Attenzione al rischio Grecia

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Attenzione al rischio Grecia; questo sembra ormai il monito che anche l’economia italiana
deve avere ben presente. Dopo l’annuncio del piano di salvataggio da 110 miliardi di euro, la
speranza era che i mercati reagissero in maniera almeno parzialmente positiva dando un segnale di
fiducia nei confronti dell’operazione. Ed invece non è andata così, anzi. Le Borse europee hanno
perso in una sola seduta 140 miliardi di capitalizzazione e ad essere colpite più duramente sono
state le Borse dei paesi a rischio debito, Italia compresa. Un esito così infelice è dipeso da più
fattori, a cominciare dall’eccessiva severità delle misure imposte alla Grecia che, con un Prodotto
interno lordo in diminuzione nell’arco di due anni di quasi 6 punti, dovrebbe risanare il deficit di
oltre 10 punti in meno di quattro anni. Si tratta di un’impresa quasi impossibile, anche perché il
rapporto deficit-Pil – è banale ricordarlo – dipende appunto dall’andamento di entrambi i fattori,
quindi se il Pil non cresce la riduzione del deficit diventa impossibile. L’impressione dei mercati è
stata che il bagno di sangue per i consumi greci imposto dal piano di risanamento non consentirà
certo l’aumento della capacità di produzione della ricchezza nazionale greca. Del resto la violenta
reazione dei lavoratori ellenici ha fatto capire subito quali saranno le resistenze interne
all’attuazione dei tagli previsti e gli avvoltoi della speculazione hanno immediatamente puntato su
un ulteriore ribasso dei listini. E’ iniziata così nel giro di poche ore una fulminea “fuga” dall’Europa
che ha coinvolto prima l’euro, sceso a 1,30 contro il dollaro, e poi il sistema finanziario nel suo
insieme. In tale quadro, l’Italia corre alcuni seri pericoli perché, come è ben noto, ha un
indebitamento pubblico molto più pesante di altri ed ha bisogno di finanziarlo con continuità e a
costi contenuti sui mercati. Non dimentichiamoci che ogni anno il finanziamento degli interessi, pur
a tassi e spread molto bassi, significa una spesa corrente da parte dello Stato per circa 70 miliardi di
euro. Un rialzo anche molto limitato della differenza in termini di tassi pagati rispetto alla Germania
o alla Francia rischia di non essere facilmente sostenibile, soprattutto se ad esso si associasse
l’evenienza di un mancato rimborso da parte della Grecia dei finanziamenti concessi con il piano di
risanamento. In tale piano, l’Italia si è impegnata a versare 5,5 miliardi subito e quasi 15 miliardi in
un triennio; una cifra pesante che se non restituita secondo i tempi previsti imporrebbe alle finanze
pubbliche un peso importante. Minori risorse raccolte sui mercati e un eventuale finanziamento “a
fondo perduto” alla Grecia costituiscono un aggravio che un paese come l’Italia che ha cancellato 6
punti di Pil in due anni, più o meno come la Grecia, ed ha un debito che viaggia verso il 120% del
Pil, più o meno come la Grecia, faticherebbe a sopportare. Pesano molto inoltre gli auspici della
cancelliera tedesca Angela Merkel e del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi in merito
all’esigenza di accompagnare l’erogazione del piano di sostegno alla Grecia ad una ulteriore
restrizione del Patto di stabilità. Soprattutto Draghi ha sottolineato una simile necessità proprio per
dare un segnale forte ai mercati e agli speculatori in maniera di dissuaderli dallo scommettere sullo
sfascio della moneta unica e della finanza, pubblica e privata, del Vecchio Continente. In realtà, il
pericolo è che un ulteriore irrigidimento del Patto di stabilità divida l’Europa tra chi è in grado di
reggerlo e chi non ce la può fare. Forse gli speculatori penseranno che l’Italia è fra quelli che non ce
la potranno fare e quindi ne trarranno pessime conseguenze. In questo clima, davvero, le polemiche
leghiste sulle celebrazioni dell’unità d’Italia, le dimissioni di un ministro e alcuni dati più
banalmente economici come il crollo del mercato dell’auto non rafforzano certo l’immagine della
nostra economia. Nelle fibrillazioni dei mercati finanziari attuali, in cui la regia spregiudicata dei
grandi operatori condiziona le paure di milioni di piccoli investitori molto caotici nelle scelte di
portafoglio, dati macroeconomici e sensazioni si mescolano nel determinare i comportamenti di
acquisto e di vendita dei titoli. L’Italia in questo momento deve avere ben chiaro di poter entrare nel
gorgo di un marasma tanto preoccupante.
Alessandro volpi, università di pisa
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