BATTAGLIE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Battaglia di Liegi

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BATTAGLIE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Battaglia di Liegi
5-16 Agosto 1914
Gli avversari
Gérard-Mathieu Leman - Generale belga (Liegi 1851 - ivi 1920)
Sostenne una campagna vivacissima per l'ammodernamento delle opere della piazzaforte di Liegi
(1911-13), e infine ne fu incaricato. Benché i lavori non fossero finiti, Leman seppe difendersi con
abilità contro i 120.000 soldati tedeschi di O. von Emmich (agosto 1914), poi dovette ritirarsi sulla
Mosa, dove resistette ancora diversi giorni. La sua figura presto assurse a simbolo della resistenza
del Belgio durante la prima guerra mondiale.
Albert Theodor Otto von Emmich (Minden, 4 agosto 1848 - Hannover, 22 dicembre 1915) è
stato un generale tedesco della prima guerra mondiale.
Entrò nell'esercito nel 1866 e partecipò alla guerra franco-prussiana del 1870-71. Raggiunse il
grado di generale di fanteria nel 1909, e nel 1912 fu posto al comando del X Corpo d'armata con
sede ad Hannover.vFu elevato alla nobiltà nel 1913. Durante i primi giorni della guerra, nel 1914,
comandò l'Armata della Mosa alla battaglia di Liegi, città in cui entrò il 7 agosto. Per il successo
conseguito ricevette, primo durante il conflitto, la decorazione Pour le Mérite. Ebbe quindi una
parte nella Prima battaglia della Marna, sempre al comando del X Corpo d'armata. L'anno
successivo conseguì un'importante vittoria sul fronte orientale a Biskupice (29-30 luglio 1915). Lo
stesso anno morì improvvisamente ad Hannover. Ad Hannover si trova una piazza a lui dedicata,
così come una caserma, un tempo scuola ufficiali dell'esercito e successivamente scuola dei
Feldjäger.
La genesi
Qualcosa di piu' di una singola vittoria morale per gli alleati venne colta dal piccolo Belgio con la
battaglia di Liegi nella quale, la resistenza prodotta per dodici giorni (5-16 agosto 1914) porto'
perdite sorprendentemente molto pesanti per la forza d'invasione tedesca da parte dei combattenti
belgi in pesantissima inferiorita' numerica. Il Belgio è uno di quei paesi moderni formatisi dalla
convenienza politica. Sulla base delle antiche province del sud Paesi Bassi, le Fiandre e le aree
valloni di Artois, è stato istituito come una barriera tra la Francia, i Paesi Bassi e gli stati che si
andarono ad unire per formare la nazione tedesca. La neutralità belga venne garantita dal trattato
del 1839, firmato da tutti i paesi che alla fine sarebbero diventati i principali belligeranti della
Grande Guerra del 1914-1918. Negli ultimi decenni del XIX secolo, la fortuna belga ando'
crescendo. Capitalizzando la sua posizione nel cuore dei traffici europei, come luogo di scambio
internazionale, e le grandi fonti di ricchezza naturale come carbone e ferro, la sua popolazione
crebbe esponenzialmente e il suo benessere economico sboccio' negli anni appena antecedenti
alla guerra. Militarmente, si credeva, da parte delle grandi potenze del tempo, che le forze belghe
fossero di poco conto, perché, praticamente, non aveva nessun esercito vista la sua perpetua
neutralita'. Nel corso di tutte le crisi diplomatiche degli inizi del XX secolo, il Belgio rimase sempre
in disparte, concentrandosi piu' sullo sviluppo delle sue recenti acquisizioni in Africa centrale, tra le
piu' ricche dal punto di vista minerario dell'intero continente, e per far rendere al massimo il suo
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periodo d'oro industriale. In quel momento, quindi, aveva ben poco senso una qualsiasi azione
militare imminente da parte belga. In questa accogliente atmosfera, gli organi diplomatici belgi non
riuscirono a sensibilizzare il proprio governo sul fatto che la sicurezza nazionale si stava
progressivamente indebolendo in quanto continuava ad affidarsi alle tradizionali garanzie date
dalla neutralità. L'ambasciatore francese a Bruxelles veniva sempre più isolato, soprattuto in
seguito al fatto che sia il Ministero degli Esteri belga che gli esponenti dell'alta società stabilirono in
maniera crescente sempre piu' trattati con enti tedeschi. Tutto questo porto', nel 1910, la Germania
a superare la Francia come il più importante partner commerciale del Belgio. 'La Belgique
Moderne', pubblicato nel 1910 dal francese Henri Chauriaut rimarcava la rapidità della
penetrazione culturale tedesca nella vita belga. Particolarmente i cattolici fiamminghi erano molto
impressionati dalla disciplina e dalla moralità tedesca. Intellettuali belgi cominciarono allora a
passare più tempo in Germania che alla Sorbona, a Parigi. Inevitabilmente cosi' la politica e
l'opinione pubblica belaga erano, negli anni immediatamente prima della guerra, molto protedeschi. Solo una categoria rimasta fermamente pro-francese: la classe ufficiale. Essi infatti
ereditavano la lingua e la cultura francese, e fu da questa classe che emersero gli avvertimenti,
che si dimostrarono corretti, a proposito dei pericoli della crescente influenza tedesca.
L'impreparazione dell'esercito belga
E 'stato in gran parte grazie al Re Leopoldo II e Albert che il Belgio riusci' ad avere un tipo di
esercito efficace per il 1914. I due re non solo erano nella posizione di essere forti monarchi
costituzionali sostenuti da successioni di deboli governi nazionali, ma soprattutto, erano,
costituzionalmente, i comandanti in capo delle forze armate. Leopoldo aveva agito
responsabilmente, in seguito alla guerra del 1870 e considerando l'evidente crescita della potenza
tedesca in Europa, fece partire sia la costruzione delle fortezze sulla Mosa, a Liegi e Namur, sia
una legge che decretava la crescita dell'esercito con un sistema di servizio nazionale che
coinvolgeva oltre 100.000 uomini. Il paese non riusci' a rispondere efficacemente al decreto, cosi'
un ulteriore legge venne approvata nel 1902, affidando la responsabilita' principale della difesa ai
volontari. A dispetto di un forte sostegno democratico-cristiano per l'espansione militare, il partito di
governo cattolica vacillava. Il popolo belga non erano militarista, e c'era poco, in termini di
propaganda interna che li 'invogliasse' in quel senso.
Un'altra legge venne approvata nel 1909, questa volta limitando servizio ad un figlio per famiglia.
In questo modo, e insieme ad altri tipi vari di 'incentivi', che potevano abbreviare il periodo di
servizio, l'esercito poteva contare a quel punto su circa 33.000 elementi per ogni anno. La durata,
proposta, del servizio differiva dall'arma di appartenenza, ma in tutti i casi era lunga appena per
formare un uomo, figuriamoci per dargli un'esperienza militare importante:
. Fanteria 15 mesi
. Artiglieria 21 mesi
. Cavalleria 24 mesi
Tutti gli uomini erano poi tenuti in riserva attiva, per un servizio totale di 15 anni.
Nel 1912, il capo del governo cattolico, Charles de Broqueville (che si era unito alla Camera nel
1892 come un anti- militarista, e che poi nel 1909 non approvo' la legge sulla coscrizione)
annuncio' che una riforma militare profonda era necessaria per la nazione belga. Era una copia del
piano di espansione dell'esercito tedesco relativa allo stesso anno, ma, ovviamente, ridotta nelle
dimensioni. Nel 1913, la clausola che portava solo un figlio per nucleo familiare in servizio venne
revocata. Secondo autorevoli storici e' stato calcolato che ci sarebbe voluto almeno fino al 1918
per avere a disposizione un esercito di 340.000 uomini ben addestrati, numero di riferimento
considerato come minimo necessario per difendere il paese da un attacco serio.
L'esercito belga nel luglio 1914 era forte di circa 190.000 unita' ed organizzato come un esercito di
campo con sei divisioni, più le guarnigioni delle fortezze situate su Anversa, Liegi e Namur.
L'esercito contava su circa 14.000 soldati professionisti in ferma, mentre il resto era diviso tra unita'
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in servizio di leva e riserva. È interessante notare che l'esercito belga nel 1839 era composto da
ben 100.000 uomini, potendo contare pero' sulla meta' della popolazione rispetto al primo
decennio del XIX secolo). Gli effetti delle leggi militari sul rafforzamento dell'esercito, furono
comunque di forte impatto, come può essere visto nella composizione di questa lista in cui
vengono indicati le forze in aggiunta anno per anno dell'esercito belga:
. 1906-9 13.000 uomini all'anno
. 1910 - 17.000 uomini all'anno
. 1911 - 19.000 all'anno
. 1912 - 21.000 all'anno
. 1913 - 33.000 all'anno
Così, con un potenziale totale di 144.000 uomini disponibili per l'esercito circa 40.000 non
divennero reclutabili nell'agosto 1914 per vari motivi. Circa 104.000 uomini servirono nell'esercito
nel 1914, a cui vanno aggiunti i 14.000 soldati regolari del tempo. Inoltre, le fortezze di Liegi,
Namur e Anversa eranop presidiate da 5.000 elementi fissi come guarnigione oltre ai 60.000
'anziani' delle classi 1899-1905. Il saldo del totale, prima riportato (190.000) era composto da
personale, ufficiali e unità di supporto vari. L'armamento e le attrezzature dell'esercito riflettono
decenni di rigorose attenzioni al budget finanziario. In tutto erano disponibili solo 93.000 fucili e
6.000 spade, dato di suo già abbastanza grave in considerazione degli effettivi, ma il vero
problema in termini di armamento era rappresentato dalla scarsità di artiglieria. C'erano solo 324
cannoni oltretutto obsoleti, e un misero numero di 102 mitragliatrici. Un decreto del 15 dicembre
1913, emesso come reazione all'aumento delle tensioni e alla chiara intenzione di Re Alberto di
adottare una posizione difensiva neutrale, faceva partire ordini per le moderne apparecchiature di
artiglieria. Gli ordini di artiglieria pesante vennero affidati all'azienda Krupp, in Germania. Inutile
dire che, Krupp ritardo' le consegne e quindi, i belgi scesero in campo con un solo tipo di arma che
rientrava nei parametri di moderna artiglieria leggera e comunque con un quantitativo minimo. Ma i
problemi non erano finiti. Non c'era praticamente nessun mezzo di trasporto meccanizzato,
l'esercito si basava ancora sul cavallo; c'erano anche gravi carenze per il genio militare,
attrezzature minori e persino uniformi, tant'e' che l'amministrazione non riusci' ad attrezzarsi per
l'espansione delle classi 1913 e 1914.
