Inibitori della fusione dell`HIV: modelli co

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1. Introduzione.
La sindrome da immunodeficienza acquisita, comunemente conosciuta con l’abbreviazione di
AIDS, è una patologia causata dal virus dell’HIV il quale provoca una grave depressione del
sistema immunitario.
La sintomatologia clinica è secondaria alla capacità del virus di infettare prevalentemente le cellule
del sistema immunitario e nello specifico i linfociti CD4, producendone non solo l’incapacità di
queste di rispondere adeguatamente agli stimoli esterni e quindi di proteggere l’organismo, ma
provocando anche una loro massiccia deplezione.
Ciò si concretizza in una grave compromissione della risposta immunitaria cellulo-mediata e
nell’avanzare di infezioni opportunistiche e la comparsa di tumori maligni.
Per fare tutto ciò il virus deve penetrare nei linfociti, integrare il proprio genoma e infine produrre
altri virioni che, usciti dalla cellula per gemmazione, potranno a loro volta infettare.
La ricerca farmaceutica negli ultimi anni ha fatto passi da gigante producendo farmaci che riescono
ad agire in ognuno di questi stadi, come gli inibitori della trascrittasi inversa, delle proteasi e delle
integrasi. Ultimamente, conoscendo meglio altri bersagli molecolari da colpire, primo fra tutti le
proteine che mediano la fusione dell’evelope del virus con la membrana cellulare, tale ricerca si è
spostata verso farmaci che inibiscono la penetrazione del virione, che costituisce il primo stadio
mediante il quale il virus attacca i linfociti.
Uno di questi farmaci è già in commercio con il nome di Fuzeon, il cui principio attivo è
l’Enfuvirtide, e altri sono in corso di sperimentazione.
1
2. Caratteristiche del virus dell’HIV
Il virus dell'immunodeficienza umana (HIV, acronimo dall'inglese Human Immunodeficiency
Virus), attualmente viene considerato il responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita
AIDS, che è caratterizzata dal progressivo indebolimento di tutte le difese dell’organismo, quelle
cioè che si mobilitano quando il corpo viene aggredito da microrganismi esterni, come batteri e
virus.
È un Retrovirus del genere Lentivirus ed in base alle conoscenze attuali (figura 1), è suddiviso in
due ceppi i quali differiscono dal punto di vista genetico (con una analogia di sequenze
nucleotidiche di circa il 40%) patogeno ed epidemiologico e li distinguiamo in HIV-1 ed HIV-2. Il
primo è prevalentemente localizzato in Europa, America ed Africa centrale, mentre HIV-2 si trova
per lo più in Africa occidentale ed Asia e determina una sindrome clinicamente più moderata
rispetto al ceppo precedente [1].
Figura 1. Visione di una sezione del virus dell’immunodeficenza acquisita.
Regno
Virus
Famiglia
Retrovirus
Genere
Lentivirus
2
2.1 Morfologia
Morfologicamente il virione di HIV ha un diametro di circa 100 nm e presenta un capside di forma
icosaedrica ed un envelope che ospita le proteine di membrana virali gp120 e gp41.
Il materiale genetico del virione è costituito da due copie di RNA a polarità positiva, le quali sono
legate a due proteine basiche del peso, rispettivamente, di 7 e 9 Kd (denominate p7 e p9).
Tale complesso, insieme alla trascrittasi inversa (una DNA polimerasi RNA-dipendente), alla
proteasi ed all'integrasi è contenuto in una sezione centrale della particella virale denominata core.
Esso presenta una struttura cilindro/conica ed è costituito completamente da una sola proteina (p24).
Tra il core e l'involucro lipoproteico si trova uno strato di materiale elettrondenso costituito
completamente dalla proteina virale p17 miristilata che media la gemmazione dalla cellula infetta
dopo la replicazione e la formazione di nuovi virioni [2].
2.2 Genoma
I geni che costituiscono il genoma del virus vengono suddivisi in base alla proteine che vengono da
loro sintetizzate in: geni che codificano per proteine strutturali che rappresentano i geni
fondamentali, e geni che codificano per proteine ad azione regolatrice.
I tre geni fondamentali tre la replicazione virale sono Gag, Pol ed Env.
Il gene Gag codifica per le proteine del core del virione: p24, p17, p9, p7.
Dal gene Pol derivano la trascrittasi inversa, la proteasi e l'ntegrasi mentre Env codifica per le
proteine dell’involucro esterno.
