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Francesco Maria Feltri
3. UN PASSATO INGOMBRANTE
La gestione dei luoghi della memoria
in Germania dopo la riunificazione
Queste note sono impressioni di viaggio, scritte a caldo, di ritorno da una lungo viaggio sulle tracce dei luoghi
della memoria tedeschi: espressione con la quale, in Germania, si indicano oggi quei siti che presentano tre
caratteristiche:
1. hanno un legame storico diretto con i crimini nazisti;
2. sono organizzati in modo tale che a tutti i visitatori, oggi, sia possibile comprendere il ruolo che essi svolsero negli
anni 1933-1945;
3. si caratterizzano per la presenza di un continuativo lavoro di ricerca e di riflessione storiografica e pedagogica.
I lager di prima generazione
Il mio viaggio ha avuto inizio a Dachau, il primo grande campo di concentramento nazista. Qui, per decenni, la
popolazione della cittadina non ha voluto sentire parlare del lager: anche in tempi recenti, la proposta di costruire un
centro di accoglienza e di studio rivolto ai giovani di tutta l'Europa è stata osteggiata dall'amministrazione locale con
ogni mezzo possibile. Da circa tre anni, certo, funziona un luogo in cui i giovani visitatori che si rechino a Dachau
possono alloggiare comodamente: esso, tuttavia, formalmente è un normale ostello della gioventù, e non un luogo
specifico destinato a tener viva, presso le giovani generazioni, la memoria dei crimini nazisti.
Difficoltà e problemi simili incontra anche il direttore del lager Oberer Kuhberg, situato nei dintorni di Ulm,
nel Baden-Wuerttemberg. Originariamente, il luogo era una fortezza costruita alla fine dell'Ottocento, ma fin dal 1933 i
nazisti la adattarono a campo per oppositori politici. Il dato più interessante di questo luogo, dunque, consiste nel fatto
che il lager venne istituito per iniziativa delle SA della regione, con il sostegno della maggioranza della popolazione
locale. In questa zona, il consenso dei cittadini tedeschi al regime fu, fin dall'inizio, ampio, completo e sincero: il
nazismo, ai loro occhi, rappresentava la difesa della tradizione contro la modernità, guardata con timore e diffidenza.
Chi scava in quel passato, quindi, ancor oggi incontra spesso reticenze, silenzi e ostilità, piuttosto che collaborazione e
desiderio di riflessione critica: e, soprattutto, deve lottare con le unghie e coi denti per ottenere il denaro necessario a
gestire e a far funzionare un luogo della memoria.
Quanto l'universo concentrazionario nazista fosse complesso e sfaccettato emerge anche a Breitenau, un
piccolo centro vicino a Kassel; l'aspetto sorprendente, per il visitatore, consiste nel fatto che Breitenau, in epoca
medievale, era un insediamento benedettino, fondato nell'XI secolo. La grande chiesa romanica, dopo la Riforma, venne
adibita a magazzino, che a sua volta venne trasformato in prigione nel 1874; in epoca nazista, dunque, il lager per
oppositori politici si collocò da un lato in un luogo decisamente atipico (un'antica chiesa medievale), ma dall'altro si
pose in completa continuità rispetto al passato: semplicemente, ai vecchi soggetti criminali se ne aggiunsero di nuovi
(comunisti e socialdemocratici, innanzi tutto), guardati con timore e disprezzo da gran parte della popolazione. Del resto
(ulteriore elemento di continuità), per parecchi anni, dopo la guerra, l'ex-lager di Breitenau è stato sede di un
riformatorio femminile.