Mentre la crisi 1914 si andava accentuando, un osservatore neutrale, che avesse dovuto valutare
la capacità dell'esercito di difendere il paese, avrebbe trovato poco spazio all'ottimismo in campo
belga. In primo luogo, vi erano disaccordi ai massimi livelli sulla strategia da adottare, anche se
quasi tutti erano d'accordo sulla posizione neutrale difensiva. Certo, si andava incontro alla
probabilità di essere invasi da Germania e Francia, ma le due superpotenze intendevano scontrasi
con le strategie che erano tutt'altro che segrete. Queste divergenze, negli altri quadri militari belgi,
permase ancora nell'inoltrato anno 1914. Allo scoppio della guerra infatti, non una decisione
significativa era stata presa sul dispiegamento dell'esercito, indipendentemente che il Belgio fosse
attaccato dalla Germania o dalla Francia. Il governo di de Broqueville si aggrappava ostinatamente
alla speranza che fossero rispettati i trattati di neutralità, fino al momento in cui le truppe tedesche
stavano attraversando il confine. In campo belga, non è stato semplicemente compreso cosa
sarebbe successo quando le garanzie del 1839 sarebbero diventate senza valore.
De Selliers de Moranville, Capo di Stato Maggiore a partire dal 25 maggio, propose di concentrare
tutto l'esercito nelle fortezze di Anversa, Liegi e Namur lasciando solo una parte delle forze come
schermo per ritardare le avanzate nemiche. De Ryckel, aiutante generale, era invece favorevole
ad una politica che guardasse ad un forte presidio delle frontiere, soprattutto di fronte a Liegi, per
poter verificare le forze d'invasione, e solo allora cercare di ripiegare su Anversa, se ritenuto
necessario. Il re Alberto stabilì allora che: l'esercito si doveva concentrare sulla riva sinistra della
Mosa, preparare una seconda linea lungo il Gette, ed avere base su Anversa. Le decisioni finali
vennero adottate il 2 agosto, quando i tedeschi stavano gia' espandendosi in Lussemburgo.
Accanto alla preoccupazione per la strategia vi era la preoccupazione per la condizione
dell'esercito belga stesso. Esso infatti non aveva mai combattuto, e praticamente tutta la sua
efficacia era concentrata sul buon funzionamento delle guarnigioni di fortezza. Gli ufficiali avevano
mai comandato grandi corpi di uomini in campo aperto. Erano anche, nella maggior parte dei casi,
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terribilmente in contatto con gli uomini, la maggioranza dei quali parlavano fiammingo, non il
francese della classe ufficiale stessa. Gli ordini militari invece continuavano ad essere dati solo in
francese, il che, aggiunto al dato che oltre il 10 % dei soldati semplici erano analfabeti, creava un
certo disangio nella catenda di comando. Infine, l'esercito belga era in fase di riorganizzazione,
con molte unità, brigate, divisioni e personale in via di cambiamento. Questo stato di incertezza
amministrativa esisteva ancora quando i tedeschi marciarono sul Belgio nel mese di agosto del
1914.
Piano Schlieffen contro Piano XVII
La posizione militare del Belgio è stata inevitabilmente dettata dalla posizione geografica e politica,
in bilico tra le due super-potenze Francia e Germania, che avevano previsto due piani strategici
bene definiti tempo prima dell'apertura del conflitto.
La strategia militare francese in Europa era sostanzialmente guidata da due forze:in primo luogo,
un appassionato desiderio di riconquistare i territori dell'Alsazia e della Lorena, che erano stato
ceduti a buon mercato ai tedeschi dopo il famoso conflitto del 1870; queste due regioni erano state
intensamente germanizzata, provocando la repulsione dei francesi, inoltre erano, e sono ancora
oggi, ottimi settori per l'agricoltura e l'industria. Per le terre tedesche ad ovest del fiume Reno
quelle zone erano di immensa importanza tattica poiche' erano regioni industriali di assemblaggio
materiali per le truppe, e rappresentavano quindi un bersaglio ovvio per una potenziale offensiva
francese. In secondo luogo, l'esercito francese era diventato ossessionato da una dottrina militare
che si basava quasi esclusivamente sull'attacco - specialmente l'idea di attacco a oltranza, con
stile, con energia, con uno slancio. Questa idea era relativamente nuova, ma era sviluppata a
partire dal 1900, guidata dall'insegnamento di Foch e altri presso le scuole ufficiali. Prima di allora,
la strategia francese era stata fortemente marcata dal difensivismo, strategia che aveva portato
alla costruzione delle fortezze di confine a Maubeuge, Belfort, Verdun, Toul, Epinal e in altre
località.
La nuova dottrina porto' inesorabilmente alla mancanza francese nell'organizzazione difensiva, e
all'assenza di una formazione su come affrontare un nemico che avesse resistito e contrattaccato
a sua volta. Questo tipo di mancanza stava per costare caro ai francese nei primi anni della
guerra, particolarmente nei primi scontri lungo la frontiera. I piani francesi pertanto collocavano un
gran numero di truppe in grado di aggredire l'Alsazia e la Lorena, con il centro di gravità
dell'esercito che ruotava di fronte Metz. La prima e la seconda armata, sotto generali Dubail e de
Castelnau, sarebbero state dirette verso Colmar, Strasburgo e Metz. I francesi, naturalmente,
sapevano che i tedeschi avrebbero attaccato la Francia appena avuta l'opportunità, e volutamente
lasciato aperto un canale - i trouée de Charmes - per loro di farlo. Un ampio spazio è stato lasciato
tra la Seconda Armata, e la Terza Armata del generale Ruffey di fronte Longwy e al Lussemburgo.
Si ipotizzava quindi che i tedeschi sarebbero stati indotti a entrare nel varco, e quindi trattenuti
nella zona e distrutta dai forti intorno a Verdun. Il resto dell'esercito prese posizione lungo il confine
con il Belgio a nord fino alla vecchia fortezza di Maubeuge, rimanendo sulla difensiva, mentre la
Prima e la Seconda armata dovevano avanzare, attraverso le Ardenne. I belgi avevano quindi
ragione a preoccuparsi tanto di un attacco sia da ovest che da oriente. La pianificazione francese
pero' non considerava che i tedeschi potessero avanzare attraverso le regioni settentrionali del
Belgio (anche se va detto che, Michel, predecessore di Joffre come comandante in capo, aveva
postulato questo possibilita' che venne ritenuta assurda e divenne una delle cause della sua
destituzione). Le distanze erano troppo lunghe, secondo i francesi, perche' potesse essere
praticata quell'ipotesi, e, naturalmente, violava la stessa neutralità che il suo stesso paese aveva
firmato per prima. Quindi solo un sottile schermo di protezione venne lasciato tra Maubeuge e la
costa nei pressi di Dunkerque. Il piano francese era di grande semplicità e, a parte piccole
modifiche particolari, rimase invariato fino all'inizio delle ostilita'. L'ultima revisione del 1912, era il
Piano XVII.
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Ma l'Intelligence tedesca conosceva, per grandi linee, le intenzioni francesi, fin dal 1897. Fu in
questo anno che von Schlieffen, Generale del capo di Stato Maggiore tedesco, aveva trovato il
coraggio di articolare la ovvia risposta militare per l'alleanza franco-russa del 1893. Non poteva
combattere e battere entrambi contemporaneamente; quindi, contando sulla tradizionale
incompetenza russa e sulla loro incapacità di mobilitarsi in massa a causa della mancanza di un
sistema ferroviario sufficiente, poteva contare su un breve periodo di tempo in cui per battere il
nemico francese. I tedeschi potevano contare sui benefici degli ottimi sistemi ferroviari laterali che
vennero costruiti per spostare masse di truppe da una potenziale Francia conquistata fino in
Oriente, per battere in seguito i russi. Ma il confine franco-tedesco non era l'ideale per un grande
assalto. Gran parte di esso era collinoso, e i francesi avevano lasciato un ampio divario di fronte a
Verdun, troppo evidente per attaccarlo in sicurezza. Quindi, solo 40 chilometri circa di fronte erano
ideale per l'assalto, uno spazio non sufficiente per un attacco di massa e potenzialmente
pericoloso perche' poteva lasciare il fianco troppo esposto ad un potenziale contrattacco francese.
No, la risposta è stata di muoversi attraverso il Belgio, e marciare su Parigi. Politicamente
impossibile, sembrava a von Schlieffen che la possibilità di accerchiamento da parte dell'Alleanza
ne giustificasse l'azione. Più tardi, appena nell'Alleanza, divenuta Triplice Intesa, si uni' l'Inghilterra,
la giustificazione per l'invasione belga era definitiva. La macchina della propaganda tedesca
comincio' a suggerire all'opinione pubblica, che quei paesi non ancora allineati, come il Belgio,
francesi e inglesi non avrebbero esitato a usarli come loro aufmarschgebiet, o zona trampolino di
lancio, per un assalto diretto alla stessa Germania. Così, naturalmente , era solo per motivi di
difesa che la Germania avrebbe invaso il Belgio.
Il piano di Von Schlieffen seguiva quindi queste linee guida: l'esercito avrebbe colpito duro e
veloce contro la Francia, in un movimento che puntasse direttamente da Nord verso Parigi.
Qualora fosse andato tutto bene, l'esercito avrebbe continuato il suo movimento in senso antiorario
per piombare alle spalle sul grosso dell'esercito francese soprattutto se quest'ultimo fosse, anche
di poco, avanzato in Lorena, visto che i tedeschi avrebbero lasciato una forza molto leggera
numericamente parlando a sud di Metz. Per assicurarsi la vittoria, ci sarebbero tre volte il numero
di uomini sulla fascia destra tedesca rispetto alla propria sinistra. A questo punto il piano per
l'occupazione del Belgio, diveniva fondamentale; il progetto era semplice - mettere fuori
combattimento i forti di Liegi e Namur e andare avanti il piu' rapidamente possibile. Fondamentali
in questo progetto erano la cattura delle ferrovie, di Bruxelles e la presa di Anversa come varco
aggiuntivo, utile per un ulteriore accesso al mare del Nord. Non c'era proprio nessuna possibilità
che le sei divisioni dell'esercito belga, così scarsamente attrezzate e organizzate, potessero
rivelarsi una minaccia per le potenti armate teutoniche. Gli eserciti di Von Kluck, Von Bulow e Von
Hausen dovevano, secondo i piani, muoversi rapidamente in avanti, superando in velocita' le
resistenze belghe, per poi catturare Parigi. Ma i tedeschi non si reserono conto che, al fianco dei
belgi, ci sarebbe stata anche la British Expeditionary Force, posizionata di fronte a Maubeuge sulla
sinistra dello schieramento francese. Questa disposizione del BEF fu una vera sorpresa per tutti, lo
stesso Parlamento britannico non ne sapeva nulla fino a all'ultimo minuto, e d'altronde non c'era
ragione di preoccuparsi da parte parlamentare, anche qualora fossero stati a conoscienza
dell'operazione. Infatti quattro divisioni di un esercito a cui erano state date alcune dure lezioni dai
boeri a pochi anni prima, avrebbero avuto un piccolo impatto sulle operazioni tedesche.