Sia Gag che Pol sono trascritti in un mRNA il quale viene tradotto in una proteina di 180 Kd (p180)
poi scissa tramite proteolisi. La sua scissione determina la formazione della proteasi, della
trascrittasi inversa, della integrasi e di una una proteina di 55 Kd (p55) dalla quale, sempre per
proteolisi, derivano la p17, la p24 e la p15. La p15 è il progenitore della p9 e della p7, anch’esse
ottenute tramite l'intervento della proteasi.
Env viene tradotto in una proteina di 88 Kd che viene successivamente glicosilata ed a seguito di
ciò il suo peso molecolare aumenta fino a 160 Kd (p160). Essa viene scissa a formare le due
glicoproteine legate alla membrana esterna: la gp120 e la gp41. La gp41 è una proteina
transmembrana con l'estremo NH2 localizzato all'interno del virione mentre la parte COOH è
esterna e serve come punto di legame per la gp120 [3].
Oltre a questi geni, HIV contiene altri sette geni accessori che hanno funzioni regolatorie del ciclo
virale e della sintesi proteica: Tat, Rev, Nef, Vpr, Tev, Vif, Vpu (quest’ultimo nel genoma di HIV-2
non esiste e ve n'è un altro chiamato Vpx).
3
Il gene Tat codifica per una proteina con funzione di transattivatore che, in collaborazione con un
fattore cellulare, è in grado di intensificare l'espressione dei geni virali. Si ritiene che con la sua
azione sia in grado di aumentare la trascrizione dei geni virali di circa 1000 volte.
Rev è essenziale per la trascrizione dei geni Gag, Pol ed Env. Sembra, infatti, che esso sia in grado
di agire su Env a livello post-trascrizionale legandosi ad una metà del gene sbloccando la traduzione
precedentemente inibita da fattori cellulari legati. Probabilmente l'azione a livello di Pol e Gag è
simile.
Il gene Nef codifica per una proteina di 27 Kd capace di legare ed idrolizzare il GTP, quindi
possiede un’ attività GTP-asica.
Vpr codifica per una proteina di 15 Kd (p15) che si ritrova associata al virione ed è coinvolta nella
riattivazione del virus in corso di infezione latente.
Vif è importante per l'infettività del virione ed inoltre interagisce con una citidina deaminasi
cellulare, prevenendone la sua inclusione all'interno del virione neo formato ed evitando così
l’azione dannosa sul materiale genetico.
Infine le proteine codificate dal gene Vpu intervengono nella maturazione e liberazione del virus
[2].
2.3 Ciclo vitale
L’HIV infetta linfociti CD4, macrofagi e cellule dendritiche.
Le
alterazioni
immunologiche
prodotte
dall’HIV
che
sfociano
in
una
sindrome
di
immunodeficienza acquisita sono la conseguenza dell’incapacità dei linfociti CD4, che
rappresentano delle cellule chiave per l’attivazione delle corrette risposte immuni, di mediare
correttamente le risposte di difesa dell’organismo e della loro conseguente morte programmata.
Nelle fasi precoci dell’infezione si assiste all’adesione del virus alla membrana cellulare e alla
fusione con essa [4] (figura 2, 3).
Il virus entra nelle cellule tramite l’interazione delle sue glicoproteine dell’involucro gp120 e gp41,
le quali vengono codificate dal gene Env, e i recettori posti sulla membrana cellulare dei linfociti
CD4, tramite il legame ai corecettori CCR5 e CXCR4 delle chemochine (figura 4, 5).
4
Figura 2.L’HIV interagisce con i recettori della superficie dei linfociti CD4 che derivano dalla
stretta associazione con molecole di superficie come i recettori per le chemochine CCX4 e CCR5.
Figura 3. Interazione della gp120 con il sito di legame al CD4 sulla superficie cellulare.
Figura 4. I cambiamenti conformazionali dell’envelope virale e del recettore CD4, permettono il
legame della gp120 ad altri recettori sulla superficie cellulare come il CCR5
5
Figura 5. Interazione tra gp41 dell’envelope virale e un dominio sulla superficie cellulare: l’HIV si
fonde con la cellula.
Dopo essere entrato nel citoplasma ed essersi liberato dell’involucro, l’RNA virale funge da stampo
per la trascrizione delle catene di DNA complementare (figura 6).
