note direttore Di Stefano

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Tanto di cappello!
di Giovanni Di Stefano
Così titolava Fedele D’Amico una sua recensione dopo una esecuzione de Il cappello di paglia,
queste tre parole forse rendono efficacemente il valore della scrittura del Maestro. Sì, perché
avendolo conosciuto in quel di Bari, nel suo Conservatorio a cui ha dedicato per 30 anni la sua vita,
riuscendo ad infondere una positività incredibile, un fermento d’interesse, di curiosità, d’apertura a
tutte le novità, ma partendo dalla conoscenza «nulla deriva dal nulla» soleva dire, siamo certi che
siamo di fronte ad un gran musicista, ad un uomo che nella sua vita ha avuto interessi molteplici e
che tramite la sua musica ci ha regalato dei messaggi.
Rota nella seconda metà del secolo scorso era da molti considerato un compositore inattuale,
sebbene quest’inattualità che gli veniva rimproverata fosse insita in tanti altri compositori. A parte
che la storia musicale deve ancora essere scritta, la sua scrittura era frutto di una approfondita
conoscenza di tutta la musica, dai secoli scorsi a quello in cui viveva, e trattata con gran coerenza.
Su tutto quello che si è scritto non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro se non invitare a
partecipare e ad avvolgersi nella musica di questa vicenda, ricordando che tante volte quello che
cerchiamo lo abbiamo sotto il naso e non serve andarlo a cercare altrove come Fadinard…, ma un
breve scritto di Alberto Savinio sul suo incontro con Rota trentaduenne, vorrei sottoporvelo
aggiungendo solamente che rappresenta una delle sfaccettature dell’uomo Rota:
«Guardando Nino Rota al pianoforte, ho capito come doveva essere Mozart al clavicembalo. Non
faccio comparazione di qualità, solo confronto di immagini e di fisiologia. Entrambi partecipano di
quel fanciullismo di cui tanto si parlò nei confronti di Mozart. Ma il fanciullismo dei musici molto
musicali è un nostro errore di visione, un nostro errore di comparazione. Non sono fanciulli i
musici, sì a noi sembrano tali: sono musici, sono creature estranee al nostro mondo. E la musica,
loro madre e natura, impedisce ai musici di crescere e di svilupparsi come uomini.»
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