Spregevolmente piccolo, come disse il Kaiser.
Ma sopra ogni cosa, la debolezza del Piano Schlieffen stava nella rigidità del calendario, sia nella
tempistica programmata per catturare Parigi (operazione quasi riuscita), sia nella sottovalutazione
delle difficoltà di approvvigionamento e di comunicazione delle forze finora in avanzamento. In
definitiva, questi problemi, furono i responsabili del fallimento del Piano Schlieffen. Le forze alleate
potevano spostare le truppe sul fronte, grazie all'uso della ferrovia, molto più velocemente di
quanto i tedeschi potevano fare, senza contare la possibilita' di inviare rapidamente rifornimenti
alimentari ed eventuali truppe di riserva. Inoltre, fattore forse ancora piu' critico, l'isolamento di
Moltke dalla linea del fronte, visto che era arrivato non lontano da Parigi, porto' ad una seria ad
una serie di decisioni sbagliate e di un indebolimento importante delle forze tedesche nel
quadrante a nord. Sfruttando le lacune nel sistema tedesco, francesi ed inglesi furono in grado di
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terminare rapidamente la guerra di movimento paventata dagli avversari dando inizio alla statica
guerra di trincea.
Con l'intensificarsi della crisi, nell'estate del 1914 , sia Piano XVII e il piano Schlieffen
cominciarono ad essere attuati. Un enorme numero di uomini vennero mobilitati e iniziarono a
prendere posizione. Il 27 luglio, il Belgio cerco' di correre ai ripari richiamando i 33.000 uomini della
classe 1913 , che erano andati in congedo il 10 luglio. Il 31, venne proclamata la mobilitazione
generale, dopo l'annuncio tedesco di Kriegsgefahrzustand alle 13:30 di quello stesso giorno. Il 2
agosto, i tedeschi occuparono il Lussemburgo, senza incontrare alcuna opposizione. Parti' cosi'
l'ordine, a tutti i posti di frontiera lungo tutte le frontiere belghe, di aprire il fuoco contro tutte le
truppe nemiche che cercassero di attraversare il Belgio. Lo stesso giorno, l'ambasciatore tedesco
a Bruxelles si presento' al Ministero degli Esteri belga, con una lettera, o meglio, con un ultimatum.
Con il pretesto che la Francia stava per attaccare il Belgio, infatti, i tedeschi chiesero il libero
passaggio attraverso il territorio belga. La richiesta, o ultimatum, venne brevemente discussa dal
Governo belga, che un'ora più tardi la respinse all'unanimità. Il 3 agosto, i francesi iniziarono le
ostilità contro la Germania, e Joffre ordino' al VII Corpo di andare avanti per catturare Mulhouse.
(Per inciso, il comandante dello stesso VII, il generale Bonneau, tergiverso', impiegando due giorni
per raggiungere la città - che era a soli 15 chilometri dalla sua base - e trascurando
successivamente ricognizioni e fortificazioni difensive, perdendo cosi' la stessa citta' appena due
giorni dopo). I tedeschi, subito dopo l'occupazione, trasferirono ancora più uomini in Lussemburgo.
Fu solo in questo giorno che il quartier generale belga decise finalmente come schierare il proprio
esercito. La 3a Divisione del generale Leman venne dislocata a Liegi, la 4a, sotto Michel, a Namur,
per la difesa ad oltranza. La 1a Divisione lasciò Gent per Tienen, la 2a passo' da Anversa a
Leuven, la 5a da Mons a Perwez, e la 6a passò a Wavre, provenendo dalla capitale. All'alba del 4,
vennero inviati gli ordini alle unità tedesche avanzate: dovevano eseguire il passo successivo del
Piano Schlieffen, ossia la distruzione o la cattura di Liegi. Unità tedesche attraversarono il confine
con il Belgio, in sei punti diversi. Un telegramma venne inviato da un piccolo presidio di confine
belga: << dalla 34a Brigata a Gemmenich al generale Leman, comandante della 3 Divisione, a
Liegi: 'Le terroire Belge avait été envahi par les troupes Allemandes!' >>.
La battaglia
Liegi era completamente circondata da dodici forti, situati ognuno ad una distanza approssimativa
di 7 km dal centro, sei per ogni banco della Mosa (Maas). Ognuno di questi era formato da una
corona di cemento massiccio, e circondato da un fossato largo e profondo. Sul lato opposto del
fossato c'era un parapetto molto alto da terra. Le opere difensive furono costruite in acciaio e
calcestruzzo e per la maggior parte erano sotterranee. I forti possedevano inoltre questo tipo di
armamento: due obici da 210 millimetri, due da 150 millimetri e 4 cannoni da 120 millimetri. Ogni
pezzo di artiglieria era coperto da una cupola blindata girevole. C'erano anche diversi pezzi più
con calibro minore, e mitragliatrici, al di là del fossato e negli spazi tra i forti ed in altri punti.
Tuttavia, erano proprio gli spazi tra i forti il vero obiettivo dei tedeschi che avanzavano. Alle truppe
belghe, nel frattempo venne ordinato di abbattere alcune case o altri edifici che si trovavano nella
linea di tiro, ma ben pochi ne furono veramente abbattuti a causa della velocità dell'avanzata
tedesca.
Le fortezze erano occupate dalle classi più esperte dell'esercito belga, in questo caso i reggimenti
9, 11, 12 e 14, insieme ad alcuni componenti del genio e delle unità di trasporto. La terza divisione
di fanteria sotto Leman venne disposta anche piu' in avanti, tanto che stava prendendo posizioni
intorno all'anello della fortezza. La 14a Brigata venne collocata nella posizione potenzialmente più
esposta, sulla riva destra (a est della città, di fronte al Lussemburgo, da dove proveniva il grosso
dell'armata nemica), mentre un battaglione fu mandato a difendere gli attraversamenti della Mosa
a Visé e ad Argentau (nord-est).
I tedeschi avevano programmato di mettere fuori combattimento i forti e catturare Liegi nel giro di
tre giorni, ma in effetti, solo all'undicesimo giorno di combattimenti la resistenza belga venne
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superata. La loro strategia consisteva in un movimento avvolgente: essi avrebbero dovuto
catturare prima i forti a nord, poi quelli ad ovest e a sud della città, per scartare inutili attacchi
contro le postazioni ad est che, secondo le piu' ovvie previsioni, vedevano i tedeschi provenire
proprio da quella direzione, sarebbero state le meglio fortificati e piu' difficili da prendere. Le unità
avanzate della 2a e 4a divisione di cavalleria attaccarono prima Visé , dove c'era un importante
ponte sul Meuse, mentre il 9a Cavalleria si era spostato verso Sud, tra Huy e Liegi. Sei brigate di
fanteria, con un battaglione annesso di jagers (guardie), più ciclisti, artiglieria e altre forme di
sostegno si erao spostati sul lato est. Uno squadrone di eindeckers, e lo Zeppelin Köln fornirono
copertura aerea e di osservazione.
I tedeschi avanzarono con cautela, perché nelle pieghe boscose delle colline e sugli argini del
fiume, dovettero affrontare la resistenza inaspettatamente tenace dei forti belgi e della 3a
Divisione. Ma poco a poco e, inevitabilmente, il peso dei numeri e il fuoco di copertura tedesco
costrinse i belgi a ritirarsi. Alcuni di loro ripiegarono sulle rive del fiume stesso e sulla città. Altri
entrarono nei forti. Ma la situazione era difficilissima sul fronte belga, dopo appena due giorni, il 6
agosto, la citta' fu investita dal fuoco nemico e le notizie di un prossimo cedimento erano sempre
piu' frequenti. Alle 07:30, venne diramato un ordine indirizzato alla 3a divisione per un
raggruppamento a nord-ovest, tra Lantin, Rocourt e la stazione ferroviaria a Ans. Si riteneva
migliore per la divisione, assai indebolita, che ritirarsi verso il Gette fosse migliore che perdere altri
uomini nella futile difesa di Liegi. Poco dopo mezzogiorno, la prima colonna si ritirò a Waremme. Il
resto della divisione la segui' nella mattina successiva. Il Generale Leman e il suo staff rimasero,
con le truppe di guarnigione della fortezza. Alle 06:00 del 7 agosto, la 14a Brigata tedesca entrò in
città. L'occupazione della stessa venne accelerata da una spia belga, che riporto' un falso ordine di
ritirarsi dal centro. La spia era Charles Troupin: era stato arrestato a Waremme il 7 agosto, quando
una pattuglia stradale belga aveva verificato la falsita' del suo lasciapassare 'laissez - faire'. Egli
fuggì, ma alla fine fu catturato, e con altri due complici, a Lovanio il 16 agosto, venne condannato a
morte e giustiziato.
Da Chartreuse, gli uomini di Ludendorff si rivolsero verso la Mosa, attraversando i due ponti
danneggiati ed entrarono nella parte interna della città. Ludendorff viveva nell'illusione che la città
era già completamente nelle mani dei suoi uomini, e cavalcò con un aiutante di campo davanti alle
porte della Cittadella. Poco dopo , le altre Brigate raggiunsero il centro della città. Ma i cannoni dei
forti continuavano a sparare. Von Emmenich minaccio' di bombardare la città vecchia con gli
Zeppelin, ma Leman continuo' a rifiutare la resa. Nel frattempo le notizie erano state telegrafate a
Bruxelles. Il governo venne spostato, secondo gli ordini del re Alberto, ad Anversa. L'intenzione dei
belgi era di ripiegare su Anversa contro la volontà dei comandi francesi. Le notizie dai
combattimenti dei primi giorni non vennero trasmessi alle altre citta' del Belgio, e lo Stato Maggiore
continuava a diffondere false notizie ottimistiche sullo svolgimento del conflitto, cavalcando l'onda
nazionalista e antitedesca che si respirava nel paese dove molte bandiere erano appese sui
balconi delle abitazioni.