Figura 6. Il nucleotide virale entra nella cellula ed ha inizio il precesso infettivo.
Questa trascrizione è una caratteristica distinta di tutti i Retrovirus ed è una tappa catalizzata da una
trascrittasi inversa DNA polimerasi RNAdipendente.
In questo stadio di maturazione del virus esistono due classi di farmaci in grado di bloccare tale
fenomeno inibendo la trascrittasi inversa.
Questi farmaci si distinguono in inibitori nucleosidici e inibitori non nucleosidici della trascrittasi
inversa [5].
In seguito alla retrotrascrizione del genoma virale il DNA a doppia elica si circolarizza ed entra nel
nucleo. L’integrazione del DNA provirale nel cromosoma ospite è mediato da un secondo enzima
essenziale che prende il nome di integrasi. Anche se l’integrasi sembra un bersaglio molecolare
6
attraente per il trattamento farmacologico, la scoperta di inibitori da utilizzare in clinica sembra
presentare notevoli ostacoli a causa della complessa interazione tra molecole ospiti e le molecole
virali durante l’integrazione.
In seguito all’integrazione, il DNA provirale può essere trascritto in RNA dal sistema della
trascrizione cellulare.
Questo RNA può poi essere tradotto nelle poliproteine virali o, alternativamente, può essere
incorporato in virioni immaturi durante l’assemblaggio. Successivamente i virioni nascenti
subiscono un processo di maturazione e di gemmazione dalla membrana cellulare.
Durante la maturazione, le poliproteine codificate dai geni gag-pol vengono scisse dalla proteasi.
Tale enzima può essere bloccato da alcuni farmaci anti-HIV, che determinano lo sviluppo di virioni
immaturi che mancano del nucleocapside tipico e che sono incapaci di infettare le cellule. In seguito
all’esocitosi, i virioni maturi possono infettare altre cellule e continuare il ciclo [5].
Una volta che il genoma virale si è integrato in quello dell'ospite, può rimanere inattivo dal punto di
vista trascrizionale per un periodo di tempo compreso tra mesi od anni. L'input che dà l'avvio alla
trascrizione del genoma virale si suppone sia costituito dall'insieme di stimoli che possono attivare
la cellula infetta: antigeni, citochine o anche infezioni da parte di altri virus. Ciò avviene in quanto
la trascrizione dei geni di HIV è strettamente dipendente da quella dei linfociti infetti. Ciò è stato
confermato da vari esperimenti nei quali si è visto che la stimolazione di linfociti o macrofagi infetti
con diversi tipi di citochine è in grado di favorire la trascrizione dei geni virali nonché quelli della
cellula ospite.
Ciò probabilmente avviene attraverso la mediazione di fattori di trascrizione dei quali uno dei più
coinvolti sembra essere NF-kβ [6].
L'espressione dei geni virali viene divisa in due fasi: precoce e tardiva.
Nella prima vengono espressi i geni regolatori, mentre nella seconda quelli strutturali. I geni
regolatori, di cui i più noti sono Tat, Nef e Rev e la cui sintesi avviene nel citoplasma grazie ad
eventi di splicing molteplici, consentono l'amplificazione della trascrizione genica ad opera della
RNA polimerasi cellulare di tipo II e la stabilizzazione degli RNA messaggeri creati
successivamente.
Nella fase tardiva avviene la sintesi dei geni strutturali i cui trascritti vengono portati nel citoplasma
e lì sottoposti ad un solo splicing ed infine tradotti in proteine. E’ a questo livello che interviene la
proteina Rev che, come espresso precedentemente, si lega ai trascritti e ne facilita il trasporto nel
citoplasma (figura 7).
7
Figura 7. Ciclo di replicazione del virus: legame e fusione con la cellula ospite, retrotrascrizione
del materiale genetico, integrazione nel DNA, maturazione e gemmazione dei nuovi virioni.
8
3. Le glicoproteina di membrana che mediano la fusione.
Il virus dell’ HIV è in grado di infettare produttivamente i seguenti tipi cellulari: linfociti,
macrofagi, cellule della microglia e cellule dendritiche. Da alcuni esperimenti si è avanzata l'ipotesi
che esso possa infettare anche i timociti ed i precursori midollari forse appartenenti alla linea
mieloide-monocitica. Anche gli astrociti subiscono l'infezione da parte di HIV sebbene essa non sia
produttiva.