Sui luoghi della ex-DDR: la doppia memoria
Tutti i luoghi appena menzionati (Dachau, Ulm, Breitenau) si trovavano, fino al 1990, nella Repubblica
Federale; Buchenwald e Mittelbau-Dora, invece, si collocano sul territorio che, prima della riunificazione, era
controllato dalla Repubblica Democratica Tedesca (DDR). Qui, al passato dittatoriale nazista si sovrappone, dunque,
quello comunista, che ha lasciato tracce evidenti anche sui luoghi della memoria. Dora (il grande centro di
fabbricazione, in enormi gallerie sotterranee, dei razzi V1 e V2) fu per moltissimi anni del tutto abbandonata; poco
dopo la fine della guerra, l'ingresso ai tunnel venne fatto saltare dai russi, interessati (come del resto gli americani) a
non rivelare al mondo che le origini dei loro successi in campo missilistico affondavano le proprie radici nelle ricerche
di Von Braun (ufficiale delle SS) e nel lavoro di migliaia di deportati, sfruttati come schiavi. Oggi, il visitatore può
percorrere vari chilometri di quelle impressionanti gallerie, che da una parte offrono un imponente spettacolo di
potenza, mentre dall'altro manifestano il totale disinteresse nazista per la vita di coloro che l'ideologia hitleriana
considerava sottouomini.
A Buchenwald, tutte le contraddizioni dell'ingombrante passato tedesco esplodono in maniera eclatante;
infatti, subito dopo la guerra una parte del lager venne usato dai comunisti come campo di internamento: a Buchenwald,
insomma, si creò una singolare continuità di logica totalitaria, che utilizzava gli stessi strumenti del nazismo per
mantenere il potere, in quanto faceva ricorso sia al lager sia alla promozione del consenso, mediante le adunanze di
massa. A qualche chilometro dal campo, infatti, le autorità comuniste costruirono un gigantesco complesso destinato ad
ospitare le più importanti manifestazioni del partito. Due elementi, soprattutto, colpiscono il visitatore: innanzi tutto,
stupisce il fatto che i principali tratti architettonici del complesso appaiono singolarmente simili a quelli adottati e
utilizzati dai nazisti; in secondo luogo, si rimane perplessi in quanto, tra le numerose popolazioni che vengono elencate
come vittime del nazi-fascismo, non compaiono né gli ebrei né gli zingari. È per questo motivo che, all'interno del
campo, è stato deciso di dedicare uno spazio specifico alla memoria delle vittime della Shoah (si ricordi, ad esempio,
che a Buchenwald arrivò gran parte degli ebrei evacuati da Auschwitz nel gennaio 1945) e di ricordare esplicitamente la
persecuzione dei Sinti e dei Rom.
L'intera storia del lager nazista è ricostruita da una vasta esposizione, situata in uno degli edifici originari in
muratura, sopravvissuti alla distruzione; la mostra è completa, ampia e rigorosa, ma priva di un'autentica efficacia
didattica: il visitatore non specialista, infatti, sommerso da una mole enorme di fotografie, oggetti e documenti, fatica
notevolmente ad orientarsi e finisce per esserne schiacciato. Per fortuna, intorno a Buchenwald funziona una rete di
attività ben più significative (sul piano pedagogico) della mostra permanente appena citata: al lager, infatti, arrivano
periodicamente gruppi di studenti che si dedicano a vere e proprie campagne archeologiche, condotte secondo gli stessi
criteri scientifici che vengono utilizzati nello studio delle civiltà antiche e finalizzate a recuperare tutti i reperti che il
terreno del campo ancora nasconde dentro di sé. I giovani tedeschi che vengono a Buchenwald, però, non si limitano a
confrontarsi materialmente e fisicamente con l'ingombrante passato tedesco; il programma pedagogico proposto a
questi ragazzi, infatti, prevede anche che essi intervistino i loro genitori e i loro nonni, cioè si assumano in prima
persona il compito (e l'onere) di far riflettere sul periodo nazista le precedenti generazioni tedesche.
