vino, materia del sacramento
della sua passione, morte, risurrezione).
Chi ha fatto Cristo sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek non è stato
un uomo, è stato il Padre. È stato lo stesso Dio che aveva istituito il sacerdozio
alla maniera di Aronne.
Come vero sacerdote, Gesù compie il sacrificio dell’espiazione, entra nei cieli,
ci asperge con il suo sangue, ci purifica da ogni peccato, ci introduce in una vita
nuova.
Tutto ciò che avviene in Cristo, è per volontà del Padre, di Dio.
Se è Dio che governa ogni cosa e anche il modo di andare a Lui, chi è l’uomo
che possa impedire che ogni cosa avvenga secondo la sua divina volontà?
Ma se è Dio che ha voluto tutto questo, se è il Dio di Abramo e di Giacobbe, di
Isacco e di Mosè, di Davide e dei Profeti, chi crede veramente in Lui, deve
credere in ogni sua volontà manifestata.
Una sola volontà manifestata non creduta, pone fuori della fede; non della fede
presente, ma della fede, di tutta la fede.
È senza vera fede chi non crede nell’ultima volontà manifestata di Dio. Il suo
Dio non è il vero Dio, perché il vero Dio è il Dio dell’ultima sua volontà
manifestata, rivelata, fatta pervenire agli uomini come via di salvezza eterna.
La via della salvezza è Cristo ed è l’obbedienza alla sua Parola. È questa ora
l’unica forma ed essenza della vera fede nel Dio di Abramo, di Isacco,
Giacobbe.
La fede dell’Antico Testamento è il Nuovo e chi non ha il Nuovo inutile che
creda nell’Antico. Dio non è più nell’Antico, perché è nel Nuovo. È questa la
verità da accogliere per chi vuole gustare la salvezza che Dio ci ha donato in
Cristo Gesù.
VELATO RIMPROVERO
[11]Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare
perché siete diventati lenti a capire.
L’argomento è il sacerdozio di Cristo, ma anche la nuova e vera fede tutta da
costruire ed edificare in Lui.
Le cose da dire su Cristo sono molte, tante. L’Autore avverte però una qualche
difficoltà a spiegarle come si conviene.
Questo, non perché Lui non sappia spiegarle, ma perché loro, i destinatari della
Lettera sono diventati lenti a capire.
Le cose da dire sono molte perché il mistero di Cristo e del suo sacerdozio è
l’essenza, la finalità, il compimento di tutta la Scrittura. Ogni pagina della
Scrittura parla di Cristo, guarda a Cristo, attende Cristo, spera in Cristo.
149
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Questo vorrebbe fare l’Autore. Lui è pronto. Non sono pronti coloro ai quali
deve spiegare il mistero di Cristo Gesù.
Perché costoro sono diventati lenti a capire? Non certo per questioni di
intelligenza, bensì per motivi di volontà.
In loro c’è una volontà debole, fragile che già li ha distaccati dalla vera fede, li
ha ricondotti nei loro vecchi pensieri.
Finché la volontà non diviene nuovamente forte, coraggiosa da estirpare questi
pensieri dal cuore, ogni altra verità sarà difficile che possa penetrare in esso; se
vi penetra, lo fa con molta lentezza, con tanta difficoltà.
Ma è sempre una verità che potrà aderire e crescere con tanta difficoltà. I
vecchi pensieri potranno in ogni momento soffocarla, farla seccare, perdendo
così ogni consistenza di muovere il cuore e la mente verso la pienezza del
mistero della salvezza che si realizza in Cristo Signore.
Questo ci deve far comprende che chi governa l’uomo spesso non è la mente,
bensì la volontà e se la volontà non resta ancorata alla verità, tutto l’uomo da
essa è condotto nella menzogna, nell’errore, nella falsità, in una forma di vita
dove non splende la luce di Dio, perché lì c’è posto solo per le tenebre.
La volontà è fragile, debole, incapace di lasciarsi attrarre dalla verità, quando
nel cuore inizia a farsi strada il peccato, il quale a sua volta produce
stanchezza, rilassamento spirituale, abbandono della retta via.
Le difficoltà che nascono dalla mente si possono tutte superare. È sufficiente un
po’ di amore e di applicazione. Quelle che nascono invece dalla volontà quasi
sempre è impossibile vincerle. Non si possono vincere perché l’uomo non
vuole. Potrebbe, ma non lo vuole.
Si può, ma non si vuole: è questa la condizione dell’uomo che cade nel peccato
e persevera in esso.
[12]Infatti, voi che dovreste essere ormai maestri per ragioni di tempo,
avete di nuovo bisogno che qualcuno v'insegni i primi elementi degli
oracoli di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido.
Per l’Autore chi abbraccia la fede, deve anche camminare di fede in fede, fino a
divenire esperto, maestro nella verità della salvezza.
Non è concepibile che uno trascorra anni e anni di vita cristiana e non cresca
nella retta e santa conoscenza dei misteri nei quali egli crede.
Quando non si cresce nella fede, non si cresce o perché nessuno aiuta a
crescere, o perché si abbandonano le vie che consentono una crescita
armoniosa nella verità della salvezza.
Sovente non c’è chi insegni le cose di Dio. Questo può capitare e di fatto capita.
Non solo non c’è chi insegna le cose di Dio, spesso coloro che sono preposti ad
insegnarle, le insegnano anche male, inculcando l’errore e non la verità,
dicendo parole di uomini invece che Parola di Dio.
Spesso succede anche che, pur essendoci colui che insegna le cose secondo
pienezza di verità, non si cresce nella fede a motivo della cattiva volontà,
150
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
perché manca l’impegno personale, l’applicazione del singolo nel fruttificare e
nel maturare frutti di vera dottrina nei misteri della salvezza.
La mancata crescita nella verità di Dio e di Cristo fa sì che il cristiano resti
bambino, viva da bambino, si comporti da bambino, cioè senza alcuna
consistenza, stabilità, decisione di piena testimonianza.
A chi rimane bambino, quasi un neonato, di certo non si possono offrire
elementi solidi, bisogna dargli ancora il latte. Ma un cristiano non può rimanere
sempre al latte, deve passare al nutrimento solido e questo può essergli donato
solo se cresce nella fede, nella verità, nella dottrina.
La crescita nelle verità della fede avviene per volontà, per applicazione, per
desiderio.
La Chiesa tutto può fare, tutto può donare, ma se il singolo non mette il suo
impegno, la sua opera, tutto alla fine risulterà vano.
La volontà deve essere una sola: conoscere Cristo per divenire come Cristo,
conoscere Cristo per amare come Cristo; conoscere Cristo per obbedire al
Padre come Cristo.
La conoscenza di Cristo si ha attraverso la conoscenza delle Scritture, nelle
quali è rivelato, contenuto.
Alla conoscenza che si ha per mezzo delle Scritture occorre aggiungere l’altra
che si ha per “illuminazione interiore” dello Spirito Santo e che si ottiene per
grazia e per preghiera.
Oggi il mondo non conosce secondo verità Cristo Gesù, non lo conosce perché
non conosce la Sua Parola.
Ignorando la Parola, ignora anche Cristo, non lo ama, non lo serve. Non
servendo Cristo secondo verità, non si serve neanche l’uomo secondo verità,
essendo ogni servizio vero all’uomo servizio secondo verità a Cristo.
Bisogna portare ogni uomo nella vera conoscenza della Parola di Cristo, del
Suo Vangelo.
Questa è l’opera che Dio si attende da noi tutti. Quest’opera, ognuno secondo
la sua ministerialità e il suo carisma, deve compiere.
Il ritorno e il dimorare dell’uomo nella verità di Cristo dipende interamente
dall’opera del ricordo e dell’annunzio della Sua Parola.
Altra annotazione da fare è questa: fallisce ogni forma di vita cristiana nella
quale quotidianamente non si progredisce verso la pienezza della verità.
Fallisce tutto quanto è fondato sul non dono, o sull’assenza, o sulla non
accoglienza della Parola.
Chi vuole una forma forte di vita cristiana deve alimentarla di Parola di Vangelo,
deve irrorarla di Verità rivelata, deve purificarla perennemente con la vera e
santa conoscenza di Cristo Gesù. Chi non fa questo, lavora per il niente
spirituale, perché vi è solo il niente spirituale, dove non c’è la crescita di Cristo
secondo la Sua Parola, nella Verità rivelata.
151
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
È questa la formazione che manca oggi. Manca la formazione dei cuori, delle
menti, delle coscienze in Cristo e nella Sua Parola.
[13]Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia,
perché è ancora un bambino.
La dottrina della giustizia è il complesso e l’armonia delle verità della fede,
rivelate da Dio e insegnate dagli Apostoli.
È la conoscenza di questa dottrina della giustizia che consente ad un uomo di
pensare come Cristo, vedere come Cristo, volere come Cristo, muoversi come
Cristo, obbedire come Cristo, amare come Cristo.
Questa conoscenza rende un cristiano adulto, cioè responsabile, capace di
decisioni secondo Dio, impegnato nella testimonianza della propria fede nel
mondo pagano che lo circonda.
Alla dottrina della giustizia nessuno potrà mai dire di essere arrivato; verso
questa dottrina bisogna ogni giorno camminare, avanzare, progredire.
Ad essa ogni giorno occorre aggiungere verità e concetti, pensieri e parole
sempre più veri e perfetti, più puri e più corrispondenti al pensiero che Dio ha
posto nella Sua Parola, rivelandola.
L’impegno non sarà mai abbastanza, mai troppo, mai sufficiente. C’è il Salmo 1
che così dice di colui che medita la Parola di Dio:
“Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei
peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge
del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato
lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno
mai; riusciranno tutte le sue opere. Non così, non così gli empi: ma come pula
che il vento disperde; perciò non reggeranno gli empi nel giudizio, né i peccatori
nell'assemblea dei giusti. Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via
degli empi andrà in rovina”.
Il Salmo 118 invece è tutta una riflessione e anche una preghiera sulla Legge
Santa di Dio:
“Alleluia. Alef. Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del
Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore.
Non commette ingiustizie, cammina per le sue vie. Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente. Siano diritte le mie vie, nel custodire i tuoi
decreti. Allora non dovrò arrossire se avrò obbedito ai tuoi comandi. Ti
loderò con cuore sincero quando avrò appreso le tue giuste sentenze. Voglio
osservare i tuoi decreti: non abbandonarmi mai.
Bet. Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Custodendo le tue
parole. Con tutto il cuore ti cerco: non farmi deviare dai tuoi precetti.
Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato. Benedetto
sei tu, Signore; mostrami il tuo volere. Con le mie labbra ho enumerato tutti i
giudizi della tua bocca. Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni
altro bene. Voglio meditare i tuoi comandamenti, considerare le tue vie.
Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola.
152
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Ghimel. Sii buono con il tuo servo e avrò vita, custodirò la tua parola. Aprimi
gli occhi perché io veda le meraviglie della tua legge. Io sono straniero sulla
terra, non nascondermi i tuoi comandi. Io mi consumo nel desiderio dei tuoi
precetti in ogni tempo. Tu minacci gli orgogliosi; maledetto chi devìa dai tuoi
decreti. Allontana da me vergogna e disprezzo, perché ho osservato le tue
leggi. Siedono i potenti, mi calunniano, ma il tuo servo medita i tuoi decreti.
Anche i tuoi ordini sono la mia gioia, miei consiglieri i tuoi precetti.
Dalet. Io sono prostrato nella polvere; dammi vita secondo la tua parola. Ti
ho manifestato le mie vie e mi hai risposto; insegnami i tuoi voleri. Fammi
conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò i tuoi prodigi. Io piango nella
tristezza; sollevami secondo la tua promessa. Tieni lontana da me la via della
menzogna, fammi dono della tua legge. Ho scelto la via della giustizia, mi
sono proposto i tuoi giudizi. Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore, che io
non resti confuso. Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato
il mio cuore. He. Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla
fine. Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con
tutto il cuore. Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi, perché in esso è la mia
gioia. Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete del
guadagno. Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via.
Con il tuo servo sii fedele alla parola che hai data, perché ti si tema. Allontana
l'insulto che mi sgomenta, poiché i tuoi giudizi sono buoni. Ecco, desidero i
tuoi comandamenti; per la tua giustizia fammi vivere.
Vau. Venga a me, Signore, la tua grazia, la tua salvezza secondo la tua
promessa; a chi mi insulta darò una risposta, perché ho fiducia nella tua
parola. Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera, perché confido nei tuoi
giudizi. Custodirò la tua legge per sempre, nei secoli, in eterno. Sarò sicuro nel
mio cammino, perché ho ricercato i tuoi voleri. Davanti ai re parlerò della tua
alleanza senza temere la vergogna. Gioirò per i tuoi comandi che ho amati.
Alzerò le mani ai tuoi precetti che amo, mediterò le tue leggi.
Zain. Ricorda la promessa fatta al tuo servo, con la quale mi hai dato speranza.
Questo mi consola nella miseria: la tua parola mi fa vivere. I superbi mi
insultano aspramente, ma non devìo dalla tua legge. Ricordo i tuoi giudizi di
un tempo, Signore, e ne sono consolato. M'ha preso lo sdegno contro gli empi
che abbandonano la tua legge. Sono canti per me i tuoi precetti, nella terra
del mio pellegrinaggio. Ricordo il tuo nome lungo la notte e osservo la tua
legge, Signore. Tutto questo mi accade perché ho custodito i tuoi precetti.
Het. La mia sorte, ho detto, Signore, è custodire le tue parole. Con tutto il
cuore ti ho supplicato, fammi grazia secondo la tua promessa. Ho scrutato le
mie vie, ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti. Sono pronto e
non voglio tardare a custodire i tuoi decreti. I lacci degli empi mi hanno
avvinto, ma non ho dimenticato la tua legge. Nel cuore della notte mi alzo a
renderti lode per i tuoi giusti decreti. Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti. Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.
Tet. Hai fatto il bene al tuo servo, Signore, secondo la tua parola. Insegnami il
senno e la saggezza, perché ho fiducia nei tuoi comandamenti. Prima di
153
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua parola. Tu sei buono e
fai il bene, insegnami i tuoi decreti. Mi hanno calunniato gli insolenti, ma io
con tutto il cuore osservo i tuoi precetti. Torpido come il grasso è il loro
cuore, ma io mi diletto della tua legge. Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari ad obbedirti. La legge della tua bocca mi è preziosa più di
mille pezzi d'oro e d'argento.
Iod. Le tue mani mi hanno fatto e plasmato; fammi capire e imparerò i tuoi
comandi. I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia, perché ho sperato nella tua
parola. Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi e con ragione mi hai
umiliato. Mi consoli la tua grazia, secondo la tua promessa al tuo servo. Venga
su di me la tua misericordia e avrò vita, poiché la tua legge è la mia gioia.
Siano confusi i superbi che a torto mi opprimono; io mediterò la tua legge. Si
volgano a me i tuoi fedeli e quelli che conoscono i tuoi insegnamenti. Sia il
mio cuore integro nei tuoi precetti, perché non resti confuso.
Caf. Mi consumo nell'attesa della tua salvezza, spero nella tua parola. Si
consumano i miei occhi dietro la tua promessa, mentre dico: Quando mi
darai conforto? Io sono come un otre esposto al fumo, ma non dimentico i tuoi
insegnamenti. Quanti saranno i giorni del tuo servo? Quando farai giustizia dei
miei persecutori? Mi hanno scavato fosse gli insolenti che non seguono la tua
legge. Verità sono tutti i tuoi comandi; a torto mi perseguitano: vieni in mio
aiuto. Per poco non mi hanno bandito dalla terra, ma io non ho abbandonato i
tuoi precetti. Secondo il tuo amore fammi vivere e osserverò le parole della
tua bocca.
Lamed. La tua parola, Signore, è stabile come il cielo. La tua fedeltà dura
per ogni generazione; hai fondato la terra ed essa è salda. Per tuo decreto
tutto sussiste fino ad oggi, perché ogni cosa è al tuo servizio. Se la tua legge
non fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria. Mai dimenticherò i tuoi
precetti: per essi mi fai vivere. Io sono tuo: salvami, perché ho cercato il tuo
volere. Gli empi mi insidiano per rovinarmi, ma io medito i tuoi insegnamenti.
Di ogni cosa perfetta ho visto il limite, ma la tua legge non ha confini.
Mem. Quanto amo la tua legge, Signore; tutto il giorno la vado meditando. Il
tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici, perché sempre mi accompagna.
Sono più saggio di tutti i miei maestri, perché medito i tuoi insegnamenti. Ho
più senno degli anziani, perché osservo i tuoi precetti. Tengo lontano i miei
passi da ogni via di male, per custodire la tua parola. Non mi allontano dai
tuoi giudizi, perché sei tu ad istruirmi. Quanto sono dolci al mio palato le tue
parole: più del miele per la mia bocca. Dai tuoi decreti ricevo intelligenza, per
questo odio ogni via di menzogna.
Nun. Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. Ho
giurato, e lo confermo, di custodire i tuoi precetti di giustizia. Sono stanco di
soffrire, Signore, dammi vita secondo la tua parola. Signore, gradisci le offerte
delle mie labbra, insegnami i tuoi giudizi. La mia vita è sempre in pericolo, ma
non dimentico la tua legge. Gli empi mi hanno teso i loro lacci, ma non ho
deviato dai tuoi precetti. Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore. Ho piegato il mio cuore ai tuoi
comandamenti, in essi è la mia ricompensa per sempre.
154
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Samech. Detesto gli animi incostanti, io amo la tua legge. Tu sei mio rifugio e
mio scudo, spero nella tua parola. Allontanatevi da me o malvagi, osserverò i
precetti del mio Dio. Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita, non
deludermi nella mia speranza. Sii tu il mio aiuto e sarò salvo, gioirò sempre
nei tuoi precetti. Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti, perché la sua
astuzia è fallace. Consideri scorie tutti gli empi della terra, perciò amo i tuoi
insegnamenti. Tu fai fremere di spavento la mia carne, io temo i tuoi giudizi.
Ain. Ho agito secondo diritto e giustizia; non abbandonarmi ai miei oppressori.
Assicura il bene al tuo servo; non mi opprimano i superbi. I miei occhi si
consumano nell'attesa della tua salvezza e della tua parola di giustizia. Agisci
con il tuo servo secondo il tuo amore e insegnami i tuoi comandamenti. Io
sono tuo servo, fammi comprendere e conoscerò i tuoi insegnamenti. E`
tempo che tu agisca, Signore; hanno violato la tua legge. Perciò amo i tuoi
comandamenti più dell'oro, più dell'oro fino. Per questo tengo cari i tuoi precetti
e odio ogni via di menzogna.
Pe. Meravigliosa è la tua alleanza, per questo le sono fedele. La tua parola nel
rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici. Apro anelante la bocca, perché
desidero i tuoi comandamenti. Volgiti a me e abbi misericordia, tu che sei
giusto per chi ama il tuo nome. Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola
e su di me non prevalga il male. Salvami dall'oppressione dell'uomo e obbedirò
ai tuoi precetti. Fa’ risplendere il volto sul tuo servo e insegnami i tuoi
comandamenti. Fiumi di lacrime mi scendono dagli occhi, perché non
osservano la tua legge.
Sade. Tu sei giusto, Signore, e retto nei tuoi giudizi. Con giustizia hai ordinato
le tue leggi e con fedeltà grande. Mi divora lo zelo della tua casa, perché i miei
nemici dimenticano le tue parole. Purissima è la tua parola, il tuo servo la
predilige. Io sono piccolo e disprezzato, ma non trascuro i tuoi precetti. La
tua giustizia è giustizia eterna e verità è la tua legge. Angoscia e affanno mi
hanno colto, ma i tuoi comandi sono la mia gioia. Giusti sono i tuoi
insegnamenti per sempre, fammi comprendere e avrò la vita.
Kof. T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi; custodirò i tuoi precetti.
Io ti chiamo, salvami, e seguirò i tuoi insegnamenti. Precedo l'aurora e grido
aiuto, spero sulla tua parola. I miei occhi prevengono le veglie per meditare
sulle tue promesse. Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia; Signore,
fammi vivere secondo il tuo giudizio. A tradimento mi assediano i miei
persecutori, sono lontani dalla tua legge. Ma tu, Signore, sei vicino, tutti i
tuoi precetti sono veri. Da tempo conosco le tue testimonianze che hai
stabilite per sempre.
Res. Vedi la mia miseria, salvami, perché non ho dimenticato la tua legge.
Difendi la mia causa, riscattami, secondo la tua parola fammi vivere. Lontano
dagli empi è la salvezza, perché non cercano il tuo volere. Le tue misericordie
sono grandi, Signore, secondo i tuoi giudizi fammi vivere. Sono molti i
persecutori che mi assalgono, ma io non abbandono le tue leggi. Ho visto i
ribelli e ne ho provato ribrezzo, perché non custodiscono la tua parola. Vedi
che io amo i tuoi precetti, Signore, secondo la tua grazia dammi vita. La
verità è principio della tua parola, resta per sempre ogni sentenza della tua
155
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
giustizia. Sin. I potenti mi perseguitano senza motivo, ma il mio cuore teme le
tue parole. Io gioisco per la tua promessa, come uno che trova grande tesoro.
Odio il falso e lo detesto, amo la tua legge. Sette volte al giorno io ti lodo per le
sentenze della tua giustizia. Grande pace per chi ama la tua legge, nel suo
cammino non trova inciampo. Aspetto da te la salvezza, Signore, e obbedisco
ai tuoi comandi. Io custodisco i tuoi insegnamenti e li amo sopra ogni cosa.
Osservo i tuoi decreti e i tuoi insegnamenti: davanti a te sono tutte le mie
vie.
Tau. Giunga il mio grido fino a te, Signore, fammi comprendere secondo la tua
parola. Venga al tuo volto la mia supplica, salvami secondo la tua promessa.
Scaturisca dalle mie labbra la tua lode, poiché mi insegni i tuoi voleri. La mia
lingua canti le tue parole, perché sono giusti tutti i tuoi comandamenti. Mi venga
in aiuto la tua mano, poiché ho scelto i tuoi precetti. Desidero la tua salvezza,
Signore, e la tua legge è tutta la mia gioia. Possa io vivere e darti lode, mi
aiutino i tuoi giudizi. Come pecora smarrita vado errando; cerca il tuo servo,
perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti”.
Quest’uomo pio, fedele è modello ed esempio di come si cresce nella
conoscenza della dottrina della giustizia.
Lui è nella Legge, vive per la Legge, la Legge cerca, medita, comprende.
Perché la sua comprensione sia sempre più perfetta prega, chiede aiuto al
Signore. Perché la possa osservare in ogni sua prescrizione chiede la forza a
Dio.
Questa stessa attenzione, intensità di amore, passione per la verità deve
possedere chiunque vuole smettere di essere bambino nelle cose di Dio per
diventare adulto.
Questo impegno personale è richiesto ad ogni cristiano. È questo il motivo per
cui all’impegno dei ministri della Parola deve seguire quello personale,
quotidiano, perenne. Senza questo impegno ogni altro sarà vano, perché
manca della personale interiorizzazione e crescita nella dottrina della giustizia.
[14]Il nutrimento solido invece è per gli uomini fatti, quelli che hanno le
facoltà esercitate a distinguere il buono dal cattivo.
Ancora l’Autore tiene a ribadire il concetto finora espresso. I destinatari della
Lettera sono bambini. Sarebbero dovuti essere già adulti nella fede, invece
ancora non conoscono neanche le verità più elementari.
Quando si finisce di essere bambini e si comincia ad essere adulti?
Per l’Autore la differenza la fa la capacità di discernere il buono dal cattivo, ma
anche il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, ciò che è secondo Dio da ciò che è
invece solo pensiero dell’uomo.
La differenza la fa anche la capacità acquisita di nutrirsi con nutrimento solido.
Quando un cristiano è incapace di accogliere le verità centrali della fede è il
segno che lui è ancora bambino, non è cresciuto, non ha cambiato niente nella
sua formazione dottrinale e spirituale.
156
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Ora la crescita in sapienza e grazia deve essere di tutti e solo chi cresce in
sapienza e grazia raggiunge la perfezione della sua fede in Cristo Gesù.
Ognuno pertanto esaminandosi sulla dottrina della giustizia che possiede nel
suo cuore, può stabilire con precisione se è bambino, oppure adulto, se ha
ancora bisogno di latte, oppure di nutrimento sempre più solido e sempre più
sostanzioso.
Ognuno è chiamato a porre riparo a questo stato infantile di percepire e di
vivere la fede in Cristo Gesù.
Una fede infantile infatti è sempre esposta al rischio della sua perdita. È
sufficiente una qualche tentazione e subito si cade da essa.
È quanto avviene oggi nel cristianesimo. C’è una diaspora dei suoi figli verso le
più grandi falsità che la mente umana mai prima d’ora aveva concepito.
Questo distacco, che è arretramento culturale, oltre che religioso, totale perdita
di fede, è dovuto a due cause: la prima è la mancata formazione,
l’insegnamento non dato per tanti e tanti anni da parte di coloro che hanno
ricevuto il ministero della Parola.
La seconda causa è la non crescita nella fede personale da parte di coloro che
pur avendo ricevuto l’insegnamento del catechismo, si sono fermati a quel
tempo e a quell’età, senza progredire personalmente nella conoscenza della
dottrina della giustizia.
Se la fede non passa per l’elaborazione della coscienza, essa è sempre
dipendente dagli altri e una fede dipendente è la cosa più fragile che possa
esistere.
È sufficiente far cadere in discredito colui dal quale la nostra fede dipende, e la
stessa fede cade in discredito, si perde.
Il rimedio non può essere che uno solo: far sì che ognuno passi dalla fede
dipendente ad una fede personale, fondata sul proprio convincimento.
Per questo è più che urgente avere un punto comune dal quale partire sia chi
insegna, sia chi ascolta e questo punto non può essere che la Rivelazione, il
Vangelo, letto, interpretato, compreso, accolto, meditato, studiato attraverso un
dialogo ed un confronto dove ognuno è obbligato a lasciare ciò che Vangelo
non è per radicarsi solo ed esclusivamente nella sua verità e nella sua dottrina.
Chi vuole una fede adulta negli altri, deve creare il distacco dalla propria fede e
dalla propria verità, facendo sì che ogni fondamento non sia sulla persona che
dice la fede, ma sulla Parola che viene annunziata e la Parola è fuori di chi
l’annunzia e di chi la riceve.
Poiché è di fronte ad entrambi, entrambi si possono confrontare con essa,
lasciare ciò che ad essa non appartiene, per radicarsi e fondarsi solo in ciò che
è dalla Parola, nasce dalla Parola, la Parola insegna, la Parola contiene. È
questa una metodologia che deve sempre accompagnare il ministro della
Parola. Se Lui non fa questo, avrà dinanzi a sé sempre delle persone dalla fede
dipendente dalla sua. Crolla lui, si perde il credito in lui, si perde e crolla anche
la fede di cui lui era assertore, datore, annunziatore.
157
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Oggi il pericolo più grave per la fede è la sostituzione della Parola di Dio con la
parola degli uomini, del sentire di Dio con il sentire della terra che è avvenuta in
molti ministri della Parola.
Questo è avvenuto perché la Parola non vogliamo che rimanga fuori di noi,
dinanzi a noi, per confrontarci con lealtà e purezza di cuore sempre e solo con
essa.
Questo ci fa dire e concludere che oggi, in molti strati di popolazione cristiana
neanche si possa parlare di fede bambina, ma semplicemente di non fede.
È la scristianizzazione del cristiano. Questo è il fenomeno con il quale dovremo
fare ben presto i conti, se non mettiamo mano all’aratro per iniziare a seminare
nel solchi dei cuori solo ed esclusivamente la Parola del Signore.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Preso fra gli uomini. Il sacerdote è un uomo preso tra gli uomini. È questa la
verità divina che regola la legge sul sacerdozio. Questo significa che il
sacerdote deve essere un figlio di Adamo. Chi non è figlio di Adamo non può
essere sacerdote. Anche Gesù, per essere nostro vero sacerdote, si è
sottoposto a questa legge: si è fatto figlio di Adamo. Da Figlio di Dio,
consustanziale con il Padre, si è fatto figlio di Adamo, consustanziale con
gli uomini. Essendo vero uomo, può essere preso da Dio per essere da Lui
costituito suo Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza.
Per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio. È questa la seconda
verità che delimita l’esercizio del ministero sacerdotale. Uomo tra gli uomini, il
sacerdote non si deve occupare delle cose degli uomini che riguardano le cose
terrene, mondane. Il bene che lui deve cercare è nelle cose che riguardano
direttamente Dio. Le cose di Dio sono la sua Gloria, la sua Signoria, la sua
Parola, la sua Grazia, la sua Verità, il suo Regno, la sua Eternità. Il bene
che lui deve portare ai suoi fratelli è Dio stesso, la sua Verità, la sua Giustizia,
la sua Santità, la sua Parola, il suo Amore, la sua Misericordia. Egli deve
portare l’uomo a Dio, portando Dio ad ogni uomo.
Per offrire doni e sacrifici per i peccati. Viene ora specificata una delle cose
principali che riguardano Dio: il perdono dei peccati, la loro remissione, la loro
espiazione. Il Sacerdote è colui che offre doni e sacrifici al Signore per i
peccati, perché il peccato non solo venga perdonato, ma anche espiato. Il
ministero del sacerdote si vive come offerta di doni e di sacrifici per i
peccati. Dopo però che Cristo è morto per togliere il peccato del mondo,
dopo che Lui ha offerto se stesso al Padre in espiazione, ogni altro
ministero sacerdotale deve essere vissuto alla maniera di Cristo Gesù.
Ogni sacerdote deve offrire se stesso in Cristo, con Cristo, per Cristo, al Padre,
perché il peccato venga purificato e tolto, cancellato ed espiato, perdonato e
rimesso dal cuore degli uomini. L’offerta del Sacerdote da offrire al Padre è
Cristo. Offrendo Cristo, deve però offrire se stesso con una vita consacrata tutta
alla gloria del Padre. L’offerta che il Sacerdote deve offrire al Padre è l’esercizio
nella santità del suo ministero sacerdotale, in tutto come ha fatto Cristo Gesù.
158
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
Per lui, per gli altri, fuori di lui. Nell’Antica Legge il Sacerdote offriva per se
stesso e per gli altri con una vittima che era fuori di lui, che non era lui. Il
sacerdote nell’Antica Legge offriva sacrifici animali, portava dinanzi a Dio il
sangue dei tori e dei vitelli. Nella Nuova Legge Cristo Gesù non offre
qualcosa che è fuori di sé, ma offre se stesso. Entra nel Santuario del
Cielo, presso Dio con il proprio sangue. Cristo offre se stesso. Offre se
stesso, ma non per se stesso. Offre se stesso per noi. È questa la grande
novità del suo sacrificio. Con esso viene abolita per sempre l’Antica Legge e
ogni Antico Sacrificio. Ora il Sacrificio è uno solo: Cristo Gesù. In questa
offerta ogni cristiano deve farsi offerta, sacrificio. Questa offerta ogni sacerdote
ordinato deve offrire al Padre, ma in questa offerta anche offrirsi per se stesso e
per il mondo intero.
Nessuno si fa. Viene fatto. L’onore del sacerdozio nessuno può attribuirselo
da solo. Sacerdote nessuno si può fare da sé. Tutti sono fatti da Dio, tutti sono
da Lui costituiti. È Dio che ha fatto, che ha costituito Gesù suo Sacerdote in
eterno alla maniera di Melchisedek . Dio non solo lo ha costituito. Gli ha indicato
anche la modalità, secondo la quale egli avrebbe dovuto esercitare il culto.
Ancora una volta la questione cristologica si fa e diviene questione
teologica. Se è questione teologica la sua soluzione è da trovare e
risolvere alla luce dell’Antico Testamento, letto però con mente libera,
cuore puro, coscienza non alterata dal peccato, spirito sincero, volontà di
pervenire alla verità di Dio e solo ad essa. Questa metodologia, seguita e
applicata con somma diligenza, conduce alla verità che libera e introduce nella
vera vita.
Le cose che riguardano Dio: Legge, espiazione, preghiera. I compiti del
Sacerdote nelle cose che riguardano Dio sono: il dono al popolo della Legge di
Dio e il suo insegnamento secondo perfetta verità, o corrispondenza con la
divina volontà, il culto nella sua duplice via di preghiera e di sacrificio. Con la
preghiera si intercede, si invoca da Dio la benedizione sul popolo dell’Alleanza;
con l’espiazione si offre il sacrificio per l’espiazione dei peccati. Come si può
constatare il ministero sacerdotale è finalizzato a far entrare e a far
permanere l’uomo nella volontà di Dio per un suo compimento sempre più
perfetto. Quando lo si separa da questa finalità, il suo è un esercizio, o
una ministerialità vana. È vano ogni esercizio del ministero sacerdotale
che non fa crescere la santità nel popolo del Signore. Nessuna santità sarà
mai possibile senza l’insegnamento della Legge, senza il dono della verità che
la Legge contiene.
Portare ignoranza ed errore nella santità. Il Sacerdote è chiamato a portare
ogni ignoranza, ogni errore, ogni falsità, ogni idolatria, ogni ambiguità, ogni
cattiva comprensione della Legge nella santissima verità della Volontà di Dio
che la Legge esprime e contiene. Se il Sacerdote lascia, o permette,
consapevolmente o anche inconsapevolmente, che un solo errore, una
sola falsità, o alcunché di impuro guasti la pienezza e la purezza della
verità divina, che lui è chiamato a preservare anche pagando il prezzo del
suo sangue, lui si fa responsabile di tutto il male che si compie in seno al
popolo di Dio a motivo di quell’errore o di quella falsità che Lui ha
lasciato, o permesso, o concesso, che si intromettesse nella verità di Dio
159
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
e la rendesse falsità. Il Sacerdote è il ministro della verità di Dio, prima che di
ogni altra cosa. È la verità di Dio insegnata in pienezza che conduce alla
santità. Dove non si insegna la verità, nessuna santità sarà mai possibile. Di
questo però responsabile è il solo Sacerdote.
Il ministro della santità di Dio. Il Sacerdote è anche ministro della santità di
Dio. Egli deve condurre il popolo del Signore nella santità del suo Dio e
per questo deve abolire il peccato che toglie la santità dell’anima, inquina
il cuore, deturpa la mente, conduce nella morte l’uomo. Per questo egli è
anche l’uomo dell’intercessione, della preghiera, dell’offerta, del
sacrificio, dell’espiazione. Lui deve sempre operare in vista del ritorno
degli uomini nella santità di Dio e per questo deve portare la santità di Dio
sulla terra. Deve farlo offrendo se stesso, facendo della sua vita un sacrificio,
un olocausto al Signore affinché la santità di Dio riempia il mondo. Egli dovrà
fare di ogni peccatore un santo e di ogni nemico di Dio un amico fedele, che
percorre le vie della giustizia e della verità per tutti i giorni della sua vita.
L’uomo della giusta compassione. Il Sacerdote è l’uomo della giusta
compassione, perché la sua compassione non è semplicemente umana, cioè
rivolta all’uomo per le cose della terra. La sua è rivolta all’uomo, ma per le
cose del cielo. La sua compassione tende a strappare l’uomo dalle
tenebre, dalla falsità per portarlo nello splendore della verità di Dio; ma
anche toglierlo dal peccato e dalla morte per rivestirlo della veste candida
della grazia e della carità che sono dono di Dio per la salvezza di chiunque
crede. La sua deve essere sempre compassione per le cose di Dio, non per
quelle della terra. Mai si deve lasciare tentare dalla compassione per le cose
della terra. Queste gli fanno perdere la vera finalità del suo ministero, senza la
quale regnano solo tenebre, falsità e peccato.
Esperto conoscitore della Legge e della Santità di Dio. Per poter svolgere
con potenza di grazia e di verità il Sacerdote deve essere lui stesso un esperto
conoscitore sia della Legge, o della verità di Dio, che della sua Santità. Questo
avviene portando se stesso nella più alta verità e nella più grande santità. Egli
deve attrarre nella verità dalla verità che è diventata la sua vita, ma anche
deve attrarre nella santità del suo Signore dalla pienezza di santità che
avvolge la sua anima. Egli deve essere per tutti vero modello di verità, di
santità, di sana conoscenza, di pura carità, di ogni altra virtù che adorna l’anima
e lo costituisce esperto nelle cose che riguardano Dio. Santità e verità devono
essere la luce che brilla perennemente sul volto del sacerdote.
Gli errori spirituali del Sacerdote. L’errore spirituale del Sacerdote è
essenzialmente uno. Da questo errore ogni altro viene generato. Il Sacerdote
non ha alcuna autonomia né nella verità, né nella santità. Il Sacerdote
deve attenersi esclusivamente alla Rivelazione e dare Dio secondo
pienezza di rivelazione sia per quanto attiene alla verità che per quanto
riguarda la grazia. Ogni intromissione di pensiero umano, si trasformerà in un
errore che impedisce l’uso santo del suo ministero. Quando l’uso del suo
ministero non è santo, esso non può generare santità. Ognuno è obbligato a
liberare l’uso e la modalità del suo sacerdozio da ogni indebita intromissione.
160
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
La legge della giusta compassione. Per il Sacerdote la giusta compassione è
una sola: attenersi al dono della verità e della grazia. La sua giusta
compassione è preservare il suo ministero nella finalità che ad esso ha donato il
Signore nell’atto stesso di costituirlo suo Sacerdote. Le tentazioni del
Sacerdote sono tutte rivolte a che lui sia distratto da questa unica finalità.
Persa la finalità si perde anche l’essenza del sacerdozio. Quanto si opera
non è più giusta compassione, bensì è compassione falsa, bugiarda, iniqua. È
iniqua perché frutto di peccato e di morte del ministero sacerdotale.
La legge del sacerdozio è di origine divina, non può essere di origine
ecclesiale. Il Sacerdozio è stato costituito da Dio all’interno del suo popolo. Dio
lo ha costituito, Dio ne ha legiferato anche l’essenza, le finalità, le modalità, le
forme. Essendo Dio l’Autore, nessun altro può legiferare su di esso. Non
può perché non è Autore. Essendo il Sacerdozio di origine divina, di
origine divina deve sempre rimanere. Neanche la storia lo può
condizionare, o asservire ad essa. Se la Chiesa vuole ritrovare splendore
nel suo seno, deve mettere ogni impegno a che il Sacerdozio brilli nel suo
seno in tutta la verità e la santità di cui il Signore lo ha adornato. Tutte le
tentazioni mirano a distruggere il Sacerdote nella sua origine divina. Distrutto il
Sacerdote in questa sua divina origine, tutto il popolo di Dio va alla deriva.
Tutto è dal Sacerdote, perché tutto Dio è dal Sacerdote. Ucciso il
Sacerdote, si priva di Dio ogni uomo e tutto il popolo. Questa è verità. Questa è
la verità.
Con Mosè la prima legge sul sacerdozio. La prima legislazione sul
Sacerdozio Dio l’ha data per mezzo di Mosè. Potevano essere Sacerdoti al
suo cospetto solo i discendenti maschi di Aronne. Quanti non erano
discendenti di Aronne, non potevano essere ammessi a questo ministero.
Nessuna donna poteva esercitare il ministero sacerdotale. Tutti i
discendenti maschi di Levi erano addetti al culto nel Santuario, ma non
all’esercizio del sacerdozio.
Con Isaia Dio cambia la legge. Con Isaia Dio cambia la legge sul Sacerdozio.
Con la Nuova Alleanza non solo tra i figli di Aronne, ma ogni altro figlio poteva
divenire sacerdote al suo cospetto, sia tra i discendenti di Abramo che fra le
Nazioni. Dio si sarebbe presi Sacerdoti e Leviti da ogni popolo e nazione.
Questa profezia è una vera rivoluzione. È la rivoluzione per eccellenza. Isaia
annunzia il cambiamento di una parte della legge sul Sacerdozio, solo per
quella parte riguardante la discendenza. Non si pronunzia sul cambiamento del
culto. Questo cambiamento è stato introdotto da Cristo Gesù.
La legge è di Cristo. Con Cristo non solo la legge sul Sacerdozio è Sua, ma è
Lui stesso la legge del Sacerdozio. Ogni Sacerdote che vuole conoscere
qual è la legge che governa e regola il suo Sacerdozio deve tenere fisso lo
guardo perennemente su Cristo Gesù. Oltre la forma e la via di Cristo
nessuna forma e nessuna via. Oltre la modalità di Cristo nessuna
modalità. Oltre l’essenza di Cristo nessuna essenza. Oltre la finalità di
Cristo nessuna finalità. Tutto è Cristo, tutto si definisce da Cristo, tutto si
comprende da Cristo, tutto si aggiorna su Cristo, tutto si spiega da Cristo,
tutto si conduce a Cristo, tutto parte da Cristo, ma anche tutto deve
161
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
sempre ritornare a Cristo perché riceva il sigillo della verità, della santità
sia nelle modalità che nella finalità. Cristo è l’essenza eterna del
Sacerdozio della Nuova Alleanza. Anzi Cristo è il solo Sacerdote della
Nuova Alleanza. Ogni altro Sacerdozio è partecipazione dell’unico ed
eterno suo Sacerdozio. Secondo questa verità ogni Sacerdote deve
considerarsi, comprendersi, relazionarsi. Il suo Sacerdozio è da Cristo, ma
anche in Cristo, con Cristo, per Cristo.
La Chiesa può determinare i requisiti, ma non la legge. La Chiesa non ha
alcun potere sul Sacerdozio di Cristo. Esso è interamente da Dio. La Chiesa
però può intervenire sui requisiti da chiedere per ogni chiamato al
Sacerdozio. I requisiti sono la forma dell’uomo senza la quale il
Sacerdozio viene esposto o al fallimento, o a nullità. I requisiti sono come i
mezzi storici attraverso i quali il Sacerdozio può essere esercitato con frutto.
Nella scelta e nella missione nessun elemento della terra dovrà mai introdursi.
Lo esige la verità e la santità del Sacerdozio di Cristo Gesù.
La mediazione umana è nella trasmissione dei poteri. La Chiesa è stata
costituita da Dio “mediatrice” nella trasmissione dei poteri sacerdotali. È
mediatrice nei suoi Apostoli e nei loro successori, i Vescovi. Solo loro
sono stati rivestiti della pienezza del Sacerdozio di Cristo e solo loro
possono conferire ad un altro i poteri sacerdotali, secondo ordine e grado
diversi. Dove non c’è vera successione apostolica, lì non c’è alcuna
mediazione valida. Dove non c’è vera successione apostolica, lì non ci sono
veri sacerdoti.
È Dio che sceglie Cristo. È Dio che dona a Cristo la missione. Cristo:
sacerdote per sempre. Alla maniera di Melchisedek. Cristo è da Dio. La sua
origine da Dio non è però nel tempo. È nell’eternità per l’eternità. È da sempre
per sempre. Cristo è il solo Sacerdote della Nuova Alleanza. Gli altri lo
sono perché sono resi partecipi del suo unico, eterno Sacerdozio. Il
Sacerdozio di Cristo Gesù non è però alla maniera di Aronne, ma alla
maniera di Melchisedek. Cambia l’ordine, cambia anche la modalità,
cambia il sacrificio, cambia la legge. Tutto cambia con Cristo. Tutto
cambia, anche l’Alleanza, dall’Antica si passa alla Nuova. Se tutto questo
avviene per volontà di Dio, non per volontà di Cristo, chi vuole rimanere nella
volontà di Dio, deve operare un passaggio anch’esso sostanziale. Deve
passare dalla volontà di Dio manifestata per mezzo di Mosè alla volontà di
Dio manifestata per mezzo dei Profeti e compiuta interamente da Cristo
Gesù. Questo cambiamento di volontà di Dio è sostanza e modalità del
Sacerdozio di Cristo. In questa volontà ognuno è chiamato ad entrare. Chi non
entra in questa volontà, non è semplicemente nella volontà di Dio. La volontà di
Dio manifestata a Mosè non è la pienezza della volontà di Dio. Non è quindi la
volontà di Dio nella quale Dio ha posto la sua salvezza.
Tutto avviene in Cristo, niente fuori di Lui. Nel Sacerdozio alla maniera di
Cristo, tutto avviene in Cristo; niente fuori di Lui. Tutto avviene in Cristo,
perché l’esercizio del Sacerdozio di Cristo consiste nell’offerta a Dio della
propria volontà. È questo l’unico e solo sacrificio che il Signore vuole:
l’offerta della volontà. Cristo gliela dona per intero, sempre, tutta, in ogni
162
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
sua parte, in ogni suo desiderio, in ogni sua manifestazione. Niente ha
fatto Cristo che non fosse la Volontà del Padre. Per fare tutta la Volontà del
Padre ha dovuto annientarsi, rinnegarsi, annichilirsi nella sua volontà umana. È
questo l’unico sacrificio gradito al Padre.
Obbedienza e patimenti. L’obbedienza di Cristo non è senza la sofferenza. Il
dono della volontà nella sofferenza, nel grande patimento fa di questo dono un
sacrificio, un’offerta, un olocausto. Nella situazione di morte e di peccato nel
quale l’uomo si è collocato a causa della colpa antica, non c’è dono della
volontà a Dio se non nella morte per rimanere fedeli a Dio. La sofferenza
nasce dal fatto che il male non libera l’uomo dalla sua schiavitù se non
facendolo passare attraverso la morte. La sofferenza è morte alla propria
volontà, al proprio cuore, alla propria mente, a tutto il proprio essere. Chi
non passa attraverso questa morte attesta che la sua volontà è ancorata alla
propria schiavitù. La sofferenza altro non è che la consegna della propria
vita del corpo al male di questo mondo perché l’anima possa essere tutta
e solo di Dio. Il male si prende la nostra vita uccidendola, crocifiggendola,
insultandola, rinnegandola. Poiché la nostra vita non è fatta per queste cose,
specie per la morte, essa vive di sofferenza, di dolore, di angoscia, di ogni sorta
di patimento prima dell’anima e poi anche del corpo, o del corpo e dell’anima
insieme.
Perfezione e causa di salvezza. La sofferenza offerta tutta al Signore – e può
essere offerta al Signore solo quella sofferenza che è vissuta nella più grande
santità e purezza di sentimenti, nella libertà da ogni male – produce un frutto di
perfezione in chi la subisce e la offre. La perfezione consiste nell’essere
interamente e in ogni cosa del Signore. Che si è interamente del Signore
lo attesta il dono della nostra vita a lui nella più grande tribolazione, che
raggiunge spesso anche la morte. Questa sofferenza che è perfezione per
noi, è anche merito, frutto di salvezza per gli altri. Nel caso di Cristo Gesù è
causa di salvezza per il mondo intero. Dio gli dona la salvezza del mondo a
causa dell’offerta che Cristo ha fatto di se stesso a Lui. Questo deve significare
per noi una sola verità: non c’è redenzione del mondo se non in questa offerta,
in questo dono. Questo dono deve essere fatto in Cristo, per Cristo, con Cristo.
La Salvezza è nell’obbedienza. La salvezza è nell’obbedienza perché solo
nell’obbedienza si compie tutta la volontà del Padre; solo nell’obbedienza ci si
consegna interamente a Lui. L’uomo dona tutto se stesso a Dio. Dio dona
tutto se stesso all’uomo, ma donandosi all’uomo, non si dona solo per chi
ha fatto l’offerta, si dona all’uomo perché l’uomo lo doni ad ogni altro. È in
questo dono di Dio al mondo che si compie la salvezza. In altre parole: la
salvezza si compie nel momento in cui Dio viene dato all’anima. Nessuno
può dare Dio ad un’anima, se Dio non si è dato all’uomo perché lo dia alle
anime. Quando Dio si dona ad un uomo? Quando l’uomo si dona tutto a Dio.
L’uomo si dona nell’obbedienza tutto al Signore, il Signore si dona tutto
all’anima, per la propria santificazione, ma anche perché l’anima lo dia al
mondo intero per la sua salvezza. Più intensamente l’uomo si dona a Dio, più
totalmente Dio si dona all’anima, all’uomo, più totalmente e intensamente
l’uomo lo potrà dare ai suoi fratelli. Se invece l’uomo non si dona a Dio,
neanche Dio si dona all’uomo. Questi può anche andare dai suoi fratelli, ma
163
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
andrà solo pieno di se stesso, ma non di Dio, al quale non si è dato. Senza il
dono di Dio non c’è salvezza, non c’è redenzione, non c’è giustificazione.
C’è solo un incontro e una relazione da uomo a uomo, ma non da uomo di
Dio ricolmo tutto di Dio per donare Dio al mondo intero. Questo è il
fallimento della nostra pastorale. Si fa all’uomo senza Dio, perché a Dio non si è
consegnata tutta intera la vita per compiere il suo volere, per fare la sua
volontà.
L’obbedienza è a Cristo. Con Mosè, con i Profeti l’obbedienza era alla Parola
che Dio diceva attraverso di loro. Con l’Incarnazione del Verbo, Dio non ha altre
parole da dirci se non quelle proferite da Cristo Gesù. In tal senso l’obbedienza
è solo a Cristo, perché Cristo è la Parola definitiva, ultima di Dio per il mondo
intero. Dio non ha altre parole da dirci. Egli ci ha detto e ci ha dato tutto in
Cristo Gesù. Per questo motivo l’obbedienza è solo a Cristo Signore,
perché in Lui il Padre si è compiaciuto e Lui ci ha detto di ascoltare. Cristo
Gesù è il dono totale, pieno, perfetto, come Parola e come Sacrificio, che il
Padre ha fatto all’umanità e l’ha fatto una volta per tutte e per sempre.
Cosa è la salvezza? La salvezza in sé è il ritorno dell’uomo nell’obbedienza a
Dio, è il ritorno sotto la Signoria di Dio. La salvezza è liberazione da ogni
peccato, anche veniale; è vita secondo la verità e la carità che Cristo Gesù è
venuto a portare sulla nostra terra. Tutto questo avviene per grazia e non per
merito dell’uomo e si realizza mediante la fede in Cristo Gesù, unico Salvatore
e Redentore dell’uomo.
Il Dio dell’ultima parola rivelata. Dio parla all’uomo. L’uomo deve sempre
ascoltare il Signore che parla oggi al suo cuore. C’è la rivelazione del mistero e
questa rivelazione è avvenuta una volta per tutte. Dio non ha altri misteri da
rivelarci e sul mistero che ci ha rivelato ha detto tutto. Ora però bisogna vivere
in pienezza il mistero della salvezza. Per aiutarci a vivere nel mistero, Dio,
Padre di bontà e di misericordia, sempre viene in aiuto alla nostra fragilità
e in molti modi ci parla e ci introduce nella vita del mistero secondo
pienezza di verità, di carità, di speranza. Poiché Dio parla all’uomo, l’uomo
deve avere la disponibilità del cuore, la leggerezza della mente, la duttilità
dell’intelligenza di ascoltare sempre l’ultima parola di Dio e metterla in pratica
con ogni obbedienza pronta, sollecita, immediata.
Non si cresce per volontà e neanche per intelligenza nella conoscenza del
mistero. Alla volontà dell’uomo è richiesto di aprirsi al mistero. All’intelligenza di
accoglierlo. Però né la volontà, né l’intelligenza ci aiutano a crescere nella
comprensione del mistero di Dio. Chi ci aiuta è lo Spirito del Signore ed ogni
crescita avviene in noi per grazia. Senza lo Spirito Santo che opera dentro
di noi, ogni conoscenza di Cristo è conoscenza sterile, inutile, vuota,
vana. È una conoscenza della mente che non trasforma il cuore né lo aiuta a
crescere secondo Dio e in Dio. Questa conoscenza è frutto di tanta preghiera
unitamente alla crescita in grazia che avviene nel nostro cuore e nella nostra
anima.
Come si progredisce di fede in fede? Prima di tutto si cresce mettendosi in
ascolto dello Spirito Santo. Lui bisogna imparare ad ascoltare. Per
ascoltarlo, è necessario, prima ancora, invocarlo. Lo si prega con continua
164
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
preghiera, ma anche con una disponibilità sempre più grande di affidarci alla
sua misericordia e al suo aiuto. Si progredisce ancora servendoci con
santità di tutti quei mezzi che il Signore ha messo a nostra disposizione.
Questi mezzi sono l’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, ma anche il
confronto quotidiano con la Scrittura Santa e con la sana dottrina che la Chiesa
ci insegna di giorno in giorno.
Si conosce per Scrittura. La Scrittura è la fonte di ogni nostra vera
conoscenza su Cristo Gesù. La Scrittura però bisogna che venga letta con la
fede della Chiesa, nella Chiesa, con la Chiesa. La Parola da Gesù è stata
affidata agli Apostoli e sono loro che devono insegnarcela con ogni
sapienza e dottrina. Perché il loro insegnamento penetri nei nostri cuori, è
necessario da parte nostra la preghiera, molta preghiera, affinché il Signore ci
renda docili all’ascolto, ma anche alla messa in pratica di ogni parola ascoltata.
La conoscenza della Scrittura secondo la fede e la sana dottrina della Chiesa è
aiuto indispensabile per conoscere Dio e Cristo secondo verità.
Si conosce per illuminazione. La conoscenza solo per Scrittura non è
sufficiente, non basta. Cristo Gesù spesso si serve del dono diretto della
conoscenza del suo mistero. Questo dono non è fatto ad ogni uomo. È fatto
ad anime particolari, che Lui stesso sceglie e invia nel mondo per portare ad
ogni uomo la luce del suo Vangelo, libero da ogni fraintendimento umano.
Nella vera conoscenza di Cristo è ogni vero servizio verso l’uomo. Chi
vuole servire secondo verità e giustizia ogni uomo, deve andare a Lui con una
sana, vera, giusta, perfetta conoscenza di Gesù Signore e del mistero dello
stesso Dio. Se manca in noi la vera conoscenza di Cristo, non possiamo
parlare di Cristo secondo verità. Se il nostro Cristo è falso, o non vero, tutta
la vita cristiana sarà sottoposta a falsità, o a non verità. Chi ama l’uomo deve
presentarsi a Lui con una santa, giusta, vera conoscenza di Gesù. È Gesù
che salva l’uomo, lo salva però nella sua vera, santa conoscenza. Ogni falsità
che viene introdotta su Cristo allontana sempre più dalla conoscenza, e quindi
dalla libertà.
Il complesso e l’armonia delle verità della fede: dottrina della giustizia. La
fede è un complesso ben compaginato e connesso di una miriade di verità.
Ognuno è obbligato a conoscere di questo complesso le verità più essenziali,
quelle che servono per la sua vita eterna e per raggiungere una più grande
santità. La dottrina della giustizia è quel complesso e quell’armonia delle
verità della fede che aiutano l’uomo a strapparlo al regno delle tenebre e a
condurlo nel regno della verità e della santità di Dio. Ognuno è obbligato a
possedere questo complesso e questa armonia, poiché ognuno è chiamato alla
santità e senza la dottrina della giustizia è difficile, anzi impossibile pervenire ad
una sempre più grande santificazione.
Adulti si diventa con la capacità di discernimento. Un uomo è adulto nella
fede prima di tutto quando è nella vera, reale capacità di discernere il bene dal
male, tutto il bene da tutto il male. Questo conferisce lo stato di adulto a
livello di conoscenza. Ma c’è anche l’altro livello ed è quello della grazia.
Un uomo è adulto nella grazia, quando è nelle reali possibilità di superare il
male con il bene, di evitare tutto il male e di fare ogni bene. Quando si è capaci
165
Lettera agli Ebrei–Capitolo Quinto
di operare un sano discernimento e di vivere secondo verità e giustizia, allora si
è adulti nella fede, nella verità. In questo cammino poi non ci si può fermare.
Bisogna giungere alla piena maturità in Cristo e questo può avvenire solo in una
grande santificazione, nella perfezione dell’obbedienza a Gesù Signore. Oggi
abbiamo bisogno di fede adulta, matura, sana, giusta, santa. Questo può
avvenire solo in una santità sempre più grande.
Fede dipendente. La fede è dipendente quanto all’origine. Essa è dalla Parola
che ci danno gli Apostoli, annunziandola e insegnandola. In questo dono
bisogna essere sempre dipendenti. Non c’è Parola interamente data e
santamente interpretata se non per mezzo degli Apostoli. La fede non deve
essere dipendente quanto alla sua realizzazione e alla sua vita. In questo il
cristiano deve liberare la vita della sua fede dalla vita di fede degli altri. Ognuno
è obbligato a vivere la sua fede, anche se tutto il mondo vi rinunziasse.
Vera metodologia di crescita. Una vera, santa metodologia di crescita nella
fede vuole un duplice contatto: con gli Apostoli del Signore e con il Sacro Testo.
Inoltre accorre una esemplarità a prova di pienezza di Parola vissuta. Se una
sola di queste tre cose manca, si arresta ogni crescita nella fede, oppure si fa
un cammino assai lento, quasi impossibile.
La Parola è fuori di chi l’annunzia e di chi l’ascolta. La fede nasce dalla
Parola. La Parola è fuori di chi l’annunzia e di chi l’ascolta. La Parola è il punto
di riferimento oggettivo della fede. Essa è garanzia per chi annunzia e per
chi ascolta. È vero punto di confronto per chi annunzia e per chi ascolta. Tutti
possono confrontarsi con essa e se sono uomini di buona volontà, sinceri,
onesti con se stessi, prima che con Dio e con i fratelli, possono giungere alla
verità, anche perché chi cerca il Signore con cuore semplice, puro, dal Signore
è cercato, dalla verità è attratto e condotto nel regno di Dio. Essendo fuori di chi
l’annunzia e di chi l’ascolta, la Parola conserva sempre la più pura libertà dagli
uomini. Nessuno potrà mai ridurla in schiavitù. Essa è libera della stessa libertà
di Dio.
166
CAPITOLO SESTO
I DANNI DELL’APOSTASIA
[1]Perciò, lasciando da parte l'insegnamento iniziale su Cristo, passiamo a
ciò che è più completo, senza gettare di nuovo le fondamenta della
rinunzia alle opere morte e della fede in Dio, [2]della dottrina dei battesimi,
dell'imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio
eterno.
Per procedere con ordine e senza sbandamenti, è più che giusto entrare nel
pensiero dell’Autore e puntualizzarlo con la più grande precisione possibile.
Ci sono alcune cose che lui ritiene non dover affrontare e che quindi è più che
opportuno omettere di trattare.
Ora lui lascia da parte l’insegnamento iniziale su Cristo. Noi però non sappiamo
in che cosa consistesse questo insegnamento iniziale.
Possiamo solamente immaginarlo, partendo dalle forme di annunzio contenute
negli Atti degli Apostoli: è la presentazione di Cristo come vero Messia di Dio,
unico Salvatore del mondo, morto per i nostri peccati, risorto per la nostra
giustificazione, asceso alla destra del Padre, costituito Giudice dei vivi e dei
morti.
In ogni annunzio di Pietro e di Paolo, questo insegnamento è sempre dato. È
sufficiente per questo leggere il primo discorso di Pietro, subito dopo la discesa
dello Spirito Santo, in Atti 2, 22-41:
“Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret uomo accreditato
da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso
operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete, dopo che, secondo il
prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete
inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha
risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile
che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; poiché egli sta alla mia destra,
perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua;
ed anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai
l'anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. Mi
hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli
morì e fu sepolto e la sua tomba è ancora oggi fra noi. Poiché però era profeta
e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un
suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu
abbandonato negli inferi, né la sua carne vide corruzione. Questo Gesù Dio l'ha
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio
e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo
ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Davide infatti non salì al cielo;
tuttavia egli dice: Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché
io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi. Sappia dunque con certezza
tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che
voi avete crocifisso!
All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri
apostoli: Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E Pietro disse: Pentitevi e ciascuno
di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei
vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la
promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne
chiamerà il Signore Dio nostro. Con molte altre parole li scongiurava e li
esortava: Salvatevi da questa generazione perversa. Allora coloro che
accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa
tremila persone”.
Senza dubbio è questo l’insegnamento iniziale su Cristo Gesù. Sono le verità
principali sul suo mistero, sulla sua missione, sulla sua Persona, sulla sua
storia.
Tralascia tutto questo per passare a ciò che è più completo e ciò che è più
completo nel contesto della Lettera è con sicura certezza il suo sacerdozio.
Questa tematica diverrà pertanto l’unico argomento. Gli altri entreranno nella
trattazione, solo se saranno ritenuti utili, o necessari per dare maggiore valore e
più ampio respiro “a ciò che è più completo”.
Per questo motivo omette anche di gettare di nuovo le fondamenta:
-
della rinunzia alle opere morte e della fede in Dio
-
della dottrina del battesimo,
-
dell’imposizione delle mani,
-
della risurrezione dei morti
-
del giudizio eterno.
Come si può constatare non sono tematiche secondarie. Esse riguardano il
fondamento stesso del nostro essere cristiani: conversione e santificazione
(rinunzia alle opere morte), battesimo, confermazione, risurrezione finale,
giudizio eterno di Dio. E prima ancora fede in Dio.
Tutto questo deve essere tralasciato per una ragione di fede. A che serve
conoscere queste verità, se la verità prima della nostra santa fede non è
conosciuta secondo ogni pienezza?
La verità prima è il sacerdozio di Cristo, perché è per mezzo di esso che la
salvezza e la santificazione si compiono e ogni altro dono di grazia ci è
donato.
Per l’Autore niente conserva il suo valore, se si smarrisce la verità sul
Sacerdozio di Gesù Signore, dal quale ogni altra verità riceve la sua
168
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
consistenza e ogni suo vero contenuto di verità e di dottrina. Niente rimane
puro nella fede, se la fede in Cristo Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza
diventa impura, meno pura, macchiata da qualche imperfezione sia nella
formulazione che nella comprensione.
Ha visto bene l’Autore, a differenza di noi che vediamo male, tanto male da
escludere Cristo dal nostro annunzio in nome di un valore morale insito nella
coscienza e che l’uomo è invitato ad osservare senza la fede in Cristo e la sua
grazia.
La visione di vera fede dell’Autore è uno schiaffo morale a tutti noi impelagati e
traviati da una questione morale nella quale non c’è posto né per Cristo, né per
la Sua Parola.
Questi due primi versetti sono la condanna esplicita, formale di tutta una
pastorale nella quale il mistero di Cristo è scomparso, in nome di
un’antropologia da salvare senza il suo unico e solo Salvatore.
L’Autore sceglie bene, perché sceglie la sorgente dalla quale scaturisce ogni
verità, ogni dottrina, ogni grazia, ogni relazione con Dio e con gli uomini.
L’Autore sceglie bene, perché non si lascia governare dalla speranza di un
risultato immediato, di una toppa messa dinanzi ad una grande falla. Lui sceglie
di sanare ogni cosa partendo dalla radice, dalla quale ogni altra cosa riceve la
sua verità e la sua falsità.
Questa sua scelta implica un rischio: di perdere qualche anima, anziché
perderle tutte.
Noi abbiamo deciso di perderle tutte, perché abbiamo scelto una pastorale che
si accontenta di colmare qualche falla, lasciando però che tutta la nave affondi,
perché sommersa dalle onde della falsità e dell’errore.
L’Autore vede bene perché ha deciso di mettere la vera Cristologia a
fondamento di tutto il suo insegnamento.
La vera Cristologia è la via dell’unica pastorale percorribile, oggi, domani,
sempre.
[3]Questo noi intendiamo fare, se Dio lo permette.
L’Autore è intenzionato a parlare solo di Cristo per dire di Lui ciò che è più
completo.
Questo è il suo intendimento. La realizzazione di ogni cosa non è però nelle
sole mani dell’uomo, è anche nella volontà di Dio, nella sua permissione, nel
suo aiuto, nella sua grazia.
Se Dio lo permette può avere pertanto una molteplicità di significati:
-
Se Dio mi aiuta, mi sostiene, mi dà la forza.
-
Se Dio vuole che questo sia fatto. Se vuole altro, farò di certo altro.
-
Se Dio mi illumina e mi dona l’intelligenza per capire il mistero di Cristo
Gesù secondo completezza e pienezza di verità.
169
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
-
Se Dio ha pietà di noi tutti e ci concede questa ulteriore grazia di
conversione e di santificazione mediante la conoscenza più completa di
Cristo Gesù e del suo altissimo e unico mistero di redenzione.
Tanti possono essere i significati della frase dell’Autore. Ognuno può cogliere
altre sfumature, una cosa però deve essere chiara ad ogni mente: chi scrive
vive di vera, autentica, mentalità di fede. Costui sa che nulla un uomo può fare
senza l’aiuto, il sostegno, la grazia di Dio.
Tutto è da Dio, ma anche tutto è per il Signore ed è per il Signore se è secondo
la Sua santissima volontà.
La fede si trasforma in preghiera per chiedere al Signore tutti quegli aiuti di
grazia e di verità perché possa trasformare la sua intenzione in un concreto
aiuto perché i suoi fratelli di fede non solo rimangano nella verità, ma
producano anche frutti di grazia e di verità.
[4]Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il
dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo
L’illuminazione avviene e si compie nel sacramento del Battesimo.
È in esso che un uomo viene liberato dal potere delle tenebre ed introdotto nel
regno della luce.
La luce è Cristo. La luce di Cristo è la sua verità. La verità di Cristo è la sua
Parola, che dona all’uomo la vera conoscenza di Dio e dell’uomo.
È in questo sacramento che l’uomo viene trasformato in un essere di luce, per
questo il Vangelo di Matteo non teme di chiamare i discepoli di Cristo “Luce del
mondo e sale della terra” (Cfr. Mt 5,13-16).
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si
potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato
dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città
collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il
moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono
nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché
vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei
cieli”.
Se leggiamo questo passo del Vangelo secondo Matteo alla luce di quanto
avviene nel battesimo, dobbiamo concludere che l’appellativo di “luce e di sale”,
non è solamente morale, è prima di tutto ontico, investe cioè tutto l’essere
dell’uomo.
È il suo essere che è trasformato in luce e in sale. Poiché la sua nuova natura è
luce e sale, egli deve produrre secondo la luce che è in lui. Da qui l’altra
affermazione di Cristo Gesù (cfr. Mt 6,22-23):
“La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo
corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà
tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la
tenebra!”.
170
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Il battesimo non è solo il sacramento della rigenerazione dell’uomo nuovo, della
nascita dell’uomo luce, del figlio della luce, in esso si compiono altri grandi
misteri.
In esso si gusta il dono celeste – dice l’Autore –. Ma qual è questo dono
celeste?
Il dono celeste è prima di tutto il Signore. Il cristiano è divenuto sale, è
trasformato in “sapienza” da Dio, di sapienza viene ricolmato.
Ora è proprio della sapienza il gusto della verità, della santità, della bellezza,
della maestà di Dio, di Dio stesso nel suo mistero e nella manifestazione della
sua gloria.
Gustando Dio, si gusta anche ogni suo altro dono, si gusta tutto il cielo e tutta la
terra, perché la si vede come opera sua.
Chi gusta Dio e le sue opere si allontana da ogni gusto peccaminoso, di male,
delle cose di questo mondo.
Il fatto che l’uomo oggi corre affannosamente verso il gusto delle cose di questo
mondo e per di più aggiungendoci orrendi e tristi peccati, alcuni dei quali
portano alla sua degradazione e distruzione, è segno che nel suo cuore si è
perso totalmente il gusto di Dio.
Dio non è nel cuore, perché il peccato e il male si sono impossessati di esso
per condurlo nelle tenebre e nel gusto del peccato e della morte.
Il Salmo 33 ci mostra in modo chiaro ed inequivocabile la gioia che nasce dal
cuore, pensando e cercando il Signore:
“Di Davide, quando si finse pazzo in presenza di Abimelech e, da lui scacciato,
se ne andò.
Alef Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode.
Bet Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino.
Ghimel Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome.
Dalet Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato.
He Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti.
Zain Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue
angosce.
Het L'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono e li salva.
Tet Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si
rifugia.
Iod Temete il Signore, suoi santi, nulla manca a coloro che lo temono.
Caf I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca
di nulla.
Lamed Venite, figli, ascoltatemi; v'insegnerò il timore del Signore.
171
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Mem C'è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il
bene?
Nun Preserva la lingua dal male, le labbra da parole bugiarde.
Samech Sta’ lontano dal male e fa’ il bene, cerca la pace e perseguila.
Ain Gli occhi del Signore sui giusti, i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Pe Il volto del Signore contro i malfattori, per cancellarne dalla terra il ricordo.
Sade Gridano e il Signore li ascolta, li salva da tutte le loro angosce.
Kof Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti.
Res Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il Signore. Sin
Preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato.
Tau La malizia uccide l'empio e chi odia il giusto sarà punito. Il Signore
riscatta la vita dei suoi servi, chi in lui si rifugia non sarà condannato”.
Tutto è nel Signore. Il battesimo è il sacramento del dono che il Signore fa di sé
stesso ad un uomo. Tutto Dio si dona ad un uomo, in tutta la sua vita.
Questo dono gusta il battezzato e in questo gusto deve crescere per tutti i giorni
della sua vita.
All’Illuminazione si aggiunge il gusto di Dio, al gusto di Dio l’essere divenuti
partecipi dello Spirito Santo.
Chi legge la Scrittura sa che il dono dello Spirito veniva dato a tutti coloro che
erano stati chiamati da Dio a compiere la sua opera di salvezza in favore del
suo popolo, di ogni uomo.
Lo Spirito del Signore è dato in ordine al compimento dell’opera di salvezza, per
dimorare nella volontà di Dio e per condurre ogni altro nella stessa volontà
divina.
È nella misura in cui si resta nello Spirito di Dio che si diviene capaci di compire
l’opera della salvezza di Dio.
Essere divenuti partecipi dello Spirito Santo si riveste di un duplice significato:
-
il cristiano ha ricevuto lo Spirito di Dio con il quale può e deve compiere tutto
il cammino della propria santificazione;
-
ma anche: il cristiano può e deve compiere la stessa missione di Cristo
Gesù. Divenendo partecipe dello Spirito di Cristo, egli diviene partecipe della
sua missione. Può e deve compierla allo stesso modo del Signore Gesù:
offrendo al Padre la sua vita in riscatto per la remissione dei peccati del
mondo.
Il cristiano è missionario per il fatto stesso di aver ricevuto il battesimo, perché
in esso è divenuto partecipe dello Spirito Santo.
È questo il grande dono che Dio gli ha fatto, ma anche la grande missione di cui
lo ha investito.
Egli è chiamato ad essere santo e a santificare il mondo intero.
172
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
[5]e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo
futuro.
Vengono ancora enumerati come doni battesimali: il dono della Parola e
l’eredità del Paradiso.
Si gusta la buona parola di Dio, gustando la bontà di Dio che dona la sua
Parola.
La Parola di Dio è tutto per l’uomo credente. È sufficiente leggere il Salmo 18
per comprendere quanta bontà è nascosta nella Parola che il Signore fa
risuonare tra noi.
“Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera
delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di
cui non si oda il suono. Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del
mondo la loro parola. Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla
stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. Egli sorge da un estremo
del cielo e la sua corsa raggiunge l'altro estremo: nulla si sottrae al suo calore.
La legge del Signore è perfetta, rinfranca l'anima; la testimonianza del Signore
è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno
gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi. Il
timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e
giusti, più preziosi dell'oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo
stillante. Anche il tuo servo in essi è istruito, per chi li osserva è grande il
profitto. Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo.
Anche dall'orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora
sarò irreprensibile, sarò puro dal grande peccato. Ti siano gradite le parole della
mia bocca, davanti a te i pensieri del mio cuore. Signore, mia rupe e mio
redentore”.
L’Autore conosce la magnificenza nascosta nella Parola e ne celebra le lodi nel
suo cuore. Il battesimo donando il gusto di Dio al cristiano, dona anche il gusto
della buona parola di Dio.
In questo gusto però è giusto che lui cresca ogni giorno, altrimenti con il
peccato lo si può anche perdere e smarrire per sempre, lasciandosi conquistare
da altri gusti che non appartengono al cristiano.
Lui deve ormai vivere gustando solo il Signore e quanto è suo dono. La Parola
di Dio è dono del Signore e in questa Parola lui si deve deliziare ogni giorno.
Dalla Parola nasce la vita per lui, la vita della verità e quella della grazia.
Altro dono del battesimo è il gusto delle meraviglie del mondo futuro, di ciò
che ci attende nel cielo.
Il Signore lo ha rivestito di una speranza nuova, che non riguarda più le cose
della terra, bensì quelle del cielo, quelle future che si compiranno per lui dopo la
sua morte.
Anche questa speranza è persa oggi dal cristiano. La sua attesa è solo per le
cose di questo mondo.
173
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Ciò ha un solo significato e una sola possibile lettura: il cristiano è caduto dal
“gusto” del suo Dio. Verso di Lui non cammina, Lui non ama più, Lui non
cerca, Lui non desidera come unico bene dell’anima sua.
Manca nel cristiano di oggi la ricerca del Volto di Dio sulla terra che si compirà
nel cielo, quando lo vedrà faccia a faccia.