Sebbene il virus HIV sia in grado di infettare le cellule che presentano sulla loro membrana il
recettore CD4, ai fini dell'ingresso nella cellula il recettore CD4 da solo è insufficiente ed il virus si
deve legare ad un altro corecettore rappresentato da molecole appartenenti alla famiglia dei recettori
con sette domini transmembrana accoppiati a proteine G (seven transmembrane domain G-proteincoupled receptor) e precisamente utilizza CXCR4 (usati dai ceppi con tropismo per i linfociti T) e
CCR5 (tipici del ceppo avente tropismo per i macrofagi) [7].
L’ingresso nelle cellule del virus dell’HIV richiede l’interazione sequenziale della glicoproteina
virale dell’envelope esterno, gp 120, con il recettore dei linfociti CD4 e un corecettore per le
chemochine posto sulla superficie cellulare.
Il legame di gp120 ai suoi corecettori sembra che avvenga cronologicamente dopo quello al CD4.
La glicoproteina virale gp120 media il legame ai recettori dei linfociti formando un complesso la
cui costante di dissociazione si aggira intorno a 4x10-9.
Le glicoproteine poste sull’involucro sono strutture organizzate in oligomeri trimerici, contenenti
tre molecole di gp 120 esterne dell’envelope ognuna delle quali è ancorata alla membrana virale
attraverso interazioni non covalenti con le tre molecole di gp41 transmembrana.
Le sequenze di gp 120 dei diversi ceppi di virus dell’HIV identificano 5 regioni varibili (V1-V5).
La prima delle quattro regioni variabili forma dei tratti esposti sulla superficie che contengono
legami disolfuro alla loro basi. Il legame con il linfocita CD4 coinvolge tre regioni non contigue ed
altamente conservate di gp120 separate da altre zone, invece, estremamente variabili (figura 8).
9
Figura 8. La gp120. sono visibili i domini inracellulari ed extracellulari. Il sito di legame al CD4
all’interno della cavità.
Le regioni costanti della gp 120 formano strutture discontinue importanti per l’interazione con i
domini di gp41 e con i recettori posti sulla cellula target.
Sia le regioni costanti che quelle variabili di gp 120 sono estesamente glicosilate [8].
La variabilità della glicosilazione della superficie di gp 120 probabilmente modula la capacità del
virus di essere immunogenico e antigenico.
La gp 120 lega maggiormente porzioni amino-terminali e domini Ig-simili di CD4. Sono stati
identificati attraverso meccanismi di mutagenesi i residui costanti di gp 120 importanti per il legame
a CD4.
Il legame della gp120 al recettore CD4 induce cambiamenti conformazionali tramite la seconda
regione della glicoproteina che risulta complementare al recettore del CD4 nella cellula linfocitaria.
Alcuni di questi finiscono con l’esposizione e/o la formazione di un sito di legame per recettori di
specifiche chemochine. Questi recettori per chemochine, soprattutto CCR5 e CXCR4 per HIV-1,
fungono da secondi recettori obbligati per l’ingresso virale[9, 10]. La terza regione variabile di gp
120 è il principale determinante di specificità per i recettori delle chemochine [11].
A causa dell’importante ruolo della gp 120 nel legame al recettore e nelle interazioni con gli
anticorpi, l’informazione sulla struttura di gp 120 è importante per comprendere l’infezione da HIV.
10
In figura 9 è riportata la struttura cristallina con 2.5Ǻ di risoluzione del core di gp 120 di HIV
parzialmente deglicosilata legata a due domini: al frammento del recettore cellulare CD4 e al Fab
(antigen-binding fragment) di un anticorpo, 17 b[12].A causa dell’estesa glicosilazione e della
eterogeneità conformazionale associata alla gp 120 dell’HIV, è stata progettata una strategia di
cristallizzazione diretta alla modificazione delle proteine di superficie tagliate nelle regioni
terminali ed in quelle variabili nelle diverse combinazioni con gp120, estesamente de-glicosilate, e
prodotto complessi con vari ligandi [13].
Dopo lo studio abbiamo ottenuto almeno 20 conformazioni di gp120 mutate con i ligandi come
complessi ternari costituiti da una forma tronca di gp 120, 2 domini N terminali del CD4 e una
porzione di fab estratto da un anticorpo monoclinale umano, il 17b[14, 15] (figura 10).
