SMAT - Appunti di Scienze della Comunicazione

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STORIA MATERIALE DELLA SCIENZA
SCIENZA E NATURA
L’identita’ generale della scienza è sempre dipesa, almeno a partire dal Rinascimento, da una filosofia della natura.
Una definizione storica della scienza non puo’ prescindere dall’esame dei cambiamenti che si sono succeduti nella
concezione della natura.
1957,DEFINIZIONE SODDISFACENTE DI SCIENZA = tutto cio’ che gli scienziati scoprono intorno alla natura…
e i modi in cui tali scoperte sono utilizzate a fini pratici.
Per quanto apparentemente scontato e assimilato, l’assunto secondo cui esiste un insieme di fenomeni esterni che
ci è dato conoscere e classificare grazie a un insieme ordinato, omogeneo e razionale di nozioni, trovo’ la sua prima
e durevole definizione nella filosofia della natura di Aristotele. Aristotele prende le distanze dalla realtà naturale,
riconoscendone per la prima volta l’irriducibile differenza e alterita’ rispetto al soggetto. Aristotele scorge nel
movimento dei corpi una delle principali manifestazioni della loro sostanza individuale :
Tutte queste cose mostrano di avere in se stesse il principio del movimento e della quiete, alcune rispetto
al luogo, altre rispetto all’accrescimento e alla diminuzione, altre rispetto all’alterazione.
Sulla base di questo principio fondativi la natura è definita come:
La materia che per prima fa da sostrato a ciascun oggetto il quale abbia in se stesso il principio del
movimento e del cambiamento.
Tra il quattordicesimo e il diciassettesimo secolo, tuttavia, la fisica aristotelica sembro’ non essere piu’ capace di
soddisfare le nuove esigenze che naturalisti e filosofi cominciarono a manifestare. Durante il Rinascimento la
filosofia naturale tradizionale s’incrino’ sempre piu’ profondamente: nacquero concezioni diverse; da una parte ci
sono i nuovi saperi, rappresentati dalle scienze occulte, dall’altra la scienza istituzionale della fisica aristotelica.
Contemporaneamente a questo isterilirsi della tradizione aristotelica, l’attivita’ filologica dei naturalisti e umanisti
rinascimentali veniva sollecitata da fattori esterni a importanti cambiamenti metodologici. A seguito delle scoperte
geografiche e dell’intensificarsi degli scambi commerciali, i naturalisti di tutta Europa si trovarono di fronte ad un’
espansione del mondo naturale repentina quanto improvvisa. Alla fine del quindicesimo secolo, centinaia di nuove
specie animali e vegetali furono importate nel vecchio continente; il fatto che il mondo naturale potesse essere piu’
ricco e piu’ esteso di quanto non fosse riportato nei testi antichi, veniva considerato come una contraddizione da
risolvere, armonizzando le nuove scoperte con i testi di Aristotele, Galeno, Plinio ect…Il confronto pero’ si rivelava
impossibile, in primo luogo ci si accorse che la terminologia scientifica degli antichi era suscettibile a gravi
fraintendimenti, inoltre, la resistenza degli antichi a entrare nei dettagli quando si trattava di descrivere
complicate procedure sperimentali, dava adito a interpretazioni discordanti. Infine, la resistenza psicologica , da
parte degli umanisti, a riconoscere che gli autori classici avessero potuto commettere errori scientifici, rendeva
particolarmente arduo il loro possibile superamento.
Tra la fine del quindicesimo e seconda meta’ del sedicesimo secolo si affaccio’ alla ribalta scientifica una schiera di
naturalisti, per lo piu’ autodidatti, che rifiutarono con forzal’insegnamento libresco e universitario proclamando la
superiorita’ della conoscenza diretta della natura. Da questa presa di posizione nacque un movimento che è
possibile definire “naturalismo rinascimentale”.
La rivendicazione del valore conoscitivo dell’esperienza diretta comportò una trasformazione radicale del concetto
aristotelico di esperienza. Microcosmo e macrocosmo naturale erano l’uno lo specchio dell’altra e una separazione
netta. La corrispondenza macrocosmo microcosmo, scardina l’innaturale separazione delle discipline scientifiche e
rinsalda il rapporto tra scienza e tecnologia. La rivelazione dei misteri del cosmo non avviene piu’ pero’ attraverso
l’artificiosa mediazione dell’istituzione ecclesiastica autoritaria, ma procede dall’indagine diretta della natura. I
metodi adottati per raggiungere questo scopo erano diversi a seconda degli autori, ma tutti avevano un elemento
fondamentale in comune: la conoscenza del cosmo non poteva avvenire adottando un linguaggio e una logica
omogenei, ma solo facendo ricorso alla capacità del naturalista di rivelare i segni nascosti della cose che si
sottraevano alla visione diretta. Il naturalista ha la missione di studiare i segni arcani presenti nell’universo e di
portare alla luce quel che è occulto nella natura. Alla difficoltà di conoscere la natura attraverso i sensi, i
naturalisti aggiungevano la loro visione secondo cui il cosmo altro non era che un organismo vivente e dinamico. La
concezione del mondo come organismo riuniva in un tutto animato cio’ che Aristotele aveva parcellizzato e
classificato in regni differenti. L’ostilita’ contro l’analisi metodica di Aristotele diede vita a una vera e propria
proliferazione di credenze e superstizioni che in molti casi fecero regredire il patrimonio di conoscenze
scientifiche accumulato dalla tradizione aristotelica.
Durante il sedicesimo secolo il proliferare di un numero sempre piu’ crescente di filosofie della natura differenti
ebbe come effetto piu’ evidente quello di sottrarre autorevolezza alla tradizione aristotelica, senza pero’ che da
cio’ scaturisse un’alternativa valida. Le opere di Bacone e Cartesio rappresentano da questo punto di vista i due
tentativi più sistematici e anche più influenti di riformare dalle fondamenta i criteri di razionalità e scientificità
stabiliti dalla logica aristotelica. Nel Novum organum Bacone tracciò un programma di riforma del sapere
naturalistico proprio a partire da una nuova concezione della natura. Secondo Bacone l’uomo non poteva continuare
a esser spettatore passivo delle meraviglie della natura come volevano gli antichi, ma ne doveva diventare ministro
e interprete. ( in particolare Bacone esalta le scienze operative e sperimentali, quali la meccanica, la farmacia e la
stessa alchimia)
Secondo Bacone, solo in virtu’ dell’esperimento e dell’uso degli strumenti è possibile ottenere dalla natura le
risposte che i seguaci di Aristotele non sono stati in grado di ottenere. L’ideale baconiano della scienziato è quello
diun uomo che manipola i fenomeni della natura, sia per comprenderne le leggi, sia al fine di produrre le invenzioni
tecniche che vanno a beneficio dell’umanita’.
Pur da un punto di vista completamente diverso rispetto a quella baconiana, la filosofia di Cartesio fu altrettanto
decisiva nel rinnovamento della concezione tradizionale della natura. Il mondo naturale e la molteplicità dei
fenomeni costituiscono per Cartesio un insieme di enti la cui conoscibilità non puo’ dipendere da una enumerazione e
classificazione. Per portare a soluzione il problema della conoscibilità della natura si rende necessaria pertanto una
riforma del metodo e delle regole che presiedono alla conoscenza scientifica. A questo fine Cartesio elabora una
fisica basta sullo strumento matematico, minando cosi’ i fondamenti sella fisica aristotelica in modo molto piu’
radicale di quanto aveva fatto Bacone. La filosofia naturale baconiana, pur criticando la logica aristotelica, era
essenzialmente dipendende dalla guida dei sensi . L’introduzione degli strumenti scientifici e della sperimentazione
non facevano che aumentare, sia pur in modo significativo, la potenzialita’ dell’osservazione empirica tradizionale.
La matematica era ancora vista da Bacone come una disciplina essenzialmente estranea al mondo materiale e quindi,
incapace di descriverlo efficacemente. Cartesio al contrario, parti’ dal punto di vista opposto. Dal momento che i
sensi sono per lo più ingannevoli e che l’unico strumento certo per acquistare conoscenza è dato dalla matematica
occorre individuare il metodo proprio della matematica estendendolo a tutte le discipline.
Dopo aver dimostrato che l’evidenza della scienze matematiche era garantita da Dio, Cartesio costrui’ una fisica e
una biologia in cui le leggi naturali erano identiche alle regole della meccanica. Questa concezione trova eco in un
celebre passo de Il Saggiatore di Galileo. La metematizzazione del mondo dunque non partiva dal presupposto che
il mondo fosse in sé composto di numeri, ma che esso fosse conoscibile esclusivamente attraverso di essi. Sia pur
su un versante completamente di verso da quello empirista di Bacone, anche Cartesio sosteneva che l’uomo dovesse
impadronirsi di nuovi strumenti per soggiogare la natura della conoscenza e non limitarsi piu’, come nel passato, a
contemplarla passivamente. Lo strumento matematico e il modello meccanico diventarono con Cartesio i parametri
di qualsiasi conoscenza. Cartesio stabiliva una felice congiunzione tra i fenomeno del mondo sublunare e quelli
astronomici, unificando cio’ che per oltre due millenni Aristotele aveva tenuto separato. Il tentativo non ebbe il
successo sperato: astronomia e fisica sarebbero diventute una sola disciplina sol oin seguito , grazie alla sintesi
newtiana e all’introduzione delle nozioni di vuoto e di azione a distanza. L’affermarsi della concezione
meccanicista ebbe profonde e durevoli ripercussioni sui progressi di quelle discipline oggi note con il generico nome
di “scienze esatte”, vale a dire l’astronomia e la fisica generale. La visione meccanicista dunque s’impose come
modello di riferimento , anche aiutata da un rapidissimo sviluppo tecnologico e da un altrettanto rapido progresso
dell’industria, la concezione meccanicista dell’universo s’impose, tra sette e ottocento, quale filosofia dominante.
La spettacolari scoperte scientifiche e le loro applicazioni indussero presto a identificare lo sviluppo scientifico e
tecnologico con il progresso sociale e culturale, Malgrado l’ambizione della maggior parte degli scienziati fosse
divenuta la matematizzazione dei fenomeni naturali , non mancò chi oppose resistenza a questa tendenza generale.
Denis Diderot firmò un’opera che dava autorevolmente voce a tali resistenza. Facendo propria la critica del
naturalista Georges- Lecrlerc Buffon all’astrattezza delle dimostrazioni matematiche, il filosofo francese
denunciava l’inutilità della matematica nella conoscenza concreta della natura. Il tentativo di Diderot, appoggiato
da Buffon, e successivamente da Goethe, Hegel e Schelling, di ridare un ruolo centrale alla natura e di sottrarla al
processo di matematizzazione a cui stava inesorabilmente andando incontro non ebbe che successi temporanei e
circoscritti.
E’ la scienza stessa dunque che, attraverso un linguaggio quantitativo, definisce la natura, i suoi soggetti e la sua
estensione. Il sogno di Cartesio sembra oggi essersi realizzato pienamente. La stessa distinzione tra artificiale e
naturale, uno dei cardini dell’intera filosofia aristotelica, è ormai venuto meno. I risultati sperimentali della chimica
contemporanea hanno sgretolato i confini tra naturale e sintetico, tanto che non è piu’ dato di distinguere molecole
naturali da quelle composte nei laboratori.
GLI STRUMENTI
Di fatto, gli strumenti scientifici, hanno creato le condizioni materiali perché il mondo esterno potesse essere
osservato secondo parametri quantitativi, favorendo la presa di coscienza di un modo nuovo di praticare la scienza.
Non è dunque possibile dare una definizione univoca degli strumenti scientifici né , tanto meno, è possibile
definirne in modo gerarchico la funzione rispetto alle teorie scientifiche. Nel quattordicesimo secolo l’orologio
meccanico apri’ la strada alla prima forma di quantificazione della realta’ esterna. Con l’orologio meccanico, infatti,
la dimensione temporale della realta’ perde il suo mistero e l’alone di mistica meraviglia che l’aveva circondata
durante il Medioevo, lasciando il osto a uno strumento di mediazione che ne garantisce un modello di spiegazioni
razionali. Dovranno tuttavia passare diversi secoli prima che la prassi di corroborare le teorie scientifiche con
modelli meccanici si adottata sistematicamente. Gi strumenti scientifici indubbiamente erano usati fin
dall’antichità . utensili meccanici come la leva, la pompa idraulica ect… furono invenzioni che il Rinascimento ereditò
dall’epoca classica e medievale. Questi strumenti non avevano altra funzione che quella di operare come utensili
capaci di ampliare la potenza della forza dell’uomo, ma anche il fattore moltiplicativo di questi congegni non venne
compreso pienamente fino a che, con l’approfondimento teorico, non si giunse a un perfezionamento sistematico
degli strumenti e a un loro uso piu’ propriamente scientifico. A partire dal sedicesimo secolo si verifica un
fenomeno nuovo : la messa a fuoco dell’idea di strumento scientifico e la sua valorizzazione ai fini della ricerca,
nell’ambito della quale svolge un ruolo essenziale. L’importanza dei cinque sensi variava con il variare delle
discipline. La vista , indubbiamente, rappresentava il senso piu’ importante e spesso piu’ autorevole tra quelli
utilizzati dallo scienziato rinascimentale. Ancora in pieno cinquecento osservare la natura significava, soprattutto,
leggere: il primo strumento scientifico rivoluzionario entro il quale inquadrare l’universo, fu, infatti, il libro. Il libro
per lo scienziato rinascimentale era molto di piu’ di un simbolo ,e per molto tempo esso costitui’ il principale
strumento si standardizzazione delle osservazioni e delle nozioni scientifiche del momento . Del resto, la
diffusione della stampa contribui’ in modo notevole al risveglio dell’interesse per le scienze della natura. Il vedere
senza la mediazione dello strumento intellettuale sembrava per lo piu’ un metodo steril e e anche i piu’ audaci
sostenitori dell’osservazione sperimentale diretta erano in realtà i lettori piu’ assidui e attenti. Malgrado alcune
difficolta’ l’entusiasmo rinascimentale per la riscoperta della natura diede un nuovo impulso alla ricerca di mezzi
materiali capaci di rendere piu’ agevole l’osservazione empirica. Gli alchimisti con i loro laboratori rudimentali
furono probabilmente i primi a imprimere una svolta decisa all’ orientamento sperimentale della nuova scienza. Non
fu tuttavia nell’ambito dell’alchimia che vennero introdotti i primi strumenti scientifici, ma nell’astronomia e nelle
scienze della vita. In entrambi i casi gli strumenti si basavano sulla tecnologia di lavorazione delle lenti, Anche se
gli occhiali erano stati utilizzati gia’ nel tredicesimo secolo e l’ottica sperimentale si era sviluppata nel Medioevo, il
vetro e le lenti divennero d’uso comune solo a partire da cinquecento.
Gli strumenti ricavati dal vetro raggiunsero il massimo della perfezione. Anche se non furono le officine a produrre
direttamente gli strumenti, certamente contribuirono a diffondere conoscenze tecniche capacita’ artigianali che
risvegliarono negli scienziati dell’epoca la curiosita’ per la molatura delle lenti. I primo telescopio fu probabilmente
opera di artigiani olandesi e , stando a testimonianze indirette, sembra che un esemplare fosse gia’ stato
costruito nel 1590. Fu solo grazie all’opera di Galileo , pero’, che il telescopio divenne un vero e proprio strumento
scientifico. Per la prima volta una delle scoperte piu’ importanti della scienza moderna era associata a uno
strumento nato nella bottega di un artigiano. Galileo fu il primo scienziato a investire il telescopio in una funzione
teorica di ampia portata. Lo strumento non aveva piu’ il mero compito di coadiuvare i sensi o di alleviare il lavoro
dell’uomo, ma la sua nuova utilizzazione gettava le base per una nuova concezione dei sensi e della conoscenza che
da essi si poteva ricavare. Già nella sua prima opera scientifica Galileo aveva manifestato grande ablità
nell’associare il perfezionamento degli strumenti , in questo caso la bilancia idrostatica con la teoria fisica che ne
spiegava il meccanicismo e con le possibili funzioni. Nel Marzo 1610 Galileo pubblicava il Sidereus Nuncius ,
un’opera destinata ad avere un impatto senza precedenti nella storia della scienza occidentale. Accadde cosi’ che
uno strumento, il telescopio, divenisse il protagonista di una sensazionale scoperta scientifica. Grazie al suo potere
di ingrandimento, rivelava ai sensi cose che i sensi da soli non potevano percepire. Galileo, prevedendone un
giovamento inestimabile, invitava il doge di Venezia a finanziarne la produzione. Galileo scopri’ in pochi mesi non
solo nuovi satelliti e pianeti, ma anche l’irregolarita’ della superficie lunare, e quindi la sua parentela e somiglianza
con la Terra, le macchie solari e altri mirabili fenomeni astronomici. La cosmologia aristotelica usci’ completamente
a pezzi dalla pubblicazione di Sidereus Nuncius . La distinzione tra fenomeni sublunari e fenomeni celesti era stata
violata dal telescopio di Galileo. Il ruolo cruciale del telescopio nella rivoluzione scientifica diede nuovo impulso alla
costruzione di strumenti ottici ed elevo’ il profilo professionale di qugli artigiani che in modo piuttosto
estemporaneo avevano fino ad allora garantito agli scienziati la loro assistenza. Dopo la prima osservazione di
Galileo, risalente al 1610, gli anelli di saturno furono scoperti ufficialmente soltanto a seguito delle sistematiche
osservazioni promosse dall’Accademia del Cimento. All’interno di questa accademia, sorta a Firenze per volere dei
Medici e dei discepoli di Galileo, col preciso intento di continuare l’opera del maestro, gli strumenti non servivano
piu’ ad ampliare o verificare ipotesi scientifiche elaborate concettualmente, ma rappresentavano una parte
necessaria e insostituibile nella prassi scientifica. Dopo la morte di Galileo e di Torricelli nessuno scienziato
italiano sembrava essere in grado di costruire telescopi e lenti ottiche altrettanto potenti ed efficaci. Forte di
questa situazone favorevole, un artefice di strumenti, Eustachio Divini, incomincio’ a costruire telescopi di grandi
dimensioni , apportando significativi miglioramenti tecnici al taglio delle lenti; Divini comincio’ a divulgare i vantaggi
scientifici dei suoi strumenti. Non c’e’ dubbio che l’intendimento di Divini fosse commerciale, ma è significativo che
tale dimostrazione venisse affidata a una scoperta scientifica di grande effetto e risonanza pubblica. Sull’onda di
questa scoperta lo scienziato Huygens pubblico’ nel 1659 un’opera nella quale non solo confermava l’esistenza degli
anelli di Saturno, ma annunciava anche l’esistenza di un satellite di Saturno. Tale scoperta metteva in discussione la
precisione e la superiorita’ riconosciuta in tutta Europa, dei telescopi costruiti da Divini, tanto che Huygens
rivendicava esplicitamente al proprio strumento una migliore possibilita’ di mettere a fuoco gli oggetti osservati.
Cio’ provoco la reazione di Divini, il quale pubblico’ un opera che venne considerata il primo testo astronomico
pubblicato in Italia da un semplice costruttore di strumenti privo di educazione universitaria. Dopo una lunga
controversia, Huygens chiese al fratello del Granduca, Leopoldo de’ Medici, e ai membri dell’Accademia, di
giudicare quale dei due strumenti fosse effettivamente il piu’ accurato. Alla fine gli accademici adottarono la
spiegazione di Huygens sulla natura degli anelli di Saturno , anche se fu solo grazie al telescopio di Divini che
furono in grado di osservare l’ombra di Saturno sul suo anello, riconoscendo così implicitamente la maggior potenza
ottica dello strumento costruito dall’artefice marchigiano. La disputa sugli anelli di Saturno continuo’ negli anni
successivi , coinvolgendo gli astronomi di tutta Europa.
