07.17.10 - Sunto incontro Diploma[...]

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PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO
UFFICIO AFFARI ESTERI
Sede Nazionale : Corso Vittorio Emanuele II 326 – Roma 00186
Diplomatico Iraniano
Circolo Canottieri Aniene
Roma, Sabato 17 Luglio 2010
18.30 PM – 20.00 PM
Il titolo di Califfo viene attribuito ai successori di Maometto nella guida della
Comunità Musulmana. È dunque il sommo monarca dell’Islam dato che l’insieme di
tutti i paesi abitati da musulmani veniva concepito come una singola comunità,
un’unità politica sottomessa ad un unico sovrano musulmano. L’istituzione del
Califfato è immediatamente successiva alla morte del profeta avvenuta nel Giugno
del 632 d.C.
Maometto, è bene ricordarlo, non aveva provveduto ad indicare un successore né
come questa successione sarebbe dovuta avvenire. Lo stato che egli aveva lasciato ai
suoi seguaci non oltrepassava i confini dell’Arabia ed aveva come base la comunanza
della fede religiosa. Bisognava dunque trovare un uomo degno di succedere a
Maometto e proseguire la sua opera in qualità di capo dello stato.
Condizioni indispensabili per ricevere il Califfato sono l’essere di religione
Musulmana, l’appartenenza al sesso maschile, l’aver raggiunto la maggiore età,
essere di mente sana, di condizione libera e di discendenza Quraishita. Il Califfo
andava eletto e i suoi elettori scelti tra persone aventi autorità morale o ufficiale e
residenti a non troppa distanza dalla Mecca. Il Califfo, una volta in carica, acquista il
diritto di indicare il proprio successore che però deve anche esser gradito agli elettori.
I poteri del Califfo sono quelli di un monarca assoluto. La legislazione però, non vien
redatta da lui ma da dottori in scienze religiose chiamati Ulèma. Il diritto è concepito
dai musulmani ortodossi come espressione della volontà di Dio, conoscibile solo
attraverso lo studio approfondito dei testi sacri. Compito del Califfo è quello di
difendere la fede e fare rispettare la legge.
In quest’ambito, è uso dei Sunniti non porre altre condizioni per la scelta di chi deve
guidare la Comunità (Ummah). Chiunque sia capace di dimostrare di avere i requisiti
necessari per mettersi alla testa della società Musulmana può candidarsi a farlo.
I Sunniti non hanno approntato un meccanismo per eleggere il capo dell’Ummah. Nel
tempo si sono orientati verso una soluzione monarchica e per chi dovesse aspirare al
comando, avendone i giusti requisiti, qualsiasi mezzo è lecito per arrivarci.
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Come và gestita l’Ummah?
Fondamentale è che l’Ummah venga tenuta insieme. Non è consentito né dividerla
né frazionarla. “Dio è uno e Maometto è il suo Profeta” e “Allah non ama coloro che
creano disordine”: sull’assunto di questi due propositi si fonda il principio che regge
l’ assetto e l’architettura di tutta la Comunità. Dio è uno, l’Ummah deve quindi essere
una e in ciò riflettere e trasmettere il concetto dell’unicità di Dio, fondamentale per
ogni buon Musulmano. Cardini perenni ed irrinunciabili di questa struttura devono
essere i precetti trasmessi da Maometto in quanto recipiente del verbo divino.
I Sunniti non credono nell’innocenza dell’uomo. Nella loro visione teologica solo
Dio ed il suo Profeta sono innocenti in quanto, essendo puri, non possono cadere nel
peccato. Da come interpretano il Corano e gli Hadith non vi sono Santi nel loro
universo religioso. All’interno della famiglia Sunnita vi sono però alcuni gruppi
minoritari che pensano che il Profeta non abbia mai commesso peccati capitali, ma
solo peccati veniali. Altri ancora pensano che abbia potuto anche commettere dei
peccati capitali, ma pochi. È dunque possibile rivolgere delle critiche al Profeta, ma
non a Dio, che è del tutto sacro.
Per gli Sciiti il Profeta è totalmente innocente, privo di peccati, immune da errori e la
sua conoscenza, come anche quella di Dio, è pura. Ambedue sono permeati di
sacralità assoluta: nel campo dell’azione politica ne deriva che la sacralità equivale a
non andare oltre le decisioni di Dio e del Profeta e non superare i limiti da loro
stabiliti. Lo stesso vale per il concetto dei Santi: che siano 1, 3, 7 o 12, sono tutti
innocenti in assoluto e per principio.