Figura 9. Glicoproteina gp120 del virus dell’HIV. PDB 1GC1 2,5 A di risoluzione. Struttura
della glicoproteina di superficie gp120 di un virus dell’HIV complessato al recettore CD4 e
l’anticorpo 17b.
11
Figura 10. Disposizioni spaziali della gp120 complessata con il frammento del CD4 e l’anticorpo
ottenuti tramite riarrangiamenti spaziali
La gp 120 cristallizzata riportata nella figura 11 ha subito la delezione dei residui 52 e 19
rispettivamente nelle estremità N-terminale e C-terminale e la sostituzione del tripeptide gly-ala-gly
nei residui 67 v1/v2 e 32 v3. Inoltre sono stati rimossi quasi tutti i gruppi di zucchero esistenti
Questa deglicosilazione priva la gp120 di circa il 90% dei carboidrati, ma trattiene più dell’80%
delle porzioni non variabili. La capacità di interagire con CD4 e gli anticorpi è uguale o simile a
quella della gp120 non modificata [14].
Figura 11. Complesso della gp120 con i domini CD4 e il frammento fab anticorpale.
12
In seguito ai cambiamenti conformazionali che avvengono a livello del legame di gp120 al recettore
CD4 e ai corecettori CCR5 o CXCR4, si assiste ad una ulteriore modificazione strutturale che
coinvolge la glicopoteina gp 41, con il conseguente risultato dell’esposizione sulla membrana virale
di una sequenza altamente idrofobica di amminoacidi che terminano il dominio o il peptide di
fusione [16, 17]. La successiva inserzione del peptide di fusione nella membrana cellulare rende
capace la gp41 di unire simultaneamente il virus e le membrane cellulari. Il processo di fusione
porta all’unione dei lipidi virali e di membrana e alla formazione di un poro di fusione attraverso
cui il core virale è trasferito nella cellula ospite. Infine si assiste alla dissociazione di gp120 dal
gp41 ancorata alla membrana e al riarrangiamento di gp 41 nella conformazione attiva di prefusione
[18]. Durante lo stadio chiamato di prefusione, una regione della molecola gp41 definita N36 è in
una conformazione ad α-elica e dopo il legame al recettore, un’altra regione di gp41, precisamente
C34, si comprime in un solco idrofobico. È stato dimostrato che per il processo di fusione è
importante il contributo di gp41, in particolare della sua parte N-terminale e che questo processo
avviene in seguito a cambiamenti conformazionali scatenati dal legame con CD4 e, probabilmente,
anche grazie all'attacco dell'ansa V3 di gp120 da parte di alcune proteasi cellulari. Queste modifiche
permettono l'inserimento della sequenza N-terminale di gp41, formata da aminoacidi apolari,
all'interno della membrana cellulare.
Sebbene la struttura di gp 41 originaria con conformazione precedente alla fusione sia disponibile,
sono state determinate importanti strutture ad alta risoluzione per l’estrema stabilità del dominio
attivo di fusione di questa proteina e per i virus simili a quelli dell’HIV. Queste strutture rivelano un
agglomerato di 6 alfa eliche un core consistente di 3 eliche N-terminali immediatamente adiacenti
all’N-terminale di gp41 e il peptide di fusione con 3 eliche C-terminali che chiudono l’estremità Cterminale dI gp41 posizionate al di fuori del core ed orientate in maniera antiparallela rispetto alle
eliche N-terminali [19]. (Figura 12 e 13).
13
Figura 12. Struttura di una micella legata al dominio di fusione della glicoproteina gp41 dell’HIV.
PDB 2ARI struttura NMR.
Figura 13. Rappresentazione del dominio di fusione della gp41.
14
4. recettori CD4, CCR5 e CCX4 e loro ligandi.
L’ ingresso virale può essere inibito da importanti inibitori delle interazioni gp120-CD4 come
accade con la molecola NSC13778 e altri in sperimentazione clinica. Piccole molecole antagoniste
dei recettori per le chemochine agiscono come inibitori dell’ingresso dell’HIV, queste interagiscono
sia con il corecettore CXCR4 come la chemochina SDF1-α, sia con il corecettore CCR5 il cui
legando naturale è MIP1- α e β e farmaci sperimentali come SCH-C [20].