Nel frattempo , la cavalleria di Von Marwitz cercava di accerchiare le truppe belghe a sud e ovest,
mentre la fanteria sotto Von Einem si raggruppava. C'era un flusso costante di truppe tedesche al
confine con l'area di Aachen, Eupen e Malmedy in direzione dell'anello della fortezza. I 'Korps' 7°,
9° e 10° si assemblavano, secondo il piano tedesco: aprire la strada a nord della città, cosi da
lasciare il primo Korps libero di marciare su Bruxelles. Inevitabilmente sotto il fuoco costante e
crescente, i forti cominciarono a cadere. Fort Barchon fu il primo. Un bombardamento di pesanti
mortai Skoda da 210 millimetri conclusero la resistenza belga, e alle 17:00 dell'8 agosto, il resto
della guarnigione si arrese. I tedeschi iniziarono subito il grande lavoro di ingegneria per spostare i
mortai in una posizione da cui avrebbero potuto sparare sulla Evegnée. Aprirono il fuoco la sera
del 10, e la bandiera bianca venne sollevata la mattina seguente. Dal 12 agosto, pezzi d'artiglieria
ancora più pesanti furono disponibili ai tedeschi, come, ad esempio, il primo dei mortai da 420
millimetri. Il primo colpo di quest'ultimo manco' il suo obiettivo, ma quando, a seguito di correzioni
apportate al tiro dovute all'osservazione di un pallone aereostatico, il fuoco si avvicinava
lentamente e inesorabilmente sul proprio bersaglio. Fort Pontisse cadde poco dopo, nel
pomeriggio del 13, mnetre tre quarti della guarnigione del forte erano morti, molti per il fumo e le
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commozioni cerebrale dovuti alle enormi esplosioni. Lo stesso giorno, Embourg e Chaudfontaine
caddero. In quest'ultima, perirono a centinaia nel momento in cui un proiettile d'artiglieria colpi' un
deposito di munizioni.
Fort Liers resistette per un altro giorno, visto che l'artiglieria belga era così efficace da tenere i
tedeschi ad una certa distanza. Lo stesso giorno, il 14, il comandante della guarnigione di Fort
Fleron, Capt Mozin, decise che dopo 50 ore di bombardamento continuo, i suoi uomini ne avevano
abbastanza. Fleron aveva fornito una grande resistenza alle aggressioni tedesche per 5 giorni, e
allo stesso tempo aveva fornito un supporto d'artiglieria molto efficace per la resistenza gli altri
forti. Boncelles cadde nello stesso giorno, e i tedeschi ora avevano il pieno controllo della riva
destra del fiume. Anche il quartier generale di Leman non sfuggì a questa sorte. I primi proiettili
caddero il 10. Dal 14 dovette sopportare i colpi dei 420 millimetri, ed infine, il giorno successivo
cadde definitiva la sua resistenza quando un proiettile da 420 fatto saltare in aria il magazzino.
Tutte le porte interne saltarono, aperte dalla pressione dello scoppio, e molti uomini vennero colpiti
da detriti. Non un solo uomo rimase illeso. Poco dopo, i tedeschi videro che le cupole delle
artiglierie non sparavano piu', e fanti assaltarono i bastioni. Leman e il comandante del forte
Capitano Naessens, furono portati fuori in stato di inconscienza e portati in un ospedale militare
tedesco.
Le conseguenze
L'Armata della Mosa fu sciolta ed integrata nelle armate 1ª e 2ª. Il generale von Emmich prese il
comando del X Corpo d'armata. Il giorno 16 fu presa la cittadella di Huy, aprendo ai tedeschi la
valle della Mosa sino in Olanda. Von Kluck e Von Bulow furono così in grado di attraversare il
Belgio in direzione di Parigi. La tenace resistenza di Liegi rallentò la tabella di marcia tedesca di
alcuni giorni, guadagnando tempo prezioso per gli Alleati: il Corpo di Spedizione Britannico ebbe
tempo di sbarcare a Boulogne e concentrarsi a Maubeuge per il giorno 14, la 5ª Armata francese
mosse a nordovest verso la frontiera belga, mentre due corpi d'armata della 2ª Armata venivano
richiamati dal Nord Africa. I comandanti tedeschi tuttavia ne sminuirono l'importanza in tal senso,
affermando che il loro esercito stava ancora schierandosi. Innegabilmente servì al morale delle
forze alleate, e la Francia avrebbe in seguito conferito la Legion d'Onore alla città per il suo valore.
Battaglia di Mulhouse
7-10 agosto 1914
Gli avversari
Louis Bonneau (7 luglio 1851 - 26 febbraio 1938) fu generale di divisione francese il cui
nome e' associato sia al conflitto franco-prussiano del 1870 che al primo conflitto mondiale.
Entrato in servizio appena due anni prima del conflitto franco-prussiano del 1870, il Bonneau si
distinse, e rusci' ad ottenere la qualifica di colonnello del 62mo fanteria nel 1898. Ottenuta la prima
delle sue tre legion d'onore l'anno successivo, divenne generale di brigata nel 1902 e di divisione
nel 1907. In quegli anni ottenne il comando della brigata di cavalleria del 2o Corpo d'Armata,
comandante della 37ma brigata di fanteria e delle sottodivisioni della regione di Guingamp e SaintBrieuc. Passato al comando, nel 1907 della 41ma divisione di fanteria, nel 1910 ebbe il camndo
anche del 7mo Cropo d'Armata francese. Allo scoppio della prima guerra mondiale gli venne
affidato l'incarico, dal Maresciallo di Francia Joffre, di occupare Mulhouse in vista della strategica
offensiva nella regione dell'Alsazia. Incapace di mantenere la posizione dopo il primo contrattacco
della riserva tedesca, venne immedatamente sollevato dall'incarico dal Joffre stesso per mancanza
di aggressivita'.
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Josias von Heeringen (1850 - 9 ottobre 1926) è stato un generale tedesco durante il periodo
imperiale, servì durante la Prima guerra mondiale.
Prima della guerra fu Ministro della guerra del Regno di Prussia. Il 2 agosto 1914 ricevette il
comando della 7ª Armata; nel corso della battaglia delle Frontiere respinse l'avanzata francese in
Alsazia prevista dal Piano XVII (battaglia di Mulhouse). Il successo gli valse la medaglia Pour le
Mérite, la più alta onorificenza militare tedesca, e le felicitazioni personali del Kaiser, Guglielmo II.
Nel corso della Prima battaglia dell'Aisne contribuì ad arrestare la controffensiva portata dalla 5ª e
6ª Armata francese e dal Corpo di Spedizione Britannico. Rimase al comando della 7ª Armata sino
al 28 agosto 1916, giorno in cui ricevette la Croce di ferro con fronde di quercia. Per il resto del
conflitto comandò le forze di difesa costiera.
La fase iniziale della battaglia delle frontiere
Secondo i piani dello Stato maggiore francese, sintetizzati nel Piano XVII, l'offensiva dell'ala
destra, composta dalla Prima e Seconda Armata, fra Metz e i Vosgi, ossia a sud della zona
fortificata Diedenhofen-Metz, doveva essere preceduta da un'operazione di portata minore in
Alsazia, il cui obiettivo era quello di consolidare la posizione dell'ala destra francese al Reno,
strategico snodo per le forniture ed il passaggio di forze e mezzi nell'intero assetto germanico. Per
tale offensiva preliminare il comandante della Prima Armata, il generale Dubail, aveva costituito
presso Belfort un Distaccamento d'Armata formato dal VII Corpo e dall'Ottava Divisione di
cavalleria, più una brigata della fortezza di Belfort. L'obiettivo di questa offensiva non era solo
strettamente militare, ma anche politico, visto che l'avanzata nell'Alsazia, persa dal 1870, avrebbe
assunto un particolare carattere di 'revanche' dal lato francese e avrebbe potuto suscitare dei moti
anti-tedeschi fra la popolazione che, nella grande maggioranza, e nonostante fossero sotto l'egida
tedesca da piu' di quarant'anni, era francese.
Il 4 agosto, inizio' l'offensiva in Alsazia. Ma in realtà, sia il generale Dubail sia il generale Bonneau,
comandante del VII Corpo d'Armata, nutrivano forti dubbi circa l'opportunità di una tale operazione,
poiché le informazioni raccolte dalle ricognizioni sembravano indicare uno sgombero volontario dei
reparti tedeschi (la Settima Armata tedesca) e temevano che lasciandosi attirare in profondità
potessero essere, poi, attaccati sui fianchi. Ma tali perplessità, che il generale Dubail aveva fatto
presenti al proprio Comando Supremo, vennero da quest'ultimo decisamente respinte. I sostenitori
dell'offensiva a oltranza, Joffre su tutti, giudicarono questo atteggiamento prudente in modo
sfavorevole. Le teorie strategiche della nuova scuola di pensiero tattico francese sostenevano che
lo spirito di decisione dei comandi è essenziale alla riuscita di qualsiasi operazione. Pertanto tutti
gli ordini di attacco vennero confermati.
Il VII Corpo si mosse il 7 agosto, come previsto (anche dai tedeschi, i quali immaginavano
perfettamente come l'offensiva francese sarebbe stata diretta a riprendersi quanto perso nel 1870);
superati i Vosgi, le truppe francesi sboccarono verso la valle del Reno e occuparono Altkirch, sulla
strada principale Belfort-Mulhouse, pochi chilometri oltre la frontiera. Solo l'indomani, 8 agosto, il
generale Bonneau riprese l'avanzata, impadronendosi senza lotta di Mulhouse; ma, sempre
preoccupato di una eventuale minaccia sui fianchi, confermata piuttosto che smentita dalla
debolissima resistenza avversaria, si fermò nuovamente attestandosi a difesa. Di fronte a lui le
scarse forze di copertura tedesche si erano ritirate sulla riva destra del Reno; ma il comandante
della Settima Armata tedesca, generale Von Heeringen, prendeva immediati provvedimenti per
spostare verso Mulhouse il grosso delle sue forze concentrato più a nord, nella regione di
Strasburgo.