Tornando al discorso iniziale, chi possiede le qualifiche ed i meriti necessari può
diventare capo dell’ Ummah, purché si impegni a:
1) Conservare l’unità dell’Ummah.
2) Rispettare i principi e i rituali dell’Islam. (Si tratta di tutta una serie di regole
che comprendono gli aspetti del comportamento sociale quali la preghiera, il
digiuno, la carità, il pellegrinaggio, i matrimoni, la Jihad, il commercio etc.).
L’Islam, infatti, è allo stesso tempo un sistema religioso, politico, sociale,
giuridico e militare che abbraccia ogni forma di attività del credente le cui
norme di condotta si fanno derivare, almeno idealmente, da una rivelazione
divina.
Dopo la morte di Alì, terzo Califfo e genero di Maometto, il mondo Musulmano
tende ad avviarsi verso una visione monarchica del potere. Il nucleo originale degli
amici e dei discendenti del Profeta è andato perdendo in importanza e non è più in
grado di mantenere l’esclusività nel confermare il nuovo Califfo. Per via della loro
saggezza anche gli anziani della Comunità possono adesso appoggiare il candidato.
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Per tenere insieme la società è innanzitutto necessario basarsi sul Corano e sugli
Hadith. Si tratta dei detti e delle opere del Profeta, così come tramandati da chi gli è
stato vicino e da chi ha avuto contatti con queste persone e ne ha poi riferito. È da
questi che viene ricavata la Sunna, o modo consuetudinario di agire di Maometto, che
deve servire da modello ad ogni credente. Col tempo, inevitabilmente, i Musulmani
sono entrati in contatto con altre culture e diverse civiltà. Come comportarsi nel caso
ci si dovesse imbattere in situazioni non descritte dal Corano e non contemplate dagli
Hadith?
Per i Sunniti, basandosi sulla conoscenza dei testi e sulla forza della fede, il credente
ha la facoltà di poter dedurre le risposte giuste. Non è dunque difficile affrontare
problemi nuovi ed imprevisti. I Faghih rappresentano quella categoria di studiosi
capaci di dedurre ed esprimere ciò che all’uomo è consentito o non è consentito fare.
Hanno un vasto campo d’azione nel quale esprimere questa loro facoltà. Fin
dall’epoca della Monarchia Ottomana, contribuivano a confermare i Califfi. Come si
svolgon oggi le cose?
Per i Paesi tradizionalisti, in particolare l’Arabia Saudita e quelli del Golfo, non è
consentito guardare oltre le tradizioni dei tempi di Maometto e dei primi quattro
Califfi. I Wahabiti hanno una visione estrema delle cose: per principio sono opposti
ad ogni confronto o compromesso con i tempi moderni. Il loro modello di società e di
comportamento deve rispecchiare quello dell’epoca del Profeta e dei successivi
quattro Califfi.
In Pakistan vi è una situazione particolare. Il governo non è di matrice religiosa e
spesso al comando troviamo dei militari. Tra il popolo, però, molti sono vicini ai
Salafiti, ai Wahabiti, ai gruppi intorno ad Al-Qaeda e ai Talebani. A parte i Salafiti,
contrari al modernismo, ma che non vedono la loro missione su questa terra come una
di sola lotta armata, per gli altri è imprescindibile opporsi all’infedele, al crociato, al
Grande Satana, all’arrogante oppressore del mondo Musulmano, con le armi e con la
guerra.
Questo aiuta a farci capire i motivi di certo Terrorismo. Si tratta di votare la propria
esistenza e le proprie azioni a una visione di ritorno ai tempi sacri dell’epoca del
Profeta. È una vera e propria guerra contro il modernismo, considerato come una
minaccia ai costumi della Comunità dei Fedeli e alle tradizioni dell’Islam: per tanto
va combattuto e possibilmente annientato. È un mondo popolato da laici, infedeli ed
eretici, percepiti come ostili e persino invasori, il cui scopo è quello di minare le
fondamenta dell’universo musulmano.