Lo stesso vetro tagliato con cui si erano esplorati i mondi celesti provoco’ un analogo rivolgimento scientifico
quando fu applicato all’osservazione dell’infinitamente piccolo. L’invenzione del microscopio non ha alcuna analogia
con quella del telescopio, se non nell’uso rivoluzionario che se ne fece da parte degli scienziati,a partire dalla prima
meta’ dei Seicento. I naturalisti dell’Accademia romana, non tardarono a comprendere l’efficacia del nuovo
strumento, chiamato “microscopio” proprio dal Cesi, e le sue possibili applicazioni. La tomismo di Democrito e di
Lucrezio trovava finalmente una base sperimentale. I dettagli minutissimi che il microscopio consentiva di
osservare facevano presagire, infatti, per usare l’espressione di Bacone, il modo con cui vedere l’atomo. L’atomismo
era un’ipotesi filosofica che Aristotele aveva non solo respinto con decisone ma, proprio a causa della sua distanza
dalla percezione sensibile, addirittura deriso come una favola. Ora l’uso del microscopio in zoologia sembrava far
cadere un altro fondamento della filosofia della natura aristotelica. Il primo naturalista a realizzare scoperte
significative per mezzo del microscopio fu il siciliano Gianbattista Hodierna il quale pubblicò un’opera intitolata
L’occhio della mosca. Il medico Marcello Malpigli aveva utilizzato il microscopio nelle sue opere di anatomia e
anatomia comparata, identificando la composizione dei tessuti renali, polmonari, dei denti, delle unghie, delle
piante, dei vermi e di altre parti minime del corpo umano e del mondo animale e vegetale. Questo interesse per
l’anatomia delle parti minime del corpo era stato criticato dai galenisti che addicevano due principali obiezioni: la
prima riguardava la minuzia, e quindi l’importanza relativa, degli oggetti studiati da Malpigli, la seconda, l’inutilita’
pratica della fisiologia ai fini terapeutici. La prima obiezione, quella che ci interessa, metteva in discussione
l’utilita’ scientifica del microscopio.
Che il vetro sia stato il materiale protagonista dello sgretolamento della filosofia e della natura aristotelica,
nonché il principale strumento su cui venne costruito un nuovo ideale di scienza sperimentale, è ulteriormente
dimostrato nella vivacissima polemica sulla natura del vuoto. Polemica scientifica secentesca dove troviamo
schierati , da una parte, i sostenitori dell’horror vacui, aristotelici, e dall’altra i naturalisti costruttori di strumenti
animati dallo stesso intendimento, quello di sottoporre la questione alla verifica sperimentale. Ancora una volta, il
protagonista non è solo il vetro, ma chi sagacemente ne fa uso: Evangelista Torricelli, un allievo di Galileo. La
dimestichezza con la lavorazione del vetro lo porto’ a realizzare non solo i telescopi piu’ accurati del suo tempo, ma
anche strumenti per la misurazione della pressione atmosferica. Contemporaneamente al barometro veniva
scoperto anche il termometro. La misurazione del calore non poteva piu’ essere ricondotta alla sensazione
soggettiva della percezione, ma doveva essere qualificata sulla base di criteri oggettivi. Lòa scala centigrada
introdotta dal matematico svedese Celsius intorno al 1740, che defini’ il grado zero della temperatura di fusione
del ghiaccio e 100 gradi come quella di ebollizione dell’acqua, ancoravano la misurazione del calore a criteri
osservabili oggettivi e, soprattutto, quantificabili.
La scoperta di alcune nuove classi di fenomeni come la natura dell’elettricita’ e la composizione dell’aria
atmosferica, indussero costruttori di strumenti del settecento a mettere a punto nuovi apparecchi e a utilizzare
nuovi materiali . L’elettricita’ è il fenomeno forse piu’ indicativo dell’importanza del laboratorio nella pratica della
ricerca scientifica. Alla fine del settecento, grzie soprattutto al contributo del chimico francese AntoineLavoisier, la teoria aristotelica secondo cui l’universo si compone di quattro elementi veniva definitivamente
abbandonata. Le scoperte che l’aria si compone di fluidi chimicamente differenti e che l’acqua è composta da due
gas, idrogeno e ossigeno, sconvolsero la visone comune di materia.
A partire dalla prima meta’ del diciannovesimo secolo lo strumento scientifico veniva assorbito dalla tecnologia e
questo processo giunge al suo culmine con lo sviluppo della fisica nucleare nei primi decenni del secolo successivo.
S’iniziava l’era della “Big Science” com’e’ stata chiamata l’epoca dei ciclotroni e degli acceleratori.
Lo strumento scientifico che agli inizi del seicento aveva favorito l’affermarsi della rivoluzione scientifica, nel
novecento si è trasformato in un sistema di macchine, e, sistema tecnologico, la cui potenza ha quasi interamente
assorbito l’attivita’ scienziati.
SCIENZA E COMUNICAZIONE.
L’invenzione della stampa, il diffondersi di varie e complesse forme di infrastrutture che facilitano l’incontro delle
idee, la diffusione delle reti di comunicazione via cavo e via radio, lo sviluppo delle tecnologie computazionali e il
recente affermarsi delle nuove tecnologie di comunicazone via Internet, rappresentano alcuni esempi significativi
della centralita’ della comunicazione nella cultura occidentale dal Rinascimento ad oggi.
Solo dopo la rivoluzione informatica degli ultimi decenni è diventato chiaro come ricerca scientifica e sviluppo dei
mezzi e forme di comunicazione siano entità quasi imprescindibili. L’affermazione della scienza occidentale dal
Rinascimento a oggi è intimamente legata all’importanza che fin dal suo sorgere venne attribuita alla comunicazione
delle idee. Polvere da sparo, stampa a caratteri mobili, strumenti di misura e navigazione, e altre scoperte
giustamente esaltate da Bacone e attribuite al fervore scientifico dell’Europa del sedicesimo secolo, erano in
realtà reperti tecnologici di civilta’ fiorite in altri continenti. In particolare, in Cina lo sviluppo della scienza e della
tecnica aveva raggiunto apici di eccellenza gia’ nel decimo secolo; anche l’arte della stampa era conosciuta in Cina e
Giappone molto prima che in Europa. In queste culture, infatti, mancarono strumenti idonei per diffondere gli
effetti e le applicazioni delle invenzioni. Ben diverse erano le condizioni in cui operavano gli scienziati europei. Con
l’invenzione della stampa la scienza occidentale fu costretta ad abbandonare , non senza difficolta’ e ritardi, l’età
dei segreti e delle scienze occulte. La comunicazione costituì ben presto uno degli elementi principali dell’attività
scientifica, tanto da determinare spesso il progresso e le forme della conoscenza della natura. Il rapporto tra
scienza e comunicazione dunque è di fondamentale importanza per comprendere la scienza occidentale dopo il
Rinascimento e ci aiuta a cogliere i due principali aspetti costitutivi della scienza rinascimentale. Da un lato, si
registra in questo periodo un notevole sviluppo delle tecnologie, prima tra tutte quella della stampa, dall’altra parte
si sviluppa l’esigenza intellettuale di esprimere i contenuti del discorso scientifico in maniera autonoma rispetto
alle discipline letterarie e di diffondere i risultati delle proprie osservazioni sul mondo naturale secondo modalità
che saltino il principio di oggettività. L’introduzione dei caratteri mobili e la diffusione del mercato librario posero
ai naturalisti del Rinascimento il problema dell’utilizzazione di questo nuovo mezzo di diffusione del sapere.
Cambiaroo percio’ non solo le forme espressive, ma anche i contenuti del messaggio.
Con la stampa la forma della comunicazione acquisiva una nuova dimensione e gli aspetti formali e tipografici del
libro arano spesso altrettanto importanti del contenuto. In Rinascimento fu il periodo storico in cui emerse con
tutta evidenza una scienza dei segreti, ove per segreti non s’intendono le formule magiche, ma scoperte
scientifiche e tecniche che, per ragioni di proprietà intellettuale o anche corporativa, non potevano essere
divulgate senza danno degli autori. Se è vero che Galileo fu un geniale utilizzatore della stampa per comunicare al
pubblico le innovazioni scientifiche e tecniche della nuova scienza astronomica e fisica, Isaac Newton, oltre
cinquant’anni dopo, fu estremamente riluttante a pubblicare i suoi Principia matematica un’opera universalmente
riconosciuta come il simbolo della rivoluzione scientifica. Molti altri scienziati non pubblicarono le proprie opere
perché non disponevano di un modello normativo che li aiutasse a rendere pubbliche con successo le proprie idee.
Un altro motivo, tutt’altro che secondario, che indusse i naturalisti della prima età moderna a usare mezzi di
comunicazione diversi dalla stampa era la lentezza con cui i libri venivano pubblicati. Per sopperire ai limiti della
stampa, i naturalisti ricorsero dunque alla lettera, una forma di comunicazione che ebbe uno straordinario successo
per quasi due secoli, dall’inizio del seicento alla fine del settecento. Innanzitutto le lettere scientifiche servivano
per comunicare il piu’ presto possibile l’esito di un esperimento o di una nuova scoperta. Il destinatario delle
lettere non era un semplice corrispondente ma, in moltissimi casi, uno scienziato che svolgeva le mansioni di
segretario, con il compito di diffondere alla comunità scientifica i risultati annunciati nella lettera. Gli scienziati
della seconda metà del seicento adottarono una nuova soluzione che, combinando i benefici della stampa alla
rapidita’ dello scambio epistolare, risolse l’esigenza di una comunicazione sempre piu’ rapida: la stampa periodica.
Nel 1665 furono lanciate, in Francia e in Inghilterra, due iniziative destinate a cambiare radicalmente la forma
delle pubblicazioni scientifiche. A Parigi veniva fondato il celebre Journal des savants, uno dei primi periodici
europei a dare ampio spazio all’analisi di opere scientifiche. Nel 1672 il medico Jean- Baptiste Denis fondava un
periodico intitolato Mèmoires sur les sciences et sur les arts basato sul modello del Journal des savants, ma
dedicato interamente alle scienze. Le pubblicazioni periodiche divennero ben presto i principali strumenti di
divulgazione scientifica in Europa, garantendo , attraverso una relativa velocità di pubblicazione, la paternita’ delle
principali scoperte scientifiche.
Ma Szilard, impegnato nella ricerca nucleare, senti’ la necessita’ d’innalzare un muro di segretezza intorno a questo
argomento, invocando un ritorno alla scienza dei segreti. Il rifiuto dello scienziato di comunicare i contenuti delle
proprie ricerche al di fuori di una cerchia ristretta di colleghi e di responsabili nazionali della sicurezza e della
difesa costituiva un passo versol’isolamento. La tutela del segreto costitui’ la piu’ efficace forma di protezione
della proprieta’ intellettuale e dello sfruttamento del brevetto. Sono numerossissime le testimonianze della
relazione problematica tra scoperta scientifica e i diritti economici sulle sue applicazioni pratiche. Gia’ nel
Rinascimento alcune autorità furono investite del compito di regolare tali rapporti, all’inizio questo compito era
delle corporazioni.
SCIENZA E ARTE
Rientravano nella generica definizione di arti e mestieri, fino alla fine del diciottesimo secolo, numerose
professioni manuali regolate da ordini e corporazioni lontani dal mondo intellettuale delle accademie e delle
universita’. Anche se, come fu il caso della medicina, occasionalmente gli accademici e gli intellettuali erano
costretti a ricorrere all’aiuto dei pratici. La posizione sociale e intellettuale degli artisti era rigidamente
subordinata rispetto a quella degli accademici e degli universitari. Le professioni degli artisti rinascimentali,
riccamente documentate nell’opera monumentale di Tomaso Garzoni, comprendevano ogni sorta di attivita’ manuale
e i pittori, gli scultori e gli architetti, formavano una sola parte del variegato mondo delle arti e dei mestieri.
Malgrado i limiti strutturali della propria professione, gli artisti del rinascimento impressero alla cultura del tempo
cambiamenti profondi e permanenti. L’ottica geometrica forniva il fondamento oggettivo per guardare ai fenomeni
non piu’ secondo i principi di una mediazione filosofica astratta, ma secondo le reali proporzioni e dimensioni della
natura. Non fu solo nell’arte pittorica che gli artisti invasero prepotentemente il campo della scienza. Soluzioni
architettoniche al limite del possibile condussero gli architetti e gli ingegneri rinascimentali a riflettere sulla
resistenza dei materiali, su complesse questioni di meccanica e su altri problemi di carattere matematico di
notevole complessita’. Tra quattordicesimo e quindicesimo secolo pittura, scultura, architettura, arte militare,
alchimia, metallurgia e chirurgia escono allo scoperto per contendere alla scienza ufficiale un primato millenario.
Anche se le scienze avevano beneficiato fin dall’inizio dei contributi degli artisti, il di sprezzo della cultura
classica per le attivita’ pratiche peso’ enormemente sulla discriminazione professionale degli artisti e ancora alla
fine del settecento erano pochissimi gli artisti e gli ingegneri a essere stati nominati membri delle principali
accademie scientifiche europee. Leonardo a questo riguardo rappresenta un caso emblematico. Malgrado la
discriminazione sociale e il disconoscimento del loro ruolo, gli artisti impressero un cambiamento radicale nel modo
di comunicare e fare scienza. In primo luogo, l’importanza della rappresentazione iconografica e dell’illustrazione
divenne, gia’ a partire dalla dine del quattrocento, patrimonio integrante delle scienze. Plinio il vecchio, metteva in
guardi ai naturalisti dall’affidarsi alla pittura come strumento affidabile di classificazione del mondo naturale.
I progressi dell’arte di illustrare i libri sul finire del quattrocento, veniva ancora sfruttata al minimo dai naturalisti
e con grande cautela. La filologia e la parola rimanevano gli strumenti della scienza stampata del quattrocento e lo
scetticismo di Plinio per l’uso delle illustrazioni naturalistiche esercitava con inalterata autorita’ la propria
influenza. A questa egemonia della scienza accademica pero’ si opponevano quei naturalisti, quali Paracelso e, in
misura ancor maggiore, gli alchimisti, che attribuivano al simbolismo e all’iconografia un ruolo centrale nella riforma
del linguaggio scientifico scolastico.
In un quadro dove convergevano istante tanto diverse e per molti versi contrastanti , era chiaro che l’analisi
filologica dei testi antichi non poteva piu’ rispondere da sola all’esigenza del naturalista di far chiarezza sulla reale
consistenza delle fonti classiche. Fu allora che la rappresentazione iconografica delle specie naturali divenne uno
strumento privilegiato di conferma delle definizioni e dei concetti descritti nel testo. L’esigenza di rappresentare
accuratamente le specie naturali trovo’ compimento per la prima volta quasi ottant’anni dopo l’invenzione della
stampa ,nel 1530, con la pubblicazione del Herbarum vivae eicones di Otto Brunfels. Le immagini delle “piante vive”
pubblicate nell’erbario di Brunfels erano il risultato di un’inedita quanto proficua collaborazione tra l’autore e
l’artista chiamato a rappresentarne l’opera, Hans Weiditz : nasce di qui l’inesausta tradizione dell’erbario illustrato.
Tra i contemporanei di Brunfels che compresero con tempestivita’ le potenzialita’ e le insidie delle immagini,
Leonhart Fuchs fu senza dubbio il miglior interprete. Autore nel 1542 di un erbario , Fuchs si era avvalso per le
illustrazioni di ben tre artisti: due pittori e un incisore. Per quanto attribuisse grande importanza alle immagini,
Fuchs era persuaso che gli artisti dovessero essere guidati nelle loro rappresentazioni della scienza e che, per
esempio, l’eccessivo realismo o naturalismo dell’illustrazione dovesse essere corretto da uno stile sintetico che
presentasse le piante nei loro caratteri essenziali. Dopo la pubblicazione dell’opera di Fuchs, la scelta di utilizzare
ampi e accurati apparati iconografici per illustrare le opere naturalistiche divenne quasi un obbligo. Nel 1543
infatti, due opere scientifiche , il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico e il De umani corporis fabrica
di Vesalio avevano dato l’avvio a un periodo, che durera’ poco piu’ di un secolo, a cui è stato per molto tempo
associata la categoria della rivoluzione scientifica. Il crollo della cosmologia aristotelica e tolemaica da una parte e
la riforma, nel microcosmo umano, dell’anatomia galenica, dall’altra, sono due componenti simboliche egualmente
significative di quest’anno mirabile dalla scienza occidentale. Di la’ dal differente ambito disciplinare, l’opera di
Copernico e quella di Vesalio si presentavano al pubblico con una differenza formale di fondo. Laddove la prima
illustrava il testo della riforma del sistema astronomico tolemaico utilizzando ancora le tradizionali
rappresentazioni geometriche delle traiettorie dei pianeti, l’opera di Vesalio sconvolgeva l’iconografia anatomica
del corpo umano introducendo innovazioni di grandissima importanza artistica. La geometrizzazione dell’universo, i
cerchi, gli epicicli, le traiettorie dei pianeti e il complesso sistema matematico che le teneva unite in un tutto
armonico e ordinato non potevano che essere rappresentati da figure e diagrammi geometrici non diversi da quelli
delle edizioni cinquecentesche di Tolomeo. La difficolta’ tecnica della materia congiunta alla convenzionalità dei
diagrammi scelti da Copernico per illustrarla non garantirono al De revolutionibus quell’effetto dirompente che gli
storici sono soliti attribuirgli. Ben diverso fu il caso di Galileo. Il Sidereus Nuncius, pubblicato nel 1610,
accompagnava i risultati delle osservazioni compiute con il telescopio con la pubblicazione di bellissimi disegni
sull’irregolarità della superficie della luna, che probabilmente contribuirono a provocare in Europa reazioni di
meraviglia, scatenando nel 1616 una controversia scientifica che porto’ alla condanna dell’opera di Copernico,e, in
seguito a quella dello stesso Galileo e alla sua abiura. Nel 1610, annunciando la scoperta di grandi cose, osservate
grazie al telescopio, Galileo non si accontento’ di pubblicare i consueti diagrammi geometrici al fine di spiegare la
nuova disposizione delle stelle, ma aggiunse alcune immagini che mostravano la superficie della Luna nelle diverse
fasi d’illuminazione solare, per provare che, contrariamente a quanto sostenevano la maggior parte dei filosofi, la
Luna non era affatto liscia uniforme e di sfericità esattissima , ma al contrario diseguale, scabra, ripiena di cavita’
e di sporgenze. La presenza di figure che ricreavano la sensazione della visione della Luna attraverso il telescopio
costitui’ un argomento scientifico non verbale di grande impatto. La vista potenziata dai nuovi strumenti ottici,
infatti, poteva svelare una realta’ molto diversa da quella in cui si credeva da millenni.
Il rapporto tra scienze e arte in medicina segue un percorso essenzialmente autonomo. In primo luogo la medicina
poteva contare su una tradizione iconografica molto piu’ ricca di quella disponibile per tutte le altre scienze. L’arte
di ben rappresentare il corpo dunque prendeva il posto delle parole. Il disegno, l’incisione, l’arte chirurgica e
dissettoria, e la valorizzazione dell’osservazione scrupolosa del corpo avevano trasformato radicalmente l’anatomia
rinascimentale.
I rapporti tra scienza e arte condizionarono profondamente i progressi della tecnica. Un caso emblematico di
questo nuovo approccio si trova nell’opera metallurgica del medico e umanista Girogio Agricola. Pubblicato nel 1556,
i motivi che resero questo trattato metallurgico uno dei testi scientifici piu’ diffusi del rinascimento sono
molteplici, ma l’innovazione piu’ evidente introdotta da Agricola nella sua opera era certamente rappresentata dalla
292 xilografie utilizzate per illustrare varie fasi e strumenti dell’arte. Grazie all’uso delle xilografie, qualsiasi
lettore poteva facilmente mettere in relazione il testo con la sua raffigurazione e con cio’ imparare piu’
agevolmente la terminologia. Questa esigenza di comunicare e diffondere il sapere tecnico sentiva anche si
superare l’ostacolo dell’alfabetizzazione, nel caso dei semplici operai impegnati nelle miniere, e della conoscenza
delle lettere classiche. Le immagini di macchine, fornaci e strumenti, infatti, erano familiari ai tecnici molto piu’ di
quanto lo fossero le disquisizioni di meccanica riguardo al fondamento teorico del loro funzionamento. Oltre alla
descrizione delle macchine e degli strumenti le xilografie servivano allo scopo di classificare le vene e i depositi,
distinguendo le aree che per la loro configurazione geofisica potevano nascondere dei giacimenti da quelle che, di
la’ dalle apparenze immediate, andavano comunque abbandonate.