Problemi molto simili a quelli di Buchenwald si incontrano anche a Sachsenhausen, un campo situato a pochi
chilometri da Berlino. L'importanza storica di questo luogo è inversamente proporzionale alla notorietà di cui esso gode
presso il grande pubblico, che in genere non lo conosce per nulla. A Sachsenhausen, infatti, a fianco del lager vero e
proprio si trovava la sede amministrativa di tutto il sistema concentrazionario nazista, sicché qui veniva portata la
maggior parte dei beni di cui venivano espropriati coloro che erano stati deportati in un campo di lavoro o in un centro
di sterminio. Del lager vero e proprio colpisce, soprattutto, la pianta triangolare: il complesso di Sachsenhausen, infatti,
non fu improvvisato, ma progettato a tavolino nel 1936, e solo i pesanti interventi compiuti dalle autorità comuniste
hanno alterato, almeno in parte, la lineare e geometrica struttura del campo (che per alcuni anni, come era accaduto a
Buchenwald, venne usato anche dai russi, come campo di internamento politico).
Anche a Sachsenhausen, come a Buchenwald, incontriamo poi un deliberato e strumentale utilizzo politico
della memoria: sull'immenso obelisco eretto al centro del campo campeggiano solo dei triangoli rossi, simbolo degli
internati per ragioni politiche, sicché il ricordo di tutti gli altri prigionieri, di fatto, è stato completamente oscurato: anzi,
esattamente come a Buchenwald, gli ebrei non sono mai stati citati in modo esplicito. Per riparare a questa carenza, la
Baracca 38 (semi-distrutta dopo un incendio doloso, appiccato da neonazisti nel 1992) ospita dal novembre 1997 una
mostra permanente destinata proprio a raccontare la vicenda umana dei deportati ebrei rinchiusi a Sachsenhausen. Al
centro della struttura museale, si trovano alcuni frammenti di oggetti in cuoio (valige, in primo luogo), trasferiti a
Sachsenhausen dai depositi di Auschwitz: il tutto circondato da diapositive di grande formato, che illustrano alcuni
celebri episodi della Shoah. In tal modo, emozione e razionalità trovano, nell’edificio della Baracca 38, una sintesi
positiva e ben riuscita: il visitatore, dopo aver ricevuto un forte stimolo di carattere emotivo, può fermarsi ad esaminare
con calma il materiale esposto, a leggere le biografie di alcuni deportati, ad analizzare i documenti originali proposti
alla sua attenzione.
Berlino
Una sintesi riuscita ancor meglio per rigore scientifico e capacità didattica di stimolare l'interesse del visitatore
si incontra al Museo Karlshorst di Berlino, situato nell'edificio in cui, l'8 maggio 1945, venne firmata la resa
incondizionata della Germania. Dopo la guerra, i Russi avevano istituito qui un museo finalizzato a celebrare la forza e
la potenza dell'Armata Rossa; dopo la riunificazione, è stato invece deciso di dedicare l'esposizione permanente alla
storia della guerra sul fronte orientale, negli anni 1941-1945. La mostra presenta alcuni pezzi tipici di ogni museo di
storia militare (divise, armi, carte geografiche utilizzate dagli Stati maggiori...), ma non concentra affatto l'interesse del
visitatore su questi oggetti; al contrario, l'accento è volutamente posto sul fatto che quella condotta in Russia fu una
guerra di annientamento, quella che più di tutte mostrò il volto razzista e violento dell'ideologia nazista. Tale
impostazione è stata aspramente criticata da numerosi visitatori tedeschi: molti di essi, infatti, continuano ad affermare
che, comunque, quella sul fronte orientale era una guerra giusta, indispensabile - se non altro - per impedire la
conquista dell'Europa e della Germania da parte del comunismo.
Decisamente più facile appare la gestione della memoria sull'ampio spazio che, negli anni Trenta e Quaranta,
ospitava la sede della Gestapo. Su quest'area, situata nel centro di Berlino, ha la propria sede la fondazione Topografia
del Terrore, una delle strutture tedesche più impegnate nella conservazione della memoria del passato nazista tedesco.