Gli manca quanto è descritto nel Salmo 41:
“Al maestro del coro. Maskil. Dei figli di Core. Come la cerva anela ai corsi
d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio
vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono mio pane giorno e
notte, mentre mi dicono sempre: Dov'è il tuo Dio? Questo io ricordo, e il mio
cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla casa di Dio, in
mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio
volto e mio Dio. In me si abbatte l'anima mia; perciò di te mi ricordo dal paese
del Giordano e dell'Ermon, dal monte Misar. Un abisso chiama l'abisso al
fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati.
Di giorno il Signore mi dona la sua grazia di notte per lui innalzo il mio canto: la
mia preghiera al Dio vivente. Dirò a Dio, mia difesa: Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? Per l'insulto dei miei avversari
sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: Dov'è il tuo Dio?
Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò
lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio”.
I beni futuri, o le meraviglie del mondo futuro, sono gustati nella speranza, attesi
con vivo desiderio, con ardente zelo.
Di questa attesa esempio mirabile è San Paolo (cfr. Fil 3,1-21):
“Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore. A me non pesa e a voi è utile
che vi scriva le stesse cose: guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai,
guardatevi da quelli che si fanno circoncidere! Siamo infatti noi i veri circoncisi,
noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù,
senza avere fiducia nella carne, sebbene io possa vantarmi anche nella carne.
Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: circonciso l'ottavo
giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo
quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto
alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. Ma quello che poteva
essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di
Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere
tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare
Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla
legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia
che deriva da Dio, basata sulla fede.
E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la
partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la
speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già
conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di
174
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù
Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto
so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta
per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche
cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal
punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. Fatevi
miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio
che avete in noi. Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime
agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la
perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre,
si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra.
La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il
Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di
sottomettere a sé tutte le cose”.
La speranza nuova è stata versata, il gusto di essa anche. È questa la novità
grande che si è compiuta nel battesimo.
Questa speranza, virtù teologale, dono infuso nel cuore dallo Spirito Santo nelle
acque del Battesimo, dallo stesso Spirito dovrà ogni giorno essere alimentata.
Questo avviene se cresce in noi lo Spirito e lo Spirito cresce se noi cresciamo
nell’ascolto e nell’osservanza della Parola di Dio.
Tutto è nella vita secondo la Parola e senza la Parola non c’è vita nei cuori. Chi
cade dalla Parola, cade anche dalla speranza teologale. In lui si estingue ogni
anelito di eternità.
Tutto ricomincia a vivere nel momento in cui ritorna a vivere la Parola in noi. La
Parola è la vita e la via della vita.
[6]Tuttavia se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta
portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono
di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia.
L’affermazione dell’Autore merita un’attenzione tutta particolare. Oggi è proprio
su questa affermazione che è avvenuto lo sfacelo non solo in campo
strettamente teologico, quanto anche morale, spirituale, ascetico.
Oggi si afferma una salvezza senza l’osservanza della Parola. L’osservanza del
Vangelo – si dice – non serve alla salvezza, dal momento che tutti siamo
salvati.
L’Autore invece dice esattamente il contrario. Anzi, dice l’opposto e tante cose
in più, che richiedono di essere considerate, vagliate con maggiore rigore.
Seguiamolo nel suo ragionamento, che per noi è anche rivelazione, in quanto
testo ispirato.
Attraverso la predicazione, lo Spirito Santo tocca il cuore e lo muove a
conversione, immettendo in esso il dono della fede nella verità della Parola
ascoltata.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
All’inizio di questo capitolo – cosa che è stata trattata con molta dovizia di
particolari – ci ha rivelato tutti i beni spirituali che vengono a noi mediante la
rigenerazione nelle acque del Battesimo.
Tutti questi doni producono frutti di vera santità in noi – la santità è lo sviluppo e
la crescita in noi della fede, della speranza, della carità – se noi rimaniamo nella
Parola, se la Parola osserviamo in ogni sua più piccola manifestazione della
volontà di Dio.
Cadendo dalla Parola, cadiamo anche dai doni divini. Essi sono in noi, ma
rimangono in uno stato di “letargo”, di “sonno spirituale”. Ci sono, ma non
operano. Non possono operare perché la nostra anima è nella morte a causa
del peccato nel quale siamo caduti e si cade sempre in peccato quando si
abbandona la via della Parola di Gesù Signore.
L’Autore ora dice: “Tutti quelli che furono una volta illuminati [...] e che
tuttavia sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli
alla conversione”. E aggiunge: “dal momento che per loro conto
crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia”
La prima affermazione deve essere interpretata a partire dalla seconda.
Chi cade dalla Parola crocifigge di nuovo il Figlio di Dio e lo espone all’infamia.
In questa situazione di crocifissione di Cristo e di esposizione all’infamia diventa
impossibile poterli di nuovo portare alla conversione per essere rinnovati una
seconda volta.
Chi è morto da sé non può ritornare in vita. Né esiste sulla terra qualcuno che
possa aiutarlo perché ritorni nella condizione di un tempo.
Umanamente questo è impossibile. Per lui si aprono le porte della dannazione
eterna, a motivo dei peccati nei quali ha condotto e conduce la sua vita.
Questa verità è assoluta, non ammette deroghe. Tutti sono soggetti ad essa.
Non c’è allora più possibilità di salvezza, di giustificazione, di redenzione.
La possibilità della salvezza c’è, ma non nell’uomo. Essa è solo nella
misericordia di Dio e qui entriamo però nel mistero della grazia e del suo dono
che conosce solo Dio e nessun altro.
A noi non resta che pregare con intensità perché il Signore si mostri
compassionevole, lento all’ira e conceda la grazia della conversione.
Assieme alla preghiera deve essere aggiunta una predicazione forte,
sostanziosa, ricca di verità, di ammonimento, di richiamo al peccatore perché
anche lui invochi il Signore, anzi perché tutta la comunità insieme a lui
invochino il Signore perché si mostri compassionevole, ricco di pietà e di
misericordia e conceda una seconda grazia di giustificazione, di redenzione, di
salvezza.
Tutti gli errori della pastorale odierna risiedono in questo equivoco: rimanere nel
peccato e pensarsi già salvi.
È questa la più grave e la più disastrosa di tutte le eresie che sono nate in seno
alla Chiesa.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Essa distrugge ogni germe di vita morale nei cuori e anche ogni incipiente
sentimento di conversione nello spirito.
Essa giustifica ogni peccato, ogni trasgressione, perché li avvalora con una
parola falsa, di uomo, non certo di Dio.
Questo avveniva anche con i falsi profeti di un tempo. Ce ne dona un saggio il
profeta Ezechiele (cfr. 13, 1-23). È una parola forte che merita di essere
ascoltata:
“Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: Figlio dell'uomo, profetizza
contro i profeti d'Israele, profetizza e dì a coloro che profetizzano secondo i
propri desideri: Udite la parola del Signore: Così dice il Signore Dio: Guai ai
profeti stolti, che seguono il loro spirito senza avere avuto visioni. Come
sciacalli fra le macerie, tali sono i tuoi profeti, Israele. Voi non siete saliti sulle
brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti,
perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore.
Hanno avuto visioni false, vaticini menzogneri coloro che dicono: Oracolo
del Signore, mentre il Signore non li ha inviati. Eppure confidano che si avveri la
loro parola! Non avete forse avuto una falsa visione e preannunziato
vaticini bugiardi, quando dite: Parola del Signore, mentre io non vi ho parlato?
Pertanto dice il Signore Dio: Poiché voi avete detto il falso e avuto visioni
bugiarde, eccomi dunque contro di voi, dice il Signore Dio. La mia mano sarà
sopra i profeti dalle false visioni e dai vaticini bugiardi; non avranno parte
nell'assemblea del mio popolo, non saranno scritti nel libro d'Israele e non
entreranno nel paese d'Israele: saprete che io sono il Signore Dio, poiché
ingannano il mio popolo dicendo: Pace! e la pace non c'è; mentre egli
costruisce un muro, ecco essi lo intonacano di mota.
Dì a quegli intonacatori di mota: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, una
grandine grossa, si scatenerà un uragano ed ecco, il muro è abbattuto. Allora
non vi sarà forse domandato: Dov'è la calcina con cui lo avevate intonacato?
Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera
cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine
come pietre; demolirò il muro che avete intonacato di mota, lo atterrerò e le sue
fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso
e saprete che io sono il Signore. Quando avrò sfogato l'ira contro il muro e
contro coloro che lo intonacarono di mota, io vi dirò: Il muro non c'è più e
neppure gli intonacatori, i profeti d'Israele che profetavano su Gerusalemme e
vedevano per essa una visione di pace, mentre non vi era pace. Oracolo del
Signore. Ora tu, figlio dell'uomo, rivolgiti alle figlie del tuo popolo che
profetizzano secondo i loro desideri e profetizza contro di loro. Dirai loro: Dice il
Signore Dio: Guai a quelle che cuciono nastri magici a ogni polso e preparano
veli per le teste di ogni grandezza per dar la caccia alle persone. Pretendete
forse di dare la caccia alla gente del mio popolo e salvare voi stesse? Voi mi
avete disonorato presso il mio popolo per qualche manciata d'orzo e per un
tozzo di pane, facendo morire chi non doveva morire e facendo vivere chi
non doveva vivere, ingannando il mio popolo che crede alle menzogne.
Perciò dice il Signore Dio: Eccomi contro i vostri nastri magici con i quali voi
date la caccia alla gente come a uccelli; li strapperò dalle vostre braccia e
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
libererò la gente che voi avete catturato come uccelli. Straccerò i vostri veli e
libererò il mio popolo dalle vostre mani e non sarà più una preda in mano
vostra; saprete così che io sono il Signore. Voi infatti avete rattristato con
menzogne il cuore del giusto, mentre io non l'avevo rattristato e avete
rafforzato il malvagio perché non desistesse dalla sua vita malvagia e
vivesse. Per questo non avrete più visioni false, né più spaccerete
incantesimi: libererò il mio popolo dalle vostre mani e saprete che io sono il
Signore”.
È questa la tragedia di un popolo senza verità, perché senza la Parola vera di
Dio. Chi vuole la salvezza del popolo, sappia che essa è nella Parola da
donare, spiegare, insegnare, ammaestrare.
Dalla Parola è la vita, perché la vita è nella Parola annunziata, proclamata,
evangelizzata, accolta, creduta, vissuta.
Da puntualizzare un’altra verità: il cristiano che commette il peccato continua a
crocifiggere il Figlio di Dio e lo espone all’infamia.
Lo crocifigge perché il peccato è generatore di morte. Lo espone all’infamia
perché il peccato del cristiano rende non credibile Cristo Gesù e quindi lo fa
deridere dal mondo intero.
Questa esposizione all’infamia è oggi, come ieri, come sempre, una delle più
grandi cause del rallentamento del cammino della fede nel mondo.
A che serve credere in Cristo, se coloro che vi credono commettono peccati più
grandi di coloro che non credono? È questo il grande peccato dello scandalo,
che diviene crocifissione e contro testimonianza.
Il peccato non si ferma mai in chi lo commette; esso travalica i confini personali
del trasgressore e raggiunge il mondo intero. Le sue conseguenze sono
inarrestabili.
[7]Infatti una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se
produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio;
La similitudine è facile da capire, semplice da comprendere.
La pioggia è la grazia di Dio. Questa grazia è donata spesso, cioè in
continuazione.
Da quando Gesù è morto ed è risorto, la Chiesa altro non fa che seminare nei
cuori la verità e la grazia di Cristo Gesù.
Se a questa abbondante semina corrisponde un raccolto ricco di frutti, Dio
risponde con la sua benedizione e la benedizione arricchisce la persona della
capacità di produrre un nuovo raccolto ancora più abbondante.
La benedizione di Dio è tutto per un uomo. La benedizione è vita, è la vita di Dio
che si fa vita dell’uomo.
[8]ma se produce pruni e spine, non ha alcun valore ed è vicina alla
maledizione: sarà infine arsa dal fuoco!
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Se la stessa terra, irrorata di grazia e di verità, produce pruni e spine, cioè
peccato e trasgressione della legge, diviene senza valore. È una terra inutile,
che provoca solo dispendio di energia preziosa.
Questa terra è vicina alla maledizione: la maledizione è morte. La morte è
quella eterna. Questo significa: “sarà arsa dal fuoco”.
Se la Parola di Dio non genera vita, essa produce morte. O benedizione, o
maledizione. Non c’è un terreno neutro, senza né vita, né morte.
Ognuno pertanto è obbligato ad esaminarsi se è nella vita, o benedizione, o se
nella morte, o maledizione, pronto ad essere arso con il fuoco.
Sia il libro del Levitico, che quello del Deuteronomio, come anche il profeta Isaia
insegnano quali frutti produce la benedizione, la maledizione, la Parola del
Signore.
Anche se alcuni passi sono lunghi, penso che ne valga proprio la pena riportarli,
perché vengano da tutti meditati con attenzione.
Il Signore mai parla invano. Leggiamo, ma con grande fede:
Dal Levitico 26,1-46: “Non vi farete idoli, né vi erigerete immagini scolpite o
stele, né permetterete che nel vostro paese vi sia pietra ornata di figure, per
prostrarvi davanti ad essa; poiché io sono il Signore vostro Dio. Osserverete i
miei sabati e porterete rispetto al mio santuario. Io sono il Signore.
Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi e li metterete in
pratica, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà prodotti e gli alberi
della campagna daranno frutti. La trebbiatura durerà per voi fino alla
vendemmia e la vendemmia durerà fino alla semina; avrete cibo a sazietà e
abiterete tranquilli il vostro paese. Io stabilirò la pace nel paese; nessuno vi
incuterà terrore; vi coricherete e farò sparire dal paese le bestie nocive e la
spada non passerà per il vostro paese. Voi inseguirete i vostri nemici ed essi
cadranno dinanzi a voi colpiti di spada. Cinque di voi ne inseguiranno cento,
cento di voi ne inseguiranno diecimila e i vostri nemici cadranno dinanzi a voi
colpiti di spada. Io mi volgerò a voi, vi renderò fecondi e vi moltiplicherò e
confermerò la mia alleanza con voi. Voi mangerete del vecchio raccolto,
serbato a lungo, e dovrete metter via il raccolto vecchio per far posto al
nuovo. Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e io non vi respingerò.
Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Io sono il
Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d'Egitto; ho spezzato il
vostro giogo e vi ho fatto camminare a testa alta.
Ma se non mi ascolterete e se non metterete in pratica tutti questi comandi, se
disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni, non mettendo in
pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alleanza, ecco che cosa farò a
voi a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che
vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita. Seminerete invano il
vostro seme: se lo mangeranno i vostri nemici. Volgerò la faccia contro di voi e
voi sarete sconfitti dai nemici; quelli che vi odiano vi opprimeranno e vi darete
alla fuga, senza che alcuno vi insegua. Se nemmeno dopo questo mi
ascolterete, io vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Spezzerò la
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
vostra forza superba, renderò il vostro cielo come ferro e la vostra terra come
rame. Le vostre energie si consumeranno invano, poiché la vostra terra
non darà prodotti e gli alberi della campagna non daranno frutti. Se vi
opporrete a me e non mi ascolterete, io vi colpirò sette volte di più, secondo i
vostri peccati. Manderò contro di voi le bestie selvatiche, che vi rapiranno i figli,
stermineranno il vostro bestiame, vi ridurranno a un piccolo numero e le vostre
strade diventeranno deserte. Se nonostante questi castighi, non vorrete
correggervi per tornare a me, ma vi opporrete a me, anch'io mi opporrò a voi e
vi colpirò sette volte di più per i vostri peccati. Manderò contro di voi la spada,
vindice della mia alleanza; voi vi raccoglierete nelle vostre città, ma io manderò
in mezzo a voi la peste e sarete dati in mano al nemico.
Quando io avrò spezzato le riserve del pane, dieci donne faranno cuocere il
vostro pane in uno stesso forno, ve lo riporteranno a peso e mangerete, ma non
vi sazierete. Se, nonostante tutto questo, non vorrete darmi ascolto, ma vi
opporrete a me, anch'io mi opporrò a voi con furore e vi castigherò sette volte di
più per i vostri peccati. Mangerete perfino la carne dei vostri figli e
mangerete la carne delle vostre figlie. Devasterò le vostre alture di culto,
distruggerò i vostri altari per l'incenso, butterò i vostri cadaveri sui cadaveri dei
vostri idoli e io vi avrò in abominio.
Ridurrò le vostre città a deserti, devasterò i vostri santuari e non aspirerò più il
profumo dei vostri incensi. Devasterò io stesso il vostro paese e i vostri nemici,
che vi prenderanno dimora, ne saranno stupefatti. Quanto a voi, vi disperderò
fra le nazioni e vi inseguirò con la spada sguainata; il vostro paese sarà
desolato e le vostre città saranno deserte. Allora la terra godrà i suoi sabati per
tutto il tempo in cui rimarrà desolata e voi sarete nel paese dei vostri nemici;
allora la terra si riposerà e si compenserà dei suoi sabati. Finché rimarrà
desolata, avrà il riposo che non le fu concesso da voi con i sabati, quando
l'abitavate. A quelli che fra di voi saranno superstiti infonderò nel cuore
costernazione, nel paese dei loro nemici: il fruscìo di una foglia agitata li
metterà in fuga; fuggiranno come si fugge di fronte alla spada e cadranno
senza che alcuno li insegua. Precipiteranno uno sopra l'altro come di fronte alla
spada, senza che alcuno li insegua. Non potrete resistere dinanzi ai vostri
nemici. Perirete fra le nazioni: il paese dei vostri nemici vi divorerà.
Quelli che tra di voi saranno superstiti nei paesi dei loro nemici, si
consumeranno a causa delle proprie iniquità; anche a causa delle iniquità dei
loro padri periranno. Dovranno confessare la loro iniquità e l'iniquità dei loro
padri: per essere stati infedeli nei miei riguardi ed essersi opposti a me; peccati
per i quali anche io mi sono opposto a loro e li ho deportati nel paese dei loro
nemici. Allora il loro cuore non circonciso si umilierà e allora sconteranno la loro
colpa. Io mi ricorderò della mia alleanza con Giacobbe, dell'alleanza con Isacco
e dell'alleanza con Abramo e mi ricorderò del paese.
Quando dunque il paese sarà abbandonato da loro e godrà i suoi sabati,
mentre rimarrà deserto, senza di loro, essi sconteranno la loro colpa, per avere
disprezzato le mie prescrizioni ed essersi stancati delle mie leggi. Nonostante
tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, io non li rigetterò e non
mi stancherò di essi fino al punto d'annientarli del tutto e di rompere la mia
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
alleanza con loro; poiché io sono il Signore loro Dio; ma per loro amore mi
ricorderò dell'alleanza con i loro antenati, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto
davanti alle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono il Signore. Questi sono gli
statuti, le prescrizioni e le leggi che il Signore stabilì fra sé e gli Israeliti, sul
monte Sinai, per mezzo di Mosè.
Dal libro del Deuteronomio 28,1-69: Se tu obbedirai fedelmente alla voce del
Signore tuo Dio, preoccupandoti di mettere in pratica tutti i suoi comandi che io
ti prescrivo, il Signore tuo Dio ti metterà sopra tutte le nazioni della terra; perché
tu avrai ascoltato la voce del Signore tuo Dio, verranno su di te e ti
raggiungeranno tutte queste benedizioni:
Sarai benedetto nella città e benedetto nella campagna. Benedetto sarà il frutto
del tuo seno, il frutto del tuo suolo e il frutto del tuo bestiame; benedetti i parti
delle tue vacche e i nati delle tue pecore.
Benedette saranno la tua cesta e la tua madia. Sarai benedetto quando entri e
benedetto quando esci. Il Signore lascerà sconfiggere davanti a te i tuoi nemici,
che insorgeranno contro di te: per una sola via verranno contro di te e per sette
vie fuggiranno davanti a te. Il Signore ordinerà alla benedizione di essere con te
nei tuoi granai e in tutto ciò a cui metterai mano; ti benedirà nel paese che il
Signore tuo Dio sta per darti.
Il Signore ti renderà popolo a lui consacrato, come ti ha giurato, se osserverai i
comandi del Signore tuo Dio e se camminerai per le sue vie; tutti i popoli della
terra vedranno che porti il nome del Signore e ti temeranno.
Il Signore tuo Dio ti concederà abbondanza di beni, quanto al frutto del tuo
grembo, al frutto del tuo bestiame e al frutto del tuo suolo, nel paese che il
Signore ha giurato ai tuoi padri di darti. Il Signore aprirà per te il suo benefico
tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo e per benedire
tutto il lavoro delle tue mani; così presterai a molte nazioni, mentre tu non
domanderai prestiti.
Il Signore ti metterà in testa e non in coda e sarai sempre in alto e mai in basso,
se obbedirai ai comandi del Signore tuo Dio, che oggi io ti prescrivo, perché tu li
osservi e li metta in pratica, e se non devierai né a destra né a sinistra da
alcuna delle cose che oggi vi comando, per seguire altri dei e servirli.
Ma se non obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, se non cercherai di eseguire
tutti i suoi comandi e tutte le sue leggi che oggi io ti prescrivo, verranno su di te
e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni: sarai maledetto nella città e
maledetto nella campagna. Maledette saranno la tua cesta e la tua madia.
Maledetto sarà il frutto del tuo seno e il frutto del tuo suolo; maledetti i parti delle
tue vacche e i nati delle tue pecore. Maledetto sarai quando entri e maledetto
quando esci.
Il Signore lancerà contro di te la maledizione, la costernazione e la minaccia in
ogni lavoro a cui metterai mano, finché tu sia distrutto e perisca rapidamente a
causa delle tue azioni malvage per avermi abbandonato. Il Signore ti farà
attaccare la peste, finché essa non ti abbia eliminato dal paese, di cui stai per
entrare a prender possesso. Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la
febbre, con l'infiammazione, con l'arsura, con la siccità, il carbonchio e la
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
ruggine, che ti perseguiteranno finché tu non sia perito. Il cielo sarà di rame
sopra il tuo capo e la terra sotto di te sarà di ferro. Il Signore darà come
pioggia al tuo paese sabbia e polvere, che scenderanno dal cielo su di te finché
tu sia distrutto. Il Signore ti farà sconfiggere dai tuoi nemici: per una sola via
andrai contro di loro e per sette vie fuggirai davanti a loro; diventerai oggetto di
orrore per tutti i regni della terra. Il tuo cadavere diventerà pasto di tutti gli
uccelli del cielo e delle bestie selvatiche e nessuno li scaccerà. Il Signore ti
colpirà con le ulcere d'Egitto, con bubboni, scabbia e prurigine, da cui non potrai
guarire.
Il Signore ti colpirà di delirio, di cecità e di pazzia, così che andrai brancolando
in pieno giorno come il cieco brancola nel buio. Non riuscirai nelle tue imprese,
sarai ogni giorno oppresso e spogliato e nessuno ti aiuterà. Ti fidanzerai con
una donna, un altro la praticherà; costruirai una casa, ma non vi abiterai;
pianterai una vigna e non ne potrai cogliere i primi frutti. Il tuo bue sarà
ammazzato sotto i tuoi occhi e tu non ne mangerai; il tuo asino ti sarà portato
via in tua presenza e non tornerà più a te; il tuo gregge sarà dato ai tuoi nemici
e nessuno ti aiuterà. I tuoi figli e le tue figlie saranno consegnati a un popolo
straniero, mentre i tuoi occhi vedranno e languiranno di pianto per loro ogni
giorno, ma niente potrà fare la tua mano. Un popolo, che tu non conosci,
mangerà il frutto della tua terra e di tutta la tua fatica; sarai oppresso e
schiacciato ogni giorno; diventerai pazzo per ciò che i tuoi occhi dovranno
vedere.
Il Signore ti colpirà alle ginocchia e alle cosce con una ulcera maligna, della
quale non potrai guarire; ti colpirà dalla pianta dei piedi alla sommità del capo. Il
Signore deporterà te e il re, che ti sarai costituito, in una nazione che né tu né i
padri tuoi avete conosciuto; là servirai dei stranieri, dei di legno e di pietra;
diventerai oggetto di stupore, di motteggio e di scherno per tutti i popoli fra i
quali il Signore ti avrà condotto. Porterai molta semente al campo e raccoglierai
poco, perché la locusta la divorerà. Pianterai vigne e le coltiverai, ma non berrai
vino né coglierai uva, perché il verme le roderà. Avrai oliveti in tutto il tuo
territorio, ma non ti ungerai di olio, perché le tue olive cadranno immature.
Genererai figli e figlie, ma non saranno tuoi, perché andranno in prigionia. Tutti i
tuoi alberi e il frutto del tuo suolo saranno preda di un esercito d'insetti. Il
forestiero che sarà in mezzo a te si innalzerà sempre più sopra di te e tu
scenderai sempre più in basso. Egli presterà a te e tu non presterai a lui; egli
sarà in testa e tu in coda.
Tutte queste maledizioni verranno su di te, ti perseguiteranno e ti
raggiungeranno, finché tu sia distrutto, perché non avrai obbedito alla voce del
Signore tuo Dio, osservando i comandi e le leggi che egli ti ha dato. Esse per te
e per la tua discendenza saranno sempre un segno e un prodigio.
Poiché non avrai servito il Signore tuo Dio con gioia e di buon cuore in mezzo
all'abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici, che il Signore manderà
contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni
cosa; essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo, finché ti abbiano distrutto.
Il Signore solleverà contro di te da lontano, dalle estremità della terra, una
nazione che si slancia a volo come aquila: una nazione della quale non capirai
182
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
la lingua, una nazione dall'aspetto feroce, che non avrà riguardo al vecchio né
avrà compassione del fanciullo; che mangerà il frutto del tuo bestiame e il frutto
del tuo suolo, finché tu sia distrutto, e non ti lascerà alcun residuo di frumento,
di mosto, di olio, dei parti delle tue vacche e dei nati delle tue pecore, finché ti
avrà fatto perire. Ti assedierà in tutte le tue città, finché in tutto il tuo paese
cadano le mura alte e forti, nelle quali avrai riposto la fiducia. Ti assedierà in
tutte le tue città, in tutto il paese che il Signore tuo Dio ti avrà dato.
Durante l'assedio e l'angoscia alla quale ti ridurrà il tuo nemico, mangerai il
frutto delle tue viscere, le carni dei tuoi figli e delle tue figlie, che il Signore tuo
Dio ti avrà dato.
L'uomo più raffinato tra di voi e più delicato guarderà di malocchio il suo fratello
e la sua stessa sposa e il resto dei suoi figli che ancora sopravvivono, per non
dare ad alcuno di loro le carni dei suoi figli delle quali si ciberà; perché non gli
sarà rimasto più nulla durante l'assedio e l'angoscia alla quale i nemici ti
avranno ridotto entro tutte le tue città.
La donna più raffinata e delicata tra di voi, che per delicatezza e raffinatezza
non si sarebbe provata a posare in terra la pianta del piede, guarderà di
malocchio il proprio marito, il figlio e la figlia e si ciberà di nascosto di quanto
esce dai suoi fianchi e dei bambini che deve ancora partorire, mancando di tutto
durante l'assedio e l'angoscia alla quale i nemici ti avranno ridotto entro tutte le
tue città.
Se non cercherai di eseguire tutte le parole di questa legge, scritte in questo
libro, avendo timore di questo nome glorioso e terribile del Signore tuo Dio,
allora il Signore colpirà te e i tuoi discendenti con flagelli prodigiosi: flagelli
grandi e duraturi, malattie maligne e ostinate.
[Farà tornare su di te le infermità dell'Egitto, delle quali tu avevi paura, e si
attaccheranno a te. Anche ogni altra malattia e ogni flagello, che non sta scritto
nel libro di questa legge, il Signore manderà contro di te, finché tu non sia
distrutto. Voi rimarrete in pochi uomini, dopo essere stati numerosi come le
stelle del cielo, perché non avrai obbedito alla voce del Signore tuo Dio.
Come il Signore gioiva a vostro riguardo nel beneficarvi e moltiplicarvi, così il
Signore gioirà a vostro riguardo nel farvi perire e distruggervi; sarete strappati
dal suolo, che vai a prendere in possesso. Il Signore ti disperderà fra tutti i
popoli, da un'estremità fino all'altra; là servirai altri dei, che né tu, né i tuoi padri
avete conosciuti, dei di legno e di pietra. Fra quelle nazioni non troverai sollievo
e non vi sarà luogo di riposo per la pianta dei tuoi piedi; là il Signore ti darà un
cuore trepidante, languore di occhi e angoscia di anima.
La tua vita ti sarà dinanzi come sospesa a un filo; temerai notte e giorno e non
sarai sicuro della tua vita. Alla mattina dirai: Se fosse sera! e alla sera dirai: Se
fosse mattina!, a causa del timore che ti agiterà il cuore e delle cose che i tuoi
occhi vedranno. Il Signore ti farà tornare in Egitto, per mezzo di navi, per una
via della quale ti ho detto: Non dovrete più rivederla! e là vi metterete in vendita
ai vostri nemici come schiavi e schiave, ma nessuno vi acquisterà.
183
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Queste sono le parole dell'alleanza che il Signore ordinò a Mosè di stabilire con
gli Israeliti nel paese di Moab, oltre l'alleanza che aveva stabilito con loro
sull'Oreb.
Da libro del profeta Isaia 55,1-13: O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non
ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza
spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro
patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e
gusterete cibi succulenti. Porgete l'orecchio e venite a me, ascoltate e voi
vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco
l'ho costituito testimonio fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco tu
chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te popoli che non ti
conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo di Israele, perché egli ti
ha onorato.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L'empio
abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà
misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei
pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie
oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie
sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza
avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il
seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia
bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e
senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata. Voi dunque partirete con gioia,
sarete condotti in pace. I monti e i colli davanti a voi eromperanno in grida di
gioia e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani. Invece di spine cresceranno
cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un
segno eterno che non scomparirà.
La mentalità religiosa e di fede è sicuramente quella dell’Antico Testamento. La
verità invece contenuta nei passi riferiti travalica tempi e luoghi e raggiunge il
cuore di ogni uomo. La verità è una sola: nella Parola di Dio osservata c’è la
vita; nella parola dell’uomo non c’è vita, c’è solo morte, perché la vita è
solo nella Volontà di Dio.
Possiamo leggere tutto questo anche trasferendolo nella mentalità di fede del
Nuovo Testamento. La parabola del figliol prodigo riportata da Luca (cfr. c. 15)
ci dice quale morte si abbatte sul figlio che si allontana dalla casa del Padre.
Leggiamo il passo centrale dove vengono descritte le due fasi: della morte –
lontano da Dio; della vita - con il ritorno nella casa del Padre. (Cfr. Lc 15, 1124):
“Disse ancora: Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre,
dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le
sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì
per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli
cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno
degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i
184
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma
nessuno gliene dava.
Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno
pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e
gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di
esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.
Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo
vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli
disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di
esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il
vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi.
Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché
questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato.
E cominciarono a far festa.
Ognuno preghi il Signore perché gli dia l’intelligenza di scoprire la verità
rivelata e nascosta in questa sua Parola. Le modalità storiche cambiano, le
mentalità religiose si modificano, ciò che non cambia e non si modifica è la
verità nascosta nella Parola di Dio.
Due verità devono essere affermate con sicurezza:
-
Chi cade dalla Parola non è nella vita.
-
Chi cade dalla Parola ritorna in vita nella conversione alla Parola.
Questa conversione è per dono di Dio, non per volontà dell’uomo.
Il dono di Dio è ridonato ascoltando la Parola della predicazione e pregando
che Dio abbia misericordia di chi è caduto.
Si rimane nella Parola crescendo ogni giorno in ogni genere di frutti di Parola.
Anche la crescita è un dono di Dio che bisogna ottenere nella preghiera.
Tutto è grazia e tutto è dalla grazia e tutto è per grazia.
La grazia si accoglie e si fa fruttificare. Questo appartiene alla volontà
dell’uomo.
Ultima puntualizzazione è questa: la benedizione è oggi nella Parola che
Cristo Gesù ha fatto risuonare per noi, Parola che ci annunzia il suo mistero,
che ci rivela la Sua Persona e la Sua Missione, che ci annunzia nella Sua morte
e nella Sua risurrezione la nostra salvezza eterna.
Si compie così la promessa che Dio ha fatto ad Abramo, chiamandolo dalla
Terra di Ur dei Caldei:
“Il Signore disse ad Abram: Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa
di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti
benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò
coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si
diranno benedette tutte le famiglie della terra. Allora Abram partì, come gli
aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni
quando lasciò Carran” (cfr. Gn 12,1-4).
185
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
In te significa: nella Tua discendenza. La discendenza di Abramo è Cristo
Gesù.
Ce lo dice Gesù stesso nel Vangelo secondo Giovanni:
“Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti
sono morti; chi pretendi di essere? Rispose Gesù: Se io glorificassi me stesso,
la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite:
"E` nostro Dio!", e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non
lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua
parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio
giorno; lo vide e se ne rallegrò. Gli dissero allora i Giudei: Non hai ancora
cinquant'anni e hai visto Abramo? Rispose loro Gesù: In verità, in verità vi
dico: prima che Abramo fosse, Io Sono. Allora raccolsero pietre per
scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio” (cfr. Gv 8,53-59).
Chi esce da questa visione di fede, nulla ha compreso dell’Antico Testamento,
nulla comprende del Nuovo: la Parola di Cristo è la via della vita, perché in essa
Dio ha posto la nostra benedizione. Chi vuole vivere, oggi lo potrà, ascoltando,
convertendosi, credendo al Vangelo, compiendo ogni Parola che è uscita dalla
bocca di Cristo Gesù.
Questo ci insegna Cristo Gesù nella parabola della Casa costruita sulla roccia,
la roccia è la sua Parola:
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma
colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel
giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato
demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò
loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a
un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa
non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un
uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa
cadde, e la sua rovina fu grande” Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le
folle restarono stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come
uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Cfr. Mt 21-29).
Entra nel regno dei cieli colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli? Chiunque ascolta queste mie
parole e le mette in pratica.
La “volontà del Padre mio” è la “Parola di Gesù Signore”. La Parola di
Gesù Signore è oggi la benedizione di Dio per ogni uomo.
Questa è la verità che dona salvezza sulla terra e nel cielo.
186
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
NUOVA ESORTAZIONE
[9]Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che
sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza.
Fin qui l’Autore ha annunziato un principio di ordine generale: chi cade dalla
fede deve sapere che non può ritornare in essa senza una seconda grazia di
Dio.
Non si ritorna nella fede per volontà dell’uomo, si ritorna per grazia del Signore.
Questo principio lui però non lo applica ai destinatari della Lettera. Perché?
Il motivo ce lo indica lui stesso: quanto a voi, però, anche se parliamo così =
anche se vi abbiamo annunziato un principio di ordine generale, questo
principio non si applica.
Da noi non viene applicato al vostro caso perché siamo certi che sono in voi
cose migliori e che portano alla salvezza = ci sono in voi delle opere fatte che
sono per voi come un memoriale di grazia e di misericordia presso Dio.
In altre parole: Dio non dimentica il bene fatto da voi e se voi non perseverate
nell’errore, nella falsità, nell’inganno, se voi avete il desiderio di ritornare nella
retta fede, Lui vi concede la grazia della conversione e del vostro ritorno nella
verità piena.
La verità che l’Autore rivela è questa: c’è la tentazione, la fragilità, la miseria
dell’uomo che lo conducono ad abbandonare la retta fede professata.
L’amore di un tempo, la misericordia e la carità vissute, le opere buone
compiute, il Vangelo annunziato con purezza di intenzione, non vanno mai
perduti dinanzi al Signore.
Sono come un memoriale alla Sua presenza. Lui vede le opere di bene
compiute e si ricorda di noi. Il ricordo di Dio è sempre di bontà e di
compassione.
Se l’uomo non si ostina nella cattiva fede e nella falsità, se con umiltà riconosce
il suo errore e l’abbandono della retta fede, il Signore lo ricolma di grazia e lo
salva.
Non è forse questo l’insegnamento che Cristo stesso ci ha donato attraverso la
Parabola del Figliol prodigo?
Il Padre non accoglie forse il figlio perduto e morto perché nella sua grande
umiltà e pentimento decise di far ritorno nella casa del Padre? Ma non è stato
forse il Padre ad aiutarlo con la sua grazia in questo cammino di conversione?
L’umiltà di un uomo è la sua vera grandezza. L’opera buona è vero memoriale
dinanzi a Dio, nel Cielo. È questo il motivo per cui dobbiamo riempire i nostri
giorni di queste opere. Esse mai vanno perdute dinanzi al Signore.
Le cose migliori sono le opere buone compiute e queste opere buone
conducono alla salvezza, sempre però che nel cuore dell’uomo vi sia l’umiltà di
ritornare al Signore.
187
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
La Lettera che l’Autore sta scrivendo loro con tanto amore e dedizione non è
forse una seconda grazia di Dio?
[10]Dio infatti non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che
avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete
tuttora ai santi.
Qui viene messo in luce il rapporto che esiste tra grazia di Dio e opere buone.
Questo rapporto è di giustizia.
Di giustizia però non per rapporto alla prima grazia: quella è solo pura
misericordia e carità, purissimo amore gratuito.
La grazia della giustificazione e della partecipazione della divina natura è per
merito di Cristo, non nostro. Noi eravamo morti a causa dei nostri peccati.
Risorti a vita nuova in Cristo, se nello Spirito Santo, abbiamo iniziato a portare a
compimento la verità di cui il Signore ci ha fatto dono, producendo ogni opera di
giustizia, di carità, nella santità del corpo e dell’anima, noi abbiamo fruttificato
un merito dinanzi a Dio.
Su questo merito si fonda la nostra giustizia di essere nuovamente aiutati da
Dio, sempre per grazia, a rientrare nella verità, rientrando nella Parola di Suo
Figlio Gesù, per viverla in ogni sua parte.
Altra verità che l’Autore rivela in questo versetto è questa: uno cade dalla fede,
per tentazione, per fragilità, per debolezza.
Può succedere e di fatto succede spesso. Una cosa però cui deve fare molta
attenzione è questa: non cadere mai dalla carità, mai dall’amore. Non si
cade dall’amore e dalla carità se si continua a perseverare nel compimento
delle opere buone.
Queste opere buone rendono gloria al Signore e il Signore non può
dimenticarle. Non le dimentica aggiungendo grazia su grazia perché presto
possa compiersi il miracolo del ritorno pieno nella fede e nella verità di Cristo
Gesù.
In tal senso Dio non è ingiusto: al bene risponde con il bene e il suo bene è una
più grande elargizione di grazia perché colui che è caduto dalla fede possa
ritornare in essa.
Uno sa ora come costruirsi un ponte perenne per raggiungere l’altra riva della
retta fede: rimanere sempre nelle opere buone, da compiere ogni giorno verso
tutti.
È questo l’insegnamento della Scrittura (At e NT), che ci dice che la carità copre
una moltitudine di peccati.
La carità ha un grande valore presso Dio. Essa è via sicura di salvezza. Dio è
carità e chi ama veramente otterrà sempre misericordia da parte di Dio.
D’altronde Gesù non ha proclamato la beatitudine della misericordia? “Beati i
misericordiosi perché otterranno misericordia”.
188
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
L’uomo è misericordioso con i suoi fratelli; Dio al momento opportuno sarà
misericordioso con lui. È questa la grande giustizia di Dio: concedere
misericordia a chi vive di misericordia; essere pietoso verso chi ha pietà dei
suoi fratelli. Questo è il Vangelo.
Dio è giusto perché non dimentica “il vostro lavoro e la carità che avete
dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai
santi”.
[11]Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo
perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine,
Il pericolo della perdizione, quando si cade dalla fede, rimane ed è questo: non
avere la forza spirituale e morale di ritornare nella verità di un tempo.
Invece la forza di andare ogni giorno avanti aumenta e si ingrandisce se il
credente vive con zelo sempre più crescente la sua appartenenza a Cristo e,
perseverando sino alla fine, raggiunga la meta della sua speranza, che si
compie solo nel cielo.
Lo zelo è virtù dell’anima che incendia e consuma tutte le energie spirituali di un
uomo, fino al perseguimento della vita eterna in Paradiso.
Il primo zelo deve essere per tutti un desiderio ardente di crescere nella fede e
nella verità in modo da poter amare il Signore sempre in perfetta obbedienza
alla sua volontà.
Il secondo zelo è quello di trasformare la fede in carità, in amore verso Dio, in
ascolto di ogni sua Parola e in messa in pratica di tutta la sua volontà.
Il terzo zelo, ma solo per ordine, è quello di avere un fuoco dentro che ci spinge
verso il raggiungimento di Cristo, per essere trasformati in Lui nella Sua
risurrezione gloriosa.
Questo zelo deve essere visibile. Tutti devono poterlo percepire. Tutti devono
accorgersi che noi crediamo nella Parola di Gesù, la trasformiamo in opere di
amore e di carità, siamo liberi dalla terra e dalle sue preoccupazioni perché il
nostro pensiero, assieme al nostro spirito, è nel Cielo, con Cristo, in Dio.
Vivendo così la tentazione difficilmente potrà avere presa nel nostro cuore. La
vita secondo la fede è infatti il primo e il più potente baluardo contro il male.
L’Autore dice questo perché c’è in lui una seria preoccupazione: vede in loro un
lassismo veritativo, o addirittura una caduta dalla verità, che non fa presagire
nulla di buono.
Quando si cade dalla verità, ben presto si abbandona la retta fede, si vive
secondo i propri pensieri, viene meno la legge dell’obbedienza e quindi del vero
amore e ci si inabissa in una immoralità grande. Sempre si diventa immorali,
quando la verità e la fede non sono forti in noi. Sempre c’è un rilassamento
morale quando c’è un rilassamento nella fede e nella verità.
La cosa più strana, cui è dato di assistere nel mondo cristiano, è questa: si
pretende abolire il lassismo morale, o il suo rilassamento, annunziando solo
una morale.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
La morale cristiana nasce dalla Parola. Alla Parola si crede o non si crede. La
Parola creduta fa la nostra morale. La Parola non creduta ci fa immorali, perché
ci priva di ogni punto vero di riferimento per tutti i nostri comportamenti.
La forza morale del cristiano è la sua fede. Se questa è forte, lui è forte anche
nella morale. Se è debole, lui è moralmente debole, se non immorale del tutto.
Oggi che nel mondo cristiano non c’è fede, non c’è neanche morale. Alcuni
vorrebbero partire da una morale minima per giungere alla fede. È questo di
sicuro un processo sbagliato, erroneo.
Bisogna sempre partire dalla fede per giungere alla morale. La fede dice
riferimento esclusivo alla Parola di Dio rivelata oggi in Cristo Gesù.
La Chiesa è obbligata a predicare la sua morale fondandola sulla fede. La fede
deve essere fondata sulla Parola. La Parola va predicata a tutti, perché si
convertano. La conversione è a Cristo nella Sua Parola.
[12]e perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con
la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
La pigrizia è un vizio brutto. Attraverso di essa ci si abbandona all’ignavia e
questa sovente finisce nell’accidia spirituale.
La pigrizia è prima di tutto della mente, poi del cuore. Cuore e mente
impigriscono la volontà. Volontà, cuore e mente intorpidiscono tutto il corpo che
si abbandona al vizio, ad ogni vizio.
La pigrizia, quando prende radice in un uomo, ne priva la vita di ogni vera
finalità.
L’Autore invece vuole, o desidera, che quanti hanno abbracciato la fede nella
Parola di Gesù Signore, poiché sono di origine Ebraica, diventino imitatori di
coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
Costoro sono i santi, i giusti, gli uomini di Dio non solo del Nuovo Testamento,
quanto piuttosto dell’Antico.
Lo attesta il suo elogio sugli uomini di fede che possiamo leggere sempre in
questa Lettera a partire dal capitolo 11.
L’imitazione è nella fede e nella perseveranza. Fede e perseveranza ci
costituiscono eredi delle promesse.
La fede è nella Parola di Cristo. La perseveranza è il cammino nella Parola di
Gesù. La Parola accolta e vissuta ci dona la vita eterna oggi sulla terra e
domani nella sua forma compiuta nel Paradiso.
Si chiede di essere imitatori di chi? Di Noè, di Abramo, di Giacobbe, di Mosè,
dei Giudici, di Samuele, di Davide, dei Profeti, di tutti i giusti dell’Antico
Testamento, ma anche di quanti ogni giorno sotto i loro occhi venivano esposti
al martirio e loro si lasciavano uccidere per mantenere ferma la professione
della loro fede in Gesù Signore.
Di tutto questo si parlerà a suo tempo, quando saranno commentate le parole
dello stesso Autore.
190
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Ora preme affermare una importante verità: l’esemplarità nella fede non solo è
cosa buona, è anche necessaria.
Un solo esempio di retta fede vissuta può trascinare molte persone non solo a
perseverare nella fede, quanto anche ad abbracciarla.
La perseveranza di uno può divenire forza per un altro. Questa scienza e
questa convinzione deve farsi largo nel nostro cuore.
Vale anche il discorso contrario: la pigrizia nella fede e la caduta da essa
producono spesso disastri incalcolabili, ma anche irreparabili.
L’esemplarità nella perseveranza ci dice che è possibile andare fino in fondo e
dona coraggio, speranza, consistenza veritativa al nostro cammino.
Con la fede e la perseveranza si diviene eredi delle promesse. Le promesse
sono quelle di Dio nell’Antico Testamento e che hanno per oggetto “la
benedizione nella discendenza di Abramo”.
Sono anche quelle di Cristo nel Vangelo e che possiamo trovare tutte nelle
Beatitudini.
L’Autore in questo contesto, però, non sembra interessarsi alle promesse di
Gesù secondo il Nuovo Testamento.
Il fine e lo scopo di ogni suo interessamento, attualmente è uno solo:
convincere i destinatati della sua Lettera che le promesse di Dio, la sua vera ed
unica eredità è Cristo Signore, è la benedizione in Cristo, è la salvezza in
Cristo.
È giusto che lo si segua nel suo ragionamento, o argomentazione.
[13]Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare
per uno superiore a sé, giurò per se stesso, [14]dicendo: Ti benedirò e ti
moltiplicherò molto.
Leggiamo prima le esatte parole della promessa e poi si azzarderà qualche
parola di commento, per una più perfetta comprensione:
La prima parola della promessa la troviamo in Gn c. 17: “Quando Abram
ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: Io sono Dio
onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me
e te e ti renderò numeroso molto, molto. Subito Abram si prostrò con il viso a
terra e Dio parlò con lui: Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di
una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai
Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò
molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re.
Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di
generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo
e della tua discendenza dopo di te. Darò a te e alla tua discendenza dopo
di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso
perenne; sarò il vostro Dio.
Disse Dio ad Abramo: Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua
discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia
alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere
la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi.
Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione
in generazione, tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro
da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi
è nato in casa e chi viene comperato con denaro; così la mia alleanza
sussisterà nella vostra carne come
alleanza perenne. Il maschio non
circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia
eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza.
Dio aggiunse ad Abramo: Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più
Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e
diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei.
Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: Ad uno di cento
anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novanta anni potrà partorire?
Abramo disse a Dio: Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te! E Dio
disse: No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io
stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e
della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito:
ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici
principi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia
alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà a questa data l'anno venturo.
Dio terminò così di parlare con lui e, salendo in alto, lasciò Abramo.
Allora Abramo prese Ismaele suo figlio e tutti i nati nella sua casa e tutti quelli
comperati con il suo denaro, tutti i maschi appartenenti al personale della casa
di Abramo, e circoncise la carne del loro membro in quello stesso giorno, come
Dio gli aveva detto. Ora Abramo aveva novantanove anni, quando si fece
circoncidere la carne del membro. Ismaele suo figlio aveva tredici anni quando
gli fu circoncisa la carne del membro. In quello stesso giorno furono circoncisi
Abramo e Ismaele suo figlio. E tutti gli uomini della sua casa, i nati in casa e i
comperati con denaro dagli stranieri, furono circoncisi con lui.
Questa parola della promessa è stata proferita quando l’Alleanza con Abramo
era già stata stipulata (cfr. Gen. 15,1-21):
“Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: Non
temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto
grande. Rispose Abram: Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza
figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco. Soggiunse Abram: Ecco a
me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede.
Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: Non costui sarà il tuo erede,
ma uno nato da te sarà il tuo erede. Poi lo condusse fuori e gli disse: Guarda in
cielo e conta le stelle, se riesci a contarle e soggiunse: Tale sarà la tua
discendenza. Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in
possesso questo paese. Rispose: Signore mio Dio, come potrò sapere che ne
avrò il possesso? Gli disse: Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre
anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione. Andò a prendere tutti
192
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non
divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abram
li scacciava.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un
oscuro terrore lo assalì. Allora il Signore disse ad Abram: Sappi che i tuoi
discendenti saranno forestieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e
saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno
servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a
te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice.
Alla quarta generazione torneranno qui, perché l'iniquità degli Amorrei non ha
ancora raggiunto il colmo. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto,
ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli
animali divisi. In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con
Abram: Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al
grande fiume, il fiume Eufrate; il paese dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i
Kadmoniti, gli Hittiti, i Perizziti, i Refaim, gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei, gli
Evei e i Gebusei”.
Del giuramento si parla in Gn c. 22: “Dopo queste cose, Dio mise alla prova
Abramo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose: Eccomi! Riprese: Prendi tuo
figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in
olocausto su di un monte che io ti indicherò.
Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio
Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che
Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide
quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: Fermatevi qui con l'asino; io e il
ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi. Abramo
prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco
e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme. Isacco si rivolse al padre
Abramo e disse: Padre mio! Rispose: Eccomi, figlio mio. Riprese: Ecco qui il
fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto? Abramo rispose: Dio
stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio! Proseguirono tutt'e due
insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì
l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la
legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma
l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose:
Eccomi! L'angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli
alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo
unico figlio.
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un
cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del
figlio. Abramo chiamò quel luogo: Il Signore provvede, perciò oggi si dice: Sul
monte il Signore provvede. Poi l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo
per la seconda volta e disse: Giuro per me stesso, oracolo del Signore:
perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico
figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la
tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido
193
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.
Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra,
perché tu hai obbedito alla mia voce. Poi Abramo tornò dai suoi servi;
insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea.
Cosa dobbiamo desumere da queste Parole della Scrittura in ordine al pensiero
che l’Autore è impegnato a dimostrare?
La prima verità è questa: Dio giura per se stesso. Giurando per se stesso,
giura sulla sua verità, sulla sua natura, sulla sua essenza divina.
La verità di Dio è eterna come eterna è la sua Persona. Il suo giuramento è
eterno. Se è eterno, è anche incancellabile, irrevocabile.
L’oggetto del giuramento non è direttamente Abramo, è la sua discendenza.
La discendenza di Abramo è Cristo. Cristo è il vero contenuto della promessa
di Dio.
È Cristo l’eredità vera di Abramo. Cristo bisogna conseguire, verso Cristo
camminare, Cristo accogliere, Cristo ascoltare, Cristo ereditare.
Se è Cristo il contenuto della promessa di Dio, o l’eredità di Abramo, Egli è il
“contenuto” di tutta la Rivelazione. Tutta la Rivelazione di Dio parla di Lui, o
direttamente, o indirettamente.
La Verità della Scrittura diviene così la Verità di Cristo e la Verità di Cristo è la
Verità della Scrittura.
Se la lettura e la comprensione della Scrittura non porta a Cristo, essa è una
lettura e una comprensione erronea, falsa, menzognera.
È falsa perché letta e compresa da un cuore che è nella falsità. Non solo è nella
falsità, non vuole neanche venire nella verità. È un cuore che rifiuta la verità.
Solo chi rifiuta la verità non proviene a Cristo attraverso la lettura, lo studio, la
meditazione, la riflessione della Scrittura.
Chi giura per se steso è Dio. Dio non può né ingannarsi, né ingannare. Dio è
verità eterna, assoluta, piena.
Poiché la benedizione di Dio è nella discendenza di Abramo e Cristo è questa
discendenza, l’unica, la sola, chi vuole la benedizione deve accogliere Cristo,
ascoltare Cristo, adorare Cristo, “inginocchiarsi dinanzi a Cristo”, oggi. Ci si
inginocchia dinanzi a Lui, accogliendo nel cuore la Sua Persona, il Suo Mistero,
la Sua Missione, comprendendola secondo intelligenza di Spirito Santo e
vivendola in ogni suo più piccolo significato di salvezza per noi.
È questa unità di Verità, di Cristo e di Scrittura che consente all’Autore di
pervenire al vero insegnamento su Cristo, in modo che i destinatari della sua
Lettera si svuotino di ogni dubbio e accolgano Cristo in pienezza di fede, di
amore, di verità, di ascolto.
[15]Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa.
Quale fu la perseveranza di Abramo? Quella di ascoltare ogni “nuova” Parola
di Dio.
194
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Abramo è il Padre nella fede di tutti i credenti, perché lui ci insegna attraverso la
sua vita che Dio non si ascolta una volta per tutte. Si ascolta in ogni sua Parola,
si ascolta nella Parola che Lui oggi rivolge alle nostre orecchie, o al nostro
cuore, o al nostro spirito.
Dio si ascolta in ogni sua rivelazione, diretta o indiretta, fatta a noi per noi e per
gli altri, o fatta agli altri per gli altri e per noi.
Se usciamo da questa visione di fede, blocchiamo il cammino di Dio con noi.
Che Dio sarebbe mai il nostro che cammina con noi, se poi non ha più facoltà di
parlarci, perché ci ha parlato una volta per tutte?
Può Dio parlare una volta per tutte e poi lasciare alla mente dell’uomo la libertà
di interpretare e di comprendere la sua Parola, che partecipa del suo mistero
eterno, nel quale mai mente umana ha potuto fissare solamente lo sguardo?
Chi legge la storia di Abramo sa che essa è tutta ed interamente mossa dalla
Parola di Dio.
È mossa da Dio la sua uscita dalla terra di Ur dei Caldei. Soprattutto è mossa
da Dio l’alleanza che lo costituisce Padre di una moltitudine. È mossa da Dio
anche nelle più piccole questioni del quotidiano, specie nella “faccenda” con
Ismaele ed Agar. Soprattutto è mossa da Dio quando si trattò di offrire Isacco in
sacrificio a Lui sul monte.
Dio parla ed Abramo ascolta, obbedisce, esegue. Dio vuole ed Abramo fa. Dio
decide e Abramo realizza, spera, aspetta, attende il compimento della Parola
che Dio gli aveva proferito oggi.
Una cosa Abramo ci insegna e dovrà insegnarla ad ogni uomo che viene su
questa terra: Non c’è contraddizione nella Parola di Dio. Mai una Parola di Dio
nega l’altra, anche se nell’apparenza potrebbe sembrare che sia così.
In questa verità eterna ed assoluta della Parola di Dio e in questa non
contraddizione, o non negazione, o abolizione è il fondamento dell’obbedienza
di Abramo.
Così Abramo è un esempio per tutti noi della verità di tutta la Parola di Dio e di
ogni singola sua Parola. Ma anche è esempio di come si obbedisce sempre
all’ultima Parola che Dio ha pronunciato su di noi, sapendo che nessuna delle
altre è falsa, o decaduta, o non più realizzabile da parte di Dio. Chi arriva a
questa fede è perfetto, perché nell’ultima Parola di Dio è la verità di ogni altra
Parola ed è l’ultima Parola che ci dona il vero significato di tutte le altre Parole
che Dio ha pronunziato per noi.
Non è facile entrare in questa visione di fede e di verità. Ma bisogna pur
impegnarsi ad entrarvi, perché è in questa verità la vita della Parola e la vita
della nostra fede nella Parola.
Questo principio vale anche per la Lettura nello Spirito Santo di ogni Parola di
Cristo Gesù e di Dio Padre (At e NT).
L’ultima ispirazione dello Spirito, che è sempre in ordine ai tempi e ai luoghi,
dona l’ultima pienezza di verità, che non contraddice le altre ispirazioni, ma
195
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
dona loro compimento più grande, più vero, più autenticamente celeste e
divino.
Questo cammino dell’Ispirazione – che è cammino verso la verità tutta intera –
dura fino a che l’ultimo uomo sulla terra non avrà reso lo spirito a Dio.
Dall’ispirazione passeremo allora alla visione, ma neanche la visione sarà mai
completa, piena. Dio è infinito per ogni creatura e tale resterà per tutta l’eternità.
Mai mente creata, neanche per visione, potrà comprendere l’infinità di Dio.
Per tutta l’eternità ci si inabisserà nel suo mistero e sarà sempre nuovo per noi.
Questa è la verità di Dio nel tempo e nell’eternità.
Applicando a noi questo principio, si perviene a due verità:
-
Ogni Parola antica di Dio (Tv) parla di Cristo.
-
Ogni Parola traccia una visione di Lui.
Messe tutte insieme ci danno già un bellissimo quadro della sua Persona e
della sua Missione.
Questo quadro però è senza vita. Bisogna aggiungervi tutto il Nuovo
Testamento, cioè bisogna guardare quel quadro secondo il “quadro vivente”
che è Cristo Gesù e allora anche quel “quadro” comincerà a vivere, perché è
Cristo la verità di quel “quadro”, non quel “quadro” la verità di Cristo.
È ciò che fa l’Autore in questa Lettera: possiede il “quadro” di Cristo secondo
l’Antico testamento, lo legge secondo “il quadro vivente” che è Cristo della
storia e del Nuovo Testamento e quel “quadro” dell’Antica Storia si riempie di
vita, diviene anche lui vivente.
La stessa cosa deve operare sempre la Chiesa con l’altro quadro di Cristo che
è dalla Sua Tradizione. Essa deve sempre aggiornare il quadro dell’Antico
Testamento e del Nuovo, aggiungendo la lettura e la comprensione di ogni
tratto che ci dona lo Spirito Santo, oggi, nell’ora attuale dell’uomo.
Così Cristo è vero per ieri, secondo la lettura dello Spirito di Dio; deve essere
però anche vero per oggi. Oggi bisogna aggiungervi la lettura e la
comprensione secondo lo Spirito di oggi, se vogliamo rimanere nella piena
verità di Cristo Gesù.
Fermare la comprensione di Cristo a “ieri” è già non possedere il vero Cristo di
oggi, perché oggi lo Spirito di Dio parla, oggi conduce verso la verità tutta
intera, oggi bisogna mettersi alla sua scuola, oggi bisogna invocarlo perché ci
dia la pienezza della verità su Cristo, perché è in essa la nostra vera vita, la
nostra benedizione, la nostra salvezza.
Abramo camminava oggi con Dio. Questo è il suo più grande insegnamento.
Questa verità avrebbe voluto Dio insegnare ai suoi figli, sempre rivolti verso il
passato a pensare alle cipolle e ai porri dell’Egitto.
È questo l’ammonimento che egli fa giungere loro per mezzo del Profeta Isaia,
assieme all’altra verità che annunzia che Dio è con il suo popolo e cammina
con esso:
196
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
“Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o
Israele: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi
appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti
sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la
fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di
Israele, il tuo salvatore. Io do l'Egitto come prezzo per il tuo riscatto,
l'Etiopia e Seba al tuo posto.
Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do
uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita. Non temere, perché io
sono con te; dall'oriente farò venire la tua stirpe, dall'occidente io ti radunerò.
Dirò al settentrione: Restituisci, e al mezzogiorno: Non trattenere; fa’ tornare i
miei figli da lontano e le mie figlie dall'estremità della terra, quelli che portano il
mio nome e che per la mia gloria ho creato e formato e anche compiuto. Fa’
uscire il popolo cieco, che pure ha occhi, i sordi, che pure hanno orecchi. Si
radunino insieme tutti i popoli e si raccolgano le nazioni. Chi può annunziare
questo tra di loro e farci udire le cose passate? Presentino i loro testimoni e
avranno ragione, ce li facciano udire e avranno detto la verità.
Voi siete i miei testimoni oracolo del Signore miei servi, che io mi sono scelto
perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me
non fu formato alcun dio né dopo ce ne sarà. Io, io sono il Signore, fuori di me
non v'è salvatore. Io ho predetto e ho salvato, mi son fatto sentire e non c'era
tra voi alcun dio straniero. Voi siete miei testimoni oracolo del Signore e io
sono Dio, sempre il medesimo dall'eternità. Nessuno può sottrarre nulla al
mio potere; chi può cambiare quanto io faccio? Così dice il Signore vostro
redentore, il Santo di Israele: Per amor vostro l'ho mandato contro Babilonia e
farò scendere tutte le loro spranghe, e quanto ai Caldei muterò i loro clamori in
lutto. Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore di Israele, il vostro re.
Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad
acque possenti che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; essi
giacciono morti: mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono
estinti. Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose
antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne
accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.
Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito
acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il
popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi. Invece tu non mi hai
invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. Non mi hai portato
neppure un agnello per l'olocausto, non mi hai onorato con i tuoi sacrifici. Io
non ti ho molestato con richieste di offerte, né ti ho stancato esigendo
incenso. Non mi hai acquistato con denaro la cannella, né mi hai saziato
con il grasso dei tuoi sacrifici. Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai
stancato con le tue iniquità. Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me
non ricordo più i tuoi peccati. Fammi ricordare, discutiamo insieme; parla tu
per giustificarti. Il tuo primo padre peccò, i tuoi intermediari mi furono ribelli. I
tuoi principi hanno profanato il mio santuario; per questo ho votato Giacobbe
alla esecrazione, Israele alle ingiurie. (cfr. Is 43,1-28).
197
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
È questo il mistero del nostro Dio: Lui è oggi il creatore della nostra vita nella
verità, nella grazia, in Cristo, per opera dello Spirito Santo.
[16]Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il
giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia.
Viene ora precisato cosa è un giuramento. È una garanzia di credibilità fondata
non su se stessi, ma su di un altro che è credibile per se stesso.
Giurare su se stessi non ha senso. Basterebbe in questo caso la loro sola
parola.
Si giura per chiamare a testimone della verità che si dice una persona che
faccia da vero garante, alla quale non si può mentire, perché essa non è
ingannabile.
Quando si chiama Dio a testimone, egli non solo è garante della verità, ma è
anche vindice della falsità.
In fondo il giuramento è una ricerca di garanzia di verità sulla parola che uno
pronuncia. Non essendo l’uomo degno di fiducia per se stesso, perché sovente
è un mentitore, si ha bisogno che qualcun altro garantisca per noi, altrimenti
non siamo creduti e siamo rifiutati nella parola che proferiamo.
Gesù nel Vangelo vuole che il cristiano non giuri. Perché? Perché vuole che lui
sia degno di fiducia per ogni parola che esce dalla sua bocca.
La ragione, o il motivo di questa garanzia che è lui stesso, non si trova in lui,
bensì in Dio.
Con il battesimo il cristiano è divenuto partecipe della natura divina. Ora la
natura divina è verità. Il cristiano partecipa della verità di Dio per nuova natura
generata in lui.
Che partecipazione di natura divina sarebbe la sua se la sua bocca proferisse
parole di falsità, di inganno, di menzogna, di errore e di quanto nuoce al
fratello?
Se questo avvenisse, sarebbe il suo un vero ritorno nella sua vecchia natura,
che è partecipazione della natura di Adamo e non più di quella di Dio.
“Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il
Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo,
perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né
per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la
tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia
invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (cfr. Mt 5,3337).
Tuttavia è giusto fare osservare che la “verità” che il cristiano è divenuto,
grazie alla sua partecipazione della natura divina, si vive rimanendo nella
“verità” che Cristo Gesù ci ha lasciato nella sua Parola.
La verità ontica diviene verità operativa attraverso il compimento di ogni Parola
che è uscita dalla bocca di Dio.
198
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
La tentazione è proprio questa: far uscire l’uomo dal compimento della Parola
perché esca dalla sua verità e ritorni nella falsità di un tempo.
È questo il motivo per cui il cristiano deve garantire sulla sua parola, che è
manifestazione, attestazione della verità che è in Lui verità ontica e verità di
Parola.
[17]Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della
promessa l'irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un
giuramento [18]perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è
impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui
avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla
speranza che ci è posta davanti.
Viene ora puntualizzato perché il Signore intervenne con un giuramento. Dio
giurò per se stesso per mostrare più chiaramente agli eredi della promessa
l’irrevocabilità della sua decisione.
Qual è questa sua decisione? Quella di benedire in Abramo tutte le genti.
Nell’eredità di Abramo è la benedizione di Dio per ogni uomo e questa
promessa è irrevocabile.
Della promessa di Dio e delle forme storiche attraverso le quali essa è stata
fatta si è già abbondantemente parlato in precedenza, adducendo anche le
testimonianze della Scrittura.
Ora è giusto che ci fermiamo alla verità che l’Autore vuole annunziare ai
destinatari della sua Lettera.
La verità è questa:
-
Dio non mentisce.
-
La Parola di Dio è vera.
-
La Parola di Dio è irrevocabile.
Se la Parola di Dio è vera ed è irrevocabile, noi possiamo fondare la nostra
speranza su di essa.
L’Autore annunzia una verità che penso sia necessario esplicitare un po’,
perché è su di essa che si fonda tutta l’argomentazione della Lettera. Anche di
questa verità si è già in qualche modo parlato in precedenza.
Non dobbiamo dimenticare che l’Autore della promessa irrevocabile è Dio.
È lo stesso Dio che ha accreditato Cristo Gesù, il compimento della promessa.
Non c’è un Dio che accredita la promessa e poi Cristo Gesù che annunzia una
sua salvezza, o che si proclama come il Salvatore di Israele e del mondo. Chi
annunzia la promessa con giuramento irrevocabile e chi garantisce
accreditando Cristo Gesù è il solo ed unico Dio.
Chi accredita Cristo è lo stesso Dio che ha parlato ad Abramo, a Giacobbe, a
Mosè, a Davide, ai Profeti, a tutti i giusti dell’Antico Testamento.
199
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
La fede in Cristo non è fede in Cristo, ma è fede in Dio. Non è fede nel Dio che
Cristo ci annunzia, è fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. È fede
nel Dio di tutto l’Antico Testamento.
La questione cristologica diviene questione teologica in ordine alla fede in
Cristo Gesù. In ordine invece alla verità di Dio la questione teologica si fa
questione cristologica, perché è da Cristo che si conosce secondo verità il
Padre.
Viene così spiegato perché l’Autore dice: “[Perché] noi che abbiamo cercato
rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla
speranza che ci è posta davanti”.
Si parla chiaramente di rifugio in Dio. Dio giura in nostro favore e questo
giuramento ci dona un grande incoraggiamento nell’affermarci saldamente alla
speranza che ci è posta davanti.
Qual è la speranza che ci è posta davanti? Essa è una sola: la promessa della
benedizione nella discendenza di Abramo, che poi diverrà discendenza di
Davide, Gesù Cristo nostro Signore. Non per nulla lo stesso Matteo che scrive il
suo Vangelo per gli Ebrei inizia la narrazione partendo dalla genealogia che
risale, o meglio comincia proprio da Abramo:
“Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo
generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi
fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm
generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn
generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut,
Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da
quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo
generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram,
Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò
Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò
Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in
Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel
generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim
generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd,
Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe,
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù
chiamato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è
così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di
quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. (cfr.
Mt 1,1-17).
La conclusione non può essere che una sola: Cristo è la nostra speranza.
Cristo è posto dinanzi ai nostri occhi. A Cristo dobbiamo ora rivolgere ogni
nostra attenzione, perché è Lui la benedizione, la promessa, la speranza, la
salvezza. È in Lui che ogni Parola di Dio trova compimento, realizzazione.
Chi non fa questo passaggio rimane fuori, totalmente fuori, della vera fede nel
Dio di Abramo, perché il Dio di Abramo è il Dio di Gesù Cristo, non perché
Gesù Cristo abbia scelto di essere del Dio di Abramo, ma perché il Dio di
200
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Abramo ha chiamato Gesù Cristo eleggendolo a suo Messia, a sua
Benedizione in mezzo agli uomini.
[19]In essa infatti noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e
salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario,
La promessa di Dio fatta ad Abramo è l’ancora della nostra vita. È questa
un’ancora sicura e salda.
Chi si aggrappa ad essa, supererà ogni tempesta e condurrà la sua nave nel
porto del cielo.
Penetra fin nel porto del cielo, perché quest’ancora è già penetrata nel
santuario, è già nel cielo.
Per questo la promessa è salda ed è sicura, perché Cristo, che è l’oggetto e il
contenuto della promessa, che è la promessa di Dio per ogni uomo, è già nel
cielo.
L’immagine dell’ancora sicura e salda che penetra fin nell’interno del velo del
santuario è tratta da una delle funzioni del sommo sacerdote, il quale poteva, lui
solo, entrare nel santo dei santi, dove si riteneva abitasse Dio sulla terra e
proprio nel tempio di Gerusalemme, per compiere il grande rito dell’espiazione.
Perché ognuno possa avere un’idea molto chiara a riguardo, citiamo un breve
passaggio, partendo proprio dal grande giorno dell’espiazione, che avveniva
una volta l’anno:
“Il Signore parlò a Mosè dopo che i due figli di Aronne erano morti mentre
presentavano un'offerta davanti al Signore. Il Signore disse a Mosè: Parla ad
Aronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualunque tempo nel santuario,
oltre il velo, davanti al coperchio che è sull'arca; altrimenti potrebbe morire,
quando io apparirò nella nuvola sul coperchio.
Aronne entrerà nel santuario in questo modo: prenderà un giovenco per il
sacrificio espiatorio e un ariete per l'olocausto. Si metterà la tunica sacra di lino,
indosserà sul corpo i calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino e si metterà in
capo il turbante di lino. Sono queste le vesti sacre che indosserà dopo essersi
lavato la persona con l'acqua. Aronne offrirà dunque il proprio giovenco in
sacrificio espiatorio per sé e, fatta l'espiazione per sé e per la sua casa,
immolerà il giovenco del sacrificio espiatorio per sé. Poi prenderà l'incensiere
pieno di brace tolta dall'altare davanti al Signore e due manciate di
incenso odoroso polverizzato; porterà ogni cosa oltre il velo. Metterà
l'incenso sul fuoco davanti al Signore, perché la nube dell'incenso copra il
coperchio che è sull'arca e così non muoia. Poi prenderà un po’ di sangue del
giovenco e ne aspergerà con il dito il coperchio dal lato d'oriente e farà sette
volte l'aspersione del sangue con il dito, davanti al coperchio. Poi immolerà il
capro del sacrificio espiatorio, quello per il popolo, e ne porterà il sangue oltre il
velo; farà con questo sangue quello che ha fatto con il sangue del giovenco: lo
aspergerà sul coperchio e davanti al coperchio.
Così farà l'espiazione sul santuario per l'impurità degli Israeliti, per le loro
trasgressioni e per tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda del convegno
che si trova fra di loro, in mezzo alle loro impurità.
201
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Nella tenda del convegno non dovrà esserci alcuno, da quando egli
entrerà nel santuario per farvi il rito espiatorio, finché egli non sia uscito e
non abbia compiuto il rito espiatorio per sé, per la sua casa e per tutta la
comunità d'Israele. Uscito dunque verso l'altare, che è davanti al Signore,
compirà il rito espiatorio per esso, prendendo il sangue del giovenco e il sangue
del capro e bagnandone intorno i corni dell'altare. Farà per sette volte
l'aspersione del sangue con il dito sopra l'altare; così lo purificherà e lo
santificherà dalle impurità degli Israeliti” (cfr. Lev 16, 1-3.11-19).
Gesù non entrò nel santuario della terra, anche se luogo santissimo della
presenza di Dio.
Egli entrò nel santuario del Cielo, si presentò personalmente presso il Padre
suo.
Questa è la differenza tra Aronne e Cristo Signore. È differenza sostanziale
perché sostanzialmente differente è già il “luogo” nel quale entra Cristo da
quello in cui entrano Aronne e tutti i suoi discendenti.
È questo il motivo per cui bisogna ancorarsi alla promessa ed è anche questo il
motivo per cui essa è ben salda, sicura.
Questa promessa ci ancora al Cielo, perché nel Cielo ci introduce in Cristo. Se
Cristo è nel cielo e se solo la fede in Lui ci conduce nel cielo, se noi ci
distacchiamo da Cristo Gesù, chi ci introdurrà nel Cielo?
Nessuno. Il sacerdozio alla maniera di Aronne non ha questa missione: quella
cioè di ancorare ciascuno di noi in Cielo, presso Dio.
Il sacerdozio di Aronne era solo per l’espiazione dei peccati, ma l’uomo
rimaneva sempre sulla terra, nella sua vecchia e antica natura, quella ereditata
da Adamo.
[20]dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto
sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek.
In questo versetto viene annunziata una verità di fede, mentre un’altra verità è
ricordata a suo fondamento e giustificazione.
La verità è questa, anzi sono due:
-
Cristo è entrato per noi nel cielo.
-
È entrato come precursore.
Anche in questo c’è una differenza con il sacerdozio alla maniera di Aronne.
Aronne entrava anche per sé, per l’espiazione dei propri peccati, per la
purificazione di ogni sua colpa. Entrando per sé, entrava anche per il popolo,
per compiere il rito dell’espiazione, per implorare da Dio il perdono delle colpe
commesse dai figli di Israele.
Altra differenza è questa: Aronne entrava ed usciva. Entrava secondo la Legge
e secondo la Legge usciva.