Facendo sistematicamente ricorso all’arte dell’illustrazione, lo scienziato rinascimentale era stato in grado di
studiare la natura e osservare il mondo esterno secondo prospettive varie ed inedite. Gli artisti avevano fornito i
mezzi rispondenti all’esigenza di indagare la natura assecondandola, senza le pastoie della scolastica. La forza delle
immagini e di un linguaggio nuovo , alternativo alla parola scritta, aveva emancipato il rinascimento dal complesso
d’inferiorita’ nei confronti dell’antichita’ classica e creato le condizioni favorevoli per la nascita di una nuova
scienza fondata su basi teoriche autonome.
SCIENZA E RELIGIONE.
Le interpretazioni che gli storici hanno dato sui rapporti tra scienza e religione dal Rinascimento ai nostri giorno
sono state in aperto e spesso totale contrasto tra loro. Da un lato si è sostenuto che i primi progressi della scienza
sperimentale in Occidente si sono ottenuti tra tredicesimo e quattordicesimo secolo in seno alla tradizione
scolastica e alle universita’ medievali e che Pierre Duhem è stato di questa interpretazione il piu’ vigoroso
sostenitore. D’altra parte, molti storici della scienza hanno inteso sottolineare la componente secolarizzattrice
della razionalita’ scientifica e quindi la sua storica e naturale opposizione ai principi dogmatici della teologia
scolastica. Secondo quest’interpretazione, sostenuta tra gli altri da Andrei White, l’emancipazione e i progressi
sella scienza moderna sono da ricondurre alla lotta ideologica promossa dal razionalismo scientifico contro ogni
dogmatismo, in particolare contro la teologia cristiana e il suo carattere onnicomprensivo. Un terzo filone ha
spiegato l’emergere della rivoluzione scientifica e l’affermarsi della scienza come forma del sapere dominante
collegandole alla diffusione della riforma protestante e all’intimo legame del protestantesimo con la nascita del
sistema capitalistico. Le posizioni che si sono venute delineando dalla fine del secolo scorso, infatti, non sono
cambiate e gli storici, pur muniti di nuovi strumenti e di piu’ ricchi apparati documentari, contundano a vedere il
rapporto scienza- religione secondo prospettive contrapposte. Cosi’ in un recentissimo libro, John Heilbron ha
sostenuto che nel periodo della rivoluzione scientifica, e in particolare durante il diciassettesimo secolo, la Chiesa
Cattolica non solo non si oppose ai progressi della scienza, ma addirittura li promosse in modo attivo e fecondo.
Significativa a questo riguardo e’ la presenza in molte chiese italiane, come la cattedrale si San Petronio di
Bologna, di veri e propri laboratori astronomici. Meridiane, orologi solari e meccanici e altri strumenti di
osservazione erano stati collocati nelle chiese per mostrare quanto le autorita’ ecclesiastiche fossero sensibili al
progresso della scienza. Ancora la tesi di Heilbron e di molti nuovi storici della scienza restituisce alla Chiesa e in
particolare all’ordine dei gesuiti, un ruolo guida nell’ambito del progresso della scienza europea. Ma una cosa p
riconoscere che molti gesuiti provarono. In quei due secoli, un certo diffuso interesse per la scienza, altra è
enfatizzare tale interesse al fine di contrastare l’immagine storiografica dominante che ha visto nelle scienza seisettecentesca una forma del sapere in aperta opposizione alla Chiesa e alle sue principali dottrine filosofiche. La
rivalutazione della scienza dei gesuiti è stata anche un antidoto all’attenzione suscitata dal processo e dalla
condanna di Galileo. La condanna dello scienziato nel 1633 all’abiura della teoria copernicana sostenuta nel Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo , nonché la proibizione per tutti i cattolici, pena la scomunica , di leggere le
opere di Galileo e Copernico, costituivano i segni piu’ evidenti di una politica deliberatamente antiscientifica da
pare della Chiesa.
Partendo da una posizione ideologica altrettanto definita, a partire dalla seconda meta’ dell’ottocento alcuni storici
e sociologi hanno posto in relazione il diffondersi della riforma protestante con l’emergere della scienza moderna,
suscitando un dibattito di grande interesse. La tesi di Candolle sul ruolo trainante del protestantesimo fu
approfondita nei primi decenni del ventesimo secolo dal sociologo americano Karl Merton, che intendeva dimostrare
come l’etica puritana avesse giocato un ruolo cruciale nel produrre nell’Inghilterra secentesca un crescente
interesse per le scienze sperimentali. Per avvalorare la sua tesi Merton mostrava come molti membri fondatori
della Royal Society fossero non solo seguaci della chiesa puritana, ma anche suoi servitori. Il motor edella
rivoluzione scientifica, come del resto della riforma protestante, doveva, se mai, essere individuato nello sviluppo
dell’economia capitalistica. Ma l’obiezione principale alla tesi di Merton era che l’interesse per la scienza erra
tuttavia ben vivo anche nei paesi cattolici, inoltre tale interesse si manifestava in entrambe le aree, quella
protestante e quella cattolica, con le stesse caratteristiche e con le medesimo istanze filosofiche. Malgrado
queste obiezioni, è difficile negare che la riforma protestante abbia favorito, sia pur indirettamente, lo sviluppo di
una scienza nuova basata sull’empirismo e sull’estensione del metodo sperimentale a ogni campo d’indagine,
compreso quello economico.
Per comprendere quali siano stati i rapporti tra scienza e religione è necessario innanzi tutto dare ragione di una
separazione di cui, almeno fino al quattordicesimo secolo, nessuno aveva sentito l’esigenza. L’investigazione dei
fenomeni naturali infatti costituiva parte integrante della filosofia scolastica. La teologia regolava i principali
aspetti dottrinali anche delle discipline scientifiche, lasciando tuttavia ampi spazi per un loro sviluppo autonomo.
Durante tutto il medioevo e il primo rinascimento sono rare le prese di posizione delle Chiese nei confronti della
scienza come corpo separato del sapere teologico. Ancora piu’ rare sono le forme di repressione e censura. Ancora,
alla fine del tredicesimo secolo, Bonifacio VIII proibiva , sia pur indirettamente, la dissezione anatomica dei
cadaveri, anche se l’anatomia dei cadaveri dei condannati a morte era consentita. Inoltre nel 1316 l’inquisizione
spagnola condannava 14 trattati del medico Arnaldo da Villanova e nei 1317 Giovanni XXII proibiva con un decreto
la stregoneria, l’arte di fabbricare l’oro e le pratiche di magia. La censura e l’inquisizione della chiesa romana si
esercitarono prevalentemente contro gli scritti teologi considerati eretici. Di li’ veniva la minaccia piu’ insidiosa.
L’origine stessa della congregazione dell’ Indice dei libri proibiti, istituita a seguito del Concilio di Trento,
rispondeva all’esigenza di arginare la diffusione del protestantesimo e l’uso spregiudicato che i suoi seguaci
facevano della stampa. La scienza non venne investita, se non indirettamente, dall’atmosfera di censura e
d’irrigidimento ideologico che fece seguito al concilio. Tra i libri non teologici che venivano proibiti troviamo le
opere di Boccaccio, Machiavelli, Gucciardini e Aretino. Non mancarono certo i riferimenti polemici, sia da parte
cattolica sia protestante, contro le opinioni di Copernico o contro gli atteggiamnti ereticali di Paracelso, ma fino
alla fine del cinquecento non sembro’ opportuno prendere misure di carattere repressivo. Per la Chiesa cattolica,
come per la Chiesa protestante, il controllo della comunita’ dei naturalisti impegnati a riformare il sapere
aristotelico doveva sembrare un problema assai circoscritto se non insignificante di fronte al conflitto teologico,
militare e strategico che si stava profilando all’orizzonte.
La filosofia della natura di Aristotele non costituiva soltanto il centro della dottrina scientifica tradizionale, ma
rappresentava anche un sostegno della scolastica e della teologia cattolica. In questo senso l’aristotelismo non era
solo un modo di guardare il mondo naturale, ma anche una garanzia filosofica che forniva un saldissimo fondamento
teorico alla dottrina cristiana. La combinazione tra scienza e fede, anche se raramente espressa esplicitamente,
trovava nella comune cornice dell’aristotelismo tomista una garanzia si ortodossia nonche’ un fondamento ontologico
della verita’. Criticare la filosofia della natura di Aristotele, dunque, non poteva insidiare, contemporaneamente
dogmi e credenze che non appartenevano alla scienza e che investivano il fondamento della fede. Nella maggior
parte dei casi questo tipo d’insidie venne neutralizzato con successo sia dai naturalisti che criticavano Aristotele
sia dai suoi difensori. La migliore strategia, quella utilizzata da Paracelso e dagli alchimisti, consisteva nel portare
il campo d’indagine scientifica e il metodo epistemologico al di la’ dei limiti previsti dalla filosofia scolastica.
L’alchimia, per esempio di occupava di oggetti e fenomeni che erano stati quasi completamente trascurati dai
filosofi antichi. Sui metalli, la loro classificazione la loro lavorazione ect, l’opera di Aristotele, cosi’ prodiga di
consigli e indicazioni in quasi tutti i campi del sapere naturalistico, taceva. Per questo motivo era piu’ facile per
Paracelso introdurre innovazioni metodologiche radicali, senza provocare l’immediata risposta degli aristotelici.
Copernico giustificava il suo eliocentrismo con l’impossibilita’ di spiegare altrimenti i moti apparenti dei pianeti. Ma
nonostante queste giustificazioni, l’ipotesi del moto della Terra fu recepita con ostilita’ da molti teologi protestanti
e cattolici. Già nel 1539 Martin Lutero dichiarava inattendibile questa teoria e anche Zelantone riaffermava con
forza che la terra non poteva stare in altro luogo se non al centro dell’universo. Galileo fu il primo naturalista di
spicco a entrare in conflitto con la Chiesa su una questione il cui contenuto era apparso sospetto di eresia. Nel
febbraio 1616, dopo varie denunce e delazioni, la Congregazione del Sant’Offizio, attraverso il giudizio espresso
da unidici teologi, definiva la dottrina secondo cui il Sole era il centro immobile dell’universo, proposizione stolta e
assurda in filosofia, e formalmente eretica, in quanto contraddice espressamente le sentenze della Sacra
Scrittura.
Per la prima volta uno scienziato di spicco non solo era condannato e le sue opere proibite, ma era addirittura
messo nella condizione di rinnegare le proprie idee. Dopo un processo estenuante si aggiungeva il confino presso la
villa di Arretri. Lo stesso Cartesio intimidito dalla condanna subita da Galileo, rinunciava a dare alle stampe il suo
trattato sul mondo, ove sosteneva, pur da un punto di vista completamente differente, la validita’ del sistema
eliocentrico. La condanna di Galileo colpi’, con effetti duraturi, tutta la ricerca cosmologica e, fino alla prima meta’
del diciannovesimo secolo, si dovette tacere o celare l’adesione al copernicanesimo. Tuttavia, bisogna riconoscere
che i punti di contatto e confronto tra l’attivita’ scientifica e la speculazione teologica divennero sempre piu’ rari.
Che questa sia stata la tendenza generale, è dimostrato dal declino per gli interessi scientifici da parte dei gesuiti
durante il diciannovesimo secolo.
Malgrado scienza e fede seguissero, compassare del tempo, percorsi sempre piu’ divergenti, non mancarono nuovi
episodi di conflitto. Tra questi quello che ebbe risonanza paragonabile a quello della condanna di Galileo fu la
controversia che segui’ la pubblicazione nel 1859 dell’opera di Charles Darwin L’origine della specie. Com’è noto , in
quest’opera il naturalista inglese aveva stabilito che l’evoluzione delle specie animali era conseguenza di un processo
di selezione naturale. La sopravvivenza di alcune specie a scapito dell’estinzione di altre era dovuta, secondo
Darwin, a variazioni biologiche che consentivano ad alcune specie di rispondere meglio alle condizioni ambientali e di
adattarvisi con maggior facilita’. L’opera di Darwin ebbe un impatto senza precedenti nella storia della scienza. Gli
attacchi a cui fu soggetta l’opera di Darwin furono estremamente violenti e anche se il naturalista inglese aveva
sempre manifestato un sentimento religioso, sia pur non ortodosso, non fu possibile impedire che la teoria
dell’evoluzione fosse interpretata come tendenzialmente convergente all’ateismo. Wilberforce, vescovo anglicano
di Oxford, dichiaro’ che il principio della selezione naturale era incompatibile con la parola di Dio. I cattolici inglesi
non furono da meno , per voce del Cardinale Manning, scrissero che l’evoluzionismo era una filosofia barbara che
nega l’esistenza di Dio e sostiene che la scimmia è il nostro Adamo.
Gia’ non molti anni dopo la pubblicazione dell’opera di Darwin, da molti settori delle scienze naturalistiche, in
particolare dalla geologia, venivano conferme sempre piu’ autorevoli ed evidenti della validita’ dell’evoluzionismo .
Sull’onda di queste conferme sperimentali anchela Chiesa dovette, sia pur molto lentamente, far marcia indietro.
Ernst Haeckel, in una celebre conferenza tenutasi ad Altenburg nel 1892 delineava una nuova religione che,
distruggendo la millenaria separazione tra scienze della natura e scienze dello spirito, trovasse nei “monismo” una
nuova e superiore sintesi. I progressi della scienza, secondo il naturalista, indicavano che questa sintesi era ormai
prossima. Le leggi che regolavano il rapporto tra anima umana e cosmo non erano piu’ dettate dai testi sacri ma da
quelli scientifici.
I MUSEI DELLA SCIENZA.
Il museo per definizione è un edificio destina alla conservazione dei reperti , per strappare il passato dall’oblio
riportandolo all’attenzione attuale. Proprio per questa sua peculiarità, l’idea di museo sembra essere in contrasto
con la mentalita’ scientifica e tecnica che, proiettata verso il futuro, considererebbe il presente come un limite da
superare il piu’ rapidamente possibile e il passato come qualcosa di inutilizzabile. In relata’ quando furono creati i
primi musei naturalistici, questa istituzione ha avuto una considerevole importanza scientifica e ha favorito, o
addirittura reso possibile, la classificazione moderna del mondo naturale. Non solo, fu proprio grazie alla
fondazione dei primi musei naturalistici che si venne delineando l’esigenza di organizzare la ricerca scientifica in
luoghi aperti a un publico di eruditi, rendendo cosi’ tangibile per la prima volta la funzione pubblica della ricerca
scientifica. In eta’ classica la parole museo poteva designare sia un luogo consacrato al culti delle Muse, sia un
luogo destinato all’insegnamento delle lettere e delle filosofie, sia, infine, un edificio ove si conservavano reperti
preziosi. Fu il museo di Alessandria, fondato nel 280 a.C. il prototipo del museo quale intendono i moderni, dal
Rinascimento in poi: un edificio monumentale, sede di un’istituzione laica. Fu solo nel mondo latino che il termine
museum incomincio’ a designare il luogo dove conservare i monumenti antichi,le sculture,le collezioni numismatiche…
Se sull’uso del termine permangono dei dubbi, è certo invece che il collezionismo fu un’attivita’ assai diffusa trai
patrizi romani. Durante tutto il Medioevo, il collezionismo aveva avuto un significato essenzialmente religioso ,
soprattutto a seguito delle Crociate e, non era insolito chele Chiese ospitassero esposizioni di trofei e curiosita’.
L’ampia diffusione del collezionismo archeologico, coltivato da moltissimi umanisti a partire dalla prima meta’ del
Quattrocento, s’inquadrava in un disegno culturale di piena valorizzazione del mondo classico. Con l’affacciarsi di
questo nuovo genere di interessi, gli umanisti vollero creare per essi un luogo specifico e deputato e, durante il
quattordicesimo secolo,individuarono nello studiolo il luogo del collezionismo, della ricerca e del raccoglimento. La
valorizzazione umanistica dello studiolo, prima, e del museo poi, assegno’ a questi luoghi una funzione nettamente
diversa da quella della tradizione medievale. E’ difficile stabilire con precisione quando l’interesse generico per il
collezionismo subi’ una specializzazione in senso scientifico, anche se è certo che gia’ nella prima meta’ del
Cinquecento esistevano in Italia importanti collezioni naturalistiche. Perche’ lo studio di oggetti sempre piu’
numerosi fosse possibile (sbarco di Colombo nelle Americhe, quindi molte nuove specie) non solo era necessario
riformare la teoria, ma occorreva, materialmente estendere lo spazio della ricerca scientifica. Nacque cosi’, tra i
naturalisti del Rinascimento, l’idea di trasferire l’attivita’ scientifica nel museo. Nello stesso periodo in cui il museo
acquisiva un nuovo ruolo, i naturalisti italiani individuarono nel giardino botanico una sede privilegiata della ricerca
naturalistica. I primi giardini botanici furono creati a partire dal 1544 (Pisa) e non è un caso che i primi prefetti di
queste nuove istituzioni fossero anche dei collezionisti. Tra questi il piu’ importante fu Ulisse Aldrovandi, che era
riuscito a mettere insieme presso la propria residenza un museo naturalistico che non aveva pari al mondo. Data la
fragilita’ e deteriorabilita’ dei reperti naturali, era necessario che questo nuovo tipo di collezionismo si avvalesse di
nuove tecniche di conservazione dei reperti; qualora cio’ non fosse stato possibile occorreva chiedere l’intervento
di pittori che rappresentassero tali reperti cosi’ come erano stati osservati dal naturalista. La ricostruzione della
natura entro i limiti di uno spazio chiuso secondo i principi stabiliti dallo scienziato costituivano due elementi che
modificavano in maniera sostanziale la distinzione aristotelica tra naturale e artificiale. Il museo costituiva un
luogo che rendeva fisicamente possibile valicare su base empirica i vari possibili metodi di classificazione teorica.
Il museo naturalistico fu progressivamente inglobato nelle universita’, nei collegi e nelle accademie. Leibniz,
filosofo e matematico tedesco, suggeri’ la creazione di un nuovo tipo di esposizione di reperti scientifici e
meccanici. Questo ricchissimo museo dell’immaginazione visse solo nella fantasia visionaria del filosofo tedesco.
L’intrattenimento e il piacere estetico , per esempio, erano stati considerati per molto tempo requisiti importanti
nell’allestimento delle collezioni scientifiche. Celebri a questo riguardo , furono le Ricreazioni dell’occhio e della
mente nell’osservatione delle chiocciole opera erudita del gesuita Filippo Buonanni. Le opere di Buonanni e di molti
suoi contemporanei puntavano a colpire l’immaginazione del lettore, facendo leva principalmente sugli aspetti
meravigliosi e curiosi della natura. Per questi autori il modello di collezionismo ideale non era quello rappresentato
dalla tradizione naturalistica inaugurato con Aldrovandi , ma quello delle Wunderkammern o camere di meraviglie.Le
Wunderkammern del diciasettesimo secolo e il loro collezionismo eclettico furono criticati da molti autorevoli
scienziati, i quali vi ravvisavano una sorta di prosecuzione moderna delle antiche credenze superstiziose. Tuttavia,
anche se per tutto il seicento le wunderkammern esercitarono grande fascino, lasciando spesso in ombra le
collezioni naturalistiche raccolte seguendo lo spirito tassonomico di Aldrovandi, l’esigenza di ordinare i tre regni
della natura secondo sistemi di classificazione sempre piu’ elaborati non aveva offuscato la funzione scientifica del
museo. I progressi realizzati dalla storia naturale durante la prima meta’ del secolo, grazie alle opere di Rèaumur,
Linneo e Buffon e ai numerosissimi viaggi naturalistici, avevano affollato i musei e le collezioni di una quantita’
enorme di nuove specie sempre piu’ difficili da catalogare. Per queste ragioni il settecento costituisce per la storia
naturale il vero momento di gloria del museo, ma contemporaneamente ne fa emergere in pieno alcuni limiti che,
verso l’inizio del secolo successivo , lo porteranno alla decadenza.