L’azione politica di questi estremisti tende a non scavalcare la posizione del Faghih,
o le sue decisioni, in quanto a conoscenza di ciò che riguarda Dio. Per il mondo che
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noi chiamiamo libero, questo pensiero politico mirante ad un ritorno ai modelli
originali dell’Islam è da prendere sul serio e va visto come una pericolosa minaccia.
Non tutti i membri della vasta comunità Sunnita sono contrari al cambiar dei tempi,
all’evoluzione dei costumi e ai progressi dei nostri giorni. Hanno un atteggiamento
pragmatico e realistico: per loro non vi è posto per una politica Islamica, il governo
migliore è quello secolare e la religione è appannaggio del credente. Per loro la
politica è un esigenza umana che ha poco a che fare con le cose di Dio. A seconda dei
tempi possono dunque variare le formule ed i meccanismi di potere. Per gli Sciiti la
religione ha due volti: uno interiore e l’altro esteriore. Nella loro visione, i Sunniti
rappresentano l’aspetto esteriore, la facciata nella quale tende a prevalere il rituale
piuttosto che l’essenza del sentire religioso. Secondo questo punto di vista, e ciò è
particolarmente vero per i seguaci del XIImo Imam, la politica è un attività divina ed
è Dio a scegliere e investire la Guida cui affidare le sorti della società musulmana.
In Paesi asiatici come Indonesia, Malesia e Thailandia, in quel mondo Arabo che ha
conosciuto il socialismo, come Egitto, Iraq, Algeria e Siria o in quei Paesi che hanno
avuto stretti contatti con l’Occidente come Giordania e Tunisia, i Faghih hanno una
funzione unicamente religiosa e si dedicano alle cose che riguardano il rituale.
In Paesi dai governi secolari quali il Pakistan e l’Afghanistan, i Faghih mantengono
tuttora un ruolo fondamentale che va ben oltre l’aspetto rituale delle cose. Bin Laden,
i Talebani, quelli della divisione Tyabei, alcuni gruppi Yemeniti, prendono tutti
ordini dai Faghih, che tendono ad assumere un ruolo essenzialmente politico. In Paesi
retti da regime monarchico, come Arabia Saudita, Oman, Dubai, Abu Dhabi, i Faghih
sono allineati al potere e appoggiano la Monarchia: hanno un ruolo politico che li
porta a sostenere l’ordine costituito.
Nel mondo Sunnita, possiamo dunque dire che vi sono tre tipi di regimi:
- Quelli Monarchici e conservatori che mantengono un rapporto di reciprocità coi
Faghih.
- Quelli Secolari nei quali, paradossalmente, i Faghih hanno un ruolo ed un’influenza
ancora più importante, che tende a trascendere l’aspetto rituale delle cose, per
assumere una fortissima capacità di condizionamento politico.
- Quelli Musulmani moderni o non Arabi, nei quali l’operato dei Faghih si concentra
essenzialmente sugli aspetti del rituale.
Passiamo adesso a parlare degli Sciiti che attraverso la storia si son sempre trovati ad
essere minoranza. Nel mondo Arabo le comunità più numerose si trovavano in quelli
che oggi sono Iraq e Libano. È da quest’ultimo Paese, principalmente dalla regione di
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Jabal Amel, che provenivano molti dei Faghih Sciiti. Un importante comunità era
presente anche in Siria ed è oggi quella degli Alawiti. Gli Sciiti non hanno mai
veramente avuto potere sufficiente per creare un governo. Unica eccezione la Persia,
nella quale si poteva incontrare qualche raro caso di autonomia locale, e l’Egitto dei
Fatimidi. È solo all’epoca dei Safawidi, nel XVImo secolo, che si è potuto assistere
alla nascita di un governo Sciita in seno al mondo Musulmano. Ciò spiega perché
prima di quel tempo non vi fosse una vera e propria teoria di governo Sciita.
Come visto in precedenza, e al contrario dei Sunniti, gli Sciiti credono nella figura
del Santo: ne deriva che per loro sono validi anche tutti gli Hadith di questi Santi.
Questo è importante perché mentre i Sunniti basano le loro decisioni su sei libri di
Hadith, gli Sciiti ne hanno a disposizione intorno ai trecento. Ciò consente ai loro
Faghih di poter trarre un numero assai superiore di deduzioni e di trovarsi
avvantaggiati di fronte al sopraggiungere di avvenimenti nuovi ed inaspettati:
possono infatti ancorare le loro prese di posizione all’esistenza di un numero assai
maggiore di Hadith. Da qui una teologia ed una giurisprudenza complicatissime che
aiutano a spiegare l’importanza determinante del ruolo del Faghih nella comunità
Sciita. Nulla da stupirsi, perciò, se nell’Iran contemporaneo si trovano ad avere un
ruolo di fondamentale importanza.