Cristo Gesù e vi rimane in eterno, per sempre. Entra e non esce. Entra per
esercitare il suo sacerdozio eterno presso il Padre.
202
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Entra però come nostro precursore, per attrarre presso Dio, o per condurre
presso il Padre ciascuno di noi.
Anche questa è differenza sostanziale con il sacerdozio secondo Aronne.
È questo anche il motivo per cui è citato il Salmo 109.
È citato non solo per dire che Gesù è vero sacerdote, perché tale lo ha
costituito, lo ha voluto il Signore.
In più è citato per dirci che Gesù non è sacerdote alla maniera di Aronne.
Infine è soprattutto citato per ricordarci che Gesù da Dio è stato fatto sacerdote
per sempre.
È questa eternità di Cristo e del suo sacerdozio che dona valore nuovo alla
promessa e alla speranza riposta nella promessa.
Si manifesta ancora una volta – ove ce ne fosse bisogno – che la fonte di
Cristo è Dio.
È Dio che lo ha costituito sacerdote. È Dio che lo ha valuto alla maniera di
Melchisedek. È Dio che lo ha rivestito di un sacerdozio eterno.
È questo il vero motivo per cui senza questa teologia non può esistere vera
cristologia.
La prima verità su Cristo è questa: Egli è dal Padre nel Cielo e sulla terra, nel
tempo e nell’eternità, nella missione e nelle opere.
Chi crede nel Padre necessariamente deve credere in Cristo, perché Cristo è
dal Padre.
La prima, o le prime due verità (entrato nel cielo – come precursore) sono
annunzio, Vangelo, testimonianza.
Egli si prefigge ora di “dimostrare” attraverso la Scrittura che queste due verità
non sono contro la Scrittura Antica. Sono invece il suo “naturale” frutto, o
compimento.
Dimostrata questa intima e vitale connessione, in tutto simile a quella che esiste
tra l’albero e il suo frutto, è senza alcuna scusa chi non crede in Cristo, pur
continuando a credere nella verità dell’Antico Testamento. È sufficiente lasciarsi
condurre dalla “verità dell’Antico Testamento” per approdare alla verità di
tutto il Nuovo. La verità di tutto il Nuovo è Cristo Signore.
È all’accoglienza di questa fede che l’Autore vuole condurre i destinatari della
Lettera, adoperandosi con ogni argomentazione e deduzione.
La conclusione di questo capitolo non può essere se non questa: chi è caduto
dalla fede in Cristo che ritorni in essa.
È Cristo la promessa e la benedizione di Dio.
È Cristo colui che deve introdurci nel Cielo, perché Lui ora è nel Cielo, vi è
entrato come Sacerdote Eterno per noi, come precursore, per attrarre ognuno
di noi presso il Padre suo.
203
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Insegnamento iniziale su Cristo = insegnamento fondamentale, primario,
di base? Le verità fondamentali della retta fede in Cristo. L’insegnamento
iniziale, primario, o le verità fondamentali sono quelle riguardanti la sua morte
per i nostri peccati, la sua risurrezione per la nostra giustificazione, la sua
gloriosa ascensione al cielo, il suo essere stato costituito da Dio giudice
dei vivi e dei morti. Sono, in altre parole, tutte quelle verità che ci conducono
nella salvezza, ci fanno rimanere in essa, ci aiutano a raggiungere la gloria del
Cielo. È sufficiente leggere la prima “predica di Pietro” (Atti 2) e si ha una
visione completa del primo insegnamento, o insegnamento iniziale. La verità
delle verità è questa: “Non è dato altro nome sotto il cielo nel quale è
stabilito che possiamo essere salvati, se non nel nome di Gesù Cristo il
Nazareno”. È evidente che questo insegnamento iniziale non è tutto. Esso
deve essere completato, portato a perfezione, se si vuole che non venga
distrutto nei cuori dal primo vento della falsità che si abbatte nella comunità dei
credenti.
Conoscere in pienezza la verità prima della nostra fede: il Sacerdozio di
Cristo. Per l’Autore della Lettera agli Ebrei la verità sulla quale tutta la fede
cristiana si poggia è il Sacerdozio di Cristo Gesù. Chi ha la retta, sana, giusta,
santa verità sul sacerdozio di Cristo potrà conservare la fede e crescere in
essa. Mai le verrà rapita. Chi invece non ha una fede vera sul sacerdozio di
Cristo è esposto ad ogni falsità. La sua fede è assai fragile. Difficilmente saprà
resistere agli attacchi della menzogna e della falsità che scateneranno contro di
lui i nemici della croce di Gesù Signore.
Antropologia senza Cristo. Cristo è l’immagine del vero uomo. Cristo è il vero
uomo, ad immagine del quale ogni altro uomo dovrà farsi, o lasciarsi fare da
Dio, per opera dello Spirito Santo. Chi non conosce secondo perfezione di
verità Cristo Gesù, neanche se stesso conosce secondo pienezza di verità
e quindi non si può realizzare secondo verità. Questo ci insegna che mai
potrà esistere una vera antropologia senza la conoscenza di Cristo. Ma
anche: nessun uomo si potrà fare vero uomo fuori di Cristo, senza di Cristo,
contro di Cristo. Ogni antropologia senza Cristo, fuori di Cristo è semplicemente
o lacunosa, o falsa.
La vera cristologia a fondamento di ogni verità di fede. Non solo
l’antropologia, ma ogni verità di fede, per essere pienamente vera, deve partire
dalla vera, santa, piena, perfetta conoscenza del mistero di Cristo Gesù. Chi
non parte da una conoscenza vera di Cristo, non ha, non possiede
secondo verità nessuna altra conoscenza secondo la fede. Cristo fa vera
ogni conoscenza. Ogni vera conoscenza di Dio e dell’uomo, del presente, del
passato, del futuro è solo dalla sana e giusta conoscenza di Gesù Signore.
Sanare ogni cosa partendo dalla radice. Quando non si possiede una retta e
santa conoscenza su qualche mistero della fede, questo avviene perché
lacunosa è la conoscenza del mistero di Cristo Gesù. Chi vuole sanare la sua
conoscenza, deve partire da Cristo. Se non parte da Cristo, lavora invano,
per il vuoto, per il niente. Nessuna fede potrà mai reggersi se la si fonda, o la
204
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
si costruisce sulla falsità, sulla parzialità, sulla lacuna, sull’errore. Nessuna fede
resisterà alla tentazione, se è già caduta nella tentazione della falsità, della
parzialità, dell’errore.
Se Dio lo permette. Questa frase esprime il possesso di una vera mentalità di
fede. Tutto è da Dio come grazia, il tempo e ogni altro dono necessario alla
nostra vita secondo il corpo. Nessuno può fare una cosa, anche la più santa,
senza questi doni preziosi di Dio. L’Autore sa questo e si consegna a Dio,
a Lui affida ogni suo progetto. Affidandolo a Dio, lo consegna anche a se
stesso e vi mette ogni impegno per la realizzazione di quanto propostosi,
sapendo però che tutto è anche e soprattutto nelle mani di Dio.
L’illuminazione cristiana. L’illuminazione cristiana è il battesimo. Attraverso
questo sacramento, il primo, l’uomo viene reso partecipe della luce di
Cristo, della luce che è Cristo. In Cristo, viene costituito luce del mondo per
illuminare tutti coloro che camminano nelle tenebre e nell’ombra di morte.
Questa è la straordinaria grazia che ci conferisce il battesimo. L’uomo
viene strappato dalle tenebre, portato nel regno della luce, fatto luce in Cristo,
con Cristo, per Cristo, per strappare quanti ancora giacciono immersi nelle
tenebre dell’errore, del peccato, della morte.
Luce per ontologia, non per morale nuova. Rendendoci partecipi della luce
che è Cristo, siamo nella natura trasformati in luce di Cristo, per natura siamo
luce e quindi per cambiamento ontologico. Essendo fatti luce nel Signore
dalla luce del Signore, dobbiamo vivere come veri figli della luce.
Dobbiamo brillare nel mondo di luce vera, santa, giusta. La morale cristiana
è lo sviluppo, o la fruttificazione di ciò che uno è divenuto nel battesimo. La
nostra morale non è una veste che l’uomo indossa e che può smettere e
svestire a suo piacimento. La morale cristiana è il cambiamento di essere
dell’uomo. Essa è vita secondo la nuova natura di luce e di verità, della luce e
della verità di Cristo, in Cristo, per Cristo, con il quale il cristiano è ora una cosa
sola.
Gustare il Signore è pienezza di vita. Gustare la buona Parola di Dio.
Gustare le meraviglie del mondo futuro. La fede è gusto spirituale. Chi non
gusta spiritualmente le realtà della fede, semplicemente non ha fede. Il gusto è
il coinvolgimento di tutto lo spirito dell’uomo nelle realtà della fede. È come se
le realtà divine, presenti e future, lo impregnassero di esse, in qualche
modo lo trasformassero nelle stesse realtà divine. Gusta chi si immerge
pienamente in queste realtà e le fa divenire essenza della sua vita, vita
della sua vita, anzi fa divenire queste realtà la sua stessa vita. Chi gusta
non vive se non per queste realtà e più si immerge in esse e più desidera
immergersi di nuovo fino al suo completo “inebriamento”. Quando si gusta il
Signore, la sua bontà, la sua misericordia, la sua verità, la sua vita, il suo dono,
come si fa a ritornare indietro, ad abbandonare la via della fede? Si ritorna
indietro se si smette di gustare il Signore e a poco a poco si inizia a gustare
un’altra realtà: il male e il peccato. Il nemico della fede è il peccato, generato
in noi dalla falsità accolta e gustata. È buona regola di fede conservare
sempre la grazia di Dio nel cuore e crescere in essa. Chi cresce in grazia,
205
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
gusterà sempre la bontà del Signore. Mai si discosterà dalla retta fede. Anzi
crescerà di fede in fede fino a raggiungere la sua completa maturazione.
Partecipi dello Spirito Santo. Lo Spirito è per la missione. Quando siamo
divenuti credenti, il Signore ci ha resi partecipi della sua divina natura, se siamo
partecipi della natura divina, siamo anche partecipi delle Persone divine. Siamo
partecipi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, che è
comunione di eterno amore tra il Padre e il Figlio, inserisce il credente in
questa comunione eterna e può amare secondo verità non solo Dio, ma
anche i fratelli. Chi è stato reso partecipe dello Spirito Santo, partecipa dello
Spirito del Signore verità, carità, amore, giustizia, santità. Dallo Spirito di Dio è
anche mosso non solo per compiere tutta e sempre la volontà di Dio, ma
anche per rendere partecipi a sua volta ogni altro uomo della Parola di
Gesù e quindi della salvezza che è in Cristo Signore. La missione cristiana
non è un’aggiunta al suo essere e alla sua vita. La missione è frutto della
partecipazione dello Spirito Santo che è stata operata in lui. Lui ora è nella
comunione del Padre e del Figlio, per opera dello Spirito Santo; per opera dello
Spirito Santo è testimone e missionario di Cristo Gesù. È lo Spirito il
Testimone e il Missionario di Cristo Gesù nel mondo. Se lo Spirito Santo è
nel cristiano, il cristiano diviene anche lui nello Spirito Santo, ciò che lo Spirito
Santo è per rapporto a Cristo Gesù.
La virtù teologale della speranza. Speranza teologale e parola. La speranza
teologale è l’attesa del compimento eterno di ogni Parola di Dio. Senza Parola
di Dio non c’è speranza teologale. La speranza cristiana non si fonda però
sulla Parola in sé, ma sul suo Autore. Autore della Parola è Dio e Dio può
compiere ogni sua Parola. Nulla è impossibile a Dio e tutto quanto Egli
dice è anche in grado di portarlo a compimento. Il cristiano accoglie nella
fede la Parola di Dio, vive in conformità ad essa, attende che ogni promessa di
Dio, contenuta nella Parola, si compia. Non solo vive nella Parola, nella Parola
cammina, sicuro e certo nella fede che niente resterà incompiuto.
L’impossibilità umana della conversione. La conversione è dono di Dio.
Nessuno con le sue sole forze può sperare di convertirsi, o di convertire un’altra
persona. Ognuno deve credere che la conversione è possibile solo per
grazia. Credendo questo, offre tutta intera la sua vita a Cristo Gesù,
perché la trasformi in grazia di conversione e di salvezza per il mondo
intero. Questo può avvenire però solo nella santificazione. Si toglie la vita
dal peccato e dalla profanità, la si mette tutta nella volontà di Dio, la si vive per
compiere la volontà di Dio, la si offre in sacrificio al Signore e il Signore
trasforma tutto in grazia di conversione e di salvezza. È questa la fede che il
cristiano deve possedere: la conversione è solo possibile per grazia. Ma è
anche questa la fede che deve animarlo: offrire interamente la sua vita alla
santità per la conversione dei propri fratelli. La grazia è di Cristo. Alla grazia
di Cristo deve essere aggiunta la grazia di ogni membro del suo corpo.
Le vie umane della seconda grazia. La prima grazia è il dono della
conversione e della fede al Vangelo in seguito alla predicazione della Parola,
fatta dagli Apostoli e dai Messaggeri Santi del Vangelo. Chi cade dalla
conversione e ritorna nel peccato, ha bisogno di una seconda grazia.
206
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Questa grazia non è in chi è caduto nel peccato. Questa grazia nasce
ancora una volta dal seno della Chiesa e in modo particolare dal seno della
Comunità nella quale vive chi è caduto dalla grazia. La Comunità quando
vede un suo figlio che se ne ritorna nel peccato e nella morte, deve
elevarsi ancora di più in santità, deve crescere in grazia nel suo seno,
grazia che dovrà essere offerta al Signore per la conversione dei suoi figli.
Ognuno pertanto è obbligato a crescere in grazia, se vuole veramente
cooperare al ritorno dei figli del Padre nella sua casa. Chi non cresce in grazia,
non ha alcun desiderio di salvezza. La salvezza è frutto della grazia; chi non
produce grazia, non genera neanche salvezza. Chi non produce grazia, è
semplicemente uno che non ama né Cristo, né i fratelli, né ama se stesso,
anche lui incamminato verso la caduta dalla grazia e dalla fede. Il primo
frutto della grazia che si produce è il nostro progresso e la nostra crescita in
sapienza e grazia.
Le conseguenze cosmiche del peccato. Le conseguenze del peccato sono
cosmiche, perché nessuno può arrestare il frutto del peccato in se stesso. Il
peccato esce da colui che lo compie e genera un male in tutto l’universo.
A volte basta una parola falsa, menzognera per distruggere un’intera
comunità. La Chiesa è stata sempre divisa dalla menzogna dei suoi figli. Le
eresie, che sono falsità su Cristo, sono tutte nate dal seno della Chiesa, dai
suoi figli. Queste eresie hanno portato un grande male, un male
incommensurabile. Tanti uomini, tante donne sono ora nella perdizione eterna
a causa di una sola parola falsa. Il primo peccato non è forse iniziato da una
parola falsa, di menzogna? Questo primo peccato ha avuto una
conseguenza non solo cosmica, ma anche divina. Non è forse costato la
vita a Dio stesso nel suo Figlio Unigenito? Se pensassimo questo, rifletteremmo
prima di dire anche la più piccola delle falsità.
La grazia è simile alla pioggia. La grazia di Dio è simile alla pioggia. Essa
rende fecondo anche il terreno più duro. Più duro è il terreno è più pioggia
occorre perché sia reso fecondo. Più induriti sono i cuori e più grazia di
conversione e di salvezza occorre riversare su di loro. Più grazia da
riversare dice però più grande santità da realizzare in noi. La santità è l’unica e
sola via per la conversione dei cuori e il loro ritorno nella carità e nella verità di
Cristo Gesù.
Cosa è la benedizione. Cosa è la maledizione. Si cade dalla Parola (morte
– maledizione). Si ritorna nella Parola (vita – benedizione). La benedizione
è comunione con la vita divina, vita di Dio, che ci fa bene, che è il solo nostro
bene. La maledizione invece è l’esclusione dalla vita divina e senza vita divina
si è nella morte e si rimane in essa per tutta l’eternità. La via per partecipare
della vita divina è la Parola di Dio. Chi entra nella Parola, entra nella vita. Chi
cade dalla Parola, o si pone fuori di essa, sceglie di restare nella morte.
Durante il tempo, benedizione e maledizione non sono condizioni stabili
dell’uomo. Dalla benedizione si può passare, cadendo dalla Parola, nella
maledizione; ma anche dalla maledizione, credendo e accogliendo la Parola, si
può passare o ritornare nella benedizione. Nell’eternità invece maledizione e
benedizione sono eterne. La morte sigilla la nostra eternità nella maledizione
o nella benedizione. È l’uomo che sceglie per sé benedizione e
207
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
maledizione; è anche l’uomo che può divenire fonte di benedizione per i
suoi fratelli, ma anche trasformarsi in una tentazione e quindi cooperare a
che i suoi fratelli scelgano anche loro la via della non vita, della morte, nel
tempo e anche nell’eternità. Ognuno ha la grave responsabilità dinanzi a Dio
di scegliere per sé la benedizione, ma anche di divenire fonte e via di salvezza
per il mondo intero. Tutti devono salvarsi per mezzo nostro. Nessuno deve
perdersi per causa nostra. È questo il desiderio che ci deve animare.
La Parola della vita è quella di Cristo. Nella Parola di Gesù è la vita, la
benedizione. La Parola che dona vita, salvezza, benedizione è una: quella di
Cristo Gesù. Questa Parola da Cristo Gesù è stata affidata ai suoi Apostoli
perché la facciano risuonare per il mondo intero. È stata consegnata anche allo
Spirito Santo perché la insegni alla sua Chiesa conducendola verso la verità
tutta intera. Fuori della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica non c’è la
vera Parola di Cristo Gesù, perché non c’è la verità tutta intera in essa
contenuta. È una Parola che non dona pienezza di salvezza. Dona salvezza
per quanta verità vi è in essa.
L’amore vissuto principio di altra grazia. L’amore come memoriale davanti
al Signore. Carità e umiltà. Non cadere dalla carità. L’amore cristiano è
obbedienza, ascolto e messa in pratica della Parola. La Parola vissuta si fa
sacrificio, memoriale di grazia davanti al Signore per noi e per il mondo intero.
Chi vuole aiutare il mondo a ritornare a Dio deve vivere l’amore di Cristo nel
modo più sommo, più alto, più perfetto. Deve prestare alla Parola
un’obbedienza piena, totale, senza riserve. Per questo gli occorre la virtù
dell’umiltà che è consegna della propria vita solo ed esclusivamente alla
Parola. Chi cade dalla carità non può più essere di giovamento ai fratelli. Deve
lui per primo ritornare nell’amore di Cristo se vuole divenire principio di altra
grazia da riversare nel mondo per la sua salvezza.
Giustizia di Dio in Dio. La giustizia di Dio in Dio è la fedeltà alla sua Parola.
Dio è giusto perché agisce sempre conformemente alla sua natura che è tutta
manifestata e rivelata nella sua Parola. In tal senso la giustizia di Dio è
Cristo, dato per la nostra salvezza, offerto per la nostra redenzione. Cristo
però deve essere accolto. In Cristo bisogna vivere se si vuole entrare in
possesso della giustizia di Dio che ci fa salvi. Chi non accoglie Cristo si esclude
dalla giustizia di Dio e rimane nell’ingiustizia del suo peccato.
Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia: questa è la giustizia
di Dio. Dio promette di riversare ogni misericordia su coloro che sono
misericordiosi. Chi vuole l’abbondanza della misericordia di Dio deve
riversare nel mondo intero l’abbondanza della sua misericordia. Questa è
vera giustizia di Dio, perché vera fedeltà alla Parola data. Chi non è
misericordioso, chi non vive per la misericordia, chi non perdona, chi non ama,
non può pretendere di trovare perdono e misericordia da parte del Signore. La
salvezza eterna è frutto anche della misericordia dell’uomo e non solamente
dono della misericordia di Dio, al di fuori di ogni misericordia da parte dell’uomo.
Zelo e speranza. La speranza che è cammino nella Parola di Dio non può
compiersi senza il nostro zelo, il nostro impegno, senza la partecipazione di
tutta la nostra volontà, che affronta ogni sacrificio per portare a compimento
208
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
quanto il Signore ha stabilito per noi. La speranza, come ogni altra virtù, non
si compie senza la partecipazione della nostra volontà. Lo zelo è il dono di
tutta la nostra volontà per la conquista secondo pienezza di verità non
solo della speranza, ma di ogni altra virtù cristiana. Senza zelo nessuna
virtù sarà mai conquistata. Senza zelo l’uomo rimane sempre ai margini del suo
cammino spirituale.
Lassismo veritativo diviene lassismo morale. Chi non cresce nella
conoscenza della verità, chi non cammina verso la verità tutta intera, avrà
sempre una vita morale lassa, fatta di molti vizi, di poche virtù; tanti peccati,
tantissima insipienza, grande stoltezza, frutto della falsità che abita e governa il
suo cuore, la sua mente, il suo spirito. Quando c’è lassismo nella verità, c’è
sempre lassismo nella morale. Chi vuole sradicare il lassismo morale,
deve impiegare ogni energia per sradicare il lassismo veritativo. Il
cammino del cristiano è nella verità. Se non cammina nella verità, di sicuro
camminerà nel peccato, andrà di peccato in peccato, e la sua vita si consumerà
nella morte eterna.
La morale è dalla verità. Predicazione, Parola, fede, morale. La morale
cristiana è la conformazione della vita alla verità. Non c’è verità cristiana se non
quella contenuta nella Parola, secondo l’insegnamento pieno che ci dona lo
Spirito del Signore nella Sua Chiesa. Gli Apostoli predicano la Parola. Alla
Parola ci si converte. Al Vangelo predicato si crede. La Parola ascoltata si
vive: è questa la vera, santa, giusta, perfetta morale cristiana. Dove non c’è
Parola predicata, annunziata, lì non c’è neanche verità tutta intera e quindi
neanche la morale è quella che il Signore vuole che noi viviamo. Alla Chiesa
nei suoi ministri della Parola la responsabilità di annunziare la Parola.
All’uomo quella di accoglierla, o di rifiutarla. Gesù lo dice con chiarezza:
“Chi crederà sarà battezzato, sarà salvo. Chi non crederà sarà condannato”.
Pigrizia spirituale. È pigrizia spirituale il lasciarsi andare, abbandonandosi a se
stessi, lasciando che la fragilità e la debolezza della carne prenda il
sopravvento sulla volontà per condurre la nostra vita di fede in fede e di grazia
in grazia. La pigrizia spirituale è il più grande danno che possa abbattersi
su di un’anima. A poco a poco la pigrizia conduce all’accidia, cioè alla
completa insensibilità dinanzi al bene ed al male.
Imitare quanti divennero eredi della promessa. Come? Qual è la vera
promessa? Gli eredi della promessa sono tutti i giusti dell’Antico Testamento.
Essi ereditarono la promessa perché rimasero sempre saldi nella fede. Costoro
hanno sempre camminato secondo l’ultima Parola che Dio ha fatto udire loro e
per questo sono ora nella pienezza della verità. La promessa di Dio è una
sola: Cristo Gesù, il Suo Messia, mandato da Lui per manifestarci la Sua
Volontà nella sua interezza e anche per realizzare la salvezza in pienezza
di rivelazione e di opera. Imita questi eredi della promessa chi non si ferma
all’Antico Testamento, ma accoglie la Parola di Cristo Gesù come vera Parola
di salvezza, di redenzione, di giustificazione, di santità. Chi non accoglie la
Parola di Cristo Gesù non imita gli eredi della promessa. Questi l’hanno
ereditata proprio in ragione dell’ascolto dell’ultima (sempre dell’ultima) Parola
che Dio faceva udire loro.
209
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
Cristo è la verità della Scrittura. Se la Scrittura non conduce a Cristo, la
sua comprensione è falsa. Poiché Cristo Gesù è verità della Scrittura, chi
leggendo la Scrittura non perviene alla conoscenza di Cristo e alla sua
pienezza di grazia e di verità, costui legge non secondo verità la Parola di Dio di
tutto l’Antico Testamento. Chiunque non ha il Cristo del Nuovo Testamento,
non ha neanche il Dio dell’Antico. Il Dio dell’Antico Testamento guarda a
Cristo, annunzia Cristo, prepara a Cristo, ci dona Cristo. Se quel Dio non ci
dona Cristo, perché la nostra lettura della sua Parola non ci dona Cristo, è il
segno che la nostra comprensione della sua Parola è falsa; se è falsa la
comprensione della sua Parola e anche falsa la comprensione della verità su di
Lui. Chi non giunge alla verità di Cristo è senza la verità di Dio. il Cristo
vero attesta che il nostro Dio è vero. La verità del nostro Dio ci conduce
alla verità di Cristo Gesù. La verità dell’Uno esige la verità dell’Altro; la verità
dell’Uno non può coesistere con la falsità dell’Altro. O Tutti e due veri, o Tutti e
due falsi. Chi non ha il vero Cristo non ha il vero Dio.
La perseveranza è in ogni nuova Parola di Dio. Nell’Antico Testamento si
perseverava nella fede ascoltando ogni nuova Parola di Dio. La nuovissima
Parola di Dio è quella che Lui ci ha fatto udire per mezzo di Cristo Gesù.
Persevera nella fede del Dio di Abramo chi accoglie la Parola che Lui
stesso ci ha indirizzato per mezzo del suo Figlio Unigenito. Nella Chiesa
invece la perseveranza nella fede si compie ascoltando la perenne novità,
o pienezza di verità, cui conduce lo Spirito del Signore. Chi si ferma alla
comprensione di ieri, arresta il cammino della sua fede, si pone fuori della
mozione dello Spirito che oggi dice al cristiano la via da seguire per camminare
in perfezione di verità.
Non c’è contraddizione nella Parola di Dio. L’ultima Parola di Dio dona
significato alle altre. Non c’è alcuna contraddizione nella Parola di Dio.
L’ultima Parola del Signore dona significato pieno a tutte le altre Parole
pronunciate prima. Gesù, ultima Parola di Dio, non abolisce, non
contraddice le Parole dette dal Padre Suo prima di Lui, porta invece a
compimento la Legge e i Profeti. Dona loro la pienezza della verità, della
carità, della santità, della vita.
L’ultima ispirazione dello Spirito. La verità tutta intera alla Parola di Cristo
Gesù è lo Spirito che la conferisce. Questo cammino è inarrestabile. Esso
dura fino alla consumazione dei secoli. Fino a quel giorno la Chiesa vive
ascoltando lo Spirito che parla al suo cuore.
Oggi di Dio. L’oggi di Dio è Cristo e solo Lui. A Lui deve essere condotto ogni
uomo. Oltre Cristo non c’è altro nome nel quale è stabilito che possiamo
essere salvati. Questa verità è assoluta. Essa è per ogni uomo di ogni tempo.
Dio è il creatore della nostra vita. Chi crea la nostra vita è Dio. Dio la crea per
mezzo di Cristo Gesù. Come l’ha creata per mezzo di Cristo, così anche la
redime per mezzo di Cristo e la riporta nella pienezza della verità. Cristo
Gesù opera la salvezza, o mette la sua vita nei cuori, per opera dello Spirito
Santo nella mediazione della Chiesa.
Il giuramento. Il Dio che annunzia con giuramento Cristo e lo stesso Dio
che lo accredita. Dio conferma ogni sua Parola giurando su se stesso. Dio si
210
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
fa così verità di se stesso. Poiché Lui è verità immutabile per essenza, anche la
Parola proferita partecipa di questa immutabilità. Dio di certo l’adempirà. Dio
giura per annunziare Cristo, per manifestare Cristo, per donare Cristo.
Cristo è l’oggetto del giuramento di Dio. Il Dio che giura e anche il Dio che
accredita Cristo Gesù. Lo accredita in vita, ma anche in morte e dopo la
morte. Chi non crede in Cristo, semplicemente non crede in Dio; chi non
accoglie Cristo è Dio che non accoglie nella sua Parola di giuramento.
Ancora una volta appare chiaro come il vero problema è teologico prima che
cristologico ed è cristologico perché teologico.
Veri per partecipazione della divina natura. La verità ontica da verificare
con la Parola proferita da Gesù. Dio ci fa veri in Cristo Gesù, perché ci rende
partecipi della divina natura. La nostra verità è ontica, cioè partecipazione
dell’essere stesso di Dio che è verità. Questa verità di natura ricreata,
santificata, perennemente deve essere verificata dalla Parola di Cristo
Gesù. È nella verità chi vive secondo la Parola vera. Chi non vive secondo
la Parola vera di Cristo Gesù attesta di essere nella falsità. La verità di Dio non
abita in lui.
Dalla cristologia alla teologia. Dalla teologia alla cristologia. La vera,
profonda, santa, spirituale conoscenza di Cristo Gesù ci dona la vera, profonda,
santa, spirituale conoscenza di Dio. Ogni falsa comprensione di Cristo è
anche falsa comprensione di Dio. Questo se si parte da Cristo. Se invece si
parte da Dio, ogni vera, santa, perfetta, giusta conoscenza di Dio deve
sfociare necessariamente nella vera, santa, perfetta, giusta conoscenza di
Cristo Gesù. Una falsità in una conoscenza genera falsità nell’altra e
viceversa. Se gli errori sono cristologici, lo saranno anche teologici; se lo
sono teologici, lo saranno anche cristologici. La Parola è una, la Verità è
una. Chi divide e fa due verità: una per Cristo e l’altra per il Dio di Abramo,
costui semplicemente è fuori della verità.
La fede in Dio è fede in Cristo. La fede in Cristo è fede in Dio. Poiché
l’oggetto essenziale, primario, fondamentale della Parola è Cristo, la vera fede
in Dio diviene e si fa vera fede in Cristo. Ma anche: la vera fede in Cristo,
diviene e si fa vera fede in Dio. Non ci sono due fedi differenti e separate:
una in Cristo, l’altra in Dio. Una sola Parola, un solo Autore, una sola fede,
una sola verità, un solo Cristo, un solo Dio. Questa unità deve essere
sempre conservata, se si vuole restare nella verità della fede.
Il Dio di Abramo dona Cristo. Chi ci dona Cristo è il Dio di Abramo, di Isacco,
di Giacobbe. Non un altro Dio. Chi crede secondo verità nel Dio di Abramo, di
Isacco, di Giacobbe deve necessariamente credere in Cristo secondo verità
pura e santa. Se la fede nel Dio di Abramo non sfocia in Cristo, quella fede
non è perfettamente vera, o è addirittura falsa. La verità della prima conduce
alla verità della seconda; dove la verità della prima non conduce alla verità della
seconda, essa è semplicemente falsa.
Ancorati al Cielo per mezzo di Cristo. Chi è Cristo Gesù? È Colui che siede
alla destra del Padre. Nella sua umanità anche noi siamo alla destra del Padre.
In Lui anche noi siamo già nel Cielo; siamo in Lui ben ancorati, ben fissi
nel Cielo. In Lui dobbiamo sempre vederci non solo per rimanere ancorati
211
Lettera agli Ebrei–Capitolo Sesto
nel Cielo, quanto anche per iniziare un cammino spedito nella santità al
fine di giungere nella sua stessa gloria per tutta l’eternità. È questo il fine
della nostra vita. Questa la meta da raggiungere. Tutto dobbiamo dare della
terra, anche il nostro corpo, alla croce, per poter un giorno essere con Cristo
nell’eternità della sua gloria.
Cristo è entrato nel Cielo come precursore. Gesù è nel Cielo. È andato a
prepararci un posto, perché dove è Lui siamo anche noi. Lui vi è andato
passando attraverso la croce. Anche il cristiano deve giungere alla gloria
del Cielo passando attraverso la croce. La croce è la porta stretta che
conduce al Cielo. La croce è obbedienza a tutta la volontà del Padre. La croce
è vita secondo il Vangelo.
Sommo sacerdote. Gesù è sommo sacerdote della Nuova Alleanza. Anzi: è il
Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza. Lui è il solo e l’unico. Non ce ne
sono altri. Tutti gli altri lo sono perché partecipano del suo unico eterno
sacerdozio. Lo sono perché lo esercitano in suo nome e con la sua
autorità. Questa verità da sola dona un significato nuovo al Sacerdozio della
Nuova Alleanza. Tutti infatti sono sacerdoti perché partecipano l’unico
sacerdozio. Questa unità non è esterna; è l’essenza stessa del sacerdozio
cristiano. Ogni sacerdote è sacerdote in Cristo, per Cristo, con Cristo,
perché partecipe del suo sacerdozio. Chi esercita il sacerdozio che Cristo
gli ha partecipato è in comunione con tutti coloro che lo esercitano, ma è
in comunione per natura sacramentale. Questa comunione ontica dona il
vero significato al presbiterio, anch’esso ricondotto alla fonte della sua unità: la
partecipazione di tutti dell’unico sacerdozio che è quello di Cristo Gesù. Il
sacerdozio è esercitato in nome di Cristo, non del presbiterio. È Cristo la fonte
di ogni unità, non il presbiterio.
Gesù è dal Padre. Per condurre al Padre. Come? Gesù è dal Padre per
generazione eterna. È dal Padre perché da Lui inviato per compiere la nostra
salvezza. È dal Padre per ricondurci al Padre. Ci conduce al Padre
facendoci nascere da acqua e da Spirito Santo, divenendo figli del Padre
in Lui, unico Figlio per generazione eterna. Se è dal Padre, è nel Padre,
cioè nella sua Parola, la verità del suo essere e della sua missione. È nella
Parola del Padre che dobbiamo cercare ogni verità che lo riguarda. Questa è
l’unica vera metodologia per chi vuole pervenire alla verità di Cristo. Chi
non perviene alla pienezza della verità di Cristo attesta semplicemente che non
è nella verità del Padre. Ha un falso Dio chi non possiede il vero Cristo, che è
l’unica rivelazione del vero Dio.
212
CAPITOLO SETTIMO
MELCHISEDEK FIGURA DI CRISTO
[1]Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo,
andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo
benedisse;
Si è detto che Melchisedek compare nella Scrittura una sola volta, in un solo
episodio, che riportiamo per intero, un’altra volta, aggiungendovi l’impresa della
vittoria di Abramo sui re:
“Al tempo di Amrafel re di Sennaar, di Arioch re di Ellasar, di Chedorlaomer re
dell'Elam e di Tideal re di Goim, costoro mossero guerra contro Bera re di
Sòdoma, Birsa re di Gomorra, Sinab re di Adma, Semeber re di Zeboim, e
contro il re di Bela, cioè Zoar. Tutti questi si concentrarono nella valle di
Siddim, cioè il Mar Morto. Per dodici anni essi erano stati sottomessi a
Chedorlaomer, ma il tredicesimo anno si erano ribellati. Nell'anno
quattordicesimo arrivarono Chedorlaomer e i re che erano con lui e sconfissero
i Refaim ad Astarot-Karnaim, gli Zuzim ad Am, gli Emim a Save-Kiriataim e gli
Hurriti sulle montagne di Seir fino a El-Paran, che è presso il deserto.
Poi mutarono direzione e vennero a En-Mispat, cioè Kades, e devastarono
tutto il territorio degli Amaleciti e anche degli Amorrei che abitavano in AzazonTamar. Allora il re di Sòdoma, il re di Gomorra, il re di Adma, il re di Zeboim e il
re di Bela, cioè Zoar, uscirono e si schierarono a battaglia nella valle di Siddim
contro di esso, e cioè contro Chedorlaomer re dell'Elam, Tideal re di Goim,
Amrafel re di Sennaar e Arioch re di Ellasar: quattro re contro cinque. Ora la
valle di Siddim era piena di pozzi di bitume; mentre il re di Sòdoma e il re di
Gomorra si davano alla fuga, alcuni caddero nei pozzi e gli altri fuggirono sulle
montagne.
Gli invasori presero tutti i beni di Sodoma e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne
andarono. Andandosene catturarono anche Lot, figlio del fratello di Abram,
e i suoi beni: egli risiedeva appunto in Sòdoma. Ma un fuggiasco venne ad
avvertire Abram l'Ebreo che si trovava alle Querce di Mamre l'Amorreo,
fratello di Escol e fratello di Aner i quali erano alleati di Abram. Quando Abram
seppe che il suo parente era stato preso prigioniero, organizzò i suoi uomini
esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di trecentodiciotto, e si
diede all'inseguimento fino a Dan. Piombò sopra di essi di notte, lui con i
suoi servi, li sconfisse e proseguì l'inseguimento fino a Coba, a
settentrione di Damasco. Ricuperò così tutta la roba e anche Lot suo parente, i
suoi beni, con le donne e il popolo.
Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che
erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
del re. Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote
del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: Sia benedetto
Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il
Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici. Abram gli diede la
decima di tutto.
Poi il re di Sòdoma disse ad Abram: Dammi le persone; i beni prendili per te.
Ma Abram disse al re di Sòdoma: Alzo la mano davanti al Signore, il Dio
altissimo, creatore del cielo e della terra: né un filo, né un legaccio di sandalo,
niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abram. Per
me niente, se non quello che i servi hanno mangiato; quanto a ciò che spetta
agli uomini che sono venuti con me, Escol, Aner e Mamre, essi stessi si
prendano la loro parte” (Cfr Gn 14,1-24).
Le verità di questo primo versetto possono essere così riassunte:
-
Il contesto storico è la vittoria di Abramo sui re che avevano catturato
Lot.
-
In questo contesto e in esso solamente appare la figura di un uomo
avvolto dal mistero: Melchisedek.
-
Melchisedek è re di Salem.
-
È sacerdote del Dio Altissimo.
-
Al Dio Altissimo offre pane e vino.
-
Melchisedek benedice Abramo.
Melchisedek è insieme sacerdote e re. Cristo è sacerdote e re.
Melchisedek è sacerdote del Dio Altissimo. Cristo è sacerdote del Dio Altissimo.
Melchisedek benedice Abramo. Cristo Gesù è la benedizione di ogni uomo.
Melchisedek offre al Dio Altissimo pane e vino. Cristo offre al Dio Altissimo il
pane e il vino perché lo trasformi in sacramento di salvezza, nel sacramento del
Suo corpo e del Suo Sangue.
Già si può individuare il motivo per cui Cristo Gesù è sacerdote alla maniera di
Melchisedek:
-
perché è re e sacerdote.
-
Perché offre al Dio Altissimo pane e vino.
Dicendo alla maniera, non significa che vi sia sostanziale identità. La
similitudine è nella forma, nella sostanza vi è la più alta dissimilitudine.
È giusto però che seguiamo l’Autore nello sviluppo delle sue argomentazioni:
[2]a lui Abramo diede la decima di ogni cosa; anzitutto il suo nome
tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche re di Salem, cioè re di
pace.
Melchisedek riceve da Abramo la decima di tutto ciò che aveva recuperato in
battaglia. Anche questa azione di Abramo ha un significato che presto ci sarà
svelato. Anticipandolo, è da dire che è il superiore che benedice l’inferiore.
214
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Melchidesdek è superiore ad Abramo. Ma Abramo non è Abramo, Abramo è
tutto il popolo di Dio. Melchisedek è superiore al popolo di Dio e quindi anche
ad Aronne e al suo sacerdozio, poiché in Abramo anche Aronne riconosce il
sacerdozio di Melchisedek superiore al suo.
Dopo aver dato le notizie storiche, che sono esclusivamente quelle riportate nel
capitolo 14 della Genesi, in questi pochissimi versetti, l’Autore aggiunge Lui le
proprie considerazioni.
Legge ed interpreta il testo. Questa interpretazione è ispirata, perché fa parte
del Testo Sacro del Nuovo Testamento. Essendo ispirata diventa per noi verità
su cui possiamo edificare la nostra fede in Cristo Gesù.
Partiamo dal nome:
Melchisedek significa: re di giustizia.
Egli è re di Salem, cioè re di pace.
Sono, questi, i due doni messianici per eccellenza: la giustizia e la pace.
Cristo è sacerdote alla maniera di Melchisedek perché Lui sarà per il mondo
intero non solo il re nel cui regno abiteranno la giustizia e la pace, ma lui stesso
sarà il datore della giustizia e della pace.
Egli annunzierà la giustizia e la creerà nei cuori. Annunzierà la pace e la darà a
tutti coloro che crederanno nella sua Parola.
Cristo è re di giustizia e di pace, perché “autore” di esse, autore però per il
mondo intero.
È sufficiente leggere uno solo dei Canti del Servo del Signore di Isaia per
convincersi di questa verità.
“Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto
il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà
il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con
fermezza; non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il
diritto sulla terra; e per la sua dottrina saranno in attesa le isole. Così dice il
Signore Dio che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce,
dà il respiro alla gente che la abita e l'alito a quanti camminano su di essa: Io, il
Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e
stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli
occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro
che abitano nelle tenebre. Io sono il Signore: questo è il mio nome; non cederò
la mia gloria ad altri, né il mio onore agli idoli. I primi fatti, ecco, sono avvenuti e
i nuovi io preannunzio; prima che spuntino, ve li faccio sentire. Cantate al
Signore un canto nuovo, lode a lui fino all'estremità della terra; lo celebri il mare
con quanto esso contiene, le isole con i loro abitanti. Esulti il deserto con le sue
città, esultino i villaggi dove abitano quelli di Kedàr; acclamino gli abitanti di
Sela, dalla cima dei monti alzino grida. Diano gloria al Signore e il suo onore
divulghino nelle isole”. (Cfr. Is. 42,1-12).
Non è forse un inno alla pace, l’altro cantico del Servo, sempre di Isaia?
215
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno
materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio
nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all'ombra della
sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha
detto: Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria. Io ho
risposto: Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma,
certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio.
Ora disse il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per
ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele, poiché ero stato stimato dal
Signore e Dio era stato la mia forza mi disse:
E` troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e
ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché
porti la mia salvezza fino all'estremità della terra. Dice il Signore, il
redentore di Israele, il suo Santo, a colui la cui vita è disprezzata, al reietto delle
nazioni, al servo dei potenti: I re vedranno e si alzeranno in piedi, i principi
vedranno e si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, a causa del
Santo di Israele che ti ha scelto.
Dice il Signore: Al tempo della misericordia ti ho ascoltato, nel giorno della
salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e posto come alleanza per il popolo,
per far risorgere il paese, per farti rioccupare l'eredità devastata, per dire ai
prigionieri: Uscite, e a quanti sono nelle tenebre: Venite fuori. Essi
pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. Non
soffriranno né fame né sete e non li colpirà né l'arsura né il sole, perché colui
che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti di acqua. Io trasformerò i
monti in strade e le mie vie saranno elevate. Ecco, questi vengono da lontano,
ed ecco, quelli vengono da mezzogiorno e da occidente e quelli dalla regione di
Assuan.
Giubilate, o cieli; rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore
consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri. Sion ha detto: Il Signore mi ha
abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del
suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se
queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre
davanti a me. I tuoi costruttori accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si
allontanano da te. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si radunano,
vengono da te. Com'è vero ch'io vivo oracolo del Signore ti vestirai di tutti loro
come di ornamento, te ne ornerai come una sposa. Poiché le tue rovine e le tue
devastazioni e il tuo paese desolato saranno ora troppo stretti per i tuoi abitanti,
benché siano lontani i tuoi divoratori. Di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di cui
fosti privata: Troppo stretto è per me questo posto; scostati, e mi accomoderò.
Tu penserai: Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile; questi chi
li ha allevati? Ecco, ero rimasta sola e costoro dove erano?Così dice il Signore
Dio: Ecco, io farò cenno con la mano ai popoli, per le nazioni isserò il mio
vessillo. Riporteranno i tuoi figli in braccio, le tue figlie saran portate sulle spalle.
I re saranno i tuoi tutori, le loro principesse tue nutrici. Con la faccia a terra essi
si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi; allora tu saprai
216
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
che io sono il Signore e che non saranno delusi quanti sperano in me. Si può
forse strappare la preda al forte? Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno?
Eppure dice il Signore: Anche il prigioniero sarà strappato al forte, la preda
sfuggirà al tiranno. Io avverserò i tuoi avversari; io salverò i tuoi figli. Farò
mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si ubriacheranno del proprio
sangue come di mosto. Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore, tuo
salvatore, io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe” (cfr. Is 49,1-26).
[3]Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di
giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in
eterno.
L’Autore vede Melchisedek come “una apparizione”, come un mistero che si
rende visibile per qualche istante e poi scompare.
Di lui non si conosce né il prima, né il dopo. Appare e scompare in questo brano
della Scrittura.
Appare per benedire Abramo e poi scompare. Appare di nuovo nel Salmo per
dire che il Figlio di Dio, generato dal Padre è sacerdote alla maniera di
Melchisedek e poi scompare di nuovo per tutto l’arco dell’Antico Testamento.
Poi compare un’altra volta in questa Lettera agli Ebrei e poi scompare
nuovamente, per non trovare più traccia di Lui.
Quest’uomo è senza legami con questa terra:
-
senza padre
-
senza madre
-
senza genealogia
-
senza principio di giorni né fine di vita.
Queste quattro caratteristiche ci fanno relazionare Melchisedek solo ed
esclusivamente al suo “ministero”, o “funzione”: offre pane e vino al Dio
Altissimo, benedice Abramo, è re di giustizia e di pace.
Poiché è senza principio di giorni né fine di vita, l’Autore sposta ora il termine
della similitudine. Non è più Cristo Gesù alla maniera di Melchisedek, bensì
Melchisedek alla maniera di Cristo.
Melchisedek è alla maniera di Cristo, perché come Cristo Gesù, è senza
principio di giorni né fine di vita.
Poiché senza principio di giorni e senza fine di vita, come Cristo, egli è
sacerdote in eterno.
L’eternità del sacerdozio di Cristo è fondata sulla sua eternità.
Questa è un’altra differenza con il sacerdozio alla maniera di Aronne. Questo
finiva con la morte di chi lo esercitava. Di Aronne si è visto che Lui ha smesso
prima di morire di esercitare il suo sacerdozio. Al suo posto è subentrato il figlio.
Non sappiamo però in che modo Melchisedek eserciti il suo sacerdozio eterno.
L’autore lo afferma: fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno, ma
non lo spiega.
217
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Se lo afferma è vero. Non possiamo però fondare sulla Scrittura Antica questa
verità. Dobbiamo accoglierla come rivelazione del Nuovo Testamento.
Il Salmo 109 ci aiuta in questo? Proviamo a leggerlo secondo questa
prospettiva:
“Di Davide. Salmo. Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion: Domina in mezzo ai tuoi nemici. A te il principato nel
giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come
rugiada, io ti ho generato.
Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di
Melchisedek. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua
ira. Giudicherà i popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la testa su vasta terra.
Lungo il cammino si disseta al torrente e solleva alta la testa.
L’eternità è affermata. È affermata sia della Persona di Cristo che del suo
Sacerdozio:
-
dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato (cfr. anche il Salmo
2)
-
Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek.
Il problema interpretativo diventa difficile quando bisogna legare il “per
sempre”.
“Al modo di Melchisedek” include anche l’eternità in Melchisedek, o
semplicemente l’offerta del pane e del vino?
Oppure il Padre annunzia che Cristo Gesù rimarrà eternamente sacerdote alla
sua presenza, non però alla maniera di Aronne, bensì alla maniera di
Melchisedek?
Se la soluzione non è possibile desumerla dal Salmo 109, lo si può benissimo
trarre da ciò che l’Autore ci dice in questa sua Lettera e cioè che è Melchisedek
ora alla maniera di Cristo, cioè eterno come sacerdote e non invece Cristo alla
maniera di Melchisedek, per quanto riguarda l’eternità, essendo Melchisedek
semplicemente un uomo e nessun uomo può rivestirsi di eternità.
Al di là del fondamento della verità, resta la verità che per noi è quella che ci
annunzia sia il Salmo 109 che quanto viene affermato in questo contesto.
Tra Cristo e Melchisedek c’è una identità sia nell’esercizio del sacerdozio
(pane e vino) che nella durata (per sempre, in eterno).
Al di là di questo non possiamo aggiungere altro. Per onestà intellettuale
dobbiamo semplicemente fermarci.
Al di là di tutto però regna la verità sovrana: è Dio che genera il Figlio e lo
costituisce sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek.
Ma è anche Dio che fa Melchisedek simile al Figlio suo e gli conferisce un
sacerdozio eterno, anche se ci rimane ignoto il modo come Melchisedek eserciti
in eterno questo suo ministero.
218
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
[4]Considerate pertanto quanto sia grande costui, al quale Abramo, il
patriarca, diede la decima del suo bottino.
L’Autore, come si può facilmente constatare, con saggezza ispirata, ci sta
conducendo, prendendoci quasi per mano, a valutare ogni elemento che
descrive l’incontro di Abramo con Melchisedek.
Nei versetti precedenti si è soffermato sulla figura di Melchisedek. Ora su ciò
che Abramo gli fa e che lui fa ad Abramo.
Abramo dona a Melchisedek la decima di tutto il bottino.
Per gli Ebrei Abramo era tutto. Era il padre dal quale tutti loro discendevano.
Era il più grande di tutti loro e tutti loro in qualche modo si vedevano in Abramo.
Abramo, il più grande, dona la decima a Melchisedek.
Possiamo ora comprendere la frase di esordio di questa
argomentazione: considerate pertanto quanto sia grande costui.
nuova
Grande quanto chi? Più grande di chi?
Il versetto che segue ci offre la risposta:
[5]In verità anche quelli dei figli di Levi, che assumono il sacerdozio,
hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo,
cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo.
Chi riscuoteva la decima, anche se era offerta al Signore, erano i sacerdoti.
“Ogni decima della terra, cioè delle granaglie del suolo, dei frutti degli
alberi, appartiene al Signore; è cosa consacrata al Signore. Se uno vuole
riscattare una parte della sua decima, vi aggiungerà il quinto. Ogni decima del
bestiame grosso o minuto, e cioè il decimo capo di quanto passa sotto la verga
del pastore, sarà consacrata al Signore. Non si farà cernita fra animale buono e
cattivo, né si faranno sostituzioni; né si sostituisce un animale all'altro, tutti e
due saranno cosa sacra; non si potranno riscattare. Questi sono i comandi
che il Signore diede a Mosè per gli Israeliti, sul monte Sinai” (cfr. Lev.
27,30-34).
Il dono della decima è vero atto di adorazione. Si riconosceva il Signore Autore
di tutto e a Lui si donava parte del dono che lui aveva dato.
Questa concezione – del ritorno al Signore di parte del dono del Signore –
è espressa mirabilmente da Davide, in un suo inno di ringraziamento:
“Il re Davide disse a tutta l'assemblea: Salomone mio figlio, il solo che Dio ha
scelto, è ancora giovane e debole, mentre l'impresa è grandiosa, perché la
Dimora non è destinata a un uomo ma al Signore Dio. Secondo tutta la mia
possibilità ho fatto preparativi per il tempio del mio Dio; ho preparato oro su
oro, argento su argento, bronzo su bronzo, ferro su ferro, legname su
legname, ònici, brillanti, topàzi, pietre di vario valore e pietre preziose e
marmo bianco in quantità. Inoltre, per il mio amore per la casa del mio
Dio, quanto possiedo in oro e in argento dò per il tempio del mio Dio, oltre
quanto ho preparato per il santuario: tremila talenti d'oro, d'oro di Ofir, e
settemila talenti d'argento raffinato per rivestire le pareti interne, l'oro per
219
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
gli oggetti in oro, l'argento per quelli in argento e per tutti i lavori da
eseguirsi dagli artisti. Ora, chi vuole essere generoso oggi per il Signore?
Si dimostrarono volenterosi i capifamiglia, i capitribù di Israele, i capi di migliaia
e di centinaia e i dirigenti degli affari del re.
Essi diedero per l'opera del tempio cinquemila talenti d'oro, diecimila darìci,
diecimila talenti d'argento, diciottomila talenti di bronzo e centomila talenti di
ferro. Quanti si ritrovarono pietre preziose le diedero a Iechièl il Ghersonita,
perché fossero depositate nel tesoro del tempio. Il popolo gioì per la loro
generosità, perché le offerte erano fatte al Signore con cuore sincero; anche il
re Davide gioì vivamente.
Davide benedisse il Signore davanti a tutta l'assemblea. Davide disse: Sii
benedetto, Signore Dio di Israele, nostro padre, ora e sempre. Tua, Signore, è
la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore e la maestà, perché tutto,
nei cieli e sulla terra, è tuo. Signore, tuo è il regno; tu ti innalzi sovrano su
ogni cosa. Da te provengono la ricchezza e la gloria; tu domini tutto; nella
tua mano c'è forza e potenza; dalla tua mano ogni grandezza e potere.
Ora, nostro Dio, ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso.
E chi sono io e chi è il mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto questo
spontaneamente? Ora tutto proviene da te; noi, dopo averlo ricevuto dalla
tua mano, te l'abbiamo ridato. Noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini
come tutti i nostri padri. Come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra e non
c'è speranza. Signore nostro Dio, quanto noi abbiamo preparato per costruire
una casa al tuo santo nome proviene da te, è tutto tuo. So, mio Dio, che tu provi
i cuori e ti compiaci della rettitudine. Io, con cuore retto, ho offerto
spontaneamente tutte queste cose. Ora io vedo il tuo popolo qui presente
portarti offerte con gioia. Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Israele, nostri
padri, custodisci questo sentimento per sempre nell'intimo del cuore del tuo
popolo. Dirigi i loro cuori verso di te” (cfr. 1Cro 29,1-18).
I figli di Abramo donano la decima ai loro fratelli sacerdoti, in verità non la
donano loro direttamente, direttamente la donano al Signore.
I sacerdoti sono solo i beneficiari della decima, ma non i destinatari.
Destinatario è il Signore e il pagamento della decima è vero atto di culto, vera
adorazione, vero ringraziamento a Dio.
La riscossione della decima rimane però all’interno del popolo di Dio, della
discendenza di Abramo.
È questa la libertà che il popolo si era conquistata, o verso cui lo aveva
condotto il Signore.
Pagare ad altri, che non fossero i figli di Abramo, la decima, sarebbe stata per
loro azione di sottomissione, di subordinazione, che sarebbe potuto essere
visto anche come atto di schiavitù.
Per questo l’Autore con fine saggezza si premura a specificare che la decima
era riscossa dai loro fratelli, essi pure discendenti di Abramo.
220
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
La decima data e riscossa rimaneva all’interno del popolo, non usciva dal
popolo e quindi non c’era alcuna sottomissione o schiavitù a gente estranea, o
ad un popolo, o ad un uomo superiore ad essi.
Superiore ad essi c’era solo il Signore e nessun altro.
[6]Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e
benedisse colui che era depositario della promessa. [7]Ora, senza dubbio,
è l'inferiore che è benedetto dal superiore.
Cosa succede invece nel caso di Melchisedek?
È verità. Melchisedek non è discendenza di Abramo, non è della stirpe dei figli
di Israele. Egli è estraneo alla carne di Abramo.
Costui che è estraneo alla carne di Abramo e in Abramo sarebbero dovute
essere benedette tutte le tribù della terra, compresa quella di Melchisedek,
benedice Abramo, non è benedetto in Abramo, nella sua discendenza.
Questa è storia. Segue la conclusione dell’Autore: Chi benedice è superiore a
chi viene benedetto; il benedetto è inferiore al Benedicente.
Se Abramo è benedetto da Melchisedek, Melchisedek è superiore allo stesso
Abramo.
Se è superiore, è superiore in tutto, non in una cosa. È l’essere che è superiore,
non questa o quell’altra funzione, ministero, qualità.
Anche il sacerdozio alla maniera di Melchisedek è superiore al sacerdozio
secondo Aronne.
Volendo trarre già una qualche conclusione in ordine al tema trattato, dobbiamo
senz’altro dire che essendo Cristo sacerdote alla maniera di Melchisedek,
non solo è vero sacerdote, ma vive un sacerdozio superiore a quello
finora vissuto dallo stesso Aronne e dai suoi diretti discendenti.
Questo è detto per confutare quanti avrebbero potuto pensare che Cristo, non
essendo della discendenza di Aronne, mai avrebbe potuto essere sacerdote.
Questa tesi è falsa – e lo si è già visto – per due motivi:
-
Tutta la fede di Israele non si fonda su una tradizione, bensì sulla Parola
attuale che Dio fa risuonare in mezzo al suo popolo.
-
La Parola attuale di Dio aveva costituito Aronne e i suoi figli Sacerdoti. La
stessa Parola aveva preannunziato che anche tra i pagani si sarebbe un
giorno preso Sacerdoti e Leviti. L’identica Parola dice che il Figlio di Dio,
che non è discendenza di Aronne, è sacerdote in eterno alla maniera di
Melchisedek.
L’identica Parola, l’unica e la stessa merita che le venga data una sola fede.
È verità la prima Parola, è verità la seconda, è verità la terza. È volontà di
Dio la prima Parola, è volontà di Dio la seconda, è volontà di Dio la terza.
Non si può credere vera la prima Parola – quella che parla del Sacerdozio di
Aronne e dei suoi discendenti – e non vere le altre due Parole – quelle
riguardanti i Pagani e lo stesso Figlio di Dio.
221
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Prima che questione cristologica, come si può constatare, è vera questione di
rapporto con la Parola, alla quale va data una sola fede, una sola adesione.
È quanto ci insegna San Paolo nella Seconda Lettera a Timoteo (3,14-16):
“Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo
da chi l'hai appreso e che fin dall'infanzia conosci le sacre Scritture: queste
possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo
Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare,
convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia
completo e ben preparato per ogni opera buona”.
Chi fa distinzione tra Parola e Parola nella Scrittura manca di ogni fondamento
valido sul quale innalzare la sua fede nel Dio dei Padri.
[8]Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece le riscuote
uno di cui si attesta che vive.
Altra superiorità di Melchisedek su tutto il popolo di Dio, o dei figli di Israele
l’Autore la trova nella differenza che esiste in quanto a vita.
Melchisedek si dice che è vivo. È vivo perché il suo sacerdozio è eterno.
Sull’eternità del suo sacerdozio si è discusso nelle pagine precedenti e si è
concluso che per noi vale il fatto che esso viene affermato come rivelazione in
questa Lettera, anche se l’analisi del testo contenuto nel Salmo 109 potrebbe
anche far intravedere la sua eternità: Tu sei sacerdote in eterno alla maniera
di Melchisedek, intendendo alla maniera di Melchisedek proprio l’eternità del
suo sacerdozio.
Ripeto: al di là delle possibili interpretazioni di questo testo, l’Autore afferma –
ed è per noi vera rivelazione – l’eternità del Sacerdozio di Melchisedek.
È questa la verità sulla quale sta impostando il passo successivo della sua
argomentazione e che riguarda proprio l’eternità di Melchisedek come
sacerdote dinanzi a Dio.
L’eternità è vita. Melchisedek, se è sacerdote per sempre dinanzi a Dio, è vivo.
Aronne invece e i suoi discendenti sono morti, muoiono, morranno. Il loro non è
un sacerdozio eterno, perché finisce con loro.
Uomini mortali pagano la decima ad un uomo che vive, che non muore, che è
immortale.
Anche questa è superiorità di Melchisedek su tutto Israele. Israele mortale paga
la decima ad un uomo immortale, eterno, che vive per sempre dinanzi a Dio.
[9]Anzi si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato
la sua decima in Abramo: [10]egli si trovava infatti ancora nei lombi del
suo antenato quando gli venne incontro Melchìsedek.
In questo versetto è detto semplicemente che in Abramo tutto il popolo di Dio si
prostra dinanzi a Melchisedek. Tutto il popolo di Dio paga la decima. Tutto il
popolo di Dio è benedetto da Melchisedek.
222
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Se è tutto il popolo di Dio che è benedetto, è benedetto anche Levi che
benedice il popolo nel nome del Signore.
Una delle funzioni dei Sacerdoti era proprio questa: benedire il popolo nel nome
del Signore.
Ecco il momento che fonda questa norma:
“Il Signore aggiunse a Mosè: Parla ad Aronne e ai suoi figli e riferisci loro: Voi
benedirete così gli Israeliti; direte loro: Ti benedica il Signore e ti protegga. Il
Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su
di te il suo volto e ti conceda pace. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io
li benedirò” (Cfr. Num 6, 22-27).
Ecco in un altro passo come viene descritta la figura e la missione del
Sacerdozio alla maniera di Aronne:
“Egli innalzò Aronne, santo come lui, suo fratello, della tribù di Levi. Stabilì con
lui un'alleanza perenne e gli diede il sacerdozio tra il popolo. Lo onorò con
splendidi ornamenti e gli fece indossare una veste di gloria. Lo rivestì con tutta
la magnificenza, lo adornò con paramenti maestosi: calzoni, tunica e manto.
All'orlo della sua veste pose melagrane, e numerosi campanelli d'oro all'intorno,
che suonassero al muovere dei suoi passi, diffondendo il tintinnio nel tempio,
come richiamo per i figli del suo popolo.
L'ornò con una veste sacra, d'oro, violetto e porpora, capolavoro di ricamo; con
il pettorale del giudizio, con i segni della verità, e con tessuto di lino scarlatto,
capolavoro di artista; con pietre preziose, incise come sigilli, su castoni d'oro,
capolavoro di intagliatore, quale memoriale con le parole incise secondo il
numero delle tribù di Israele. Sopra il turbante gli pose una corona d'oro con
incisa l'iscrizione sacra, insegna d'onore, lavoro stupendo, ornamento delizioso
per gli occhi.
Prima di lui non si erano viste cose simili, mai un estraneo le ha indossate;
esse sono riservate solo ai suoi figli e ai suoi discendenti per sempre. I
suoi sacrifici vengono tutti bruciati, due volte al giorno, senza interruzione. Mosè
lo consacrò e l'unse con l'olio santo. Costituì un'alleanza perenne per lui e
per i suoi discendenti, finché dura il cielo: quella di presiedere al culto ed
esercitare il sacerdozio e benedire il popolo nel nome del Signore.
Il Signore lo scelse tra tutti i viventi perché gli offrisse sacrifici, incenso e
profumo come memoriale e perché compisse l'espiazione per il suo popolo. Gli
affidò i suoi comandamenti, il potere sulle prescrizioni del diritto, perché
insegnasse a Giacobbe i decreti e illuminasse Israele nella sua legge. E
aumentò la gloria di Aronne, gli assegnò un patrimonio, gli riservò le primizie
dei frutti, dandogli innanzi tutto pane in abbondanza. Si nutrono infatti delle
vittime offerte al Signore che egli ha assegnato ad Aronne e ai suoi discendenti.
Tuttavia non ha un patrimonio nel paese del popolo, non c'è porzione per lui in
mezzo al popolo, perché il Signore è la sua parte e la sua eredità. Pincas, figlio
di Eleazaro, fu il terzo nella gloria per il suo zelo nel timore del Signore per la
sua fermezza quando il popolo si ribellò, egli infatti intervenne con generoso
coraggio e placò Dio in favore di Israele. Per questo fu stabilita con lui
223
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
un'alleanza di pace, perché presiedesse al santuario e al popolo; così a lui
e alla sua discendenza fu riservata la dignità del sacerdozio per sempre”.
(Cfr. Sir 45, 6-24).
Colui che doveva benedire tutto il popolo nel nome del Signore in Abramo è
benedetto da Melchisedek.
Colui al quale Dio gli “assegnò un patrimonio, riservandogli le primizie dei
frutti, dandogli innanzi tutto pane in abbondanza – Si nutrono infatti delle
vittime offerte al Signore che egli ha assegnato ad Aronne e ai suoi discendenti
– proprio costui dona la decima a Melchisedek e da Melchisedek viene anche
benedetto.
Viene così confermato – ove ancora ce ne fosse bisogno – che il Sacerdozio di
Melchisedek è superiore al Sacerdozio alla maniera di Aronne. È superiore
perché Melchisedek nella sua persona e nel suo ministero è superiore ad
Aronne, non solo ad Aronne, ma a tutto il popolo di Dio, che in Abramo si
sottomette a Melchisedek.
Il Sacerdozio di Cristo che è alla maniera di Melchisedek, non solo è vero
sacerdozio, è anche superiore a quello esercitato finora dai figli di Aronne.
Affermato il principio, ora non resta all’Autore che dirci in che cosa il
Sacerdozio di Cristo supera e abolisce, o dichiara nullo, il sacerdozio alla
maniera di Aronne.
È questo il passaggio, anche, dall’Antica alla Nuova Alleanza.
ABOLIZIONE DEL SACERDOZIO LEVITICO
[11]Or dunque, se la perfezione fosse stata possibile per mezzo del
sacerdozio levitico – sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge – che
bisogno c'era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di
Melchìsedek, e non invece alla maniera di Aronne?
La domanda che si pone l’Autore è semplice. Questo attesta come la ricerca
della verità non può essere fatta, se non rispondendo a delle domande semplici,
se non semplicissime.
La semplicità è l’essenza stessa di Dio. La complessità invece è del peccato e
della mente che dal peccato viene governata, diretta, soggiogata, schiavizzata.
La semplicità è evidente per se stessa, altrimenti non sarebbe semplice,
sarebbe complessa e ciò che è complesso non è semplice, perché non è
evidente per se stesso.
Nessuno fa una cosa che sostituisca un’altra, se la cosa da sostituire è perfetta
in se stessa, risponde ad ogni requisito e ad essa nulla si può più aggiungere.
Dio annunzia un nuovo Sacerdozio, lo annunzia alla maniera di Melchisedek.
Se il sacerdozio alla maniera di Aronne avesse portato gli uomini alla
perfezione, il sacerdozio annunziato alla maniera di Melchisedek si sarebbe
224
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
senz’altro dimostrato una cosa inutile, un inutile cambiamento. Ciò che è
perfetto si può cambiare solo con il più perfetto, con il perfettissimo. Mai si
cambia il perfetto con ciò che è imperfetto, o si cambia ciò che è perfetto con
un’altra cosa di uguale ed identica portata.
La verità invece è un’altra: il sacerdozio alla maniera di Aronne non portava alla
perfezione, lasciava imperfetti coloro che lo vivevano, o lo esercitavano, ma
anche lasciava imperfetti coloro per i quali veniva esercitato.
Che il sacerdozio alla maniera di Aronne fosse imperfetto, lo attesta la Parola di
Dio, che promette una Nuova Alleanza, perché tutta l’Alleanza Antica, fondata
anche sul Sacerdozio alla maniera di Aronne veniva portata avanti nel continuo
tradimento e rinnegamento da parte di tutto il popolo.
Ecco come nel contesto del capitolo 31 di Geremia viene annunziata la
Nuova Alleanza che Dio stringerà un giorno con il suo popolo:
“In quel tempo - oracolo del Signore - io sarò Dio per tutte le tribù di Israele
ed esse saranno il mio popolo. Così dice il Signore: Ha trovato grazia nel
deserto un popolo di scampati alla spada; Israele si avvia a una quieta dimora.
Da lontano gli è apparso il Signore: Ti ho amato di amore eterno, per questo
ti conservo ancora pietà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata,
vergine di Israele. Di nuovo ti ornerai dei tuoi tamburi e uscirai fra la
danza dei festanti. Di nuovo pianterai vigne sulle colline di Samaria; i
piantatori, dopo aver piantato, raccoglieranno. Verrà il giorno in cui
grideranno le vedette sulle montagne di Efraim: Su, saliamo a Sion,
andiamo dal Signore nostro Dio.
Poiché dice il Signore: Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la
prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo
popolo, un resto di Israele. Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li
raduno all'estremità della terra; fra di essi sono il cieco e lo zoppo, la donna
incinta e la partoriente; ritorneranno qui in gran folla. Essi erano partiti nel
pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d'acqua per una
strada dritta in cui non inciamperanno; perché io sono un padre per Israele,
Efraim è il mio primogenito.
Ascoltate la parola del Signore, popoli, annunziatela alle isole lontane e dite:
Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come fa un pastore con il
gregge, perché il Signore ha redento Giacobbe, lo ha riscattato dalle mani
del più forte di lui. Verranno e canteranno inni sull'altura di Sion, affluiranno
verso i beni del Signore, verso il grano, il mosto e l'olio, verso i nati dei greggi e
degli armenti. Essi saranno come un giardino irrigato, non languiranno più.
Allora si allieterà la vergine della danza; i giovani e i vecchi gioiranno. Io
cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni.
Sazierò di delizie l'anima dei sacerdoti e il mio popolo abbonderà dei miei beni.
Parola del Signore. Così dice il Signore: Una voce si ode da Rama, lamento e
pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, rifiuta d'essere consolata perché non
sono più. Dice il Signore: Trattieni la voce dal pianto, i tuoi occhi dal versare
lacrime, perché c'è un compenso per le tue pene; essi torneranno dal paese
nemico. C'è una speranza per la tua discendenza: i tuoi figli ritorneranno
225
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
entro i loro confini. Ho udito Efraim rammaricarsi: Tu mi hai castigato e io ho
subito il castigo come un giovenco non domato. Fammi ritornare e io ritornerò,
perché tu sei il Signore mio Dio.
Dopo il mio smarrimento, mi sono pentito; dopo essermi ravveduto, mi sono
battuto l'anca. Mi sono vergognato e ne provo confusione, perché porto
l'infamia della mia giovinezza. Non è forse Efraim un figlio caro per me, un
mio fanciullo prediletto? Infatti dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre
più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui
profonda tenerezza. Oracolo del Signore.
Pianta dei cippi, metti pali indicatori, sta' bene attenta alla strada, alla via che
hai percorso. Ritorna, vergine di Israele, ritorna alle tue città. Fino a quando
andrai vagando, figlia ribelle? Poiché il Signore crea una cosa nuova sulla terra:
la donna cingerà l'uomo! Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Si dirà
ancora questa parola nel paese di Giuda e nelle sue città, quando avrò
cambiato la loro sorte: Il Signore ti benedica, o dimora di giustizia, monte
santo. Vi abiteranno insieme Giuda e tutte le sue città, agricoltori e allevatori di
greggi. Poiché ristorerò copiosamente l'anima stanca e sazierò ogni anima che
languisce. A questo punto mi sono destato e ho guardato; il mio sonno mi
parve soave.
Ecco verranno giorni dice il Signore nei quali renderò feconda la casa di
Israele e la casa di Giuda per semenza di uomini e di bestiame. Allora, come ho
vegliato su di essi per sradicare e per demolire, per abbattere e per distruggere
e per affliggere con mali, così veglierò su di essi per edificare e per piantare.
Parola del Signore. In quei giorni non si dirà più: I padri han mangiato uva
acerba e i denti dei figli si sono allegati! Ma ognuno morirà per la sua propria
iniquità; a ogni persona che mangi l'uva acerba si allegheranno i denti.
Ecco verranno giorni dice il Signore nei quali con la casa di Israele e con la
casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che
ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal
paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro
Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la
casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro
animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio
popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il
Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice
il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del
loro peccato.
Così dice il Signore che ha fissato il sole come luce del giorno, la luna e le stelle
come luce della notte, che solleva il mare e ne fa mugghiare le onde e il cui
nome è Signore degli eserciti: Quando verranno meno queste leggi dinanzi a
me dice il Signore allora anche la progenie di Israele cesserà di essere un
popolo davanti a me per sempre. Così dice il Signore: Se si possono
misurare i cieli in alto ed esplorare in basso le fondamenta della terra, anch'io
rigetterò tutta la progenie di Israele per ciò che ha commesso. Oracolo del
Signore.
226
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Ecco verranno giorni dice il Signore nei quali la città sarà riedificata per il
Signore dalla torre di Cananeèl fino alla porta dell'Angolo. La corda per
misurare si stenderà in linea retta fino alla collina di Gàreb, volgendo poi verso
Goà. Tutta la valle dei cadaveri e delle ceneri e tutti i campi fino al torrente
Cedron, fino all'angolo della porta dei Cavalli a oriente, saranno consacrati al
Signore; non sarà più sconvolta né distrutta mai più”.
Il futuro di Israele, e attraverso di esso per il mondo intero, è nel Nuovo che
Dio si sta accingendo a fare: Nuova sarà l’Alleanza, Nuovo il Sacerdozio,
Nuovo il modo di scrivere la Legge, Nuovo è anche il modo di apprenderla.
Israele è chiamato ad accogliere il nuovo di Dio. Tutti lo dovranno accogliere:
Sacerdoti e popolo insieme, perché gli uni e gli altri devono raggiungere la
perfezione cui era impossibile pervenire seguendo le regole dell’Antica Alleanza
e del Sacerdozio esercitato alla maniera di Aronne.
Volendo ragionare in modo differente, possiamo rispondere a due domande,
anche esse semplici:
-
Israele è perfetto? La risposta è una: no.
-
Perché non è perfetto? Non è perfetto perché l’Antica Alleanza e il
Sacerdozio che veniva esercitato non producevano perfezione.
Erano l’inizio del cammino dell’uomo con Dio, ma non la perfezione di questo
cammino.
Dio vuole condurre alla perfezione il suo popolo e ogni uomo e per questo
promette una Nuova Alleanza e un Nuovo Sacerdozio.
[12]Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un
mutamento della legge.
L’Autore ora sviluppa il suo ragionamento partendo da un dato storico che è
insieme un dato di fede.