Durante il diciottesimo secolo le cattedre di storia naturale di moltiplicarono nelle Universita’ europee e con esse
l’istituzione di nuovi e sempre piu’ vasti musei naturalistici. Proprio per la funzione centrale che l’insegnamento
della storia naturale ebbe in ambito universitario il museo divenne parte fondamentale della didattica scientifica.
Il museo offriva dunque un percorso guidato all’apprendimento della teoria piu’ adeguata per classificare i tre regni
naturali.
Fin dal Rinascimento, l’analogia tra i tre regni della natura e la loro continuita’ era stata data per scontata.
Tuttavia il mondo minerale sembrava essere di gran lunga il meno interessante. Lo stesso Linneo aveva relegato il
regno minerale sullo sfondo. Al contempo pero’ i minerali erano diventati oggetto di studio appassionato in altre
discipline che , al contrario, erano focalizzate su questa “nuova” classe di oggetti. N particolare la chimica trovo’
nell’analisi dei minerali un campo sperimentale di straordinaria fecondita’. Le sensazionali scoperte realizzate dai
chimici suscitarono grande interesse tra i naturalisti i quali videro nell’analisi chimica uno strumento per la
classificazione e identificazione dei minerali infinitamente piu’ efficace e autorevole del tradizionale approccio
qualitativo. La mineralogia divenne progressivamente una disciplina autonoma o di pertinenza dei chimici. Il nuovo
modo di guardare al regno minerale porto’ anche alla creazione di nuove discipline come la geologia e la
paleontologia. I fossili non furono piu’ considerati forme curiose e bizzarre della natura inorganica, ma vestigia
delle fasi geologiche della Terra.
Con la fondazione del Museum d’histoire naturelle di Parigi, nel 1794, il museo naturalistico apri’ inoltre le sue porte
al pubblico dei cittadini, assumendo connotati che lo avvicinavano al museo moderno. La fondazione del Museum fu
un’iniziativa fortemente caratterizzata ideologicamente. I giacobini che l’avevano voluta, erano infatti seguaci di
Rousseau e fautori di una visione romantica della natura. La stagione gloriosa del Museum era giunta a un punto
critico, dopo la caduta di Robespierre nel luglio del 1794 la gerarchia delle scienze in francia fu completamente
modificata e, questa volta, in via definitiva. La fondazione nel 1794 dell’Ecole POlytechnique e della prima classe
dell’Insitut Nazionale riaffermarono con forza la superiorità delle scienze fisico matematiche sulle scienze
naturali. Lo stesso Napoleone, contribuì alla realizzazione di questo nuovo assetto gerarchico. Anche se sorretto
dal prestigio scientifico e dal genio organizzativo di Georges Cuvier, la decadenza del Musèum e , in sostanza, del
museo naturalistico fu inarrestabile. La ricerca si stava spostando nei laboratori, nelle universita’ e nelle
accademie, e ai musei fu delegata quasi esclusivamente una funzione didattica. Le collezioni continuarono ad
arricchirsi , ma lo sviluppo dell’illustrazione scientifica a colori e, dopo 1840, della fotografia offrirono ai
naturalisti nuovi potentissimi strumenti per sostituire la funzione di compendio della natura che ancora pochi
decenni prima avevano attribuito al museo. Malgrado questi limiti il valore scientifico dl museo naturalistico non si
estinse del tutto.
Con il diffondersi del colonialismo e dei viaggi scientifici la raccolta di nuove specie si era fatta sempre piu’
sistematica. Lo sviluppo delle conoscenze ornitologiche fu in chiaro esempio di tali progressi. Nel 1758 Carlo
Linneo, il padre della tassonomia, aveva classificato 564 differenti specie di uccelli… Fino a quando all’inizio del
ventesimo secolo la classificazione di Richard Bowder Sharpe annoverava 18939 specie. Per pubblicare uno dei
pochi lati positivi del colonialismo, durante il diciannovesimo secolo, si costruirono , in molti paesi europei, enormi
musei naturalistici. Per il nuovo museo naturalistico incrementare il numero dei visitatori, indipendentemente dalla
qualita’ del servizio offerto , era diventata una questione di sopravvivenza, dato che erano parecchio ingenti i costi
di mantenimento, conservazione e ampliamento delle collezioni.
Anche se il museo naturalistico e il collezionismo scientifico avevano subito un inarrestabile declino,
conformemente a questo spirito di rivendicazione di un nuovo ruolo sociale e politico della scienza, nacquero il
Deutsches Museum a Monaco, il Chicago Museum of Science and Industry, il Museo della Scienza e della tecnica a
Milano e altri ancora. In questi enormi palazzi veniva celebrato il felice connubio tra scienza, tecnologia e industria.
I musei scientifici, diventati sempre piu’ costosi e inadeguati rispetto alla rapidita’ del progresso scientifico, non
hanno ancora trovato una politica capace di delineare una nuova collocazione culturale.
LE ACCADEMIE
E’ certamente un dato storico incontestabile che, prima del diciassettesimo secolo, la produzione scientifica è
progredita piu’ grazie all’intraprendenza e creativita’ dei singoli individui che per effetto di un’organizzazione
istituzionale delle idee scientifiche capace di regolare in modo sufficientemente omogeneo lo sviluppo del sapere
naturale. Sulla base di questa premessa, vari studiosi hanno indagato il ruolo delle accademie scientifiche
nell’affermazione della scienza moderna. Ancora oggi non è ben chiaro quale dinamica abbia reso possibile
l’emergere simultaneo di una nuova forma di sapere scientifico, basato piu’ sull’organizzazione collegiale della
ricerca che sulla creativita’ e l’intraprendenza individuali. La difficolta’ di individuare il nucleo originario di sviluppo
della accademie scientifiche del diciassettesimo secolo è accentuata dal fatto che le accademie rinascimentali non
prefigurano nei loro statuti e piani di attivita’ la struttura che avrebbe qualificato la nascita delle nuove
accademie. Le accademie precedenti infatti, erano ispirate alla celebre Accademia Platonica di Firenze, un
consesso di eruditi, legati da vincoli d’amicizia, oltre che di cultura, si riuniva periodicamente per discutere
questioni di varia natura, per lo piu’ letteraria o umanistica, e per commentare qualche opera di comune interesse.
L’Accademia dei Lincei, fondata a Roma nel 1603 dal Principe Federico Cesi e celebrata dagli storici come la prima
accademia scientifica europea, non era un’eccezione. Pur annoverando tra i propri membri scienziati come Galileo,
Della Porta e altri naturalisti , non risulta che durante le riunioni dell’Accademia, rare e discontinue, si facesse
altro che dialogare di scienza o presentare e leggere altre opere scientifiche. Completamente diversa fu la
struttura e l’organizzazione dell’Accademia del Cimento, fondata a Firenze nel 1657 per volere del Granduca di
Toscana Ferdinando II de’ Medici e di suo fratello ,il Principe Leopoldo. Questa istituzione scientifica è
umanamente riconosciuta dagli storici come la prima accademia organizzata secondo una struttura sociale e
istituzionale che prefigura la nascita e lo sviluppo delle accademie moderne. Promosse per proseguire il programma
di Galileo, le attivita’ dell’accademia del Cimento si discostarono progressivamente dalle ricerche teoriche del
maestro delineando al loro posto una nuova visione sperimentale della scienza piu’ consona alla funzione sociale e
politica che le autorita’ committenti le avevano conferito. La fondazione dell’Accademia del Cimento sanziona,
infatti, la nascita di un nuovo modo di fare scienza. La collaborazione tra diversi membri di un gruppo unito da
interessi scientifici omogenei e la sperimentazione pubblica come mezzo di persuasione dell’oggettivita’ e utilita’
delle scoperte costituiscono due importanti fattori di distinzione rispetto alla produzione di opere scientifiche
individuali. La ripetizione di esperimenti pubblici fu, infatti, una delle principali attivita’ svolte durante le sedute.
Collegato a questo intenso programma sperimentale emerse in tutta chiarezza il ruolo cruciale degli strumenti e dei
laboratori, due aspetti della ricerca scientifica a cui si diede un rilievo che non ha precedenti nella storia del
pensiero scientifico occidentale. L’importanza fondativi attribuita alla manipolazione dei fenomeni naturali era una
caratteristica tipica e distintiva degli accademici del Cimento. Grazie alla visibilita’ acquisita, la scienza
sperimentale fu dunque riconosciuta dall’autorita’ politica fiorentina come un’attivita’ autonoma. Avvenne cosi’ che
alla scienza si assegnasse un rango superiore, mentre alle altre discipline si continuava a riconoscere la tradizionale
funzione di celebrare la grandezza e la prodigalita’ medicea. A conferma di questa distinzione è bene sottolineare
che mentre l’Accademia del Cimento era stata istituita e seguita dai sovrani, l’Accademia della Crusca, che pure
includeva molti scienziati, non aveva goduto diun privilegio altrettanto prestigioso.
La fiducia nell’esperimento veniva ripresa pochi anni dopo, quasi alla lettera, dai membri della Royal Society di
Londra, divenendo una delle parole d’ordine della concezione della scienza che si faceva strada all’interno delle
accademie. Le interpretazioni discordanti sull’esito di un dato esperimento erano molto frequenti anche fra gli
accademici stessi.
Il prezzo della crescita della condizione professionale della scienza era sicuramente altro: gli statuti delle
accademie europee estirparono le pretese filosofiche e ideologiche che alcuni scienziati solitari e irriverenti
avevano cercato di difendere con ostinato coraggio. Figure di naturalisti innovatori, come quelle di Paracelso e
Galileo, erano destinata a essere assorbite dall’istituzionalizzazione della ricerca scientifica promossa dalle prime
accademie.
Le accademie secentesche avevano introdotto altre innovazioni di grande importanza quali la standardizzazione, col
la pubblicazione dei primi periodici, della comunicazione scientifica e la valorizzazione della specializzazione delle
discipline. La forza innovatrice delle accademie scientifiche tuttavia, non duro’ a lungo, i primi a mettere in
discussione l’utilita’ delle accademie per il progresso della scienza furono due tra i piu’ autorevoli rappresentanti
dell’illuminismo: Denis Didetot e Jean Jaques Rousseau. Corollario di quest’assunzione filosofica fu il loro
scetticismo nei confronti delle associazioni che ambivano a regolare il progresso delle scienze, riunendole in un
unico corpo di principi comuni. Questa critica venne fatta propria da Jean Paul Marat, che pubblio’ nel 1791 un
pamphlet, che altro non era che un violentissimo attacco contro le accademie in generale e l’Academie des
Sciences in particolare. Marat è stato quasi sempre accusato di aver attaccato L’Accademie per motivi personali;
aveva infatti sottoposto all’attenzione di una commissione dell’Academie le proprie opere sull’elettricita’ e il fuoco,
male sue idee erano state respinte quasi all’unanimita’. Nel 1753 il piu’ celebre matematico d’Europa,, Jean
D’Alamber, aveva pubblicato a Parigi un saggio nel quale siera proposto dimettere in luce quelle che dovevano
essere le qualita’ necessarie a un intellettuale per rafforzare il fragile connubio tra progresso e scienza.
D’Alambert, non era stato il solo accademico a denunciare i limiti del sistema istituzionale dell’Antico Regime. Agli
inizi degli anni ’70, il segretario perpetuo dell’Academie des Sciences et des Belles Lettres di Berlino, Jean Henri
Samuel Formey, aveva scritto una lunga introduzione alla storia dell’Accademia berlinese nella quale illustrava i
vantaggi, ma anche i limiti, delle congregazioni accademiche. Secondo Fromey le accademie dovevano cambiare
ruolo radicalmente. I dibattiti sulle riforme da realizzare nelle accademie scientifiche s’intensificarono nel anni
intorno al 1780. Nel 1785 Lavoisier direttore dell’Academie des Sciences proponeva una riforma radicale della
struttura delle classi accademiche suggerendo, tra l’altro, l’abolizione della figura del membro aggiunto, la
riduzione del numero dei membri pensionnaires e associati, e,l’elezione di un numero maggiore di membri ordinari.
Nel 1787 Condorcet, in qualita’ di segretario perpetuo dell’Academi des Sciences,criticava Lavoisier per l’ingenuita’
con cui aveva creduto possibile realizzare un efficace piano di riforma della pubblica istruzione e delle principali
istituzioni scientifiche all’interno della monarchia, senza rendersi conto che la corono era molto piu’ motivata a
soffocare i lumi piuttosto che a promuoverne la diffusione. Condorcet, aveva avuto modo, nel suo ruolo di
segretario, di notare come il progresso della scienza non poteva piu’ dipendere esclusivamente dall’attivita’ di un
centinaio di studiosi.
L’attacco di Marat e di alcuni giacobini controre accademie non fu dunque un fulmine a ciel sereno ,ma un’opinione
largamente condivisa, tanto che alcuni autorevoli scienziati francesi erano convinti che fosse giunto il momento di
chiudere un’istituzione diventata tanto dannosa. Gli effetti di questi auspici si realizzarono quando, caduta la
monarchia, tutte le istituzioni patrocinati dalla corona vennero di fatto sciolte. Per la prima volta gli scienziati
francesi si trovarono senza la protezione del sovrano e furono costretti percio’ a ripensare il proprio ruolo nella
nuova societa’ repubblicana. Anche se dopo la Rivoluzione, l’Academie des Scienes fu immediatamente ristabilita
come parte integrante dell’Institut Nazionale e mantenne ancora per molto tempo un rilevante prestigio politico e
culturale, la ricerca scientifica si trasferi’ di fatto nei laboratori e nelle universita’. Il declino del ruolo
istituzionale e scientifico svolto con straordinario successo dalle accademie europee fino alla fine del settecento,
subi’ nei due secoli successivi un’impressionante accelerazione e le accademie diventarono un luogo d’incontro idonei
tut’al piu’ alla presentazione dei risultati di ricerche scientifiche realizzate e finanziate altrove. La creazione, nella
prima meta’ del diciannovesimo secolo, di associazioni scientifiche disciplinari come la Sociètè chimique française o
nazionali come la British Association for the Advancement of Science, rivelavano come lo scenario della scienza
europea si stesse trasformando radicalmente con la nascita di organismi piu’ snelli e , contemporaneamente, piu’
incisivi sul piano decisionale politico.
LE SCIENZE E L’UNIVERSITA’.
Se le accademie svolsero un ruolo fondamentale per l’istituzionalizzazione della scienza, l’universita’ della prima
eta’ moderna continuo’ ad essere il ruolo privilegiato di una cultura che, benche’ essenzialmente modellata sulla
tradizione, conobbe momenti innovativi e fecondamene creativi. Anche la diffusione del cartesianesimo, una
dottrina che sembrava essere nata in opposizione al mondo universitario, deve il suo successo all’adesione di molti
dottori universitari che, attraverso libri, dissertazioni, tesi e prolusioni, seppero creare una scuola cosi’ numero da
insidiare per la prima volta il dominio incontrastato che la filosofia naturale aristotelica aveva esercitato sulle
universita’, fin dalla loro nascita. La diffusione del cartesianesimo fu tale che nel settecento esso divenne, in molti
paesi europei, l’unica dottrina nella cui cornice concettuale uno studente universitario potesse studiare i fenomeni
della natura. Le facolta’ mediche di molte università’ europee contribuirono, a partire dal tardo rinascimento, a
promuovere, oltre che a trasmettere, l’elaborazione di idee scientifiche svincolate dalla tradizione. Oltre ai teatri
anatomici, a partire dal 1544 vennero istituiti i giardini botanici,; anche in questo caso fu l’universita’ a orientare gli
studenti all’osservazione diretta del mondo naturale, cambiando cosi’ secolari abitudini di studio. L’assetto tipico
dell’insegnamento universitario era ancora fondato sulla lectio, consistente nella presentazione e iterazione dello
stanco campionario teorico delle dottrine aristoteliche, per quanto riguarda la metafisica e la filosofia naturale e
di galeno e Avicenna in ambito medico. L’insegnamento delle scienze nelle universita’ rimase saldamente ancorato
alla struttura statuaria medievale fino agli inizi del diciottesimo secolo. La struttura statuaria delle universita’
rinascimentali prevedeva che l’insegnamento delle scienze naturali fosse impartito nelle facolta’ dedicate alle
cosiddette arti liberali. Gli insegnamenti delle scuole cattedrali, propedeutici agli studi superiori di teologia,
giurisprudenza e medicina, erano raccolti nelle arti del trivium e del quadrivium: il primo comprendeva la
grammatica la retorica e la dialettica, mentre il secondo includeva l’aritmetica la geometria, l’astronomia e la
musica. Nelle universita’ rinascimentali inoltre le scienze naturali avevano un ruolo istituzionale subalterno: gli
statuti universitari non consentivano la formazione di un curriculum scientifico e tanto meno si apriva per gli
studenti la possibilita’ di uno sbocco professionale scientifico. Inoltre lo svolgimento delle lezioni tradizionali,
scandite dalla lettura e commento dei testi classici, non dava adito alla possibilita’ di confrontare le nozioni
trasmesse dai classici sul mondo naturale con la sperimentazione e l’osservazione diretta. L’insofferenza dei
naturalisti innovativi come Galileo, Cartesio Newton per i limiti strutturali delle universita’ sottolinea come esse
fossero, gia’ nel diciassettesimo secolo , inadeguate ad accogliere e trasmettere le teorie scientifiche che avevano
caratterizzato la rivoluzione scientifica. Soltanto nel settecento, in diversi stati europei, si pose mano alla riforma
degli statuti delle universita’ e si comincio’ a promuovere concretamente lo sviluppo delle scienze naturali. A
beneficiare di queste novita’ non furono pero’ le grandi universita’ come la Sorbona o l’universita’ di Oxford, ma
piccoli atenei, spesso periferici. L’utilitarismo illuministico e la nascita di una rinnovata e diffusa attenzione nei
confronti delle scienze e delle tecniche, erano infatti destinati ad avere ripercussioni importanti anche
sull’ovattato mondo accademico. L’insegnamento della medicina fu il primo a rinnovarsi. Agli inizi del diciottesimo
secolo Hermann Boerhaave, contribui’ con i suoi corsi presso l’Universita’ di Leida a formare una nuova generazione
di medici. Combinando, durante le lezioni, il tradizionale riferimento alle principali teorie e auctoritates mediche
con un moderno senso della pratica e della sperimentazione pubblica. L’insegnamento di Boerhaave, imperniato sulla
pratica sperimentale, contribui’ in modo decisivo allo sviluppo di una disciplina scientifica, la chimica, che fino ad
allora aveva goduto di una pessima reputazione tra gli scienziati. A Leida, comunque, la medicina non fu la sola
scienza godere dei vantaggi derivanti dallo status di disciplina universitaria. Mel 1717 era stata istituita una
cattedra di filosofia sperimentale. Accanto all’enfasi della pratica, il ruolo del manuale subiva un significativo
cambiamento. Nel curriculum universitario tradizionale, infatti, il manuale era per lo piu’ rappresentato da sintesi,
commenti e spiegazioni di testi classici, La connessione tra pratica sperimentale e didattica introdotta
nell’insegnamento universitario delle scienze naturali imponeva un radicale ripensamento del manuale tradizionale.