Lo smacco subito dalla controffensiva tedesca, che riporto' assai velocemente Mulhouse sotto il
controllo tedesco, convinse il Comando Supremo francese, che volle attaccare quel quadrante con
forze inadeguate nonostante il parere contrario dei comandanti, a riprendere l'operazione anziche'
accantonarla, destinandovi ingenti forze che avrebbero potuto essere impiegate forse più utilmente
nell'offensiva principale della Prima Armata verso Saarburg. Il VII Corpo venne così rinforzato da
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ben 4 divisioni (3 delle quali di riserva) formando una nuova grande unità, forte di circa 150.000
uomini, denominata Armata di Alsazia, affidata al generale Pau. Inoltre, il Comando Supremo
francese,ancorato al concetto che il fallimento di un attacco dipende più dall'incapacità del
comandante che da qualsiasi altra circostanza, sostitui' il generale Bonneau, iniziando una serie di
esoneri e di confinamenti a Limoges con incarichi di retrovia, tramite i quali Joffre intendeva punire
inflessibilmente la presunta incapacità dei generali che erano stati sconfitti su cui, per la maggior
parte aleggiava ancora l'ombra della vecchia guardia responsabile della disfatta nella guerra
franco-prussiana del 1870. Questa voglia di chiudere col passato pero' non portera' i risultati
sperati, anzi rischiava di scoprire in modo fatale l'intera nazione.
Il 14 agosto il generale Pau rinnovava l'offensiva in Alsazia Superiore e, pur incontrando una
scarsa resistenza da parte delle esigue forze tedesche (3 brigate), solamente il giorno 19 tornava
ad occupare Mulhouse e finiva per arrestarsi del tutto il giorno 20 dello stesso mese. A quel punto,
anche il Comando Supremo francese dovette constatare il fallimento dell'obiettivo principale
dell'offensiva, ossia distrarre importanti forze avversarie per alleggerire l'attacco principale di
Dubail più a nord. I Francesi non erano riusciti ad acquistare sufficiente spazio verso nord, avendo
occupato soltanto Munster a sud-ovest di Colmar. Perciò lo stesso 20 agosto l'Armata di Alsazia
venne sciolta e le sue divisioni furono inviate a rinforzare direttamente la Prima Armata o altri
settori del fronte, lasciando intravedere quello che sara' veramente il primo conflitto mondiale.
Le due offensive iniziali francesi si chiudevano così con un bilancio del tutto passivo. Se nella
prima si erano esposte forze inadeguate a subire uno scacco quasi inevitabile, nella seconda si
erano impegnate forze cospicue senza ottenere alcun profitto. Inoltre, in questa occasione, Joffre
(e fu, per la verità, la sola volta) aveva dato prova di irresolutezza e di una certa indeterminatezza
strategica. Dapprima l'armata del generale Pau era stata sottratta al comando del gen. Dubail; poi
non si era saputo farla venire tempestivamente a sostegno di quest'ultimo, pur essendo schierata
in un settore contiguo; infine essa gli era stata restituita quando ormai era troppo tardi. In pratica,
contravvenendo a un principio strategico basilare, si erano lasciate inutilizzate forze considerevoli
nel momento decisivo della battaglia in Lorena.
La genesi
Come detto, quale componente fondamentale della strategia francese per l'intero primo conflitto
mondiale, racchiuso nel Piano XVII, la Battaglia per Mulhouse era stata destinata a garantire la
riconquista dell'Alsazia e degli altri territori perduti a favore della Germania come conseguenza
della sconfitta francese nel sanguinoso conflitto franco-prussiano del 1870-71. Mulhouse di suo era
si strategicamente importante, ma il suo ruolo, anzi, la sua conquista, aveva un valore molto piu'
alto sotto il profilo simbolico e politico. Infatti, oltre alla questione di orgoglio nazionale francese,
insito nella riconquista dell'Alsazia, scopo del comando francese era quello di dare un segno di
sostegno alle popolazioni francesi da oltre quarant'anni sotto il giogo germanico nella speranza
che le stesse, in quanto protegoniste di una delle aree europee piu' produttive dal punto di vista
industrale, potessero, per quanto possibile, ritardare forniture al nemico tedesco. Inoltre dal punto
di vusta meramente strategico, le truppe francesi, con l'occupazione di quel quadrante, si
sarebbero ben posizionate per proteggere il proprio fianco.
Le forze in campo
Le forze francesi comandate dal generale Louis Bonneau, facevano parte dell'Armata Alsazia, e
consistevano nel 7º Corpo d'Armata (14ª e 41ª divisione di fanteria, rinforzate da 57ª Brigata della
divisione di riserva di Belfort) e l'8ª divisione di cavalleria. Questa offensiva di Mulhouse faceva
parte della ben più vasta azione offensiva francese in Alsazia e Lorena, secondo le direttive del
piano XVII. Dall'altra parte i tedeschi opponevano il XIV e il XV Corpo della 7ª Armata tedesca
comandata dal generale Josias von Heeringen.
La battaglia
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Dopo aver attraversato la frontiera la mattina del 7 agosto, i Francesi presero rapidamente la città
di confine di Altkirch con una carica alla baionetta; tuttavia Bonneau, sospettoso sull'estrema
leggerezza delle difese tedesche, le quali in realta' andavano concentrandosi piu' a nord per
l'offensiva in Belgio che avrebbe portato a Parigi e alla possibilita' di prendere le stesse armate
francesi in Alsazia e Lorena alle spalle, era molto diffidente e cerco' di avanzare mantenendo il
dubbio che stesse entrando in una sorta di trappola tedesca. Tuttavia, forzato dagli ordini di
muovere verso il Reno giorno successivo, Bonneau dovette continuare la sua avanzata, ottenendo
anche il controllo di Mulhouse poco dopo che i suoi occupanti tedeschi avevano lasciato la città.
Il Maresciallo Joffre ovviamente raggiante per la rapida presa di Mulhouse, stranamente ottenuta
senza opposizione, diede l'avvio a una serie di grandi festeggiamenti in patria; mentre i francesi
venivano considerati come liberatori dagli abitanti di Mulhouse stessa. Tuttavia, con l' arrivo di
riserve tedesche da Strasburgo, i tedeschi si organizzarono per un contro-attacco previsto per la
mattina del 9 agosto nella vicina Cernay. Bonneau, da par suo non aveva riserve da poter
impiegare per una difesa importante della citta', cosi' fu costretto ad iniziare un lento ritiro
dall'intera zona nello stesso giorno. Il Maresciallo Joseph Joffre, comandante in capo francese,
appena informato del capovolgimento di fronte, seppure indisipettito per la poca combattivita' dei
suoi sottoposti, invio' il prima possibile una divisione di riserva per aiutare Bonneau nella difesa,
ma questi rinforzi francesi arrivarono troppo tardi per salvare la città dalla riconquista, cosi'
Bonneau dovette ritirarsi verso Belfort entro il 10 agosto per sfuggire all'accerchiamento tedesco.
Joffre fu immediato nell'addossare la colpa del mancato conseguimento di Mulhouse alla Francia
su Bonneau, che aveva caricato senza aggressività (una delle componenti fondamentali del Piano
XVII), cosi' quest'ultimo venne subito sollevato dal comando. Riconoscendo l'alto profilo della
perdita, Joffre aggiunse altre quattro divisioni per la cosiddetta Armata dell'Alsazia posta sotto il
comando del generale Pau, che inutilmente aveva tentato di avanzare in Lorena fino alla fine di
quel mese.
Le conseguenze
Dopo lo scacco subito, un contrattacco francese, avvenne nel ricco sobborgo di Mulhouse,
Dornach, il 19 agosto, e portò alla ritirata le truppe tedesche fino a Ensisheim, 20 km a nord. In
questo battaglia, risulto' decisivo l'apporto del fuoco d'artiglieria diretto dal futuro Generalissimo
colonnello Robert Nivelle. Il 24 agosto le truppe francesi si ritirarono da Mulhouse fino alla più
sicura linea di Altkirch, per ritornare a Mulhouse solo dopo l'armistizio del 1918.
Ma i danni piu' grandi subiti dai Francesi a Mulhouse erano le ripercussioni morali dello scacco e
l'immediata perdita della citta' appena liberata fu sentita come un doloroso insuccesso. Tali
considerazioni non dovettero essere estranee alla decisione di Joffre di riprendere l'offensiva in
quel settore, però con forze molto più consistenti.
Battaglia di Haelen
12 Agosto 1914
Gli avversari
Johannes Georg von der Marwitz (Stolp, 7 luglio 1856 - Wundichow, 27 ottobre 1929) è stato
un generale tedesco. Appartenente alla cavalleria comandò, dal 1915 al 1918, varie grandi
unità dell'esercito imperiale.
Nacque in Pomerania ed entrò nell'esercito nel 1875. Dal 1883 al 1886 frequentò l'Accademia
militare. Fino al 1900 comandò un reggimento di cavalleria, diventando quindi capo di Stato
Maggiore del XVIII Corpo d'armata. Prima dello scoppio della Prima guerra mondiale era ispettore
generale dell'arma di cavalleria. Col grado di maggior generale fu assegnato nel 1914 al fronte
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occidentale, e prese parte contro l'esercito belga alla battaglia di Haelen, il primo scontro di
cavalleria del conflitto, precedente di pochi giorni la più vasta battaglia delle Frontiere. Il suo corpo
di cavalleria servì egregiamente a proteggere il fianco della 1ª Armata in ritirata dopo la Prima
battaglia della Marna. Nel dicembre 1914 il gruppo di cavalleria di Marwitz fu disciolto e questi fu
trasferito sul fronte orientale dove prese il comando del neoformato XXXVIII Corpo d'armata della
riserva, e lo guidò nella Seconda battaglia dei Laghi Masuri, nei primi mesi del 1915. Fu quindi
trasferito nei Carpazi al comando di un corpo speciale di sciatori, combatté al fianco degli
austroungarici contro i russi. Ricevette l'onorificenza Pour le Mérite il 7 marzo 1915. Dopo un
periodo di malattia nell'autunno dello stesso anno, Marwitz tornò sul fronte occidentale al comando
del VI Corpo d'armata, per poi passare nuovamente ad est, in tempo per l'arresto dell'Offensiva
Brusilov nel giugno 1916. Il 6 ottobre divenne aiutante di campo di Guglielmo II, ma lasciò l'incarico
nel dicembre per prendere il comando della 2ª Armata sul fronte occidentale. Nel novembre del
1917 si difese contro i britannici nella battaglia di Cambrai, che vide il primo impiego di massa dei
carri armati. Nel settembre 1918 prese il comando della 5ª Armata, che tenne sino al termine del
conflitto. Dopo la guerra si ritirò a vita privata.