L’interazione tra la gp120 del virus HIV 1 e il recettore CD4 è molto specifico e, secondo le analisi
di struttura cristallografica, implica un contatto relativamente piccolo sulla superficie di entrambe le
proteine (figura 14). Questa interazione molecolare rappresenta un eccellente target per farmaci
antivirali. Nello studio effettuato da Quan-en Yang et al ha dimostrato che un gruppo di piccole
molecole contenente antimonio pentavalente, NSC-13778 (Figura 15) e suoi analoghi, esercita un
potente effetto anti HIV. I composti competono con gp120 con il legame al CD4. NSC-13778 lega
un doppio dominio N-terminale nella proteina CD4 mediante residui di triptofano ed evita il
contatto tra il gp120 e CD4 e rappresenta quindi il prototipo di una nuova classe di inibitori
dell’ingresso del virus [21].
Figura 14. La gp120 (in rosso) complessata con il recettore CD4 (in giallo).
15
Figura 15. Struttura di una molecola sperimentale NSC-13778 che lega il recettore CD4 ed inibisce
l’interazione con la glicoproteina gp120.
La struttura monomerica di SDF1 alfa (stromal cell-derived factor-1alfa), ligando naturale per il
recettore associate a proteina G CXCR4 è stata studiata con spettroscopia NMR . Usando vari
peptici derivati dalle porzioni extracellulari N-terminali del recettore CXCR4 si è visto che i
principali determinanti del legame risiedono nei 17 residui N-terminali di CXCR4 con un contributo
maggiore che deriva dai primi 6 residui sono stati determinati i principali siti di legame nel tratto
comprendente. Durante l’interazione della chemochina SFD-1 si assiste a spostamenti chimici nella
porzione di recettore a livello dei residui N-terminali da un lato ed eliche C-terminali da un altro
[22] (Figura 16).
Figura 16. Struttura co-cristallizzata della chemochina sdf-1 e porzioni del recettore CXCR4 PDB
1VMC
Mip 1 beta è un membro della famiglia delle chemochine capace di legare il recettore delle
chemochine e quindi capace di inibire l’ingresso dell’HIV. Il residuo amminoacidico per il legame
con il recettore è Phe-13 che quando è mutato riduce la capacità di legame di più di 1000 volte per
comprendere gli effetti dell’assenza di tale residuo in MIP1 beta è stata dimostrata la struttura
tridimensionale tramite NMR. Si è osservato che mentre la proteina originaria formava un dimero,
16
la forma mutata rimaneva monomero fino ad alte concentrazioni portando a significative
cambiamenti negli spettri NMR. Questo fenomeno suggerisce che per o sviluppo di nuovi farmaci
anti –CCR-5 potrebbero includere molecole che contengono amminoacidi simili alla fenilalanina
[23] (Figura 17).
Figura 17. Struttura co-cristallografica del recettore ccr5 con la la chemochina MIP alfa. PDB
1JE4.
Il primo stadio dell’ingresso dell’HIV nella cellula è un possibile target dei farmaci ed è dipendente
dall’interazione tra CD4 e gp120 e il recettore per le chemochine CCR5. La naturale assenza
genetica in individui sani ha un effetto poco rilevante per quanto riguarda la risposta immune
mentre diviene un fattore di protezione contro le infezioni da HIV. Il knockout di CCR5 in topi ha
un inizia solamente con una scarso effetto sulla risposta immune perciò un antagonista specifico di
CCR5 potrebbe causare alcuni effetti collaterali basati sul meccanismo. Molti inibitori dell’ingresso
dell’HIV mediato da CCR5 si sono dimostrati prevenire l’infezione in vitro. Quesi includono
17
chemochine modificate, anticorpi monoclonali e una piccola molecola antagonista TAK779 che
lega una cavità presente nei domini transmmbrana di CCR5. Sono state descritte le proprietà di
SCH-C, una piccola molecola inibitrice dell’ingresso del virus HIV attraverso il corecettore CCR5.
SCH-C, un composto oxima-piperidina (figura 18), è uno specifico antagonista di CCR5. questo
composto inibisce specificamente l’infezione da HIV mediata da CCR5 in cellule di astroglioma ma
non ha alcun effetto sull’infezione delle cellule che esprimono CXCR4. SCH-C ha potente attività
antivirale in vitro contro colturali HIV isolato che usa CCR5 come corecettore per l’ingresso.
Inoltre il farmaco inibisce la replicazione del virus. Promette di essere un nuovo candidato per
l’intervento terapeutico nell’infezione da HIV [24].
Figura 18. Struttura chimica Schering C inibitore del corecettore CCR5.