Se il cambiamento nell’universita’ di Leida fu determinato dall’affermarsi di un nuovo orientamento didattico e di
una nuova concezione della pratica scientifica, in altri paesi, in particolare in Germania E Svezia, fu l’agenda politica
dei governi a scardinare il sistema tradizionale.
Il professore diventa cosi’ un importante consulente della politica economica governativa e, allo stesso tempo, un
efficace avvocato dell’importanza strategica dell’insegnamento delle scienze naturali all’interno del curriculum
universitario. Anche in Italia e in alcuni stati tedeschi le universita’ settecentesche favorirono la creazione di
curricula scientifici, istituendo nuove cattedre e insegnamenti. Non si tratto’ pero’ di un movimento omogeneo. La
causa del successo in Italia dell’universita’ quale istituzione privilegiata per la ricerca scientifica è spiegabile con la
frammentazione geografica degli Stati italiani e la conseguente competizione tra universita’ relativamente piccole
e dipendenti da politiche della ricerca molto diverse tra loro. Malgrado questi indiscutibili progressi e le
significative eccezioni, fino ai primi anni del diciannovesimo secolo l’insegnamento universitario con riusci’ a imporsi
come luogo privilegiato della ricerca scientifica.
In Francia la Rivoluzione francese innesco’ un processo di grande rinnovamento del sistema educativo, che coinvolse
soprattutto l’insegnamento delle scienze naturali. Sotto il dominio di napoleone l’egemonia culturale esercitata dalla
teologia, dalla giurisprudenza e dalla filosofia nelle istituzioni culturali della Francia prerivoluzionaria subi’ un
deciso ridimensionamento. Il processo di laicizzazione della cultura nazionale iniziato nell’era repubblicana doveva
pero’ seguire un percorso che non destabilizzasse il potere costituito e che fosse capace di neutralizzare le
aspirazioni politiche dei filosofi illuministi, i cui immediati sucessori erano ormai giunti alle soglie del potere.
Preoccupato dall’influsso sovversivo che le idee degli Idèologues sembravano avere sui destini politici della Francia,
Napoleone prese addirittura la decisione di sopprimere la classe di Sciences morale set politiques dall’Insitut
national, spalancando contemporaneamente le porte agli scienziati, i quali avevano mostrato in piu’ di un’occasione la
fedelta’ allo stato e contemporaneamente l’utilita’ pubblica della loro attivita’ di ricerca. L’investimento del Primo
Console sulla riconfigurazione della cultura non poteva avere che pesanti ripercussioni sul tradizionale assetto
dell’insegnamento universitario. Pienamente consapevole del valore strategico delle scienze e delle loro applicazioni,
Napoleone comprese che le scuole militari, non potevano da solo rispondere alle rinnovate esigenze dell’Impero.
L’universita’ doveva dunque provvedere un curriculum piu’ consono al progresso scientifico degli ultimi decenni del
settecento e al ruolo preminente che la cosieta’ politica repubblicana avevano conferito alla scienza durante gli anni
della rivoluzione.Tra il 1808 e il 1812 vennero cosi’ fondate in francia numerose facolta’ di scienze autorizzate a
rilasciare un diploma di abilitazione. Grazie a questa iniziativa le Ecoles centrales, venivano affiancate con successo
dalle Universita’. Per effetto delle guerre napoleoniche la modernizzazione del sistema universitario francese
venne adottata, sia pur con riserve e modifiche importanti, in alcuni stati tedeschi e italiani.
Altre importanti innovazioni istituzionali avevano nel fratempo cambiato il volto delle antiche strutture. Nella
prima meta’ del secolo alcune universita’ tedesche avevano introdotto nei loro statuti la regola secondo la quale per
accedere all’insegnamento superiore era necessario ottenere un’abilitazione. Tale titolo poteva essere conseguito
solo dopo la presentazione di ricerche originali. L’originalita’ come criterio di selezione e la mobilita’ di tutto il
personale universitario favorivano la competizione tra i ricercatori e, a un livello superiore, tra le unversita’.
Inoltre, per assicurarsi i migliori ricercatori in un dato campo d’indagine, molte universita’ tedesche offrivano,
oltre che la cattedra, le condizioni materiali perche’ tale campo di ricerche potesse essere sviluppato. La creazione
di laboratori e centri di ricerca sperimentale all’interno delle universita’ tedesche divenne parte integrante della
loro organizzazione istituzionale.
A seguito della disfatta sofferta durante la guerra franco-prussiana molti scienziati francesi lamentarono la
superiorita’ della scienza tedesca, incitando le istituzioni governative a prendere seri provvedimenti. Malgrado i
rapporti tra gli scienziati e il governo francese fossero ottimi e gli appelli avessero trovato ascolto, non si
registrarono tuttavia iniziative concrete per modificare la situazione esistente. Verso la fine del diciannovesimo
secolo molte universita’ degli Stati uniti avevano adottato il sistema tedesco, favorendo l’istituzione di cattedre di
ricerca, laboratori e cliniche universitarie. Tuttavia tra il modello tedesco e l’emergente modello americano
correvano differenze profonde. Le universita’ tedesche erano amministrate, sia pur indirettamente dallo Stato e
pur godendo di grande autonomia non avevano un contatto diretto con il mondo dell’industria. L’elemento piu’
distintivo dell’universita’ americana fu il declino della centralita’ della cattedra,. Il progetto, il suo finanziamento,
l’organizzazione, l’allestimento e infine la realizzazione diventarono il cuore pulsante della ricerca scientifica
americana. Grazie all’istuzionalizzazione dei progetti di ricerca, si è realizzata negli Stati uniti una convergenza fra
ricerca accademica ed esigenze di sviluppo dell’industria, con evidenti vantaggi sotto il profilo economico e con
risultati scientifici di straordinaria portata, soprattutto in ambito applicativo. La flessibilita’ di un sistema
universitario come quello americano ha permesso agli USA di conquistare il primato mondiale nella produzione di
invenzioni e scoperte scientifiche, e, di diventare il modello di riferimento per molti paesi europei. E’ tuttavia
difficile celebrare il modello americano senza rilevarne le contraddizioni. La dipendenza della ricerca scientifica
dal finanziamento di grandi progetti ha spesso reso asfissiante la connessione tra universita’ e industria, e anche
se l’obiettivo immediato della ricerca non è il profitto, l’ansia di raccogliere fondi e produrre risultati a breve e
medio termine ha fatto dello scienziato una figura professionale a meta’ strada tra il ricercatore e il manager e ha
introdotto non pochi elementi di conflittualita’ nella comunita’ scientifica stessa.
I LABORATORI.
Il termine laboratorio costituisce un’acquisizione linguistica piuttosto recente. La nozione quattrocentesca di
laboratorio deriva dal latino rinascimentale laboratorium, che in origine significava officina. Via via pero’ che il
termine latino labor perse il suo significato proprio di fatica, sforzo, con la parola laboratorio si comincio’ a
intendere un luogo, o anche un sistema, si sperimentazione scientifica ed elaborazione concettuale. Tra tutti i
luoghi in cui la scienza ha operato e si è strutturata istituzionalmente, il laboratorio è l’unico che non ha radici
classiche o umanistiche. Mentre lo studiolo , il museo, le accademie e gli edifici universitari sono spazi nati
dall’esigenza degli umanisti d’istituzionalizzare la ricerca filologica e solo in un secondo tempo sono stati adattati
agli scienziati e alle loro esigenze, il laboratorio scientifico è un ambiente del tutto nuovo. Il termine officina, il
piu’ vicino al moderno significato di laboratorio, designava la bottega in cui si lavoravano i metalli, i marmi e le
argille, ma non era associato ad attivita’ tecniche o scientifiche. La stessa nozione di esperimento è quasi del tutto
asente e il lemma latino experimentum non alludeva alla pratica scientifica ma all’esperienza quotidiana. Al
laboratorio si deve l’introduzione di un termine, esperimento, che piu’ di ogni altro connoto’ un cambiamento
radicale nella pratica scientifica tradizionale e diede l’avvio alla nascita della scienza moderna. Fu in questo spazio
che, per la prima volta, si realizzarono le condizioni materiali per la replica artificiale e controllata dei fenomeni.
Per un curioso paradosso, l’origine del laboratorio e alla pratica sperimentale risale alla pratica delle scienze
occulte e in parti colare all’alchimia. Il laboratorio costituiva l’alternativa al modo tradizionale di praticare la
scienza. Nel laboratorio era la natura stessa che parlava ai suoi adepti. Il laboratorio, prima ancora di diventare
luogo di scoperte scientifiche e di invenzioni, divenne il simbolo di una nuova concezione della pratica che elevava il
sapere tecnico al rango di quello filosofico e religioso. I laboratori degli alchimisti certamente non nacquero dal
nulla, avevano come antecedenti le botteghe degli artisti, in particolare quelle degli speziali. Bacone espresse
l’ammirazione per l’attivita’ febbrile dei laboratori degli alchimisti e, anche se aveva criticato l’ossessione per la
pietra filosofale, mostro’ di comprenderne appieno l’importanza della sperimentazione. La considerazione che
Bacone ebbe del laboratorio alchimistico non fu condivisa dalla maggior parte dei filosofi e degli scienziati del
Seicento. Cartesio per esempio aveva visto nell’esito fallimentare delle pretese degli alchimisti la dimostrazione
che la scienza guidata dalla sola sperimentazione non poteva condurre la ragione sulla strada dell’errore. Durante la
seconda meta’ del settecento furono introdotte nel laboratorio alcune significative innovazioni che,
progressivamente, differenziarono la prassi sperimentale chimica da quella che fu propria degli alchimisti nel
secolo precedente. Le attrezzature di laboratorio, si fecero via via piu’ complesse. Malgrado i considerevoli
progressi, il laboratorio chimico continuava ad assomigliare piu’ a una cucina che a un moderno sito di ricerca
sperimentale. Lavoisier collaboro’ con Macquer a diversi progetti sperimentali; alla fine del settecento, la
rivoluzione teorica di Lavoisier dara’ straordinario impulso alla ricerca sperimentale e all’affermarsi istituzionale
della chimica in quasi tutta Europa. Questo fondamentale cambiamento concettuale comportera’ anche un
rinnovamento della pratica di laboratorio. Nollet aveva delimitò i confini della fisica entro gli angusti orizzonti della
speculazione teorica, Nollet rivendicava l’importanza dell’osservazione diretta e della sperimentazione. In un
manuale, Nollet illustrava le modalita’ di costruzione di una grandissima varieta’ di strumenti utilizzati durante le
lezioni pubbliche. L’enfasi posta da Nollet sull’importanza degli apparecchi di laboratorio costituiva una novita’
fondamentale che sanciva il passaggio dalla fisica speculativa e teorica alla fisica dei laboratori. Il laboratorio di
chimica di Lavoisier, ubicato all’Arsenale di Parigi, divenne ben presto un luogo di incontro e collaborazione tra vere
e proprie èquipe di ricerca. Consapevole che la vita di laboratorio, come gia’ aveva insegnato Macquer, non poteva
essere condotta in solitudine, Lavoisier organizzo’ un modello di ricerca che prevedeva non soltanto la condivisione
delle strutture di sperimentazione, ma anche il confronto delle idee. Il laboratorio di Lavoisier segna una rottura
rispetto al passato, soprattutto per le sue dimensioni. La ricerca sperimentale non poteva piu’ essere attivita’ di
dilettanti o di autodidatti che necessariamente disponevano soltanto di pochi e semplici strumenti, ma diventava
un’attivita’ estremamente costosa, che richiedeva apparecchi di altissima precisione e di grande complessita’.
Madame Lasvoisier riporta nel protocollo di laboratorio i risultati ottenuti. La prassi di registrare con la massima
attenzione l’andamento degli esperimenti e gli esiti parziali dei risultati ottenuti costituisce una delle principali
acquisizioni della vita di laboratorio, Nel protocollo di laboratorio venivano segnate data e ora dell’esperimento, le
condizioni ambientali, gli strumenti e le sostanze usate come reagenti. La registrazione precisa degli esperimenti
forniva inoltre una soluzione efficace ai pericoli che incombevano frequentemente nella vita di laboratorio. Il
protocollo, una volta ultimato, costituiva per lo scienziato un canovaccio dal quale elaborava una sintesi che, risolte
tutte le contraddizioni e gli errori apparenti , poteva essere presentata al pubblico come una scoperta coerente.
Gli esperimenti sono inoltre scanditi da una rigida divisione dei ruoli. Il laboratorio di Lavoisier si presentava come
una vera e propria scuola di apprendistato sperimentale che servi’ come modello al laboratorio didattico introdotto
con successo nell’Ecole Polytecnique alla fine del secolo. Anche la pratica dell’apprendistato fu profondamente
modificata. Tutti, anche gli assistenti e gli studenti, erano chiamati a partecipare con mansioni ben definite
all’esperimento. Durante il diciannovesimo secolo il laboratorio, cosi’ com’era stato delineato da Lavoisier, divenne
per molte scienze, come la fisica e la chimica, lo spazio privilegiato di ricerca. Un esempio storico è rappresentato
dal laboratorio di chimica di Liegig.Nel 1824 Liebig ricevette l’incarico dell’insegnamento di chimica presso
l’Universita’ di Giessen. L’anno successivo a soli 22 anni sarebbe divenuto professore ordinario di chimica e avrebbe
potuto disporre di un modesto laboratorio. Le cose andarono diversamente e in pochi anni il laboratorio di Liebig
divenne la capitale della chimica mondiale. Studenti proveniente da tutti i paesi europei e da tutti i continenti
vennero attratti dalla capacita’ sperimentale e dai metodi innovativi di insegnamento adottati nel piccolo ateneo di
Giessen. Nei primi anni furono proprio gli stranieri a garantire la sopravvivenza del laboratorio. Secondo Liebig, la
causa principale di questo afflusso di studenti risedeva nel rapporto di stretta collaborazione che egli era stato
capace di instaurare con ciascun studente. Il maestro indicava la via per svolgere gli esperimenti, ma lasciava gli
studenti assolutamente liberi di proporre e talvolta condurre i programmi di ricerca che suscitavano il loro
interesse scientifico,oltre al fatto che gli studenti potevano ottenere un credito scientifico. Liebig comprese
quanto stimolante potesse essere per un giovane studioso vedere riconosciuta la proprieta’ intellettuale di una
scoperta; perche’ cio’ fosse possibile bisognava avere il controllo di almeno un periodico specializzato. A partire
dal 1824 Liebig si era impegnato a collaborare con il chimico Geiger alla redazione del Magazin fur Pharmacie. Era
forse la prima volta che un periodico scientifico diventava la cassa di risonanza di un laboratorio e ben presto molti
altri istituti ne seguirono l’esempio.
Dopo la prima Guerra Mondiale, scienza e tecnologia trovarono nei governi un sostegno piu’ deciso e la crescita
degli investimenti in ricerche estremamente costose si fece esponenziale. Solo negli Stati Uniti, comunque, questa
tendenza si realizzo’ pienamente. Grazie alla riforma dei curricula universitari e alla stretta collaborazione che le
Universita’ avevano stabilito con fondazioni e industrie, gia’ alla fine del diciannovesimo secolo, le esigenze di
sviluppo del laboratorio scientifico trovarono qui una risposta ampia e circostanziata. Di grandissima importanza fu
la creazione nel 1930 dell’University of California Radiation Laboratori per opera del fisico americano Lawrence.
Grazie ai lauti fiananziamenti che era riuscito ad ottenere da varie fondazioni Lawrence fece costruire un
laboratorio finalizzato alla realizzazione del suo progetto di macchina per il bombardamento dei nuclei atomici, il
ciclotrone. Nel 1930 il dibattito sulla possibilita’ di trasformare la materia in energia, teorizzata da Einstin aveva
suscitato un grande interesse per la fisica delle particelle e non solo presso gli addetti ai lavori. L’atomo e le sue
radiazioni divennero il principale oggetto di ricerca della comunita’ mondiale dei fisici e buona parte dei chimici.
Alla possibilita’ di trovare i mezzi per trasformare le particelle elementari si opposero molti fisici, americani ed
europei, i quali mettevano in luce che la produzione di energia atomica non solo non era realizzabile in quel momento
ma sembrava improbabile che tale affannosa ricerca potesse produrre esiti positivi anche in futuro. Intorno al
1930 quando il dibattito sui risultati delle ricerche sulle particelle atomiche era in corso, Lawrence aveva gia’
installato il suo laboratorio e aveva delineato in modo chiaro il suo ambizioso progetto di ricerca. Costruendo il
ciclotrone , Lawrene riusci’ ad aggirare la necessita’ produrre quantita’ di energia sempre piu’ alte per forzare la
struttura degli atomi. Lawrence si persuase che la produzione di energia atomica era esclusivamente una questione
di precisione. Il bombardamento delle particelle, infatti, costituiva un’operazione estremamente complessa e la
precisione dello strumento era la condizione perche’ gli esperimenti potessero avere esito positivo. La cura del
cancro, la produzione di energia e l’industria chimica erano i tre principali beneficiari dei risultati che si sperava di
ottenere. Tutti riconobbero che la maggior precisione dei dati che si potevano ricavare con il ciclotrone, costituiva
un motivo sufficiente per adottare questa nuova macchina come standard della ricerca sperimentale della
particelle. Tal elemento fu determinante nel 1939 per l’assegnazione del Nobel per la fisica a Lawrence. Il
cambiamento impresso al laboratorio di fisica da Lawrence negli anni precedenti la seconda guerra mondiale venne
immediatamente preso come modello dai laboratori di ricerca nucleare istituiti durante la mobilitazione generale
che segui’ l’attacco di Pearl Harbour nel 1941. La fondazione nei primi anni cinquanta del ventesimo secolo del primo
laboratorio di fisica europeo, il CERN, e la successiva progettazione del piu’ grande acceleratore di particelle
aprivano la strada europea alla costruzione dei grandi laboratori. Fin dalla sua nascita il laboratorio ha
rappresentato per lo scienziato il luogo ideale per sviluppare al meglio la propria attivita’ . Nel laboratorio, creatura
della scienza moderna, lo scienziato ritrovava tutti gli elementi materiali di cui, a partire dal rinascimento e nel
corso dei secoli successivi, è emersa l’esigenza di dominare la natura, secondo modalita’ completamente differenti
rispetto all’antichita’. Il laboratorio rappresenta la sintesi di tutte le condizioni materiali della pratica scientifica
ed è divenuto il santuario dove lo scienziato ha il potere di riprodurre artificialmente le condizioni ottimali per
studiare i fenomeni naturali.L’importanza della terminologia tecnica e specializzata attraverso la quale si
sintetizzano le scoperte fanno del laboratorio un luogo ove la comunicazione è centrale. La produzione dell’articolo,
nel quale si annuncia una scoperta o un’invenzione, infatti, è il frutto di un complesso processo di mediazioni che
sottolinea la natura collegiale della ricerca scientifica. La presenza pervasiva degli strumenti e l’assunto secondo il
quale una teoria o ipotesi scientifica non è valida finche’ non sia stata verificata sperimentalmente, ha prodotto una
dipendenza sempre piu’ marcata della scienza dalla tecnologia. Al tempo stesso l’esigenza di dotare i laboratori di
macchine e strumenti sempre piu’ costosi ha reso necessario un coinvolgimento piu’ o meno diretto dell’industria.
L’identita’ professionale dello scienziato contemporaneo è determinata dalla sua attivita’ di laboratorio, tanto che è
ormai diventato impossibile comprendere il contesto delle scoperte scientifiche prescindendo dal loro luogo di
produzione.
SCIENZA E GUERRA.