È questo contesto di fede e di storia che ci consente di comprendere questa
sua prima affermazione: mutato il sacerdozio, avviene necessariamente
anche un mutamento della legge.
Lo si è già visto:
Con il Salmo 2 e il Salmo 109 vengono unificati nella medesima persona:
Sacerdozio e Regalità. Cosa neanche pensabile in Israele.
Nel Salmo 2 è detto del Messia: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.
Nel Salmo 109 è detto del Figlio di Dio: dal seno dell'aurora, come rugiada,
io ti ho generato. Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per
sempre al modo di Melchisedek.
Il Figlio di Davide, il Messia, è Figlio di Dio. Il Figlio di Dio, il Messia è sacerdote
per sempre alla maniera di Melchisedek.
È questo il primo mutamento della legge.
Come si può constatare non è un mutamento semplice, di poco conto. È un
mutamento che trascina dietro di sé il cambiamento di tutto l’ordinamento
227
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
giuridico e sociale dell’intero popolo dell’Alleanza. È un cambiamento questo
che cambia ogni altra cosa in Israele. Tutto Israele è cambiato nel cambiamento
della legge sul sacerdozio.
[13]Questo si dice di chi è appartenuto a un'altra tribù, della quale
nessuno mai fu addetto all'altare. [14]E` noto infatti che il Signore nostro è
germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al
sacerdozio.
In questo versetto viene ribadita la legge del sacerdozio alla maniera di Aronne.
Esso era strettamente, anzi rigorosamente, riservato alla Tribù di Levi e tra i
discendenti di Levi solo quelli appartenenti alla famiglia di Aronne.
Il Messia invece non è della Tribù di Levi. È invece della Tribù di Giuda.
L’altro cambiamento avverrà con il profeta Isaia, quando si apriranno le porte
del sacerdozio ad ogni uomo della terra.
La profezia troverà nella Legge di Cristo il suo compimento.
Il Messia è sacerdote. Anzi possiamo dire che è Messia proprio perché
sacerdote. Se non fosse sacerdote, non sarebbe vero messia.
È il sacerdozio che dona al messianismo di Cristo la sua compiutezza, la sua
perfezione nella salvezza.
[15]Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di
Melchìsedek, sorge un altro sacerdote differente, [16]che non è diventato
tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita
indefettibile.
In questi due versetti (15 e 16) delle verità che già si conoscono, una viene
ribadita con più grande evidenza.
Il sacerdozio nuovo che nasce, non nasce per ragione di una prescrizione
secondo la carne. Esso cioè non è per volontà di uomo.
Nel popolo di Dio anche questo è avvenuto: che una famiglia, un casato, si sia
fatto il suo sacerdote, il quale pur essendo discendenza di Levi, non era però
discendenza di Aronne e quindi mai avrebbe potuto fare il sacerdote.
Ma lo stesso Libro dei Giudici così termina: “In quel tempo non c’era un re in
Israele e ognuno faceva ciò che gli pareva meglio” (Cfr. Giudici, 21,25).
Il Libro dei Giudici, ci riferisce anche questa trasgressione della legge mosaica,
secondo la quale il sacerdote non veniva fatto dagli uomini, ma era solo ed
esclusivamente per discendenza secondo la carne.
Ma tutto nel popolo di Dio era per discendenza secondo la carne. Solo i profeti
sfuggivano a questa legge. Essi erano direttamente chiamati da Dio per la
salvezza del suo popolo.
Leggiamo ciò che è riferito nel Libro dei Giudici e capiremo con più facilità
quanto l’Autore ci vuole insegnare.
228
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
“In quel tempo non c'era un re in Israele e la tribù dei Daniti cercava un
territorio per stabilirvisi, perché fino a quei giorni non le era toccata nessuna
eredità fra le tribù d'Israele.
I figli di Dan mandarono dunque da Zorea e da Estaol cinque uomini della loro
tribù, uomini di valore, per visitare ed esplorare il paese; dissero loro: Andate ad
esplorare il Paese! Quelli giunsero sulle montagne di Efraim fino alla casa di
Mica e passarono la notte in quel luogo.
Mentre erano presso la casa di Mica, riconobbero la voce del giovane levita;
avvicinatisi, gli chiesero: Chi ti ha condotto qua? Che fai in questo luogo? Che
hai tu qui? Rispose loro: Mica mi ha fatto così e così, mi da un salario e io
gli faccio da sacerdote. Gli dissero: Consulta Dio, perché possiamo sapere se
il viaggio che abbiamo intrapreso avrà buon esito.
Il sacerdote rispose loro: Andate in pace, il viaggio che fate è sotto lo sguardo
del Signore. I cinque uomini continuarono il viaggio e arrivarono a Lais e videro
che il popolo, che vi abitava, viveva in sicurezza secondo i costumi di quelli di
Sidòne, tranquillo e fidente; non c'era nel paese chi, usurpando il potere,
facesse qualcosa di offensivo; erano lontani da quelli di Sidòne e non avevano
relazione con nessuno. Poi tornarono ai loro fratelli a Zorea e a Estaol e i fratelli
chiesero loro: Che notizie portate? Quelli risposero: Alziamoci e andiamo contro
quella gente, poiché abbiamo visto il paese ed è ottimo. E voi rimanete inattivi?
Non indugiate a partire per andare a prendere in possesso il paese. Quando
arriverete là, troverete un popolo che non sospetta di nulla. Il paese è vasto e
Dio ve lo ha messo nelle mani; è un luogo dove non manca nulla di ciò che è
sulla terra.
Allora seicento uomini della tribù dei Daniti partirono da Zorea e da Estaol, ben
armati. Andarono e si accamparono a Kiriat-Iearim, in Giuda; perciò il luogo,
che è a occidente di Kiriat-Iearim, fu chiamato e si chiama fino ad oggi
l'accampamento di Dan. Di là passarono sulle montagne di Efraim e giunsero
alla casa di Mica. I cinque uomini che erano andati a esplorare il paese di Lais
dissero ai loro fratelli: Sapete che in queste case c'è un efod, ci sono i
terafim, una statua scolpita e una statua di getto? Sappiate ora quello che
dovete fare. Quelli si diressero da quella parte, giunsero alla casa del giovane
levita, cioè alla casa di Mica, e lo salutarono. Mentre i seicento uomini dei
Daniti, muniti delle loro armi, stavano davanti alla porta, e i cinque uomini che
erano andati a esplorare il paese vennero, entrarono in casa, presero la
statua scolpita, l'efod, i terafim e la statua di getto. Intanto il sacerdote
stava davanti alla porta con i seicento uomini armati. Quando, entrati in
casa di Mica, ebbero preso la statua scolpita, l'efod, i terafim e la statua di
getto, il sacerdote disse loro: Che fate?
Quelli gli risposero: Taci, mettiti la mano sulla bocca, vieni con noi e sarai
per noi padre e sacerdote. Che cosa è meglio per te, essere sacerdote
della casa di un uomo solo oppure essere sacerdote di una tribù e di una
famiglia in Israele? Il sacerdote gioì in cuor suo; prese l'efod, i terafim e la
statua scolpita e si unì a quella gente.
Allora si rimisero in cammino, mettendo innanzi a loro i bambini, il bestiame e le
masserizie. Quando erano già lontani dalla casa di Mica, i suoi vicini si misero
229
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
in armi e raggiunsero i Daniti. Allora gridarono ai Daniti. Questi si voltarono e
dissero a Mica: Perché ti sei messo in armi? Egli rispose: Avete portato via gli
dei che mi ero fatti e il sacerdote e ve ne siete andati. Ora che mi resta?
Come potete dunque dirmi: Che hai? I Daniti gli dissero: Non si senta la tua
voce dietro a noi, perché uomini irritati potrebbero scagliarsi su di voi e tu ci
perderesti la vita e la vita di quelli della tua casa! I Daniti continuarono il viaggio;
Mica, vedendo che essi erano più forti di lui, si voltò indietro e tornò a casa.
Quelli dunque, presi con sé gli oggetti che Mica aveva fatti e il sacerdote che
aveva al suo servizio, giunsero a Lais, a un popolo che se ne stava tranquillo e
sicuro; lo passarono a fil di spada e diedero la città alle fiamme. Nessuno le
prestò aiuto, perché era lontana da Sidòne e i suoi abitanti non avevano
relazioni con altra gente. Essa era nella valle che si estende verso Bet-Recob.
Poi i Daniti ricostruirono la città e l'abitarono. La chiamarono Dan dal nome di
Dan loro padre, che era nato da Israele; ma prima la città si chiamava Lais.
E i Daniti eressero per loro uso la statua scolpita; Gionata, figlio di Ghersom,
figlio di Manàsse, e i suoi figli furono sacerdoti della tribù dei Daniti finché gli
abitanti del paese furono deportati. Essi misero in onore per proprio uso la
statua scolpita, che Mica aveva fatta, finché la casa di Dio rimase a Silo”.
(cfr. Giudici, 18,1-31).
In questi versetti si può constatare come la religiosità abbia già fatto scomparire
la retta fede e l’idolatria la vera Parola di Dio. Anche il sacerdozio era caduto in
mano agli uomini, che se ne servivano per loro uso e consumo. Non era più
ministro di Dio per le cose della salvezza.
Volendo riassumere dobbiamo affermare due verità:
-
Cristo non si è fatto sacerdote da sé.
-
Cristo non è stato fatto sacerdote dalla famiglia, o dalla discendenza di
Davide. Non è sacerdote per la casa di Davide.
L’autore traduce l’espressione del Salmo 109 con una frase che merita tutta la
nostra attenzione: sorge un altro sacerdote differente, per la potenza di una
vita indefettibile.
Viene indicata chi è la fonte, dalla quale ha origine questo sacerdote differente.
Essa è la potenza di una vita indefettibile. Questa potenza è Dio, non però
un altro Dio, ma lo stesso Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Mosè, di
Davide, dei Profeti. Tutti costoro hanno sempre guardato verso Cristo, Cristo
hanno annunziato, Cristo hanno atteso come salvezza e redenzione del popolo
di Dio.
Questa potenza è Dio perché solo la vita di Dio è indefettibile. Tutte le altre vite
della terra sono tutte defettibili, incamminate verso la morte e la successiva
corruzione.
Altra considerazione che si può fare è questa: Gesù, sommo sacerdote, sorge
per la potenza di una vita indefettibile per condurre anche noi nella vita
indefettibile che lo ha fatto sorgere.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Egli è dalla vita indefettibile per condurre tutti coloro che crederanno in Lui nella
stessa vita dalla quale ha avuto “origine”.
Verrebbe così individuata un’altra differenza sostanziale con il sacerdozio alla
maniera di Aronne: il suo era solo per l’espiazione dei peccati, ma in nessun
modo rendeva il credente partecipe della vita indefettibile di Dio. Con Cristo
invece, grazie al suo sacerdozio, si diviene partecipi della divina natura, che è
appunto vita indefettibile.
[17]Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote in eterno alla
maniera di Melchìsedek.
Sul Salmo 109 si è più volte ritornato. Ora esso è citato dall’Autore per ribadire
la verità primaria, o la legge fondamentale del sacerdozio nella Sacra Scrittura.
Nessuno poteva farsi da sé sacerdote. Il sacerdote è scelto da Dio.
Nell’Antico Testamento Dio aveva scelto la casa di Aronne e tutti i suoi
discendenti maschi per essere sacerdoti al suo cospetto.
Lo stesso Dio sceglie il Messia, che è il suo Figlio Unigenito, generato da Lui
nell’oggi della sua eternità, e lo costituisce sacerdote in eterno alla maniera di
Melchisedek.
Cristo non si è autoproclamato sacerdote. E’ stato chiamato dal Padre a questo
ministero e a questa missione.
La Scrittura Antica è chiara a riguardo. Non lascia spazi a che possano sorgere
dubbi né nel cuore, né nella mente.
[18]Si ha così l'abrogazione di un ordinamento precedente a causa della
sua debolezza e inutilità
In questi due versetti (18 e 19) viene indicato il motivo per cui il sacerdozio
secondo Aronne è stato abrogato da Dio.
Lo è stato – si dice – a causa della sua debolezza e inutilità.
Perché l’autore dichiara debole e inutile il sacerdozio secondo Aronne? È solo
questo un pensiero dell’Autore, oppure si possono trovare tracce di questa
debolezza e inutilità già all’interno dell’Antico Testamento?
Se leggiamo con attenzione il capitolo 7 del Profeta Geremia, ci accorgiamo
che Dio stesso vede inutile un culto che non approda all’osservanza della
Legge. Così è anche nel Profeta Isaia.
I passi che vengono ora riportati meritano tutta la nostra attenzione. Sono essi
che ci mostrano dove risiede la debolezza del sacerdozio secondo Aronne.
In Geremia cap. 7,1-34, così è detto: “Questa è la parola che fu rivolta dal
Signore a Geremia: Fermati alla porta del tempio del Signore e là pronunzia
questo discorso dicendo: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che
attraversate queste porte per prostrarvi al Signore. Così dice il Signore degli
eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi
farò abitare in questo luogo. Pertanto non confidate nelle parole menzognere
di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del
Signore è questo! Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e
231
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo
e il suo avversario; se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova,
se non spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete
per vostra disgrazia altri dei, io vi farò abitare in questo luogo, nel paese
che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre.
Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere,
commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei
che non conoscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo
tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti
questi abomini.
Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il
nome da me? Anch'io, ecco, vedo tutto questo. Parola del Signore. Andate,
dunque, nella mia dimora che era in Silo, dove avevo da principio posto il mio
nome; considerate che cosa io ne ho fatto a causa della malvagità di Israele,
mio popolo. Ora, poiché avete compiuto tutte queste azioni parola del
Signore e, quando vi ho parlato con premura e sempre, non mi avete
ascoltato e, quando vi ho chiamato, non mi avete risposto, io tratterò
questo tempio che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo
che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo.
Vi scaccerò davanti a me come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la
discendenza di Efraim. Tu poi, non pregare per questo popolo, non innalzare
per esso suppliche e preghiere né insistere presso di me, perché non ti
ascolterò. Non vedi che cosa fanno nelle città di Giuda e nelle strade di
Gerusalemme? I figli raccolgono la legna, i padri accendono il fuoco e le donne
impastano la farina per preparare focacce alla Regina del cielo; poi si compiono
libazioni ad altri dei per offendermi. Ma forse costoro offendono me oracolo del
Signore o non piuttosto se stessi a loro vergogna?
Pertanto, dice il Signore Dio: Ecco il mio furore, la mia ira si riversa su questo
luogo, sugli uomini e sul bestiame, sugli alberi dei campi e sui frutti della terra e
brucerà senza estinguersi.
Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Aggiungete pure i vostri olocausti
ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! In verità io non parlai né diedi
comandi sull'olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire
dal paese d'Egitto. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora
io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla
strada che vi prescriverò, perché siate felici.
Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio; anzi procedettero
secondo l'ostinazione del loro cuore malvagio e invece di voltarmi la faccia mi
han voltato le spalle, da quando i loro padri uscirono dal paese d'Egitto fino ad
oggi. Io inviai a voi tutti i miei servitori, i profeti, con premura e sempre; eppure
essi non li ascoltarono e non prestarono orecchio. Resero dura la loro nuca,
divennero peggiori dei loro padri. Tu dirai loro tutte queste cose, ma essi non ti
ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno. Allora dirai loro: Questo è
il popolo che non ascolta la voce del Signore suo Dio né accetta la
correzione. La fedeltà è sparita, è stata bandita dalla loro bocca.
232
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Taglia la tua chioma e gettala via e intona sulle alture un canto lugubre, perché
il Signore ha rigettato e abbandonato la generazione che è oggetto della sua
ira. Perché i figli di Giuda hanno commesso ciò che è male ai miei occhi,
oracolo del Signore. Hanno posto i loro abomini nel tempio che prende il
nome da me, per contaminarlo. Hanno costruito l'altare di Tofet, nella valle di
Ben-Hinnòn, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie, cosa che io non ho mai
comandato e che non mi è mai venuta in mente. Perciò verranno giorni
oracolo del Signore nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Hinnòn,
ma valle della Strage. Allora si seppellirà in Tofet, perché non ci sarà altro
luogo. I cadaveri di questo popolo saranno pasto agli uccelli dell'aria e alle
bestie selvatiche e nessuno li scaccerà. Io farò cessare nelle città di Giuda e
nelle vie di Gerusalemme le grida di gioia e la voce dell'allegria, la voce dello
sposo e della sposa, poiché il paese sarà ridotto un deserto”.
La stessa realtà, anche se con parole differenti, la troviamo in Isaia 1,1-31:
“Visione che Isaia, figlio di Amoz, ebbe su Giuda e su Gerusalemme nei giorni
di Ozia, di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Udite, cieli; ascolta, terra,
perché il Signore dice: Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati
contro di me. Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone,
ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende.
Guai, gente peccatrice, popolo carico di iniquità! Razza di scellerati, figli corrotti!
Hanno abbandonato il Signore, hanno disprezzato il Santo di Israele, si sono
voltati indietro; perché volete ancora essere colpiti, accumulando ribellioni? La
testa è tutta malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c'è
in esso una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state
ripulite, né fasciate, né curate con olio.
Il vostro paese è devastato, le vostre città arse dal fuoco. La vostra campagna,
sotto i vostri occhi, la divorano gli stranieri; è una desolazione come Sòdoma
distrutta. E` rimasta sola la figlia di Sion come una capanna in una vigna, come
un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se il Signore
degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sòdoma, simili
a Gomorra.
Udite la parola del Signore, voi capi di Sòdoma; ascoltate la dottrina del nostro
Dio, popolo di Gomorra! Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?
dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di
giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco.
Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a
calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l'incenso è un
abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare
delitto e solennità.
I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco
di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi.
Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano
sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia
vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della
vedova.
233
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Su, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come
scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della
terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la
bocca del Signore ha parlato. Come mai è diventata una prostituta la città
fedele? Era piena di rettitudine, la giustizia vi dimorava; ora invece è piena di
assassini! Il tuo argento è diventato scoria, il tuo vino migliore è diluito con
acqua. I tuoi capi sono ribelli e complici di ladri; tutti sono bramosi di regali,
ricercano mance, non rendono giustizia all'orfano e la causa della vedova fino a
loro non giunge.
Perciò, oracolo del Signore, Dio degli eserciti, il Potente di Israele: Ah, esigerò
soddisfazioni dai miei avversari, mi vendicherò dei miei nemici. Stenderò la
mano su di te, purificherò nel crogiuolo le tue scorie, eliminerò da te tutto il
piombo. Renderò i tuoi giudici come una volta, i tuoi consiglieri come al
principio. Dopo, sarai chiamata città della giustizia, città fedele. Sion sarà
riscattata con la giustizia, i suoi convertiti con la rettitudine. Tutti insieme
finiranno in rovina ribelli e peccatori e periranno quanti hanno abbandonato il
Signore.
Vi vergognerete delle querce di cui vi siete compiaciuti, arrossirete dei giardini
che vi siete scelti, poiché sarete come quercia dalle foglie avvizzite e come
giardino senza acqua. Il forte diverrà come stoppa, la sua opera come scintilla;
bruceranno tutte e due insieme e nessuno le spegnerà”.
Non solo viene manifestata l’inutilità del culto. Circa il culto esistono altre due
verità che è giusto presentare in questo contesto: In Isaia si parla di un culto
contaminato dal peccato e dall’idolatria, mentre in Malachia di un culto
peccaminoso e del desiderio di Dio di ricevere un’offerta pura, monda, santa.
Ciò che gli offrirà Cristo Gesù.
Isaia così si esprime (cfr. 66,1-4): Così dice il Signore: Il cielo è il mio trono,
la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale
luogo potrei fissare la dimora? Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse
sono mie oracolo del Signore . Su chi volgerò lo sguardo? Sull'umile e su chi ha
lo spirito contrito e su chi teme la mia parola. Uno sacrifica un bue e poi
uccide un uomo, uno immola una pecora e poi strozza un cane, uno
presenta un'offerta e poi sangue di porco, uno brucia incenso e poi
venera l'iniquità. Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro
abomini; anch'io sceglierò la loro sventura e farò piombare su di essi ciò che
temono, perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e
nessuno ha ascoltato. Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi, hanno preferito
quello che a me dispiace”.
Malachia invece così dice (cfr. 1,1-14): Oracolo. Parola del Signore a Israele
per mezzo di Malachia. Vi ho amati, dice il Signore. E voi dite: Come ci hai
amati? Non era forse Esaù fratello di Giacobbe? oracolo del Signore Eppure ho
amato Giacobbe e ho odiato Esaù. Ho fatto dei suoi monti un deserto e ho dato
la sua eredità agli sciacalli del deserto. Se Edom dicesse: Siamo stati distrutti,
ma ci rialzeremo dalle nostre rovine!, il Signore degli eserciti dichiara: Essi
ricostruiranno: ma io demolirò. Saranno chiamati Regione empia e Popolo
234
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
contro cui il Signore è adirato per sempre. I vostri occhi lo vedranno e voi direte:
Grande è il Signore anche al di là dei confini d'Israele.
Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono padre,
dov'è l'onore che mi spetta? Se sono il padrone, dov'è il timore di me?
Dice il Signore degli eserciti a voi, sacerdoti, che disprezzate il mio nome.
Voi domandate: Come abbiamo disprezzato il tuo nome? Offrite sul mio altare
un cibo contaminato e dite: Come ti abbiamo contaminato? Quando voi dite:
La tavola del Signore è spregevole e offrite un animale cieco in sacrificio,
non è forse un male? Quando voi offrite un animale zoppo o malato, non è
forse un male? Offritelo pure al vostro governatore: pensate che l'accetterà o
che vi sarà grato? Dice il Signore degli eserciti. Ora supplicate pure Dio perché
abbia pietà di voi! Se fate tali cose, dovrebbe mostrarsi favorevole a voi? Dice il
Signore degli eserciti.
Oh, ci fosse fra di voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il
mio altare! Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non
accetto l'offerta delle vostre mani! Poiché dall'oriente all'occidente grande è
il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una
oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore
degli eserciti.
Ma voi lo profanate quando dite: La tavola del Signore è contaminata e
spregevole ciò che v'è sopra, il suo cibo. Voi aggiungete: Ah! che pena! Voi mi
disprezzate, dice il Signore degli eserciti, e offrite animali rubati, zoppi,
malati e li portate in offerta! Posso io gradirla dalle vostre mani? Dice il
Signore. Maledetto il fraudolento che ha nel gregge un maschio, ne fa voto e
poi mi sacrifica una bestia difettosa. Poiché io sono un re grande, dice il
Signore degli eserciti, e il mio nome è terribile fra le nazioni.
È debole e fragile il sacerdozio secondo Aronne perché ciò che si offriva non
cambiava il cuore della gente.
È debole e fragile perché non genera santità, non conduce ad una perfezione
più grande.
È debole e fragile perché la materia del sacrificio sovente è cosa impura,
imperfetta, difettosa, macchiata.
È debole e fragile perché facilmente può essere usato in modo illusorio, vano,
ingannevole.
È debole e fragile perché la consistenza non è in se stesso, ma in chi lo offre e
in colui per il quale si offre.
È debole e fragile perché sempre di una sostituzione animale si tratta. Un
animale non può riscattare un uomo.
È debole e fragile perché la sua origine non è in Dio, ma nell’uomo, anche se
Dio si è servito di esso per educare l’uomo al dono della sua vita, del suo cuore,
della sua volontà.
Ci si potrebbe chiedere perché il Signore adotta ciò che è dell’uomo e non dona
invece subito ciò che è suo. A questa domanda c’è una sola risposta: Dio
235
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
cammina con l’uomo storico, non con l’uomo metafisico. L’uomo storico è fatto
di peccato, di falsità, di menzogna, di tradizione, di usi, di costumi, di forme e
modi di concepirsi e di concepire Dio.
Dio si rivela a quest’uomo storico. Quest’uomo storico conduce piano piano alla
pienezza della sua rivelazione. Quest’uomo storico deve portare alla
perfezione.
L’uomo storico è fatto di tempo. Il tempo è una condizione essenziale dell’uomo
e nessuno la può abolire.
Chi abolisce il tempo dal cammino dell’uomo, distrugge semplicemente l’uomo,
non lo tira fuori della sua storia per immetterlo nella pienezza della verità di Dio.
Questo vale anche per ogni nostra disposizione pastorale, di ogni norma, di
ogni legge.
Dio lavora con l’uomo storico. Dio non conosce l’uomo metafisico. Dio conduce
l’uomo verso la verità tutta intera. Ma la verità tutta intera dell’uomo è Dio. Dio
conduce l’uomo verso di Lui, pienezza di vita e di ogni verità.
[19]la legge infatti non ha portato nulla alla perfezione e si ha invece
l'introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a
Dio.
È questa una verità che trova in Paolo molto spazio, specie quando si parla
della giustificazione nella Lettera ai Galati (3,1-29):
“O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu
rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da
voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver
creduto alla predicazione? Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver
incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le
avete fatte invano? Se almeno fosse invano! Colui che dunque vi concede lo
Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o
perché avete creduto alla predicazione?
Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia.
Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la
Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede,
preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: In te saranno benedette tutte le
genti. Di conseguenza, quelli che hanno la fede vengono benedetti insieme ad
Abramo che credette. Quelli invece che si richiamano alle opere della legge,
stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non
rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle. E che
nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che
il giusto vivrà in virtù della fede. Ora la legge non si basa sulla fede; al
contrario dice che chi praticherà queste cose, vivrà per esse. Cristo ci ha
riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per
noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la
benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello
Spirito mediante la fede.
236
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Fratelli, ecco, vi faccio un esempio comune: un testamento legittimo, pur
essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche
cosa. Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furon fatte le
promesse. Non dice la Scrittura: e ai tuoi discendenti, come se si trattasse di
molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo. Ora io dico: un
testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo
una legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo, annullando così la
promessa. Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe
più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo
mediante la promessa. Perché allora la legge? Essa fu aggiunta per le
trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la
promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. Ora
non si da mediatore per una sola persona e Dio è uno solo.
La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse
stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione
scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa
sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede
in Gesù Cristo. Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la
custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata.
Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo,
perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non
siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in
Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di
Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più
uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a
Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa”.
La legge non ha portato nulla alla perfezione perché la forza della legge non è
in sé, ma in Dio.
Non ha portato nulla alla perfezione anche perché essa non era uno strumento
di perfezione.
È strumento di perfezione ciò che trasforma la natura stessa dell’uomo,
cambiandola nella sua essenza.
Ciò che non cambia un uomo nella sua essenza in nessun modo può essere
strumento di perfezione.
La perfezione è solo nella trasformazione della natura. La natura trasformata
trasforma la persona.
Nessuna trasformazione della persona è possibile, senza la trasformazione
della natura, principio, fonte e origine di ogni trasformazione.
La legge non aveva questa capacità. Essa indicava un sentiero da percorrere,
una via da seguire. Chi avrebbe dovuto seguire questa via era un uomo
concepito nel peccato, concupiscente, pieno di malizia.
Questo l’Antico Testamento lo aveva già compreso con Davide, sempre per
ispirazione dello Spirito Santo. Davide, nella sua preghiera dopo il peccato,
chiede a Dio la creazione di un cuore nuovo. Gli chiede la trasformazione, la
237
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
“creazione” di una nuova natura. Gli chiede il dono di una nuova essenza. È in
questa nuova essenza, è da questa nuova natura che lui potrà iniziare ad
essere ciò che Dio si attende e vuole da lui. Il Salmo 50 lo dice con chiarezza:
“Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. Quando venne da lui il profeta Natan
dopo che aveva peccato con Betsabea. Pietà di me, o Dio, secondo la tua
misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le
mie colpe, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi
sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai
tuoi occhi, io l'ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.
Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia
madre. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell'intimo m'insegni la sapienza.
Purificami con issopo e sarò mondo; lavami e sarò più bianco della neve.
Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo
sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un
cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua
presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia di essere
salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i
peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza, la mia
lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca
proclami la tua lode; poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti,
non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e
umiliato, Dio, tu non disprezzi. Nel tuo amore fa grazia a Sion, rialza le mura
di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici prescritti, l'olocausto e l'intera
oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.
L’incapacità della legge ci dice che c’è bisogno di essere introdotti da Dio in una
speranza migliore. Questa speranza è quella intravista da Davide nella nuova
creazione del cuore e dello spirito dell’uomo.
Solo questa è la speranza migliore verso la quale conduce Dio per introdurci
pienamente in essa.
È questa speranza l’anelito del cuore. Tuttavia questa speranza migliore solo lo
Spirito Santo la può creare nel cuore.
Questa speranza era il cambiamento del cuore, annunziato da Dio per mezzo
del profeta: “infonderò il mio Spirito dentro di voi e questi toglierà il vostro
cuore di pietra e al suo posto metterà un cuore di carne capace di amare”.
Il passo della profezia così suona esattamente:
“Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro;
toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne. Vi
prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi
aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le
vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò
dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò
un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere
secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi”
(Cfr. Ez 11,19; 36,24-27).
238
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Sono queste parole della profezia la speranza migliore, è la preghiera di Davide
questa speranza migliore, alla quale solo il Signore può condurre, ma anche
che solo il Signore può ispirare in un cuore.
Senza questa speranza migliore tutto è perso, perché l’uomo rimane nella sua
vecchia natura e con essa trascina i suoi giorni nel peccato.
Questa speranza migliore ci fa avvicinare a Dio. L’Autore dice: grazie alla
quale ci avviciniamo a Dio.
L’avvicinamento a Dio non è semplicemente locale. È un avvicinamento
sostanziale. È avvicinamento per cambiamento di natura, di essenza.
È avvicinamento di natura e di essenza, perché non solo è cambiamento della
nostra natura e della nostra essenza, è molto più di questo: è partecipazione
della divina natura, è immersione della natura di Dio nella nostra e della nostra
in Dio e per questa partecipazione noi siamo divinizzati. Questo significa
essere, o divenire: nuove creature. La novità non è solo per la trasformazione
della nostra natura, ma soprattutto perché la nostra natura trasformata diviene
partecipe della natura divina.
È questa l’Antropologia neotestamentaria e senza questa altissima verità della
nostra partecipazione alla natura divina, nulla si comprende dell’uomo, ma
anche nulla si è capito della redenzione operata da Cristo in nostro favore.
[20]Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano
sacerdoti senza giuramento; [21] costui al contrario con un giuramento di
colui che gli ha detto: Il Signore ha giurato e non si pentirà: tu sei
sacerdote per sempre.
Cosa aggiungono questi versetti alla questione che l’Autore sta trattando e che
riguarda il sacerdozio di Cristo Gesù?
Apparentemente nulla che non sia già stato detto.
Se si parte dalla volontà di Dio, il Dio, lo stesso Dio che ha scelto Aronne come
suo sacerdote e ha stabilito la legge che limitava il conferimento del
ministero sacerdotale solo ai suoi discendenti maschi...
La Scrittura neanche si pone il problema del sacerdozio delle donne.
Quest’idea non esiste neanche come dubbio che ciò sarebbe potuto
accadere un giorno. Questo è tanto vero che Baruc dimostra la falsità degli
idoli proprio dal fatto che nelle religioni pagane veniva esercitato il sacerdozio
dalle donne. Tra i tanti motivi addotti per provare la falsità degli idoli, esiste
anche questo. Per avere un’idea chiara, leggiamo tutto il capitolo 6:
“Per i peccati da voi commessi di fronte a Dio sarete condotti prigionieri in
Babilonia da Nabucodònosor re dei Babilonesi. Giunti dunque in Babilonia, vi
resterete molti anni e per lungo tempo fino a sette generazioni; dopo vi
ricondurrò di là in pace. Ora, vedrete in Babilonia idoli d'argento, d'oro e di
legno, portati a spalla, i quali infondono timore ai pagani.
State attenti dunque a non imitare gli stranieri; il timore dei loro dei non si
impadronisca di voi. Alla vista di una moltitudine che prostrandosi davanti e
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
dietro a loro li adora, pensate: Te dobbiamo adorare, Signore. Poiché il mio
angelo è con voi, egli si prenderà cura di voi.
Essi hanno una lingua limata da un artefice, sono indorati e inargentati,
ma sono simulacri falsi e non possono parlare. Come si fa con una ragazza
vanitosa, prendono oro e acconciano corone sulla testa dei loro dei. Talvolta
anche i sacerdoti, togliendo ai loro dei oro e argento, lo spendono per sé,
dandone anche alle prostitute nei postriboli. Adornano poi con vesti, come si fa
con gli uomini, questi idoli d'argento, d'oro e di legno; ma essi non sono in
grado di salvarsi dalla ruggine e dai tarli. Sono avvolti in una veste purpurea,
ma bisogna pulire il loro volto per la polvere del tempio che si posa abbondante
su di essi. Come un governatore di una regione, il dio ha lo scettro, ma non
stermina colui che lo offende. Ha il pugnale e la scure nella destra, ma non
si libera dalla guerra e dai ladri. Per questo è evidente che non sono dei; non
temeteli, dunque!
Come un vaso di terra una volta rotto diventa inutile, così sono i loro dei, posti
nei templi. I loro occhi sono pieni della polvere sollevata dai piedi di coloro
che entrano. Come ad uno che abbia offeso un re si tiene bene sbarrato il
luogo dove è detenuto perché deve essere condotto a morte, così i sacerdoti
assicurano i templi con portoni, con serrature e con spranghe, perché non
vengano saccheggiati dai ladri. Accendono loro lumi, persino più numerosi che
per se stessi, ma gli dei non ne vedono alcuno. Sono come una delle travi del
tempio; il loro interno, come si dice, viene divorato e anch'essi senza
accorgersene sono divorati dagli insetti che strisciano dalla terra, insieme con le
loro vesti. Il loro volto si annerisce per il fumo del tempio. Sul loro corpo e sulla
testa si posano pipistrelli, rondini e altri uccelli e anche i gatti. Di qui potete
conoscere che non sono dei; non temeteli, dunque!
L'oro di cui sono adorni per bellezza non risplende se qualcuno non ne toglie la
patina; perfino quando venivano fusi, essi non se ne accorgevano. Furono
comprati a qualsiasi prezzo, essi che non hanno alito vitale. Senza piedi,
vengono portati a spalla, mostrando agli uomini la loro condizione vergognosa;
arrossiscono anche i loro fedeli perché, se cadono a terra, non si rialzano più.
Neanche se uno li colloca diritti si muoveranno da sé, né se si sono inclinati si
raddrizzeranno; si pongono offerte innanzi a loro come ai morti. I loro sacerdoti
vendono le loro vittime e ne traggono profitto; anche le mogli di costoro ne
pongono sotto sale una parte e non ne danno né ai poveri né ai bisognosi;
anche una donna in stato di impurità e la puerpera toccano le loro vittime.
Conoscendo dunque da questo che non sono dei, non temeteli!
Come infatti si potrebbero chiamare dei? Perfino le donne presentano
offerte a questi idoli d'argento, d'oro e di legno. Nei templi i sacerdoti
siedono con le vesti stracciate, la testa e le guance rasate, a capo scoperto.
Urlano alzando grida davanti ai loro dei, come fanno alcuni durante un
banchetto funebre. I sacerdoti si portan via le vesti degli dei e ne rivestono le
loro mogli e i loro bambini. Gli idoli non possono contraccambiare né il male né
il bene ricevuto da qualcuno; non possono né costituire né spodestare un re;
nemmeno possono dare ricchezze né soldi. Se qualcuno, fatto un voto, non lo
mantiene, non se ne curano. Non liberano un uomo dalla morte né sottraggono
240
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
il debole da un forte. Non rendono la vista a un cieco né liberano un uomo dalle
angosce. Non hanno pietà della vedova né beneficano l'orfano. Sono simili alle
pietre estratte dalla montagna quegli idoli di legno, indorati e argentati. I loro
fedeli saranno confusi. Come dunque si può ritenere e dichiarare che costoro
sono dei?
Inoltre, perfino gli stessi Caldei li disonorano; questi infatti quando trovano un
muto incapace di parlare lo presentano a Bel pregandolo di farlo parlare, quasi
che costui potesse sentire. Costoro, pur rendendosene conto, non sono capaci
di abbandonare gli idoli, perché non hanno senno. Le donne siedono per la
strada cinte di cordicelle e bruciano della crusca. Quando qualcuna di esse,
tratta in disparte da qualche passante, si è data a costui, schernisce la sua
vicina perché non fu stimata come lei e perché la sua cordicella non fu
spezzata. Quanto avviene attorno agli idoli è menzogna; dunque, come si
può credere e dichiarare che costoro sono dei?
Gli idoli sono lavoro di artigiani e di orefici; essi non diventano niente altro che
ciò che gli artigiani vogliono che siano. Coloro che li fabbricano non hanno vita
lunga; come potrebbero le cose da essi fabbricate essere dei? Essi lasciano ai
loro posteri menzogna e ignominia. Difatti, quando sopraggiungono la guerra e
le calamità, i sacerdoti si consigliano fra di loro sul come potranno nascondersi
insieme con i loro dei. Come dunque è possibile non comprendere che non
sono dei coloro che non possono salvare se stessi né dalla guerra né dai
mali?
Dopo tali fatti si riconoscerà che gli idoli di legno, indorati e argentati,
sono una menzogna; a tutte le genti e ai re sarà evidente che essi non sono
dei, ma lavoro delle mani d'uomo e che sono privi di ogni qualità divina. A chi
dunque non sarà evidente che non sono dei? Essi infatti non possono costituire
un re sul paese né concedere la pioggia agli uomini; non risolvono le contese,
né liberano l'oppresso, poiché non hanno alcun potere; sono come cornacchie
fra il cielo e la terra. Infatti, se il fuoco si attacca al tempio di questi dei di legno
o indorati o argentati, mentre i loro sacerdoti fuggiranno e si metteranno in
salvo, essi invece come travi bruceranno là in mezzo. A un re e ai nemici non
possono resistere. Come dunque si può ammettere e pensare che essi
siano dei?
Né dai ladri né dai briganti si salveranno questi idoli di legno, argentati e
indorati, ai quali i ladri con la violenza tolgono l'oro, l'argento e la veste che li
avvolge e poi fuggono tenendo la roba; essi non sono in grado di aiutare
neppure se stessi. Per questo vale meglio di questi dei bugiardi un re che
mostri coraggio oppure un arnese utile in casa, di cui si serve chi l'ha
acquistato; anche meglio di questi dei bugiardi è una porta, che tenga al sicuro
quanto è dentro la casa o perfino una colonna di legno in un palazzo. Il sole, la
luna, le stelle, essendo lucenti e destinati a servire a uno scopo obbediscono
volentieri. Così anche il lampo, quando appare, è ben visibile; anche il vento
spira su tutta la regione. Quando alle nubi è ordinato da Dio di percorrere tutta
la terra, eseguiscono l'ordine; il fuoco, inviato dall'alto per consumare monti e
boschi, eseguisce il comando. Gli idoli invece non assomigliano né per
l'aspetto né per la potenza a queste cose. Perciò non si deve ritenere né
241
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
dichiarare che siano dei, poiché non possono né rendere giustizia né
beneficare gli uomini. Conoscendo dunque che non sono dei, non
temeteli!
Essi non maledicono né benedicono i re; non mostrano alle genti segni nel
cielo, né risplendono come il sole, né illuminano come la luna. Le belve sono
migliori di loro, perché possono fuggire in un riparo e provvedere a se stesse.
Dunque, in nessuna maniera è chiaro per noi che essi sono dei; per questo non
temeteli! Come infatti uno spauracchio che in un cocomeraio nulla protegge, tali
sono i loro idoli di legno indorati e argentati; ancora, i loro idoli di legno indorati
e argentati si possono paragonare a un ramo nell'orto, su cui si posa ogni sorta
di uccelli, o anche a un cadavere gettato nelle tenebre. Dalla porpora e dal
bisso che si logorano su di loro saprete che non sono dei; infine saranno
divorati e nel paese saranno una vergogna. E` migliore un uomo giusto che
non abbia idoli, poiché sarà lontano dal disonore.
Si è riportato tutto il pensiero di Baruc (c. 6) perché è giusto possedere in
pienezza sulla questione del sacerdozio la mentalità di fede di tutto l’Antico
Testamento, differente da ogni altra mentalità religiosa del mondo circostante.
Dio, che ha stabilito la legge, può anche cambiarla e difatti la cambia con il
profeta Isaia, quando annunzia che anche tra i pagani si prenderà un giorno
sacerdoti e leviti.
Può cambiare la legge sul sacerdozio alla maniera di Aronne, non può
cambiare però la legge sul Sacerdozio del Suo Figlio Unigenito, il Suo Messia.
Non la può cambiare su due punti capitali: sulla Persona, sulla modalità:
-
La Persona è sacerdote in eterno (primo punto capitale).
-
La Persona è sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek (secondo
punto capitale).
In eterno Dio non può cambiare questi due punti. Non li può, perché lo ha
giurato: “Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre
alla maniera di Melchisedek”.
Il Signore ha giurato sulla sua divina essenza, sulla sua verità eterna, sulla sua
natura. Ha impegnato la sua verità.
Finché durerà la sua verità – questa è eterna – durerà anche il Sacerdozio di
Cristo Gesù alla maniera di Melchisedek.
Durerà perché la Sua Persona è eterna. Essendo eterna la Sua Persona, il Suo
Sacerdozio non tramonta, non passa, non viene dato ad altri.
Nel sacerdozio di Aronne c’è successione. In quello di Cristo no. Nessuno è
successore di Cristo. Il Papa è vicario di Cristo. I Vescovi sono vicari di
Cristo. I Sacerdoti partecipano del Suo Unico ed Eterno Sacerdozio, ma non
sono vicari, perché non sono costituiti nella pienezza del sacerdozio di Cristo.
Essi non sono né vicari, né successori.
Tutti agiscono in Persona Christi, perché Cristo è il solo, l’unico, il sommo ed
eterno sacerdote della Nuova Alleanza.
242
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Poiché non c’è successione nel Sacerdozio di Cristo e non c’è
separazione tra il Sacerdozio e Cristo, Persona e Sacerdote sono una cosa
sola, essendo Cristo Gesù nella sua natura umana Vero Uomo, non può
cambiare la vera umanità di Cristo nell’esercizio eterno del suo
sacerdozio. Questa vera umanità deve essere la stessa nel Cielo e sulla terra.
Nel Cielo essa è vera umanità maschile, anche sulla terra deve essere vera
umanità maschile.
Se fosse vera umanità, ma femminile, avremmo un cambiamento nella
“persona” di Cristo e questo porterebbe alla violazione del giuramento fatto da
Dio al suo Figlio Unigenito: “Tu sei sacerdote in eterno”. Poiché è nella
Persona di Cristo che il suo sacerdozio viene esercitato, la Persona di Cristo è
vera umanità maschile. Vera umanità maschile deve rimanere in eterno per
chiunque viene scelto per essere in Cristo, sacerdote in eterno alla maniera di
Melchisedek.
La stessa argomentazione vale anche per il pane e il vino. La Chiesa non può
cambiare la “materia” del sacramento (pane e vino), perché altrimenti
cambierebbe la “maniera”. La maniera, l’unica e la sola, è quella di
Melchisedek e questa maniera è nell’offerta del pane e del vino. Vero pane,
vero vino, vera umanità maschile: sono questi gli elementi eterni del
sacerdozio di Cristo.
Poiché Dio ha giurato e non si pente, il sacerdozio di Cristo rimane in eterno
in Cristo alla maniera di Melchisedek. Il giuramento impedisce che si possa
effettuare un qualche cambiamento, neanche il più piccolo ed insignificante.
Se nel Sacerdozio di Cristo si potesse appartare anche un mutamento di una
piccolissima parte, verrebbe a cadere il giuramento e ogni altro cambiamento
sarebbe possibile. Invece il giuramento obbliga in tutto e in ogni sua parte, in
eterno sarà così.
Anche in questo si dimostra la superiorità del sacerdozio di Cristo su quello di
Aronne. Quest’ultimo è tramontato con Cristo. Quello di Cristo rimane in eterno,
per sempre.
Se rimane per sempre, in eterno, significa che il suo esercizio può portare alla
salvezza tutti coloro che da esso si lasciano servire.
Questa è la grandissima verità da custodire gelosamente nel cuore: con il
sacerdozio di Cristo la perfezione è possibile, è reale, è raggiungibile, è
già data.
Esso non è né vano, né inutile. Esso è invece efficace, genera alla grazia e alla
verità, conduce verso una speranza eterna.
[22]Per questo, Gesù è diventato garante di un'alleanza migliore.
L’Alleanza migliore è la Nuova. Di questa Alleanza alcune cose sono state già
anticipate, tutto però sarà esposto nel prossimo capitolo (8), nel quale si parlerà
di “nuovo santuario e nuova alleanza”.
Ciò che a noi interessa esaminare e su cui fissare lo guardo, ora, è ciò che
l’Autore attesta su Gesù circa questa nuova alleanza, o alleanza migliore.
243
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Di questa alleanza migliore Gesù è il garante.
Il garante è colui che soddisfa per chi è incapace di soddisfare, assumendo e
facendo proprio il debito di colui per il quale ha garantito.
Gesù è stato costituito garante di questa alleanza migliore dal Padre suo, ma
anche Lui ha accettato, con volontà umana e divina, di prendere su di sé il
peccato del mondo.
Lui garantisce, espiando per noi, saldando per noi il debito, le cui condizioni ci
erano sfavorevoli, perché nell’impossibilità di poterlo soddisfare.
La garanzia di Cristo non è solo umana, è anche divina. Lui garantisce come
vero uomo e vero Dio, anche se paga per noi il debito subendo la passione e la
morte nella sua umanità, ma chi subisce la morte nella sua umanità, è la
Persona del Figlio di Dio, è Dio che muore per noi, in ragione della sua
Incarnazione e della “modalità” dell’unione di Dio con l’uomo, che per
incarnazione, nella quale Dio diviene uomo, si fa, non si unisce ad un uomo,
con una unione morale, o spirituale.
La sua è “unità” sostanziale che ci fa proclamare che l’uomo è Dio e Dio e
l’uomo, in ragione del fatto che una è la Persona, quella eterna del Verbo, due
invece sono le nature dell’unica ed eterna Persona, quella divina e quella
umana. Veramente uomo, veramente Dio nell’unità di una sola Persona.
Per questo mistero, che la Chiesa chiama unione ipostatica, cioè personale, o
nell’unità della Persona, non nella confusione delle nature o nel mutamento
dell’una nell’altra, o della trasformazione dell’una nell’altra, Gesù è garante in
eterno di quest’alleanza migliore.
Qui però si comincia ad entrare nel vero mistero di Cristo Gesù ed è in ragione
di questa sua “nuova essenza”, che è vero, sostanziale mutamento nella
Persona del Verbo – ciò che non era lo è divenuto e ciò che era non lo ha
perduto, per cui se si vuole parlare correttamente bisogna dire che Dio è Padre,
Verbo Incarnato e Spirito Santo – che si può e si deve parlare di garanzia
eterna.
La Persona eterna del Verbo, fattasi carne per noi, in ragione della sua eternità,
può garantire per sempre in nostro favore. Sempre la Persona eterna del
Verbo, in ragione della sua eternità, esercita in nostro favore il suo sacerdozio
eterno. Sempre la Persona eterna del Verbo, in ragione della sua umanità, può
offrire la sua vita al Padre per la nostra vita.
In Cristo Eterno, tutto diviene eterno, anche l’offerta della sua vita, tutto
acquisisce valore eterno, anche il suo sacerdozio. L’eternità è l’essenza di
Cristo e tutto in Lui si riveste di eternità: sacerdozio, offerta, garanzia,
modalità.
Se si manca di buone basi di verità cristologica, diviene impossibile
comprendere quanto l’autore sta affermando su Cristo Gesù. È questo anche il
motivo per cui tra comprensione della Scrittura, o interpretazione, e teologia vi
deve essere la più stretta connessione. La teologia deve illuminare la Scrittura,
la Scrittura a sua volta si deve sempre verificare la verità della Teologia.
Scrittura e Teologia devono sempre lasciarsi garantire nella Verità dal
244
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Magistero, posto da Cristo a fondamento per il discernimento della verità della
Scrittura e della Teologia.
Questa unità di Scrittura, Tradizione (e anche Teologia in quanto essa fa parte
della sana e retta tradizione) devono essere una cosa sola, se si vuole
pervenire alla comprensione della Rivelazione e del mistero che nella
Rivelazione è contenuto in ogni sua pagina.
Il sacerdozio di Cristo non può essere compreso se non a partire dalla verità
sulla sua Persona e sull’Unione Ipostatica. È in questa verità la sorgente di ogni
altra verità su Cristo, sul suo ministero, sulla sua missione, sulla stessa Chiesa.
[23]Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte
impediva loro di durare a lungo; [24]egli invece, poiché resta per sempre,
possiede un sacerdozio che non tramonta.
Questi due versetti (23 e 24) mettono dinanzi ai nostri occhi la differenza
sostanziale che esiste tra Aronne, i suoi discendenti e Cristo.
Ancora una volta appare chiaro, evidente, come sia la retta conoscenza che
l’Autore ha della Persona di Cristo a portarlo a discernere e ad affermare la
differenza, che non è solo accidentale, di forme, è sostanziale, perché
differenza sostanziale vi è nella persona.
Chi è differente è la persona. Cristo nella Persona è differente da Aronne e
questa differenza è la sua eternità.
Con Aronne è avvenuta la morte e questa lo ha privato del suo sacerdozio.
Con Cristo anche se la morte è avvenuta nella sua umanità – essendo questa
separazione della sua anima dal suo corpo, ma non separazione della Persona
dal corpo e dall’anima – essa non ha potuto intaccare la sua Persona divina,
nella sua divina essenza.
Altra verità è questa: la morte durò per lui solo il tempo di tre giorni. Dopo Lui è
risorto e vive nella sua perfezione di vita sia divina che umana, con il corpo
immortale, spirituale, incorruttibile, glorioso.
Essendo vivo presso il Padre, come vero uomo e vero Dio, egli è in grado di
esercitare nel Cielo il suo sacerdozio in nostro favore.
Il suo sacerdozio non tramonta in ragione della sua persona che non tramonta.
La sua persona non tramonta, perché rivestita di eternità. La sua Persona
eterna sussiste nella sua natura divina eterna e nella sua natura umana,
anch’essa rivestita di immortalità.
Eternamente la Persona divina vive nella natura divina eterna, nella natura
umana immortale, a motivo della risurrezione.
Per questo il suo sacerdozio non tramonta. Quello di Aronne è tramontato
perché la sua persona non vive più. Nel cielo c’è la sua anima, ma non il suo
corpo.
Il sacerdozio è della persona, non è dell’anima, non è del corpo, non è neanche
della natura umana di Cristo.
245
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Sacerdote è Cristo, è la sua Persona divina, anche se lo esercita attraverso la
sua umanità, perché è la sua umanità che egli offre al Padre, ma offrendo la
sua umanità, egli è tutto se stesso che offre. Si può offrire, perché vero uomo,
perché solo come vero e perfetto uomo, può sacrificarsi sulla croce per la
redenzione eterna dell’uomo.
Offrì il suo corpo, ma nel suo corpo è tutto se stesso che offre, in ragione del
mistero che si è compiuto in Lui il giorno della sua incarnazione.
Che ciò sia vero, lo attesta sia il Vangelo secondo Giovanni, che quello
secondo Luca:
“In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo
quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi
ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di
cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio
dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel
deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque
crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha
mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si
salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non
crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome
dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito
le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il
male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.
Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue
opere sono state fatte in Dio.
Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene
alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli
attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza;
chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero. Infatti colui
che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e da lo Spirito senza
misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede
nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita,
ma l'ira di Dio incombe su di lui” (cfr. Gv 3,11-21.31-36)
“Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea,
chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di
Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei,
disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te.
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale
saluto. L'angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso
Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà
grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di
Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo
regno non avrà fine.
246
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Allora Maria disse all'angelo: Come è possibile? Non conosco uomo. Le rispose
l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la
potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato
Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha
concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio. Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore,
avvenga di me quello che hai detto. E l'angelo partì da lei.
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta
una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena
Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo.
Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra
le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre
del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai
miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che
ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,26-45).
Ognuno avrà capito quanto sia indispensabile una sana, santa, vera cristologia
per comprendere cosa è il sacerdozio di Cristo e chi lo esercita e perché esso è
eterno e produce un frutto di salvezza eterna per ogni uomo.
La chiave di tutto risiede nel mistero dell’Incarnazione. Quanti non possiedono
secondo verità questo mistero, nulla possono comprendere di Dio, di Cristo,
della Redenzione, della Salvezza, della Chiesa.
Cristo Gesù è la chiave per la comprensione vera di Dio e dell’uomo. È chiave
vera se vera è la conoscenza che si ha di Lui.
Il Signore ci introduca con sempre più alta e profonda conoscenza in questo
mistero. Una cosa però penso sia già stata acquisita:
-
Chi ci è stato dato è il Figlio, non la sua umanità.
-
Chi ci salva è il Figlio, non la sua umanità.
-
Chi esercita il suo sacerdozio eterno è il Figlio, non la sua umanità.
-
Chi è in Cielo è il Figlio, non la sua umanità.
-
Chi muore in croce è il Figlio, non la sua umanità.
-
Il Figlio si incarna.
-
Il Figlio nasce.
-
Il Figlio opera miracoli e prodigi.
-
Il Figlio muore.
-
Il Figlio risuscita.
-
Il Figlio ascende al Cielo.
-
Il Figlio è sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek.
-
Il Figlio è il Redentore del mondo.
-
Il Figlio è il Messia di Dio.
247
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Il Figlio fa tutto questo nella sua natura umana, allo stesso modo che – la
similitudine è sbagliata nella sua essenza perché la Persona di Cristo non è
dall’unione della divinità con l’umanità, la Persona di Cristo è preesistente
all’incarnazione ed è nella Persona divina che avviene l’unione, perché è la
Persona che si incarna – l’anima opera tutto attraverso il corpo – ma la persona
umana è dall’unione di anima e di corpo. L’anima non è la persona, il corpo non
è la persona.
[25]Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si
accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.
Ministero del sacerdote era la grande intercessione a favore delle colpe e dei
peccati del popolo.
Faceva questo penetrando nel Santuario, attraversando la tenda, entrando alla
presenza del Dio altissimo per compiere l’espiazione delle colpe commesse.
L’espiazione otteneva il perdono e introduceva il peccatore pentito nella vera
salvezza di Dio.
Cristo Gesù è entrato nel santuario del cielo, vive nel cielo, è sempre dinanzi
alla maestà divina. Ma è vivo e presente dinanzi a Dio come sommo sacerdote
di una “alleanza migliore”, cioè della nuova ed eterna alleanza, che è stata
sigillata nel suo sangue e nell’offerta, o nel sacrificio della sua vita.
Essendo presente come vero, sommo sacerdote, egli può intercedere per tutti
quelli che si accostano a Dio.
Si accostano a Dio per mezzo di Lui, e per mezzo di Lui, per la sua
intercessione che è vera intercessione sacerdotale ottengono la salvezza
eterna, frutto del suo sacrificio e dell’oblazione monda che Lui ha offerto al
Padre suo.
Quello esercitato da Cristo Gesù nel cielo è vero culto reso al Padre, vero atto
sacerdotale, quindi vero esercizio attivo – non passivo – del suo sacerdozio.
È vero culto attivo – e non solamente passivo – in ragione dell’ufficio stesso del
sacerdote che consisteva non solo nell’offerta del sacrificio, ma anche nella
preghiera di intercessione, oltre che nell’insegnamento della legge.
Quella di Cristo è vera preghiera sacerdotale. Vero atto del suo sacerdozio. La
sua preghiera attinge però valore di potente intercessione nel dono che egli ha
fatto della sua vita al Padre e che è dinanzi al Padre come vero memoriale.
La morte sacrificale di Gesù sulla croce è perennemente dinanzi agli occhi del
Padre. È l’atto perfetto dell’amore che è stato offerto alla sua divina maestà in
segno di obbedienza, di adorazione, di glorificazione.
Questa morte, questo dono, questo sacrificio, questa offerta dona valore e
consistenza, merito alla preghiera di intercessione di Cristo.
Per cui il memoriale della morte di Cristo è esercizio passivo nel Cielo del suo
sacerdozio vissuto interamente e in ogni sua ministerialità sulla terra, la
preghiera di intercessione è vero esercizio attivo, perché oggi Gesù presenta la
sua preghiera al Padre in favore dell’uomo che si accosta al trono della grazia
per implorare il perdono dei peccati e la giustificazione delle sue colpe.
248
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Nel cielo vi è come una “ripetizione eterna”, attiva però, non passiva, di quella
preghiera che Gesù fece sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno
quello che fanno”. “Padre, perdona loro; dona loro il Tuo Santo Spirito,
perché ti vogliono amare. Non hanno la forza e per questo non vi
riescono. Tu li ricolmi del tuo Santo Spirito, li trasformi nella loro natura e
loro inizieranno ad amarti come io ti amo.”
Essendo il Sacerdote uno, uno è anche il Sacerdozio, poiché Cristo non ha
successori, Cristo dal Cielo esercita il suo Sacerdozio attivo anche sulla terra,
attraverso il Sacerdozio ministeriale, di quanti sono stati costituiti in Lui, per Lui,
con Lui, Sacerdoti della Nuova ed Eterna Alleanza.
Questo sacerdozio però opera efficacemente quanto al dono di grazia solo nella
celebrazione dei sacramenti.
Le altre ministerialità di quest’unico sacerdozio – quelle cioè dell’insegnamento
e della intercessione – fuori della celebrazione dei sacramenti, operano nella
conformazione spirituale a Cristo e questa si ottiene nella santità del ministro.
Poiché il Sacerdozio di Cristo deve essere esercitato perfettamente sia
nell’offerta, che nell’insegnamento e nella intercessione, oltre la configurazione
sacramentale, occorre che ci sia con Cristo l’altra configurazione, quella nella
perfetta santità.
Se questa configurazione non si ottiene, Cristo non può esercitare alla
perfezione il suo sacerdozio per noi. Noi priviamo Cristo Gesù dell’uso santo e
retto del suo sacerdozio.
Ora senza l’uso santo, retto, giusto del Sacerdozio di Cristo nessuna salvezza
sarà mai possibile. Ogni salvezza è per il suo sacerdozio, sacerdozio che egli
vive nel cielo e sacerdozio che egli esercita sulla terra tramite coloro che Lui ha
associati al suo eterno sacerdozio.
Si manifesta ancora una volta in tutta la sua evidenza come la cristologia è
fondamento di ogni verità, anche della verità sacramentale e in modo
particolare della verità pastorale.
Cosa è la pastorale se non la continuazione del sacerdozio di Cristo Gesù sulla
terra? L’esercizio di questo sacerdozio per operare salvezza deve essere
perfetto in ogni sua ministerialità: sacrificio, santificazione, insegnamento.
Questo sacerdozio perfetto e completo Cristo non lo può esercitare se manca la
conformazione a Lui nella vita e nella morte, se cioè il sacerdote ministeriale
non compie nel suo corpo, nella sua vita, la stessa offerta che Cristo ha fatto al
Padre: il dono di tutto se stesso come glorificazione, testimonianza, esaltazione,
attestazione della Signoria di Dio.
È in questo dono totale di vita per il compimento perfetto della volontà del Padre
che Cristo può vivere oggi il sacerdozio sulla terra e rendere così perfetto il suo
sacerdozio celeste.
Quando sacerdozio della terra e sacerdozio del cielo di Cristo Signore sono
perfetti, perfettamente oblazione e olocausto della vita dei ministri al Padre,
249
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
nasce salvezza nel mondo, si vive secondo verità l’alleanza nuova ed eterna
che Cristo ha stipulato nel suo sangue presso il Padre.
Il sangue di Cristo deve essere associato al sangue di chiunque ha accolto di
essere sacerdote in Cristo, alla maniera di Melchisedek, perché vi sia oggi sulla
terra remissione dei peccati, giustificazione, santità.
Sacerdozio della terra, sacerdozio del cielo: un unico sacerdozio.
Sacerdozio di Cristo, sacerdozio ministeriale: un unico sacerdozio.
Cristo e il sacerdote ministeriale: un solo Sacerdote Cristo Gesù che opera
ed agisce attraverso il suo ministro.
PERPETUITÀ DEL SACERDOZIO DI CRISTO
[26]Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente,
senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli;
Ora l’Autore ci dice chi è in verità Cristo Gesù. Finora si è limitato a parlarci del
suo sacerdozio eterno alla maniera di Melchisedek.
Ora è il momento di presentarci la persona del sacerdote.
La prima verità che afferma è questa: ciò che lui sta per dire sono le qualità del
vero sacerdote. Dicendo questo, dice che quanti erano stati sacerdoti fino al
presente, non erano “veri” sacerdoti. Trattasi di verità “ontologica”, non di
verità “ministeriale”.
Quanto al ministero che esercitavano era “vero”, “vera” secondo la perfezione
ontologica richiesta non era però la persona. “Vero” per potenza di efficacia di
grazia e di santificazione non era il culto da essi esercitato. È questo il motivo
per cui l’autore dice: “tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva”.
Quale sommo sacerdote ci occorreva? L’Autore ci offre le qualità morali e
anche ontologiche che deve possedere il sommo sacerdote della Nuova ed
Eterna Alleanza.
Esse necessitano di essere esaminate una per una, perché sono qualità morali
ed ontologiche che devono esistere anche nel sacerdozio ministeriale, essendo
richiesta la perfetta corrispondenza tra il Sacerdozio di Cristo Gesù e l’altro
sacerdozio, quello ministeriale.
Santo: La santità di Cristo non è solamente morale, cioè pieno compimento
della volontà del Padre. Questa santità è il frutto dell’altra santità, quella
ontologica che è piena e perfetta partecipazione della natura divina.
Cristo Gesù è Dio nella Persona e nella natura divina. È vero uomo nella sua
natura umana, legata indissolubilmente alla Persona divina, in quanto è la
Persona divina che si è fatta carne, che è divenuta uomo.
La natura umana è resa partecipe della natura divina in modo eccelso, il più alto
modo possibile e questa partecipazione dalla teologia è anche chiamata grazia
di unione. La natura umana è “parte” della Persona, che è preesistente alla
250
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
stessa Incarnazione – è infatti la Persona preesistente che si incarna – è in
quanto parte, partecipa in un modo eccellente della natura divina.
Questa santità di grazia, di verità, di nuova essenza è trasformata tutta in
santificazione, attraverso una crescita costante in sapienza e grazia che
caratterizza tutta la vita di Gesù Signore.
Santo per natura, santo per vocazione, santo per obbedienza. In Cristo non
conosciamo neanche un piccolissimo peccato veniale. Lui è stato sempre e
tutto del Padre, in ogni momento, in ogni cosa, in ogni circostanza, da sempre e
per sempre egli è tutto del Padre, sia nella sua Persona divina che nella sua
Persona divina incarnata.
Innocente: L’innocenza di Cristo è l’assenza in Lui di ogni peccato veniale. Mai
Gesù ha conosciuto la colpa né in parole, né in opere, né in pensieri, né in
omissioni. Egli è rimasto sempre nella più pura e più perfetta obbedienza al
Padre suo.
Anche la sua innocenza, prima che morale, è ontologica. È concepimento
senza peccato originale, è pienezza di grazia fin dal primo istante del suo
esistere come vero uomo. Veramente Gesù non ha conosciuto il peccato, mai,
di nessun genere, in nessun modo.
Senza macchia: L’impeccabilità di Cristo non è per dono di natura, o
semplicemente perché partecipava della grazia di unione ed era reso fin da
sempre partecipe della divina natura.
Dai Vangeli sappiamo che anche Lui veniva tentato, che superò ogni genere di
tentazione, che mai si lasciò condizionare dalle astuzie di satana, che portò il
suo corpo sulla croce per non peccare di menzogna dinanzi a Pilato e ai Sommi
Sacerdoti, per non dire dinanzi a loro neanche una parola che non fosse la più
pura e assoluta verità.
Cristo Gesù è senza macchia per volontà, perché si oppose a satana,
vincendolo, svelando la sua tentazione, rifiutandosi sempre di prestare ascolto
alla sua seduzione e al suo inganno.
Anche in questo caso l’impeccabilità di Cristo è duplice: per natura e per
volontà. L’impeccabilità per volontà rende stabile in eterno l’impeccabilità di
natura.
Separato dai peccatori: La separazione dai peccatori non è né di giudizio, né
di condanna, né di allontanamento fisico. Lui si separa dai peccatori perché si
separa dal loro peccato, non lo conosce, non lo vuole conoscere.
In tal senso egli è separato, perché mai è entrato in comunione di peccato con
un peccatore. È la sua santità che lo separa dai peccatori. Santità e peccato si
separano vicendevolmente. Dove c’è la santità non può esistere il peccato e
dove c’è il peccato non esiste la santità.
Quella di Cristo non è però separazione fisica, alla maniera di quella dei farisei.
Cristo Gesù frequenta i peccatori, ma per attrarli nella sua verità e nella sua
grazia, per insegnare loro come si vince il peccato e come si entra nella verità
di Dio. Li frequenta per separarli dal peccato, per attrarli nel Vangelo.
251
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Elevato sopra i cieli: L’elevazione sopra i cieli, anche questa, non è solamente
morale, come può avvenire con i santi, la cui anima e il cui pensiero spesso è
nel cielo.
L’elevazione sopra i cieli è “fisica”, del corpo ed è perenne. Cristo Gesù grazie
al suo sangue versato è entrato una volta per tutte nella tenda del cielo, è
presso Dio, è fisicamente presso Dio, perché la sua natura fisica, corporea,
anche se trasformata interamente in spirito è presso Dio. Presso Dio, più che
Aronne nella tenda del convegno, vive il suo sacerdozio per noi, per la nostra
redenzione eterna.
[27]egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di
offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo,
poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso.
Ancora un’altra differenza tra il sacerdozio alla maniera di Cristo e quello alla
maniera di Aronne.
I sommi sacerdoti dell’Antica Alleanza ogni giorno offrivano sacrifici prima per
se stessi, per le loro colpe e poi per le colpe di tutto il popolo.
Prima si purificavano e poi purificavano gli altri, tutto il popolo e questa ritualità
la esercitavano ogni giorno.
Cristo Gesù non ha bisogno si offrire sacrifici per se stesso, invece offre se
stesso in sacrificio e questo lo fa una volta per sempre, per tutte.
Un unico sacrificio, fatto una volta per tutte, offrendo se stesso per la
remissione dei peccati, per la Nuova ed Eterna Alleanza: questa l’unicità e la
specificità, l’essenza vera del sacrificio di Cristo.
Un solo sacrificio, una sola espiazione, una sola redenzione: nell’offerta che
Cristo ha fatto di se stesso al padre una volta per tutte è contenuta la salvezza
del mondo intero. Tutta l’umanità da Adamo all’ultimo uomo che verrà sulla
terra sarà salvato, se lo vuole, grazie solamente a quest’unico sacrificio di
Cristo Gesù, grazie al suo sangue versato e al suo corpo spezzato per la
remissione dei peccati e per la stipula della Nuova Alleanza nel suo sangue.
È giusto chiedersi cosa dona tanta efficacia al sacrificio di Cristo e la risposta
non può essere che una sola:
L’efficacia viene dalla Persona. La Persona che si offre è Dio. È Dio che sulla
croce si offre, perché chi è crocifissa è la Persona Divina, è Dio che pende dalla
croce, anche se pende nel suo corpo nato dalla Vergine Maria. Dio si offre
offrendo a Dio il suo corpo, la sua vita, versando il suo sangue, corpo e sangue
che sono della sua Persona divina, anche se parti della sua natura umana.
Per la salvezza non c’è più bisogno di nessun altro sacrificio. Per la
santificazione della persona e del mondo intero è necessario ed è richiesto
invece il sacrificio di ogni singolo cristiano.
[28]La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all'umana
debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce
il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.
Ancora sulla differenza del sacerdozio di questo da quello dell’Antica Legge.
252
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Con Aronne, i sacerdoti erano uomini nati dalla carne di Adamo, carne di
peccato, tendente al peccato, avvolta di fragilità e debolezza.
Questo è lo stato spirituale dell’umanità. Questa debolezza e fragilità è per ogni
uomo. Lo confessa Davide nell’Antico Testamento, lo afferma Paolo nel Nuovo.
Di Davide si è già parlato quando si è riportato il Salmo 50, nel quale è detto
espressamente: “Nel peccato mi ha concepito mia madre”. Il Peccato è
quello originale, che causa come una malattia nella nostra natura umana, una
“umana fragilità”. Tutto l’uomo è avvolto da questa umana fragilità: nell’anima,
nello spirito, nel corpo.
La stessa cosa dice Paolo, indicando però la via della perfetta guarigione, che è
data grazie allo Spirito di Cristo Gesù. Ascoltiamo nella sua argomentazione
riportata al c. 7 della Lettera ai Romani:
“O forse ignorate, fratelli parlo a gente esperta di legge che la legge ha potere
sull'uomo solo per il tempo in cui egli vive? La donna sposata, infatti, è legata
dalla legge al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è libera dalla legge
che la lega al marito. Essa sarà dunque chiamata adultera se, mentre vive il
marito, passa a un altro uomo, ma se il marito muore, essa è libera dalla legge
e non è più adultera se passa a un altro uomo. Alla stessa maniera, fratelli
miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte
quanto alla legge, per appartenere ad un altro, cioè a colui che fu
risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio.
Quando infatti eravamo nella carne, le passioni peccaminose, stimolate
dalla legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per
la morte. Ora però siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che
ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel
regime vecchio della lettera. Che diremo dunque? Che la legge è peccato?
No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né
avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non
desiderare.
Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in
me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto e io un tempo
vivevo senza la legge. Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha
preso vita e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta
per me motivo di morte. Il peccato infatti, prendendo occasione dal
comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Così la
legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è
allora diventato morte per me? No davvero! E` invece il peccato: esso per
rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il
peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.
Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto
come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio:
infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio
quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più
io a farlo, ma il peccato che abita in me.
253
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il
desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il
bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non
voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è
accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie
membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi
rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno
sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese
grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la
mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.
È questa l’umana fragilità, sorta in noi dopo il primo peccato. Da questa fragilità
ci libera il Signore, per mezzo del Suo Santo Spirito che ci dona in Cristo Gesù.
Questa umana fragilità non consente di portare nessuna cosa alla perfezione.
L’uomo imperfetto non può fare cose perfette. La natura fragile non può offrire
al Signore un sacrificio senza macchia, puro, santo.
Dio, nella sua infinita ed eterna misericordia ha pensato fin da sempre come
portare a compimento di perfezione ogni cosa: manda nella nostra carne il suo
Figlio Unigenito, mandandolo però in una carne santa, pura, senza macchia,
innocente.
Il sacerdozio alla maniera di Aronne era solo una figura, non la realtà del vero
sacerdozio.
La realtà del vero sacerdozio è Cristo, sommo sacerdote dei beni eterni, di
un’alleanza migliore, promesso con giuramento da Dio, non simile ad Aronne,
ma alla maniera di Melchisedek, investendolo di un sacerdozio eterno.
Questa investitura è posteriore alla Legge, data con Mosè. Essa è per
giuramento, quindi irrevocabile in eterno.
Questa parola del giuramento costituisce il Figlio vero Sacerdote. Alla verità del
suo Sacerdozio, alla sua eternità, si aggiunge anche la perfezione.
Il Sacerdozio di Cristo è vero, eterno, perfetto. È vero, eterno e perfetto non
perché è un sacerdozio nuovo, ma perché nuova è la Persona che è investita di
tanto sacerdozio.
La Persona è il Figlio di Dio, il Suo Figlio unigenito, quello che Dio stesso ha
generato nell’eternità e che nel tempo si è fatto carne nel seno della Vergine
Maria.
Il Suo Sacerdozio è eterno perché Lui è eterno, immortale.
È vero sacerdozio perché l’offerta che Lui offre è se stesso nella sua verità di
santità e di obbedienza.
È perfetto perché donandosi tutto al Padre nella sua umanità e nella sua
divinità, niente più deve essere donato. Tutto è stato dato, perché sulla croce è
tutta la persona che si dona e la Persona è il Figlio di Dio, è Dio.
È un’eternità divina ed umana insieme.
254
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
È una verità divina ed umana insieme.
È una perfezione divina ed umana insieme.
Nulla più si deve aggiungere. Tutto è compiuto, tutto è offerto, tutto è dato, tutto
è consegnato, tutto è sacrificato.
Vero olocausto, vera consumazione, perfetto dono, perfetto sacrificio, perché
offerto nella santità di Dio e dell’uomo insieme.
È differenza sostanziale – la sostanza è ontologica, non soltanto di perfezione
morale, perché è sostanza di Dio – tra il sacerdozio di Cristo e quello vissuto da
Aronne.
Al di là di tutto: quello di Aronne era anche fuori di lui. Quello di Cristo è tutto in
Lui. Niente è fuori di Cristo in Cristo. Tutto è fuori di Aronne in Aronne e anche
questa è differenza sostanziale.