18
5. Inibitori della fusione
Gli inibitori della fusione sono una categoria di farmaci scoperti di recente di cui, al momento,
l'unico esponente approvato dalla FDA è l'Enfuvirtide che determina il blocco del processo di
fusione del virus con la membrana della cellula ospite.
Figura 19. Struttura lineare dell’Enfuvirtide
Una terapia antiretrovirale efficace per trattare individui affetti da HIV potrebbe fallire per tante
ragioni inclusa la selezione di mutazioni geniche che conferiscono resistenza ai farmaci
antiretrovirali, scarsa aderenza o interruzione del trattamento per tossicità da farmaco.
L’Enfuvirtide ha un unico meccanismo d’azione che impedisce l’ingresso di HIV nella fase di
fusione della membrana. La potente attività antivirale, i profili di sicurezza e tollerabilità sono stati
dimostrati in combinazione con altri agenti. Questo nuovo meccanismo d’azione offre una bassa
incidenza di resistenza crociata con la classe convenzionale di farmaci antiretrovirali; la
distribuzione extracellulare indica che le interazioni tra farmaci e il metabolismo intracellulare
seguono strade diverse [25].
19
Quando HIV sta per legarsi al recettore della cellula ospite, si assiste ad un cambiamento
conformazionale di gp41 che culmina nella formazione di una struttura a tre foglietti β che funziona
da ponte tra il virione e la cellula da infettare.
Gp41 probabilmente si trava in una conformazione in cui la regione NHR delle tre molecole di gp41
è in alfa elica posizionando i peptici di fusione nell’inserzione della membrana di fusione.
Figura 20. Le conformazioni della gp 41 dell’HIV
membrane virale e della cellula ospite.
prima, durante e dopo la fusione delle
L’enfuvirtide è un peptide lineare costituito da 36 amminoacidi sintetici capaci di inibire l’ingresso
del virus nella cellula tramite il cambiamento transitorio conformazionale della porzione della
glicoproteina gp41 presente sulla superficie dell’envelope, che determina un blocco della regione
amino-terminale della gp41 ed impedisce la formazione dei tre foglietti [26].
L’enfuvirtide, in combinazione con altri agenti retrovirali, è indicato nel trattamento di pazienti con
infezioni da HIV di tipo 1 quando altri trattamenti sono falliti. Altri peptici ad azione simile
includono T-1249 che deve ancora essere approvato ed è in corso di sperimentazione clinica (figura
21).
20
Figura 21. Inibitore delle fusione: meccanismo d’azione. Enfuvirtide (T-20) è un peptide costituito
da 36 amminoacidi che legano la porzione extracellulare della glicoproteina gp41 presente
nell’envelope del virus prevenendo il completo cambio conformazionale che è richiesto per la
fusione e l’entrata del virus nella cellula.
Le membrane lipidiche giocano un ruolo chiave nel meccanismo d’azione biochimico
dell’enfuvirtide [27].
Malgrado gli studi e i trials clinici siano positivi e promettono bene tanto da portare ad una rapida
approvazione da parte della FDA per uso clinico, il meccanismo d’azione del Fuzeon (Enfuvirtide)
non è stato ancora chiarito a livello molecolare.
La presenza di residui di triptofano nell’enfuvirtide permette di utilizzare tecniche di fluorescenza
per provare e testare questa molecola senza bisogno di derivati chimici [28].
A causa delle caratteristiche anfipatiche delle membrane, l’enfuvirtide può interagire con le
membrane biologiche.
La diffusione dell’enfuvirtide fluorescente all’interno delle membrane lipidiche è relativamente
elevata e modulata dal colesterolo che lo rende disponibile per l’interazione con gp41. Non si
assiste a nessuna limitazione che previene o blocca il farmaco dal legame sia a livello nel mezzo
acquoso dove esplica la sua azione farmacologia, sia nelle membrane lipidiche che costituiscono
una sorta di riserva del farmaco stesso [29].
21
Diversamente da altri peptici basati sulla regione C terminale di gp 41, l’enfuvirtide manca della
sequenza di 8 amminoacidi (628-635) essenziali per l’associazione con la regione N-terminale.
L’enfuvirtide si inserisce nello strato più esterno del plasmalemma (lipidi non carichi) e resiste allo
spostamento mediato dalla repulsione dei lipidi carichi negativamente dello strato più interno.