Nel 1540 il fondatore e capitano d’artiglieria senese Vanoccio Biringuccio, celebrava, molto prima di Bacone, la
scoperta della polvere d’asparo. Il caso dell’invenzione della polvere da sparo e dei suoi effetti decisivi nelle
battaglie mostrava quanto fosse giustificato l’elogio dell’anonimo inventore e l’orgoglio del suo epigono moderno
Biringuccio. L’arte della guerra era stata rivoluzionata da questa invenzione dando impulso alla costruzione di armi
sempre piu’ sofisticate, come il cannone e l’archibugio. Furono le armi da fuoco a segnare un passaggio decisivo nella
storia europea. Rivoluzionando l’are della guerra e favorendo l’espansione geo-politica degli stati europei, le nuove
invenzioni militari avevano stimolato la domanda di ferro, necessario a costruire le armi da fuoco e da difesa, e
conseguentemente favorito lo sviluppo dello sfruttamento minerario. Descritta dal filosofo medievale Bacone nel
1248, la polvere da sparo rimase in una sorta di limbo fino a che le condizioni materiali e tecnologiche ne chiarirono
le potenzialita’ per un’applicazione su larga scala. Perche’ cio’ avvenisse era necessario lo sviluppo massiccio
dell’estrazione e produzione metallifera. Tra la fine del quindicesimo secolo e i primi decenni del secolo successiva,
la produzione di bronzo e ferro subi’ un incremento prodigioso. La principale novita’ introdotta durante il
rinascimento nell’arte della guerra non fu il progresso delle macchine militari, per opera di Leonardo e degli
ingegneri, ma quello della metallurgia e della chimica, dal quale nacquero gli archibugi e il cannone, due invenzioni
che trasformarono i campi di battaglia e accrebbero la dimensione degli stermini. La metallurgia cessava di essere
competenza esclusiva di tecnici semianalfabeti, ma diventava oggetto d’interesse per gli uomini di scienza. Quasi
contemporaneamente agli studi di Biringuccio a Venezia veniva pubblicata un’opera di Tartaglia; in questo breve
opuscolo tartaglia, sollecitato da un bombardiere a spiegare matematicamente i fenomeni relativi alla balistica,
stabili’ che la traiettoria dei proiettili sparati da un cannone era sempre curva e che risultava possibile raggiungere
la massima gittata portando l’elevazione della canna a 45°; quest’opera rappresento’ il primo trattato di balistica.
Alla fine del sedicesimo secolo, molti scienziati di spicco operavano nel campo della ricerca militare. Ci volle molto
pero’, prima che i professionisti della guerra vedessero nella scienza e nella tecnica due indispensabili alleati. La
Rivoluzione francese avrebbe sconvolto questo panorama piuttosto statico, configurando una nuova generazione di
scienziati e militari. Furono gli scienziati a intervenire direttamente nella produzione della polvere da sparo, nel
miglioramento tecnico dei cannoni e delle armi da fuoco, nonché nello sviluppo di un sistema di comunicazione
innovativo, il telegrafo ottico, che si rivelo’ decisivo per il coordinamento degli spostamenti delle armate. L’11
marzo del 1794, nel pieno della tormenta del dispotismo rivoluzionario, il Comitato di salute pubblica creava una
commissione incaricata di istituire una scuola superiore di lavori pubblici. Questa scuola, rinomata di li’ a pochi
mesi Ecole Polytecnique, doveva sopperire da un lato al vuoto lasciato dalla chiusura delle istituzioni scientifiche
dell’Antico Regime, in particolare dell’Academie des sciences, e dall’altro unificare le antiche scuole militari e
politecniche. A soli dieci anni dalla fondazione dell’Ecole, Napoleone avrebbe cercato di militarizzare la struttura,
affiancando un generale, Laucèe, agli scienziati che la dirigevano. La strana coabitazione dell’educazione scientifica
con l’istruzione militare e il suo rigore non impedi’ che l’Ecole diventasse in pochissimi anni il maggior centro di
ricerca scientifica di francia e forse, d’Europa. La connessione tra scienza e guerra nata durante la Rivoluzione
francese si manifesto’ in una collaborazione piu’ diretta tra il generale Napoleone Bonaparte e i membri della prima
classe dell’Institu, l’antica Accademie des sciences. Durante la campagna d’italia, il generale si circondo’ di
numerosi scienziati francesi e preferi’ avere contatti con i naturalisti italiani piuttosto che con i politici. Al ritorno
dalla spettacolare campagna d’Italia, Napoleone fu elettomembro della classe di matematica dell’Institut. Tuttavia
fu proprio durante laprima guerra mondiale che gli Stati Uniti e l’Europa cominciarono a investire nella ricerca
scientifica e in particolare nel settore bellico. Negli anni che separarono la fine della Prima dall’inizio della Seconda
Guerra, l’organizzazione istituzionale della ricerca scientifica fece passi da gigante e i principali governi europei
arruolarono nei settori strategico militari un numero impressionante dis scienziati accademici. La collaborazione
tra potere politico, militari e scientifici divenne progressivamente piu’ stretta, e soprattutto per gli scienziati,
naturale. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quindi, non trovo’ la comunita’ scientifica impreparata. Dopo il
bombardamento di Pearl Harbour il presidente della Carnegie Institution stimava che gli scienziati e i tecnici
impiegati in ricerche militari superassero solo negli Stati Uniti le trentamila unita’. Contemporaneamente alla
crescita esponenziale delle dimensioni della ricerca, l’istituirsi di una sempre piu’ stretta collaborazione tra
scienziati e militari mise in discussione la tradizionale immagine di neutralità che aveva caratterizzato la scienza
fin dal diciassettesimo secolo. La costruzione della bomba atomica costitui’ un passaggio cruciale, oltre il quale la
scienza acquisi’ un’importanza politica e strategica quale mai aveva avuto in precedenza. La scoperta della
radioattivita’ da parte della coppia di fisici aveva dato l’avvio in tutta l’Europa e in alcuni lavoratori degli Stati Uniti
a ricerche sperimentali intensissime sullo studio della struttura atomica di alcune sostanze. Enrico fermi arrivo’
negli Stati Uniti il 2 gennaio 1939, poco dopo essere stato insignito del Nobel per la fisica per la scoperta di nuove
sostanze radioattive del potere selettivo degli elettroni e comincio’ da subito a lavorare nel dipartimento di fisica
della Columbia University. Venuto a conoscenza della scoperta di Niels Bohr sulla fissione nucleare e dei suoi primi
studi relativi alle quantita’ di neutroni liberati dalla fissione dei nuclei di alcuni atomi, il 25 gennaio Fermi aveva gia’
ipotizzato che tali liberazioni di neutroni dal nucleo potessero a loro volta, in una reazione a catena , provocare
nuove fissioni. Individuando nell’uranio la sostanza privilegiata per questo tipo di esperimenti, fermi e il suo gruppo
di assistenti giunse rapidamente a formulare ipotesi sufficientemente precise circa l’esito di questa reazione e le
sue potenzialita’ applicative. Gli esperimenti di fermi vennero acolti con grande entusiasmo. Fu subito subito chiaro
che era possibile utilizzare l’uranio per emettere grandi quantita’ di energia atomica e che esisteva una possiblita’,
nemmeno tanto remota, di impiegarlo nella costruzione di un ordigno il cui potenziale distruttivo sarebbe stato
molto superiore rispetto a qualsiasi esplosiva fino ad allora conosciuto. Pochi mesi dopo alla fine di agosto, Einstain
scriveva al presidente degli stati uniti informandolo sulle conseguenze di ordine pratico della nuova bomba e
sollecitandolo a istituire un collegamento permanente fra il governo e il gruppo di fisici. Nel 1939 veniva cosi’
creato l’Advisory Committee on Uranium, un organismo inglobato nel 1940 nel National Difense Reserch Committee,
che aveva il compito di organizzare la ricerca scientifica per scopi militari. Nell’estate del 1942, infatti, il
presidente Roosvelt dava la massima priorita’ alla costruzione delle bombe a fissione nucleare. Fermi e tutti gli
scienziati che fino ad allora avevano lavorato a vari segmenti della ricerca sulla radioattivita’ furono reclutati nel
laboratorio segreto di Los Alamos, nel New Mexico. Il lavoro per la costruzione della bomba atomica progredi’ con
la massima celerita’ e con investimenti di risorse umane e finanziarie che nessun’altra impresa scientifica aveva mai
conosciuto in precedenza. Il 16 luglio 1945 in attuazione del progetto Manhattan, si ebbe il collaudo della bomba
atomica, con l’esplosione di un prototipo di alamogordo nel deserto del New Mexico: il suo potere deflagrante era
equivalente a quello di oltre 13.000 tonnellate di tritolo. A parte l’opposizione del fisico ungherese Leo Szilard, che
era stato uno dei protagonisti , insieme a Fermi, della realizzazione della bomba, quasi tutti gli scienziati di Los
Alamos furono concordi che l’ordigno dovesse essere utilizzato non solo a scopo dimostrativo, cioe’ facendolo
esplodere in qualche luogo disabitato del Giappone, ma su un obiettivo nemico densamente popolato. Cosi’, quando le
autorita’ governative e il neo eletto presidente degli Stati Uniti Henry Truman li interrogarono sul da farsi, i fisici
Oppenheimer, Fermi, Lawrence e Compton diedero la risposta seguente: le opinioni dei nostri colleghi scienziati non
sono unanimi e vanno dalla proposta di un’applicazione puramente tecnica a quella di un’applicazione militare piu’
adatta ad indurre i giapponesi alla resa,non siamo pero’ in grado di proporre alcuna dimostrazione tecnica
suscettibile di far finire la guerra; non vediamo alcuna alternativa accettabile all’impiego militare diretto.
Alle 2.45 del mattino del 6 agosto 1945 da un atollo del sud del Pacifico, scortato da 5 aerei, decollava un
bombardiere b-29 armato con una bomba battezzata Enola gay, il nome della madre del pilota. Alle 8.16 la bomba
esplodeva su Hiroshima. Il 9 agosto un altro bombardiere con a bordo il suo Little boy, sganciava l’ordigno su
Nagasaki. Hiroshima contava 285.000 abitanti, Nagasaki poco meno della meta’. A seguito delle sue esplosioni
75.000 morirono immediatamente, oltre 35.000 furono i dispersi e, nei mesi successivi il totale delle vittime
riconducibili agli effetti delle bombe sganciate sulle due citta’ nipponiche supero’ le 200.000 unita’. L’uffico stampa
della casa bianca, commentando l’accaduto in un comunicato diramato il 6 agosto 1945 dichiarava che il
bombardamento era la piu’ grande realizzazione della scienza organizzata della storia. L’opinione pubblica in tutto il
mondo fu enormemente impressiona dall’accaduto e l’immagine dello scienziato come un pericoloso apprendista
stregone comincio’ a preoccupare anche i politi e i militari che ne avevano favorito l’ascesa. La neutrlita’ dello
scienziato che Napoleone aveva voluto depurare di qualsiasi velleita’ filosofica e politica, e che nel tempo aveva
reso tanti servizi ai governi e alle nazioni di tutte Europa e da ultimo agli Stati Uniti, faceva si che ora fosse il
politico ad avere l’onere di gestire gli effetti devastanti degli armamenti atomici. La guerra era finita e gli
scienziati avevano dato un contributo decisivo al raggiungimento di una vittoria schiacciante, ma la pace aveva
portato con se la minaccia che nuove e ancora piu’ terribili invenzioni potessero distruggere definitivamente
l’umanita’.
SPECIALIZZAZIONE E DISCIPLINA
La parcellizzazione della scienza in un insieme di discipline sempre piu’ complesso e differenziato è un fenomeno
relativamente recente, tanto che nelle universita’ europee e statunitensi comincia ad avere pieno riscontro solo
nella seconda meta’ del diciannovesimo secolo. L’accettazione di questa suddivisione da parte dei naturalisti
rinascimentali fu piuttosto passiva e ci volle parecchio tempo prima che si realizzassero le condizioni istituzionali
per scardinare la classificazione delle discipline scientifiche stabilita da Aristotele. Il progressivo aumento delle
specie naturalistiche conosciute generava scetticismo per la cultura libresca, mente la scoperta di nuove sostanze
metalliche distruggeva la millenaria dottrina della corrispondenza dei sette metalli conosciuti con i sette pianeti.
Condividendo con gli eruditi del suo tempo una concezione enciclopedica della scienza Aldrovandi si avvide bene
presto che era impossibile realizzare il suo progetto di raccogliere e ordinare in un museo tutti i reperti della
natura utilizzando le generiche categorie che, fino alla prima meta’ del cinquecento,avevano subordinatola botanica
alla materia medica, la zoologia alla medicina generale e la mineralogia alla fisica aristotelica. Risultava quindi
necessaria un’innovazione istituzionale capace di riflettere le esigenze che le nuove istanze empiriche e osservative
facevano emergere. Aldrovandi si rese conto che l’osservazione della natura comportava la creazione di una nuova
disciplina autonoma e che la raccolta delle piante on poteva piu’ essere esclusivamente finalizzata alla ricerca dei
rimedi come stabilito dalla tradizione medica da Dioscoride in poi. Percio’ Aldrovandi propose di istituire un nuovo
insegnamento nell’Universita’ di Bologna, elevando a dignita’ filosofica e quindi scientifica una disciplina che cosi’
avrebbe potuto lasciarsi alle spalle la secolare subordinazione al tradizionale insegnamento. Con quest’atto
fondativo Aldrovandi delineava i caratteri disciplinari di quella che di li’ a pochi decenni sarebbe diventata una delle
discipline scientifiche di maggior successo: la storia naturale. La nascita della storia naturale, dello studio e
classificazione dei tre regni naturali, era intimamente legata al nuovo luogo, il museo, dov’era stata inizialmente
concepita. Pur proteso all’innovazione, il quadro di riferimento istituzionale e dottrinale della scienza aldrovandiana
rimaneva saldamente ancorato all’aristotelismo. La critica al metodo aristotelico che si diffuse durante il
rinascimento aveva generato una serie sempre piu’ confusa di saperi, naturalistici e non, raramente propensi ad
assoggettarsi a un metodo capace di regolare l’accumulazione delle osservazioni empiriche che confluivano nelle
nuove discipline senza alcuna selezione. Il primo a rendersi conto che il nuovo spirito della scienza avrebbe avuto
conseguenze radicali sull’assetto disciplinare tradizionale fu Bacone. Bacone stabili’ l’importanza di estendere
l’universo dell’osservazione e della sperimentazione e sostenne che era necessario suddividere le discipline secondo
gli oggetti studiati. Una ricaduta importante del metodo proposto da Bacone e della sua classificazione delle
discipline scientifiche fu la necessita’ di introdurre nella ricerca scientifica una divisione del lavoro. L’enfasi sul
particolare e sulla sperimentazione in campi di indagine limitati e circoscritti divento’ un aspetto qualificante della
scienza britannica della seconda meta’ del seicento e, in molto discipline, per tutto l’ottocento. Al progetto di
classificazione delle scienze proposto da Bacone va contrapposto quello di Cartesio, volto a unificare il pensiero
scientifico attraverso un metodo onnicomprensivo. Secondo Cartesio, le scienze dovevano essere rifondate
attraverso un metodo semplice, comune a tutte, basato sulla matematica e le leggi della meccanica. Le opposte
riflessioni di Bacone e Cartesio tendevano comunque all’obiettivo comune di creare uno spazio istituzionale dove lo
studio della natura potesse esprimersi in totale autonomia e fosse finalmente libero dai condizionamenti della
metafisica, della scolastica e dell’aristotelismo. In effetti, le accademie scientifiche, evocate nelle opere dei due
grandi filosofi come sedi ideali del progresso scientifico e tecnico, furono i primi luoghi dove la rigida partizione
disciplinare delle universita’ subi’ un primo significativo smottamento. La tendenza delle discipline ad articolarsi
all’interno delle Accademie,provocava gioco forza l’adozione di uno stile di comunicazione sempre piu’ specialistico e
circoscritto e l’articolo divenne in questo periodo la forma privilegiata della comunicazione scientifica europea. Le
universita’, pur con lentezza, erano disponibili a considerare nuovi curricula scientifici e aprirono le porte agli
scienziati che intendevano fare del proprio ambito di ricerca una disciplina istituzionalizzata. Con le riforme delle
universita’ la specializzazione delle discipline prosegui’ rapidissima, superando sempre piu’ facilmente gli ostacoli
presenti nella struttura interna delle accademie. Grazie alla disponibilita’ delle universita’ a diversificare la ricerca
scientifica si assiste nell’ottocento a un’enorme espansione della stampo periodica specializzata. I nuovi criteri di
reclutamento adottati dalle universita’ ottocentesche che cominciarono a privilegiare l’originalita’ della ricerca,
avevano di fatto emarginato la figura dell’erudito e del dilettante promuovendo la professionalizzazione della
figura dello scienziato. Anche per questa ragione, il nuovo sistema allontanava le scienze dal grande pubblico. La
specializzazione dunque diventava un obbligo professionale, la carriera universitaria doveva avere un processo
lineare e coerente con un orientamento specialistico. Il pubblico ottocentesco e in misura maggiore quello
novecentesco, potevano avere accesso ai risultati della scienza e delle specialita’ solo attraverso la divulgazione, le
esposizioni, i musei. Nell’ottocento questa impresa era diventata molto piu’ difficile e la mediazione della
divulgazione fece si che la scienza non incidesse piu’ nella cultura del tempo con la stessa efficacia del secolo
precedente. Le scienze naturali divennero sempre piu’ un ambito conoscitivo ristretto a un numero circoscritto di
adepti, sia per la specializzazione crescente delle ricerche, sia per la tendenza ideologica a considerare il metodo
scientifico quale parametro di universale oggettivita’, allontanava chi non accettava di identificare la cultura con la
scienza. Perfino che, come Compte, auspicava la nascita di una societa’ basata sulla razionalita’ scientifica, vedeva
nella specializzazione delle discipline un pericolo estremamente serio. La specializzazione delle scienze, tuttavia,
non fu soltantol’effetto della fondazione delle accademie e delle nuove universita’ ma anche per esempio,
l’esigenza economica di intensificare l’estrazione dei metalli e migliorare la loro lavorazione. Lo sviluppo della
mineralogia e dell’ingegneria mineraria come discipline autonome, sono solo de esempi dello stimolo verso la
specializzazione, provocato dallo sviluppo economico.
Il filosofo spagnolo Josè ortega y Gasset, denuncio’ con decisione le insidie annidate nella specializzazione; egli
mostrava la tensione esistente tra i risultati positivi ottenuti dalle scienze sperimentali e il progressivo
impoverimento teorico e filosofico dell’attivita’ scientifica. L’atto di accusa del filosofo spagnolo veniva accolto con
entusiasmo nel 1959 dal premio Nobel per la fisica Schrodinger il quale respingeva l’idea che il valore delle scienze
dovesse essere ridotto alle scoperte specialistiche capaci di trasformare il mondo materiale.
La moltiplicazione delle discipline scientifiche e la tendenza degli scienziati a indirizzare i propri studi su campi di
ricerca sempre piu’ ristretti hanno creato un corto circuito nella comunicazione dei risultati e delle scoperte, fuori
dall’ambito delle singole specialita’. Se la comunicazione al grande pubblico sembra preclusa, lo sviluppo di nuovi
mezzi di comunicazione e la gestione elettronica delle informazioni ha tuttavia favorito la collaborazione
interdisciplinare tra ambiti differenti . Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, infatti, la
specializzazione delle scienze ha favorito , piu’ che ostacolato, la collaborazione tra gli scienziati e
l’interdisciplinarieta’ della ricerca.
Una caratteristica importante del modello universitario che ha favorito la specializzazione della discipline
scientifiche è costituita dala flessibilita’ attraverso le quali, le discipline si articolano e si sviluppano. L’implosione
della storia naturale e la capacita’ dei saperi specialistici di riorganizzarsi su nuove basi diede vita all’inizio
dell’ottocento alla proliferazione di nuove discipline quali la biologia la zoologia la geologia ect… che, a loro volta,
indirizzarono le ricerche sui tre regni della natura verso nuove e piu’ articolate suddivisioni e articolazioni interne.