Barone Léon de Witte de Haelen, nato Léon de Witte (Ixelles, 12 gennaio 1857 - Meer 15
luglio 1933)
Ufficiale dell'esercito belga e Generale che ha servito durante la I guerra mondiale, è
particolarmente noto per aver comandato la divisione di Cavalleria belga nella battaglia di Haelen
del 1914. Il De Witte entrò nella Reale Accademia Militare nel 1874 e venne promosso
sottotenente nel 1878. Nel 1880, chiese il trasferimento alla cavalleria e cosi' venne inviato al 2°
Chasseurs à Cheval dove consegui' il cosiddetto Brevet d'état-major (BEM) nel 1887, mentre
successivamente, nello specifico tra il 1906 e il 1910, servì come comandante del 1° Reggimento
Guide. Ottenne il comando della 2a brigata di cavalleria tra il 1910 e il 1913 ed era al comando
della divisione di cavalleria di recente creazione, quando il Belgio fu invaso dalla Germania nel
1914, ma venne promosso a tenente generale nell'agosto 1914, solo 6 giorni prima della battaglia
di Haelen. La vittoria belga in quella battaglia, soprannominata la "Battaglia degli Elmi d'argento",
in considerazione degli elmi da cavalleria lasciati dai tedeschi sul campo di battaglia dopo il
combattimento, fu un importante episodio della campagna, ed un avvenimento storico per il Belgio
intero. Nel 1915, il Barone de Witte, fu nominato Ispettore Generale della Cavalleria, ruolo che ha
ricoperto fino al 1919.
La genesi
Il 3 agosto il governo belga rifiuto' l'ultimatum tedesco mentre il governo britannico garantiva
sostegno militare per il Belgio che doveva sostenere la probabile invasione da parte della
Germania. Il Belgio troncò le relazioni diplomatiche con la Germania e quest'ultima, come ovvia
conseguenza, dichiarò guerra al Belgio. Le truppe tedesche attraversarono la frontiera belga tra il
4 e 5 agosto ed attaccarono Liegi. Una settimana dopo l'invasione tedesca, la cavalleria tedesca
aveva gia' operato tra Hasselt e Diest, che minacciava il fianco sinistro dell'esercito sul Gette. Lo
Stato Maggiore del Belgio scelse la localita' di Haelen come un luogo per ritardare l'avanzata
tedesca e dare il tempo alle proprie forze di fanteria per completare una ritirata ordinata verso
ovest. In considerazione di questa scelta, la divisione di cavalleria belga, agli ordini del Barone De
Witte venne spostato da St. Trond a Budingen e quindi a Haelen, cosi' da allungare il fianco
sinistro belga. Nel frattempo, al II Corpo di Cavalleria tedesco, del generale Georg von der
Marwitz, venne ordinato di condurre ricognizioni verso Anversa, Bruxelles e Charleroi ed entro il 7
agosto lo stesso II Corpo aveva trovato che l'area della linea da Diest a Huy era libera da truppe
belghe e alleate. Le posizione delle truppe belghe e francesi era stata stimata dagli alti ufficiali
tedeschi, in una zona compresa tra Tirlemont e Huy, cosi', Marwitz avanzo' a nord, direttamente
contro le unita' della cavalleria belga, che si erano, come detto, ritirate verso Diest.
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L'11 agosto, quindi, i grandi corpi di cavalleria, artiglieria e fanteria tedesca erano stati visti dagli
scout della cavalleria belga (le Guide), nella zona che va da St. Trond a Hasselt e Diest; cosi' il
comando belga anticipo' l'avanzata tedesca verso la stessa via di Hasselt e Diest. Per bloccare
questa stessa avanzata, la divisione di cavalleria belga, comandata dal tenente generale Léon de
Witte, venne inviata a guardia del ponte sul fiume Gette, nello specifico in localita' Haelen
("Halen"). Durante un incontro serale, il de Witte fu convinto a combattere con un'azione che
verteva su forze smontate, nel tentativo di negare il vantaggio numerico tedesco. Il Generale de
Witte, quindi, aveva presidiato tutti gli incroci sul Gette, a Diest, Haelen, Geet-Betz e Budingen, ed
utilizzo' Haelen come avamposto concentradovi un battaglione di ciclisti (conosciuti come "Diavoli
Neri") e fece smontare la propria cavalleria alle spalle del paese tra Zelck e Velpen e nella frazione
di Liebroeck come linea di ultima resistenza nel caso in cui Haelen fosse presa dai tedeschi.
La battaglia
La cavalleria tedesca non comincio' a muoversi fino al 12 agosto a causa della stanchezza dei
cavalli provocata dal caldo estivo intenso e dalla mancanza di avena. La 2° divisione di cavalleria
del generale von Krane avanzo' attraverso Hasselt mentre la 4° divisione di cavalleria sotto il
tenente generale von Garnier avanzava con Alken a Stevort. Il comando belga scopri', grazie ai
messaggi radio intercettati, che le truppe tedesche stavano avanzando verso la posizione del de
Witte e invio' la 4° Brigata di Fanteria belga per rafforzare la stessa divisione di cavalleria. Marwitz
ordinava, nel frattempo, alla 4° divisione di cavalleria tedesca di attraversare il Gette e alle ore
8.45 in contemporanea con l'avanzata del 7° e del 9° battaglione Jäger. Un'avanguardia tedesca,
avanzando da Herk-de-Stad si trovo' sotto il fuoco delle truppe belghe e circa 200 soldati belgi
improvvisarono una postazione difensiva fortificata nella vecchia fabbrica di birra in Haelen, ma
furono costretti ad abbandonarla rapidamente quando i tedeschi schierarono l'artiglieria da campo.
In tutto questo, ingegneri belgi avevano fatto saltare il ponte sul Gette ma la struttura cedette solo
in parte ed i tedeschi catturarono circa 1.000 prigionieri nemici nel centro di Haelen. La linea di
difesa belga era posizionata in uno stretto passaggio ad ovest di Haelen, l'unico verso occidente,
in un terreno che dava solo una visuale assai ostacolata per gli attaccanti. La 17° e 3° Brigata di
Cavalleria assistirono la Jäger a sud di Haelen, cosa che permise all'artiglieria di essere portata ai
margini del villaggio stesso. Ma gli attacchi che vennero profusi nei campi di grano al di là di
Haelen furono respinti con molte vittime, ed alcune unita' cavalleria si trovarono intrappolate nel
recinzioni create con il filo spinato. Anche la Jäger venne respinta, nonostante il sostegno
congiunto del 2° Guardie Machine Mitraglieri e dei tiratori scelti della cavalleria smontata. Verso la
fine della giornata, in considerazione dei pochi progressi e delle conseguneti perdite, il Marwitz
decise di ordinare la ritirata: la 2° divisione di cavalleria si ritirò verso Hasselt mentre la 4° si ritirò
ad Alken. Sebbene salutata come una grande vittoria belga, la sconfitta nella battaglia di Haelen
non ebbe molta rilevanza per i comandi tedeschi, che conquistarono quasi interamente il Belgio nei
successivi due mesi di guerra. La battaglia fu in seguito soprannominata la Battaglia dei Caschi
d'argento (Battle of Silver helmets) per via del casco argentato indossato dai corazzieri tedeschi in
battaglia. In tutto i tedeschi contarono 150 morti, 600 feriti e circa 200-300 prigionieri; il numero di
cavalli morti venne valutato attorno a circa 400, mentre le perdite belghe furono pari a circa 500.
Le conseguenze
Con la vittoria di Haelen, il piccolo esercito belga si trovo' in uno stato d'animo vincente! Anche se
questa vittoria significava poco su una scala più ampia: in effetti centinaia di migliaia di fanti
tedeschi erano in marcia contro la linea di difesa sul fiume Gette. Il 17 agosto, uno squadrone di
Guide belge, gli scout d'elite della stessa Cavalleria belga, fu inviato a visionare i movimenti della
marcia tedesca attraverso la strada Borgloon-Sint-Truiden. Le Guide belge presero con se' dei
piccioni, cosi' da poter rimanere in contatto con il proprio quartier generale che era sito dietro il
fiume Gette, senza pero' farsi udire o scoprire dal nemico. Ma, purtroppo per loro, a differenza dei
tedeschi, questi cavalleggeri erano ancora vestiti con le loro uniformi colorate in stile XIX secolo:
verde scuro con pantaloni rossi violacei e colbacchi neri. Cosi' quando scelsero di riposarsi per
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qualche ora nei pressi di una taverna popolare tra i boschi di Bernissem, essi pensarono di essere
sufficientemente nascosti dai colori degli alberi. Nel frattempo, la principale forza tedesca aveva
invaso la città di Sint-Truiden e dei villaggi circostanti senza incontrare alcuna resistenza. Un
battaglione di Leibgrenadiere cerco' riparo in una struttura scolastica, tenuta dai padri
Assunzionisti, a solo un miglio di distanza dalle guide belghe che stavano riposando.
Improvvisamente, verso le due del pomeriggio, una sentinella tedesca di guardia noto' gli accesi
colori dei cavalleggeri belgi e corse per dare l'allarme ai suoi ufficiali. In un primo momento, i
comandanti rifiutarono di credergli, ma quando videro anch'essi con i propri occhi i cavalli non
montati ed i cavalieri belgi giocare a carte, bere e riposarsi, ordinarono un attacco a sorpresa. Per
quelle unita' tedesche era il battesimo del fuoco. La maggior parte di loro era nervosa, ma il
giovane comandante del plotone tedesco, Friedrich von Guretzky-Cornitz, era ansioso di
ingaggiare finalmente il nemico in battaglia. Poche settimane dopo, questo tenente di 22 anni e
nipote del generale di fanteria Hans von Guretzky-Cornitz venne ucciso in azione dagli inglesi del
BEF nei pressi di Mons, ricevendo comunque la croce di ferro. I belgi, ignari di tutto quanto si
muovesse contro di loro, non ebbero alcuna possibilità di fuga. Dieci di loro vennero uccisi o
morirono nella locanda stessa data alle fiamme dai tedeschi. Anche il vecchio oste Alfons Lassaut
mori' nella locanda, si dice a colpi di baionetta. Il giorno seguente, dopo un secondo scontro con la
fanteria tedesca vicino Nieuwerkerken, il barone de Witte, leader dello squadrone belga, riusci' a
stento ad attraversare il Gette a piedi. Solo 22 uomini e quattro cavalli dei suoi originali 120
cavalieri erano ormai sopravvissuti. Il suo luogotenente, Adelin de Menten de Horne, caduto da
cavallo durante la fuga nei boschi di Bernissem boschi, perse conoscenza e venne fatto
prigioniero, insieme con il sergente capo. Le altre Guide belge in fuga vennero inseguite
inesorabilmente da altri plotoni di fanteria tedesca.