Aronne offre un animale. Cristo offre se stesso, vero sacrificio, vera offerta, vera
consumazione in onore e per la gloria del Padre suo.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Melchisedek: re, sacerdote, offre pane e vino. Gesù è sacerdote in eterno
alla maniera di Melchisedek. Melchisedek è re e sacerdote insieme. Questa
è la prima differenza con il sacerdozio alla maniera di Aronne. Aronne era
solo sacerdote. Melchisedek offre al Dio Altissimo pane e vino, non offre
un sacrificio animale, non versa sull’altare sangue di tori e di vitelli.
Aronne entrava nel santuario per compiere il rito dell’espiazione dei peccati con
il sangue di tori e di vitelli. Gesù invece non entra nel santuario con nessun
animale e non entra in nessun santuario della terra. Lui offre a Dio il pane
che è se stesso ed anche il vino che è la sua vita. Il pane e il vino diventano suo
Corpo e suo Sangue e vengono offerti a Dio da quanti sono fatti partecipi del
suo sacerdozio. Gesù entra nel santuario del cielo una volta per sempre, entra
con il proprio sangue. Per questo motivo il sacerdozio di Cristo è simile
nella forma a quello di Melchisedek, ma è tanto dissimile nella sostanza.
Quello è solo figura. La verità è tutta nel sacerdozio di Cristo Gesù.
Melchisedek benedice Abramo. Benedicendo Abramo, Melchisedek benedice
tutto il popolo di Dio. Benedice anche Aronne e il suo sacerdozio. Questo deve
significare una cosa sola: la superiorità di Melchisedek nei riguardi di
Abramo. Essendo il sacerdozio di Cristo alla maniera di quello di
Melchisedek, se ne deduce che Cristo sacerdote è superiore ad Aronne e
al suo sacerdozio. È il sacerdozio di Aronne che deve passare al
sacerdozio di Cristo, non quello di Cristo a quello di Aronne. Quello di
Cristo è vero sacerdozio. Aronne finisce di essere figura di ogni sacerdozio,
perché figura, essenza, sostanza, verità ora è solo Gesù Signore.
Re di giustizia. Re di pace. Melchisedek porta un nome che significa: “re di
giustizia”, “re di pace”. Cristo Gesù è anche Lui Re di giustizia e di pace. È
Re che crea la pace. È Re come Autore. È l’Autore della pace, della
255
Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
giustizia, perché lui è la pace e la giustizia di Dio sulla nostra terra. Chi
vuole possedere la pace, chi vuole divenire giusto lo può solo in Lui, con Lui,
per Lui. La crea per l’esercizio del suo sacerdozio eterno.
Melchisedek è come un’apparizione. Melchisedek appare e poi scompare. Di
Lui niente altro si sa, se non ciò che è raccontato nella Genesi e in
quell’incontro fugace con Abramo. Cristo invece è sacerdote eterno. Lui non
scompare, non sparisce. Lui è nel cielo. Il suo sacerdozio è eterno a
motivo dell’eternità della sua Persona, che è in se stessa Dio. Il suo è
l’unico e il solo sacerdozio, perché Lui è il solo e l’unico vero sacerdote dinanzi
al Padre suo.
La decima alla luce della fede. La decima vero atto di culto. La decima
relazione di subordinazione all’interno della libertà acquisita. L’Autore della
Lettera agli Ebrei coglie ogni elemento utile a dimostrare la superiorità di
Melchisedek nei confronti di Abramo. Ciò gli serve per attestare la
superiorità del Sacerdozio di Cristo nei confronti del Sacerdozio di
Aronne. Abramo dona la decima a Melchisedek. Con questo gesto indica
dipendenza, sudditanza, manifesta la sua volontà di sottomissione a lui, lo
riconosce semplicemente superiore a lui. Questo è il significato della
decima. All’interno del popolo di Dio il pagamento della decima era segno di
fede e di culto. Si riconosceva Dio Signore, Liberatore, Autore di ogni cosa.
Ognuno si sottometteva a Lui offrendogli la decima di ogni cosa, di ogni bene.
Abramo riconosce Melchisedek superiore a Lui e gli offre la decima in
segno di sottomissione. Sottomettendosi a Melchisedek è tutto il popolo
di Dio che sottomette. Anche Aronne è sottomesso a Melchisedek e di
conseguenza è sottomesso a Cristo, il cui sacerdozio è alla maniera di
Melchisedek.
Una sola è la fede: in ogni Parola di Dio. Non ci sono due fede, una prima di
Cristo e una dopo Cristo, una con Lui e una senza di Lui. La fede è una sola,
perché una sola è la Parola di Dio. La fede è nella Parola di Dio e in ogni
Parola che Dio ha fatto risuonare, fa e farà risuonare sulla nostra terra.
Non ci sono due tipi di fede: una fede nella Parola pubblica di Dio e una fede
nella Parola privata di Dio. La Parola di Dio è una, perché uno è il Dio che
parla. Non c’è cambio di verità tra la Parola pubblica e la Parola privata.
Uno è Dio, una è la verità, una è la Parola, una deve essere la fede. Se non
partiamo dall’unità e dall’unicità del Dio che parla creeremo confusioni in ordine
alla fede e alla verità. La Parola di Dio prima di Cristo guarda verso Cristo
che doveva venire. La Parola di Dio con Cristo e dopo Cristo ci parla di
Cristo che è venuto. Una sola verità è il contenuto della Parola di Dio: Cristo
Gesù nostro Signore.
Melchisedek immortale riceve la decima da uomini mortali: questa è
superiorità. Ancora un’altra differenza tra il Sacerdozio di Melchisedek e quello
di Aronne. Melchisedek è detto dalla Scrittura “Sacerdote in eterno”. Aronne
non è sacerdote in eterno. È sacerdote fino al momento della morte.
Melchisedek è superiore ad Aronne anche a motivo della sua immortalità,
del suo sacerdozio che non tramonta. Anche Cristo – lo si è già considerato –
esercita il suo Sacerdozio eterno a motivo della sua Persona che è eterna.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Benedire il popolo nel nome del Signore. Una delle ministerialità del
sacerdozio è quella di benedire il popolo nel nome del Signore. Melchisedek
benedice Abramo. Benedicendo Abramo, benedice anche Aronne che era stato
preposto da Dio a benedire il suo popolo. Anche per questa via l’Autore
dimostra che Melchisedek è superiore a tutto il popolo di Dio e quindi
anche Cristo è superiore a tutto il popolo del Signore a motivo della
benedizione con la quale egli, come vero sacerdote, benedice il popolo
del Signore. Lui benedice l’uomo, dall’uomo non può essere benedetto nel
nome del Signore, perché è sempre il superiore che benedice l’inferiore.
Tutto è nella semplicità. L’Autore della Lettera agli Ebrei con argomenti così
semplici, perché semplici sono gli elementi che sono in suo possesso, dimostra
la realtà e la verità delle cose, di ogni cosa. La sua metodologia va dal semplice
al complesso. Lui ci insegna che alla verità si perviene attraverso le vie
della semplicità. Tuttavia questa metodologia la può seguire chi ha il
cuore semplice, puro, libero. Ma anche la può accogliere chi ha il cuore
semplice, libero, puro, amante della verità, autentico ricercatore di essa. Il
puro di cuore vede Dio ovunque Dio è. Dio è nella sua Parola e solo chi è
puro di cuore lo può scorgere. Chi non è puro nel cuore, mai potrà vedere
Dio dove Dio è. Chi non vede Dio là dove Dio è, è segno che il suo cuore non
è puro, non è santo, non è giusto, non cerca il Signore con semplicità e
purezza.
La legge del cambiamento: dall’imperfezione alla perfezione. Il cammino di
Dio con l’uomo è uno solo: dall’imperfezione alla perfezione, dal poco al tutto,
dall’inizio della salvezza al suo pieno compimento, ma anche dalla terra al cielo.
Chi vuole camminare con Dio, sappia che deve avanzare sempre nella
verità, nella carità, nella speranza, in un crescendo sempre più grande, ma
anche sempre più puro, più santo. Chi si ferma alla Parola di ieri, sappia
che Dio oggi parla per condurre l’uomo verso la verità tutta intera. Anche
nella verità c’è un cammino dall’imperfezione alla perfezione, da una
conoscenza semplice alla conoscenza complessa.
Il nuovo di Dio. Tutto sarà nuovo. C’è un nuovo di Dio che quotidianamente
si apre dinanzi ai nostri occhi e questo nuovo ognuno è chiamato ad accogliere.
Nessuno si deve chiudere ad esso. Tutto sarà nuovo per chi si apre al nuovo
che Dio gli prepara di giorno in giorno. Tutto invece rimane vecchio per chi si
chiude al nuovo di Dio, lo rifiuta, lo combatte, si oppone ad esso.
Il mutamento della legge. Il mutamento della legge del Sacerdozio – da
Aronne a Cristo – indica che c’è un cambiamento di perfezione. Si passa da
una perfezione morale ad una sostanziale, di natura, ontica, che investe
tutto l’essere dell’uomo. Passando da Aronne a Cristo tutto il culto
cambia, perché cambia l’essenza stessa del culto, che viene portato nella
pienezza della sua verità. Cosa è il culto se non il dono di se stessi a Dio?
Questo culto deve essere vissuto nella sostanza stessa dell’uomo che deve
darsi a Dio e non più nella figura o nell’immagine di un animale che viene
immolato.
È Messia perché Sacerdote. Il messianismo di Cristo non è nell’ordine della
regalità, ma nell’ordine del suo sacerdozio. È Messia in quanto vero
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
sacerdote della Nuova Alleanza. È vero Messia, perché in quanto vero
Sacerdote, libera il popolo dai suoi peccati e lo conduce nella vera libertà,
nella vera pace, nella vera giustizia di Dio. È questa la vera essenza del
Messianismo di Cristo Gesù. Ogni altra concezione non è la sua verità.
Per la potenza di una vita indefettibile. Sacerdozio rivestito di debolezza e
inutilità. Viene qui manifestata la differenza sostanziale tra Cristo e Aronne.
Cristo Gesù agisce dalla potenza e forza della sua divinità, ma anche dalla
potenza e forza della sua santità. Quella di Cristo è pienezza di verità, di
santità, di giustizia, di obbedienza, di umiltà, di mitezza, di ogni altra virtù.
Dalla potenza di questa santità Egli agisce per la nostra santificazione.
Aronne invece vive un sacerdozio rivestito di debolezza e di inutilità. È debole
perché egli deve offrire prima di tutto per se stesso, per essere liberato dai suoi
peccati. È inutile perché non opera alcuna redenzione eterna. C’è infatti
bisogno di ripetere continuamente l’offerta. Cristo Gesù invece si offre una
volta per tutte e ogni peccato viene cancellato. Questa è la potenza della
sua vita indefettibile. Per questa potenza di santità egli santifica il mondo intero.
Dio cammina con l’uomo storico. Il tempo è condizione essenziale
dell’uomo. Pastorale e tempo. Uomo storico. Uomo metafisico. L’uomo
storico è l’uomo deformato dal suo peccato, frantumato nella sua vera essenza,
trasformato dalla sua colpa, immerso in una mentalità che lo conduce verso la
morte e mai verso la vita. Dio cammina con quest’uomo. Quest’uomo prende
per mano e lo conduce dall’imperfezione alla perfezione, dalla falsità alla
verità, dal non ascolto all’ascolto, dalla non fede alla fede, dal non amore
all’amore, dalla non speranza alla speranza, dal vizio alla santità, dalla
morte alla vita, dalla terra al cielo, dalla solitudine alla comunione,
dall’essere contro l’uomo al vivere per gli altri, a consumarsi per i fratelli.
Tutto questo lavoro necessita tempo, lungo tempo, fatto di anni, di secoli. Il
cammino di Dio con l’uomo è un cammino secolare, mai finito, sempre
all’inizio, sempre come al primo giorno. Dio è il più grande maestro di
Pastorale, è il Maestro della Pastorale efficace perché Lui cammina senza
tempo con un uomo tutto immerso nel tempo. Ogni pastorale è senza tempo
e chi è schiavo del tempo nella pastorale, non può agire secondo verità. Chi
vuole camminare con Dio sappia che deve sempre trascendere la sua
condizione storica ed ogni suo condizionamento, frutto in lui della storia.
La legge non è strumento di perfezione. Cosa è e chi è “strumento” di
perfezione? Nella trasformazione della natura. Strumento di perfezione
per nuova creazione. La legge antica non è strumento di perfezione perché
essa lasciava l’uomo nella sua vecchia natura. Chi invece ci introduce nella
perfezione è il sacerdozio di Cristo Gesù. Grazie all’offerta del suo corpo e
del suo sangue, per la grazia frutto di questo sacrificio, Dio ci rende
partecipi della divina natura, opera in noi una nuova creazione. È questa
nuova creazione la vera perfezione dell’uomo e questa si ottiene solo per via
sacramentale, non per via esteriore. Essa è opera dello Spirito di Cristo che si
posa sopra di noi e ci fa nuove creature in Cristo, per Cristo, con Cristo. Anche
questa è differenza sostanziale tra il sacerdozio di Aronne che lascia l’uomo
nella sua vecchia natura e il Sacerdozio di Cristo che eleva l’uomo, lo rinnova
ontologicamente, lo cambia dentro e fuori, perché semplicemente lo rende
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
partecipe della divina natura. È come se l’uomo venisse immerso nella
divina natura per essere totalmente divinizzato, alla stessa maniera che il
ferro viene immesso nel fuoco per trasformarsi, divenire fuoco, senza però
perdere la sua essenza di ferro.
Chi deve introdurre nella speranza migliore è Dio. La speranza migliore alla
quale siamo chiamati è la vita eterna nel Cielo, con Dio, nel suo Paradiso. Chi
deve introdurci in questa speranza migliore – migliore della speranza antica
che era solo il possesso di una terra – è Dio, secondo la nuova via che è
Cristo Gesù. Di questa speranza migliore Cristo Gesù non solo è via, è anche
verità e vita. Tutto è Cristo per questa speranza migliore e tutto si compie in Lui,
non fuori di Lui.
Avvicinamento a Dio per cambiamento di natura. Avvicinamento a Dio per
partecipazione della natura divina. L’antropologia del Nuovo Testamento
sostanzialmente diversa da quella dell’Antico testamento. La nostra
vocazione è quella di accostarci, di avvicinarci al Signore. Nell’Antico
Testamento l’avvicinamento avveniva per volontà. Si accoglieva la volontà
di Dio manifestata ed espressa nei comandamenti e si diveniva amici di Dio.
L’uomo però rimaneva ancora nella sua vecchia natura. Niente era trasformato
in Lui. Nel Nuovo Testamento l’avvicinamento a Dio non è solo per
volontà, è anche e soprattutto per natura, nella quale anche la volontà
viene trasformata, assieme al cuore, al corpo, all’anima. Nel Nuovo
Testamento l’avvicinamento è per partecipazione della divina natura che
cambia tutto il nostro essere. Lo cambia sostanzialmente, non solo
accidentalmente, o perifericamente. Tutto cambia nell’uomo che diviene
partecipe della divina natura, perché la sua sostanza di uomo viene
sostanzialmente, ontologicamente cambiata, modificata, trasformata.
Questo ci fa dire che c’è una differenza sostanziale tra l’antropologia dell’Antico
Testamento e quella del Nuovo. Quella del Nuovo è antropologia perfetta. È
perfetta perché siamo inseriti in Cristo che è l’Uomo perfetto. Siamo fatti ad
immagine di Cristo, ma in Cristo, siamo conformati a Lui nell’essenza, nella
sostanza, nella natura. Questa verità ce ne deve insegnare un’altra: non
esiste antropologia valida che non sia o non divenga antropologia
cristica. Ogni antropologia che non conduce a Cristo lascia l’uomo nella sua
vecchia natura.
Il sacerdozio eterno di Cristo. Alla maniera di Melchisedek. Vera umanità
maschile. Nel sacerdozio di Cristo non c’è successione. Non c’è
separazione tra il sacerdozio e Cristo. Il sacerdozio di Cristo è eterno in
ragione della sua Persona che è eterna. Essendo la sua Persona eterna, tutto
ciò che è di Cristo è eterno. Questa verità genera un’altra verità, anch’essa
essenziale: nel sacerdozio di Cristo non c’è successione. Il Sacerdozio di
Cristo è uno, unico, solo. Non ci sono altri sacerdoti dinanzi a Dio, se non Cristo
e Lui solamente. Non c’è separazione tra il Sacerdozio di Cristo e Cristo. Cristo
e il suo Sacerdozio sono una cosa sola, inseparabile in eterno. Il sacerdozio
Cristo lo esercita nella sua umanità, che è vera umanità maschile. Essendo
quella di Cristo vera umanità maschile, essendo anche il suo Sacerdozio di
questa vera umanità maschile, essendo infine ogni sacerdote della Nuova
Alleanza sacerdote per partecipazione del Sacerdozio di Cristo Gesù, ne
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
consegue un’altra verità anch’essa di primaria importanza: la
partecipazione del suo sacerdozio non può avvenire se non nella vera
umanità maschile. È questo il motivo, o la ragione, per cui la vera umanità
femminile non può essere partecipe del sacerdozio eterno di Cristo Gesù. È per
ragioni ontologiche, di natura, di vera umanità maschile, che la vera
umanità femminile non può essere resa partecipe di quest’unico
sacerdozio. Nel sacerdozio secondo Aronne era il ministero che succedeva.
Nel sacerdozio secondo Cristo non succede né il ministero, né la persona. Nel
sacerdozio di Cristo c’è solo partecipazione di vera natura maschile a vera
natura maschile.
Perché è sacerdozio che non tramonta può portare alla vera salvezza. Non
tramonta il Sacerdozio, non tramonta il Sacerdote, non tramonta l’offerta. Uno è
il Sacerdozio, uno è il Sacerdote, una è l’offerta. L’efficacia eterna di
salvezza è in questa unicità ed eternità di offerta, di sacerdozio, di sacerdote.
Chi vuole, può entrare nella salvezza. Essa è veramente efficace.
Garante di un’alleanza migliore. Garanzia per soddisfazione. Il sacerdozio
di Cristo è efficace. Tutto è dalla Persona di Cristo. Per la sua eternità e
per la sua umanità. L’eternità è l’essenza di Cristo. La garanzia della nostra
salvezza è Gesù Signore. Lui garantisce per soddisfazione, per dono di vita.
Dona la sua vita per la nostra vita, la sua morte per la nostra risurrezione. Per
questo è efficace il Sacerdozio di Cristo Gesù: per il dono di tutto se
stesso al Padre per la nostra redenzione eterna. Gesù offre al Padre la sua
umanità, che non è umanità di un uomo, è l’umanità di Dio, della seconda
Persona della Santissima Trinità. Offrendo il suo corpo, è se stesso che offre al
Padre. È questa la grandezza del sacerdozio di Cristo Gesù. La sua umanità è
assunta dall’eternità e dalla divinità della Persona, che la offre al Padre
per la nostra redenzione eterna. L’eternità è l’essenza stessa di Cristo Gesù
ed è in questa sua eternità che si compie la nostra redenzione. Si compie però
attraverso la sua umanità, il suo vero corpo. Su queste molteplici verità:
Garante di un’alleanza migliore. Garanzia per soddisfazione. Il sacerdozio di
Cristo è efficace. Tutto è dalla Persona di Cristo. Per la sua eternità e per la sua
umanità. L’eternità è l’essenza di Cristo. È giusto che ognuno di noi acquisisca
la più grande pienezza su questa verità. Sarà questa pienezza di verità a
liberare la nostra mente dalla confusione che oggi si sta insinuando in
molti cuori e che li porta alla relativizzazione di Cristo, a pensarlo uno tra i
tanti attraverso cui si può compiere la salvezza. La pienezza della verità e solo
essa può preservare il cristiano dal cadere nella falsità e vi cade sempre
quando mette Cristo accanto agli altri e gli altri accanto a Cristo Gesù.
Scrittura, Tradizione, Teologia, Magistero. La pienezza della verità avviene e
si conquista attraverso l’unità di Scrittura, Tradizione, Magistero, teologia.
L’unità deve essere prima di tutto tra l’Antico e il Nuovo Testamento da
considerare una sola Parola di Dio. Poi l’unità deve essere tra Parola,
Tradizione e Magistero da considerare come un solo cammino di verità in
verità, fino alla verità tutta intera. Il cammino è condotto dallo Spirito Santo. È
Lui il principio unificatore di Scrittura, Tradizione e Magistero. L’unità deve
essere fatta infine tra Verità piena conosciuta e comprensione di essa che
avviene attraverso la mediazione teologica. Né fede senza teologia, né
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
teologia senza fede, né fede e né teologia senza la pienezza della verità. Chi
riesce a mantenere saldamente unita questa quadruplice via per la
conoscenza del mistero della salvezza, costui vivrà sempre nella perfetta,
sana, giusta verità di Cristo Gesù, anzi progredirà in essa, camminando di
verità in verità e di fede in fede. Ogni qualvolta c’è una separazione all’interno
di questa quadruplice via, è la rovina sia per la verità che per la fede.
Tutto in Lui si riveste di eternità: sacerdozio, offerta, garanzia, modalità. In
Cristo tutto si riveste di eternità: sacerdozio, offerta, garanzia, modalità. Si
riveste di eternità a motivo della Persona che opera tutto questo. Infatti
sacerdote è la Persona, non la natura umana, perché il sacerdozio è della
Persona, non della natura, anche se il Figlio di Dio lo esercita nella natura
umana. È la Persona che lo esercita e la Persona è eterna. Cristo non fu
Sacerdote; Cristo è Sacerdote. Cristo non ha offerto se stesso, Cristo
offre se stesso, oggi. Cristo non ha garantito per noi ieri, garantisce oggi.
Cristo non ha offerto ieri il suo corpo sulla croce, lo offre oggi. Fa tutto
questo a motivo della sua eternità. Egli oggi vive il suo sacerdozio eterno a
favore dell’umanità intera. Anche su questa verità la chiarezza è di obbligo.
Ogni imprecisione ha delle conseguenze deleterie per la salvezza stessa
dell’umanità. Oggi in verità tante sono le imprecisioni, le inesattezze, le falsità,
gli errori che si professano, si insegnano, o semplicemente si ripetono su Cristo
Gesù e sul suo sacerdozio eterno.
Dio ha dato il Figlio suo Unigenito. Che il Sacerdozio di Cristo sia della
Persona e non della sola natura umana, lo attesta Cristo Gesù, quando afferma
che il Padre ha dato il suo Figlio perché chiunque crede in Lui non muoia,
ma abbia la vita nel suo nome. Il dono che il Padre ci ha fatto è il suo Figlio
Unigenito il quale è vero Dio e vero uomo, perfetto Dio e perfetto uomo nella
sua sola ed unica Persona divina, che è preesistente all’incarnazione, Persona
che si fa carne nel seno della Vergine Maria. Dio ha dato il suo Figlio
incarnato. Lo ha dato dalla croce. Questa è la verità di Gesù Signore. Altre
“verità” non sono di Cristo Gesù. Altre “verità” non vengono dallo Spirito del
Signore, ma dalla carne dell’uomo, dal suo sangue.
In Cristo è la chiave di ogni vera conoscenza di Dio e dell’uomo. Dicendo
che Cristo è la chiave della vera conoscenza di Dio e dell’uomo si vuole
affermare una sola verità: chi vuole conoscere Dio lo potrà conoscere solo
in Cristo. Ma anche chi vuole conoscere l’uomo lo può conoscere solo in
Cristo Gesù. Il punto culminante della vera conoscenza è la croce di Cristo
Signore che rivela quanto grande è l’amore del Padre, ma anche quanto
possente sia il peccato dell’uomo. Di tutta questa ricchezza oggi sta
scomparendo ogni cosa. Tutto si sta riducendo ad un livellamento senza
differenze, in nome di un’antropologia falsa, bugiarda, menzognera, senza
carità e senza verità. Da falsi si va da un falso Dio – è il Dio pensato dall’uomo
e non da Dio – ; ma anche da falsi si va da un falso uomo – è l’uomo pensato
dall’uomo e non da Dio –. La falsità non genera vita, non salva l’uomo, né il
cristiano né il pagano. Chi ama veramente l’uomo deve presentarsi dinanzi ad
esso con tutta la potenza della verità di Gesù Signore.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
Esercizio attivo, non passivo del sacerdozio in Cristo nel Cielo. Cristo nel
Cielo esercita il suo sacerdozio eterno in modo attivo e non soltanto passivo. È
attivo prima di tutto perché intercede sempre in nostro favore. L’attività
primaria del Sacerdote è l’intercessione perché vengano perdonati i peccati. In
secondo ordine è attivo a motivo del sacrificio dell’Eucaristia. È Cristo che si
offre al Padre, quando la Chiesa lo offre. Non è concepibile l’offerta della
Chiesa senza l’offerta di Cristo, che non è fatta solo per l’opera di chi ne
partecipa il Sacerdozio, ma perché Cristo stesso si offre al Padre per la
nostra redenzione eterna. Infine è attivo perché ancora oggi Cristo si dona
nel sacramento dell’altare come cibo della Nuova Alleanza. L’Alleanza
viene nuovamente stipulata, o rinnovata, nel momento in cui il cristiano mangia
Cristo. Mangia Cristo per divenire ciò che Cristo è: vittima, offerta, olocausto per
il Padre suo che è nei cieli.
La forza dell’intercessione è nel sacrificio. Il sacrificio fa divenire la nostra
preghiera di intercessione offerta, dono, olocausto. Il sacrificio mostra a Dio,
gli rivela quanto vale per noi la cosa che gli chiediamo. Gesù intercede
per la nostra salvezza, chiede a Dio la nostra anima. Che valore ha
un’anima nella preghiera di Cristo Gesù? La sua morte in croce vale la
nostra anima. La sua morte in croce per la nostra anima. Questo è il valore
della preghiera di Gesù. Questa anche la sua forza di intercessione. Chi si
accosta presso il Signore per chiedere un’anima, deve anche mostrare al
Signore quanto vale quell’anima ai suoi occhi. Solo mostrando a Dio il suo
valore, Dio è pronto a dare esaudimento alla nostra preghiera.
Conformazione spirituale a Cristo. Nell’offerta di se stessi. Siamo chiamati
a conformarci spiritualmente a Cristo. Cristo è colui che si offre al Padre per
la salvezza del mondo. Il cristiano che desidera ardentemente conformarsi
e configurarsi a Cristo Gesù deve anche lui offrirsi al Padre per la
salvezza del mondo. Non c’è conformazione a Cristo senza l’offerta della
propria vita. Anche la nostra preghiera rimane senza forza se viene privata della
nostra offerta al Padre per la redenzione del mondo.
Verità cristologica, verità sacramentale, verità pastorale. È questa una unità
che bisogna ricomporre subito, anzi immediatamente. Non è possibile lavorare
con frutti spirituali, senza la ricomposizione di questa unità. Oggi la pastorale è
in crisi perché è separata dalla vera conoscenza di Cristo. Anche i
sacramenti sono in crisi a motivo della scarsa, o quasi inesistente conoscenza
che si ha della verità di Cristo Signore. A tutti è richiesto un grande impegno
per la ricomposizione di questa unità. Punto vero di partenza è la
conoscenza di Gesù Signore: della sua Persona, della sua missione, dell’opera
di salvezza, della sua croce, della sua risurrezione.
Unità di: sacrificio, santificazione, insegnamento. Altra unità da ricomporre
subito è questa: unità di sacrificio, di santificazione, di insegnamento. Non può
esistere divisione, separazione, allontanamento tra queste tre verità.
L’insegnamento è per condurre il cristiano alla santificazione che si
compie nel sacrificio di se stesso, nell’oblazione che fa della sua vita al
Padre, sia per la sua santificazione che per la conversione del mondo
intero. Ogni insegnamento non finalizzato alla santificazione è falso. Ma
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
anche ogni proposito di santificazione senza l’offerta della nostra vita al Padre,
anche questa santificazione è falsa, bugiarda, menzognera. Come si può
constatare è in questa separazione la causa dello scarso peso del nostro
cristianesimo nel mondo contemporaneo.
Unità di sacerdozio celeste e sacerdozio della terra. Altra unità da
ricomporre è questa: non ci sono due sacerdozi: uno sulla terra e l’altro nel
cielo. Il sacerdozio è uno: quello di Cristo Gesù che lo esercita oggi nel
cielo presso il padre suo. Ogni altro sacerdozio che si esercita sulla terra
è partecipazione del suo sacerdozio eterno: uno ed unico, il solo. Questo
mistero è grande. La salvezza del mondo è dall’unità del sacerdozio. L’unità è
nella santità di chi lo esercita, ma anche nella fede e nella pienezza della verità
che lo riguarda. Anche su questa unità tante sono le falsità, tanti gli errori. A
ciascuno il dovere di entrare nella pienezza della verità e della fede per vivere il
suo sacerdozio in pienezza di santità.
Vero sacerdote: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori,
elevato sopra i cieli, ontologicamente. Cristo è tutto non solo per virtù morali.
Egli è tutto questo perché partecipe della santità purissima di Dio. Lui è santo
per natura e Persona divina. Lui è la seconda Persona della Santissima
Trinità e nella sua entità è santità purissima, santissima, immacolata. È santo
anche per elevazione morale. Come vero uomo ha osservato, compiuto,
realizzato tutta la volontà di Dio nella forma assolutamente più piena e più
santa. Questa è la vera santità di Cristo Gesù: è ontologica e morale insieme.
Cosa che anche si deve verificare nel cristiano, anche lui chiamato a divenire
partecipe sia della natura che della santità di Dio.
Santità ontologica. Innocenza ontologica. Senza macchia ontologica. In
quanto vero Dio egli possiede santità, innocenza, purezza, ogni altra virtù per
ontologia, cioè per natura. Anche come uomo egli possiede tutto questo per
natura. La sua natura fin da sempre è stata ripiena di grazia, di Spirito
Santo, di verità. Il Dio Santissimo abita e dimora in un corpo e un’anima anche
essi santissimi. Questa verità fa la differenza con ogni altro uomo. Questa verità
dice qual è lo specifico di Cristo e solo suo. Ciò che è per natura, lo è anche per
volontà, che porta la natura umana al suo massimo e sommo sviluppo, o
fruttificazione di santità. È quanto avviene con il cristiano nel battesimo.
Anche Lui viene trasformato ontologicamente, nella sua natura dallo
Spirito Santo. Deve poi, in tutto come Cristo Gesù, portare la santità ontologica
in santità per volontà e in essa crescere ed abbondare per ogni opera buona.
La pastorale deve avere questo unico obiettivo: trasformare la santità
ontologica in santità di volontà. Aumentare attraverso la santità della volontà la
santità ontologica creata nel cristiano per via sacramentale.
Gesù non offre sacrifici per se stesso. Offre se stesso in sacrificio. Anche
questo è lo specifico di Cristo Gesù. Egli non offrì alcun sacrificio per se stesso.
Lui è santo e immacolato al cospetto di Dio fin dall’eternità. In questa santità è
cresciuto fino alla perfezione nella sua natura umana, sempre santissima
per ontologia, sempre santissima per volontà. Cristo Gesù invece offre se
stesso in sacrificio perché il peccato del mondo venga cancellato e una più
grande santità ricominci a fiorire nel nostro mondo. Il cristiano che vuole portare
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Settimo
salvezza in questo mondo, deve anche lui percorrere la via di Cristo Gesù: deve
portare al sommo della perfezione sia la sua santità ontologica che quella di
volontà fino a divenire anche lui in Cristo sacrificio e vittima per il peccato,
strumento di riconciliazione e di salvezza per ogni uomo.
Un solo sacrificio, una sola espiazione, una sola redenzione. Anche questa
unità deve essere sempre presente dinanzi ai nostri occhi. Tutto è da
quell’unico sacrificio della croce e tutto è in quest’unico sacrificio. Uno è
il sacrificio, una è la redenzione, una l’espiazione, una la cancellazione del
nostro debito. Ciò che è avvenuto una volta per tutte, ora deve essere fatto
della persona singola. Questo è fatto solo attraverso la via della fede e della
messa in pratica di ogni Parola di Gesù Signore.
Chi si offre è il Figlio di Dio. È giusto che venga ribadito ancora: chi si offre al
Padre è Cristo Gesù, il Figlio eterno del Padre, il suo Figlio Unigenito, il Verbo
della vita. Si offre nella sua umanità, ma è Lui che si offre, perché è Lui il
sacerdote, ma anche la vittima. Si offre come Sacerdote vero, eterno,
perfetto. Anche questa verità deve essere sempre presente dinanzi ai nostri
occhi. Essa ci permette di comprendere qual è stato il vero sacrificio di Cristo e
quale sia stata la vera offerta del Padre, o il suo dono per noi.
In Cristo niente è fuori di Cristo. In Cristo niente è fuori di Cristo, perché è
Cristo stesso che si offre. È se stesso che dona al Padre per noi. Questo ci
deve insegnare la più alta delle verità: Dio non vuole cose. Dio vuole noi stessi.
Dio vuole il dono della nostra vita. Vuole la nostra vita per riempirla di sé.
Vuole la nostra vita che sia offerta in redenzione per la salvezza del
mondo intero. Come niente è fuori di Cristo, perché tutto è in Lui. Così niente
deve essere fuori del cristiano, perché tutto deve essere in lui. Ciò che è in lui è
l’offerta di se stesso. Così si compie la redenzione del mondo. Così si portano
gli uomini a Dio.
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CAPITOLO OTTAVO
NUOVO SANTUARIO E NUOVA ALLEANZA
[1]Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo
un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono
della maestà nei cieli,
Per ben sette capitoli l’Autore ci ha parlato di Cristo Gesù. Di Lui ci ha detto
tante cose. Ora sente la necessità di fare il punto della situazione.
Non vuole che il destinatario si perda dietro le molteplici verità annunziate e per
questo manifesta qual è la sua intenzione, la verità centrale che sta trattando e i
risultati già ottenuti attraverso la sua argomentazione dottrinale.
Il punto capitale è quello centrale, più che centrale, è il punto dal quale ogni
altra argomentazione o verità trae origine. Il punto capitale è quel punto di
diramazione di altri punti, di altre vie, è la verità madre di tante altre verità.
Per l’Autore il punto capitale è la grandezza e la perfezione del sacerdozio di
Gesù Signore: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è
assiso alla destra del trono della maestà nei cieli.
Come si può constatare la grandezza del sacerdozio di Cristo Gesù è qui
considerata non in base alla sua Persona, bensì in relazione al “luogo”
dell’esercizio del culto.
Il motivo di questa comparazione bisogna trovarlo nel sacerdozio secondo
Aronne e dei suoi discendenti: tutti costoro entravano (e non sempre) alla
presenza del Signore, nel suo tempio sulla terra, in quello di Gerusalemme.
Entravano ed uscivano. Entravano il tempo di fare il rito dell’espiazione e
uscivano. Non rimanevano.
Non era possibile rimanere alla presenza di Dio in un luogo così sacro.
Neanche si intravedeva il luogo della dimora del Signore, poiché l’incenso ne
impediva la vista.
Era questo uno dei significati delle abbondanti incensazioni. Erano in qualche
modo segno della nube che attestava la presenza del Signore, ma anche ne
impediva la vista.
“Aronne offrirà dunque il proprio giovenco in sacrificio espiatorio per sé e, fatta
l'espiazione per sé e per la sua casa, immolerà il giovenco del sacrificio
espiatorio per sé. Poi prenderà l'incensiere pieno di brace tolta dall'altare
davanti al Signore e due manciate di incenso odoroso polverizzato;
porterà ogni cosa oltre il velo. Metterà l'incenso sul fuoco davanti al
Signore, perché la nube dell'incenso copra il coperchio che è sull'arca e
così non muoia. Poi prenderà un po’ di sangue del giovenco e ne aspergerà
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
con il dito il coperchio dal lato d'oriente e farà sette volte l'aspersione del
sangue con il dito, davanti al coperchio” (cfr. Lev 16,11-14).
Gesù invece non entra nel “santo dei santi” del tempio della terra, non brucia
l’incenso perché non si veda il “Volto del Signore”, e neanche si allontana dal
luogo santissimo della presenza del Signore una volta compiuto il rito cui lo
abilitava il suo sacerdozio.
Gesù entra nel Santuario del Cielo. Entra, vi rimane. Si siede alla destra del
trono della Maestà divina.
È questa una verità fondamentale, essenziale della nostra fede: “Gesù siede
alla destra del Padre”. Abita presso di Lui, è con Lui, sta con Lui per sempre.
Alla destra del Padre è assiso per esercitare eternamente il suo sacerdozio, per
intercedere per noi.
Questa è la prima, fondamentale, essenziale differenza tra il sacerdozio di
Aronne e quello di Cristo Gesù.
Gesù vede il Padre, parla con il Padre, intercede presso il Padre, faccia a
faccia. Lui è presso il Padre per esercitare eternamente il suo sacerdozio in
nostro favore.
[2]ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo,
ha costruito.
La differenza la fa il “luogo”, ma anche la “verità” del luogo.
Assiso alla destra del Padre, Gesù è ministro, cioè sacerdote. È Ministro,
sacerdote del cielo, perché è nel cielo che Lui si è assiso presso il Padre. È il
cielo il luogo della presenza e della dimora di Dio.
Viene ora affermata la seconda differenza.
Il tempio di Gerusalemme non era la vera tenda di Dio. Essa era una “figura”
della vera tenda.
La vera tenda, o vera abitazione di Dio è il Paradiso, il Cielo. Ora Cristo entra in
questa vera tenda, in questo vero santuario di Dio e di questa vera tenda e
santuario egli è ministro, sacerdote.
Questa vera tenda non l’ha costruita un uomo. L’ha costruita Dio.
Se è Dio che l’ha costruita, essa rimane in eterno. Se fosse stata costruita da
un uomo, mai sarebbe potuta divenire eterna; sarebbe stata soggetta alle
intemperie, sia degli uomini che della natura.
Sappiamo quale sorte fu riservata al tempio di Gerusalemme con la
deportazione in Babilonia dei Giudei.
Conosciamo qual è la sorte attuale del grande tempio frequentato anche da
Gesù fin dalla sua infanzia.
Di questo tempio rimane solo un muro, detto il “muro del pianto”. Niente altro.
La tenda di Dio, figura sulla terra della tenda del cielo non c’è più. Non c’è più il
luogo sulla terra della presenza di Dio. Questa la verità che l’Autore vuole
insegnare ai suoi destinatari. Gesù è entrato nel vero santuario, nella vera
266
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
tenda e questa è eterna come Dio è eterno; questa è indistruttibile come Dio è
indistruttibile; questa è inaccessibile all’uomo come Dio è inaccessibile nella
sua eternità ed infinità, questa è invalicabile dall’uomo.
Cristo invece l’ha valicata, vi è entrato, si è assiso alla destra del Padre, si è
assiso come vero ministro del vero santuario, della vera tenda.
Si è assiso per rimanere in eterno, per esercitare in eterno il suo sacerdozio in
nostro favore.
È eterno il sacerdozio, il ministero, la tenda, il santuario, l’abitazione. Tutto è
eterno in Cristo Gesù.
In Aronne invece tutto era momentaneo: il sacerdozio, la persona, la tenda, il
tempio. Momentanea era l’entrata nel tempio perché immediata era l’uscita da
esso.
[3]Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e
sacrifici: di qui la necessità che anch'egli abbia qualcosa da offrire.
Ci viene ricordato ora qual era il ministero sacerdotale dell’Antica Legge: quello
di offrire doni e sacrifici.
Chi vuole può leggere i primi capitoli del Libro del Levitico, nei quali sono
contenuti tutti i sacrifici, le oblazioni e le libagioni che dovevano essere offerti a
seconda delle differenti circostanze in cui si sarebbe potuta venire a trovare la
vita di un uomo, di una famiglia, dell’intera comunità.
Niente viene lasciato alla libera interpretazione, o improvvisazione del
sacerdote. Tutto invece è minuziosamente precisato, puntualizzato, specificato.
In questo versetto viene ricordata qual è la costituzione e la ministerialità del
sacerdote. Le ricapitoliamo, pur avendone parlato già abbondantemente.
Il sacerdote, o il sommo sacerdote:
-
viene preso e costituito (prima verità)
-
per offrire doni e sacrifici (seconda verità)
-
li offre per se stesso (terza verità)
-
li offre per gli altri (quarta verità).
Queste quattro verità costituiscono il Sacerdozio alla maniera di Aronne. Quello
di Gesù Signore è differente, diverso nella sostanza, e non solo nella forma.
In questo versetto (3) l’Autore vuole che noi riflettiamo sull’offerta che è
composta di beni terreni, materiali (animali, farina, olio e altro).
Vuole che consideriamo anche l’altra verità: colui che offre il sacrificio per gli
altri, deve offrire anche per se stesso. Anche lui ha bisogno di purificazione, di
espiazione, di liberarsi dai peccati e dalle trasgressioni commessi nella Legge
del Signore.
È proprio su queste due verità che si fonda la sostanziale differenza con il
sacerdozio esercitato da Cristo Gesù. Questa differenza ci porta in una realtà
267
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
infinitamente diversa. Coglierla diviene essenziale per la nostra fede, che
proprio in questa differenza trova la sua verità.
[4]Se Gesù fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché
vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge.
L’affermazione di questo versetto è chiara, limpida in sé.
Gesù non è sacerdote alla maniera di Aronne. Sulla terra egli mai ha esercitato
un simile ministero.
Mai Lui ha offerto un dono secondo la legge. Secondo la legge sono altri, e
sono anche in abbondanza, quelli che offrono i doni e fanno le offerte, o
compiono i riti.
Pensare ad un sacerdozio di Cristo alla maniera di Aronne è cosa impossibile.
L’impossibilità è data dalla storia di Cristo e dal non esercizio di un simile
sacerdozio.
Anche questa verità è giusto che si colga, si comprenda, si trasformi in fede:
Gesù non è stato sacerdote alla maniera di Aronne.
Nella fede ci sono verità al positivo, ma anche verità al negativo. Le verità al
negativo servono per dare rilievo e risalto alle verità al positivo.
Dicendo che Gesù non è stato sacerdote alla maniera di Aronne libera la mente
da ogni confusione tra il suo Sacerdozio e quello di Aronne.
Quello di Cristo Gesù non è una purificazione del sacerdozio alla maniera di
Aronne. È un sacerdozio diverso, differente. È un altro sacerdozio.
Tra i due non c’è alcun punto di contatto, né sulla terra, né nel cielo. Gesù non
è venuto per purificare l’esistente, è venuto per creare il nuovo: Nuovo è il
Sacerdozio, Nuova è l’Alleanza, Nuovo il Comandamento, Nuovo il Popolo,
Nuova la Tenda, Nuova la Verità, Nuova la Grazia. Tutto in Lui è nuovo, perché
Nuova ed Eterna è la Persona che opera tutto questo.
L’Incarnazione del Verbo è il Nuovo Assoluto di Dio. Tanto Nuovo, che anche in
Dio tutto è Nuovo a partire dall’Incarnazione.
Anche Dio è Nuovo a partire dall’Incarnazione. Prima Dio era solo Dio. Era solo
Purissima Divinità. Ora nel Figlio è Purissima Divinità, ma anche Santissima
Umanità. Dio è uomo, vero uomo. È Vero Dio, nel Figlio, ma è anche Vero
Uomo. È Nuovo per la Nuova Essenza che è divenuto nell’Incarnazione.
[5]Questi però attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle
realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per
costruire la Tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello
che ti è stato mostrato sul monte.
L’Autore fa un passo in avanti, tanto avanti che è prima ancora dell’istituzione
del Sacerdozio di Aronne.
La Tenda del Convegno fu costruita da Mosè. Fu però il Signore a ordinare la
sua costruzione e anche a fornirgli il modello. Tutto questo è mirabilmente
raccontato nel Libro dell’Esodo (c. 25), in questi termini:
268
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
“Il Signore disse a Mosè: Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un'offerta.
La raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore. Ed ecco che cosa
raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e rame, tessuti di porpora
viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di
rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per il candelabro, balsami per
unguenti e per l'incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare
nell'efod e nel pettorale. Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a
loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il
modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi.
Faranno dunque un'arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di
lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La
rivestirai d'oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d'oro.
Fonderai per essa quattro anelli d'oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli
su di un lato e due anelli sull'altro.
Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro. Introdurrai le stanghe
negli anelli sui due lati dell'arca per trasportare l'arca con esse. Le stanghe
dovranno rimanere negli anelli dell'arca: non verranno tolte di lì.
Nell'arca collocherai la Testimonianza che io ti darò.
Farai il coperchio, o propiziatorio, d'oro puro; avrà due cubiti e mezzo di
lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza.
Farai due cherubini d'oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del
coperchio. Fa’ un cherubino ad una estremità e un cherubino all'altra estremità.
Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio alle sue due estremità. I
cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio;
saranno rivolti l'uno verso l'altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il
coperchio.
Porrai il coperchio sulla parte superiore dell'arca e collocherai nell'arca la
Testimonianza che io ti darò. Io ti darò convegno appunto in quel luogo:
parlerò con te da sopra il propiziatorio, in mezzo ai due cherubini che
saranno sull'arca della Testimonianza, ti darò i miei ordini riguardo agli
Israeliti.
Farai una tavola di legno di acacia: avrà due cubiti di lunghezza, un cubito di
larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d'oro puro e le farai intorno
un bordo d'oro.
Le farai attorno una cornice di un palmo e farai un bordo d'oro per la cornice.
Le farai quattro anelli d'oro e li fisserai ai quattro angoli che costituiranno i
suoi quattro piedi. Gli anelli saranno contigui alla cornice e serviranno a inserire
le stanghe destinate a trasportare la tavola.
Farai le stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro; con esse si
trasporterà la tavola.
Farai anche i suoi accessori, piatti, coppe, anfore e tazze per le libazioni: li
farai d'oro puro. Sulla tavola collocherai i pani dell'offerta: saranno sempre alla
mia presenza.
269
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello,
il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti
di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un
lato e tre bracci del candelabro dall'altro lato. Vi saranno su di un braccio tre
calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull'altro
braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per
i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro
calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo
sotto i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e
un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartano da esso; così per tutti i sei
bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un
pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d'oro puro lavorata a martello.
Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo
spazio davanti ad esso. I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d'oro
puro. Lo si farà con un talento di oro puro, esso con tutti i suoi accessori.
Guarda ed eseguisci secondo il modello che ti è stato mostrato sul
monte”.
Era questo il “luogo” della presenza di Dio sulla terra. Da questo “luogo” Dio
parlava a Mosè.
Cosa in verità ci vuole dire l’Autore?
Si è detto che tra i due sacerdozi – quello di Cristo e l’altro di Aronne – non c’è
alcun punto di contatto. Sono sostanzialmente differenti.
A questa differenza sostanziale apporta un nuovo elemento che serve per
distanziarla ancora di più.
La Tenda del Convegno sulla terra era una copia, o un’ombra, o figura delle
realtà celesti, cioè della Tenda del Cielo.
Se è figura la Tenda, figura è anche il sacerdozio, figura è l’offerta. Tutto è
figura.
La figura non è realtà. È ciò che rinvia alla realtà, non ancora presente, ma che
sta per venire, sta per compiersi.
La realtà del Sacerdozio è quello di Cristo. La verità del Sacerdote è Cristo.
Tutti gli altri che furono prima di Lui hanno esercitato un ministero che è solo
figura di ciò che sarà il vero ministero e sono anche loro un’ombra, una figura
del vero sacerdote che è Cristo.
Con questa ulteriore puntualizzazione, l’Autore sposta l’asse della verità da
Aronne a Cristo.
Non è più Aronne il punto di riferimento per comprendere il Sacerdozio di
Cristo, è il Sacerdozio di Cristo che ci consente di comprendere il Sacerdozio di
Aronne e di classificarlo come una figura, un’ombra, ma non la realtà del vero
Sacerdozio e del vero Sacerdote che è Cristo Gesù.
Il Sacerdozio di Aronne deve scomparire dalla loro mente, come scompare il
buio quando il sole splende in pieno meriggio. Cristo è la luce, Aronne è
l’ombra. Appare la luce, scompare l’ombra; appare la realtà, scompare la figura,
270
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
si eclissa, perde ogni sua consistenza, perché non è realtà, come un’ombra non
è la realtà della persona, o della cosa che tratteggia e fa in qualche modo
intravedere.
L’ombra però ha la sua importanza. Deve condurci alla realtà. Una volta
consegnatici ad essa, deve scomparire, sparire, perché si gusti e si viva solo la
verità della realtà.
Il Modello è Cristo. Modello di tutto, di ogni cosa. Modello anche della
testimonianza contenuta nella tenda del convegno.
[6]Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto
migliore è l'alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su
migliori promesse.
In questo versetto l’Autore ci dona tre verità, che ci manifestano con maggiore
chiarezza l’essenza stessa del Sacerdozio di Cristo Gesù.
-
Egli, Gesù, ha ottenuto un ministero più eccellente
-
Quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore
-
Essendo questa fondata su migliori promesse
Da quanto viene affermato, si evince una intima connessione tra il Sacerdozio
di Cristo, l’Alleanza migliore e le migliori promesse della stessa.
Essendo l’Alleanza migliore, perché migliori sono le promesse è necessario che
vi sia anche un sacerdozio capace di portare ogni cosa a compimento.
Sarebbe veramente non senso promettere il “meglio”, stabilire per questo
“meglio” promesso una migliore alleanza e poi non avere gli strumenti adatti,
capaci di portare a termine, a pienezza di realizzazione quanto promesso e
stabilito anche sulla base di un’alleanza.
Essendo le promesse migliori, migliore deve essere l’alleanza, ma soprattutto
migliore deve essere il sacerdozio che realizza quanto il Signore ha voluto e
sigillato con un patto.
Tuttavia c’è da precisare una verità, non contenuta in questo versetto, ma che
deve essere necessariamente messa in luce, in tutta la sua chiarezza.
Dio ha potuto fare migliori promesse e anche annunziare un’alleanza migliore
solo in vista di Cristo e del Suo Sacerdozio.
Ora, secondo lo spirito e anche la lettera del Nuovo Testamento, Cristo è stato
pensato nella sua Incarnazione fin dall’eternità, prima ancora che Adamo fosse
stato creato, Dio aveva già il suo disegno di Incarnazione.
Sempre secondo la lettera e lo spirito del Nuovo Testamento non è Cristo che
fu fatto ad immagine di Adamo, è bensì Adamo che fu fatto, pensato ad
immagine di Cristo.
Prima è pensato Cristo da Dio, poi Adamo e se Adamo è stato pensato, ciò è
stato possibile in Dio in quanto Lui aveva già pensato a Cristo Gesù e lo aveva
pensato per essere l’immagine vera di ogni uomo.
271
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Ogni uomo è vero uomo se si fa ad immagine di Cristo Gesù, se realizza se
stesso secondo la misura della verità e della carità che sono in Cristo Gesù.
Questa è la nostra verità.
Ora se Cristo è prima della creazione dell’uomo, è prima del peccato, prima
dell’Antica Alleanza, prima del sacerdozio che la reggeva, prima di ogni altra
cosa. Non solo è prima, ma anche dopo. Tutto il dopo della creazione è
finalizzato a Lui, deve trovare compimento del suo eterno sacerdozio alla
maniera di Melchisedek.
Questa è la verità. Ed è anche questo il motivo per cui le cose migliori sono
possibili perché Dio ha già Colui che le realizza.
Avendo chi le realizza, le può anche promettere. Altrimenti sarebbe stato
impossibile per il Signore promettere qualcosa di così grande, senza la Persona
capace di portare a compimento ogni cosa.
Fermarsi all’Antico Testamento e alle sue istituzioni, anche le più sante, è
fermare lo stesso disegno di Dio, non un disegno nato dalla storia, ma l’unico
disegno di Dio: quello pensato fin dall’eternità, quello nel quale tutto si rende
comprensibile e tutto acquisisce la sua verità, compreso tutto l’Antico
Testamento e la storia della salvezza prima della nascita dalla Vergine Maria
del Verbo della vita.
Questo ci fa gettare uno sguardo nell’eternità, ci fa andare oltre il tempo e la
storia, oltre il peccato e la trasgressione. Ci fa andare al disegno eterno di Dio
che ha un solo scopo: quello di fare di ogni uomo sulla terra un’immagine di
Cristo Gesù, l’Immagine eterna e storica del vero uomo.
Ma questa immagine non si costruisce fuori di Cristo, bensì in Lui, per Lui e con
Lui ed è questa l’essenza primaria, fondamentale del suo Sacerdozio e non
solamente quella di espiare i nostri peccati.
Gesù è il Sacerdote che si offre al Padre, ma anche il Sacerdote offerto dal
Padre a noi, a noi dato, perché noi in lui ci facciamo, ci offriamo, diventiamo veri
della sua stessa verità.
Sono queste le cose migliori contenute nell’alleanza migliore che Dio ha
stabilito per noi nel Sangue del suo sommo ed eterno sacerdote, Gesù Cristo
nostro Signore. Sacerdote che offre se stesso per noi, Sacerdote che è offerto
dal Padre per noi, per la nostra vita e verità eterna.
È questo il suo ministero eccellente. È eccellente perché divino, eterno, stabilito
dal Padre prima della creazione del mondo, prima che iniziasse la stessa storia.
[7]Se la prima infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di
stabilirne un'altra.
Viene ora ribadita l’imperfezione della prima Alleanza. Perché allora Dio ha
stabilito questa prima Alleanza, pur sapendo e conoscendo la sua
imperfezione?
La risposta è già stata data, anche se non in modo chiaro ed esplicito, quando
si è parlato dell’uomo storico e dell’uomo metafisico.
272
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
L’uomo creato da Dio è avvolto dal tempo. Possiamo dire che si fa nel tempo,
perché nel tempo diviene.
Dio prende quest’uomo e con sommo amore, somma cura, somma
benevolenza, somma attenzione inizia a condurlo verso la sua più alta
umanizzazione.
Dio sa chi è l’uomo. Lo ha fatto a sua immagine e somiglianza. Questa
immagine è stata come frantumata dal peccato. Frantumata, ma non distrutta,
non abolita, non cancellata.
Si tratta ora di mettere ogni cosa al suo posto, ma non solamente ricucendo il
tutto, quanto operando per nuova creazione, per un nuovo inizio della storia
dell’umanità e questo nuovo inizio è in Cristo Gesù e nel suo mistero di morte e
di risurrezione, di verità e di grazia, di santità e di giustizia. Questo nuovo inizio
è nello Spirito Santo che crea la nuova vita nel cuore dell’uomo.
Ecco allora che tutto l’Antico Testamento, in ogni sua istituzione, è una tappa
verso Cristo. Tutto il Nuovo invece è una tappa verso la conoscenza della verità
tutta intera.
Ancora l’uomo conosce poco di Dio, sa niente di Lui. Sa poco e niente perché
ancora poco e niente conosce della Rivelazione.
Lo Spirito Santo che conduce la Chiesa verso la verità tutta intera ancora non
ha finito di parlare, di illuminare, di spiegare, di far comprendere.
È questa l’essenza dell’uomo storico: quella di camminare verso Dio nella
comprensione della sua verità e mentre cammina nella verità, quella di farsi
verità con l’aiuto dello Spirito Santo.
Farsi verità di Cristo in Cristo, con Cristo, per Cristo, nella novità sempre attuale
che crea nel suo cuore lo Spirito di Dio.
È questo il motivo per cui fu stabilita la prima Alleanza, come prima tappa verso
la pienezza che si ottiene solamente grazie a Cristo e al suo Santo Spirito.
Allora non si può parlare di sostituzione vera e propria. Si deve parlare più
correttamente di cammino storico dell’uomo e la storia progredisce da ciò che è
imperfetto verso ciò che è perfetto e da ciò che è inefficace verso ciò che è
efficace.
Se comprendiamo questo, riusciamo anche a comprendere l’agire di Dio e
l’immensa misericordia che ha verso di noi, oggi, ieri, domani, sempre.
[8]Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice: Ecco vengono giorni, dice il
Signore, quando io stipulerò con la casa d'Israele e con la casa di Giuda
un'alleanza nuova;
Viene ora riportato per intero il passo di Geremia (31,31-34), che contiene la
promessa del Signore di stringere con il suo popolo una nuova alleanza.
Il passo è già stato riportato per intero nelle pagine precedenti, incluso tutto il
capitolo 31.
Ora a noi interessa individuare con esattezza tutti gli elementi di questa nuova
alleanza e fare, se possibile, il collegamento con Cristo Gesù.
273
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
La prima affermazione dell’Autore è questa: Dio biasimando il suo popolo,
dice…
Questo biasimo è la constatazione che un’alleanza fondata solo sulla vecchia
natura dell’uomo non può produrre frutti di verità e di giustizia.
Se l’uomo, per la sua natura corrotta dal peccato, potesse osservare tutta la
legge di Dio, veramente non ci sarebbe bisogno di altro.
Una verità deve essere chiarita fin da subito.
Il peccato, ogni peccato, non è solamente una violazione esterna della Legge.
Se fosse una violazione esterna della Legge, la Legge verrebbe violata, ma
l’uomo resterebbe intatto nella sua natura, nella sua essenza.
Il peccato in questo caso sarebbe fuori di lui, non in lui. Lui resterebbe intatto in
se stesso e quindi, anche se ha offeso Dio in modo grave, a Dio si chiede
perdono e tutto ritornerebbe come prima.
Questo sarebbe il risultato, se il peccato fosse solo una trasgressione di legge,
anche della più santa e più sacra.
Invece il peccato non è solamente questo. Non è solamente offesa a Dio e agli
uomini, distruzione dell’amicizia con Dio e con gli uomini.
Il peccato è morte: morte nell’anima, nello spirito, nel corpo. Morte
nell’intelligenza e nella volontà. Morte nei sentimenti e nelle relazioni. Morte
della stessa unità nell’uomo tra le sue facoltà.
Da questa morte non ci si risolleva da sé. Né la Legge ha questa forza di
riportare l’uomo nella sua vita vera.
Il biasimo allora diviene constatazione storica di Dio, fatta per mezzo del
profeta, di una impossibilità dell’uomo di osservare la Legge, perché la natura
corrotta dalla morte, è incapace, non può, non sa, non vede, è cieca, sorda,
muta ad ogni richiamo del Signore.
Con Geremia è venuto il momento, poiché i tempi sono maturi, per il Signore di
dare pienezza di verità al futuro dell’uomo.
Egli fa tutto questo attraverso una promessa: ecco vengono giorni, dice il
Signore, quando io stipulerò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda
un’alleanza nuova.
È, questa, vera profezia di un avvenimento che si compirà un giorno: sappiamo
che si compirà, non sappiamo quando si compirà. Il quando non appartiene alla
rivelazione. Alla rivelazione appartiene l’evento.
È l’evento il vero contenuto della profezia. Ogni evento della profezia però si
può compiere nel cielo o sulla terra, ma anche in un lontano futuro, come anche
immediato.
Le parole usate ci dicono che avverrà di certo, resta però ignota la data del suo
compimento: ecco verranno giorni…
274
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Altra verità da sottolineare è questa: ciò che il Signore promette non riguarda
solo una parte della discendenza di Abramo, bensì ogni singola tribù dei Figli di
Israele.
Che il popolo del Signore sia diviso, questo non implica che l’alleanza si fa con
una tribù e si escludano le altre.
La promessa della benedizione nella discendenza di Abramo è con tutti i figli di
Abramo. Con tutti loro il Signore stringerà nei giorni che verranno questa
alleanza nuova.
Questo ci fa dire che il peccato può anche distruggere il disegno eterno di Dio
sull’uomo. Il Signore, però, ha come finalità, scopo, intenzione di ristabilire
l’uomo – non un uomo, o quest’uomo – nel suo progetto originario, eterno,
stabilito e fondato per lui prima della sua stessa creazione.
Questo ci fa dire anche che il peccato non può mutare la volontà di Dio, perché
essa è stata stabilita prima dello stesso peccato.
Ognuno però ha la potestà di rendere nullo per sé il disegno eterno di Dio, ma
mai impedire che Dio lo possa realizzare in tutto il suo splendore di vita eterna,
vita divina, vita cristica.
Ciò che il Signore farà è la stipula di un’alleanza nuova. È nuova per rapporto
a quella antica. Ma non è nuova solamente perché quella è stata e, quindi, è già
vecchia, questa sarà e, quindi, è nuova.
È nuova perché nuovi saranno i contenuti di questa alleanza, nuove le
promesse. L’Autore ci ha già detto che le promesse sono migliori e per questo
l’alleanza è migliore e migliore è anche il sacerdozio sul quale viene stabilita e
fondata.
[9]non come l'alleanza che feci con i loro padri, nel giorno in cui li presi
per mano per farli uscire dalla terra d'Egitto; poiché essi non son rimasti
fedeli alla mia alleanza, anch'io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
È giusto che ci chiediamo in che cosa consistesse esattamente questa
alleanza.
Per avere la più perfetta conoscenza possibile, prima presenteremo il testo così
come esso è esposto nel Libro dell’Esodo e inseguito lo si analizzerà nei suoi
elementi fondamentali.
Ecco Il testo e le modalità dell’alleanza secondo l’Esodo. Si riportano in
successione e per intero i capitoli 19.20.21.22.23.24.
Dopo aver preso visione di quanto è avvenuto al Sinai, verranno offerti in sintesi
gli elementi costitutivi dell’Alleanza.
Es. 19: “Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in
quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. Levato l'accampamento da
Refidim, arrivarono al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si
accampò davanti al monte. Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal
monte, dicendo: Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti:
Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi
su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la
275
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra
tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di
sacerdoti e una nazione santa. Queste parole dirai agli Israeliti.
Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole,
come gli aveva ordinato il Signore. Tutto il popolo rispose insieme e disse:
Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo.
Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè:
Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo
senta quando io parlerò con te e credano sempre anche a te. Mosè riferì al
Signore le parole del popolo.
Il Signore disse a Mosè: Va’ dal popolo e purificalo oggi e domani: lavino le
loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il
Signore scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo. Fisserai per
il popolo un limite tutto attorno, dicendo: Guardatevi dal salire sul monte
e dal toccare le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte.
Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito
con tiro di arco. Animale o uomo non dovrà sopravvivere. Quando
suonerà il corno, allora soltanto essi potranno salire sul monte.
Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece purificare il popolo ed essi
lavarono le loro vesti. Poi disse al popolo: Siate pronti in questi tre giorni:
non unitevi a donna.
Appunto al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube
densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era
nell'accampamento fu scosso da tremore. Allora Mosè fece uscire il popolo
dall'accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il
monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco
e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il
suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli
rispondeva con voce di tuono.
Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore
chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. Poi il Signore disse a Mosè:
Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere,
altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti, che si avvicinano
al Signore, si tengano in stato di purità, altrimenti il Signore si avventerà
contro di loro!.
Mosè disse al Signore: Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu
stesso ci hai avvertiti dicendo: Fissa un limite verso il monte e dichiaralo
sacro.
Il Signore gli disse: Va’, scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti
e il popolo non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti egli si
avventerà contro di loro!. Mosè scese verso il popolo e parlò”.
Es. 20: “Dio allora pronunciò tutte queste parole: Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non
avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è
276
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque
sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il
Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli
fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che
dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e
osservano i miei comandi.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non
lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai
ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu
non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la
tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché
in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma
si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato
e lo ha dichiarato sacro.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che
ti da il Signore, tuo Dio. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non
rubare. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo
prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino,
né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.
Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante.
Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè:
Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!
Mosè disse al popolo: Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla
prova e perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate.
Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura,
nella quale era Dio. Il Signore disse a Mosè: Dirai agli Israeliti: Avete visto
che vi ho parlato dal cielo! Non fate dei d'argento e dei d'oro accanto a
me: non fatene per voi! Farai per me un altare di terra e, sopra, offrirai i
tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in
ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò. Se
tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché
alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. Non salirai sul mio
altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità.
Es. 21: Queste sono le norme che tu esporrai loro. Quando tu avrai
acquistato uno schiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà
andarsene libero, senza riscatto. Se è entrato solo, uscirà solo; se era
coniugato, sua moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli ha dato moglie
e questa gli ha partorito figli o figlie, la donna e i suoi figli saranno proprietà del
padrone ed egli se ne andrà solo. Ma se lo schiavo dice: Io sono affezionato al
mio padrone, a mia moglie, ai miei figli; non voglio andarmene in libertà, allora il
suo padrone lo condurrà davanti a Dio, lo farà accostare al battente o allo stipite
della porta e gli forerà l'orecchio con la lesina; quegli sarà suo schiavo per
sempre.
277
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Quando un uomo venderà la figlia come schiava, essa non se ne andrà
come se ne vanno gli schiavi. Se essa non piace al padrone, che così non se la
prende come concubina, la farà riscattare. Comunque egli non può venderla a
gente straniera, agendo con frode verso di lei. Se egli la vuol dare come
concubina al proprio figlio, si comporterà nei suoi riguardi secondo il diritto delle
figlie. Se egli ne prende un'altra per sé, non diminuirà alla prima il nutrimento, il
vestiario, la coabitazione. Se egli non fornisce a lei queste cose, essa potrà
andarsene, senza che sia pagato il prezzo del riscatto.
Colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà messo a morte. Però
per colui che non ha teso insidia, ma che Dio gli ha fatto incontrare, io ti fisserò
un luogo dove potrà rifugiarsi.
Ma, quando un uomo attenta al suo prossimo per ucciderlo con inganno,
allora lo strapperai anche dal mio altare, perché sia messo a morte.
Colui che percuote suo padre o sua madre sarà messo a morte.
Colui che rapisce un uomo e lo vende, se lo si trova ancora in mano a lui,
sarà messo a morte.
Colui che maledice suo padre o sua madre sarà messo a morte.
Quando alcuni uomini rissano e uno colpisce il suo prossimo con una
pietra o con il pugno e questi non è morto, ma debba mettersi a letto, se poi si
alza ed esce con il bastone, chi lo ha colpito sarà ritenuto innocente, ma dovrà
pagare il riposo forzato e procurargli le cure.
Quando un uomo colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava e
gli muore sotto le sue mani, si deve fare vendetta. Ma se sopravvive un giorno o
due, non sarà vendicato, perché è acquisto del suo denaro.
Quando alcuni uomini rissano e urtano una donna incinta, così da farla
abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un'ammenda, secondo quanto
imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato.Ma
se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente
per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per
ferita, livido per livido.
Quando un uomo colpisce l'occhio del suo schiavo o della sua schiava e lo
acceca, gli darà la libertà in compenso dell'occhio. Se fa cadere il dente del suo
schiavo o della sua schiava, gli darà la libertà in compenso del dente.
Quando un bue cozza con le corna contro un uomo o una donna e ne
segue la morte, il bue sarà lapidato e non se ne mangerà la carne. Però il
proprietario del bue è innocente. Ma se il bue era solito cozzare con le corna
già prima e il padrone era stato avvisato e non lo aveva custodito, se ha
causato la morte di un uomo o di una donna, il bue sarà lapidato e anche il suo
padrone dev'essere messo a morte. Se invece gli viene imposta una
compensazione, egli pagherà il riscatto della propria vita, secondo quanto gli
verrà imposto. Se cozza con le corna contro un figlio o se cozza contro una
figlia, si procederà nella stessa maniera. Se il bue colpisce con le corna uno
schiavo o una schiava, si pagheranno al padrone trenta sicli d'argento e il bue
sarà lapidato.
278
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Quando un uomo lascia una cisterna aperta oppure quando un uomo
scava una cisterna e non la copre, se vi cade un bue o un asino, il proprietario
della cisterna deve dare l'indennizzo: verserà il denaro al padrone della bestia e
l'animale morto gli apparterrà.
Quando il bue di un uomo cozza contro il bue del suo prossimo e ne causa
la morte, essi venderanno il bue vivo e se ne divideranno il prezzo; si
divideranno anche la bestia morta. Ma se è notorio che il bue cozzava già prima
e il suo padrone non lo ha custodito, egli dovrà dare come indennizzo bue per
bue e la bestia morta gli apparterrà.
Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo scanna o lo vende,
darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi
di bestiame per il montone”.
Es. 22: “Se un ladro viene sorpreso mentre sta facendo una breccia in un
muro e viene colpito e muore, non vi è vendetta di sangue. Ma se il sole si
era già alzato su di lui, a suo riguardo vi è vendetta di sangue. Il ladro dovrà
dare l'indennizzo: se non avrà di che pagare, sarà venduto in compenso
dell'oggetto rubato. Se si trova ancora in vita e in suo possesso ciò che è stato
rubato, si tratti di bue, di asino o di montone, restituirà il doppio.
Quando un uomo usa come pascolo un campo o una vigna e lascia che il
suo bestiame vada a pascolare nel campo altrui, deve dare l'indennizzo con il
meglio del suo campo e con il meglio della sua vigna.
Quando un fuoco si propaga e si attacca ai cespugli spinosi, se viene
bruciato un mucchio di covoni o il grano in spiga o il grano in erba, colui che ha
provocato l'incendio darà l'indennizzo.
Quando un uomo dá in custodia al suo prossimo argento od oggetti e poi
nella casa di questo uomo viene commesso un furto, se si trova il ladro,
restituirà il doppio. Se il ladro non si trova, il padrone della casa si accosterà a
Dio per giurare che non ha allungato la mano sulla proprietà del suo prossimo.
Qualunque sia l'oggetto di una frode, si tratti di un bue, di un asino, di un
montone, di una veste, di qualunque oggetto perduto, di cui uno dice: E`
questo!, la causa delle due parti andrà fino a Dio: colui che Dio dichiarerà
colpevole restituirà il doppio al suo prossimo.
Quando un uomo dá in custodia al suo prossimo un asino o un bue o un
capo di bestiame minuto o qualsiasi bestia, se la bestia è morta o si è
prodotta una frattura o è stata rapita senza testimone, tra le due parti interverrà
un giuramento per il Signore, per dichiarare che il depositario non ha allungato
la mano sulla proprietà del suo prossimo. Il padrone della bestia accetterà e
l'altro non dovrà restituire. Ma se la bestia è stata rubata quando si trovava
presso di lui, pagherà l'indennizzo al padrone di essa. Se invece è stata
sbranata, la porterà in testimonianza e non dovrà dare l'indennizzo per la bestia
sbranata.
Quando un uomo prende in prestito dal suo prossimo una bestia e questa
si è prodotta una frattura o è morta in assenza del padrone, dovrà pagare
l'indennizzo. Ma se il padrone si trova presente, non deve restituire; se si tratta
di una bestia presa a nolo, la sua perdita è compensata dal prezzo del noleggio.
279
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Quando un uomo seduce una vergine non ancora fidanzata e pecca con
lei, ne pagherà la dote nuziale ed essa diverrà sua moglie. Se il padre di lei si
rifiuta di dargliela, egli dovrà versare una somma di denaro pari alla dote
nuziale delle vergini.
Non lascerai vivere colei che pratica la magìa.
Chiunque si abbrutisce con una bestia sia messo a morte.
Colui che offre un sacrificio agli dei, oltre al solo Signore, sarà votato allo
sterminio.
Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri
nel paese d'Egitto.
Non maltratterai la vedova o l'orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da
me l'aiuto, io ascolterò il suo grido, la mia collera si accenderà e vi farò morire di
spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani.
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te,
non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto
del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come
potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l'aiuto, io
ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso.
Non bestemmierai Dio e non maledirai il principe del tuo popolo.
Non ritarderai l'offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo
frantoio. Il primogenito dei tuoi figli lo darai a me. Così farai per il tuo bue e per il
tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre, l'ottavo giorno me lo
darai.
Voi sarete per me uomini santi: non mangerete la carne di una bestia
sbranata nella campagna, la getterete ai cani”.
Es. 23: “Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per
essere testimone in favore di un'ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per
agire male e non deporrai in processo per deviare verso la maggioranza, per
falsare la giustizia. Non favorirai nemmeno il debole nel suo processo.
Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai
ricondurre. Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non
abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo.
Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo.
Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l'innocente e il giusto,
perché io non assolvo il colpevole. Non accetterai doni, perché il dono acceca
chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti.
Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché
siete stati forestieri nel paese d'Egitto.
Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo
anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna. Così
farai per la tua vigna e per il tuo oliveto.
Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché
possano goder quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua
schiava e il forestiero.
Farete attenzione a quanto vi ho detto: non pronunciate il nome di altri dei;
non si senta sulla tua bocca!
Tre volte all'anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi:
mangerai azzimi durante sette giorni, come ti ho ordinato, nella ricorrenza del
mese di Abib, perché in esso sei uscito dall'Egitto. Non si dovrà comparire
davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei
tuoi lavori, di ciò che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine
dell'anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi.
Tre volte all'anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio.
Non offrirai con pane lievitato il sangue del sacrificio in mio onore e il
grasso della vittima per la mia festa non starà fino al mattino. Il meglio delle
primizie del tuo suolo lo porterai alla casa del Signore, tuo Dio. Non farai
cuocere un capretto nel latte di sua madre.
Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per
farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza,
ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra
trasgressione, perché il mio nome è in lui.
Se tu ascolti la sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e
l'avversario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e
ti farà entrare presso l'Amorreo, l'Hittita, il Perizzita, il Cananeo, l'Eveo e il
Gebuseo e io li distruggerò, tu non ti prostrerai davanti ai loro dei e non li
servirai; tu non ti comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire e
dovrai frantumare le loro stele.