L’esigenza della ricerca specialistica di separare la scienza dalla cultura e di affermare la neutralita’ oggettiva e
l’universalita’ del metodo scientifico erano incompatibili con discipline, come la storia naturale e l’eugenica, che, da
presupposti molto differenti, affermavano l’intima connessione tra l’attivita’ scientifica e una data filosofia. La
forza della specializzazione sta proprio nel rifiutare ogni tentativo di unificare le ricerche sperimentali
riconducendole a principi generali e fondativi. La specializzazione delle scienze è dunque un fenomeno
estremamente complesso e non lineare, che interagisce con una serie di fattori, i quali, non dipendono
esclusivamente dalla fecondita’ di un dato programma di ricerca, L’affermazione della specializzazione come
parametro determinante della carriera nell’universita’ e negli istituti di ricerca costituisce uno dei tratti distintivi
della scienza contemporanea.
SCIENZA E POLITICA.
La scienza è diventata una forma pienamente autonoma del sapere nel momento in cui è riuscita a focalizzare
l’attenzione sul proprio valore strategico e sui benefici che gli stati e le nazioni potevano trarre dalle applicazioni
della ricerca.
Il naturalista del Rinascimento non solo difendeva una forma del sapere dai tratti ancora oscuri e dal passo
esitante, ma si trovava di fronte, una classe di intellettuale, quella degli umanisti, che godeva tra i sovrani di
immenso prestigio. Sia gli umanisti sia i teologi non erano particolarmente sensibili all’emergente riscoperta del
mondo naturale e tanto meno erano disposti a rinunciare al primato che i sovrani rinascimentali finora avevano
assegnato alla riscoperta del mondo classico e alla piu’ tradizionale speculazione religiosa. Le guerre, la riforma
protestante, le scoperte geografiche e altri elementi esterni accrebbero l’esigenza degli Stati di servirsi di saperi
tecnici, e, in seconda istanza, scientifici. La funzione strategica della scienza venne compresa in modo diffuso e
irreversibile solo dopo la Rivoluzione francese, ben tre secoli dopo i servigi che Leonardo aveva prestato alle
esigenze militari degli Sforza.
Durante il sedicesimo secolo Paracelso e i suoi seguaci, gli alchimisti, i ciarlatani e i detentori di segreti calcarono
con inquieta energia le strade d’Europa, proclamando i mirabili effetti che si potevano ottenere dall’osservazione
della natura e dalla manipolazione diretta dei fenomeni. Paracelso e molti altri alchimisti furono chiamati a corte
per dar prova delle loro conclamate capacita’ sperimentali per svelare i loro segreti e i miracoli legati alle loro arti.
Alcuni sovrani rinascimentali come Cosimo I De Medici avevano addirittura allestito laboratori alchimistici dove
osavano misurarsi direttamete con i misteri della natura. I lavori scientifici commissionati dai sovrani riguardavano
non solo le scienze esatte e meccaniche ma anche discipline eterodosse come l’alchimia e l’astrologia, Le difficolta’
che sembravano destinare le scienze occulte a una rapida estinzione vennero spesso rimosse grazie alla
committenza diretta di principi e sovrani di tutta Europa. In realta’ la politica della scienza in Europa, dal
rinascimento fino alla rivoluzione francese, si caratterizzo’ per gli atteggiamenti volutamente ambigui dei sovrani;
da un lato promuovevano e finanziavano lautamente le creazioni di accademie scientifiche basate sul metodo
baconiano e cartesiano, dall’altro continuavano a sostenere con favori non meno plateali discipline che per metodo e
ispirazione culturale si contrapponevano a quelle coltivate nelle nuove accademie.Nella Praga di Rodolfo Ii gli
alchimisti godevano di protezioni a cui nessuno scienziato accademico poteva aspirare. Questa situazione di
ambiguita’ cambio’ radicalmente solo nel 1789, con lo scoppio della rivoluzione francese. Durante l’Antico regimi ,
infatti, poteva ancora accadere di frequente che alcuni studiosi ostili al metodo scientifico adottato dalla maggior
parte degli scienziati accademici godessero difavori e protezione. Il caso piu’ clamoroso è rappresentato dalla
“scoperta” del medico austriaco Mesmer, del fluido magnetico. Mesmer sosteneva la tsi dell’influenza degli astri
sull’uomo, il medico non si era meramente limitato a resuscitare una dottrina in voga nel rinascimento, ma si era
preoccupato di adattarla alle esigenze di scientificita’ della medicina settecentesca. Nel 1772 Mesmer
incominciava a sperimentare il magnetismo nel trattamento delle malattie. Le notizie circa la virtu’ miracolosa della
nuova terapia si sparse rapidamente nella capitale della scienza e in pochi mesi Mesmer pote’ contare su una
clientela numerosa e selezionata. La massoneria parigina, allora potentissima, prese Mesmer sotto la sua protezione
e per un breve periodo, anche la regina Maria Antonietta aveva mostrato vivo interesse per la teoria del medico
austriaco, adoperandosi per un suo riconoscimento ufficiale. Mesmer sentiva l’esigenza di esser riconosciuto dalle
principale istituzioni scientifiche parigine, in particolare dall’Academie des Sciences. Diverse commissioni
scientifiche furono chiamate a esaminare i fondamenti della dottrina di Mesmer, senza alcun risultato, la
commissione stabiliva che si trattava diun trucco, il cui successo era alimentato dalla combinazione tra credulita’
popolare e carisma del medico austriaco. Di fronte alla smacco subito Mesmer passo’ al contrattacco. Forte della
protezione politica replicava ai fallimenti dei suoi esperimenti pubblici sostenendo che il fluido costituiva una
verita’ essenziale per la felicita’ dell’umanita’. Per diversi anni ancora la disputa tra Mesmer e la scienza ufficiale
continuo’ ad essere al centro dei dibattiti giornalistici parigini e sono nel luglio del 1782, su invito della marchesa di
Fleuty, Mesmer accettava di lasciare Parigi recandosi a Spa per fondare una clinica. Con Mesmer la scienza usciva
dalle accademie ed entrava nei salotti, dando l’illusione di essere tangibile e alla portata di tutti.
Nel momento in cui la scienza ufficiale avesse potuto dimostrare la sua indispensabilita’ per il potere politico , si
sarebbero create le condizioni per una saldatura tra scienza e potere. Lo scoppio della Rivoluzione francese e le
nuove circostanze politiche e militari offrirono l’occasione favorevole per lo stabilirsi di un rapporto stabile e
durevolo fra scienza e politica.
Le scienze cosi’ com’erano state coltivate fino all’Antico Regime avevano subito una scossa salutare che ne aveva
trasformato radicalmente sia la funzione sociale, sia i contenuti. Si trattava semplicemente di riconoscere che il
ruole della scienza era cambiato eche la separazione tra scienza e tecnologia non aveva piu’ ragion d’essere. Tra il
1792 e il 1794 gliscienziati francesi occuparono cariche politiche di primo piano. Non fu pero ‘in queste vesti che
essi acquisirono un nuovo e piu’ importante ruolo nella neonata repubblica.
Fu napoleone il primo sovrano a comprendere l’utilita’ politica, oltre che strategica delle scienze. L’antica e feconda
alleanza tra scienza e filosofia doveva essere superta da un connubio tra potere politico e scienziati. Nessun paese
europeo né i governi francesi che fecero seguito emularono Napoleone nella sua politica di valorizzazione degli
scienziati. La neutralita’ politica e il patriottismo manifestati dagli scienziati, dai tempi della Rivoluzione francese
in poi, resero la figura dello scienziato progressivamente ben accetta al potere politico.
La feconda alleanza tra scienziati tecnica e industria non poteva accrescere ulteriormente il prestigio e l’influenza
della scienza nella societa’. L’acquisita neutralita’ della scienza e la sua pretesa oggettivita’ costituivano garanzie
sufficienti per delineare una societa’ efficiente e senza conflitti.
Durante la prima e durante la seconda guerra mondiale, il sistema scientifico tecnologico della ricerca divenne cosi’
importante da mettere in discussione l’estensione dello stesso potere politico, quando il 2 agosto 1939 un pacifista
militante come Einstain scriveva al presidente degli USA Roosvelt invitandolo a investire nella ricerca per la
costruzione di una bomba capace di distruggere un intero porto, lasciava intendere che gli scienziati avevano la
chiave per vincere la guerra e che il conflitto contro i nazisti giustificava l’uso di armi di cui gli scienziati
comprendevano benissimo gli effetti. Gli esiti furono gratificanti, anche se tuttavia, la difficoltà di governare la
ricerca era un problema non solo per i politici ma per gli stessi scienziati. Dopo la seconda guerra mondiale i politici
guardarono alla scienza con un misto di timore e ammirazione. La scoperta di Fermi sulla possibilita’ di costruire la
bomba atomica ava creato piu’ problemi di quanti era stata capace di risolvere. Repubblicani e democratici
manifestavano le stesse preoccupazioni: la scienza era diventata come il genio della lampada, e, dopo il lancio delle
bombe atomiche non c’era piu’ verso di controllarla. La situazione sarebbe rimasta pericolosa fin tanto che la
scienza non avesse rallentato i suoi progressi. Gli scienziati venivano accusati di aver creato, con la bomba atomica,
un mondo molto piu’ insicuro, e i loro appelli ai politici perche prendessero posizione contro un olocausto nucleare
erano per lo meno contradditori. I dibattiti contemporanei sulla legittimita’ etica della clonazione e di altre
tecniche bio-tecnologiche mostrano i segni della frattura che si è venuta delineando tra la ricerca scientifica e la
sua assimilazione nella cultura politica e sociale di cui intende far parte.
SCIENZA E TECNOLOGIE.
La consapevolezza della rilevanza economica delle scoperte emerse quando il tradizionale rapporto di conflitto tra
artisti e scienziati lascio’ il posto a incontri sempre piu’ frequenti e diede vita a scoperte di eccezionale
importanza sia teorica che pratica. La scoperta della prospettiva lineare viene solitamente indicata come l’esmpio
piu’ evidente di collaborazione proficua tra sicenziato e artista. Il termine tecnologia costituisce infatti
un’acquisizione linguistica del diciannovesimo secolo ed è stato utilizzato per designare le macchine e i congegni
utilizzati per la produzione industriale.
Il progresso delle arti era posto in relazione con la loro utilita’ e con le infinite applicazioni cui si presentavano.
L’imitazione degli artigiani consentiva allo scienziato di dominare la natura e di trarne tutti i benefici che le
applicazioni della conoscenza dei fenomeni naturali potevano favorire. Cartesio si rendeva conto che per
valorizzare appieno l’utilita’ e la scienza dei tecnici era necessario metterli in condizione di rendere pubbliche le
loro scoperte e di favorire la collaborazione con gli scienziati accademici. A questo fine nel 1648 Cartesio concepi’
il progetto di una scuola delle arti e dei mestieri dove gli inventori e i tecnici potessero finalmente trovare una
legittimazione istituzionale cosi’ da far progredire la conoscenza del mondo naturale. Il progetto di Cartesio non
avrebbe avuto gran seguito. Nel secolo successivo pero’ la situazione subi’ profondi cambiamenti. Il rivoluzionario
progetto di riforma illuminista che Diderot e d’Alambert diffusero era incentrato sulla rivalutazione delle arti e
dei mestieri. L’obiettivo di Diderot e d’ Alembert era di imporre una nuova gerarchia del sapere in cui la pratica,
l’esperienza, le arti e le tecniche avessero un ruolo privilegiato.
Sebbene il dialogo tra artisti e scienziati fosse segnato da reciproche diffidenze ed incomprensioni, la chimica
settecentesca aveva creato uno spazio d’incontro per le competenze professionali degli uni e degli altri. Fu proprio
un chimico, Lavoisier, che ripropose nel 1793, cioè un secolo e mezzo dopo lo sfortunato tentativo di Cartesio, la
fondazione di una Sociètè centrale des arts dove scienziati ed artisti potessero collaborare alla creazione di una
nuova pratica scientifica. Per Lavoisier esisteva tuttavia una differenza fondamentale tra lo scienziato e l’artista:
il primo lavorava esclusivamente per amore della scienza e della fama, per l’artista lo scopo primario era ricavare un
beneficio economico e il ricorso alla pubblicazione diventava naturale solo quando una scoperta non poteva piu’
essere mantenuta segreta. Nel settembre del 1793 Lavoisier sottoponeva all’attenzione della Convenzione
Nazionale un progetto di riforma dell’educazione pubblica che affidava un ruolo centrale all’insegnamento di
materie tecniche e industriali. Il progetto di Lavoisier non fu adottato dalla Convenzione ma l’esigenza di
finalizzare le scienze all’utile dello Stato e allo sviluppo economico era ormai molto sentita durante la Rivoluzione ,
ed è certamente in questo quadro che va valutato il successo della fondazione dell’Ecole Polytecnique, una scuola
superiore militare alla quale furono chiamati i maggiori scienziati e i piu’ apprezzati tecnici francesi peerchè
formassero una nuova leva di figuare professionali di alto profilo, con le caratteristiche dello scienziato puro,
dell’artista e dell’ingegnere. S ein Francia i rapporti tra scienza e tecnologia si erano sviluppati soprattutto grazie
all’iniziativa dello Stato centrale, in Inghilterra, al contrario, la tecnica aceva ricevuto il maggior impulso dal mondo
dell’imprenditoria privata. Nascono le prime macchine parzialmente meccanizzate,e con questo cambiamento
l’operaio specializzato puo’ essere sostituito con una manodopera meno costosa.
Veniva introdotta la macchina a vapore , che venne perfezionata solo molti decenni dopo, grazie alla stretta
collaborazione tra uno scienziato, un tecnico e un imprenditore, diventando a questo punto il simbolo della
rivoluzione industriale. Gli studi su alcuni strumenti utilizzati per la costruzione della macchina a vapore avevano
consentito a Watt di scoprire nel 1783 la natura composta dell’acque. Inoltre dopo poco Watt individuo’ le
proprieta’ candeggianti del cloro . Con le sue scoperte Watt fu uno dei primi a intuire il potenziale della
connessione tra scienza, tecnologia e capitale e sarebbe impossibile comprendere il panorama economico e sociale
dell’Inghilterra di fine settecento senza tener presente tale felice combinazione. Watt introdusse nella macchina
a vapore un organo detto condensatore che permetteva di sfruttare l’energia residua, quella di compressione ,
quella del calore, abbattendo a parita’ di energia prodotta, il consumo di combustibile. Il congegno di Watt era
applicabile a una grandissima varieta’ di impianti industriali e cio’ accelero’ enormemente gli investimenti di grossi
capitali nell’industria meccanica, dando luogo a una nuova legislazione di brevetti. Lo sviluppo della ricerca
scientifica e industriale postulava che gli inventori dovevano entrare in competizione e la prospettiva di guadagno
era un ottimo incentivo a produrre sempre nuove e migliori applicazioni. All’inventore veniva riconosciuto il credito
dell’invenzione e la proprieta’ commerciale per un periodo che poteva variare dai tre ai cinque anni. Al brevetto
veniva data ampia pubblicita’ descrivendo l’invenzione o il procedimento industriale nella pubblicazione annuale
Description des machines. Nella prima meta’ del diciannovesimo secolo, il ferro diventa la materia prima del
progresso tecnico, favorendo la costruzione di impianti industriale in grande scala e una nuova generazione di reti
di comunicazione. Le resistenze ideologiche contro la diffusione della macchina e l’industrializzazione cedevano il
passo all’entusiasmo positivista per le potenzialita’ offerte dalla tecnica e dalle sue applicazioni. Nella seconda
meta’ del secolo queste speranze avrebbero trovato conferma nella nascita di nuovi sistemi tecnologici che ,
imponendosi in aree geografiche e produttive sempre piu’ vaste, ne avrebbero condizionato lo sviluppo economico.
Alla definitiva affermazione di questa tendenza egemonica mancava tuttavia ancora un elemento decisivo:
l’applicazione industriale dell’elettricita’. Questa innovazione cruciale fu preparata dal perfezionamento della
macchina elettromagnetica costruita nel 1859 dal fisico italiano Antonio Pacinotti. Pacinotti arrivo’ a costruire una
macchina in grado di produrre, per induzione elettromagnetica, una forza elettromotrice continua. Werner von
Siemens nel 1856 brevetto’ il motore elettrico a corrente continua a spazzole e nel 1865 costrui’ una dinamo. Nel
1879 fu presentato il primo locomotore a trazione elettrica. Nel 1884 Gaulard invento’ il trasformatore elettrico,
grazie al quale fu risolto finalmente il problema del trasporto dell’energia elettrica a grandi distanze. Negli anni’80
in Germania divennero operative le prime centrali idroelettriche capaci di erogare una qunantita’ di energia fino
allora impensabile. Nei vent’anni, circa, che furono necessari per applicare a livello industriale e su grande scala i
principi che avevano dato vita alle invenzioni di Pacinotti e di von Siemems, il rapporto tra scienza e tecnologia subi’
profondi cambiamenti. In primo luogo l’attivita’ dello scienziato ando’ incontro a un processo di convergenza con
quella del tecnico e dell’ingegnere. La tecnologia si stava lentamente impadronendo della scienza. La crescita dei
costi della scienza, dovuti in larga misura alla sua dipendenza dalla tecnologia, determino’ una vera e propria
rivoluzione, trasformando la scienza tradizionale in quella che è stata chiamata Big Science, cioe’ un’attivita’ che
passa per i grandi laboratori. Questo passaggio definitivo alla Big Science si verifico’ quando le autorita’
americane, dando vita al progetto Manhattan District per la costruzione della prima bomba atomica, reclutarono
quasi 250.000 uomini, di cui oltre 30.000 erano scienziati e ingegneri.
Strumenti, macchine, calcolatori e laboratori sempre piu’ complessi ed elaborati costituiscono oggi i prerequisiti di
qualsiasi ricerca scientifica d’avanguardia, costringendo cosi’ lo scienziato a interagire non solo con il mondo della
tecnologia ma, anche e soprattutto, con quello dell’industria.
PROFESSIONE SCIENZIATO.
Nel 1585, dopo una lunga gestazione, vide la luce a Venezia, La piazza universale di tutte le professioni dei mondo,
un’opera singolare destinata a conoscere un’immensa fortuna in tutta l’Europa, L’autore, Garzoni, vi aveva raccolto
un repertorio estremamente dettagliato delle professioni che erano venute ad arricchire la composita societa’
italiana di fine rinascimento. Tra le centinai a di occupazioni registrate e ampiamente commentate nelle Piazza,
sorprende la scarsa rilevanza conferita alle varie categorie di scienziati. Il panorama desolante offerto dalla
Piazza, sembra essere giustificato dalla difficolta’ degli scienziati rinascimentali a riconoscersi in una categoria
professionale dai contorni definiti. In quest’opera, gli scienziati occupano una posizione subalterna, mentre le
categorie emergenti sono i mercanti e gli artisti.
Giorgio Agricola è ricordato dagli storici come il padre della geologia e della mineralogia moderne. Nato in Sassonia,
si iscrisse nel 1514 all’Universita’ di Lipsia, dove studio’ per 3 anni lettere e lingue classiche; nel 1522 comincio’ gli
studi di medicina e l’anno seguente lo troviamo in Italia, dove, dopo avere seguito i corsi all’Universita’ di Bologna, si
trasferì a Venezia. Durante questo soggiorno Agricola collaboro’ all’edizione delle opere di Galeno sotto la guida di
Francesco Asolano e del medico umanista Gianbattista Opizzoni. Agricola ebbe un’intensa attivita’ filologica e
numerosi contatti con medici umanisti italiani che segnarono profondamente l’approccio di Agricola alla metallurgia.