Il giorno dopo, i padri Assunzionisti seppellirono le Guide cadute e i loro cavalli morti sul posto,
anche se alcuni volti sono stati mutilati dai maiali affamati che correvano liberi, ed alcuni cadaveri
vennero saccheggiati da civili locali senza scrupoli. Il seguente febbraio i cadaveri venivano
decentemente sepolti in un luogo d'onore nel cimitero dal Saint-Genevievechurch, nel centro del
villaggio di Zepperen. Nel bel mezzo dell'occupazione tedesca, questa cerimonia permise alle
persone di esprimere i propri sentimenti patriottici ed una grande folla partecipo' alle esequie. La
stampa belga dell'epoca racconto' cosi: Otto soldati giovani e coraggiosi morti lontano dai loro cari
e hanno ottenuto un posto nel sacro suolo di Zepperen. Nel 1924, dieci anni dopo l'evento, i corpi
vennero trasferiti al cimitero di guerra belga nei pressi Haelen.
Battaglia di Stalluponen
17 agosto 1914
Gli avversari
Hermann von François (Lussemburgo, 31 gennaio 1856 - 15 maggio 1933)
Personalità brillante ed eccentriaca, fortemente indipendente all'interno dell'Esercito imperiale
tedesco, all'inizio della prima guerra mondiale ebbe un ruolo decisivo, alla guida di un corpo
d'armata prussiano, nella battaglia di Tannenberg, durante la quale egli agì spesso in contrasto
con gli ordini del comando superiore. Dopo la grande vittoria continuò a distinguersi in azione sul
fronte orientale e sul fronte occidentale ma, inviso all'Alto comando tedesco, non raggiunse
incarichi superiori di comando per il resto della guerra. Nato da nobile famiglia di origine ugonotta
(da cui il cognome francese), von François fu avviato alla vita militare in giovane età. Suo padre
Bruno era un generale e comandante prussiano della 27ª Brigata di fanteria (27. Preußische
Infanterie-Brigade), ucciso in azione durante la battaglia di Spicheren il 6 agosto 1870, pochi giorni
prima della battaglia di Sedan. Von François, arruolato come cadetto, fu inviato nel 1875 a
Potsdam come Leutnant (tenente) del 1º Reggimento della Guardia a piedi (1.Garde-Regiment zu
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Fuß). Dal 1884 al 1887, frequentò l'Accademia militare di Berlino, e nel 1889 fu promosso ad
Hauptmann (capitano) ed assegnato al Comando Supremo.
Nei primi anni novanta von François fu distaccato come ufficiale di Stato Maggiore al XV Corpo
d'armata di base a Strasburgo. Dopo una breve parentesi come comandante di compagnia nel
151º Reggimento di fanteria della 31ª Divisione, ritornò al Comando Supremo. Nel 1894 fu
promosso maggiore e trasferito all'8ª Divisione a Mannheim. Nel 1899 divenne capo di Stato
Maggiore del IV Corpo d'armata, agli ordini del Generaloberst Paul von Hindenburg e di stanza a
Magdeburgo. Nel 1901 la madre di von François, Marie, trasferì la famiglia in Namibia (allora Africa
Tedesca del Sud-Ovest) per seguire il figlio più giovane Hugo, capitano dell'esercito coloniale.
L'altro fratello, Curt, fu un noto scienziato e ricercatore che in Africa condusse i suoi studi. Nel
1908 von François fu promosso a Generalmajor (maggior generale) e messo al comando della
Brigata dell'Assia (Hessischen-Brigade) di Darmstadt. Fu promosso a Generalleutnant (tenente
generale) nel 1911 e tenne il comando della 13ª Divisione per un breve periodo prima della
promozione a General der Infanterie e l'assegnazione al comando del I Corpo d'armata dell'8ª
Armata di base a Königsberg. Von François all'inizio della guerra era di stanza nella provincia della
Prussia Orientale. Compito dell'8ª Armata era difendere le regioni orientali dall'attacco russo diretto
sull'importante città di Königsberg, per un tempo sufficiente a consentire l'arrivo delle truppe di
rinforzo provenienti dall'occidente, in accordo col Piano Schlieffen. Quando la guerra scoppiò
nell'agosto 1914, le truppe di von François fronteggiarono l'ala destra del corpo d'invasione russo,
alla cui testa procedeva la 1ª Armata comandata da Paul von Rennenkampf. Il 17 agosto il
comandante tedesco del teatro di operazioni, generale Maximilian von Prittwitz, vedendo con
nervosismo l'avanzata dell'ala sinistra russa nel lontano sud, ordinò la ritirata a von François,
mentre questi si trovava sotto un pesante attacco di Rennenkampf. Von François, riluttante a
cedere ogni metro dell'amata terra di Prussia, e combattivo per natura, reputava inoltre molto
pericoloso ogni tentativo di sganciamento in quella situazione, perciò ignorò gli ordini, e rispose
con la famosa frase «Il generale von François si ritirerà quando avrà sconfitto i russi!». Lanciò il
contrattacco, dando il via alla battaglia di Stallupönen, ed ottenne una sorprendente vittoria
infliggendo al nemico 5.000 tra morti e feriti e prendendo 3.000 prigionieri.
Dopo la vittoria, von François obbedì agli ordini di Prittwitz e si ritirò di 25 chilometri verso ovest,
dove tre giorni dopo costrinse Rennenkampf alla ritirata nella battaglia di Gumbinnen. La tattica
aggressiva di von François fermò l'avanzata verso occidente del cauto Rennenkampf. In seguito a
quest'ultima battaglia e ad un avvicendamento nei quadri di comando (il Comando Supremo
ritenne che Prittwitz aveva perso il controllo della situazione e dei nervi), il corpo d'armata di von
François fu trasferito per ferrovia verso sudovest, per opporsi alla 2ª Armata russa in avanzata nel
meridione al comando del generale Aleksandr Samsonov. Sebbene non godesse del favore dei
suoi nuovi comandanti, Paul von Hindenburg ed Erich Ludendorff, a causa della sua precedente
disobbedienza, von François ebbe un ruolo importante nella battaglia di Tannenberg. Il 27 agosto
attaccò gli elementi di testa dell'armata di Samsonov ed iniziò una decisa avanzata alle sue spalle.
Ludendorff, temendo un contrattacco di Rennenkampf, gli ordinò di interrompere l'avanzata,
tuttavia von François ignorò per due volte gli ordini e fu determinante nel successivo
accerchiamento e distruzione dell'armata di Samsonov. Quando Hindenburg e Ludendorff mossero
a sud per condurre la 9ª Armata nella Polonia russa, von François rimase col suo corpo d'armata
nella Prussia Orientale e lo condusse ad ulteriori successi. Quando il generale von Schubert,
nuovo comandante dell'8ª Armata, gli ordinò la ritirata, von François inviò un telegramma al
Comando Supremo descrivendo i propri successi ed affermando che «Il Comandante viene
malamente consigliato». Il telegramma colpì talmente il Kaiser che tolse immediatamente il
comando a Schubert e, il 3 ottobre, assegnò a von François il comando dell'8ª Armata. Ma von
François non lo tenne a lungo. Quando Hindenburg e Ludendorff prepararono il loro contrattacco
da Thorn in direzione di Lódz, von François era riluttante ad inviare, come richiesto, il I Corpo
d'armata, inviò anzi il XXV Corpo d'armata della Riserva, poco addestrato e male equipaggiato.
Ciò fu troppo per i suoi superiori. Ad inizio novembre 1914 von François fu rimosso e rimpiazzato
dal generale Otto von Below. Dopo un periodo senza incarichi, von François ricevette il comando
del XLI Corpo d'armata della Riserva, che tenne per il resto della guerra, continuando a
distinguersi. Ricevette la Pour le Mérite, la più alta decorazione militare tedesca, nel maggio 1915
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per il suo ruolo nello sfondamento di Gorlice, e su di essa le Foglie di Quercia nel luglio 1917 per la
sua brillante prestazione durante la battaglia di Verdun. Dopo la fine della guerra si ritirò a vita
privata e scrisse numerosi libri di storia militare, fra cui, nel 1920, Marneschlacht und Tannenberg,
vendutissimo in Germania.
RENNENKAMPF, Pavel Karlovic. - Generale russo, nato in Estonia il 17 aprile 1854,
processato e fucilato dai bolscevichi a Taganrog nel maggio 1918.
Ufficiale di cavalleria, frequentò la scuola di guerra. Nelle operazioni in Manciuria del 1900-1901 e
nella guerra russo-giapponese (1904-1905) si acquistò fama di straordinaria risolutezza e audacia.
Discusso per la sua vita privata, fu tuttavia nominato, poco prima della guerra, comandante in capo
della circoscrizione militare di Vilna. Nell'agosto 1914 ebbe il comando della 1ª armata, destinata a
invadere da est la Prussia Orientale, mentre la 2ª armata avrebbe puntato da sud. La superiorità
della preparazione e soprattutto del comando tedesco fece sì che la sorte delle armi fu in definitiva
contraria al Rennenkampf al quale toccò di agire contro Hindenburg. L'insuccesso fece nascere il
pettegolezzo della lontana origine tedesca e quello, infondato, ma accreditato dal generale
francese Buat capo dello Stato maggiore francese, nei suoi studî su Ludendorff e Hindenburg, del
tradimento; ben triste ricompensa al generale che fu sempre pronto ad agire offensivamente contro
i Tedeschi per alleviare la fronte francese. Vincitore a Gumbinnen (20 agosto 1914) fu
decisamente battuto ai Laghi Masuri (settembre 1914). Durante l'offensiva tedesca su Lódz
(novembre 1914) il Rennenkampf riuscì a circondare l'ala sinistra tedesca (tre divisioni), ma non
avendo i Russi stretto il cerchio, gli avversari riuscirono a spezzarlo (24 novembre 1914). Il
Rennenkampf fu per questo esonerato dal comando.