Gli Sciiti, che nella loro maggioranza credono all’esistenza di dodici Santi, non
hanno una visione delle cose che li porti ad essere inclini ad un ritorno al passato, ai
tempi del Profeta e dei primi Califfi. Fondamentale per loro è preparare il mondo al
ritorno dell’ultimo Santo (Mahdi), il quale apparirà sulla terra per conquistare il
mondo intero e sterminare tutti gli infedeli che rifiuteranno di convertirsi all’Islam.
Egli si presenterà di fronte al mondo anche per sradicare l’oppressione e stabilire un
ordine di giustizia divina e perfetta. Si tratta di una visione messianica ed apocalittica
del futuro. Resteranno solo Ebrei e Cristiani, in quanto seguaci del Libro.
Ogni buon Sciita ha come compito principale quello di preparare il terreno a questo
avvento. Per farlo deve innanzitutto combattere contro l’invasore infedele e
oppressore dell’Islam, gettando le basi per la Jihad finale che corrisponderà al ritorno
dell’Ultimo Santo. Nell’opinione di alcuni Sciiti – si tratta di una corrente interna a
coloro che credono nei dodici Santi – una volta giunto, il Mahdi non eliminerà
fisicamente tutti gli infedeli, gli atei e gli eretici, ma li convertirà persuadendoli con il
Verbo.
Per coloro che credono nei tre (Zaiditi) o nei sette Santi (Ismailiti), l’ultimo Santo è
nascosto e riapparirà alla fine dei tempi insieme a Gesù e Maometto per incoraggiare
gli altri popoli a convertirsi all’Islam. Per capire ciò che avviene oggi in Iran è
fondamentale rendersi conto che nel corso della sua storia, l’Occidente è riuscito a
separare la filosofia dalla religione. In Iran questo processo di differenziazione non è
ancora avvenuto: questi sono imprescindibili l’uno dall’altro e non è difficile trarne le
dovute conseguenze.
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In Siria la minoranza Sciita crede nel Primo Santo, Alì. Da quì il termine Alawita. In
Yemen, Etiopia, parte del Bahrein, Oman, parte della Cisgiordania viene seguita la
dottrina del terzo Santo. In Iraq, Kuwait, Qatar, Abu Dhabi, Libano è la credenza nel
Settimo Santo a venir privilegiata tra gli Sciiti. In Iran, Libano, resto del Bahrein,
Arabia Saudita la maggioranza della comunità Sciita (Imamiti) segue la dottrina del
Dodicesimo Santo. Dello stesso credo sono animate le minoranze in Adzerbaijan,
Turkmenistan e Tajikistan.
Il mio ospite si avvicina alla conclusione informandomi che in Iran vi è una gerarchia
di Faghih, fondata su diversi ranghi. Vi è quello in grado di conoscere i
Comandamenti di Dio, ma solo in alcuni settori; vi è quello in grado di conoscere la
volontà divina in tutti i suoi aspetti, il Grand Ayatollah; vi è infine quello dotato di
elevate conoscenze politiche per via della sua attitudine a unire politica e religione. È
il Valie Faghih.
Per quello che riguarda la dottrina dei Santi, Dio ha mandato la rivelazione a
Maometto, che è perciò in grado di parlare per suo conto. Questo non ha voluto
concedere ai Faghih che non possono dunque trasmettere il suo verbo, ma sono però
innocenti in quanto privi di peccato. Quando una persona è immune dal peccato ha
come dono quello di percepire la verità di Dio. Ciò che impedisce a noi uomini di
essere puri è il peccato. Nella visione Islamica delle cose, l’uomo è come uno
specchio: se innocente riflette la conoscenza di Dio, altrimenti il peccato gli fa da
velo e gli impedisce la visione e la vera conoscenza di Dio.
Il tempo a nostra disposizione è scaduto. Ci salutiamo e decidiamo di rivederci tra
una settimana per proseguire questo nostro viaggio all’interno del mondo dell’Islam.
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