Voi servirete al Signore, vostro Dio. Egli benedirà il tuo pane e la tua acqua.
Terrò lontana da te la malattia. Non vi sarà nel tuo paese donna che abortisca o
che sia sterile. Ti farò giungere al numero completo dei tuoi giorni. Manderò il
mio terrore davanti a te e metterò in rotta ogni popolo in mezzo al quale
entrerai; farò voltar le spalle a tutti i tuoi nemici davanti a te. Manderò i calabroni
davanti a te ed essi scacceranno dalla tua presenza l'Eveo, il Cananeo e
l'Hittita. Non li scaccerò dalla tua presenza in un solo anno, perché il paese non
resti deserto e le bestie selvatiche si moltiplichino contro di te. A poco a poco li
scaccerò dalla tua presenza, finché avrai tanti figli da occupare il paese.
Stabilirò il tuo confine dal Mare Rosso fino al mare dei Filistei e dal deserto fino
al fiume, perché ti consegnerò in mano gli abitanti del paese e li scaccerò dalla
tua presenza.
Ma tu non farai alleanza con loro e con i loro dei; essi non abiteranno più nel
tuo paese, altrimenti ti farebbero peccare contro di me, perché tu serviresti i loro
dei e ciò diventerebbe una trappola per te”.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Es. 24: “Aveva detto a Mosè: Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e
Abiu e insieme settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, poi
Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si avvicineranno e il
popolo non salirà con lui.
Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto
il popolo rispose insieme e disse: Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li
eseguiremo!
Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì
un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele.
Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare
giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra
metà sull'altare.
Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo.
Dissero: Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!
Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: Ecco il sangue
dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste
parole!.
Poi Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele. Essi
videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di
zaffiro, simile in purezza al cielo stesso. Contro i privilegiati degli Israeliti non
stese la mano: essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero.
Il Signore disse a Mosè: Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò
le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli.
Mosè si alzò con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio.
Agli anziani aveva detto: Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da
voi; ecco avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà
a loro. Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte.
La Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì
per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La Gloria
del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla
cima della montagna.
Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul
monte quaranta giorni e quaranta notti”.
L’alleanza consta di quattro elementi, tutti costitutivi di essa, fondamentali,
essenziali.
-
282
La Promessa di Dio: Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la
mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è
tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa.
Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per
farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza,
ascolta la sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu ascolti la sua voce
e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l'avversario dei tuoi
avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare
presso l'Amorreo, l'Hittita, il Perizzita, il Cananeo, l'Eveo e il Gebuseo e io li
distruggerò, tu non ti prostrerai davanti ai loro dei e non li servirai; tu non ti
comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire e dovrai frantumare
le loro stele. Voi servirete al Signore, vostro Dio. Egli benedirà il tuo pane
e la tua acqua. Terrò lontana da te la malattia. Non vi sarà nel tuo paese
donna che abortisca o che sia sterile. Ti farò giungere al numero completo
dei tuoi giorni. Manderò il mio terrore davanti a te e metterò in rotta ogni
popolo in mezzo al quale entrerai; farò voltar le spalle a tutti i tuoi nemici
davanti a te. Manderò i calabroni davanti a te ed essi scacceranno dalla tua
presenza l'Eveo, il Cananeo e l'Hittita. Non li scaccerò dalla tua presenza in
un solo anno, perché il paese non resti deserto e le bestie selvatiche si
moltiplichino contro di te. A poco a poco li scaccerò dalla tua presenza,
finché avrai tanti figli da occupare il paese. Stabilirò il tuo confine dal Mare
Rosso fino al mare dei Filistei e dal deserto fino al fiume, perché ti
consegnerò in mano gli abitanti del paese e li scaccerò dalla tua presenza.
Ma tu non farai alleanza con loro e con i loro dei; essi non abiteranno più
nel tuo paese, altrimenti ti farebbero peccare contro di me, perché tu
serviresti i loro dei e ciò diventerebbe una trappola per te”.
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Il Dono della Legge: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal
paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a
me”. La Legge consta dei dieci comandamenti, ai quali vengono ad
aggiungersi tutte le altre parole contenute nei cc. 20.21.22.23.
-
L’impegno del popolo: “Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla
presenza del popolo. Dissero: Quanto il Signore ha ordinato, noi lo
faremo e lo eseguiremo!”.
-
L’atto di stipula: “Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di
buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le
dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti
e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè
prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà
sull'altare… Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo,
dicendo: Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con
voi sulla base di tutte queste parole!”.
Come si può constatare l’Alleanza è un patto, che si fonda su una promessa
e su un impegno. La promessa è subordinata all’impegno. Se viene meno
l’impegno, anche la promessa di certo verrà meno, perché non vi è più obbligo
di osservare l’alleanza stipulata.
L’alleanza è nel segno del sangue. Sappiamo che il sangue è la vita. Una
sola vita ormai dovrà esserci: quella di Dio, manifestata nella sua volontà,
concretizzata nella Legge.
Se il popolo mantiene fede alla legge della vita, esso sarà sempre nella vita che
Dio preparerà per lui. Se invece viene meno alla legge, esso ritornerà nella
morte, perché senza osservanza della legge non c’è alleanza e quindi non c’è
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
vita. La fedeltà alla legge manterrà sempre valida l’alleanza e quindi la
promessa del Signore in favore del suo popolo.
La promessa, o la vita promessa, è quella contenuta nell’atto di fondazione, o di
stipula dell’alleanza.
Come si può constatare tutto è fuori dell’uomo. Ancora Dio non ha posto mano
al suo rinnovamento interiore. Per questo occorre una nuova alleanza. Sarà con
questa che tutto avverrà nel cuore dell’uomo e niente più fuori di esso.
Il versetto 9 dal quale siamo partiti per cogliere la verità e la consistenza
dell’Antica Alleanza ci dice che questa alleanza fu quasi sempre violata,
calpestata. Poiché essa è bilaterale, il Signore non poteva mantenere fede alla
sua promessa, che era condizionata, subordinata all’osservanza dei
comandamenti, o semplicemente di tutta la Legge del Sinai.
L’Autore dice tutto questo con l’espressione: poiché essi non sono rimasti
fedeli alla mia alleanza, anch'io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
Come si può constatare tutta l’Alleanza regge sulla Legge, è ai fini della Legge.
La Legge è la volontà di Dio.
Israele si impegna a rimanere nella volontà di Dio. Questa è la vera essenza
dell’Alleanza.
Tutto però è fuori dell’uomo e l’uomo stesso è lasciato nella sua vecchia natura,
in quella che si è fatta dopo il peccato, natura divisa, impossibile da governare,
difficile da aggiogare alla Legge di Dio.
Tuttavia lo abbiamo già detto: Dio lavora sempre con un uomo storico e l’uomo
storico è quello che non solo è stato concepito nel peccato, ma anche quello
che è stato deformato dalla sua cultura, cultura del tempo e dello spazio.
Quest’uomo il Signore prende, quest’uomo educa, quest’uomo forma, con
quest’uomo stringe un’alleanza, con quest’uomo cammina. Lavorando e
“faticando” con lui giorno e notte di sicuro riuscirà a condurlo dove è suo
desiderio che venga condotto.
Con la promessa della Nuova Alleanza ciò che prima era fuori dell’uomo, ora si
fa, diviene interiore all’uomo. Prima Dio ha cercato di entrare nel cuore
dell’uomo attraverso la Legge, espressione della sua volontà. Ora è Lui stesso
che vi entra. Sarà questa “entrata” che rinnoverà l’uomo.
Dio “entra” nell’uomo, perché l’uomo “entri” in Dio. La partecipazione della
divina natura è il dono per eccellenza della Nuova Alleanza. Senza nulla
anticipare di ciò che Dio ancora non dice espressamente, seguiamo l’Autore nei
suoi ragionamenti, deduzioni e conclusioni.
[10]E questa è l'alleanza che io stipulerò con la casa d'Israele dopo quei
giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò
nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.
Prima la Legge è stata scritta su tavole di Pietra, subito rotte da Mosè a causa
dell’infedeltà del popolo, a motivo della immediata violazione dell’Alleanza
stipulata qualche giorno prima. È stato sufficiente che Mosè salisse sul Monte di
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Dio e vi restasse qualche giorno perché il popolo subito si corrompesse e si
abbandonasse all’idolatria.
Ecco come sono andati i fatti, in quella prima trasgressione dell’Alleanza, con la
conseguenza immediata della rottura delle Tavole della Legge appena
consegnate a Mosè.
Es. 32 : Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si
affollò intorno ad Aronne e gli disse: Facci un dio che cammini alla nostra
testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto,
non sappiamo che cosa sia accaduto. Aronne rispose loro: Togliete i
pendenti d'oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli
a me. Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò
ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne
ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: Ecco il tuo Dio, o Israele,
colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!
Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò:
Domani sarà festa in onore del Signore. Il giorno dopo si alzarono presto,
offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per
mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.
Allora il Signore disse a Mosè: Va’, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai
fatto uscire dal paese d'Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad
allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di
metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e
hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese
di Egitto.
Il Signore disse inoltre a Mosè: Ho osservato questo popolo e ho visto che è un
popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li
distrugga. Di te invece farò una grande nazione.
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: Perché, Signore, divamperà la
tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande
forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha
fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti
dall'ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo
popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai
giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa
come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai
tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre. Il Signore abbandonò
il proposito di nuocere al suo popolo.
Mosè ritornò e scese dalla montagna con in mano le due tavole della
Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall'altra. Le
tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle
tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: C'è
rumore di battaglia nell'accampamento.
Ma rispose Mosè: Non è il grido di chi canta: Vittoria! Non è il grido di chi canta:
Disfatta! Il grido di chi canta a due cori io sento. Quando si fu avvicinato
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
all'accampamento, vide il vitello e le danze. Allora si accese l'ira di Mosè:
egli scagliò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi della montagna.
Poi afferrò il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino
a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell'acqua e la fece trangugiare agli
Israeliti. Mosè disse ad Aronne: Che ti ha fatto questo popolo, perché tu
l'abbia gravato di un peccato così grande?
Aronne rispose: Non si accenda l'ira del mio signore; tu stesso sai che questo
popolo è inclinato al male. Mi dissero: Facci un dio, che cammini alla nostra
testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto,
non sappiamo che cosa sia capitato.
Allora io dissi: Chi ha dell'oro? Essi se lo sono tolto, me lo hanno dato; io l'ho
gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello. Mosè vide che il popolo non
aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne il
ludibrio dei loro avversari.
Mosè si pose alla porta dell'accampamento e disse: Chi sta con il Signore,
venga da me! Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Gridò loro: Dice il
Signore, il Dio d'Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e
ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio
fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente. I figli di Levi agirono
secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del
popolo. Allora Mosè disse: Ricevete oggi l'investitura dal Signore; ciascuno di
voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi Egli vi accordasse
una benedizione.
Il giorno dopo Mosè disse al popolo: Voi avete commesso un grande
peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra
colpa. Mosè ritornò dal Signore e disse: Questo popolo ha commesso un
grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro
peccato... E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!
Il Signore disse a Mosè: Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato
contro di me. Ora va’, conduci il popolo là dove io ti ho detto. Ecco il mio
angelo ti precederà; ma nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato. Il
Signore percosse il popolo, perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne”.
Ora il Signore promette una cosa inaudita. Egli non scriverà più la Legge su
delle tavole di pietra, la scriverà sulla tavola del loro cuore, che non sarà più di
pietra, ma di carne.
Nella carne dell’uomo scriverà la legge. La scriverà nella mente, la scriverà nel
cuore. La porrà e la imprimerà nell’essenza stessa dell’uomo.
Farà la mente di verità, il cuore di volontà di Dio. Questo può avvenire solo per
una sostanziale, essenziale modifica dell’essere stesso dell’uomo.
Darà il Signore una nuova conformazione alla natura dell’uomo. Come ora essa
è conformata al peccato e nel peccato, così quando il Signore stipulerà questa
nuova alleanza, la mente e il cuore saranno conformati alla verità, alla volontà
di Dio, alla Legge. Non si tratta quindi di un cambiamento di “materia” per
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
scrivere la Legge: prima la pietra, ora il cuore e la mente; bensì del
cambiamento “nella materia”.
La “materia” questa volta sarà il cuore e la mente dell’uomo, ma sarà la stessa
materia ad essere trasformata, mutata, cambiata, fatta nuova.
La novità è questa: essa sarà fatta di volontà del Signore. La sua nuova
“carne”, la carne della mente e del cuore sarà una carne intessuta, formata,
scritta di volontà di Dio.
Come ora “naturalmente” l’uomo è formato di peccato, di peccato intessuto e
quindi la sua natura è attratta dal peccato, perché il peccato chiama il peccato,
così con la Nuova Alleanza, la natura dell’uomo formata di verità, di volontà di
Dio, di Legge santa, verso la verità è attratta e dalla Legge è conquistata.
Essa vivrà per fare la volontà di Dio allo stesso modo che ora vive per stare
lontano dalla volontà di Dio.
Lo si è potuto constatare con il “caso del vitello d’oro”. Mosè sale sul Monte di
Dio e il popolo si lascia attrarre dall’idolatria. Lui è nell’intimo senza Dio e da chi
non è Dio si lascia attrarre e conquistare.
Neanche Aronne ha potuto fare qualcosa. Non ha potuto fare, perché anche lui
impastato di peccato e anche lui tendente per natura all’idolatria.
Il primo frutto di questa Nuova Alleanza è questo: Dio sarà il Signore del
popolo, il popolo sceglierà Dio come suo Signore.
Dio sarà del popolo, il popolo sarà di Dio. Saranno l’Uno per l’altro nella verità,
nella giustizia, nella Legge, nella vera santità.
Ci sarà un’attrazione reciproca, un dono reciproco. Questo dono e questa
attrazione si chiama amore sponsale.
La Nuova Alleanza sarà nel segno dello sposalizio tra Dio e l’umanità, tra Dio e
l’uomo, tra Dio è il popolo.
Questo sposalizio non potrà reggersi se non nella legge dell’amore e l’amore è
il dono di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio. Dono totale, completo, perfetto,
eterno.
Dio scrive se stesso nel cuore dell’uomo, si imprime in esso, e l’uomo lo ama di
un amore totalizzante il suo essere. Questa è la Nuova Alleanza che Dio
promette di stipulare con la casa di Israele e con la casa di Giuda e per mezzo
di esse, con tutta l’umanità.
[11]Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio
fratello, dicendo: Conosci il Signore! Tutti infatti mi conosceranno, dal più
piccolo al più grande di loro.
Ciò che il Signore promette nella Nuova Alleanza è qualcosa di veramente
inaudito.
Il Signore non è più conosciuto per istruzione, per formazione, per
ammaestramento, o anche indottrinamento nel senso più buono del termine. Il
Signore sarà conosciuto “naturalmente”. È come se la stessa natura dell’uomo
fosse impregnata di vera, autentica conoscenza di Dio.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Qui bisogna operare una piccola distinzione: questa conoscenza di Dio, vera,
autentica si differenzia dall’altra, quella dottrinale, che è conoscenza del mistero
di Dio attraverso ciò che Dio ha rivelato e detto nel corso dei secoli.
Questa seconda conoscenza è una conoscenza storica, di ciò che è avvenuto,
di ciò che è stato detto, di ciò che si è compreso di Dio e di come lo si è
compreso. È una conoscenza che noi oggi diremmo teologica.
Altra invece è la conoscenza di cui parla il Signore nella promessa della Nuova
Alleanza. Questa conoscenza è sapienziale, è il sentire secondo Dio, l’amare
secondo Dio, il volere secondo Dio, il vedere ogni cosa secondo Dio, è
relazionarsi con il mondo e con gli uomini secondo la verità di Dio, in ogni
tempo, in ogni momento, in ogni relazione, in ogni evento della vita.
Questa conoscenza è sapienziale perché l’uomo gusta Dio in sé, sente il
“sapore di Lui” e secondo questo sapore egli agisce.
Si tratta di una conoscenza “non razionalizzabile”, si ha nel cuore, nello spirito,
nei sentimenti, nell’anima. Poiché la si ha, secondo essa anche si vive e si
agisce sempre e in ogni modo.
Questa conoscenza è dono di Dio, ma perché lo si possa conservare nel cuore
e poi vivere sempre e comunque secondo la sua forza di verità, occorre che il
cuore dell’uomo sia nella santità, sia cioè sempre nel perfetto amore del suo
Dio e per questo occorre che Lui metta ogni impegno a vincere la tentazione, a
stare lontano dal peccato, a vivere crescendo ogni giorno di più in grazia, per
crescere in sapienza.
È questa conoscenza sapienziale, “naturale”, perché dono di Dio alla nostra
natura redenta e santificata in Cristo, la forza del cristianesimo.
Nel cristianesimo non sono le alte scuole di dottrina la sua forza, sono invece i
suoi figli che hanno scelto di amare Dio e in questo amore trasmettono tutta la
sapienza che è in loro.
Questo ci fa dire che le anime più semplici, quelle che non sanno neanche cosa
sia il Vangelo perché mai lo hanno letto, quelle che mai hanno frequentato un
corso di catechismo, sono proprio queste che possiedono una coscienza così
delicata, così formata, così attenta fino a rasentare lo scrupolo, capace di
discernere il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto in una
precisione divina.
Dinanzi a queste coscienze bisogna solamene inchinarsi, lodare il Signore,
benedirlo e ringraziarlo perché mai abbandona i suoi figli e con vie che solo lui
conosce le forma alla scuola della sua sapienza e dona loro il gusto di Sé, della
sua verità, del suo mistero, della sua santità, della sua volontà. Dona anche la
forza per compiere ciò che di Dio si gusta di giorno in giorno, in un cammino di
una sempre più grande santità.
Nessuno dovrà istruire l’altro, perché chi istruisce i cuori è il Signore. Nessuno
dovrà formare l’altro, perché chi forma è Dio. Tutti conosceranno il Signore, dal
più piccolo al più grande, perché il dono di Dio è veramente per tutti, nessuno
escluso, dal momento che la salvezza è per tutti e che Dio non fa preferenze di
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
persone. L’amore è verso tutti, è universale, senza alcuna distinzione né di età,
né di cultura, né di luogo, né di alcuna altra motivazione della nostra terra.
Questo significa forse che non ci sia bisogno dell’altra formazione, quella
teologica, che è conoscenza esterna, per apprendimento.
Dell’altra abbiamo bisogno, ma solo se questa conoscenza sapienziale è in noi.
Se questa manca, l’altra non ci sarà di alcuno aiuto. Sarà una cosa esteriore a
noi, come ogni altra conoscenza acquisita, ma in nessun caso toccherà la
nostra anima, il nostro cuore, i nostri sentimenti.
Altra verità è questa: ognuno di noi deve chiedere a Dio per sé e per gli altri
questo dono, il dono di questa sapienza. Deve chiederlo con preghiera
incessante, perché sarà su questa sapienza che si costruirà la propria
santificazione.
È infatti questa sapienza che ci dona il vero gusto di Dio; l’altra al massimo
potrà servire come punto di confronto, di verifica. In nessun caso l’altra potrà
sostituire questa.
Questa conoscenza sapienziale è a fondamento di ogni altra conoscenza e chi
non possiede questa, anche se possiede le altre – e sarà veramente difficile
che le possa possedere – quelle non lo aiutano in nessun caso nel cammino
della sua salvezza, perché non lo portano alla vera santificazione del suo corpo
e della sua anima.
Questa conoscenza è dono attuale di Dio. Il Signore lo versa nei nostri cuori,
versando quotidianamente il suo Spirito di sapienza, di conoscenza, di scienza,
di pietà, di fortezza, di amore, di timore, di santità, di verità, di scienza e di
dottrina.
È lo Spirito il creatore nei cuori di questa vera sapienza e conoscenza per
trasformazione della nostra natura, secondo quanto detto quando si è parlato
del significato della scrittura della legge nel nostro cuore e nella nostra mente.
[12]Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro
peccati.
Ciò che il Signore promette ora è qualcosa di veramente inaudito, nuovo,
nuovissimo.
Il Signore promette di perdonare le iniquità del suo popolo, di non ricordarsi più
dei suoi peccati.
Il perdono di Dio non avviene solo per la cancellazione del debito, per un atto
giuridico. Lui cancella il debito e il peccato non c’è più, la colpa è stata rimessa.
Dio non perdona cancellando solo il peccato. Dio perdona rinnovando l’uomo,
trasformandolo, togliendo ed eliminando anche le conseguenze del peccato, di
ogni peccato.
A volte le conseguenze fisiche non si possono eliminare, quelle spirituali sì che
si possono eliminare. Queste conseguenze il Signore le elimina tutte, perché il
suo concetto di perdono è di nuova creazione, di una “fattura” nuova del cuore
e della mente dell’uomo.
289
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Se colleghiamo il perdono delle iniquità con la scrittura nel cuore della legge,
comprendiamo perfettamente tutti i benefici della Nuova Alleanza promessa al
suo popolo per bocca del profeta Geremia.
Questa Nuova Alleanza può essere compresa secondo verità solo se si fa
riferimento alla nuova creazione dell’uomo, alla formazione in noi di una vera
nuova natura, nuova nascita, nuova vita, nuova essenza, nuova storia, nuova
relazione, nuova esistenza dell’uomo.
Tutto questo ci è concesso attraverso una generazione nuova. Questa
generazione è vera morte al peccato, vera risurrezione in novità di vita. Questa
novità di vita è per nuova nascita: nascita da acqua e da Spirito Santo.
Nel perdono il Signore non ricorda le colpe cancellate. Non le ricorda perché
con la rigenerazione è come se il soggetto che ha peccato non esistesse più.
C’è, ma è come se non esiste. Non esiste perché è morto al peccato e chi
muore, muore con tutta la sua natura e la trasporta nel sepolcro.
Colui che è morto è rinato però a nuova vita. Ora è proprio questa nuova
rinascita che fa sì che il peccato non venga più ricordato. Non può più essere
ricordato, perché il soggetto che ha peccato è morto, senza però rimanere nella
morte: è morto, ma è ritornato in vita.
Questo ci fa dire che la cancellazione delle colpe, o il non ricordo delle iniquità
non è solamente un atto della volontà di Dio, che toglie, ma che lascia l’uomo
così come egli è: nella sua natura corrotta, di peccato, di male.
Il non ricordo è insieme per cancellazione e per creazione di una nuova natura;
è per perdono ma anche per generazione nuova. Chi si veste di una nuova
natura, chi viene nuovamente generato, perde il male di cui era avvolto,
acquisisce tutta la ricchezza spirituale della nuova nascita, della nuova
creazione.
Anche per noi questo implica un modo nuovo di vederci, concepirci, pensarci.
Dobbiamo vederci nuovi nella natura e se nuovi, da uomini nuovi dobbiamo
anche comportarci. Il nostro operare deve trovare perfetta corrispondenza con il
nostro nuovo essere.
Questa è la verità secondo la quale dobbiamo vivere. Sarebbe veramente non
senso aver ricevuto la sapienza del cuore come dono di Dio nel suo Santo
Spirito, essere rinati a vita nuova, essere stati generati come nuove creature,
esser morti al peccato e risorti alla stessa santità e verità di Cristo, se poi tutto
questo non lo facciamo divenire forma ed essenza della nostra volontà, dei
nostri pensieri, del nostro cuore, della nostra stessa anima.
Possiamo così formulare una prima conclusione: Ci sarà una Nuova Alleanza,
ma questa non sarà fuori dell’uomo; sarà tutta e interamente nell’uomo: sarà nel
suo cuore, nella sua volontà, in tutto il suo essere.
Questa Nuova Alleanza avverrà per trasformazione del proprio essere di pietra,
di peccato, di colpa, di trasgressione in un essere nuovo, rigenerato per la
potenza dello Spirito Santo, santificato in Cristo e reso una cosa sola con Lui.
Sarà una vera partecipazione della divina natura che ci farà sentire il gusto di
Dio e l’amore per la sua sapienza, la sua verità, la sua volontà. Dio
290
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
comunicherà, darà tutto se stesso all’uomo, l’uomo darà, comunicherà tutto se
stesso a Dio, in un crescendo perenne nella sua sapienza e nella carità che
sono la fonte di ogni vera vita spirituale.
[13]Dicendo però alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima;
ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire.
Apparentemente questo versetto potrebbe sembrare una logica conclusione.
C’è una Nuova Alleanza promessa da Dio. C’è una vecchia alleanza, stipulata
con i figli di Israele al monte Sinai con Mosè che non ci sarà più.
C’è il nuovo che avanza, c’è l’antico che retrocede e sparisce. Tutto questo è
vero, ma non è questo ciò che l’Autore vuole insegnarci con questa sua frase
posta a conclusione del capitolo ottavo.
Riprendiamo il filo del suo discorso che è il Sacerdozio di Cristo Gesù.
Cristo Gesù è Sacerdote alla maniera di Melchisedek per stipulare con Dio e
l’umanità intera questa Nuova Alleanza, i cui contenuti di verità e di santità sono
stati or ora espressi e manifestati.
Se cade l’Alleanza Antica, cade tutto ciò che è legato ad essa.
Cadono le promesse, cade la benedizione, cade il sacerdozio, cade la legge,
cadono le istituzioni. Nelle promesse cade anche il possesso della terra, cade
anche il popolo. Tutto cade, tutto sparisce, tutto viene sostituito e chiamato ad
inserirsi come parte viva e vitale della Nuova Alleanza.
Si è detto che l’Alleanza Antica consta di quattro parti:
-
La promessa (= possesso della terra – benedizione)
-
La legge (= dieci comandamenti)
-
L’impegno (= eseguire ogni volere del Signore)
-
Il rito della stipulazione (= sacrificio dell’animale e unione di sangue tra
Dio, simboleggiato dall’Altare, ed il popolo)
Queste quattro parti cadono, vengono sostituite dalle nuove parti, che sono
anch’esse quattro, secondo lo spirito e la lettera dell’Alleanza.
Se tutto cade, cade tutto ciò che consente a questa Alleanza di rimanere in
piedi. Se un solo elemento restasse valido, tutta l’alleanza resterebbe, sarebbe
valida e quindi necessiterebbe degli altri elementi, per poter continuare a
sussistere.
Invece poiché cadono tutte le parti e tutti i componenti, nessuno ha più bisogno
dell’altro componente. Non ha bisogno perché l’alleanza antica non c’è più.
Non ci sarà più il vecchio popolo, non ci sarà più il vecchio sacerdozio, né le
vecchie vittime, né le vecchie ritualità, o forme del servizio del culto.
Abrogando l’Antica Alleanza, Dio abroga anche il suo popolo. Se abroga il Suo
popolo, tutto ciò che attiene a quel popolo in relazione a Dio è abrogato. Anche
Israele se vuole essere di Dio, deve passare nella Nuova Alleanza. È un altro
mondo che nasce. Quel mondo destinato a perire ha avuto un unico scopo, una
291
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
sola finalità: dare a noi Cristo Gesù, perché in Lui, nel Suo sacerdozio,
nascesse l’umanità nuova con il nuovo stato dell’amore.
È difficile accogliere questa verità, ma essa è l’unica verità possibile. Altre verità
sono impossibili, perché non sono di Dio, ma dell’uomo, il quale vorrebbe
ancora ancorarsi all’Antica Alleanza, mentre essa è già stata sostituita dalla
Nuova, nella quale tutto è nuovo: sacerdozio, promessa, legge, rito, impegno,
conoscenza di ogni impegno.
Muore anche l’uomo vecchio, l’uomo dell’Antica Alleanza perché nella Nuova
Alleanza ci sarà posto solo per l’uomo nuovo, creato da Dio in Cristo, per la
giustizia vera.
Di questa Nuova Alleanza sommo ed eterno sacerdote alla maniera di
Melchisedek è Cristo Signore.
Egli è insieme sommo, eterno, il solo. Tutti gli altri sono chiamati ad esercitarlo
in Lui e lo esercitano “in Persona Christi”.
Questa conclusione non è minima, senza significato. Essa è di somma
importanza, di vitale importanza per il prosieguo della trattazione.
TU SEI SACERDOTE PER SEMPRE
Il punto capitale. Quando si insegna la verità di Dio, è giusto, anzi doveroso,
tenere sempre presente alla mente il punto capitale, dal quale ogni altra verità
prende inizio e anche nel quale essa termina, diviene cioè pienamente vera,
perfetta. Sovente accade che si perdono anni e anni in interminabili discussioni
proprio perché si perde di vista il punto capitale e ci si addentra in mille altri
viottoli che ci allontanano sempre di più dalla pienezza della verità, anzi la
oscurano ai nostri occhi e agli occhi del mondo intero. Ognuno è obbligato a
conoscere il punto capitale di ogni questione. È questa la sua saggezza. Chi
non possiede questa saggezza è semplicemente miope. È un cieco che guida
altri ciechi in una buca.
Sommo sacerdote così grande. Il punto capitale della nostra questione è
questo: Gesù non solo è Sacerdote della Nuova Alleanza. È l’unico, il solo,
l’eterno Sacerdote. Ancora: quello di Gesù è un Sacerdozio efficace:
compie la redenzione eterna dell’uomo. Egli è il solo Sacerdote, ma anche il
suo è l’unico sacrificio gradito al Signore. Tutto è nel suo Sacerdozio. Tutto è
dal suo Sacerdozio. Tutto è per il suo Sacerdozio. Tutto è con il suo
Sacerdozio. È questa la verità dalla quale iniziare e nella quale terminare se si
vuole progredire nella conoscenza della verità della salvezza.
Differenza di luogo: assiso alla destra del trono della maestà nei cieli. Alla
destra del Padre. Differenza del luogo e verità del luogo: vera tenda.
Aronne esercitava il suo sacerdozio entrando in una tenda costruita dall’uomo,
in un santuario della terra. Cristo Gesù entra nella tenda stessa del Cielo, entra
nel Cielo, direttamente alla presenza del Padre suo. Aronne entrava ed usciva
dalla tenda. Ora né entra e né esce. Lui è morto e non esercita più alcun
sacerdozio. Cristo Gesù è entrato nella tenda e vi è rimasto. Egli esercita il
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
suo sacerdozio in nostro favore in eterno. Egli è sacerdote in eterno alla
maniera di Melchisedek. La tenda nella quale entrava Aronne era solamente
figura, non realtà. Tutto era figura in Aronne e niente invece era realtà. In
Cristo Gesù invece tutto è realtà e niente è figura. Il suo è vero
sacerdozio, vero sacrificio, vera tenda, vera espiazione, vera
santificazione, vera efficacia, vera redenzione. La verità è l’essenza stessa
di Cristo e di tutto ciò che Lui è ed ha fatto, fa e farà per noi.
In Cristo tutto è eterno. In Aronne tutto è temporaneo. Tutto è eterno in
Cristo, perché nella sua Persona Cristo Gesù è eterno. Lui è morto, ma è
risorto. Ora è nell’eternità del suo corpo e della sua anima, nell’eternità della
sua vera umanità nel Cielo. Divenendo uomo, egli eternamente, per sempre
si è fatto uomo. Eternamente, per sempre, è stato costituito sacerdote.
Eternamente, per sempre esercita il suo ministero presso Dio. Egli è oggi
nella tenda celeste presso il Padre e intercede per noi. In Aronne invece
tutto era temporaneo, perché temporanea era la sua stessa vita. Ora egli è
morto e giace nella morte fino alla consumazione dei secoli. Ora egli non
esercita più alcun sacerdozio. Questa è la differenza tra Gesù ed Aronne:
l’eternità del sacerdote e dell’offerta; l’eternità del sacerdozio e del suo
esercizio.
Costituito per offrire doni e sacrifici. Per gli altri, per se stesso: Aronne.
Sostanziale differenza con il Sacerdozio di Cristo Gesù. Secondo la legge il
Sacerdote veniva costituito per offrire doni e sacrifici. Il sacerdote alla maniera
di Aronne offriva doni e sacrifici per se stesso e per gli altri. Cristo Gesù non
offre sacrifici per se stesso, li offre per noi. Non offre tanti sacrifici. Ne
offre uno solo. Non lo offre, offrendo cose o animali al Signore. Offre se
stesso. Offre la propria vita. Offre il proprio sangue. È anche questa
differenza sostanziale tra il sacerdozio di Aronne e quello di Cristo Gesù.
Questa verità deve condurci ad un’altra: nella Nuova Alleanza chi vuole offrire
qualcosa al Signore non può offrirla fuori di Lui, deve offrirla in Lui, offrendo se
stesso, donando la sua vita. È questa l’offerta gradita al Signore.
Storicamente si dimostra che Gesù non è sacerdote alla maniera di
Aronne. Nessuna confusione, nessuna commistione tra i due sacerdozi:
quello di Cristo e l’altro di Aronne. È un altro sacerdozio. Storicamente si
dimostra che Gesù non è sacerdote alla maniera di Aronne, perché Gesù non è
discendenza di Aronne. Egli è della Casa di Davide, della tribù di Giuda. La
Tribù di Giuda non poteva accedere al sacerdozio, perché questo era riservato
solo ai discendenti di Aronne e Aronne era della Tribù di Levi. Nessuna
confusione, commistione, nessun errore, nessuna ambiguità dovrà
coinvolgere i due sacerdozi. Sono differenti nella sostanza, nella storia,
nei modi, nelle forme, nella durata, in tutto, nel cielo e sulla terra. Tutto è
diverso. Niente è uguale. Quello di Cristo è semplicemente un altro
Sacerdozio. È un altro Sacerdozio per un’altra Alleanza. Questa la sostanza
della realtà.
L’Incarnazione è il nuovo assoluto di Dio, in Dio e fuori di Dio. Chi dona
novità eterna al Sacerdozio di Cristo è l’Incarnazione. Questa è il nuovo
assoluto in Dio e fuori di Dio. È l’assoluto in Dio perché è Dio che si fa
293
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
uomo. Il Creatore si fa creatura. Colui che crea si fa colui che è creato. Si
fa eternamente uomo. In Cristo, Dio è vero uomo e l’uomo è vero Dio. Dio,
in Cristo, è vero uomo e vero Dio. L’incarnazione è anche il nuovo
assoluto fuori di Dio, nella creazione, perché nessuna altra opera di Dio
all’interno della creazione potrà mai essere simile, uguale, o
semplicemente paragonabile a questa. È questa la verità dalla quale ogni
altra deve essere compresa, spiegata, conosciuta, annunziata, predicata.
Questa è la verità che dona verità piena ad ogni altra e senza di essa ogni
verità perde di valore.
Tutto è nuovo in Cristo e per Cristo. Cristo, essendo la novità assoluta in Dio
e nella creazione, conduce in questa assoluta novità ogni altra cosa. Egli è
colui che fa nuove tutte le cose, le fa nuove in Lui e per Lui, non fuori di
Lui. Ogni cosa riceve la sua novità per riferimento a Lui e tutto ciò che non
viene riferito a Lui resta nella sua vecchia essenza, vecchia natura contaminata
e corrosa dal peccato.
Figura è la tenda, figura il sacerdozio, figura l’offerta. La verità è Cristo.
Quanto avveniva nell’Antica Alleanza riceveva verità solo se riferito a Cristo che
doveva venire. Se non veniva riferito a Cristo, restava senza verità e quindi
privo di ogni incidenza nella storia. Cristo è la verità non solo del Nuovo
Testamento. È la verità anche dell’Antico. L’Antico vive per Lui, vive in
Lui, vive attendendo Lui. Vive sperando in Lui. Lui è la sua verità e senza
di Lui non c’è verità per l’Antico Testamento, non c’era e mai ci sarà. Tutto
deve guardare a Cristo il prima, il presente, il dopo, il tempo e l’eternità. Quanto
non guarda a Cristo rimane nella sua vanità, inutilità, peccato. Rimane
semplicemente nella morte. È nella morte quell’uomo che non guarda a Cristo e
non diviene con Cristo vita della sua vita e verità della sua verità.
È il Sacerdozio di Cristo punto di riferimento, punto di verità. Tutto diviene
nuovo, vero, santo, giusto a motivo del Sacerdozio di Cristo, della sua offerta
per la nostra redenzione eterna. È il Sacerdozio di Cristo l’unico punto di
riferimento, l’unica verità per tutto il genere umano. Il Sacerdozio Cristo lo
ha esercitato sulla croce. La croce diviene per ogni uomo l’unico punto di
verità, l’unico punto di riferimento. È dalla croce che si conosce la verità
dell’uomo, il suo valore. Si conosce la verità dell’uomo dalla croce, perché chi
si offre sulla croce per l’uomo, chi esercita il suo Sacerdozio in nostro favore è
Dio nella sua umanità.
Cristo è la luce, Aronne l’ombra. La luce è verità, novità. L’ombra segna che
c’è la luce, che esiste, ma fuori di essa. Aronne mostra la luce, indica la luce,
invia alla luce. Cristo è la luce, dona la luce, fa luce eterna ogni uomo che
crede in Lui. Anche questa è differenza sostanziale tra Cristo Gesù e Aronne.
Aronne è figura di Cristo, figura parziale, incompleta.
Ministro per eccellenza. Cristo Gesù è ministro per eccellenza della salvezza,
della redenzione, della giustificazione di ogni uomo. È ministro per eccellenza
perché è il solo e l’unico ministro. È il ministro eterno. Questa la verità del
suo ministero. Altra verità è la sua efficacia. Il suo ministero produce
come frutto una redenzione eterna, universale, piena, perfetta. Questa
redenzione può condurre alla santità più piena ogni uomo, di ogni razza, lingua,
294
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
popolo, tribù. Tutti possono essere santificati dal suo Sacerdozio e dalla sua
offerta.
Alleanza migliore. Migliori promesse. In virtù del sacerdozio di Cristo
Gesù. L’Alleanza è migliore perché migliori sono le promesse. La migliore
promessa, dalla quale ogni altra dipende, è la nuova creazione dell’uomo.
Da questa nuova creazione tutto è nuovo, tutto può essere fatto nuovo.
Dalla creazione nuova dell’uomo l’intero creato sarà chiamato, anche lui, ad un
rinnovamento di vita e di benedizione. Questa novità è possibile in virtù del
Sacerdozio di Cristo Gesù, della grazia che è frutto del suo sacrificio,
dello Spirito Santo che dalla croce si riversa sull’umanità per elevare ogni
uomo alla nuova dignità di figlio adottivo di Dio. È lo Spirito del Signore
dato ad ogni credente come suo principio di vita eterna la grande novità della
Nuova Alleanza.
Cristo Gesù immagine eterna e storica del vero uomo. Cristo Gesù è
immagine eterna ed insieme storica del vero uomo, perché il Signore ci ha
creati ad immagine del suo Figlio diletto. Ci ha creati guardano Lui, vedendo
Lui, creando l’immagine sua in noi. Cristo Gesù è anche immagine storica
dell’uomo perché ogni uomo è chiamato a divenire ciò che Cristo è,
percorrendo la stessa via di Cristo: la croce, che è perfetta obbedienza alla
volontà del Padre nostro che è nei Cieli. Siamo stati creati per realizzare Cristo,
in Cristo, con Cristo, per Cristo. Questa è la nostra vocazione.
Offertosi a Dio. Dato a noi. Cristo Gesù ha dato la vita al Padre per noi. Il
Padre ha dato Cristo a noi per la nostra salvezza. La salvezza è insieme dono
di Cristo e del Padre. Il Padre e Cristo ci donano lo Spirito Santo che forma in
noi Cristo e ci conduce verso la perfetta identità o similitudine con Lui.
Il VT tappa verso Cristo. Cristo è la vera vocazione dell’uomo. Cristo è la sua
vera immagine. Tutto, per essere se stesso, deve trovare la sua verità in Cristo:
Cielo, terra, uomini, mondo inanimato e animato. Se tutto trova la sua verità
in Cristo, anche l’Antico Testamento la trova. La trova se passa a Cristo.
La trova se si vede una tappa, anche se essenziale, di primaria
importanza, verso Cristo. Se l’Antico Testamento non passa a Cristo, esso
perde la sua consistenza, la sua verità. Diviene un momento nella storia della
salvezza, ma non è la storia della salvezza. Anzi ha perso ogni contatto con la
storia della salvezza, perché lo ha perso con la sua verità che è Cristo.
Il Nuovo Testamento tappa verso la verità tutta intera. Neanche il Nuovo
Testamento esaurisce il cammino della verità. Esso è tutto proteso verso la
verità tutta intera, dono dello Spirito Santo alla mente credente. Chi si ferma
alla sola lettera del Nuovo Testamento, anche costui è senza verità,
perché senza la pienezza della verità, la verità non è verità, è
semplicemente falsità. La teoria della “sola scriptura” è falsa, terribilmente
falsa, perché non c’è verità della Scrittura se non unitamente alla
Tradizione e al Magistero e Tradizione e Magistero accompagneranno la
lettera della Scrittura fino alla consumazione dei secoli. Scrittura,
Tradizione, Magistero sono la via attraverso la quale il cristiano è condotto di
verità in verità, fino alla verità tutta intera. Fermarsi, o assolutizzare una sola di
queste vie, è smarrire ogni cammino. È semplicemente abbandonare la via
295
Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
della verità per consegnarsi alla falsità tutta intera, camminando di falsità in
falsità, fino al non ritorno che è la perdizione eterna, o il peccato contro lo
Spirito Santo, che è il peccato della falsità assoluta.
Farsi verità di Cristo in Cristo. È questa la nostra vocazione: divenire verità di
Cristo in Cristo, santità di Cristo in Cristo, vita di Cristo in Cristo. Cristo Gesù è
l’immagine unica, perfetta, santa, immutabile che ognuno è chiamato a
realizzare in sé. È questa la santità: la nostra perfetta conformazione a
Lui. Per questo è necessario che Lui sia conosciuto nella più alta e piena
verità, e in questo abisso di verità l’uomo si immerga perché sia
trasformato in essa. Un cristianesimo senza verità, senza la verità di Cristo,
senza Cristo Verità, è un cristianesimo di tenebra e non di luce. Dove Cristo
Verità non brilla nel cuore del cristiano, lì è il fallimento di ogni cristianesimo.
Alleanza fondata nella vecchia natura dell’uomo. L’Antica Alleanza era
fondata sulla vecchia natura dell’uomo, per questo era inefficace quanto alla
salvezza. La Nuova invece è fondata sulla creazione di un nuova natura, di
un nuovo uomo. In questa novità è tutta la sua efficacia. Per questo motivo, o
ragione essenziale, bisogna che tutti passino dall’Antica alla Nuova, che
abbandonino la loro vecchia natura per entrare nella nuova natura che è creata
in loro dallo Spirito del Signore Gesù.
Cosa è il peccato. Peccato fuori solo dell’uomo? Peccato è morte.
Generalmente si ha del peccato una connotazione giuridica. Lo si pensa come
“realtà” fuori di noi. Esso è invece realtà dentro di noi, perché è realtà di morte.
Con il peccato infatti l’anima perde la carità e la grazia di Dio. Muore alla sua
verità, muore alla vita vera, muore alla giustizia, alla pace, a tutto ciò che è
frutto in essa della grazia e della verità di Dio. Morendo alla verità e alla
grazia, percorre sentieri di falsità e di morte, sentieri che la conducono in
baratri sempre più grandi, fino a fare professione di vera disumanità e di
ogni altra idolatria. Chi è in questa morte, da se stesso non si può riportare
nella vita. Gli occorre il dono della verità e della grazia di Dio; gli occorre
che Dio si faccia per l’anima dono di grazia e di verità. È questa la realtà
della Nuova Alleanza: Dio in Cristo, per opera dello Spirito Santo, si fa dono
di verità e di grazia, l’anima è ricondotta nella verità e nella grazia e
sempre per opera dello Spirito Santo cammina di verità in verità e di
grazia in grazia fino al compimento della perfetta configurazione con Gesù
Signore. Tutti coloro che concepiscono il peccato solo come atto fuori
dell’uomo, trasgressione dalle conseguenze solo giuridiche, nulla hanno
compreso né di Cristo Gesù, né della sua redenzione. Questa verità,
debitamente compresa, santamente vissuta, dona vita e splendore nuovo a
tutta la dottrina della soteriologia cristiana, per molti versi ancora ancorata ad
una concezione tutta giuridica del peccato.
Il concetto di profezia: ecco verranno giorni… Tra ciò che Dio annunzia e la
realtà del fatto annunziato vi è un abisso. Vi è l’abisso della realtà contenuta
nella Parola che è sempre inimmaginabile dall’uomo. L’abisso
dell’incomprensibilità di ogni profezia sta proprio nell’Incarnazione del
Verbo, prima; poi anche nei suoi doni di grazia e di verità. Se non si parte
da Dio, nulla si comprenderà mai delle Antiche Profezie, ma anche niente
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
si comprenderà del Vangelo della salvezza. La mente dell’uomo è incapace
di comprendere Dio. Poiché è Dio che opera nella sua Parola. Ogni Parola di
Vangelo, di Scrittura, dobbiamo pensarla alla maniera di Dio e non secondo la
nostra piccola, povera mente. Dio è novità assoluta, santità assoluta, verità
assoluta, grazia assoluta. Dio ha posto se stesso nella Parola. Si è posto e
vuole realizzare se stesso nell’uomo realizzando la Parola. Questa è l’assoluta
novità di Dio e della sua Parola. Poiché Dio vuole realizzare se stesso nel
credente, ogni credente fa parte di questa novità assoluta di Dio, ma lui non è
questa novità. La novità è sempre oltre se stesso, infinitamente oltre,
eternamente oltre, perché Dio infinitamente ed eternamente è sempre oltre
l’uomo, oltre ogni uomo, oltre l’intera umanità, oltre la creazione stessa.
Fermare Dio nella nostra esperienza, anche se santa, è fare l’infinito finito,
l’eterno tempo, il divino umano, l’immenso finito e limitato, l’increato
creato. Ogni cosa bisogna pensarla secondo il pensiero eterno di Dio e mai
secondo il pensiero di Dio, reso storia nella storia particolare di un uomo.
L’uomo, non un uomo. Anche questa è verità. Dio non è venuto per salvare
un uomo, o un popolo. Dio è venuto per salvare l’uomo, l’umanità intera. Dio si
è fatto uomo per la salvezza dell’uomo. L’universalità della salvezza è verità
eterna della fede in Cristo. Se è verità eterna, ad ogni uomo bisogna dare
Cristo. Ad ogni uomo è necessario che venga annunziato. Se non si fa questo,
si pecca contro la verità di Dio. Si pecca anche contro la verità dell’uomo
e la verità dell’uomo è una sola: la sua vocazione ad essere conforme
all’immagine di Gesù Signore. Anche questo mistero bisogna pensarlo
secondo il pensiero eterno di Dio e mai secondo il pensiero storico o le forme
religiose che la Parola ha assunto nel corso della storia. Tante forme religiose
non sono pensiero di Dio. Non essendolo, ogni tempo concesso ad esse,
è un tempo sottratto a realizzare nella storia il pensiero eterno del
Signore. Anche questo è peccato. Anche questo è lasciarsi fuorviare dalla
verità e dal pensiero eterno del Signore.
La volontà di Dio è prima del peccato. Dio è eterno. Nell’eternità di Dio non
c’è mutamento di pensiero, o condizionamento da parte della storia. Prima che
la storia iniziasse il suo cammino Dio vide la sua creazione, la vide
immersa nel peccato. In questa visione eterna, Lui, Dio vide, anzi vede
Cristo e la sua Incarnazione, vede l’uomo salvato e redento da Lui, vede il
mistero dell’Incarnazione. La salvezza dell’uomo è prima del suo peccato,
non dopo, perché prima del peccato dell’uomo è la croce di Cristo Gesù e non
dopo.
Nuova perché nuovi sono i contenuti. L’Alleanza è Nuova perché nuovi sono
i contenuti, nuova la realtà da essa annunziata, promessa. Nuovo è tutto ciò
che Dio si sta accingendo a realizzare per la salvezza dell’uomo. L’Alleanza è
Nuova perché fondata sul nuovo assoluto di Dio che è l’Incarnazione del
suo Figlio Unigenito per la nostra redenzione eterna. Essa non è Nuova
perché succede alla prima. Non è nuova perché viene dopo la prima. La novità
non è nell’ordine del tempo, né a motivo di qualche modifica accidentale. È
Nuova perché la promessa è tutta nuova, divinamente nuova perché
divinamente nuovo sarà fatto l’uomo da essa. In questa novità dobbiamo
inserire ogni nostro pensiero. Con questa novità esso dovrà sempre venire
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
verificato. In verità questa verifica non sempre è stata fatta e senza questa
verifica è facile, assai facile, avere pensieri non veri, non pienamente veri,
falsi, totalmente falsi. La falsità, o la poca verità non danno vita, non
generano mai pienezza di vita. Lasciano l’uomo nella morte e lo conducono in
una morte sempre più grande. Chi vuole la salvezza dell’uomo, lo deve portare
nella verità tutta intera. È la verità tutta intera la via della vita eterna.
La promessa. La Legge. L’impegno. Il rito del sangue. L’Alleanza (Antica e
Nuova) consiste di quattro verità: promessa, legge, impegno, sangue. Tra
l’Antica e la Nuova in queste quattro verità è avvenuto un cambiamento
sostanziale. Per questo cambiamento sostanziale la prima è Antica e la
secondo è Nuova. Nella Nuova Alleanza tutto è in Cristo, per Cristo, con Cristo.
La promessa è Cristo (divenire come Lui, in Paradiso, nel Cielo, per tutta
l’eternità, nella gloria della Sua risurrezione), la Legge è Cristo (è la sua
Parola, la sua verità, la sua santità, la sua giustizia da realizzare in noi), anche
l’impegno è Cristo (essere solo di Lui e per Lui, divenendo con Lui una sola
obbedienza, un solo sacrificio, una sola offerta, una sola morte), il sangue è di
Cristo, è quello che Lui ha versato per la nostra redenzione eterna, che è
offerto, ma anche bevuto per divenire con Lui una sola vita.
Nella prima Alleanza tutto fuori dell’uomo. Nella Nuova Alleanza tutto
ritorna nell’uomo. Nella prima Alleanza tutto era fuori dell’uomo, perché tutto
avveniva fuori di lui. Nella Nuova invece tutto è nell’uomo, perché tutto
avviene in lui. È lui che è rigenerato, rinnovato, giustificato, santificato,
elevato, fatto figlio di Dio, tempio dello Spirito Santo, Corpo di Cristo, vita
eterna della sua vita eterna e verità della sua verità. Questa è la
straordinaria novità che opera in noi la Nuova Alleanza stipulata nel sangue di
Cristo, consumata nel suo sacrificio.
Farà la mente di verità, il cuore di volontà di Dio. Per essenziale modifica
dell’essere stesso dell’uomo. Tutta questa ricchezza e abbondanza di grazia,
di verità, di novità si compie nella fede dell’uomo come dono iniziale. Tutto però
viene affidato all’uomo perché lo porti alla sua più grande fruttificazione e
maturazione. Per questo è necessario che lui faccia la sua mente di verità, il
suo cuore di santità, la sua volontà di Parola di Cristo. Più si trasformerà
in grazia e verità di Gesù Signore, realizzando ogni Parola di Cristo, più la
novità di Dio lo avvolgerà e lo trasformerà interiormente ed esteriormente.
Tutto dell’uomo manifesterà questa divina novità se si lascerà trasformare dalla
Parola di Cristo che lui vivrà tutta e in ogni sua parte. La Nuova Alleanza si
compie per essenziale modifica dell’essere stesso dell’uomo, ma questo
essere modificato, trasformato è consegnato all’uomo perché lo conduca
fino alla gloria della risurrezione in Cristo Gesù. Tutto è da Dio, ma anche
tutto è posto nelle mani dell’uomo e nella sua volontà.
Il cambiamento non è della materia, è “nella materia”. Dio scrive se stesso
nel cuore. È nella carne dell’uomo che avviene il cambiamento. Dio non crea
un’altra carne. Trasforma la carne, perché in essa scrive se stesso, la sua
verità, la sua santità, la sua stessa vita. È come se l’uomo si trasformasse
in essenza divina. Resta carne, ma tutta impregnata di Dio, di divinità, di
verità, di santità, di grazia, di misericordia, di ogni virtù divina. Questo è il
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
mutamento sostanziale che è avvenuto nell’uomo. Secondo questo
cambiamento l’uomo deve vivere. Chi non vive secondo la verità di Cristo,
attesta semplicemente che il suo modo di essere nella Nuova Alleanza
non è quello vero, perché resta fuori di Dio e Dio resta fuori di Lui. Lui
ancora non sa, perché non lo vive, che è divenuto veramente partecipe della
natura divina. È grande il mistero ed è grande la novità. Di questo mistero e di
questa novità è come se l’uomo avesse smarrito la conoscenza.
Conoscenza sapienziale. Conoscenza teologica. La conoscenza del bene
e del male. La sapienza vera la vera forza del cristianesimo. Del mistero di
Cristo l’uomo deve pervenire alla più alta conoscenza. La conoscenza dovrà
essere in lui sapienziale e teologica insieme. È sapienziale se lui gusta il
mistero, gusta Cristo, gusta la verità e in Cristo cresce, aumentando
quotidianamente il suo amore per Lui, osservando ogni Parola con
sempre più grande carità e sacrificio. Questo però da solo non è sufficiente.
Questa conoscenza del cuore, deve divenire anche conoscenza della mente e
quindi deve trasformarsi in conoscenza teologica, che all’occorrenza si fa
parola chiara di verità per rendere ragione della speranza che è in noi.
Questa conoscenza produce i suoi frutti se arriva alla perfetta separazione del
bene e del male, ma anche alla perfettissima separazione della volontà di Dio
dalla volontà dell’uomo, anche nei più piccoli e insignificanti desideri. Quando
si giunge a questa distinzione perfettissima, siamo nella vera conoscenza
sia sapienziale che teologica. Fino a che questa separazione perfettissima
non viene operata, rimaniamo nella non perfetta conoscenza, oppure nella
falsità. La forza del cristianesimo è in questa sapienza, in questa conoscenza,
in questa perfezione di verità.
Il perdono delle iniquità. Cosa è il perdono di Dio per l’uomo. Perdono e
rigenerazione del soggetto. Nuova nascita. Il perdono nella Nuova Alleanza
non è solo la remissione della colpa e della pena. Il perdono è purificazione
da ogni peccato, ma anche rigenerazione, elevazione, cambiamento dello
statuto dello stesso uomo che da creatura viene elevato all’altissima
dignità di figlio adottivo di Dio, erede del Paradiso, fruitore di ogni bene
divino, ricolmo di grazia e di verità, di saggezza e di santità. Il perdono si fa
anche dono e il dono ha il suo culmine nella nuova nascita dell’uomo,
rigenerato e costituito una cosa sola, un solo corpo con Gesù Signore.
La Nuova Alleanza è tutta nell’uomo. Dicendo che la Nuova Alleanza è tutta
nell’uomo si vuole affermare una sola verità: tutto l’uomo è trasportato in
Cristo per assumere la vita di Cristo, la forma di Cristo, per divenire
sacrificio di Cristo e santità di Cristo nel mondo. Questa è la nuova realtà e
questa nuova realtà investe tutto l’essere dell’uomo, nel cielo e sulla terra, nel
tempo e nell’eternità.
Il non ricordo è per cancellazione e per creazione di una nuova natura. Dio
promette di non ricordare più il peccato. Il suo non è però un non ricordo per
sola cancellazione. È non ricordo per nuova creazione. L’uomo che lo ha
commesso non esiste più, perché fatto interamente nuovo in Cristo Gesù.
Il non ricordo è per non esistenza di colui che ha commesso il peccato.
Anche questa verità è la novità che nasce e si compie in noi a motivo di Cristo
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Ottavo
Gesù e dell’Alleanza stipulata nel suo sangue, versato per noi dall’alto della
croce. Questa verità dovrebbe divenire vita di ogni battezzato, di ogni
persona che si accosta al sacramento della Penitenza. Dopo il perdono dei
peccati, il cristiano deve sentirsi uomo nuovo dinanzi a Dio, vedersi nella piena
novità del suo nuovo essere e da nuovo uomo vivere e relazionarsi con Dio e
con i fratelli. O nel cristianesimo si lavora di verità, oppure tutto alla fine si
rivelerà inutile, vano, infruttuoso. Senza verità si rimane tralci secchi, pronti per
essere gettati nel fuoco eterno.
Tutto cade. Cade tutto per passare al Nuovo: Cade l’Antico Testamento.
Cade l’Alleanza Antica, cadono le componenti dell’Antica Alleanza. Cade il
popolo. Cade la terra. Cade la ritualità. Cade il sangue. Tutto ciò che è
Antico finisce con la Nuova Alleanza: popolo, terra, ritualità, legge,
promessa. Tutto è una nuova realtà nella Nuova alleanza: un solo corpo, un
solo regno, un solo Vangelo, un solo sangue, una sola vita. Tutto cade
perché tutti siamo chiamati a formare un solo Cristo, nella santità, nella verità,
nel sacrificio, nella risurrezione, nella vittoria di Cristo Gesù. Lui deve essere
tutto in tutti: una cosa sola sulla terra e nel cielo.
Il fine dell’Antica Alleanza: dare Cristo al mondo e darsi dell’Antica
Alleanza a Cristo. Alla fine è giusto che ci si chieda: se l’Antica Alleanza è
finita per sempre, perché essa è esistita? Perché Dio l’ha posta in essere? La
risposta è una sola: per consegnare a noi Cristo secondo la carne; per
consegnare se stessa a Cristo secondo lo Spirito di verità e di santità.
Essa ha dato al mondo Cristo secondo la carne, Cristo si dona ad essa
secondo lo Spirito di verità e di santità. Perché questo avvenga è necessario
che essa accolga Cristo e lo accoglie se crede in Lui, Messia di Dio,
Redentore del mondo, Salvatore di ogni uomo, il solo con Parole di vita
eterna. Cristo Gesù è la vita dell’uomo. L’Antica Alleanza ha dato Cristo vita
dell’uomo. Cristo vita dell’uomo si dona all’Antica Alleanza perché tutti possano
entrare nella vita.
300
CAPITOLO NONO
CRISTO ENTRA NEL SANTUARIO CELESTE
[1]Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario
terreno. [2]Fu costruita infatti una Tenda: la prima, nella quale vi erano il
candelabro, la tavola e i pani dell'offerta: essa veniva chiamata il Santo.
[3]Dietro il secondo velo poi c'era una Tenda, detta Santo dei Santi, con
[4]l'altare d'oro per i profumi e l'arca dell'alleanza tutta ricoperta d'oro,
nella quale si trovavano un'urna d'oro contenente la manna, la verga di
Aronne che aveva fiorito e le tavole dell'alleanza. [5]E sopra l'arca stavano
i cherubini della gloria, che facevano ombra al luogo dell'espiazione. Di
tutte queste cose non è necessario ora parlare nei particolari.
Ecco come il Libro dell’Esodo, il Libro dei Re e quello delle Cronache
descrivono sia la Tenda del Convegno che lo stesso Tempio di Gerusalemme:
Es. 25: “Il Signore disse a Mosè: Ordina agli Israeliti che raccolgano per me
un'offerta. La raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore. Ed ecco che
cosa raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e rame, tessuti di
porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone
tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per il candelabro, balsami per
unguenti e per l'incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare
nell'efod e nel pettorale.
Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni
cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello
di tutti i suoi arredi.
Faranno dunque un'arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di
lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La
rivestirai d'oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d'oro.
Fonderai per essa quattro anelli d'oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli
su di un lato e due anelli sull'altro. Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai
d'oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell'arca per trasportare
l'arca con esse. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell'arca: non
verranno tolte di lì. Nell'arca collocherai la Testimonianza che io ti darò.
Farai il coperchio, o propiziatorio, d'oro puro; avrà due cubiti e mezzo di
lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza. Farai due cherubini d'oro: li farai
lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. Fa’ un cherubino ad una
estremità e un cherubino all'altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo
con il coperchio alle sue due estremità. I cherubini avranno le due ali stese di
sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l'uno verso l'altro e le
facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio. Porrai il coperchio sulla
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
parte superiore dell'arca e collocherai nell'arca la Testimonianza che io ti
darò.
Io ti darò convegno appunto in quel luogo: parlerò con te da sopra il
propiziatorio, in mezzo ai due cherubini che saranno sull'arca della
Testimonianza, ti darò i miei ordini riguardo agli Israeliti.
Farai una tavola di legno di acacia: avrà due cubiti di lunghezza, un cubito di
larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d'oro puro e le farai intorno
un bordo d'oro. Le farai attorno una cornice di un palmo e farai un bordo d'oro
per la cornice. Le farai quattro anelli d'oro e li fisserai ai quattro angoli che
costituiranno i suoi quattro piedi. Gli anelli saranno contigui alla cornice e
serviranno a inserire le stanghe destinate a trasportare la tavola. Farai le
stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro; con esse si trasporterà la tavola.
Farai anche i suoi accessori, piatti, coppe, anfore e tazze per le libazioni: li farai
d'oro puro.
Sulla tavola collocherai i pani dell'offerta: saranno sempre alla mia
presenza.
Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello,
il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti
di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un
lato e tre bracci del candelabro dall'altro lato. Vi saranno su di un braccio tre
calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull'altro
braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per
i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro
calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo
sotto i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e
un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartano da esso; così per tutti i sei
bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un
pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d'oro puro lavorata a martello.
Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo
spazio davanti ad esso. I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d'oro
puro. Lo si farà con un talento di oro puro, esso con tutti i suoi accessori.
Guarda ed eseguisci secondo il modello che ti è stato mostrato sul
monte”.
Es. 26: “Quanto alla Dimora, la farai con dieci teli di bisso ritorto, di
porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto. Vi farai figure di cherubini,
lavoro d'artista. Lunghezza di un telo: ventotto cubiti; larghezza: quattro cubiti
per un telo; la stessa dimensione per tutti i teli. Cinque teli saranno uniti l'uno
all'altro e anche gli altri cinque saranno uniti l'uno all'altro.
Farai cordoni di porpora viola sull'orlo del primo telo all'estremità della sutura;
così farai sull'orlo del telo estremo nella seconda sutura.
Farai cinquanta cordoni al primo telo e farai cinquanta cordoni all'estremità
della seconda sutura: i cordoni corrisponderanno l'uno all'altro.
Farai cinquanta fibbie d'oro e unirai i teli l'uno all'altro mediante le fibbie, così
il tutto formerà una sola Dimora.
302
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Farai poi teli di pelo di capra per costituire la tenda al di sopra della Dimora.
Ne farai undici teli. Lunghezza di un telo: trenta cubiti; larghezza: quattro cubiti
per un telo. La stessa dimensione per gli undici teli. Unirai insieme cinque teli a
parte e sei teli a parte. Piegherai indietro il sesto telo raddoppiandolo sulla parte
anteriore della tenda.
Farai cinquanta cordoni sull'orlo del primo telo, che è all'estremità della
sutura, e cinquanta cordoni sull'orlo del telo della seconda sutura.
Farai cinquanta fibbie di rame, introdurrai le fibbie nei cordoni e unirai insieme
la tenda; così essa formerà un tutto unico. La parte che pende in eccedenza nei
teli della tenda, la metà cioè di un telo che sopravanza, penderà sulla parte
posteriore della Dimora. Il cubito in eccedenza da una parte, come il cubito in
eccedenza dall'altra parte, nel senso della lunghezza dei teli della tenda,
ricadranno sui due lati della Dimora per coprirla da una parte e dall'altra.
Farai poi per la tenda una copertura di pelli di montone tinte di rosso e al
di sopra una copertura di pelli di tasso.
Poi farai per la Dimora le assi di legno di acacia, da porsi verticali. Dieci
cubiti la lunghezza di un'asse e un cubito e mezzo la larghezza. Ogni asse avrà
due sostegni, congiunti l'uno all'altro da un rinforzo. Così farai per tutte le assi
della Dimora.
Farai dunque le assi per la Dimora: venti assi sul lato verso il mezzogiorno, a
sud.
Farai anche quaranta basi d'argento sotto le venti assi, due basi sotto
un'asse, per i suoi due sostegni e due basi sotto l'altra asse per i suoi sostegni.
Per il secondo lato della Dimora, verso il settentrione, venti assi, come anche le
loro quaranta basi d'argento, due basi sotto un'asse e due basi sotto l'altra
asse. Per la parte posteriore della Dimora, verso occidente, farai sei assi.
Farai inoltre due assi per gli angoli della Dimora sulla parte posteriore. Esse
saranno formate ciascuna da due pezzi uguali abbinati e perfettamente
congiunti dal basso fino alla cima, all'altezza del primo anello. Così sarà per
ambedue: esse formeranno i due angoli. Vi saranno dunque otto assi con le
loro basi d'argento: sedici basi, due basi sotto un'asse e due basi sotto l'altra
asse.
Farai inoltre traverse di legno di acacia: cinque per le assi di un lato della
Dimora e cinque traverse per le assi dell'altro lato della Dimora e cinque
traverse per le assi della parte posteriore, verso occidente. La traversa
mediana, a mezza altezza delle assi, le attraverserà da una estremità all'altra.
Rivestirai d'oro le assi, farai in oro i loro anelli, che serviranno per inserire le
traverse, e rivestirai d'oro anche le traverse. Costruirai la Dimora nel modo
che ti è stato mostrato sul monte. Farai il velo di porpora viola, di porpora
rossa, di scarlatto e di bisso ritorto. Lo si farà con figure di cherubini, lavoro di
disegnatore. Lo appenderai a quattro colonne di acacia, rivestite d'oro, con
uncini d'oro e poggiate su quattro basi d'argento.
Collocherai il velo sotto le fibbie e là, nell'interno oltre il velo, introdurrai l'arca
della Testimonianza. Il velo sarà per voi la separazione tra il Santo e il Santo
303
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
dei santi. Porrai il coperchio sull'arca della Testimonianza nel Santo dei santi.
Collocherai la tavola fuori del velo e il candelabro di fronte alla tavola sul lato
meridionale della Dimora; collocherai la tavola sul lato settentrionale. Poi farai
una cortina all'ingresso della tenda, di porpora viola e di porpora rossa, di
scarlatto e di bisso ritorto, lavoro di ricamatore.
Farai per la cortina cinque colonne di acacia e le rivestirai d'oro. I loro uncini
saranno d'oro e fonderai per esse cinque basi di rame”.
Es. 27: Farai l'altare di legno di acacia: avrà cinque cubiti di lunghezza e
cinque cubiti di larghezza. L'altare sarà quadrato e avrà l'altezza di tre cubiti.
Farai ai suoi quattro angoli quattro corni e saranno tutti di un pezzo. Lo
rivestirai di rame. Farai i suoi recipienti per raccogliere le ceneri, le sue pale, i
suoi vasi per la aspersione, le sue forchette e i suoi bracieri. Farai di rame tutti
questi accessori.
Farai per esso una graticola di rame alle sue quattro estremità. La porrai
sotto la cornice dell'altare, in basso: la rete arriverà a metà dell'altezza
dell'altare.
Farai anche stanghe per l'altare: saranno stanghe di legno di acacia e le
rivestirai di rame. Si introdurranno queste stanghe negli anelli e le stanghe
saranno sui due lati dell'altare quando lo si trasporta. Lo farai di tavole, vuoto
nell'interno: lo si farà come ti fu mostrato sul monte.
Farai poi il recinto della Dimora. Sul lato meridionale, verso sud, il recinto
avrà tendaggi di bisso ritorto, per la lunghezza di cento cubiti sullo stesso lato.
Vi saranno venti colonne con venti basi di rame. Gli uncini delle colonne e le
loro aste trasversali saranno d'argento. Allo stesso modo sul lato rivolto a
settentrione: tendaggi per cento cubiti di lunghezza, le relative venti colonne
con le venti basi di rame, gli uncini delle colonne e le aste trasversali d'argento.
La larghezza del recinto verso occidente avrà cinquanta cubiti di tendaggi, con
le relative dieci colonne e le dieci basi. La larghezza del recinto sul lato
orientale verso levante sarà di cinquanta cubiti: quindici cubiti di tendaggi con le
relative tre colonne e le tre basi alla prima ala; all'altra ala quindici cubiti di
tendaggi, con le tre colonne e le tre basi. Alla porta del recinto vi sarà una
cortina di venti cubiti, lavoro di ricamatore, di porpora viola, porpora rossa,
scarlatto e bisso ritorto, con le relative quattro colonne e le quattro basi.
Tutte le colonne intorno al recinto saranno fornite di aste trasversali d'argento: i
loro uncini saranno d'argento e le loro basi di rame. La lunghezza del recinto
sarà di cento cubiti, la larghezza di cinquanta, l'altezza di cinque cubiti; di bisso
ritorto, con le basi di rame.
Tutti gli arredi della Dimora per tutti i suoi servizi e tutti i picchetti come anche
i picchetti del recinto saranno di rame. Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino
olio puro di olive schiacciate per il candelabro, per tener sempre accesa una
lampada. Nella tenda del convegno, al di fuori del velo che sta davanti alla
Testimonianza, Aronne e i suoi figli la prepareranno, perché dalla sera alla
mattina essa sia davanti al Signore: rito perenne presso gli Israeliti di
generazione in generazione”.
304
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Es. 28: “Tu fa’ avvicinare a te tra gli Israeliti, Aronne tuo fratello e i suoi figli con
lui, perché siano miei sacerdoti; Aronne e Nadab, Abiu, Eleazaro, Itamar, figli di
Aronne. Farai per Aronne, tuo fratello, abiti sacri, che esprimano gloria e
maestà. Tu parlerai a tutti gli artigiani più esperti, ai quali io ho dato uno spirito
di saggezza, ed essi faranno gli abiti di Aronne per la sua consacrazione e per
l'esercizio del sacerdozio in mio onore.
Ed ecco gli abiti che faranno: il pettorale e l'efod, il manto, la tunica
damascata, il turbante e la cintura. Faranno vesti sacre per Aronne tuo fratello e
per i suoi figli, perché esercitino il sacerdozio in mio onore. Essi dovranno usare
oro, porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso.
Faranno l'efod con oro, porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto,
artisticamente lavorati. Avrà due spalline attaccate alle due estremità e in tal
modo formerà un pezzo ben unito. La cintura per fissarlo e che sta sopra di
esso sarà della stessa fattura e sarà d'un sol pezzo: sarà intessuta d'oro, di
porpora viola e porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto.
Prenderai due pietre di ònice e inciderai su di esse i nomi degli Israeliti: sei dei
loro nomi sulla prima pietra e gli altri sei nomi sulla seconda pietra, in ordine di
nascita. Inciderai le due pietre con i nomi degli Israeliti, seguendo l'arte
dell'intagliatore di pietre per l'incisione di un sigillo; le inserirai in castoni d'oro.
Fisserai le due pietre sulle spalline dell'efod, come pietre che ricordino presso di
me gli Israeliti; così Aronne porterà i loro nomi sulle sue spalle davanti al
Signore, come un memoriale. Farai anche i castoni d'oro e due catene d'oro in
forma di cordoni, con un lavoro d'intreccio; poi fisserai le catene a intreccio sui
castoni.
Farai il pettorale del giudizio, artisticamente lavorato, di fattura uguale a
quella dell'efod: con oro, porpora viola, porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto.
Sarà quadrato, doppio; avrà una spanna di lunghezza e una spanna di
larghezza. Lo coprirai con una incastonatura di pietre preziose, disposte in
quattro file. Una fila: una cornalina, un topazio e uno smeraldo: così la prima
fila. La seconda fila: un turchese, uno zaffìro e un berillo. La terza fila: un
giacinto, un'àgata e un'ametista. La quarta fila: un crisòlito, un ònice e un
diaspro. Saranno inserite nell'oro mediante i loro castoni. Le pietre
corrisponderanno ai nomi degli Israeliti: dodici, secondo i loro nomi, e saranno
incise come sigilli, ciascuna con il nome corrispondente, secondo le dodici tribù.
Poi farai sul pettorale catene in forma di cordoni, lavoro d'intreccio d'oro puro.
Farai sul pettorale due anelli d'oro e metterai i due anelli alle estremità del
pettorale. Metterai le due catene d'oro sui due anelli alle estremità del pettorale.
Quanto alle due altre estremità delle catene, le fisserai sui due castoni e le farai
passare sulle due spalline dell'efod nella parte anteriore.
Farai due anelli d'oro e li metterai sulle due estremità del pettorale sul suo
bordo che è dalla parte dell'efod, verso l'interno. Farai due altri anelli d'oro e li
metterai sulle due spalline dell'efod in basso, sul suo lato anteriore, in vicinanza
del punto di attacco, al di sopra della cintura dell'efod.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Si legherà il pettorale con i suoi anelli agli anelli dell'efod mediante un
cordone di porpora viola, perché stia al di sopra della cintura dell'efod e perché
il pettorale non si distacchi dall'efod.
Così Aronne porterà i nomi degli Israeliti sul pettorale del giudizio, sopra il
suo cuore, quando entrerà nel Santo, come memoriale davanti al Signore per
sempre. Unirai al pettorale del giudizio gli urim e i tummim. Saranno così sopra
il cuore di Aronne quando entrerà alla presenza del Signore: Aronne porterà il
giudizio degli Israeliti sopra il suo cuore alla presenza del Signore per sempre.