Un ottimo lavoro didattico svolge anche il personale che gestisce Wansee, la villa che (il 20 gennaio 1942)
ospitò la Conferenza al vertice nel corso della quale R. Heydrich informò i rappresentanti dei vari comparti dello Stato
che le SS stavano procedendo alla soluzione definitiva della questione ebraica in Europa. Intorno a questo luogo della
memoria, funziona una complessa rete di attività di tipo pedagogico e didattico, dirette a studenti e a insegnanti; il dato
più interessante, tuttavia, è che appositi seminari vengono organizzati anche per alcuni gruppi professionali che, in età
nazista, svolsero ruoli particolarmente significativi. Così, infermieri, poliziotti, soldati e funzionari dello Stato vengono
periodicamente informati su come la loro specifica categoria professionale si comportò durante il Terzo Reich e, in tal
modo, ricevono una specifica educazione ai valori costituzionali, il rispetto dei quali è essenziale per il funzionamento
della democrazia. Un'opportunità formativa di tipo analogo è stata offerta anche ad alcuni settori della numerosa
comunità turca (circa 180.000 persone) residente a Berlino. In tale circostanza, la scelta della direzione è stata di
concentrare l'attenzione dei partecipanti sull'espulsione, nel 1938, degli ebrei polacchi che lavoravano in Germania:
d'improvviso, quella che pareva ai turchi una storia estranea, remota, lontana, si faceva inquietante e pericolosa, dal
momento che molti di loro (come quegli ebrei del passato) pur lavorando a Berlino hanno conservato il passaporto del
proprio paese d'origine.
Studiare il nazismo oggi
Non si dimentichi mai che il nazismo, prima di tutto, era un'ideologia di tipo razzista: la riflessione sul
particolare regime che esso riuscì a creare non può che risultare utilissima nell'attuale contesto sociale, caratterizzato
dalla massiccia (e crescente) presenza di immigrati di origine extraeuropea. Infine, non si deve dimenticare che, a Ulm
come in Baviera e in tante altre parti della Germania, il nazismo fu accolto con entusiasmo da tutti coloro che
guardavano con sospetto e paura alle novità portate dalla moderna società industriale.
Uomo oppure macchina?
Dio oppure Diavolo?
Sangue oppure oro?
Razza oppure mescolanza?
Musica popolare oppure Jazz?
Nazionalsocialismo
oppure Bolscevismo?
Queste parole, tratte da un manifesto nazista del 1930, conservato al Museo Karlshorst, contrapponevano il
lavoro dell'artigiano alla produzione in serie, la conservazione delle usanze tradizionali e del sano stile di vita tedesco,
all'invasione di mode e di comportamenti stranieri (di origine americana, ad esempio); il legame con la terra e con la
campagna alla concitata e corrotta vita di città.
Le parole di quel manifesto ci permettono dunque di capire quali settori della società tedesca abbiano fornito
alla NSDAP, per primi, il proprio entusiastico sostegno. Si trattava di individui provenienti dai ceti medi, spaventati dai
repentini e radicali mutamenti sociali che la modernità e il processo di industrializzazione avevano introdotto in
Germania a partire dall'inizio del nuovo secolo e, ancor più, negli anni della Repubblica di Weimar.
In un tempo di globalizzazione e di rapidissime trasformazioni, come quello in cui viviamo, i problemi sono
sicuramente diversi da quelli degli anni Trenta. Eppure, l'esperienza tedesca ci può insegnare che, in assenza di una
seria, sistematica e capillare educazione ai valori costituzionali, il razzismo e la tentazione autoritaria sono sempre in
agguato, pronti ad alimentarsi delle paure e delle angosce della gente comune. Persino le rivendicazioni più legittime
(quelle relative a un'alimentazione sana, ad esempio) possono rovesciarsi di senso e coniugarsi col razzismo e il
nazionalismo esasperato.
Nella sua essenza, il nazismo era un movimento verde, oltre che bruno: proprio ciò lo rende inquietante,
doppiamente pericoloso. E proprio ciò conferisce un'attualità straordinaria alla discussione sul nazismo, alla
consapevolezza dei suoi crimini e alla conservazione di essi nella memoria collettiva.
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