II Domenica - 15 gennaio 2017 Is 49,3.5-6; Sal 39/40; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34 O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del Battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annuncio del Vangelo. “Ho contemplato lo Spirito discendere su di lui. È lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.” È venuto dopo, ma c’era già prima!... Che strani giochetti fa Dio! Ma, perché, invece di mandare qualcuno di noi ad annunciare il Suo arrivo, non è arrivato direttamente Lui? …Che poi, tutti coloro che sono venuti non c’hanno azzeccato granché, siamo sinceri… Anche Giovanni, o meglio, neppure Giovanni fu in grado di capire che il Messia promesso avrebbe insegnato e agito secondo Dio, e non alla maniera degli uomini… Del resto, che senso avrebbe avuto un messia che la pensa come noi, che parla come noi, che fa le stesse cose che facciamo noi? Intendiamoci: un profeta non mente! un vero profeta proclama la verità su Dio! Ma è sempre una verità annunciata, compresa e soprattutto interpretata secondo categorie umane… che sono sempre limitate, ambigue, mai univoche… La profezia mette spesso in relazione elementi non facili da armonizzare, formulando degli autentici paradossi, talvolta, a dir poco imbarazzanti; proprio il Vangelo di oggi ce ne dà un esempio: Giovanni definisce il Messia “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”: intanto, la simbologia dell’agnello, già non aiuta a comprendere la fisionomia del Figlio di Dio, in un contesto culturale e religioso come quello del tempo di Gesù: l’agnello suggeriva, suggerisce l’idea di fragilità, di scarsa intelligenza… che cosa c’è in natura di più debole di un agnellino… così tenero e indifeso? Ecco perché Giovanni si era immediatamente premurato di correggere, per così dire, il tiro, dichiarando che il Messia sarebbe arrivato armato di ascia, per tagliare alla radice ogni albero che non avesse portato frutto… Senonché le due immagini – dell’agnello e del giustiziere armato – insieme non potevano, non possono stare! Quale scegliere? A quale dare la precedenza come soggetto principale? …per il Battista, l’elemento portante era la giustizia, un’accezione particolare della giustizia, intesa come punizione dai peccati: diciamolo pure, era convinzione di Giovanni che il compito affidato all’Agnello, di togliere il peccato del mondo, non sarebbe stato del tutto indolore per noi peccatori. Il tema della colpa si fonde con quello dell’espiazione, ma anche con quello della retribuzione, della punizione, della condanna… C’è un altro aspetto, abbastanza tipico della profezia, segno che l’annuncio non è frutto di un’invenzione umana, neppure se viene da un uomo, ma è Parola di Dio affidata alle labbra (impure) di un messaggero; dice dunque la profezia di Giovanni che “l’Agnello di Dio avrebbe tolto il peccato del mondo”: ma, che cosa significa ‘togliere’? la verità dell’annuncio di Cristo sta tutto in questo verbo: il Messia non si sarebbe limitato a eliminare il peccato: (il Messia) avrebbe liberato il peccatore, prendendo il peccato sulle sue proprie spalle, o, come dichiara Isaia, “caricandosi delle nostre iniquità” (cap.53). Il precursore confessò di non conoscere il Signore, ma di sapere quanto bastava per annunciarlo presente nel mondo. E in questa confessione (Giovanni) ci rivela un principio sacrosanto della fede cristiana: per diventare annunciatori del Vangelo, non è necessario avere una conoscenza perfetta e completa del mistero di Cristo… Anche perché non è umanamente possibile. La comprensione delle Verità rivelate, anche questa è soggetta alla categoria del progresso. Non riusciremo mai ad ultimare, ad esaurire questa comprensione, e ci sarà sempre la possibilità di approfondire questo pozzo senza fondo che si chiama Vangelo, con buona pace di coloro – e sono tanti! –, i quali sono convinti di conoscere il Vangelo perché lo hanno letto al catechismo, da bambini... La Rivelazione (canonica) si chiude con l’Apocalisse di san Giovanni; non così la comprensione della Rivelazione, la quale, a quanto dicono i teologi, non avrà fine neppure nell’eternità… In altre parole la contemplazione del volto di Dio ci consentirà di progredire in eterno nella comprensione di Lui, di Dio. Nostro malgrado, noi non possediamo il concetto di eternità, il concetto di infinito – che non è di ordine quantitativo! –, di conseguenza non immaginiamo neppure come si possa dare un progresso che evolve, che aumenta, che migliora – nessun termine va bene!... – indefinitamente, senza mai aver fine. Il sentimento che mi piace immaginare come tipico di coloro che vivono già in Paradiso, è lo stupore; del resto, lo stupore è l’atteggiamento che la stessa liturgia sottolinea, nella Preghiera Eucaristica della Riconciliazione 1: “stupore e gioia della salvezza ritrovata”. Quello che possiamo apprendere in questa vita, e che basterebbe già a suscitare abbondante stupore, tuttavia è nulla rispetto a ciò che ci attende nell’aldilà! E noi che non abbiamo neppure letto tutta la Bibbia almeno una volta… Che vergogna! Comunque… bando alle frecciate!... Le ultime parole del Vangelo di oggi ci mettono tutti con le spalle al muro; dichiara il Battista: “E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.”. Io sono sostanzialmente convinto che ciascuno di noi ha avuto almeno una volta nella sua vita la ‘prova’ che Dio, non solo esiste, ma è proprio come Gesù ce lo ha rivelato, come canta il Prologo di Giovanni evangelista, che abbiamo ripetutamente ascoltato durante il tempo di Natale… Non saremmo qui a celebrare la risurrezione di Cristo, se non avessimo fatto esperienza del valore aggiunto che il mistero pasquale ha prodotto ai giorni nostri, nel nostro vissuto quotidiano. La storia di Gesù Bambino, che poi cresce e guarisce la gente… la possiamo raccontare ai bambini – sebbene, anche loro, siano molto meno sensibili alle favole, rispetto a noi… –. Se la nostra vita non fosse rimasta impressionata, toccata, ferita dalla persona di Gesù, celebrare le sue gesta, raccontare la sua vicenda sarebbe, né più né meno, come celebrare un mito epico, che so…, il mito di Ulisse, o di Siddharta, o di Luther King, per citarne uno più vicino a noi. Fate memoria dell’incontro reale che avete avuto con il Cristo, e avrete anche il motivo per desiderare e celebrare l’incontro sacramentale con l’Agnello di Dio. Fr.Massimo O.P. [email protected] www.paroledicarne.it