Farai il manto dell'efod, tutto di porpora viola con in mezzo una scollatura per la
testa; il bordo attorno alla scollatura sarà un lavoro di tessitore come la
scollatura di una corazza, che non si lacera. Farai sul suo lembo melagrane di
porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto, intorno al suo lembo, e in mezzo
porrai sonagli d'oro: un sonaglio d'oro e una melagrana, un sonaglio d'oro e una
melagrana intorno all'orlo del manto. Esso rivestirà Aronne nelle funzioni
sacerdotali e se ne sentirà il suono quando egli entrerà nel Santo alla presenza
del Signore e quando ne uscirà; così non morirà.
Farai una lamina d'oro puro e vi inciderai, come su di un sigillo: Sacro al
Signore. L'attaccherai con un cordone di porpora viola al turbante, sulla parte
anteriore. Starà sulla fronte di Aronne; Aronne porterà il carico delle colpe che
potranno commettere gli Israeliti, in occasione delle offerte sacre da loro
presentate. Aronne la porterà sempre sulla sua fronte, per attirare su di essi il
favore del Signore.
Tesserai la tunica di bisso. Farai un turbante di bisso e una cintura, lavoro
di ricamo. Per i figli di Aronne farai tuniche e cinture. Per essi farai anche
berretti a gloria e decoro. Farai indossare queste vesti ad Aronne, tuo fratello, e
ai suoi figli. Poi li ungerai, darai loro l'investitura e li consacrerai, perché
esercitino il sacerdozio in mio onore.
Farai loro inoltre calzoni di lino, per coprire la loro nudità; dovranno arrivare
dai fianchi fino alle cosce. Aronne e i suoi figli li indosseranno quando
entreranno nella tenda del convegno o quando si avvicineranno all'altare per
officiare nel santuario, perché non incorrano in una colpa che li farebbe morire.
E` una prescrizione rituale perenne per lui e per i suoi discendenti”.
Es. 29: “Osserverai questo rito per consacrarli al mio sacerdozio. Prendi
un giovenco e due arieti senza difetto; poi pani azzimi, focacce azzime
impastate con olio e schiacciate azzime cosparse di olio: di fior di farina di
frumento. Le disporrai in un solo canestro e le offrirai nel canestro insieme con il
giovenco e i due arieti. Farai avvicinare Aronne e i suoi figli all'ingresso della
tenda del convegno e li farai lavare con acqua. Prenderai le vesti e rivestirai
Aronne della tunica, del manto dell'efod, dell'efod e del pettorale; lo cingerai con
la cintura dell'efod; gli porrai sul capo il turbante e fisserai il diadema sacro
sopra il turbante. Poi prenderai l'olio dell'unzione, lo verserai sul suo capo e lo
ungerai.
Quanto ai suoi figli, li farai avvicinare, li rivestirai di tuniche; li cingerai con la
cintura e legherai loro i berretti. Il sacerdozio apparterrà loro per decreto
perenne. Così darai l'investitura ad Aronne e ai suoi figli. Farai poi
avvicinare il giovenco davanti alla tenda del convegno. Aronne e i suoi figli
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
poseranno le mani sulla sua testa. Immolerai il giovenco davanti al Signore,
all'ingresso della tenda del convegno. Prenderai parte del suo sangue e con il
dito lo spalmerai sui corni dell'altare. Il resto del sangue lo verserai alla base
dell'altare.
Prenderai tutto il grasso che avvolge le viscere, il lobo del fegato, i reni
con il grasso che vi è sopra, e li farai ardere in sacrificio sull'altare. Ma la
carne del giovenco, la sua pelle e i suoi escrementi, li brucerai fuori del campo,
perché si tratta di un sacrificio per il peccato. Prenderai poi uno degli arieti;
Aronne e i suoi figli poseranno le mani sulla sua testa. Immolerai l'ariete, ne
raccoglierai il sangue e lo spargerai intorno all'altare. Poi farai a pezzi l'ariete,
ne laverai le viscere e le zampe e le disporrai sui quarti e sulla testa.
Allora brucerai in soave odore sull'altare tutto l'ariete. E` un olocausto in
onore del Signore, un profumo gradito, una offerta consumata dal fuoco per il
Signore. Poi prenderai il secondo ariete; Aronne e i suoi figli poseranno le
mani sulla sua testa. Lo immolerai, prenderai parte del suo sangue e ne porrai
sul lobo dell'orecchio destro di Aronne, sul lobo dell'orecchio destro dei suoi
figli, sul pollice della loro mano destra e sull'alluce del loro piede destro; poi
spargerai il sangue intorno all'altare.
Prenderai di questo sangue dall'altare e insieme un pò d'olio dell'unzione
e ne spruzzerai Aronne e le sue vesti, i figli di Aronne e le loro vesti: così
sarà consacrato lui con le sue vesti e insieme con lui i suoi figli con le loro vesti.
Poi prenderai il grasso dell'ariete: la coda, il grasso che copre le viscere, il
lobo del fegato, i due reni con il grasso che vi è sopra, e la coscia destra,
perché è l'ariete dell'investitura.
Prenderai anche un pane rotondo, una focaccia all'olio e una schiacciata dal
canestro di azzimi deposto davanti al Signore.
Metterai il tutto sulle palme di Aronne e sulle palme dei suoi figli e farai
compiere il gesto di presentazione proprio dell'offerta agitata davanti al Signore.
Poi riprenderai ogni cosa dalle loro mani e la brucerai in odore soave sull'altare,
sopra l'olocausto, come profumo gradito davanti al Signore: è un'offerta
consumata dal fuoco in onore del Signore. Prenderai il petto dell'ariete
dell'investitura di Aronne e compirai il gesto di presentazione dell'offerta,
agitandola davanti al Signore: sarà la tua porzione.
Consacrerai il petto, presentato con il gesto dell'offerta, e la coscia del
contributo, prelevati dall'ariete dell'investitura: queste cose saranno di Aronne e
dei suoi figli. Dovranno appartenere ad Aronne e ai suoi figli come porzione loro
riservata dagli Israeliti in forza di legge perenne. Perché è un contributo, un
prelevamento cioè che gli Israeliti dovranno operare in tutti i loro sacrifici di
comunione, un prelevamento dovuto al Signore. Le vesti sacre di Aronne
passeranno, dopo di lui, ai suoi figli, che se ne rivestiranno per ricevere
l'unzione e l'investitura. Quello dei figli di Aronne, che gli succederà nel
sacerdozio ed entrerà nella tenda del convegno per officiare nel santuario,
porterà queste vesti per sette giorni. Poi prenderai l'ariete dell'investitura e ne
cuocerai le carni in luogo santo.
307
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Aronne e i suoi figli mangeranno la carne dell'ariete e il pane contenuto
nel canestro all'ingresso della tenda del convegno. Mangeranno così ciò che
sarà servito per fare la espiazione, nel corso della loro investitura e
consacrazione. Nessun estraneo ne deve mangiare, perché sono cose sante.
Nel caso che al mattino ancora restasse carne del sacrificio d'investitura e del
pane, brucerai questo avanzo nel fuoco. Non lo si mangerà: è cosa santa. Farai
dunque ad Aronne e ai suoi figli secondo quanto ti ho comandato. Per sette
giorni ne farai l'investitura.
In ciascun giorno offrirai un giovenco in sacrificio per il peccato, in espiazione;
toglierai il peccato dall'altare facendo per esso il sacrificio espiatorio e in seguito
lo ungerai per consacrarlo. Per sette giorni farai il sacrificio espiatorio per
l'altare e lo consacrerai. Diverrà allora una cosa santissima e quanto toccherà
l'altare sarà santo.
Ecco ciò che tu offrirai sull'altare: due agnelli di un anno ogni giorno, per
sempre. Offrirai uno di questi agnelli al mattino, il secondo al tramonto.
Con il primo agnello offrirai un decimo di efa di fior di farina impastata con un
quarto di hin di olio vergine e una libazione di un quarto di hin di vino. Offrirai il
secondo agnello al tramonto con un'oblazione e una libazione come quelle del
mattino: profumo soave, offerta consumata dal fuoco in onore del Signore.
Questo è l'olocausto perenne per le vostre generazioni, all'ingresso della
tenda del convegno, alla presenza del Signore, dove io vi darò convegno per
parlare con te. Io darò convegno agli Israeliti in questo luogo, che sarà
consacrato dalla mia Gloria. Consacrerò la tenda del convegno e l'altare.
Consacrerò anche Aronne e i suoi figli, perché siano miei sacerdoti. Abiterò in
mezzo agli Israeliti e sarò il loro Dio.
Sapranno che io sono il Signore, il loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese
d'Egitto, per abitare in mezzo a loro, io il Signore, loro Dio”.
Es. 30: “Farai poi un altare sul quale bruciare l'incenso: lo farai di legno di
acacia. Avrà un cubito di lunghezza e un cubito di larghezza, sarà cioè
quadrato; avrà due cubiti di altezza e i suoi corni saranno tutti di un pezzo.
Rivestirai d'oro puro il suo piano, i suoi lati, i suoi corni e gli farai intorno un
bordo d'oro. Farai anche due anelli d'oro al di sotto del bordo, sui due fianchi,
ponendoli cioè sui due lati opposti: serviranno per inserire le stanghe destinate
a trasportarlo. Farai le stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro.
Porrai l'altare davanti al velo che nasconde l'arca della Testimonianza, di
fronte al coperchio che è sopra la Testimonianza, dove io ti darò convegno.
Aronne brucerà su di esso l'incenso aromatico: lo brucerà ogni mattina quando
riordinerà le lampade e lo brucerà anche al tramonto, quando Aronne riempirà
le lampade: incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni. Non
vi offrirete sopra incenso estraneo, né olocausto, né oblazione; né vi verserete
libazione.
Una volta all'anno Aronne farà il rito espiatorio sui corni di esso: con il
sangue del sacrificio per il peccato vi farà sopra una volta all'anno il rito
espiatorio per le vostre generazioni. E` cosa santissima per il Signore.
308
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Il Signore parlò a Mosè e gli disse: Quando per il censimento farai la rassegna
degli Israeliti, ciascuno di essi pagherà al Signore il riscatto della sua vita all'atto
del censimento, perché non li colpisca un flagello in occasione del loro
censimento. Chiunque verrà sottoposto al censimento, pagherà un mezzo siclo,
computato secondo il siclo del santuario, il siclo di venti ghera. Questo mezzo
siclo sarà un'offerta prelevata in onore del Signore. Ogni persona sottoposta al
censimento, dai venti anni in su, paghi l'offerta prelevata per il Signore.
Il ricco non darà di più e il povero non darà di meno di mezzo siclo, per
soddisfare all'offerta prelevata per il Signore, a riscatto delle vostre vite.
Prenderai il denaro di questo riscatto ricevuto dagli Israeliti e lo impiegherai per
il servizio della tenda del convegno. Esso sarà per gli Israeliti come un
memoriale davanti al Signore per il riscatto delle vostre vite.
Il Signore parlò a Mosè: Farai una conca di rame con il piedestallo di rame,
per le abluzioni; la collocherai tra la tenda del convegno e l'altare e vi metterai
acqua. Aronne e i suoi figli vi attingeranno per lavarsi le mani e i piedi.
Quando entreranno nella tenda del convegno, faranno una abluzione con
l'acqua, perché non muoiano; così quando si avvicineranno all'altare per
officiare, per bruciare un'offerta da consumare con il fuoco in onore del Signore,
si laveranno le mani e i piedi e non moriranno. E` una prescrizione rituale
perenne per lui e per i suoi discendenti, in tutte le loro generazioni.
Il Signore parlò a Mosè: Procùrati balsami pregiati: mirra vergine per il peso
di cinquecento sicli, cinnamòmo odorifero, la metà, cioè duecentocinquanta
sicli, canna odorifera, duecentocinquanta, cassia, cinquecento sicli, secondo il
siclo del santuario, e un hin d'olio d'oliva. Ne farai l'olio per l'unzione sacra,
un unguento composto secondo l'arte del profumiere: sarà l'olio per l'unzione
sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l'arca della Testimonianza,
la tavola e tutti i suoi accessori, il candelabro con i suoi accessori, l'altare del
profumo, l'altare degli olocausti e tutti i suoi accessori; la conca e il suo
piedestallo.
Consacrerai queste cose, le quali diventeranno santissime: quanto le toccherà
sarà santo. Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché
esercitino il mio sacerdozio. Agli Israeliti dirai: Questo sarà per voi l'olio
dell'unzione sacra per le vostre generazioni.
Non si dovrà versare sul corpo di nessun uomo e di simile a questo non ne
dovrete fare: è una cosa santa e santa la dovrete ritenere. Chi ne farà di simile
a questo o ne porrà sopra un uomo estraneo sarà eliminato dal suo popolo.
Il Signore disse a Mosè: Procùrati balsami: storàce, ònice, galbano come
balsami e incenso puro: il tutto in parti uguali. Farai con essi un profumo da
bruciare, una composizione aromatica secondo l'arte del profumiere, salata,
pura e santa. Ne pesterai un poco riducendola in polvere minuta e ne metterai
davanti alla Testimonianza, nella tenda del convegno, dove io ti darò convegno.
Cosa santissima sarà da voi ritenuta. Non farete per vostro uso alcun profumo
di composizione simile a quello che devi fare: lo riterrai una cosa santa in onore
del Signore. Chi ne farà di simile per sentirne il profumo sarà eliminato dal suo
popolo”.
309
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Es. 31: “Il Signore parlò a Mosè e gli disse: Vedi, ho chiamato per nome
Bezaleel, figlio di Uri, figlio di Cur, della tribù di Giuda. L'ho riempito dello
spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere
di lavoro, per concepire progetti e realizzarli in oro, argento e rame, per
intagliare le pietre da incastonare, per scolpire il legno e compiere ogni
sorta di lavoro.
Ed ecco gli ho dato per compagno Ooliab, figlio di Achisamach, della tribù di
Dan. Inoltre nel cuore di ogni artista ho infuso saggezza, perché possano
eseguire quanto ti ho comandato: la tenda del convegno, l'arca della
Testimonianza, il coperchio sopra di essa e tutti gli accessori della tenda;
la tavola con i suoi accessori, il candelabro puro con i suoi accessori,
l'altare dei profumi e l'altare degli olocausti con tutti i suoi accessori, la
conca con il suo piedestallo, le vesti ornamentali, le vesti sacre del
sacerdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio; l'olio
dell'unzione e il profumo degli aromi per il santuario. Essi eseguiranno ogni
cosa secondo quanto ti ho ordinato”.
Cosa assai utile si rivela anche sapere come era stato concepito e realizzato il
tempio di Gerusalemme. Si hanno tre versioni: quella del Primo Libro dei Re,
quella del Secondo Libro delle Cronache e l’altra quella che riporta la
descrizione del Nuovo Tempio visto da Ezechiele in sostituzione del vecchio
tempo, raso al suolo dalla furia distruttrice dei Babilonesi:
1Re 6: “Alla costruzione del tempio del Signore fu dato inizio l'anno
quattrocentottanta dopo l'uscita degli Israeliti dal paese d'Egitto, l'anno quarto
del regno di Salomone su Israele, nel mese di Ziv, cioè nel secondo mese.
Il tempio costruito dal re Salomone per il Signore, era lungo sessanta cubiti,
largo venti, alto trenta. Davanti al tempio vi era un atrio lungo venti cubiti, in
base alla larghezza del tempio, ed esteso per dieci cubiti secondo la lunghezza
del tempio. Fece nel tempio finestre quadrangolari con grate. Intorno al muro
del tempio fu costruito un edificio a piani, lungo la navata e la cella. Il piano più
basso era largo cinque cubiti, quello di mezzo sei e il terzo sette, perché le
mura esterne, intorno, erano state costruite a riseghe, in modo che le travi non
poggiassero sulle mura del tempio.
Per la sua costruzione si usarono pietre lavorate e intere; durante i lavori nel
tempio non si udì rumore di martelli, di piccone o di altro arnese di ferro. La
porta del piano più basso era sul lato destro del tempio; per mezzo di una scala
a chiocciola si passava al piano di mezzo e dal piano di mezzo a quello
superiore.
In tal modo Salomone costruì il tempio; dopo averlo terminato, lo ricoprì con
assi e travi di cedro. Innalzò anche l'ala laterale intorno al tempio, alta cinque
cubiti per piano; la unì al tempio con travi di cedro.
E il Signore parlò a Salomone e disse: Riguardo al tempio che stai edificando,
se camminerai secondo i miei decreti, se eseguirai le mie disposizioni e
osserverai tutti i miei comandi, uniformando ad essi la tua condotta, io
confermerò a tuo favore le parole dette da me a Davide tuo padre. Io abiterò in
mezzo agli Israeliti; non abbandonerò il mio popolo Israele.
310
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Terminata la costruzione del tempio, Salomone rivestì all'interno le pareti del
tempio con tavole di cedro dal pavimento al soffitto; rivestì anche con legno di
cedro la parte interna del soffitto e con tavole di cipresso il pavimento.
Separò uno spazio di venti cubiti, a partire dal fondo del tempio, con un
assito di tavole di cedro che dal pavimento giungeva al soffitto, e la cella che
ne risultò all'interno divenne il santuario, il Santo dei santi.
La navata di fronte ad esso era di quaranta cubiti. Il cedro all'interno del tempio
era scolpito a rosoni e a boccioli di fiori; tutto era di cedro e non si vedeva una
pietra. Per l'arca dell'alleanza del Signore fu apprestata una cella nella
parte più segreta del tempio.
La cella interna era lunga venti cubiti e alta venti. La rivestì d'oro purissimo
e vi eresse un altare di cedro. Salomone rivestì l'interno del tempio con oro
purissimo e fece passare, davanti alla cella, un velo che scorreva mediante
catenelle d'oro e lo ricoprì d'oro. E d'oro fu rivestito tutto l'interno del tempio, e
rivestì d'oro anche tutto l'altare che era nella cella.
Nella cella fece due cherubini di legno di ulivo, alti dieci cubiti. L'ala di un
cherubino era di cinque cubiti e di cinque cubiti era anche l'altra ala del
cherubino; c'erano dieci cubiti da una estremità all'altra delle ali. Di dieci cubiti
era l'altro cherubino; i due cherubini erano identici nella misura e nella forma.
L'altezza di un cherubino era di dieci cubiti, così anche quella dell'altro.
Pose i cherubini nella parte più riposta del tempio, nel santuario. I
cherubini avevano le ali spiegate; l'ala di uno toccava la parete e l'ala dell'altro
toccava l'altra parete; le loro ali si toccavano in mezzo al tempio, ala contro ala.
Erano anch'essi rivestiti d'oro.
Ricoprì le pareti del tempio con sculture e incisioni di cherubini, di palme e di
boccioli di fiori, all'interno e all'esterno. Ricoprì d'oro il pavimento del tempio,
all'interno e all'esterno.
Fece costruire la porta della cella con battenti di legno di ulivo; il frontale e gli
stipiti formavano un pentagono. I due battenti erano di legno di ulivo. Su di essi
fece scolpire cherubini, palme e boccioli di fiori, che ricoprì d'oro, stendendo
lamine d'oro sui cherubini e sulle palme. Lo stesso procedimento adottò per la
porta della navata, che aveva stipiti di legno di ulivo a forma quadrangolare. I
due battenti erano di legno di abete; un battente era costituito da due pezzi
girevoli e così l'altro battente.
Vi scolpì cherubini, palme e boccioli di fiori, che ricoprì d'oro lungo le linee
dell'incisione. Costruì il muro del cortile interno con tre ordini di pietre squadrate
e con un ordine di tavole di cedro. Nell'anno quarto, nel mese di Ziv, si
gettarono le fondamenta del tempio del Signore.
Nell'anno undecimo, nel mese di Bul, che è l'ottavo mese, fu terminato il tempio
in tutte le sue parti e con tutto l'occorrente. Salomone lo edificò in sette anni”.
1 Re 7,13-51: “Salomone fece venire da Tiro Chiram, figlio di una vedova della
tribù di Nèftali; suo padre era di Tiro e lavorava il bronzo. Era dotato di grande
capacità tecnica, di intelligenza e di talento, esperto in ogni genere di lavoro in
bronzo. Egli si recò dal re ed eseguì le sue commissioni.
311
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Fuse due colonne di bronzo, ognuna alta diciotto cubiti e dodici di
circonferenza. Fece due capitelli, fusi in bronzo, da collocarsi sulla cima delle
colonne; l'uno e l'altro erano alti cinque cubiti. Fece due reticolati per coprire i
capitelli che erano sopra le colonne, un reticolato per un capitello e un reticolato
per l'altro capitello. Fece melagrane su due file intorno al reticolato per coprire i
capitelli sopra le colonne; allo stesso modo fece per il secondo capitello. I
capitelli sopra le colonne erano a forma di giglio.
C'erano capitelli sopra le colonne, applicati alla sporgenza che era al di là del
reticolato; essi contenevano duecento melagrane in fila intorno a ogni capitello.
Eresse le colonne nel vestibolo del tempio. Eresse la colonna di destra, che
chiamò Iachin ed eresse la colonna di sinistra, che chiamò Boaz. Così fu
terminato il lavoro delle colonne.
Fece un bacino di metallo fuso di dieci cubiti da un orlo all'altro, rotondo; la sua
altezza era di cinque cubiti e la sua circonferenza di trenta cubiti. Intorno, sotto
l'orlo, c'erano cucurbite, dieci per ogni cubito; le cucurbite erano disposte in due
file ed erano state colate insieme con il bacino. Questo poggiava su dodici buoi;
tre guardavano verso settentrione, tre verso occidente, tre verso meridione e tre
verso oriente. Il bacino poggiava su di essi e le loro parti posteriori erano rivolte
verso l'interno. Il suo spessore era di un palmo; il suo orlo fatto come l'orlo di un
calice era a forma di giglio. Conteneva duemila bat. Fece dieci basi di bronzo,
ciascuna lunga quattro cubiti, larga quattro e alta tre cubiti.
Ecco come erano fatte le basi: si componevano di doghe e di traverse
incrociate con le doghe. Sulle doghe che erano fra le traverse c'erano leoni,
buoi e cherubini; le stesse figure erano sulle traverse. Sopra e sotto i leoni e i
buoi c'erano ghirlande a forma di festoni. Ciascuna base aveva quattro ruote di
bronzo con gli assi di bronzo; i suoi quattro piedi avevano sporgenze, sotto il
bacino; le sporgenze erano di metallo fuso e situate al di là di ogni ghirlanda.
L'estremità della base, dalla parte della sporgenza e sopra, era di un cubito; tale
estremità era rotonda, fatta in forma di sostegno, alta un cubito e mezzo; anche
su tale estremità c'erano sculture. Le traverse erano di forma quadrata, non
rotonda. Le quattro ruote erano sotto le traverse; gli assi delle ruote erano
fissati alla base; l'altezza di ogni ruota era di un cubito e mezzo. Le ruote erano
lavorate come le ruote di un carro; i loro assi, i loro quarti, i loro raggi e i loro
mozzi erano tutti di metallo fuso.
Quattro sporgenze erano sui quattro angoli di ciascuna base; la sporgenza e la
base erano di un sol pezzo. Alla cima della base c'era un sostegno rotondo, alto
mezzo cubito; alla cima della base c'erano i manici; le traverse e la base erano
di un sol pezzo. Sulle sue pareti scolpì cherubini, leoni e palme, secondo gli
spazi liberi, e ghirlande intorno.
Fuse le dieci basi in un medesimo stampo, identiche nella misura e nella forma.
Fuse poi anche dieci bacini di bronzo; ognuno conteneva quaranta bat ed era di
quattro cubiti; un bacino per ogni base, per le dieci basi. Pose cinque delle basi
sul lato destro del tempio e cinque su quello sinistro. Pose la vasca sul lato
destro del tempio, a sud-est.
312
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Chiram preparò inoltre caldaie, palette e vassoi. E terminò tutte le commissioni
del re Salomone per il tempio del Signore, cioè le due colonne, i globi dei
capitelli che erano sopra le colonne, i due reticolati per coprire i due globi
dei capitelli che erano sopra le colonne, le quattrocento melagrane sui
due reticolati, due file di melagrane per ciascun reticolato, le dieci basi e i
dieci bacini sulle basi, il bacino e i dodici buoi sotto il bacino, le caldaie, le
palette, i vassoi e tutti quei vasi che Chiram aveva fatti al re Salomone per il
tempio del Signore; tutto era di bronzo rifinito.
Il re li fece fondere nella valle del Giordano, in suolo argilloso, fra Succot e
Zartan. Salomone installò tutti gli arredi in quantità molto grande: non si poteva
calcolare il peso del bronzo. Salomone fece anche tutti gli arredi del tempio del
Signore, l'altare d'oro, le tavole d'oro su cui si ponevano i pani dell'offerta,
i cinque candelabri a destra e i cinque a sinistra di fronte alla cella d'oro
purissimo, i fiori, le lampade, gli smoccolatoi d'oro, le coppe, i coltelli, gli
aspersori, i mortai e i bracieri d'oro purissimo, i cardini per le porte del
tempio interno, cioè per il Santo dei santi, e i battenti d'oro per la navata.
Fu così terminato tutto il lavoro che il re Salomone aveva fatto per il tempio.
Salomone presentò le offerte fatte da Davide suo padre, cioè l'argento, l'oro e i
vari oggetti; le depositò nei tesori del tempio”.
2Cro 4: “Salomone fece l'altare di bronzo lungo venticinque cubiti, largo
venticinque e alto dieci.
Fece la vasca di metallo fuso del diametro di dieci cubiti, rotonda, alta cinque
cubiti; ci voleva una corda di trenta cubiti per cingerla. Sotto l'orlo, per l'intera
circonferenza, la circondavano animali dalle sembianze di buoi, dieci per cubito,
disposti in due file e fusi insieme con la vasca. Questa poggiava su dodici buoi:
tre guardavano verso settentrione, tre verso occidente, tre verso meridione e tre
verso oriente. La vasca vi poggiava sopra e le loro parti posteriori erano rivolte
verso l'interno. Il suo spessore era di un palmo; il suo orlo era come l'orlo di un
calice a forma di giglio. Conteneva tremila bat.
Fece anche dieci recipienti per la purificazione ponendone cinque a destra e
cinque a sinistra; in essi si lavava quanto si adoperava per l'olocausto. La vasca
serviva alle abluzioni dei sacerdoti.
Fece dieci candelabri d'oro, secondo la forma prescritta, e li pose nella
navata: cinque a destra e cinque a sinistra.
Fece dieci tavoli e li collocò nella navata, cinque a destra e cinque a sinistra.
Fece il cortile dei sacerdoti, il gran cortile e le porte di detto cortile, che rivestì
di bronzo.
Collocò la vasca dal lato destro, a sud-est.
Curam fece le caldaie, le palette e gli aspersori. Egli portò a termine il lavoro,
eseguito nel tempio per il re Salomone: le due colonne, i due globi dei
capitelli sopra le colonne, i due reticolati per coprire i globi dei capitelli
sopra le colonne, le quattrocento melagrane per i due reticolati, due file di
melagrane per ogni reticolato per coprire i due globi dei capitelli sopra le
colonne, le dieci basi e i dieci recipienti sulle basi, l'unica vasca e i dodici
313
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
buoi sotto di essa, le caldaie, le palette, i forchettoni e tutti gli accessori
che Curam-Abi fece di bronzo splendido per il re Salomone per il tempio.
Il re li fece fondere nella valle del Giordano, nella fonderia, fra Succot e Zereda.
Salomone fece tutti questi oggetti in grande quantità da non potersi calcolare il
peso del bronzo. Salomone fece tutti gli oggetti destinati al tempio: l'altare
d'oro e le tavole, su cui si ponevano i pani dell'offerta, i candelabri e le
lampade d'oro da accendersi, come era prescritto, di fronte alla cella, i
fiori, le lampade e gli spegnitoi d'oro, di quello più raffinato, i coltelli, gli
aspersori, le coppe e i bracieri d'oro fino. Quanto alle porte del tempio, i
battenti interni verso il Santo dei santi e i battenti della navata del tempio
erano d'oro”.
2Cro 5: “Fu ultimato così quanto Salomone aveva disposto per il tempio. Allora
Salomone fece portare gli oggetti consacrati da Davide suo padre e depositò
l'argento, l'oro e ogni arredo nel tesoro del tempio. Salomone allora convocò in
assemblea a Gerusalemme gli anziani di Israele e tutti i capitribù, i principi dei
casati israeliti, per trasportare l'arca dell'alleanza del Signore dalla città di
Davide, cioè da Sion.
Si radunarono presso il re tutti gli Israeliti per la festa che cadeva nel settimo
mese. Quando furono giunti tutti gli anziani di Israele, i leviti sollevarono l'arca.
Trasportarono l'arca e la tenda del convegno e tutti gli oggetti sacri che erano
nella tenda; li trasportarono i sacerdoti e i leviti. l re Salomone e tutta la
comunità di Israele, convenuta presso di lui, immolavano davanti all'arca pecore
e buoi, da non potersi contare né calcolare per il gran numero.
I sacerdoti introdussero l'arca dell'alleanza del Signore al suo posto nella
cella del tempio, nel Santo dei santi, sotto le ali dei cherubini.
Difatti i cherubini stendevano le ali sopra l'arca; essi coprivano l'arca e le sue
stanghe dall'alto. Le stanghe erano più lunghe, per questo le loro punte si
prolungavano oltre l'arca verso la cella, ma non si vedevano di fuori; così è fino
ad oggi. Nell'arca non c'era nulla se non le due tavole, che Mosè vi pose
sull'Oreb, le tavole dell'alleanza conclusa dal Signore con gli Israeliti quando
uscirono dall'Egitto.
Ora avvenne che, usciti i sacerdoti dal Santo tutti i sacerdoti presenti infatti si
erano santificati senza badare alle classi mentre tutti i leviti cantori, cioè Asaf,
Eman, Idutun e i loro figli e fratelli, vestiti di bisso, con cembali, arpe e cetre
stavano in piedi a oriente dell'altare e mentre presso di loro 120 sacerdoti
suonavano le trombe, avvenne che, quando i suonatori e i cantori fecero udire
all'unisono la voce per lodare e celebrare il Signore e il suono delle trombe, dei
cembali e degli altri strumenti si levò per lodare il Signore perché è buono,
perché la sua grazia dura sempre, allora il tempio si riempì di una nube, cioè
della gloria del Signore.
I sacerdoti non riuscivano a rimanervi per il loro servizio a causa della nube,
perché la gloria del Signore aveva riempito il tempio di Dio”.
2Cro 6: “Allora Salomone disse: Il Signore ha deciso di abitare nella nube. Ora
io ti ho costruito una casa sublime, un luogo ove tu possa porre per sempre la
dimora.
314
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Il re poi si voltò e benedisse tutta l'assemblea di Israele, mentre tutta
l'assemblea di Israele stava in piedi e disse: Benedetto il Signore Dio di Israele,
che ha adempiuto con potenza quanto aveva predetto di sua bocca a Davide,
mio padre: Da quando feci uscire il mio popolo dal paese d'Egitto non mi sono
scelto una città fra tutte le tribù di Israele perché mi si costruisse un tempio ove
abitasse il mio nome e non mi sono scelto nessuno perché fosse guida del mio
popolo Israele; ora mi sono scelto Gerusalemme perché vi dimori il mio nome e
mi sono scelto Davide perché governi il mio popolo Israele. Davide mio padre
aveva deciso di costruire un tempio al nome del Signore, Dio di Israele, ma il
Signore disse a Davide mio padre: Hai deciso di costruire un tempio al mio
nome; hai fatto bene a formulare tale progetto; solo che tu non costruirai il
tempio, ma tuo figlio, generato da te, costruirà un tempio al mio nome. Il
Signore ha attuato la sua parola; sono succeduto infatti a Davide mio padre e
siedo sul trono di Israele, come aveva preannunziato il Signore e ho costruito
il tempio al nome del Signore, Dio di Israele. Vi ho collocato l'arca
dell'alleanza che il Signore aveva conclusa con gli Israeliti.
Egli si pose poi davanti all'altare del Signore, di fronte a tutta l'assemblea di
Israele, e stese le mani. Salomone, infatti, aveva eretto una tribuna di bronzo e
l'aveva collocata in mezzo al grande cortile; era lunga cinque cubiti, larga
cinque e alta tre. Egli vi salì e si inginocchiò di fronte a tutta l'assemblea di
Israele. Stese le mani verso il cielo e disse: Signore, Dio di Israele, non c'è Dio
simile a te in cielo e sulla terra. Tu mantieni l'alleanza e la misericordia verso i
tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore. Tu hai mantenuto, nei
riguardi del tuo servo Davide mio padre, quanto gli avevi promesso; quanto
avevi pronunziato con la bocca l'hai adempiuto con potenza, come appare oggi.
Ora, Signore Dio di Israele, mantieni, nei riguardi del tuo servo Davide mio
padre quanto gli hai promesso: Non ti mancherà mai un discendente, il quale
stia davanti a me e sieda sul trono di Israele, purché i tuoi figli vigilino sulla loro
condotta, secondo la mia legge, come hai fatto tu con me. Ora, Signore Dio di
Israele, si adempia la parola che tu hai rivolta al tuo servo Davide!
Ma è proprio vero che Dio abita con gli uomini sulla terra? Ecco i cieli e i cieli
dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruita!
Tuttavia volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore mio Dio;
ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo innalza a te. Siano i tuoi occhi
aperti verso questa casa, giorno e notte, verso il luogo dove hai promesso di
porre il tuo nome, per ascoltare la preghiera che il tuo servo innalza in questo
luogo. Ascolta le suppliche del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando
pregheranno in questo luogo. Tu ascoltali dai cieli, dal luogo della tua
dimora; ascolta e perdona!
Se uno pecca contro il suo prossimo e, perché gli è imposta una
maledizione, viene a giurare davanti al tuo altare in questo tempio, tu ascoltalo
dal cielo, intervieni e fa’ giustizia fra i tuoi servi; condanna l'empio, facendogli
ricadere sul capo la sua condotta, e dichiara giusto l'innocente, rendendogli
quanto merita la sua innocenza.
Quando il tuo popolo Israele sarà sconfitto dal nemico perché ha peccato
contro di te, se si convertirà e loderà il tuo nome, pregherà e supplicherà
315
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
davanti a te, in questo tempio, tu ascolta dal cielo, perdona il peccato del tuo
popolo Israele e fallo tornare nel paese che hai concesso loro e ai loro padri.
Quando si chiuderà il cielo e non ci sarà pioggia perché hanno peccato
contro di te, se ti pregheranno in questo luogo, loderanno il tuo nome e si
convertiranno dal loro peccato perché tu li avrai umiliati, tu ascolta dal cielo e
perdona il peccato dei tuoi servi e del tuo popolo Israele, ai quali indicherai la
strada buona su cui camminare, e concedi la pioggia alla terra, che hai dato in
eredità al tuo popolo.
Quando nella regione ci sarà carestia o peste, carbonchio o ruggine,
invasione di cavallette o di bruchi, quando il nemico assedierà il tuo popolo
nella sua terra o nelle sue città, quando scoppierà un'epidemia o un flagello
qualsiasi, ogni preghiera e ogni supplica fatta da un individuo o da tutto il tuo
popolo Israele, in seguito alla prova del castigo e del dolore, con le mani tese
verso questo tempio, tu ascoltala dal cielo, luogo della tua dimora e perdona,
rendendo a ciascuno secondo la sua condotta, tu che conosci il cuore di
ognuno, poiché solo tu conosci il cuore dei figli dell'uomo.
Fa’ sì che ti temano e camminino nelle tue vie per tutti i giorni della loro vita
nel paese che hai dato ai nostri padri. Anche lo straniero, che non appartiene al
tuo popolo Israele, se viene da un paese lontano a causa del tuo grande nome,
della tua mano potente e del tuo braccio teso, a pregare in questo tempio, tu
ascolta dal cielo, luogo della tua dimora, e soddisfa tutte le richieste dello
straniero e tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome, ti temano come il tuo
popolo Israele e sappiano che il tuo nome è stato invocato su questo tempio,
che io ho costruito.
Quando il tuo popolo uscirà in guerra contro i suoi nemici, seguendo la via
per la quale l'avrai indirizzato, se ti pregheranno rivolti verso questa città che ti
sei scelta, e verso il tempio che ho costruito al tuo nome, ascolta dal cielo la
loro preghiera e la loro supplica e rendi loro giustizia.
Quando peccheranno contro di te –non c'è, infatti, nessuno senza peccato –
e tu, adirato contro di loro, li consegnerai a un nemico e i loro conquistatori li
deporteranno in un paese lontano o vicino, se, nel paese in cui saranno stati
deportati, rientrando in se stessi, si convertiranno a te supplicandoti nel paese
della loro prigionia dicendo: Abbiamo peccato, abbiamo agito da malvagi e da
empi, se faranno ritorno a te con tutto il cuore e con tutta l'anima, nel paese
della loro prigionia ove li avranno deportati e ti supplicheranno rivolti verso il
paese che tu hai concesso ai loro padri, verso la città che ti sei scelta e verso il
tempio che io ho costruito al tuo nome, tu ascolta dal cielo, luogo della tua
dimora, la loro preghiera e la loro supplica e rendi loro giustizia. Perdona al tuo
popolo che ha peccato contro di te.
Ora, mio Dio, i tuoi occhi siano aperti e le tue orecchie attente alla preghiera
innalzata in questo luogo. Ora, alzati, Signore Dio, vieni al luogo del tuo riposo,
tu e l'arca tua potente. Siano i tuoi sacerdoti, Signore Dio, rivestiti di salvezza e i
tuoi fedeli esultino nel benessere. Signore Dio, non rigettare il tuo consacrato;
ricordati i favori fatti a Davide tuo servo”.
316
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Ez 40: “Al principio dell'anno venticinquesimo della nostra deportazione, il dieci
del mese, quattordici anni da quando era stata presa la città, in quel medesimo
giorno, la mano del Signore fu sopra di me ed egli mi condusse là.
In visione divina mi condusse nella terra d'Israele e mi pose sopra un monte
altissimo sul quale sembrava costruita una città, dal lato di mezzogiorno. Egli mi
condusse là: ed ecco un uomo, il cui aspetto era come di bronzo, in piedi sulla
porta, con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare.
Quell'uomo mi disse: Figlio dell'uomo: osserva e ascolta attentamente e fa’
attenzione a quanto io sto per mostrarti, perché tu sei stato condotto qui
perché io te lo mostri e tu manifesti alla casa d'Israele quello che avrai
visto.
Ed ecco il tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che
l'uomo teneva in mano era di sei cubiti, d'un cubito e un palmo ciascuno. Egli
misurò lo spessore del muro: era una canna, e l'altezza una canna. Poi andò
alla porta che guarda a oriente, salì i gradini e misurò la soglia della porta; era
una canna di larghezza. Ogni stanza misurava una canna di lunghezza e una di
larghezza, da una stanza all'altra vi erano cinque cubiti: anche la soglia del
portico dal lato dell'atrio della porta stessa, verso l'interno, era di una canna.
Misurò l'atrio della porta: era di otto cubiti; i pilastri di due cubiti. L'atrio della
porta era verso l'interno. Le stanze della porta a oriente erano tre da una parte
e tre dall'altra, tutt'e tre della stessa grandezza, come di una stessa misura
erano i pilastri da una parte e dall'altra. Misurò la larghezza dell'apertura del
portico: era di dieci cubiti; l'ampiezza della porta era di tredici cubiti.
Davanti alle stanze vi era un parapetto di un cubito, da un lato e dall'altro; ogni
stanza misurava sei cubiti per lato. Misurò poi il portico dal tetto di una stanza al
suo opposto; la larghezza era di venticinque cubiti; da un'apertura all'altra; i
pilastri li calcolò alti sessanta cubiti, dai pilastri cominciava il cortile che
circondava la porta.
Dalla facciata della porta d'ingresso alla facciata dell'atrio della porta interna vi
era uno spazio di cinquanta cubiti. Le stanze e i pilastri avevano finestre con
grate verso l'interno, intorno alla porta, come anche vi erano finestre intorno che
davano sull'interno dell'atrio. Sui pilastri erano disegnate palme.
Poi mi condusse nel cortile esterno e vidi delle stanze e un lastricato costruito
intorno al cortile; trenta erano le stanze lungo il lastricato. Il lastricato si
estendeva ai lati delle porte per una estensione uguale alla larghezza delle
porte stesse: era il lastricato inferiore. Misurò lo spazio dalla facciata della porta
inferiore da oriente a settentrione alla facciata della porta interna, erano cento
cubiti. Poi misurò la lunghezza e la larghezza della porta che guarda a
settentrione e conduce al cortile esterno. Le sue stanze, tre da una parte e tre
dall'altra, i pilastri, l'atrio avevano le stesse dimensioni della prima porta:
cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.
Le finestre, l'atrio e le palme avevano le stesse dimensioni di quelle della porta
che guarda a oriente. Vi si accedeva per sette scalini: l'atrio era davanti. Di
fronte al portico di settentrione vi era la porta, come di fronte a quello di oriente;
misurò la distanza fra portico e portico: vi erano cento cubiti. Mi condusse poi
317
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
verso mezzogiorno: ecco un portico rivolto a mezzogiorno. Ne misurò i pilastri e
l'atrio; avevano le stesse dimensioni. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi
erano finestre uguali alle altre finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di
lunghezza per venticinque di larghezza.
Vi si accedeva per sette gradini: il vestibolo stava verso l'interno. Sui pilastri, da
una parte e dall'altra, vi erano ornamenti di palme. Il cortile interno aveva un
portico verso mezzogiorno; egli misurò la distanza fra porta e porta in direzione
del mezzogiorno; erano cento cubiti. Allora mi introdusse nell'atrio interno, per il
portico meridionale, e misurò questo portico; aveva le stesse dimensioni.
Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le medesime misure. Intorno al portico,
come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di
lunghezza per venticinque di larghezza. Intorno vi erano vestiboli di venticinque
cubiti di lunghezza per cinque di larghezza. Il suo vestibolo era rivolto verso
l'atrio esterno; sui pilastri c'erano ornamenti di palme; i gradini per i quali si
accedeva erano otto. Poi mi condusse al portico dell'atrio interno che guarda a
oriente e lo misurò: aveva le solite dimensioni. Le stanze, i pilastri e l'atrio
avevano le stesse dimensioni. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano
finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di
larghezza. Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno: sui pilastri, da una parte e
dall'altra vi erano ornamenti di palme: i gradini per i quali si accedeva erano
otto.
Poi mi condusse al portico settentrionale e lo misurò: aveva le solite dimensioni,
come le stanze, i pilastri e l'atrio. Intorno vi erano finestre. Esso misurava
cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza. Il suo vestibolo dava
sull'atrio esterno; sui pilastri, da una parte e dall'altra, c'erano ornamenti di
palme: i gradini per cui vi si accedeva erano otto. C'era anche una stanza con la
porta vicino ai pilastri dei portici; là venivano lavati gli olocausti.
Nell'atrio del portico vi erano due tavole da una parte e due dall'altra, sulle quali
venivano sgozzati gli olocausti e i sacrifici espiatori e di riparazione. Altre due
tavole erano sul lato esterno, a settentrione di chi entra nel portico, e due tavole
all'altro lato presso l'atrio del portico. Così a ciascun lato del portico c'erano
quattro tavole da una parte e quattro tavole dall'altra: otto tavole in tutto. Su di
esse si sgozzavano le vittime.
C'erano poi altre quattro tavole di pietre squadrate, per gli olocausti, lunghe un
cubito e mezzo, larghe un cubito e mezzo e alte un cubito: su di esse venivano
deposti gli strumenti con i quali si immolavano gli olocausti e gli altri sacrifici.
Uncini d'un palmo erano attaccati all'interno tutt'intorno; sulle tavole si
mettevano le carni delle offerte.
Fuori del portico interno, nell'atrio interno, vi erano due stanze: quella accanto al
portico settentrionale guardava a mezzogiorno, l'altra accanto al portico
meridionale guardava a settentrione. Egli mi disse: La stanza che guarda a
mezzogiorno è per i sacerdoti che hanno cura del tempio, mentre la stanza che
guarda a settentrione è per i sacerdoti che hanno cura dell'altare: sono essi i
figli di Zadòk che, tra i figli di Levi, si avvicinano al Signore per il suo servizio.
318
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Misurò quindi l'atrio: era un quadrato di cento cubiti di larghezza per cento di
lunghezza. L'altare era di fronte al tempio.
Mi condusse poi nell'atrio del tempio e ne misurò i pilastri: erano ognuno cinque
cubiti da una parte e cinque cubiti dall'altra; la larghezza del portico: tre cubiti da
una parte e tre cubiti dall'altra. La lunghezza del vestibolo era di venti cubiti e la
larghezza di dodici cubiti. Vi si accedeva per mezzo di dieci gradini; accanto ai
pilastri c'erano due colonne, una da una parte e una dall'altra”.
Ez 41: “M'introdusse poi nel santuario e misurò i pilastri: erano larghi sei cubiti
da una parte e sei cubiti dall'altra. La porta era larga dieci cubiti e i lati della
porta cinque cubiti da una parte e cinque cubiti dall'altra. Misurò quindi il
santuario: era lungo quaranta cubiti e largo venti. Andò poi nell'interno e misurò
i pilastri della porta, due cubiti, e la porta, sei cubiti; la larghezza della porta,
sette cubiti.
Ne misurò ancora la lunghezza, venti cubiti e la larghezza, davanti al santuario,
venti cubiti, poi mi disse: Questo è il Santo dei santi. Misurò poi il muro del
tempio, sei cubiti; poi la larghezza dell'edificio laterale, quattro cubiti, intorno al
tempio. Le celle laterali erano una sull'altra, trenta per tre piani. Per le celle
all'intorno, c'erano, nel muro del tempio, rientranze in modo che fossero
collegate fra di loro, ma non collegate al muro del tempio.
Salendo da un piano all'altro l'ampiezza delle celle aumentava, perciò la
costruzione era più larga verso l'alto. Dal piano inferiore si poteva salire al piano
di mezzo e da questo a quello più alto. Io vidi intorno al tempio una elevazione.
I fondamenti dell'edificio laterale erano di una canna intera di sei cubiti. La
larghezza del muro esterno dell'edificio laterale era di cinque cubiti, come quella
dello spazio rimanente. Fra l'edificio laterale del tempio e le stanze c'era una
larghezza di venti cubiti intorno al tempio.
Le porte dell'edificio laterale rimanevano sullo spazio libero; una porta dava a
settentrione e una a mezzogiorno. Lo spazio libero era cinque cubiti tutt'intorno.
La costruzione che era di fronte allo spazio libero sul lato d'occidente, aveva
settanta cubiti di larghezza; il muro della costruzione era tutt'intorno dello
spessore di cinque cubiti; la sua lunghezza di novanta cubiti. Poi misurò il
tempio: lunghezza cento cubiti; lo spazio libero, edificio e sue mura, anch'essi
cento cubiti. La larghezza della facciata del tempio con lo spazio libero, cento
cubiti. Misurò ancora la larghezza dell'edificio di fronte allo spazio libero nella
parte retrostante, con le gallerie di qua e di là: era cento cubiti. L'interno del
santuario, il suo vestibolo, gli stipiti, le finestre a grate e le gallerie attorno a tutti
e tre, a cominciare dalla soglia, erano rivestiti di tavole di legno, tutt'intorno, dal
pavimento fino alle finestre, che erano velate. Dalla porta, dentro e fuori del
tempio e su tutte le pareti interne ed esterne erano dipinti cherubini e palme.
Fra cherubino e cherubino c'era una palma; ogni cherubino aveva due aspetti:
aspetto d'uomo verso una palma e aspetto di leone verso l'altra palma, effigiati
intorno a tutto il tempio.
Da terra fino sopra la porta erano disposti cherubini e palme sulle pareti del
santuario. Gli stipiti del santuario erano quadrangolari. Davanti al Santo dei
santi c'era come un altare di legno, alto tre cubiti, due cubiti di lunghezza e due
319
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
di larghezza. Gli angoli, la base e i lati erano di legno. Mi disse: Questa è la
tavola che sta davanti al Signore.
Il santuario e il Santo dei santi avevano due porte ciascuno. Ogni porta aveva
due battenti e ogni battente si ripiegava in due pezzi: due per un battente e due
per l'altro. Sulle porte erano dipinti cherubini e palme come sulle pareti: un
portale di legno era sulla facciata dell'atrio all'esterno. Finestre e grate e palme
erano da tutt'e due le parti, ai lati del vestibolo, alle celle annesse al tempio e
agli architravi”.
Ez 42: “Allora mi fece uscire nell'atrio esterno dal lato settentrionale e mi
condusse all'appartamento che sta di fronte allo spazio libero prospiciente
l'edificio verso settentrione. Nella facciata aveva una lunghezza di cento cubiti,
verso settentrione, e cinquanta cubiti di larghezza.
Di fronte ai venti cubiti dell'atrio interno e di fronte al lastricato esterno, vi era un
porticato davanti a un altro porticato a tre piani; davanti alle stanze c'era un
corridoio di dieci cubiti di larghezza per cento di lunghezza: le porte delle stanze
guardavano a settentrione. Le stanze superiori erano più strette delle inferiori e
intermedie, perché i porticati occupavano parte dello spazio. Erano a tre piani,
ma non avevano colonne come quelle degli altri, e perciò le stanze superiori
erano più strette rispetto a quelle intermedie e a quelle inferiori. Il muro esterno
parallelo alle stanze, dal lato del corridoio esterno, aveva, davanti alle stanze,
una lunghezza di cinquanta cubiti.
Infatti la lunghezza delle stanze dell'atrio esterno era di cinquanta cubiti, mentre
dal lato del tempio era di cento cubiti. In basso le stanze avevano l'ingresso
rivolto verso oriente, entrando dall'atrio esterno, sulla larghezza del muro
dell'atrio. A mezzogiorno, di fronte allo spazio libero e alla muraglia di cinta,
c'erano stanze e, davanti ad esse, un passaggio simile a quello delle stanze
poste a settentrione: la lunghezza e la larghezza erano uguali a quelle, come
anche le varie uscite e le loro disposizioni; come le porte di quelle, così erano le
porte delle stanze che davano a mezzogiorno; una porta era al principio
dell'ambulacro, lungo il muro corrispondente, a oriente di chi entra.
Egli mi disse: Le stanze a settentrione e quelle a mezzogiorno, di fronte allo
spazio libero, sono le stanze sacre, dove i sacerdoti che si accostano al Signore
mangeranno le cose santissime: ivi riporranno le cose santissime, le oblazioni e
le vittime di espiazione e di riparazione, perché santo è questo luogo. Quando i
sacerdoti vi saranno entrati, non usciranno dal luogo santo verso l'atrio esterno,
ma deporranno là le loro vesti con le quali hanno prestato servizio, perché esse
sono sante: indosseranno altre vesti e così si avvicineranno al luogo destinato
al popolo.
Terminato ch'egli ebbe di misurare l'interno del tempio mi condusse fuori per la
porta che guarda a oriente, e misurò la cinta intorno. Misurò il lato orientale con
la canna per misurare: era cinquecento canne, in canne da misura, all'intorno.
Misurò il lato settentrionale: era cinquecento canne, in canne da misura,
all'intorno. Misurò il lato meridionale: era cinquecento canne, con la canna da
misura. Si volse al lato occidentale: misurò cinquecento canne con la canna da
misura. Da quattro lati egli misurò il tempio; aveva intorno un muro lungo
320
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
cinquecento canne e largo cinquecento, per separare il luogo sacro da quello
profano”.
Ez 43: “Mi condusse allora verso la porta che guarda a oriente ed ecco che la
gloria del Dio d'Israele giungeva dalla via orientale e il suo rumore era come il
rumore delle grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria. La visione che
io vidi era simile a quella che avevo vista quando andai per distruggere la città e
simile a quella che avevo vista presso il canale Chebàr. Io caddi con la faccia a
terra. La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a
oriente.
Lo spirito mi prese e mi condusse nell'atrio interno: ecco, la gloria del Signore
riempiva il tempio. Mentre quell'uomo stava in piedi accanto a me, sentii che
qualcuno entro il tempio mi parlava e mi diceva: Figlio dell'uomo, questo è il
luogo del mio trono e il luogo dove posano i miei piedi, dove io abiterò in mezzo
agli Israeliti, per sempre. E la casa d'Israele, il popolo e i suoi re, non
profaneranno più il mio santo nome con le loro prostituzioni e con i cadaveri dei
loro re e con le loro stele, collocando la loro soglia accanto alla mia soglia e i
loro stipiti accanto ai miei stipiti, così che fra me e loro vi era solo il muro, hanno
profanato il mio santo nome con tutti gli abomini che hanno commessi, perciò li
ho distrutti con ira.
Ma d'ora in poi essi allontaneranno da me le loro prostituzioni e i cadaveri dei
loro re e io abiterò in mezzo a loro per sempre. Tu, figlio dell'uomo, descrivi
questo tempio alla casa d'Israele, perché arrossiscano delle loro iniquità; ne
misurino la pianta e, se si vergogneranno di quanto hanno fatto, manifesta loro
la forma di questo tempio, la sua disposizione, le sue uscite, i suoi ingressi, tutti
i suoi aspetti, tutti i suoi regolamenti, tutte le sue forme e tutte le sue leggi:
mettili per iscritto davanti ai loro occhi, perché osservino tutte queste norme e
tutti questi regolamenti e li mettano in pratica.
Questa è la legge del tempio: alla sommità del monte, tutto il territorio che lo
circonda è santissimo; ecco, questa è la legge del tempio.
Queste sono le misure dell'altare in cubiti, di un cubito e un palmo ciascuno.
La base era di un cubito di altezza per un cubito di larghezza: il suo bordo
intorno era un palmo. Tale lo zoccolo dell'altare. Dalla base che posava a terra
fino alla piattaforma inferiore vi erano due cubiti di altezza e un cubito di
larghezza: dalla piattaforma piccola alla piattaforma più grande vi erano quattro
cubiti di altezza e un cubito di larghezza. Il focolare era di quattro cubiti e sul
focolare vi erano quattro corni. Il focolare era dodici cubiti di lunghezza per
dodici di larghezza, cioè quadrato. La piattaforma superiore era un quadrato di
quattordici cubiti di lunghezza per quattordici cubiti di larghezza, con un orlo
intorno di mezzo cubito, e la base, intorno, di un cubito: i suoi gradini
guardavano a oriente.
Egli mi parlò: Figlio dell'uomo, dice il Signore Dio: Queste sono le leggi
dell'altare, quando verrà costruito per offrirvi sopra il sangue.
Ai sacerdoti leviti della stirpe di Zadòk, che si avvicineranno a me per servirmi,
tu darai parola del Signore Dio un giovenco per l'espiazione. Prenderai di quel
sangue e lo spanderai sui quattro corni dell'altare, sui quattro angoli della
321
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
piattaforma e intorno all'orlo. Così lo purificherai e ne farai l'espiazione.
Prenderai poi il giovenco del sacrificio espiatorio e lo brucerai in un luogo
appartato del tempio, fuori del santuario. Il secondo giorno offrirai, per il
peccato, un capro senza difetto e farai la purificazione dell'altare come hai fatto
con il giovenco. Terminato il rito della purificazione, offrirai un giovenco senza
difetti e un montone del gregge senza difetti.
Tu li presenterai al Signore e i sacerdoti getteranno il sale su di loro, poi li
offriranno in olocausto al Signore. Per sette giorni sacrificherai per il peccato un
capro al giorno e verrà offerto anche un giovenco e un montone del gregge
senza difetti. Per sette giorni si farà l'espiazione dell'altare e lo si purificherà e
consacrerà. Finiti questi giorni, dall'ottavo in poi, i sacerdoti immoleranno sopra
l'altare i vostri olocausti, i vostri sacrifici di comunione e io vi sarò propizio>>.
Oracolo del Signore Dio”.
Ez 44: “Mi condusse poi alla porta esterna del santuario dalla parte di oriente;
essa era chiusa. Mi disse: Questa porta rimarrà chiusa: non verrà aperta,
nessuno vi passerà, perché c'è passato il Signore, Dio d'Israele. Perciò resterà
chiusa. Ma il principe, il principe siederà in essa per cibarsi davanti al Signore;
entrerà dal vestibolo della porta e di lì uscirà.
Poi mi condusse per la porta settentrionale, davanti al tempio. Guardai ed ecco
la gloria del Signore riempiva il tempio. Caddi con la faccia a terra e il Signore
mi disse: Figlio dell'uomo, sta’ attento, osserva bene e ascolta quanto io ti dirò
sulle prescrizioni riguardo al tempio e su tutte le sue leggi; sta’ attento a come
si entra nel tempio da tutti gli accessi del santuario. Riferirai a quei ribelli, alla
gente d'Israele: Così dice il Signore Dio: Troppi sono stati per voi gli abomini, o
Israeliti! Avete introdotto figli stranieri, non circoncisi di cuore e non circoncisi di
carne, perché stessero nel mio santuario e profanassero il mio tempio, mentre
mi offrivate il mio cibo, il grasso e il sangue, rompendo così la mia alleanza con
tutti i vostri abomini. Non vi siete presi voi la cura delle mie cose sante ma avete
affidato loro, al vostro posto, la custodia del mio santuario.
Così dice il Signore Dio: Nessuno straniero, non circonciso di cuore, non
circonciso nella carne, entrerà nel mio santuario, nessuno di tutti gli stranieri
che sono in mezzo agli Israeliti. Anche i leviti, che si sono allontanati da me nel
traviamento d'Israele e hanno seguito i loro idoli, sconteranno la propria iniquità;
serviranno nel mio santuario come guardie delle porte del tempio e come servi
del tempio; sgozzeranno gli olocausti e le vittime del popolo e staranno davanti
ad esso pronti al suo servizio.
Poiché l'hanno servito davanti ai suoi idoli e sono stati per la gente d'Israele
occasione di peccato, perciò io ho alzato la mano su di loro parola del Signore
Dio ed essi sconteranno la loro iniquità. Non si avvicineranno più a me per
servirmi come sacerdoti e toccare tutte le mie cose sante e santissime, ma
sconteranno la vergogna degli abomini che hanno compiuti. Affido loro la
custodia del tempio e ogni suo servizio e qualunque cosa da compiere in esso.
I sacerdoti leviti figli di Zadòk, che hanno osservato le prescrizioni del mio
santuario quando gli Israeliti si erano allontanati da me, si avvicineranno a me
per servirmi e staranno davanti a me per offrirmi il grasso e il sangue. Parola
del Signore Dio. Essi entreranno nel mio santuario e si avvicineranno alla mia
322
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
tavola per servirmi e custodiranno le mie prescrizioni. Quando entreranno dalle
porte dell'atrio interno, indosseranno vesti di lino; non porteranno alcun
indumento di lana, quando essi eserciteranno il ministero alle porte dell'atrio
interno e nel tempio. Porteranno in capo turbanti di lino e avranno mutande ai
fianchi: non si cingeranno di quanto provochi il sudore. Quando usciranno
nell'atrio esterno verso il popolo, si toglieranno le vesti con le quali hanno
ufficiato e le deporranno nelle stanze del santuario: indosseranno altre vesti per
non comunicare con esse la consacrazione al popolo. Non si raderanno il capo,
né si lasceranno crescere la chioma, ma avranno i capelli normalmente tagliati.
Nessun sacerdote berrà vino quando dovrà entrare nell'atrio interno. Non
prenderanno in sposa una vedova, né una ripudiata, ma solo una vergine della
stirpe d'Israele: potranno sposare però una vedova, se è la vedova di un
sacerdote.
Indicheranno al mio popolo ciò che è santo e ciò che è profano e gli
insegneranno ciò che è mondo e ciò che è immondo. Nelle liti essi saranno i
giudici e decideranno secondo le mie leggi. In tutte le mie feste osserveranno le
mie leggi e i miei statuti e santificheranno i miei sabati. Nessuno di essi si
avvicinerà a un cadavere per non rendersi immondo, ma potrà rendersi
immondo per il padre, la madre, un figlio, una figlia, un fratello o per una sorella
non maritata: dopo essersi purificato, gli si conteranno sette giorni e quando egli
rientrerà nel luogo santo, nell'atrio interno per servire nel santuario, offrirà il suo
sacrificio espiatorio. Parola del Signore Dio.
Essi non avranno alcuna eredità. Io sarò la loro eredità: non sarà dato loro
alcun possesso in Israele; io sono il loro possesso. Saranno loro cibo le
oblazioni, i sacrifici espiatori, i sacrifici di riparazione; apparterrà loro quanto è
stato votato allo sterminio in Israele. La parte migliore di tutte le vostre primizie
e ogni specie di offerta apparterranno ai sacerdoti: così darete al sacerdote le
primizie dei vostri macinati, per far posare la benedizione sulla vostra casa. I
sacerdoti non mangeranno la carne di alcun animale morto di morte naturale o
sbranato, di uccelli o di altri animali”.
Si è voluto riportare tutto ciò che riguardava il tempio e l’esercizio del culto,
prima perché ognuno fosse messo in condizione di farsi un giudizio da se
stesso sulla complessità del culto e sulla sua altissima sacralità.
In secondo luogo perché ognuno comprendesse la libertà cui ora Cristo ci
chiama. La libertà è questa: tutto ora è nell’uomo, perché con Cristo tutto è
nell’uomo e niente è fuori dell’uomo.
La nostra fede non ha templi esterni, non ha culto esterno, non ha forme
esterne.
Il culto è quello di Cristo, lo stesso, identico, senza alcuna differenza:
l’offerta in Lui di noi stessi, di tutto noi stessi, fino al martirio, atto supremo del
culto dell’uomo, nella consacrazione della propria vita a Lui, per attestare che
Lui solo è il Signore e Dio della nostra vita, cui va tutta la nostra obbedienza.
Tempio nuovo di Dio è il cristiano e dovunque c’è un cristiano, lì è il tempio di
Dio, lì abita Dio, lì si possono celebrare i sacramenti. Questo non significa che
non possono esistere luoghi in cui i cristiani possono riunirsi insieme. Così
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
attestano gli Atti degli Apostoli: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento
degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle
preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per
opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano
insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze
le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At
2,42-45).
Con la Nuova Alleanza, tutto questo mondo finisce. È dichiarato nullo da Dio.
Finisce cioè quanto è riportato nei vv. 1-5: “Certo, anche la prima alleanza
aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una Tenda:
la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell'offerta: essa
veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo poi c'era una Tenda, detta
Santo dei Santi, con l'altare d'oro per i profumi e l'arca dell'alleanza tutta
ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un'urna d'oro contenente la manna,
la verga di Aronne che aveva fiorito e le tavole dell'alleanza. E sopra l'arca
stavano i cherubini della gloria, che facevano ombra al luogo dell'espiazione”.
[6]Disposte in tal modo le cose, nella prima Tenda entrano sempre i
sacerdoti per celebrarvi il culto; [7]nella seconda invece solamente il
sommo sacerdote, una volta all'anno, e non senza portarvi del sangue,
che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo.
Circa questa prescrizione, ecco il testo nella sua interezza. Anche di questa
complessità è giusto che ognuno si faccia una sua propria idea. Anche questa
prescrizione è stata abolita per sempre.
Lev 16: “Il Signore parlò a Mosè dopo che i due figli di Aronne erano morti
mentre presentavano un'offerta davanti al Signore. Il Signore disse a Mosè:
Parla ad Aronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualunque tempo nel
santuario, oltre il velo, davanti al coperchio che è sull'arca; altrimenti
potrebbe morire, quando io apparirò nella nuvola sul coperchio.
Aronne entrerà nel santuario in questo modo: prenderà un giovenco per il
sacrificio espiatorio e un ariete per l'olocausto. Si metterà la tunica sacra di lino,
indosserà sul corpo i calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino e si metterà in
capo il turbante di lino. Sono queste le vesti sacre che indosserà dopo essersi
lavato la persona con l'acqua. Dalla comunità degli Israeliti prenderà due capri
per un sacrificio espiatorio e un ariete per un olocausto.
Aronne offrirà il proprio giovenco in sacrificio espiatorio e compirà l'espiazione
per sé e per la sua casa. Poi prenderà i due capri e li farà stare davanti al
Signore all'ingresso della tenda del convegno e getterà le sorti per vedere quale
dei due debba essere del Signore e quale di Azazel. Farà quindi avvicinare il
capro che è toccato in sorte al Signore e l'offrirà in sacrificio espiatorio;
invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti al
Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e sia mandato poi ad Azazel
nel deserto.
Aronne offrirà dunque il proprio giovenco in sacrificio espiatorio per sé e, fatta
l'espiazione per sé e per la sua casa, immolerà il giovenco del sacrificio
espiatorio per sé. Poi prenderà l'incensiere pieno di brace tolta dall'altare
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
davanti al Signore e due manciate di incenso odoroso polverizzato; porterà ogni
cosa oltre il velo. Metterà l'incenso sul fuoco davanti al Signore, perché la nube
dell'incenso copra il coperchio che è sull'arca e così non muoia.
Poi prenderà un po’ di sangue del giovenco e ne aspergerà con il dito il
coperchio dal lato d'oriente e farà sette volte l'aspersione del sangue con il dito,
davanti al coperchio. Poi immolerà il capro del sacrificio espiatorio, quello per il
popolo, e ne porterà il sangue oltre il velo; farà con questo sangue quello che
ha fatto con il sangue del giovenco: lo aspergerà sul coperchio e davanti al
coperchio. Così farà l'espiazione sul santuario per l'impurità degli Israeliti, per le
loro trasgressioni e per tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda del
convegno che si trova fra di loro, in mezzo alle loro impurità.
Nella tenda del convegno non dovrà esserci alcuno, da quando egli entrerà
nel santuario per farvi il rito espiatorio, finché egli non sia uscito e non abbia
compiuto il rito espiatorio per sé, per la sua casa e per tutta la comunità
d'Israele.
Uscito dunque verso l'altare, che è davanti al Signore, compirà il rito espiatorio
per esso, prendendo il sangue del giovenco e il sangue del capro e
bagnandone intorno i corni dell'altare. Farà per sette volte l'aspersione del
sangue con il dito sopra l'altare; così lo purificherà e lo santificherà dalle
impurità degli Israeliti. Quando avrà finito l'aspersione per il santuario, per la
tenda del convegno e per l'altare, farà accostare il capro vivo.
Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte
le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà
sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via
nel deserto. Quel capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione
solitaria, sarà lasciato andare nel deserto.
Poi Aronne entrerà nella tenda del convegno, si toglierà le vesti di lino che
aveva indossate per entrare nel santuario e le deporrà in quel luogo. Laverà la
sua persona nell'acqua in luogo santo, indosserà le sue vesti e uscirà ad offrire
il suo olocausto e l'olocausto del popolo e a compiere il rito espiatorio per sé e
per il popolo. E farà ardere sull'altare le parti grasse del sacrificio espiatorio.
Colui che avrà lasciato andare il capro destinato ad Azazel si laverà le vesti,
laverà il suo corpo nell'acqua; dopo, rientrerà nel campo. Si porterà fuori del
campo il giovenco del sacrificio espiatorio e il capro del sacrificio, il cui sangue
è stato introdotto nel santuario per compiere il rito espiatorio, se ne bruceranno
nel fuoco la pelle, la carne e gli escrementi. Poi colui che li avrà bruciati dovrà
lavarsi le vesti e bagnarsi il corpo nell'acqua; dopo, rientrerà nel campo.
Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, nel decimo
giorno del mese, vi umilierete, vi asterrete da qualsiasi lavoro, sia colui che è
nativo del paese, sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi. Poiché in quel
giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete
purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore.
Sarà per voi un sabato di riposo assoluto e voi vi umilierete; è una legge
perenne. Il sacerdote che ha ricevuto l'unzione ed è rivestito del sacerdozio al
posto di suo padre, compirà il rito espiatorio; si vestirà delle vesti di lino, delle
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
vesti sacre. Farà l'espiazione per il santuario, per la tenda del convegno e per
l'altare; farà l'espiazione per i sacerdoti e per tutto il popolo della comunità.
Questa sarà per voi legge perenne: una volta all'anno, per gli Israeliti, si
farà l'espiazione di tutti i loro peccati”. E si fece come il Signore aveva
ordinato a Mosè.
Altra osservazione – oltre quella della totale abolizione di ognuna di queste
norme – è la seguente: tutto questo si può comprendere solo se si accoglie la
storicità dell’uomo assieme all’altra verità che: Dio opera con l’uomo storico,
fatto di tradizioni, immerso in usi e costumi da lui stesso pensati, istituiti,
immaginati.
Dio non abolisce la storicità dell’uomo, la purifica, la eleva, le dona un
significato di salvezza.
Verità da tenere sempre presente è anche questa: una norma assai semplice e
pura all’origine, a causa del peccato dell’uomo e della sua mentalità intrisa di
errore e di tanta idolatria, può anche impossessarsi della verità santa di Dio e
rovinarla, confonderla, mescolarla con il suo vizio.
Per questo è necessaria la perenne azione dello Spirito Santo che conduca la
Chiesa verso la verità tutta intera e giorno per giorno liberi lo stesso cristiano da
tutte le sovrastrutture con le quali ha reso irriconoscibile il Vangelo di Dio.
Il peccato dell’uomo si è intromesso, si intromette, si intrometterà sempre nella
bellezza e nella purezza della verità di Dio, del suo Vangelo, per corromperlo.
Il peccato ha tanta potenza da annullare, vanificare, eludere lo stesso
comandamento di Dio, il suo Vangelo e fare tutto questo in nome di Dio e del
Vangelo.
Ce lo insegna Cristo Gesù nel capitolo 7 del Vangelo secondo Marco (7,1-23):
“Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da
Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con
mani immonde, cioè non lavate i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se
non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli
antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e
osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e
oggetti di rame quei farisei e scribi lo interrogarono: Perché i tuoi discepoli
non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo
con mani immonde?
Ed egli rispose loro: Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.
Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di
uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione
degli uomini.
E aggiungeva: Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio,
per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e
tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi
invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè
offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la
tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte.
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: Ascoltatemi tutti e intendete bene: non
c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le
cose che escono dall'uomo a contaminarlo.
Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul
significato di quella parabola. E disse loro: Siete anche voi così privi di
intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può
contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella
fogna? Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: Ciò che esce
dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore
degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi,
adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia,
superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro
e contaminano l'uomo”.
Fino all’ultimo uomo che nascerà sulla nostra terra, ci sarà sempre il peccato
dell’uomo che tenterà di oscurare la bellezza santissima e purissima del
Vangelo di Dio. In questa tentazione cadono moltissimi figli della Chiesa.
La storicità dell’uomo messa nelle mani di Dio e a Lui affidata con vero atto di
consegna alla sua volontà, porta l’uomo verso una novità sempre più grande
che è il compimento in lui della verità tutta intera verso cui chiama e conduce lo
Spirito del Signore.
La storicità dell’uomo, messa nelle mani dell’uomo e affidata al suo peccato,
lo conduce e lo spinge verso tutto ciò che è vecchio ed esteriore allo stesso
uomo.
La novità dell’uomo è l’uomo nuovo, non le cose nuove che Lui fa. La novità
dell’uomo nella creazione dell’uomo è opera solo dello Spirito di Dio.
Ogni cosa che l’uomo fa e che è fuori di sé, deve esprimere sempre la sua
novità. Poiché la novità dell’uomo non è una cosa acquisita, ma sempre da
acquisire, ognuno è obbligato a lasciare ciò che è di ieri, perché oggi assuma la
veste della bellezza della grazia e della verità che lo Spirito Santo ha preparato
per lui, perché la indossi e mostri al mondo intero la bellezza di Dio che opera
cose nuove, cioè sante, attraverso di lui.
[8]Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la
via del santuario, finché sussisteva la prima Tenda.
Rileggiamo ancora una volta l’intera argomentazione dell’Autore dal v.1 al v. 7 e
troveremo la spiegazione a quanto ci vuole dire con questo v. 8:
“Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno.
Fu costruita infatti una Tenda: la prima, nella quale vi erano il candelabro, la
tavola e i pani dell'offerta: essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo
poi c'era una Tenda, detta Santo dei Santi, con l'altare d'oro per i profumi e
l'arca dell'alleanza tutta ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un'urna d'oro
contenente la manna, la verga di Aronne che aveva fiorito e le tavole
dell'alleanza. E sopra l'arca stavano i cherubini della gloria, che facevano
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
ombra al luogo dell'espiazione. Di tutte queste cose non è necessario ora
parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima Tenda entrano
sempre i sacerdoti per celebrarvi il culto; nella seconda invece solamente il
sommo sacerdote, una volta all'anno, e non senza portarvi del sangue, che egli
offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo”.
C’è una prima Tenda: “Nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani
dell'offerta: essa veniva chiamata il Santo”.
C’è una seconda Tenda: “Dietro il secondo velo poi c'era una Tenda, detta
Santo dei Santi, con l'altare d'oro per i profumi e l'arca dell'alleanza tutta
ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un'urna d'oro contenente la manna, la
verga di Aronne che aveva fiorito e le tavole dell'alleanza”.