Quando l’HIV sta per legare la cellula bersaglio, le modificazioni che avvengono a livello della
membrana lipidica del virus potrebbero rimuovere il farmaco; ciò non accade in quanto
l’Enfuvirtide è trattenuto dal colesterolo. D’altro canto per la capacità della membrana di interagire
con il farmaco potrebbe limitare l’interazione con la gp41.
E’ stato dimostrato che l’equilibrio di ripartizione tende a stabilizzare l’Enfuvirtide nel mezzo
acquoso quando avviene il legame a gp41 mentre il suo accumulo nelle membrane cellulari
rappresentano solo delle riserve che lo rendono prontamente disponibile per le successive
interazioni con i segmenti interessati della gp41, migliorando l’efficienza di inibizione della
fusione.
In particolare il meccanismo d’azione sembra essere secondario al legame dell’Enfuvirtide con
regioni ricche di leucina e isoleucina.
L’evoluzione genetiche di gp41 rivela un’importante esclusiva relazione tra i codoni 36-38-43 in
gp41 durante il trattamento cronico nella terapia con Enfuvirtide.
E’ possibile analizzare i cambiamenti genetici nella proteina gp41 in pazienti affetti da HIV con
viremia plasmatica conclamata che ricevono un trattamento a lungo termine con Enfuvirtide nello
studio di Carbrera et al sono stati presi in esame 13 casi in cui le sostituzioni in gp41 sono state
analizzate attraverso sequenze di base dopo l’inizio del trattamento con Enfuvirtide sono state
inoltre investigate le sequenze in evoluzione di cloni multipli di gp41 provenienti da 4 pazienti
selezionati. Si è osservato che le mutazioni nelle posizioni 36-38 di gp41 emergono rapidamente
(con una media di 10 settimane ) ma scompaiono successivamente nella maggior parte dei pazienti.
I cambiamenti amminoacidici non si accumulano nel tempo e non si hanno pazienti con più di 2
mutazioni dopo 6 mesi di trattamento. La mutazione del codone 43 non è osservata insieme ai
cambiamenti 36 e 38. l’analisi dei cloni mostra lo sviluppo indipendente di popolazioni virali con
mutazioni differenti. Da questo si evince una forte correlazione con la resistenza all’Enfuvirtide
associata a mutazioni che suggerisce come l’evoluzione genetica della gp41 sia un processo
dinamico e più complesso di quanto si pensi [30].
Essendo l’Enfuvirtide essendo un peptide non può essere assunto per bocca. Il farmaco è
somministrato mediante 2 iniezioni sottocutenee giornaliere a distanza di 12ore.
22
Ogni fiala contiene 90 mg di Enfuvirtide. Il più comune effetto collaterale è la reazione al sito di
iniezione. Associato a terapia antiretrovirale, riduce in modo significativo i livelli plasmatici
dell’RNA HIV-1 fino a 48 settimane [31].
L’Enfuvirtide presenta un piccolo volume di distribuzione (5.48l), ridotta clearance sistemica
(1.4l/h) ed un alto legame alle proteine plasmatiche (92%).
Meno del 17% dell’Enfuvirtide è convertita in una forma deaminata minimamente attiva. Dopo
somministrazione sottocutanea,
L’Enfuvirtide è quasi completamente assorbita. La biodisponibilità è alta ( 84.3% ) con un’emivita
di eliminazione di 3.8 ore, cosa che giustifica la doppia somministrazione giornaliera. La clearance
dell’Enfuvirtide è influenzata, in misura minore, dal sesso e dal peso corporeo, ma non necessita di
aggiustamenti posologici.
L’Enfuvirtide ha una bassa potenzialità di interagire con i farmaci che vengono somministrati in
modo concomitante. L’Enfuvirtide non influenza la concentrazione dei farmaci metabolizzati dal
citocromo P450 (CYP) 3A4, CYP2D6 ed ha solo un minimo effetto sui farmaci metabolizzati da
CYP1A2, CYPE1 o CYP2C19.
Sono in sviluppo altri farmaci aventi le stesse caratteristiche dell’enfuvirtide tra questi i più
importanti sono il T-1249, che è un inibitore della fusione capace di legarsi alla proteina gp41 sulla
superficie del virus e di impedire la capacità di infettare le cellule dell'organismo, legandosi ad una
regione della proteina gp41 leggermente differente da quella dell'Enfuvirtide (32).
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