Fu proprio grazie alla sua formazione umanistica e di sapiente filologo che Agricola divenne l’autore del celebre De
re metallica, un trattato che in piu’ punti riflette il debito verso gli studi umanitari, ma che oggi è ricordato
esclusivamente per il suo contributo alla scienza sperimentale e alla tecnologia. Il curricula di Galileo non è meno
curioso. Dopo gli studi di medicina a Pisa, studio’ e insegno’ matematica diventando un celebre professore nell’ateno
padovano. La sua attivita’ di costruttore di strumenti, e le relazioni con l’arsenale di Venezia ci ricordano il
carattere pratico della matematica e fu forse a causa della precaria posizione dei matematici all’interno delle
Universita’ Italiane del primo seicento che Galileo, accettando nel 1611 di recarsi alla corte dei Medici a Firenze,
pose come condizione l’aggiunta del titolo di filosofo a quello di matematico.
La storia dei termini usati per designare lo scienziato durante la prima eta’ moderna consente di individuarne i
progressi e i primi significativi cambiamenti. Durante il Seicento, per esempio, in Francia si fa strada il termine
savant che, pur alimentando nuove ambiguita’, consenti’ di circoscrivere e precisare l’attivita’ dello scienziato. In
Gran Bretagna, la precisazione della qualifica professionale di scienziato fa un passo in avanti quando,nella prima
meta’ del seicento, s’impone il fortunatissimo titolo di natural philosopher. Ma siamo ancora molto lontani dalla
nascita dello scienziato come professione.
Durante il secolo dei lumi non solo le scienze non garantivano alcun introito finanziario, ma a volte non facevano
neppure parte dei curricula universitari e non potevano contare sui sussidi dello Stato. Ancora molto diffusa nel
settecento la pratica della committenza; cosi’ grazie a elargizioni di pensioni piu’ o meno generose, gli scienziati
poterono coltivare i propri interessi senza l’assillo di trovare il modo di finanziare le proprie ricerche.
Nel periodo tra il 1750 e la fine del secolo, migliorato e potenziato dalle riforme universitarie il curriculum
scientifico assunse un’importanza del tutto nuova,e, di riflesso, il ruolo degli scienziati comincio’ ad affermarsi
anche nel mondo accademico. In Francia la Rivoluzione e la riforma radicale della pubblica istruzione porto’ alla
creazione di istituzioni per la formazione della nuova classe dirigente, dove l’insegnamento delle scienze naturali
era considerato non solo necessario, ma aveva addirittura un valore nettamente preponderante.
Se sul piano istituzionale la carriera dello scienziato ebbe un’evoluzione piuttosto lineare, l’affermarsi della figura
dello scienziato in quanto tale segui’ invece un percorso molto piu’ complesso. Prima che il termine generico di
scienziato rappresentasse in modo efficace tutti gli studiosi impegnati nelle varie discipline scientifiche, era
necessario identificare una rete di valori condivisi che trascendessero i contenuti dei singoli settori d’indagine. E’
interessante rilevare come gli scienziati si siano costantemente sforzati di unificare sotto un unico corpo
disciplinare il mondo variegato dell’investigazione. Questo processo emerse quando coloro che si occupavano delle
scienze naturali ebbero coscienza che la loro attivita’ era del tutto distinta da quella letteraria e filosofica e
stabilirono alcune regole che di fatto definivano l’identita’ collettiva dell’autore scientifico. Il carattere obiettivo
e universale del ragionamento scientifico, gia’ formulato in altri termini anche da Cartesio, non aveva soltanto la
conseguenza di offrire all’intelletto una via certa e sicura, ma anche quella di eliminare la soggettivita’ della
conoscenza. Tuttavia, se era vantaggioso aderire a un ideale di oggettivita’ e verita’ impersonale per nobilitare la
propria attivita’, nella pratica poi era forte l’esigenza di rivendicare il risultato ottenuto attraverso l’attivita’
scientifica, l’identificarlo precisamente con il nome e il cognome di chi l’aveva ottenuto e voleva perico’ trarne tutti
i vantaggi, in termini di onori e riconoscimenti, Questa dicotomia tra scienza oggettiva e rivendicazione del ruolo
dell’autore è nata nel momento in cui le accademie scientifiche hanno voluto stabilire i criteri che garantissero alla
scienza uno status di oggettivita’ incontestabile, A questo fine era necessario collocare l’autore di opere e
scoperte scientifiche entro un nuovo ruolo. Una tipica espressione di questa tensione emerse per la prima volta
nell’accademia del Cimento. Alla Royal Society avrebbero rislto la questione con la pubblicazione della Philosophical
Tansaction, il periodico dell’accademia, che riconosceva il credito intellettuale dei singoli articoli pur mantenendo
una sorta di diritto sulla proprieta’ delle scoperte. La pubblicazione delle memorie negli atti delle accademie
scientifiche , diventera’, in effetti, il mezzo piu’ efficace per risolvere la tensione emersa nel Ciemtno tra la
rivendicazione della centralita’ e identita’ scientifica dell’autore e il ruolo committente e promotore
dell’Accademia.
SCIENZA E INDUSTRIA.
La rivoluzione industriale della prima meta’ del diciannovesimo secolo è a giusto titolo considerata dagli storici
dell’economia un evento epocale nello sviluppo del capitalismo moderno. I cambiamenti radicali introdotti
dall’industria nell’organizzazione del lavoro e nei modi di produzione, circolazione e consumo delle merci hanno
alterato in modo profondo e irreversibile l’assetto della societa’ negli stati occidentali. Il contributo della scienza e
della tecnologia nella realizzazione di questa rivoluzione furono determinanti,anche se il loro ruolo è stato
inspiegabilmente sottovalutato, tanto che si è preferito considerarle come effetti dello sviluppo economico
piuttosto che cause efficienti del cambiamento. Indubbiamente fu soltanto attraverso l’esistenza di ingenti
capitali che lo sviluppo del commercio e delle manifatture che la scienza e la tecnica trovarono un terreno
scocioeconomico favorevole alla loro crescita. Certamente il coinvolgimento degli sicenziati nel processo
d’industrializzazione fu tutt’altro che lineare e non mancarono spesso profondi conflitti con gli imprenditori e i
capitalisti, i quali consideravano la scienza e la tecnica un semplice strumento per aumentare i profitti,ma è bene
sottolineare che in moltissimi casi si generarono fecondissime collaborazioni tra scienziati e capitalisti e che molti
scienziati e inventori diventarono imprenditori di successo. Gia’ a partire dal diciottesimo secolo niei paesi piu’
d’avanguardia alcuni scienziati accademici erano stati chiamati a ricoprire incarichi direttivi nelle tintorie e nelle
manifatture reali del vetro e della porcellana; in queste manifatture il compito degli scienziati era prevalentemente
quello di migliorare la qualita’ del prodotto finale. In generale pero’ l’industria chimica del diciottesimo secolo
intrattiene un rapporto contraddittorio con i progressi, le scoperte e i cambiamenti di paradigma teorico della
scienza contemporanea. In molti casi la mancanza di dialogo tra chimici e industriali non ebbe altro esito che quello
di ostacolare il successo applicativo di alcune importanti scoperte. Esemplare fu il caso di Leblanc che,
partecipando al concorso bandito dall’Academie des science di Parigi, cercando di individuare un metodo efficace
ed economico per produrre la soda riusci’ a convertire il sale marino in solfato di sodio. Successivamente
mischiando il solfato con del carbonato di calcio e riscaldando il composto, fu in grado di ottenere della soda e del
solfuro di calcio. Il brevetto di questo straordinario risultato fu concesso a LEblan nel 1791 e il duca d’Orlèans
mise a disposizione dello scienziato un capitale ingente per la costruzione di una macchina che avrebbe fatto uso
del brevetto. Il successo del metodo di Lebalnc era tuttavia legato al destino del suo committente, il duca
d’Orleans, il quale coinvolto negli eventi della Rivoluzione venne ghigliottinato nel 1793. A seguito delle disposizioni
prese dal Comitato di Salute Pubblica sul sequestro dei beni dei condannati, Leblanc veniva espropriato della sua
fabbrica e del diritto di produrre i Sali e la soda con il suo nuovo metodo. Poco dopo una commissione istituita per
fronteggiare la scarsita’ di soda sul mercato francese, stabiliva che il processo introdotto da LEbalnc non era
migliore di quelli gia’ in uso e di conseguenza ordinava lo smantellamento della fabbrica. Soltanto nel1823 il
processo Leblanc veniva ripreso con enorme successo dal chimico inglese Muspratt, il quale dopo aver acquistato i
diritti sul brevetto apriva il primo grande stabilimento industriale per la produzione della soda. Il caso di Leblanc
sottolineava come, ancora alla fine del diciottesimo secolo, le relazioni tra scienza e industria fossero talvolta
estremamente problematiche, La caratteristica principale dell’industria chimica era di non produrre materiali fini a
se stessi, ma di rispondere con soluzioni tecniche e produttive alle sollecitazioni e alle esigenze di altri cicli
produttivi. L’industria chimica era diversificata proprio perche’ indipendente dal mondo della ricerca scientifica
mentre al contrario, dipendeva strettamente dalle sollecitazioni del mercato e dal progresso tecnico, in continua
evoluzione. L’industria chimica, inoltre, rispondeva all’esigenza di compensare, con la sintesi di prodotti lavorati, la
crescente scarsita’ di prodotti naturali per i quali, la domanda crebbe nel corso di tutto il diciottesimo secolo.
La produzione industriale della polvere da sparo ela ricerca per migliorarne il rendimento costituirono due settori
strategici delle economie dei principali Stati europei. Le frequenti guerre e la crescente importanza delle armi da
fuoco fecero aumentare la domanda degli ingredienti necessari ala produzione della polvere da sparo. In Francia, la
Ferme deteneva il monopolio della polvere da sparo, i profitti erano enormi ma si trascurava la qualita’ delle
forniture all’armata francese e raramente risuciva a coprire tutta la domanda. Questa inefficienza fu una tra le
cause della sconfitta della Francia durante la guerra dei Sette anni. Il salnitro, l’ingrediente principale per la
produzione della polvere, veniva in prevalenza estratto dai depositi naturali dell’Egitto o dell’India e l’idea che una
produzione cosi’essenziale dipendesse dall’importazione, indeboli’ e rese invisa la politica commerciale della Ferme.
A fronte di questa difficile situazione Il ministro riformatore Turgot, nomino’ Lavasier direttore della Règie des
Puodres, l’instituto che per volere del ministro aveva rimpiazzato l’antica Ferme. Il contributo di Lavoisier è stato
ricondotta alla radicale riforma della politica scientifica tradizionale. Le misure di Lavoisier si distinsero
innanzitutto per il loro carattere di gradualita’ . In primo luogo, il chimo francese volle prendere coscienza dei
processi produttivi e della loro amministrazione. Nel frattempo comincio’ a lavorare ad alcuni esperimenti come
l’analisi e la sintesi sell’acido nitroso, la decomposizione e lo studio delle acque madri. Accanto a questoprogramma
di ricerche, Lavoisier promosse un premio sull’origine e la natura del salnitro. Il premio fu vinto dai due fratelli
Thouvenel.Inoltre promosse un’inchiesta interna alla Règie attraverso la quale sperava di ottenere informazioni
sistematiche e chiare sui metodi di produzione adottati nelle diverse industrie. Il risultato denunciava una diffusa
poverta’ di conoscenze teoriche e una scarsa dimestichezza con la chimica applicata. Per migliorare questa
situazione Lavoisier escogito’ una riforma semplice ed efficace; prescrisse l’uso dell’aerometro per misurare la
densita’ delle acque madri e sostitui’ le ceneri vegetali con la potassa. I risultati furono sorprendenti , la
produzione aumento dell’80%. Un altro elemento innovativo introdottola lavoisier fu l’innovazione dei criteri di
selezione del personale, creando un corso di formazione e rendendoo obbligatorio per chi aspirasse ad entrare
nella Règie.
Il modello di sviluppo industriale realizzato da Lavoisier alla Regie des poudres costitui’ l’esempio piu’ avanzato di
sinergia tra scienza e manifattura durante l’Antico regime. Con l’avvento della rivoluzione industriale inglese dei
primi decenni del diciannovesimo secolo il sistema manifatturiero subi’ un cambiamento radicale, che ampliava
enormemente la sfera d’azione della scienza. Nel 1832 il chimico Ure rilevava innanzitutto inadatto il termine
manifatture e lo sostitui’ con Factory system. Un’integrazione tra lavoro e macchine. Secondo Ure la causa
principale dello sviluppo industriale era costituita dall’unione del capitale con la sicenza. Marx avrebbe avuto buon
gioco ne Il capitale a far leva sull’ingenuita’ di ure per mostrare quanto devastanti fossero in realta’ le conseguenze
sociali del nuovo sistema produttivo in cui il capitalista, con l’aiuto della macchina, era riuscito a neutralizzare il
potere contrattuale della forza lavoro, annullando il valore dell’artigianato e delle capacita’ mauali.
Per trasformarsi in un prodotto industriale di massa, l’innovazione scientifica e tecnologica dovevano allearsi con il
sistema dalla produzione e con le tecniche di marketing. Un caso esemplare della centralita’ di questa sinergia di
fattori fu l’invenzione del telefono. Il successo di un’invenzione doveva necessariamente passare per il mercato,
Contemporaneamente pero’ il mercato nella sua frenetica rincorsa al profitto aveva un disperato bisogno della
invenzioni delle scoperte scientifiche. L’iimagine promossa con tanto successo da Edisono e dai suoi imitatori
mostrava come l’invenzione e la scoperta non potessero essere regolate da fattori all’infuori del genio e della
creativita’, due qualita’ che sfuggivano alla ferrea logica dei bilanci industriali. Per sopperire ai limiti di questa
situazione gli industriali americani cominciarono , verso la fine del diciannovesimo secolo, a creare dei veri e propri
laboratori di ricerca. Questo cambiamento era stato favorito dalla riforma del sistema universitario e dal numero
crescente di scienziati e ricercatori operanti in tutte le universita’.
La consonanza tra ricerca scientifica e industria si manifesto’ con maggior evidenze nell’industria farmaceutica.
Nella seconda meta’ dell’ottocento alcuni imprenditori compresero la potenzialita’ del mercato farmaceutico e
investirono ingenti capitali per promuovere le prime ricerche farmacologiche applicate e la creazione delle prime
grandi fabbriche di medicinali. Il rapito diffondersi di farmaci e i successi commerciali ad essi collegati avevano
incoraggiato numerosi capitalisti europei a tentare la fortuna e fondare nuove industrie farmaceutiche. Agli inizi
del ventesimo secolo altri settori individuarono nel sostegno alla ricerca di base un aspetto imprescindibile della
loro crescita economica. La diversificazione dell’industria nel ventesimo secolo rende comunque impossibile una
generalizzazione a senso unico dei rapporti tra scienza ed industria.
.I CONGRESSI.
A seguito del successo ottenuto dall’istituzionalizzazione della ricerca scientifica nelle accademie, gli scienziati
hanno compreso appieno l’importanza di individuare luoghi e opportunita’ destinati a promuovere la collaborazione e
lo scambio di opinioni. Le riforme dell’universita’ della prima meta’ del diciannovesimo secolo moltiplicarono le
possibilita’ e gli spazi di aggregazione, ma uno degli strumenti piu’ efficaci nel favorire un rafforzamento
dell’identita’ politica della comunita’ scientifica europea fu l’istituzione del congresso, senza dubbio una delle
principali manifestazioni collettive della scienza moderna e contemporanea. Fin dalle sue origini che risalgono alla
fine del Settecento, il congresso scientifico rispose fondamentalmente a due esigenze. In primo luogo, gli
scienziati desideravano sottolineare, attraverso incontri pubblici informali, lo spirito cosmopolita e collaborativo
della pratica scientifica. In secondo luogo, il congresso costituiva un’occasione per definire in modo piu’ rapido e
informale i confini di un dato ambito disciplinare.
Insofferenti dei limiti delle accademie e dei vincoli istituzionali imposti dalle universita’ e dagli istituti di
ricerca,gli scienziati europei trovarono nel congresso una nuova forma di aggregazione, capace di stimolare lo
scambio di idee e di affermare in modo nuovo il primato sociale e politico che erano riusciti a raggiungere alla fine
del diciottesimo secolo. Il primo congresso internazionale si tenne a Parigi nel settembre del 1798 per discutere gli
standard dei pesi e misure da adottare nei vari paesi europei. Il sistema metrico decimale era dunque dettato dalla
natura stessa (misura del meridiano terrestre) e l’oggettivita’ della sua determinazione ne garantiva di
conseguenza l’universalita’. Tutte le nazioni della terra non potevano che capitolare di fronte a tale evidenza. Alla
fine fu solo la Francia ad adottare il nuovo sistema metrico. Grazie alla provvisoria alleanza tra potere
repubblicano e scienza, la riforma dei pesi e delle misure pose fine a questa distanza tra il comune sentire popolare
e le idee riformatrici della comunita’ scientifica, annunciando una nuova era della scienza anche dal punto di vista
del suo influsso sulla societa’. Il 20 gennaio del 1798, la prima classe di matematica dell’Institut deliberava di
invitare gli scienziati dei governi alleati per stabilire definitivamente l’unita’ fondamentale dei pesi e delle misure.
L’adozione definitiva del sistema metrico decimale venne deliberata il 22 giugno 1799 e i delegati stranieri furono
invitati a far pressione perche’ le autorita’ legislative dei loro paesi ratificassero le decisioni prese. Il congresso
aveva avuto tanto successo che fu presto ripreso dagli scienziati tedeschi,i quali, grazie ad un’iniziativa di Oken,
organizzarono a Monaco nel 1822 il primo congresso della Societa’ dei naturalisti e medici tedeschi. La principale
innovazione introdotta da Oken era la mancanza di un tema di discussione prescelto, Il congresso doveva essere
innanzi tutto un’occasione per creare una sede comune di discussione a cui potessero partecipare tutti gli studiosi
delle scienze naturali. Per un certo periodo si penso’ che i congressi potessero sostituire le accademie, questa
idea, nata in Italia, non venne mai realizzata. Lo scopo del congresso era quello di permettere agli scienziati di
dialogare apertamente tra loro e di comunicare come comunita’ con la societa’. Cio’ consentiva agli scienziati di
negoziare un ruolo politico senza attendere che la volubilita’ dei governanti decidesse delle sorti della scienza. La
consapevolezza del valore politico di queste riunioni emerse pero’ solo nel momento in cui gli scienziati si
identificarono in una comunita’ animata da finalita’ e ambizioni comuni. A seguito del successo dei congressi, uomini
politici, aristocratici, industriali, inventori e autorita’ locali parteciparono con crescente entusiasmo a questo
genere di iniziative, favorendo la nascita di una vera e propria lobby scientifica.
In alcuni casi come nel celebre convegno internazionale di chimica di Karlsruhe, il congresso divenne la vera sede
della ricerca scientifica. L’assetto disciplinare della chimica subi’ in questo convegno una svolta estremamente
significativa, sollevando un diabattito intorno alla struttura atomica della materia che si propago’ rapidamente in
tutta Europa. Il 3 settembre 1860 Weltzein consapevole della novita’ delle’evento, rilevava che era la prima volta
che i cultori di una singola disciplina, si riunivano per discutere un programma di unificazione degli standard
concettuali e terminologici della scienza. I veri ispiratori scientifici dell’incontro erano essenzialmente due: la
definizione delle nozioni chimiche importanti e delle formule chimiche e l’introduzione di una nozione o
nomenclatura chimica uniforme. La commissione istituita trovo’ una soluzione di sintesi solo parziale. L’eco
suscitata dal congresso di Karlsruhe, sicuramente il congresso piu’ riuscito nella storia della scienza, fece si che
nella seconda meta’ del diciannovesimo secolo divenisse consuetudine per tutte le principali discipline scientifiche
organizzare congressi internazionali, anche se questo grandi congressi costituivano il luogo privilegiato per
presentare le scoperte di grande rilevanza scientifica e per promuovere l’incontro e la discussione di opinioni
diverse, la loro funzione precipua fu ancora, come nel secolo precedente, quella di corroborare il ruolo della scienza
nella societa’ politica. Il congresso costituisce dunque la materializzazione dell’ideale della scienza come impresa
collettiva, cosmopolita e universale.
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