L’Autore ora dice: “Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era
ancora aperta la via del santuario, finché sussisteva la prima Tenda”.
Se intendiamo per prima Tenda tutto l’Antico Testamento e per seconda Tenda
il santuario del cielo, l’interpretazione diviene chiara, semplice, vera: finché dura
la prima l’alleanza non è possibile per alcuno entrare nel Santuario del Cielo.
Dio cosa fa? Abolisce la prima l’Alleanza con tutto ciò che ad essa è legato e da
essa dipende, e apre la via del Santuario del Cielo.
Apre cioè la via al Nuovo Culto, alla Nuova Realtà che dal Culto Nuovo
scaturisce.
Questa interpretazione è suffragata dallo stesso Autore che così dice ai versetti
seguenti (9 e 10):
[9]Essa infatti è una figura per il tempo attuale, offrendosi sotto di essa
doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza,
l'offerente, [10]trattandosi solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni,
tutte prescrizioni umane, valide fino al tempo in cui sarebbero state
riformate.
La Tenda, che in senso allargato è tutto l’Antico Testamento e in modo
particolare il culto e il sacerdozio, è solamente una figura, non la realtà cui
chiama il Signore e verso cui conduce.
Perché è una figura e non la realtà?
L’Autore lo dice con queste brevi aggiunte di chiarificazione:
-
Perché “venivano offerte sotto di essa doni e sacrifici che non possono
rendere perfetto, nella sua coscienza, l'offerente”
-
Perché “si trattava solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte
prescrizioni umane, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate”.
Come si può constatare le due aggiunte di chiarificazione dicono tutta
l’inefficacia del culto che si offriva nell’Antica Alleanza.
I motivi dell’inefficacia sono due:
-
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Le offerte che venivano fatte non rendevano perfetto nella sua coscienza
l’offerente. Non potevano renderlo. Mai avrebbero potuto.
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
-
Le offerte e i sacrifici erano prescrizioni umane. Queste avevano un’unica
validità, ma solo momentanea.
La loro validità era questa: atto di adorazione e di confessione del nome di Dio
Santo, anzi Santissimo, che manifestava tutta la divina Trascendenza in mezzo
al suo popolo.
Inoltre l’Autore aggiunge che tutte queste prescrizioni erano in se stessa
transitorie. Sarebbero servite per accompagnare l’uomo solo per un tratto di
strada. Finito questo tratto, sarebbero dovute essere abbandonate, per
assumere il Nuovo Culto, il Nuovo Sacerdozio, la Nuova Realtà che genera
l’Uomo Nuovo, in tutto perfetto nella coscienza, secondo la volontà di Dio.
Ancora una volta riemerge che tutto ciò che è fuori dell’uomo non rinnova
l’uomo. Tutto ciò che è fuori di Dio neanche rinnova l’uomo.
L’uomo è rinnovato se riportato in Dio. Si riporta l’uomo in Dio, riportando Dio
nell’uomo. Riportando, o portando, non la sua volontà, ma la sua natura.
In questo senso si comprende il processo stesso dell’Incarnazione. Con essa
Dio porta la natura umana in Sé, la costituisce parte di Sé, parte della Persona
preesistente del Figlio.
Nella Persona del Figlio tutta la natura umana è riportata in Dio e Dio nella
natura umana.
Tutto l’uomo in Cristo è dato a Dio e tutto Dio si dona all’uomo. In Cristo c’è il
sacrificio di Dio per l’uomo, ma c’è anche il sacrificio dell’uomo per il Suo Dio.
È questo il vero culto, il nuovo culto. Diventando in Cristo un solo corpo, l’uomo
è messo nella nuova condizione di poter offrire il vero sacrificio al Padre, il
sacrificio di Cristo, attraverso il suo corpo.
Così nel corpo di ogni cristiano ancora una volta tutto Cristo si offre a Dio e
all’uomo, si offre per la gloria di Dio e per la salvezza dell’umanità.
È il culto che non è fuori dell’uomo, ma nell’uomo: volontà, sentimenti, cuore,
spirito, mente, corpo, anima, tutto è dato al Padre, tutto consegnato a Lui, tutto
a Lui sacrificato.
È questa la purificazione della coscienza: togliere la propria vita a se stessi e
consegnarla interamente a Dio, per il compimento della sua volontà in noi.
L’offerta antica manifestava questa esigenza, ma non la compiva. La
manifestava nell’offerta dell’animale e nel suo sacrificio, ma non la trasformava
in realtà, perché l’uomo non era capace ancora di offrire se stesso.
Non era capace perché ancora non inserito pienamente in Cristo, nel suo
Sacerdozio, nel quale solo è possibile compiere l’oblazione di sé, di tutto se
stesso, nel perfetto compimento della volontà del Padre.
La volontà del Padre è una sola: l’offerta di noi stessi a Lui, la consegna della
nostra vita alla sua divina Maestà. In questa consegna è la salvezza, perché
solo questa consegna è sacrificio gradito a Dio che produce frutti di vera novità
a favore del mondo intero. In questa logica è possibile comprendere il sacrificio
richiesto ad Abramo.
329
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Cosa chiede il Signore ad Abramo? Chiede che consegni tutto se stesso a Lui:
il suo presente, il suo passato, il suo futuro. È questa la fede di cui si parlerà nei
capitoli che seguiranno.
Ma è anche questa la fede che è richiesta a questi uomini e a queste donne cui
è indirizzata la Lettera.
Essi sono chiamati a consegnare la loro vita alla Nuova Realtà che Dio vuole
creare in loro per mezzo di Colui che Lui stesso ha costituito sommo ed eterno
sacerdote della Nuova Alleanza.
Se non fanno questo passaggio, loro rimangono in tutto ciò che era già
destinato a perire fin dal suo sorgere, essendo solo figura e non realtà, e che
con l’avvento della realtà di Cristo è già sparito.
Non è più neanche figura, perché ormai brilla la luce radiosa della realtà che è
Gesù Signore.
Efficacia del sacerdozio di Cristo
[11]Cristo invece, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso
una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè
non appartenente a questa creazione,
Fino a questo momento l’Autore si è prodigato a mostrarci che tutto l’Antico
Testamento con il suo culto, il suo sacerdozio, il suo santuario era solo
un’ombra, una figura delle cose future.
Ora dedica tutta la sua attenzione a Cristo e al suo sacerdozio. Lo fa però,
servendosi del modello antico, al fine di cogliere ogni sostanziale diversità e
differenza.
Solo mettendo in luce tutta la verità, la novità, l’efficacia del sacerdozio di Cristo
è possibile rendersi conto della fine di tutto ciò che è Antico Testamento e
contenuto delle sue Istituzioni.
Sono queste le prime due sostanziali differenze:
-
Cristo è venuto come sommo sacerdote di beni futuri.
-
Ha attraversato una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da
mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione.
I beni futuri sono le cose che riguardano Dio e sono il ritorno dell’uomo
nell’obbedienza al suo Creatore nell’amore perfetto che avrà il suo compimento
nel Paradiso.
I beni futuri iniziano su questa terra con la partecipazione del cristiano della
natura divina e si concludono nel Cielo, quando la partecipazione del cristiano
sarà quella della risurrezione gloriosa del Signore Gesù.
Per capire bene questa differenza, è opportuno ricordarsi che l’Alleanza è
fondata su una promessa. Se si legge con attenzione il testo della promessa ci
si accorge che essa riguarda la terra che è la Palestina.
330
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Nella Nuova Alleanza la promessa non è la terra, ma il regno dei Cieli, il
Paradiso. È il Paradiso il bene futuro della nuova alleanza. A questo bene si
arriva attraverso l’ascolto della Nuova Parola di Gesù Signore che è il suo
Nuovo Comandamento dell’Amore.
La Nuova Alleanza libera il discepolo di Gesù da ogni terra, perché ogni terra è
solo sentiero per il Cielo. Il cristiano non appartiene ad un popolo, perché ogni
popolo è chiamato a divenire una cosa sola in Cristo.
È questa la più portentosa, la più grande, la più impensabile, la più inaudibile
della libertà: la libertà dell’appartenenza ad una terra, o ad una categoria di
persone, perché si appartiene e si è solo di Cristo Gesù.
Si è di Lui sulla terra e nel Cielo. Se si è di Lui non si può essere di nessun
altro, non si può appartenere a nessun altro. Lui è il nostro bene futuro. È il
nostro bene futuro perché è Lui l’unico e solo bene presente.
Il cristiano non è di nessuno. Lui è di Cristo. Questa la sua nuova ed unica
appartenenza. Da tutte le altre cose, da ogni altra persona, dalla storia e dagli
eventi lui deve essere libero, perché Cristo lo ha liberato.
L’altra grande e sostanziale differenza, anche questa è stata messa in
evidenza, in risalto.
La tenda che Lui attraversa non è fatta da mano d’uomo. È fatta direttamente
da Dio. Non appartiene alla creazione, perché è il Cielo stesso, è la dimora di
Dio. In altre parole è Dio stesso.
Gesù si presenta presso il Padre suo, siede alla sua destra, per esercitare in
eterno il suo sacerdozio in nostro favore.
La tenda che Lui attraversa non è più l’ombra o la figura, è invece la realtà. Si
tratta tuttavia di una realtà divina, eterna, immutabile. Questa tenda è in Cielo e
attraverso i cieli Cristo Gesù entra al cospetto del Padre Suo.
Questa tenda è più grande di quella del tempio di Gerusalemme, perché è
grande quanto tutta l’estensione dei cieli. È più perfetta, perché essa non è
materiale, ma spirituale, non è fatta dall’uomo, ma da Dio stesso, non è sulla
terra, ma nel Cielo, non è di questa creazione, ma appartiene alla stessa
eternità di Dio.
[12]non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una
volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna.
In questo versetto troviamo altre tre sostanziali differenze che distanziano e
separano infinitamente il Sacerdozio di Cristo da quello di Aronne:
-
Non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue
-
entrò una volta per sempre nel santuario,
-
procurandoci così una redenzione eterna.
La prima differenza ci dice che viene sostituito il sangue degli animali con
quello dell’uomo. Poiché il sangue veniva versato e l’animale sacrificato, Cristo
per entrare nella tenda del cielo versò il suo sangue, sacrificando se stesso.
331
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Quello di Cristo Gesù è vero sacrificio, perché vero versamento del sangue,
vera morte, vera oblazione, vero dono al Padre.
Egli si è donato fisicamente, personalmente, fino all’ultima goccia di sangue al
Padre suo che è nei cieli.
La seconda differenza invece ci annunzia che è finita per sempre la ripetizione
dei sacrifici.
Non solo l’animale è stato sostituito con Dio – essendo Cristo Gesù vero Dio e
vero uomo – ma anche il sacrificio è stato fatto una volta per sempre e una
volta per tutte.
Nessun altro sacrificio si deve più fare. Il sacrificio di Cristo è stato perfetto.
La sua offerta al Padre è unica, irripetibile. Nessun altro sacrificio più si deve
offrire e di nessun genere.
La terza differenza dice qual è stato il frutto di quest’unico sacrificio: esso ci ha
procurato una redenzione eterna.
Siamo eternamente redenti, giustificati, santificati, purificati. Ogni uomo può
accedere a questa redenzione eterna, che è il frutto del sacrificio di Cristo sul
Golgota.
Si è detto lungo la trattazione che i sacrifici dell’Antica Legge erano inefficaci
quanto a salvezza e a redenzione.
Quello di Cristo non solo è efficace, è anche universale: vale per ogni uomo, di
ogni tempo, vale sulla terra e nel cielo, vale per il passato e per il futuro, vale
per il presente e per ogni altro tempo e ogni altro uomo.
Ogni uomo di ogni tempo, sulla terra e nel Cielo, è redento da quest’unico
eterno, immutabile, irripetibile sacrificio di Cristo Gesù sulla croce.
Possiamo ora sintetizzare i primi cinque elementi di differenza e anche di
superamento:
-
I beni futuri (dalla promessa della terra alla promessa del Cielo).
-
la tenda (non fatta da mano d’uomo, non appartenente alla nostra
creazione)
-
La sostituzione del sangue (dal sangue animale offerto al Signore al
sangue di Dio offerto per la salvezza dell’uomo).
-
L’unico ed eterno sacrificio (una volta per tutte).
-
La redenzione eterna (efficacia eterna del sacrificio di Cristo).
Lette in successione queste cinque differenze mostrano in tutta la sua
grandezza il mistero che avvolge il Sacerdozio di Cristo Gesù.
È il sacerdozio che mette l’uomo in una realtà nuova, nuovissima, perché lo
mette nella stessa realtà di Dio, anzi gli procura la stessa libertà di Dio, vissuta
tutta e interamente da Cristo Gesù, che si liberò anche del suo corpo, del suo
sangue, della sua intera vita per essere tutto del Padre, per compiacere il Padre
suo che è nei cieli.
332
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
È questo il vero annientamento di Cristo: egli si liberò del suo corpo e del suo
sangue per farne un sacrificio, un dono al Padre suo.
Egli è tutto dal Padre e si dona interamente al Padre, fisicamente si dona,
fisicamente si svuota di sé, fisicamente versa il sangue, fisicamente sacrifica il
suo corpo.
Questa è la vera libertà cristiana, che si chiama povertà in spirito: rinunzia
alla propria vita per farne un’offerta gradita al Signore.
È questa la redenzione eterna procurataci da Cristo Signore. Redenzione come
liberazione dal peccato, ma anche redenzione come liberazione dal proprio
essere, per essere tutto e interamente di Dio.
[13]Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca,
sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella
carne,
In questo versetto viene messo in risalto il frutto spirituale del sacrificio antico,
ma solo ai fini di mostrare nel versetto seguente la superiorità quanto a frutti del
sacrificio di Cristo Gesù.
C’è da puntualizzare che la “forza” del sacrificio antico era tutta finalizzata al
perdono del peccato, non al cambiamento dell’uomo, o alla sua nuova
creazione, o rigenerazione, o partecipazione della divina natura.
Colui che aveva peccato, sottoponendosi al rito del sacrificio espiatorio,
riceveva il perdono dei peccati, nel vero pentimento e nelle opere di
misericordia, anche la cancellazione della pena.
Restava però sempre nella sua vecchia natura malata, quella che era stata
concepita nel peccato, secondo la preghiera del salmo 50 elevata da Davide al
Signore.
La santità era dunque nella realtà del perdono dei peccati, nella cancellazione
della pena. Era però vero perdono e vera cancellazione.
L’uomo ritornava nella pace con Dio e con i fratelli. Era nella comunione con il
Creatore e con le creature.
Questo era l’effetto di santificazione operato dal sacrificio animale, offerto a Dio
attraverso il sacerdozio alla maniera di Aronne.
Perché il sacrificio potesse produrre questo effetto di liberazione dalla colpa e
dalla pena, si richiedeva necessariamente il pentimento, la vera contrizione, il
dolore di aver offeso il Signore assieme alla volontà di desistere dal male e
iniziare a fare il bene.
Poiché l’uomo era sempre e comunque nella natura malata, infetta di peccato,
spesso mancava di vero pentimento, celebrava il sacrificio ma senza reale
contrizione, il culto diveniva in questi casi solo un’opera esterna al cuore e alla
mente dell’uomo. Finiva nel momento in cui terminava la sua ritualità esteriore,
poi tutto ricominciava come prima, con gli stessi peccati, con le stesse
trasgressioni. Da qui l’appellativo divino di aver fatto del tempio una spelonca
di ladri, un luogo di sicurezza, un rifugio protetto, dal quale partire per
continuare a peccare ancora.
333
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Tutti i profeti lottano contro la falsità di questo culto senza pentimento, senza
contrizione, senza dolore dei peccati, senza proponimento di emendare la
propria condotta, per rientrare nell’osservanza dei comandamenti e della Legge
del Signore.
Tuttavia resta sempre valido il principio che il sacrificio dell’Antica Legge,
celebrato con disposizioni sante, liberava dalla colpa e anche dalla pena,
ammetteva nuovamente l’uomo nell’amore e nella giustizia del Suo Dio.
[14]quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se
stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere
morte, per servire il Dio vivente?
Diversa invece per contenuti e per sostanza è l’efficacia del sacrificio di Cristo
Gesù.
L’efficacia è diversa, perché il sacrificio è diverso. È diverso perché il
“contenuto” del sacrificio è diverso.
È diverso anche perché il “modo” del sacrificio è anche diverso.
Ciò appare in tutta chiarezza se esaminiamo una per una le cause di questa
diversità, annunziate dall’Autore in questo versetto:
-
Quanto più il sangue di Cristo: la prima diversità è nel sangue che si
offre. Aronne offriva sangue di tori e di vitelli. Gesù offre il proprio sangue.
Entra nella tenda del cielo portando dinanzi al Dio vivente il sangue della
Nuova Alleanza e questo sangue è il suo. Ma il suo sangue è il sangue del
Figlio di Dio, è il sangue di Dio, perché la Persona di cui è il sangue, è Dio.
La differenza è eterna, divina, infinita, supera in ampiezza e in profondità
l’estensione dell’intero universo.
-
Che con uno Spirito eterno: Lo Spirito eterno, con il quale Gesù offre se
stesso, è l’altra differenza, o diversità. Aronne offriva a Dio i sacrifici ma
con il suo spirito, il suo cuore, la sua anima, la sua mente, che erano cuore,
mente, anima di un uomo che è stato concepito nel peccato. Offre da
peccatore il sacrificio per i peccati. Cristo Gesù offre il suo sacrificio con uno
Spirito eterno. Lo Spirito eterno è la sua Persona divina che è santa,
immacolata, purissima. È anche lo Spirito Santo di Dio, che è eterna
comunione di amore e di verità in seno alla Trinità. In Lui, nello Spirito
Santo, il Padre ama eternamente il Figlio e dona tutto se stesso al Figlio. In
Lui, nello Spirito Santo, il Figlio ama eternamente il Padre e offre, dona tutto
se stesso al Padre. In Lui, nello Spirito Santo, che è Spirito Eterno, la
Persona eterna del Figlio – in tal senso Spirito eterno – offre al Padre il
sacrificio del suo corpo, versando il suo sangue per la Nuova ed Eterna
Alleanza. In Lui, nello Spirito Santo, il sacrificio di Cristo si riveste di amore
eterno, divino, santissimo, purissimo, castissimo. Si riveste dello stesso
eterno amore che si vive tra il Padre e il Figlio da sempre e per sempre
nell’eternità.
-
Offrì se stesso: Chi si offre al Padre è il Figlio del Padre. È il Figlio del
Padre che offre se stesso al Padre, offrendo il suo corpo, versando il suo
sangue. Non c’è sostituzione, c’è vero sacrificio della Persona. È la Persona
334
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
divina che si offre al Padre, perché è Lei il soggetto che si offre e l’oggetto
che viene offerto. Aronne portava un sangue estraneo alla stessa natura
umana. Quello che lui offriva era un sangue estraneo al suo ed estraneo a
tutta la natura umana. Quello di Cristo è sangue personale di Dio e
dell’uomo, è comune a Dio e comune all’uomo, perché è sangue di Dio e
sangue dell’uomo, sangue della Persona divina e sangue della natura
umana. Essendo sangue di Dio e dell’uomo, essendo il suo proprio sangue,
è sangue ricchissimo, preziosissimo, divino. Questo sangue ha il potere di
espiare tutti i peccati del mondo, dal primo uomo, Adamo, fino all’ultimo, con
la fine dei vecchi cieli e della vecchia terra.
-
Senza macchia a Dio: l’offerta fatta a Dio è purissima, senza macchia,
perché la vittima è purissima, senza macchia. La perfezione è la stessa di
Dio. La “purezza” della vittima offerta è tanto grande quanto è puro, santo,
innocente, immacolato lo stesso Dio. Questa è la bellezza e la santità della
vittima offerta. Cristo è senza macchia, mai ha conosciuto il peccato, Lui è
vissuto nella più alta santità, nella pienezza della grazia, sempre.
-
Purificherà la nostra coscienza dalle opere morte: È questa l’efficacia del
sacrificio di Cristo: purificare la nostra coscienza dalle opere morte. Il
sacrificio di Cristo purifica la coscienza, perché la libera dalle opere morte.
La libera donando però ad essa una vita nuova, una volontà nuova, un
desiderio nuovo, una mentalità nuova, una natura nuova. La libera dalle
opere morte perché mette nella coscienza il desiderio delle opere vive, del
bene, dell’amore, della verità, della giustizia, del compimento perfetto della
volontà del Padre. L’opera di Dio nell’uomo, nella redenzione di Cristo, è
sempre duplice: la distruzione della natura morta al peccato, la creazione
della natura nuova che vive per il Signore. Distruzione e creazione, morte e
vita, sono i due momenti della salvezza.
-
Per servire il Dio vivente: È questo il fine dell’Alleanza: servire il Dio
vivente con cuore semplice, puro, immacolato, santo, pieno di amore per il
Signore, ricco di grazia e di misericordia da portare al mondo intero.
Possiamo fare tutto questo perché in noi è stato generato l’uomo nuovo,
capace di amare e di servire il Dio vivente. Possiamo fare questo perché in
noi è stato distrutto l’uomo vecchio, con le sue passioni ingannatrici. Questa
è la vera efficacia del sangue di Cristo: la possibilità che Esso ci dona di
servire Dio come Cristo lo ha servito, senza differenza alcuna. Pienamente e
totalmente Lui, pienamente e totalmente noi.
Come si è potuto constatare tutto diviene comprensibile – anche se nella
comprensione non si abolisce il mistero che rimane, essendo Cristo Gesù Dio e
Figlio Unigenito del Padre – se si parte dalla Persona di Cristo. È la Persona
che si offre, non la natura umana che viene offerta. È la Persona divina che
sale in croce, non il corpo di carne, o la sua sola natura umana. È la Persona
divina che versa il suo sangue, che dona il suo corpo, che muore sulla croce.
Muore la Persona divina, non muore però la natura umana. Muore Dio sulla
croce, non la divinità.
Essendo la Persona divina che muore nel suo corpo, essendo sempre Ella che
offre il suo corpo e il suo sangue per la nostra redenzione e salvezza, questa
335
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
offerta è offerta di Dio, offerta a Dio per la nostra giustificazione, o purificazione
della nostra coscienza.
[15]Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo
ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle colpe commesse
sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità
eterna che è stata promessa.
Questo versetto di compone di tre verità. Anche queste è necessario che
vengano esaminate una per una, separatamente:
-
Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza: Gesù è vero
mediatore. Anzi è l’unico Mediatore tra Dio e l’umanità intera. È Mediatore di
grazia e di verità. Della Nuova Alleanza Egli è via, verità, vita. Tutto è in Lui,
niente è fuori di Lui. Per mezzo di Lui: significa anche in Lui e con Lui, da
Lui e per Lui. Tutti gli altri mediatori, lo sono perché sono in Lui e
partecipano della sua mediazione, come partecipano del suo sacerdozio.
Dio aveva promesso la Nuova Alleanza. Di questa Nuova Alleanza Gesù è il
Mediatore. È Mediatore perché essa è stata fatta in Lui come momento “di
fondazione”, o “di creazione”, ma anche è Mediatore perché ogni alleanza
che viene stipulata tra Dio e il singolo uomo avviene in Lui, per Lui, con Lui.
Non solo questo: Gesù è Mediatore per un’altra ragione: La vita stessa
dell’Alleanza è in Lui, con Lui, per Lui. Nessuno potrà mai pensare che fatta
l’Alleanza Nuova ed Eterna per la mediazione di Cristo nei due momenti di
creazione e di stipula, poi questa si possa vivere separatamene da Lui, non
in Lui, senza di Lui. L’alleanza si crea in Lui, per Lui, con Lui, si stipula in
Lui, con Lui, per Lui, si vive in Lui, con Lui, per Lui. È Mediatore perché?
L’Alleanza è comunione di vita e di verità tra Dio e l’uomo. La vita dell’uomo
è Cristo. La verità dell’uomo è Cristo. Cristo è la Verità di Dio e dell’uomo.
Cristo è la vita di Dio e dell’uomo. In Cristo l’uomo attinge la vita e la verità
che lo mettono in comunione eterna con Dio. La vita e la verità si attingono
perennemente in Cristo. In tal senso c’è una differenza sostanziale con la
mediazione di Mosè o di Aronne. Mosè morto, l’alleanza continuava fuori di
lui, senza di lui. Lui è mediatore per il solo momento della stipula. Il sangue
non è il suo, la verità non è la sua, la legge non è la sua, il popolo non è il
suo. Niente è di Mosè. Tutto invece è di Cristo e tutto vive in Cristo. Questa
è la vera Mediazione di Cristo Gesù.
-
Perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle
colpe commesse sotto la prima alleanza1: Questa frase si comprende
solo se si considera che nella lingua greca una sola parola può indicare sia
“alleanza” che “testamento”. Riportiamo in nota tutto il v. 15. La parola greca
è: “diaq»khj”. Leggendo così il versetto v. 15: per questo egli è
mediatore di un nuovo testamento, comprendiamo perché viene
introdotto nello stesso versetto un nuovo concetto che è quello della morte.
1
15 Kaˆ di¦ toàto diaq»khj kainÁj mes…thj ™st…n, Ópwj qan£tou genomšnou e„j
¢polÚtrwsin tîn ™pˆ tÍ prètV diaq»kV parab£sewn t¾n ™paggel…an l£bwsin oƒ
keklhmšnoi tÁj a„wn…ou klhronom…aj.
336
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
La morte dona efficacia al testamento, lo rende operativo, come dirà lo
stesso Autore in appresso. Ora a noi interessa affermare una sola verità: la
morte di Cristo Gesù è avvenuta per la redenzione delle colpe commesse
sotto la prima alleanza. La prima alleanza non riguarda solo i figli di Israele e
le colpe commesse non sono solo le loro. La prima alleanza abbraccia tutti
gli uomini da Adamo fino a Cristo. Cristo è morto per la redenzione del
peccato del mondo, di ogni uomo. Poiché l’uomo fino a Cristo è l’uomo per il
quale Cristo è morto, la morte di Cristo opera la redenzione di tutti i peccati
del mondo, di ogni uomo, di tutti i discendenti di Adamo. “Essendo ormai
intervenuta la morte”: è da intendersi come un fatto irreversibile. La morte
è avvenuta per la redenzione delle colpe. Il testamento è operativo. Si
compie la salvezza, avviene la giustificazione, viene concessa la
redenzione. Il peccato è perdonato, perché espiato dalla morte di Cristo.
-
Coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che è stata
promessa: Si è detto che l’Alleanza consta di quattro elementi: la
promessa, la legge, il sangue, la stipula. Questi quattro elementi sono
l’Alleanza e se uno di questi elementi viene a mancare non esiste più
l’alleanza. Essa viene rotta. In questa parte del v. 15 l’Autore insegna che
non è sufficiente che Cristo abbia stipulato l’Alleanza Nuova ed Eterna con il
Padre nel suo Sangue e nella Sua Legge, o Verità. È necessario inoltre che
ogni uomo venga chiamato a stipularla in Lui, a viverla in Lui, a compierla in
Lui. Il “per Lui” è stato compiuto ed ha un valore eterno. Manca ora il “in
Lui” e il “con Lui”. Per questo occorre tutta l’opera evangelizzatrice della
Chiesa che chiami ogni uomo a ricevere l’eredità eterna. L’Autore non
sofferma la sua attenzione sull’evangelizzazione, la pone invece sulla verità
e sulla certezza dell’Alleanza. Il sangue di Cristo è vero sangue
dell’Alleanza. Cristo è vero Mediatore della Nuova Alleanza. L’Alleanza è già
stata stipulata in Lui e per Lui con il Padre. Essa è veramente efficace. La
promessa è vera, ma anche operativa. Chi è chiamato e si lascia attrarre
dalla verità di Cristo, riceverà anche la promessa che è parte essenziale
della stessa Alleanza. Sulla promessa, o promesse migliori, l’Autore ci ha
fornito ogni elemento di dottrina e di verità in precedenza. Ripeto: ora Lui
vuole convincere i destinatari della Lettera sull’unica verità che regge
l’Alleanza Nuova ed Eterna in Cristo: è vera l’Alleanza, è vera la promessa.
Finisce l’Alleanza Antica, finisce la Promessa Antica. Inizia con Cristo
l’Alleanza Nuova ed Eterna, portatrice di una promessa eterna. Chi vuole
questa promessa deve accedere a Cristo, deve entrare nella sua Nuova ed
Eterna Alleanza, di cui Lui è vero Mediatore. Gesù è vero Mediatore a
causa della Sua morte. È la morte che lo costituisce Mediatore della Nuova
Alleanza tra Dio e l’umanità intera.
Si è detto che Alleanza e Testamento sono indicati con una stessa parola
greca. Ora l’Autore sviluppa la sua argomentazione e le sue deduzioni dottrinali
proprio partendo dalla parola “testamento”, spostando però anche l’accento
sulla legalità della promessa e sulla sua irreversibilità. Il testamento infatti dona
valore legale alla promessa in esso contenuta, ma anche dona valore perenne.
È da questi due concetti – valore legale e irreversibilità – che ora parte per
337
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
introdurre noi nella vastissima verità che contiene l’Alleanza Nuova ed Eterna
stipulata da Cristo nel suo sangue.
[16]Dove infatti c'è un testamento, è necessario che sia accertata la morte
del testatore, [17]perché un testamento ha valore solo dopo la morte e
rimane senza effetto finché il testatore vive. [18]Per questo neanche la
prima alleanza fu inaugurata senza sangue. [19]Infatti dopo che tutti i
comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da Mosè, secondo la
legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana
scarlatta e issòpo, ne asperse il libro stesso e tutto il popolo, [20]dicendo:
Questo è il sangue dell'alleanza che Dio ha stabilito per voi.
La verità affermata dall’Autore è questa: per legge nessun testamento entra in
vigore se non dopo avvenuta la morte del testatore.
Una volta accertata la morte, immediatamente il testamento entra in vigore e
ogni sua disposizione ha valore di legge.
Questa è legge generale e vale per ogni testamento. L’Autore però non si ferma
alla sola legge che regola lo statuto dei testamenti, fa anche un passo in avanti
e vede negli animali sacrificati, la morte che rende efficace il testamento antico,
stabilito da Dio per il suo popolo.
Osserviamo con attenzione ogni singola affermazione dei vv. 18 e 19:
-
Per questo neanche la prima alleanza fu inaugurata senza sangue:
Sappiamo che il sangue è la vita e che una sola vita dovrà regnare tra Dio e
il suo popolo: quella sancita e stabilita dalla volontà del Signore. Questo è il
primitivo significato del sangue in ordine all’Alleanza. Ora invece viene
conferito al Sangue un altro significato. L’Alleanza fu sigillata col sangue per
attestare la sua validità, la sua efficacia, la sua entrata in vigore. Il sangue
versato attesta una morte. Il testamento entra in vigore per la morte non di
Dio, ma dell’animale che ha in questo caso il posto di Dio. Questa è una
“vera rivoluzione culturale nella fede”. Fino alla Lettera agli Ebrei, mai
l’animale era stato considerato sostituto di Dio, esso era sempre stato visto
sostituto dell’uomo, nei sacrifici. Questa visione è però solo in questo caso
dell’Alleanza. In altri casi il sacrificio e le offerte erano “considerate pane, o
cibo per il Signore”. Dio, non potendo morire, poiché immortale, muore nel
segno dell’animale e il sangue versato ne attesta la morte, la certifica e dona
valore al testamento, o patto di alleanza.
-
Infatti dopo che tutti i comandamenti furono promulgati a tutto il
popolo da Mosè: Si è detto che la promulgazione della legge è uno dei
quattro elementi dell’Alleanza. La Legge veniva letta. Il popolo si impegnava
ad osservarla.
-
Secondo la legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con
acqua, lana scarlatta e issòpo, ne asperse il libro stesso e tutto il
popolo: Altra modifica degna di essere presa in considerazione. Dalla
lettura del testo dell’Esodo sappiamo che furono aspersi l’altare e il popolo.
Qui l’Autore sostituisce l’altare di Dio con la Legge di Dio. La sostituzione
dell’altare di Dio con il libro della Legge ha un significato forte: il legame non
è tanto con il culto, quanto con la Parola. Si passa dal culto alla parola della
338
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
legge. È questo passaggio attestazione di una mentalità di fede propria del
Nuovo Testamento, il cui legame con Cristo passa in modo del tutto
peculiare con la sua Parola. Il sangue sigilla la non possibilità di cambiare la
Legge assieme all’impegno del popolo di osservarla. La Legge è definitiva e
anche l’impegno.
-
dicendo: Questo è il sangue dell'alleanza che Dio ha stabilito per voi:
Conosciamo ora il vero significato del sangue. L’alleanza è sancita, perché il
testamento è entrato in vigore proprio in ragione del sangue versato. Dio ha
stabilito la sua alleanza, il suo testamento, sull’alleanza e sul testamento ha
versato il suo sangue, il suo sangue ha anche versato sul popolo. Il patto
entra nella pienezza del suo vigore e della sua efficacia. Da puntualizzare
quanto detto sopra: il sangue di Dio versato è nel segno, o nella figura del
sangue dell’animale. Dio essendo purissimo spirito non ha sangue, né può
morire.
[21]Alla stessa maniera asperse con il sangue anche la Tenda e tutti gli
arredi del culto.
Questo versetto aggiunge a quanto già detto che non solo il libro fu asperso,
ma anche la Tenda e tutti gli arredi del culto.
Questo di per sé non è avvenuto nella stipula dell’Alleanza al Sinai, perché in
quell’istante ancora la Tenda non esisteva e neanche gli arredi del culto.
Eccone la conferma secondo Esodo 24,4-8: “Mosè scrisse tutte le parole del
Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con
dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di
offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il
Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò
l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla
presenza del popolo. Dissero: Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo
eseguiremo! Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo:
Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base
di tutte queste parole!”.
Come si può constatare non c’è alcun riferimento né alla Tenda, né agli arredi
del culto.
Della Tenda e degli arredi del culto di parla invece nel Levitico (8,15-21):
“Mosè lo immolò, ne prese del sangue, bagnò con il dito i corni attorno
all'altare e purificò l'altare; poi sparse il resto del sangue alla base
dell'altare e lo consacrò per fare su di esso l'espiazione. Poi prese tutto il
grasso aderente alle viscere, il lobo del fegato, i due reni con il loro grasso e
Mosè bruciò tutto sull'altare. Ma il giovenco, la sua pelle, la sua carne e le feci,
bruciò nel fuoco fuori dell'accampamento, come il Signore gli aveva ordinato.
Fece quindi avvicinare l'ariete dell'olocausto e Aronne e i suoi figli stesero le
mani sulla testa dell'ariete. Mosè lo immolò e ne sparse il sangue attorno
all'altare. Poi fece a pezzi l'ariete e ne bruciò testa, pezzi e grasso. Dopo
averne lavato le viscere e le zampe con acqua, bruciò tutto l'ariete sull'altare:
olocausto di soave odore, un sacrificio consumato dal fuoco in onore del
Signore, come il Signore gli aveva ordinato”.
339
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
In questo contesto il sangue serve per la purificazione: l’altare unto con il
sangue da cosa profana diviene cosa sacra per il Signore.
Il sangue diviene in questo contesto segno della santità di Dio. È questa la
purificazione che si ottiene per mezzo di esso: le cose unte con il sangue del
sacrificio diventano cosa sacra per il Signore, espressione e manifestazione
della sua santità e della sua trascendenza.
Il rito del sangue è come un’alleanza prolungata, rinnovata, verificata,
santificata.
[22]Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il
sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono.
La legge è quella del Levitico, il codice della santità e della sacralità nelle cose
che riguardano Dio.
L’Autore interpretando saggiamente la legge antica, afferma la verità della
stessa, secondo la quale tutto ciò che riguardava il culto veniva purificato con il
rito del sangue.
Non solamente le cose, ma anche le persone rivestite di sacralità, quali i
sacerdoti, venivano purificate e rese idonee per il culto attraverso il rito del
sangue.
Ne abbiamo conferma dal Libro del Levitico:
Lev. 8: “Il Signore disse ancora a Mosè: Prendi Aronne insieme ai suoi figli, le
vesti, l'olio dell'unzione, il giovenco del sacrificio espiatorio, i due arieti e il cesto
dei pani azzimi; convoca tutta la comunità all'ingresso della tenda del convegno.
Mosè fece come il Signore gli aveva ordinato e la comunità fu convocata
all'ingresso della tenda del convegno.
Mosè disse alla comunità: Questo il Signore ha ordinato di fare. Mosè fece
accostare Aronne e i suoi figli e li lavò con acqua. Poi rivestì Aronne della
tunica, lo cinse della cintura, gli pose addosso il manto, gli mise l'efod e lo cinse
con la cintura dell'efod, nel quale avvolse l'efod. Gli mise anche il pettorale, e
nel pettorale pose gli Urim e i Tummin. Poi gli mise in capo il turbante e sul
davanti del turbante pose la lamina d'oro, il sacro diadema, come il Signore
aveva ordinato a Mosè. Poi Mosè prese l'olio dell'unzione, unse la Dimora e
tutte le cose che vi si trovavano e così le consacrò. Fece sette volte
l'aspersione sull'altare, unse l'altare con tutti i suoi accessori, la conca e la sua
base, per consacrarli. Versò l'olio della unzione sul capo d'Aronne e unse
Aronne, per consacrarlo. Poi Mosè fece avvicinare i figli d'Aronne, li vestì di
tuniche, li cinse con le cinture e legò sul loro capo i turbanti, come il Signore
aveva ordinato a Mosè.
Fece quindi accostare il giovenco del sacrificio espiatorio e Aronne e i suoi figli
stesero le mani sulla testa del giovenco del sacrificio espiatorio. Mosè lo
immolò, ne prese del sangue, bagnò con il dito i corni attorno all'altare e purificò
l'altare; poi sparse il resto del sangue alla base dell'altare e lo consacrò per fare
su di esso l'espiazione. Poi prese tutto il grasso aderente alle viscere, il lobo del
fegato, i due reni con il loro grasso e Mosè bruciò tutto sull'altare. Ma il
giovenco, la sua pelle, la sua carne e le feci, bruciò nel fuoco fuori
340
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
dell'accampamento, come il Signore gli aveva ordinato. Fece quindi avvicinare
l'ariete dell'olocausto e Aronne e i suoi figli stesero le mani sulla testa dell'ariete.
Mosè lo immolò e ne sparse il sangue attorno all'altare.
Poi fece a pezzi l'ariete e ne bruciò testa, pezzi e grasso. Dopo averne lavato le
viscere e le zampe con acqua, bruciò tutto l'ariete sull'altare: olocausto di soave
odore, un sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore, come il Signore
gli aveva ordinato. Poi fece accostare il secondo ariete, l'ariete della investitura,
e Aronne e i suoi figli stesero le mani sulla testa dell'ariete. Mosè lo immolò,
ne prese del sangue e bagnò il lobo dell'orecchio destro di Aronne e il
pollice della mano destra e l'alluce del piede destro. Poi Mosè fece
avvicinare i figli di Aronne e bagnò con quel sangue il lobo del loro
orecchio destro, il pollice della mano destra e l'alluce del piede destro;
sparse il resto del sangue attorno all'altare.
Poi prese il grasso, la coda, tutto il grasso aderente alle viscere, il lobo del
fegato, i reni con il loro grasso e la coscia destra; dal canestro dei pani azzimi,
che era davanti al Signore, prese una focaccia senza lievito, una focaccia di
pasta intrisa nell'olio e una schiacciata e le pose sulle parti grasse e sulla coscia
destra. Poi mise tutte queste cose sulle mani di Aronne e sulle mani dei suoi
figli e le agitò con l'agitazione rituale davanti al Signore. Mosè quindi le prese
dalle loro mani e le bruciò sull'altare sopra l'olocausto: sacrificio di investitura, di
soave odore, sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore. Poi Mosè
prese il petto dell'ariete e lo agitò come offerta da agitare ritualmente davanti al
Signore; questa fu la parte dell'ariete dell'investitura toccata a Mosè, come il
Signore gli aveva ordinato.
Mosè prese quindi l'olio dell'unzione e il sangue che era sopra l'altare; ne
asperse Aronne e le sue vesti, i figli di lui e le loro vesti; così consacrò
Aronne e le sue vesti e similmente i suoi figli e le loro vesti. Poi Mosè disse
ad Aronne e ai suoi figli: Fate cuocere la carne all'ingresso della tenda del
convegno e là mangiatela con il pane che è nel canestro dell'investitura, come
mi è stato ordinato. La mangeranno Aronne e i suoi figli. Quel che avanza della
carne e del pane, bruciatelo nel fuoco. Per sette giorni non uscirete
dall'ingresso della tenda del convegno, finché cioè non siano compiuti i giorni
della vostra investitura, perché la vostra investitura durerà sette giorni. Come si
è fatto oggi così il Signore ha ordinato che si faccia per compiere il rito
espiatorio su di voi. Rimarrete sette giorni all'ingresso della tenda del convegno,
giorno e notte, osservando il comandamento del Signore, perché non moriate,
poiché così mi è stato ordinato. Aronne e i suoi figli fecero quanto era stato
ordinato dal Signore per mezzo di Mosè.
Da quanto riportato si può constatare l’importanza del sangue nella ritualità
dell’Antica Alleanza. Tutto avveniva per mezzo del sangue: purificazione delle
cose e delle persone destinate al culto, ma anche remissione dei peccati e
perdono delle colpe. Possiamo dire che tutto era nel sangue e senza il rito del
sangue nulla veniva compiuto.
Da qui si comprende bene l’osservazione finale del v. 22: “senza spargimento
di sangue non esiste perdono”. Non esiste perdono, perché il perdono è nel
segno del sangue che è la vita.
341
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Cosa è il perdono se non il ritorno dell’uomo nella vita di Dio? Cosa è il sangue
se non il segno della vita di Dio in mezzo al suo popolo?
Aspergere con il sangue è aspergere con la vita di Dio, ma la vita di Dio è
santissima. Aspergere con il sangue è aspergere con la santità di Dio.
Con l’aspersione e lo spargimento del sangue uomini e cose venivano “unti” di
verità e di santità divina.
Tutto questo si comprende bene, se non si considera il sangue solamente come
segno di vita, ma anche come segno di verità e di santità, della verità e della
santità di Dio.
Ma soprattutto se non si vede più nel rito del sangue la sostituzione dell’uomo
con l’animale. L’Autore della Lettera agli Ebrei ci ha fatto capire chiaramente
che la sostituzione non è dell’uomo con l’animale, è bensì quella di Dio con
l’animale.
Il sangue dell’animale è il segno del sangue di Dio. Poiché Dio non ha né carne
e né sangue, al posto di Dio viene preso un animale e sacrificato, ucciso al
posto di Dio.
Nella Nuova ed Eterna Alleanza, avendo Dio carne e sangue, veramente
muore, veramente viene sacrificato, veramente immolato per sigillare il Nuovo
Patto, la sua santità, la sua verità, la sua irrevocabilità, la sua eternità.
Di tutte queste cose è giusto che parli l’Autore. Non vogliamo, né possiamo dire
ciò che ancora il testo non dice, avendo un suo proprio itinerario e una dialettica
sua particolare.
Eterna Efficacia del sacrificio di Cristo
[23]Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero
purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici
superiori a questi.
L’Autore fa subito una distinzione quanto mai preziosa:
Tutto ciò che è Antico Testamento e Antico Patto è solo simbolo delle realtà
celesti, ma esse non sono la realtà.
Da questa distinzione ne nasce una seconda: ciò che ha purificato il simbolo
non può purificare la realtà. Occorre un mezzo superiore, come superiore è la
realtà per rapporto al simbolo. Se uno stesso mezzo sarebbe stato idoneo per
purificare simbolo e realtà, di sicuro non vi sarebbe stata una superiorità
sostanziale della realtà per rapporto al simbolo, ma solo accidentale,
superficiale, di apparenza, o solamente di immagine, non di altro.
Per una giusta valutazione delle affermazioni dell’Autore è più che opportuno
procedere esaminando una per una le frasi contenute in questo v. 23:
-
342
Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero
purificati con tali mezzi: Sappiamo cosa sono i simboli delle realtà
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
celesti: Persone e oggetti del culto: Il Sacerdote, l’Altare, la Tenda, ogni
altra cosa strettamente finalizzata al culto del Dio dell’Alleanza. L’Autore
dice che era necessario che la purificazione dei simboli avvenisse con tali
mezzi. Perché? La risposta non può essere che una sola: si è detto che il
sangue dell’alleanza era segno del sangue di Dio, era in sua sostituzione.
Segno di Dio, del suo sangue, ma anche della sua vita, della sua verità,
della sua santità. Aspergendo, o ungendo con il sangue, si ungeva e si
aspergeva la cosa, o la Persona con ciò che “raffigurava” lo stesso Dio e
quindi rendeva sacra la cosa o la Persona per il Signore. La rendeva del
Signore, per il Signore. Il sangue segnava il passaggio dalla profanità alla
sacralità e alla santità della cosa e della persona addetta al culto. Perciò era
necessario un tale mezzo.
-
Le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi:
Le realtà celesti non possono essere purificate, o santificate dal segno. La
realtà celeste è superiore, ben superiore al segno, anche se di Dio e della
sua santità. Occorre per la loro purificazione la stessa santità di Dio. Dio
personalmente deve santificarle, perché non esiste nessuna altra realtà
della terra che possa santificare le realtà del cielo. È il cielo che purifica la
terra, la terra mai potrà purificare le cose del Cielo. Questo deve essere
principio basilare per comprendere quanto l’autore ci vuole dire.
Una cosa però deve apparire chiara alla nostra mente: profanità, sacralità,
santità non sono la stessa cosa. Dio è santo, chi si accosta a Dio deve essere
santo. Solo Dio può donare la sacralità e la santità alla cosa e alla persona.
Il rito del sangue donava sacralità e santità alle persone e alle cose che
nell’Antico Testamento erano simboli delle realtà celesti. Le realtà celesti nelle
quali viviamo noi del Nuovo Testamento non possono essere più purificate dal
segno antico. Occorre una realtà grande, anzi più grande della stessa realtà da
purificare e questa realtà non può essere che Dio.
[24]Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura
di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in
nostro favore,
L’Autore ora ci offre una visione chiara delle Realtà della Nuova Alleanza e
cosa Cristo ha fatto, Lui che è il sommo ed eterno sacerdote di queste Realtà.
Parlando di Cristo si deve intendere una cosa sola: il solo, l’unico, il sommo,
l’eterno Sacerdote dei beni futuri, o della Nuova Alleanza.
Il sommo sacerdote dell’Antica Alleanza entrava nel santuario che era fatto da
mani d’uomo, figura di quello vero.
Figura era il sommo sacerdote di Cristo, ma figura di quello vero, cioè di quello
celeste, era anche il santuario.
Cristo Gesù, il solo, l’unico, il sommo, l’eterno Sacerdote dei beni futuri, o
della Nuova Alleanza, entra non nella figura, ma nel cielo stesso.
Nel cielo non va dove c’è il segno di Dio, come era il sommo sacerdote
dell’Antica Alleanza che entrava nel Santo dei Santi, luogo dove era contenuta
l’arca dell’Alleanza con la Legge, la Manna, il Bastone.
343
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Entra nel cielo ma per comparire ora al cospetto di Dio. Si presenta
direttamente dinanzi alla maestà divina, dinanzi al Padre.
Cristo entra nel cielo, entra al cospetto del Padre.
Fa tutto questo in nostro favore. Lo fa non per santificare il cielo, o le cose del
cielo, ma per santificare noi.
Siamo noi quelli che dobbiamo essere santificati da Dio e Cristo è al cospetto di
Dio per noi, per implorare la nostra santificazione.
Dalla figura, dal simbolo si passa alla realtà; dal tempio sulla terra, alla Tenda
del Cielo, al cielo stesso. Dal segno della presenza di Dio a Dio stesso.
Questa la prima grande differenza tra l’Antico Patto e il Nuovo, tra il simbolo e
la realtà.
[25]e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che
entra nel santuario ogni anno con sangue altrui.
L’altra grande, immensa, celeste differenza è questa.
Ogni volta che Aronne, o il sommo sacerdote dell’Antico Patto entrava nel
tempio, vi entrava con nuovo sangue, frutto di nuovi sacrifici, di nuove
immolazioni.
Ogni entrata nel tempio costava il sacrificio di una vittima. Più vittime, più
purificazioni.
Ancora continua la differenza: Il sommo sacerdote dell’Antico Patto entrava con
sangue altrui. Era il sangue degli animali sacrificati.
Cristo entra con il sangue del sacrificio. Il sangue è suo. Il sacrificio è suo. La
morte è sua. Il corpo è suo.
Il suo è sacrificio uno ed unico, il solo, per sempre.
Quello di Aronne era più volte. Quello di Cristo è una volta per tutte. In Aronne
c’era la ripetizione del sacrificio. In Cristo c’è l’unicità. Uno solo: il suo, per
sempre. Dicendo: il suo, si intende il sacrificio di se stesso.
Aronne entrava ed usciva, ogni volta che entrava lo faceva con nuovo sangue,
nuovo sacrificio, nuova oblazione.
Cristo Gesù entra una volta per sempre, vi rimane per sempre, porta il suo
sangue che è per sempre. Un solo sacrificio, una sola entrata, una sola
permanenza, o dimora al cospetto di Dio. Eterno è il sacrificio, eterno è il
sangue, eterna è la dimora presso Dio, eterna è la sua intercessione in nostro
favore. Tutto in Cristo è eterno.
[26]In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla
fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi,
è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.
Il ragionamento dell’Autore è assai particolare in questo v. 26. Coglierlo, dona
valore e significato a tutta la sua Lettera.
344
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Da sempre Lui ci sta dicendo che Cristo Gesù non è sacerdote alla maniera di
Aronne, bensì alla maniera di Melchisedek.
Ci sta dicendo che Lui è eterno sacerdote alla maniera di Melchisedek.
Questo v.26 attesta la stessa verità, ma procedendo al contrario.
Se Cristo fosse sacerdote alla maniera di Aronne, dovrebbe come Aronne
compiere ogni giorno, ogni anno, molte volte, il rito del sangue e del sacrificio.
Se fosse come Aronne, avendo egli offerto il sacrificio di se stesso, nella
sofferenza, sarebbe dovuto morire, o avrebbe dovuto soffrire più volte e questo
fin dal primo peccato di Adamo ed Eva. Questa è la fondazione del mondo.
Poiché non è alla maniera di Aronne, ma è sommo ed eterno sacerdote alla
maniera di Melchisedek egli non ha bisogno di ripetere il suo gesto, il suo
sacrificio, la sua immolazione.
È questa la specificità, l’essenzialità, la caratteristica, o la peculiarità del
Sacerdozio di Cristo: un solo sacrificio, una sola offerta per i peccati del mondo
intero, dalla sua fondazione sino alla sua fine.
Della pienezza dei tempi parla San Paolo nel c. 4 della Lettera ai Galati.
Il tempo è pieno, quando è maturo perché Dio possa intervenire e compiere la
sua opera.
Dio agisce sempre quando il tempo è pieno, maturo, nella condizione migliore
perché la sua opera produca i più grandi frutti di verità, di santità, di
giustificazione, di salvezza.
Viene ancora una volta ribadita la verità centrale del Sacerdozio di Cristo Gesù:
il sangue è il suo, il sacrificio è il suo.
Il peccato viene annullato mediante il sacrificio di se stesso. Nel suo sangue è
la remissione dei peccati, la cancellazione delle colpe.
L’Autore insiste sull’unicità del sacrificio e dell’offerta perché egli si trova dinanzi
ad una mentalità religiosa che resiste da più di mille anni, le cui radici sono
nella cultura plurimillenaria dello stesso uomo.
Questa cultura si fonda sulla ripetizione del rito e dell’offerta. Ogni peccato
richiedeva un suo particolare sacrificio.
È sufficiente leggere il Levitico – e qui ne riportiamo qualche brano – per avere
un’idea chiara della complessità del rito antico in ordine alla purificazione dei
peccati. Ognuno legga e se ne renda conto:
Lev. 1: “Il Signore chiamò Mosè e dalla tenda del convegno gli disse: Parla agli
Israeliti e riferisci loro: Quando uno di voi vorrà fare un'offerta al Signore,
offrirete bestiame grosso o minuto. Se l'offerta è un olocausto di grosso
bestiame, egli offrirà un maschio senza difetto; l'offrirà all'ingresso della tenda
del convegno, per ottenere il favore del Signore. Poserà la mano sulla testa
della vittima, che sarà accettata in suo favore per fare il rito espiatorio per lui.
Poi immolerà il capo di grosso bestiame davanti al Signore, e i sacerdoti, figli di
Aronne, offriranno il sangue e lo spargeranno intorno all'altare, che è
all'ingresso della tenda del convegno. Scorticherà la vittima e la taglierà a pezzi.
345
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
I figli del sacerdote Aronne porranno il fuoco sull'altare e metteranno la legna
sul fuoco, poi sulla legna e sul fuoco che è sull'altare disporranno i pezzi, la
testa e il grasso. Laverà con acqua le interiora e le zampe; poi il sacerdote
brucerà il tutto sull'altare come olocausto, sacrificio consumato dal fuoco,
profumo soave per il Signore.
Se la sua offerta è un olocausto di bestiame minuto, pecora o capra, egli offrirà
un maschio senza difetto. Lo immolerà dal lato settentrionale dell'altare davanti
al Signore e i sacerdoti, figli di Aronne, spargeranno il sangue attorno all'altare.
Lo taglierà a pezzi, con la testa e il grasso, e il sacerdote li disporrà sulla legna,
collocata sul fuoco dell'altare. Laverà con acqua le interiora e le zampe; poi il
sacerdote offrirà il tutto e lo brucerà sull'altare: olocausto, sacrificio consumato
dal fuoco, profumo soave per il Signore.
Se la sua offerta al Signore è un olocausto di uccelli, offrirà tortore o colombi. Il
sacerdote li offrirà all'altare, ne staccherà la testa, che farà bruciare sull'altare, e
il sangue sarà spruzzato sulla parete dell'altare. Poi toglierà il gozzo con le sue
immondezze e lo getterà al lato orientale dell'altare, dov'è il luogo delle ceneri.
Dividerà l'uccello in due metà prendendolo per le ali, ma senza separarlo, e il
sacerdote lo brucerà sull'altare, sulla legna che è sul fuoco, come olocausto,
sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave per il Signore”.
Lev. 2: Se qualcuno presenterà al Signore un'oblazione, la sua offerta sarà di
fior di farina, sulla quale verserà olio e porrà incenso. La porterà ai figli di
Aronne, i sacerdoti; il sacerdote prenderà da essa una manciata di fior di farina
e d'olio, con tutto l'incenso, e lo brucerà sull'altare come memoriale: è un
sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave per il Signore. Il resto dell'offerta
di oblazione sarà per Aronne e per i suoi figli, cosa santissima, proveniente dai
sacrifici consumati dal fuoco in onore del Signore.
Quando offrirai una oblazione cotta nel forno, essa consisterà in focacce
azzime di fior di farina impastata con olio e anche di schiacciate azzime
spalmate di olio. Se la tua offerta sarà un'oblazione cotta sulla teglia, sarà di fior
di farina, azzima e impastata con olio; la farai a pezzi e sopra vi verserai olio: è
un'oblazione.
Se la tua offerta sarà una oblazione cotta nella pentola, sarà fatta con fior di
farina nell'olio: porterai al Signore l'oblazione così preparata e la presenterai al
sacerdote, che la offrirà sull'altare. Il sacerdote preleverà dall'oblazione il
memoriale e lo brucerà sull'altare: sacrificio consumato dal fuoco, profumo
soave per il Signore. Il resto dell'oblazione sarà per Aronne e per i suoi figli,
cosa santissima, proveniente dai sacrifici consumati dal fuoco per il Signore.
Nessuna delle oblazioni che offrirete al Signore sarà lievitata: non brucerete né
lievito, né miele come sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore;
potrete offrire queste cose al Signore come offerta di primizie, ma non saliranno
sull'altare a titolo di profumo soave. Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione:
nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell'alleanza del tuo Dio; sopra
ogni tua offerta offrirai del sale.
Se offrirai al Signore una oblazione di primizie, offrirai come tua oblazione di
primizie spighe di grano fresche abbrustolite sul fuoco e chicchi pestati di grano
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
nuovo. Verserai olio sopra di essa, vi metterai incenso: è una oblazione. Il
sacerdote brucerà come memoriale una parte dei chicchi e dell'olio insieme con
tutto l'incenso: è un sacrificio consumato dal fuoco per il Signore”.
Lev. 3: “Nel caso che la sua offerta sia un sacrificio di comunione e se offre un
capo di bestiame grosso, sarà un maschio o una femmina, senza difetto; l'offrirà
davanti al Signore, poserà la mano sulla testa della vittima e la immolerà
all'ingresso della tenda del convegno e i figli di Aronne, i sacerdoti, spargeranno
il sangue attorno all'altare. Di questo sacrificio di comunione offrirà come
sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore il grasso che avvolge le
viscere e tutto quello che vi è sopra, i due reni con il loro grasso e il grasso
attorno ai lombi e al lobo del fegato, che distaccherà al di sopra dei reni; i figli di
Aronne lo bruceranno sull'altare, sopra l'olocausto, posto sulla legna che è sul
fuoco: è un sacrificio consumato dal fuoco, profumo soave per il Signore.
Se la sua offerta di sacrificio di comunione per il Signore è di bestiame minuto
sarà un maschio o una femmina, senza difetto. Se presenta una pecora in
offerta, la offrirà davanti al Signore; poserà la mano sulla testa della vittima e la
immolerà davanti alla tenda del convegno; i figli di Aronne ne spargeranno il
sangue attorno all'altare; di questo sacrificio di comunione offrirà quale sacrificio
consumato dal fuoco per il Signore il grasso e cioè l'intiera coda presso
l'estremità della spina dorsale, il grasso che avvolge le viscere e tutto quello che
vi è sopra, i due reni con il loro grasso e il grasso attorno ai lombi e al lobo del
fegato, che distaccherà al di sopra dei reni; il sacerdote li brucerà sull'altare: è
un alimento consumato dal fuoco per il Signore.
Se la sua offerta è una capra, la offrirà davanti al Signore; poserà la mano sulla
sua testa e la immolerà davanti alla tenda del convegno; i figli di Aronne ne
spargeranno il sangue attorno all'altare. Di essa preleverà, come offerta
consumata dal fuoco in onore del Signore, il grasso che avvolge le viscere, tutto
quello che vi è sopra, i due reni con il loro grasso e il grasso attorno ai lombi e
al lobo del fegato, che distaccherà al di sopra dei reni; il sacerdote li brucerà
sull'altare: è un cibo consumato dal fuoco per il Signore. Ogni parte grassa
appartiene al Signore.
E` una prescrizione rituale perenne per le vostre generazioni in ogni vostra
dimora: non dovrete mangiare né grasso né sangue”.
Lev. 4: “Il Signore disse a Mosè: Riferisci agli Israeliti: Quando un uomo
inavvertitamente trasgredisce un qualsiasi divieto della legge del Signore,
facendo una cosa proibita: se chi ha peccato è il sacerdote che ha ricevuto
l'unzione e così ha reso colpevole il popolo, offrirà al Signore per il peccato da
lui commesso un giovenco senza difetto come sacrificio di espiazione.
Condurrà il giovenco davanti al Signore all'ingresso della tenda del convegno;
poserà la mano sulla testa del giovenco e l'immolerà davanti al Signore. Il
sacerdote che ha ricevuto l'unzione prenderà il sangue del giovenco e lo porterà
nell'interno della tenda del convegno; intingerà il dito nel sangue e farà sette
aspersioni davanti al Signore di fronte al velo del santuario. Bagnerà con il
sangue i corni dell'altare dei profumi che bruciano davanti al Signore nella tenda
del convegno; verserà il resto del sangue alla base dell'altare degli olocausti,
che si trova all'ingresso della tenda del convegno. Poi dal giovenco del sacrificio
347
Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
toglierà tutto il grasso: il grasso che avvolge le viscere, tutto quello che vi è
sopra, i due reni con il loro grasso e il grasso attorno ai lombi e al lobo del
fegato, che distaccherà al di sopra dei reni. Farà come si fa per il giovenco del
sacrificio di comunione e brucerà il tutto sull'altare degli olocausti. Ma la pelle
del giovenco, la carne con la testa, le viscere, le zampe e gli escrementi, cioè
tutto il giovenco, egli lo porterà fuori dell'accampamento in luogo puro, dove si
gettano le ceneri, e lo brucerà sulla legna: dovrà essere bruciato sul mucchio
delle ceneri.
Se tutta la comunità d'Israele ha commesso una inavvertenza, senza che tutta
l'assemblea la conosca, violando così un divieto della legge del Signore e
rendendosi colpevole, quando il peccato commesso sarà conosciuto,
l'assemblea offrirà come sacrificio espiatorio un giovenco, un capo di grosso
bestiame senza difetto e lo condurrà davanti alla tenda del convegno. Gli
anziani della comunità poseranno le mani sulla testa del giovenco e lo si
immolerà davanti al Signore. Il sacerdote che ha ricevuto l'unzione porterà il
sangue del giovenco nell'interno della tenda del convegno; intingerà il dito nel
sangue, e farà sette aspersioni davanti al Signore di fronte al velo. Bagnerà con
il sangue i corni dell'altare che è davanti al Signore nella tenda del convegno e
verserà il resto del sangue alla base dell'altare degli olocausti, all'ingresso della
tenda del convegno. Toglierà al giovenco tutte le parti grasse, per bruciarle
sull'altare. Farà di questo giovenco come di quello offerto in sacrificio di
espiazione: tutto allo stesso modo. Il sacerdote farà per loro il rito espiatorio e
sarà loro perdonato. Poi porterà il giovenco fuori del campo e lo brucerà come
ha bruciato il primo: è il sacrificio di espiazione per l'assemblea.
Se è un capo chi ha peccato, violando per inavvertenza un divieto del Signore
suo Dio e così si è reso colpevole, quando conosca il peccato commesso,
porterà come offerta un capro maschio senza difetto. Poserà la mano sulla
testa del capro e lo immolerà nel luogo dove si immolano gli olocausti davanti al
Signore: è un sacrificio espiatorio. Il sacerdote prenderà con il dito il sangue del
sacrificio espiatorio e bagnerà i corni dell'altare degli olocausti; verserà il resto
del sangue alla base dell'altare degli olocausti. Poi brucerà sull'altare ogni parte
grassa, come il grasso del sacrificio di comunione. Il sacerdote farà per lui il rito
espiatorio per il suo peccato e gli sarà perdonato.
Se chi ha peccato è stato qualcuno del popolo, violando per inavvertenza un
divieto del Signore, e così si è reso colpevole, quando conosca il peccato
commesso, porti come offerta una capra femmina, senza difetto, in espiazione
del suo peccato. Poserà la mano sulla testa della vittima di espiazione e la
immolerà nel luogo dove si immolano gli olocausti. Il sacerdote prenderà con il
dito un po’ di sangue di essa e bagnerà i corni dell'altare degli olocausti; poi
verserà il resto del sangue alla base dell'altare. Preleverà tutte le parti grasse,
come si preleva il grasso del sacrificio di comunione, e il sacerdote le brucerà
sull'altare, profumo soave in onore del Signore. Il sacerdote farà per lui il rito
espiatorio e gli sarà perdonato. Se porta una pecora come offerta per il peccato,
porterà una femmina senza difetto. Poserà la mano sulla testa della vittima
espiatoria e la immolerà in espiazione nel luogo dove si immolano gli olocausti.
Il sacerdote prenderà con il dito un po’ di sangue della vittima espiatoria e
bagnerà i corni dell'altare degli olocausti; poi verserà il resto del sangue alla
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
base dell'altare. Preleverà tutte le parti grasse, come si preleva il grasso della
pecora del sacrificio di comunione e il sacerdote le brucerà sull'altare sopra le
vittime consumate dal fuoco in onore del Signore. Il sacerdote farà per lui il rito
espiatorio per il peccato commesso e gli sarà perdonato”.
Lev. 5: “Se una persona pecca perché nulla dichiara, benché abbia udito la
formula di scongiuro e sia essa stessa testimone o abbia visto o sappia,
sconterà la sua iniquità.
Oppure quando qualcuno, senza avvedersene, tocca una cosa immonda, come
il cadavere d'una bestia o il cadavere d'un animale domestico o quello d'un
rettile, rimarrà egli stesso immondo e colpevole.
Oppure quando, senza avvedersene, tocca una immondezza umana una
qualunque delle cose per le quali l'uomo diviene immondo quando verrà a
saperlo, sarà colpevole.
Oppure quando uno, senza badarvi, parlando con leggerezza, avrà giurato, con
uno di quei giuramenti che gli uomini proferiscono alla leggera, di fare qualche
cosa di male o di bene, se lo saprà, ne sarà colpevole.
Quando uno dunque si sarà reso colpevole d'una di queste cose, confesserà il
peccato commesso; porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il
peccato commesso, una femmina del bestiame minuto, pecora o capra, come
sacrificio espiatorio; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il suo peccato.
Se non ha mezzi per procurarsi una pecora o una capra, porterà al Signore,
come riparazione della sua colpa per il suo peccato, due tortore o due colombi:
uno come sacrificio espiatorio, l'altro come olocausto. Li porterà al sacerdote, il
quale offrirà prima quello per l'espiazione: gli spaccherà la testa vicino alla
nuca, ma senza staccarla; poi spargerà il sangue del sacrificio per il peccato
sopra la parete dell'altare e ne spremerà il resto alla base dell'altare. Questo è
un sacrificio espiatorio. Dell'altro uccello offrirà un olocausto, secondo le norme
stabilite. Così il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il peccato che ha
commesso e gli sarà perdonato.
Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due colombi, porterà, come
offerta per il peccato commesso, un decimo di efa di fior di farina, come
sacrificio espiatorio; non vi metterà né olio né incenso, perché è un sacrificio
per il peccato. Porterà la farina al sacerdote, che ne prenderà una manciata
come memoriale, facendola bruciare sull'altare sopra le vittime consumate dal
fuoco in onore del Signore. E` un sacrificio espiatorio. Così il sacerdote farà per
lui il rito espiatorio per il peccato commesso in uno dei casi suddetti e gli sarà
perdonato. Il resto sarà per il sacerdote, come nell'oblazione”.
Il Signore aggiunse a Mosè: Se qualcuno commetterà una mancanza e
peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore,
in sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal gregge, che
valuterai in sicli d'argento in base al siclo del santuario; risarcirà il danno fatto al
santuario, aggiungendovi un quinto, e lo darà al sacerdote, il quale farà per lui il
rito espiatorio con l'ariete offerto come sacrificio di riparazione e gli sarà
perdonato.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Quando uno peccherà facendo, senza saperlo, una cosa vietata dal Signore,
sarà colpevole e dovrà scontare la mancanza. Presenterà al sacerdote, come
sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto,
secondo la tua stima; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per l'errore
commesso per ignoranza e gli sarà perdonato. E` un sacrificio di riparazione;
quell'individuo si era certo reso colpevole verso il Signore.
Il Signore disse a Mosè: Quando uno peccherà e commetterà una mancanza
verso il Signore, rifiutando al suo prossimo un deposito da lui ricevuto o un
pegno consegnatogli o una cosa rubata o estorta con frode o troverà una cosa
smarrita, mentendo a questo proposito e giurando il falso circa qualcuna delle
cose per cui un uomo può peccare, se avrà così peccato e si sarà reso
colpevole, restituirà la cosa rubata o estorta con frode o il deposito che gli era
stato affidato o l'oggetto smarrito che aveva trovato o qualunque cosa per cui
abbia giurato il falso.
Farà la restituzione per intero, aggiungendovi un quinto e renderà ciò al
proprietario il giorno stesso in cui offrirà il sacrificio di riparazione. Porterà al
sacerdote, come sacrificio di riparazione in onore del Signore, un ariete senza
difetto, preso dal bestiame minuto secondo la tua stima. Il sacerdote farà il rito
espiatorio per lui davanti al Signore e gli sarà perdonato, qualunque sia la
mancanza di cui si è reso colpevole”.
Era questa la mentalità che governava tutto il mondo dell’Antico Testamento.
Non è facile scalzarla per farla seccare al sole della verità dell’unicità del
Sacrificio di Cristo e del suo sangue versato una volta per tutte, per sempre.
È questo anche il motivo per cui l’Autore in ogni modo e per ogni verso cerca di
mostrare, evidenziare, ribadire che con Cristo quel mondo è finito, non esiste
più, è stato cancellato una volta per sempre.
Con Cristo si è passati dal simbolo alla realtà, dal segno alla verità, dalla
molteplicità all’unicità.
Con Cristo, in Cristo, per Cristo ogni uomo, frutto dell’Antico Testamento,
formato alla sua religiosità, è chiamato a passare alla realtà, alla verità,
all’unicità.
Con Cristo quel mondo è finito per sempre, in eterno. Questa è la verità, la sola
verità cui deve condurre l’Autore i destinatari della sua Lettera.
[27]E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di
che viene il giudizio,
Qui l’Autore ci presenta due concetti nuovi, che in apparenza nulla hanno a che
vedere con il tema che sta trattando. In verità la connessione c’è, anche se
sottile e difficile da cogliersi ad un primo approccio.
È verità: si vive una volta sola, si muore una volta sola. Non si ritorna in vita,
non si vivono altre vite. Non c’è metamorfosi, né metempsicosi, né rinascite
varie, secondo quando si è detto, o si dice, ma falsamente.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
L’unicità della vita, l’unicità di un solo corpo e di una sola anima, l’unicità di una
sola morte: è la verità dell’uomo. Una sola volta si nasce, una sola volta si
muore.
Nasce la persona una ed indivisibile, muore la persona una ed indivisibile – si
divide al momento della morte, ma per ricongiungersi il giorno della risurrezione
–. L’anima ed il corpo sono l’unicità della Persona e questa unicità è eterna, per
sempre.
Questa verità non è del cristianesimo. È dell’uomo in sé. La verità cristiana non
è verità perché cristiana, è verità perché è essenzialità dell’uomo, della sua
natura, della sua anima e del suo corpo. Non dell’uomo cristiano, ma dell’uomo.
Dopo la morte c’è il giudizio. Ognuno dovrà presentarsi dinanzi a Dio per
rendere ragione di ogni opera compiuta mentre era in vita, sia in bene che in
male.
Anche questa è verità cristiana ed è verità dell’uomo, di ogni uomo,
indistintamente. Crede, o non crede, è convinto o non è convinto, vuole o non
vuole, al momento della morte si presenterà dinanzi a Dio per il giudizio.
Il giudizio sarà secondo il Vangelo per tutti quelli che hanno professato la fede
nel Vangelo; sarà secondo la coscienza per tutti coloro che non hanno avuto la
possibilità, perché nessuno lo ha annunziato loro, di conoscere il Vangelo della
vita.
Si nasce una sola volta, si muore una sola volta, ci si presenta per il giudizio.
Questa verità l’Autore l’applica a Cristo Gesù.
[28]così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di
togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna
relazione col peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza.
Cristo Gesù è veramente morto. La sua morte è però nella realtà del sacrificio.
Lui si è offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, cioè di
tutti coloro che accogliendo Lui, si lasciano immergere e aspergere dal suo
sangue versato per loro, in remissione dei peccati.
Questa verità è ormai limpida, chiara alla nostra mente e al nostro cuore: il
sangue di Cristo è vero sacrificio, vera oblazione, vero olocausto per la
remissione dei peccati.
Essendo veramente morto, anche per Cristo si applica la legge del non ritorno
in vita.
Se non può ritornare in vita, neanche può più morire, neanche può più
sacrificarsi, ripetere cioè il suo sacrificio.
Come si può constatare, anche attraverso questa legge naturale universale,
l’Autore ribadisce l’unicità del sacrificio e dell’offerta.
Neanche Cristo può ripetere l’offerta, il sacrificio, non può perché è morto ed il
sacrifico è proprio nella morte dell’offerente.
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Lettera agli Ebrei–Capitolo Nono
Egli ritornerà un giorno, ma non per compiere un altro sacrificio. Questo
significa: senza relazione con il peccato.
Egli non viene per morire un’altra volta. Non viene per offrire un nuovo sacrificio
al Padre.
Apparirà una seconda volta, ma verrà per chiamare tutti gli uomini dinanzi al
suo cospetto per il giudizio finale.
Verrà perché i giusti possano entrare tutti nel suo Regno eterno.
Coloro che l’aspettano e ai quali Cristo apparirà sono tutti i giusti che hanno
avuto fede in Lui e nel Suo Sacerdozio eterno e in esso hanno compiuto la loro
salvezza nella giustizia e nella santità vera.
La seconda venuta di Cristo sulle nubi del cielo per il giudizio finale è verità che
pervade tutto il Nuovo Testamento.
La fede in Cristo Giudice e Signore dell’universo è verità costitutiva della
Rivelazione degli Apostoli. Un solo brano basta perché si abbia ogni certezza,
ma anche perché si fughi ogni incertezza:
Mt 25,31-45: “Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi
angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte
le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai
capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre
mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del
mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e
mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete
vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo
vest