I piani russi per la guerra: piano G, e piano 19 (o Piano A)
Anche lo Stato Maggiore Russo, come quello delle altre nazioni che sentivano avvicinarsi lo
scontro su vasta scala, mise insieme due piani operativi per l'imminente guerra, molto diversi fra
loro. La prima opzoione, conosciuta come Piano G, partiva dal presupposto che la Germania
avrebbe lanciato un'offensiva su vasta scala contro la Russia; l'opposto di ciò che realmente
accadde. Ed insolitamente, il Piano G prevedeva non tanto una fortificazione dei confini con la
Germania stessa, ma invece una serie di azioni di contenimento dell'avanzata tedesca nei confini
russi, con la conseguente perdita di territorio e di grandi perdite, in attesa del completamento della
mobilitazione generale dello stesso esercito russo. In breve, gli alti ufficiali dell'esercito russo
presumevano che il paese potesse facilmente sostenere e superare una serie di sconfitte, almeno
all'inizio della guerra, soprattutto in considerazione delle enormi risorse umane a disposizione dello
Zar. Una volta mobilitate queste forze, lo Stato Maggiore credeva che l'esercito russo avrebbe
inevitabilmente ricacciato le forze tedesche all'interno dei propri confini; d'altro canto, Napoleone
non era riuscito ad avere la meglio sulla vastità della Russia, quindi, si ipotizzava che alla
Germania sarebbe toccato lo stesso fallimento.
L'altro piano operativo, il Piano 19 - noto anche come Piano A - risultava apparetemente meno
drastico in termini di perdite umane. La pressione degli alleati francesi sugli ufficiali dello Zar
indirizzarono questi ultimi ad elaborare una strategia più offensiva di quella prevista dal Piano G;
ed in effetti il Piano 19, ideato nel 1910 dal generale Danilov e sostanzialmente modificato nel
1912, ipotizzava, correttamente che la Germania avrebbe aperto la guerra con un attacco in forze
contro la Francia piuttosto che contro la Russia. In questo caso, due armate russe avrebbero
dovuto avanzare in Prussia orientale e Slesia con lo scopo di mettere in difficolta' non solo la
Germania, ma anche l'alleato austriaco (da cui la A della nomenclatura Piano A riporta piu'
semplicemente alla connessione con l'Austria appunto); la Russia, cosi', avrebbe non solo messo
in difficolta' il nemico tedesco, ma sarebbe stata in grado di usufruire di una linea fortificata di
difesa molto avanzata contro le eventuali forze d'invasione dei due imperi centrali. Allo scoppio del
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conflitto la scelta dello Stato Maggiore russo cadra' proprio sul Piano 19, e l'avanzata russa in
Prussia Orientale divento' operativa in pochi giorni, con l'amaro risultato, dal punto di vista dello
Zar, che l'esercito russo subi' una serie di battute d'arresto minori nella prima e seconda battaglia
dei laghi Masuri, oltre alla vera disfatta subita a Tannenberg.
La genesi
La zona dei Laghi Masuri costituì all'inizio della guerra mondiale un ostacolo separatore fra le due
armate russe di P. Rennenkampf (1ª armata) e A. Samsonov (2ª armata), le quali sotto il comando
del generale Zilinskij, comandante della fronte nord-ovest, erano destinate a invadere la Prussia
Orientale. Tale ostacolo aveva una fronte di un'ottantina di chilometri in linea d'aria da Nordenburg
a Johannisburg e, verso il centro, era rafforzato dalla piccola fortezza di Lötzen. Ciò indusse i
Russi a invadere la Prussia Orientale con le due masse separate, la 1ª armata a nord, la 2ª a
ovest dei laghi. La prima Armata di Rennenkampf, forte probabilmente di di 200.000 uomini, si
trovava ad essere affrontata inizialmente da meno di 14.000 tedeschi, comandati dal generale
tedesco Maximilian von Prittwitz. Per bloccare l'invasione von Prittwitz affidò 12.000 uomini al
generale Hermann von François, che marciò su Stallupönen; i tedeschi raggrupparono tutte le
unità disponibili e portarono il totale dell'armata di von François a 40.000 uomini.
La battaglia
Le forze di Rennenkampf marciarono in Prussia orientale il 17 agosto del 1914, in seguito alle
informazioni che erano pervenute da alcune ricognizioni della cavalleria condotte cinque giorni
prima, lo stesso giorno in cui il generale tedesco Hermann von Francois, comandante del I Corpo,
si ricongiunse con l'Ottava Armata del generale von Prittwitz. Preparati nell'attesa del nemico,
l'aggressivo Francois decise di prendere l'iniziativa andando ad attaccare frontalmente il nemico, e
riusci' a respingere i russi verso quella che era la frontiera, catturando ben 3.000 prigionieri e
portando a 5.000 circa le vittime russe dello scontro, mentre nelle file tedesce si contarono perdite
poco superiori al migliaio. Prittwitz, che non aveva alcuna conoscenza preliminare dell'attacco non
autorizzato di Francois, riteneva che la sua strategia potesse essere estremamente pericolosa, e
temeva che le forze di Francois potessero plausibilmente essere circondate dalle forze
numericamente superiori di Rennenkampf. Egli, quindi, ordino' a Francois di sospendere la sua
offensiva prima che quest'ultimo fosse in grado di sfruttare appieno la sua inaspettata vittoria.
Le conseguenze
Come il corpo di Francois si ritirò verso Gumbinnen, cosi' l'esercito di Rennenkampf riprese la sua
lenta marcia verso occidente, in Prussia orientale. Francois, nel frattempo esorto' Prittwitz per
lanciare un'offensiva contro Rennenkampf il più presto possibile; e Prittwitz, incoraggiato dal
successo iniziale di Francois, fu d'accordo con il collega, ed autorizzo' un attacco molto più grande
sulla Prima Armata russa tre giorni dopo, il 20 agosto, nei pressi di Gumbinnen.
Battaglia di Morhange-Sarrebourg
14-25 agosto 1914
Gli avversari
Auguste Yvon Edmond Dubail (Belfort, 15 aprile 1851 - Parigi, 7 gennaio 1934)
Nel 1868 entra all'École spéciale militaire de Saint-Cyr, specialità fanteria, uscendone nel 1870.
Nello stesso anno partecipa alla guerra franco-prussiana, combattendo a Saarbrücken, Spicheren[
e Borny. Il 1 ottobre 1870 è promosso sottotenente, assegnato al 10mo Battaglione Cacciatori a
piedi. Viene fatto prigioniero dai tedeschi a Metz. Una volta liberato partecipa alla repressione della
comune di Parigi.
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Il 3 marzo 1873 ottiene la promozione a tenente, assegnato al 138mo Reggimento di Fanteria. Nel
1874 insegna arte militare presso l'École spéciale militaire de Saint-Cyr. Frequenta la scuola di
guerra in cui si laurea nel 1878, e nello stesso anno viene promosso capitano assumendo il
commando del 1mo Reggimento Zuavi. Tra il 1886 ed il 1887 è aiutante del Ministro della Guerra,
generale Georges Boulanger. Il 9 luglio 1888 diviene comandante di battaglione e capo di stato
maggiore della 41a Divisione di Fanteria, passando poi al 37mo reggimento di Fanteria di Linea di
Nancy. Successivamente ritorna alla fanteria coloniale, dove il 12 ottobre 1901 diviene colonnello
del 1mo Reggimento Zuavi (1er Zouaves), passando poi al comando del 3º Reggimento Zuavi. Nel
1904 è promosso maggior generale, e il 24 dicembre 1904 diviene comandante della 53a Brigata
di Fanteria. Il 6 aprile 1905 assume il comando della 5a Brigata di Fanteria. Tra il 18 settembre
1905 e il 27 settembre 1906 comanda la 14a Brigata di fanteria. Nel 1904-1905 diviene per due
volte capo di gabinetto del Ministro della Guerra, Maurice Berteaux. Tra il 24 dicembre 1906 è
promosso generale di brigata e assume la direzione dell'École spéciale militaire de Saint-Cyr,
carica mantenuta fino al 25 dicembre 1908 quando viene promosso generale di divisione
passando al comando della 14a Divisione di Fanteria a Belfort. Il 30 marzo 1911 sostituisce il
generale Édouard Laffon de Ladebat come Capo di Stato Maggiore dell'Esercito francese.
L'assunzione di questo incarico coincise con la crisi di Agadir, un incidente internazionale
provocato dall'arrivo di una cannoniera tedesca al porto marocchino di Agadir. La crisi vide
crescere la contrapposizione tra la Germania, da una parte, e la Gran Bretagna e la Francia
dall'altra. Entrambe queste nazioni si sentivano minacciate dalla possibile presenza tedesca sulla
costa atlantica dell'Africa. Il generale Dubail prese parte alle negoziazioni tra gli eserciti britannici e
francesi, che consentirono di decidere quali piani d'azione adottare in vista di una possibile guerra
con la Germania. Il 30 luglio dello stesso anno viene sostituito alla guida dell'esercito dal generale
Joseph Joffre, nominato Capo di Stato Maggiore Generale nel 1912. Dopo aver guidato una
missione militare in Russia, Dubail assunse il comando del IX Corpo d'Armata a Tours (20 gennaio
1912), e divenne membro del Supremo Consiglio di Guerra (Conseil supérieur de la guerre) nel
1914.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, il 2 agosto 1914 Dubail assume il comando della 1a
Armata che diresse nel sud-est della Lorena durante la battaglia delle Frontiere. Il 14 agosto la 1a
Armata, in ossequio al Piano XVII, iniziò l'avanzata su Strasburgo mentre la 2a Armata del
generale de Castelnau avanzò su Morhange. Le forze francesi furono attaccate dalla 6a (generale
Rupprecht di Baviera) e 7a Armata tedesca (generale Josias von Heeringen). Sotto la guida del
Kronprinz Rupprecht di Baviera il 20 agosto le forze tedesche lanciarono la controffensiva,
investendo pesantemente la 2a Armata francese che venne fermata e indotta alla ritirata. Ciò
lasciò scoperto il fianco della 1a Armata francese, che dopo aver combattuto a Sarrebourg venne
anch'essa costretta a ritirarsi per evitare l'accerchiamento. Il 22 agosto le forze francesi, che
avevano subito pesanti perdite, erano di nuovo rischierate sulla Mosella. Contrario alla ritirata,
Dubail provò a fermare l'avanzata tedesca durante la battaglia della trouée de Charmes,
combattuta nel punto di giunzione tra la 1a e la 2a Armata di de Castelnau. Ritiratosi su Nancy,
dove venne raggiunto dalla 2a Armata di de Castelnau proveniente da Sarrebourg, riuscì a
trattenere l'avanzata tedesca e a conservare la città. In seguito a questo successo gli venne
conferita la missione di chiudere l'accesso al massiccio dei Vosgi. Egli riportò un brillante successo
durante la battaglia della Haute Meurthe, che fermò definitivamente l'offensiva tedesca sui Vosgi.
Promosso comandante del settore di Saint-Michel, diresse gli attacchi sulla Woëvre. Il 5 gennaio
1915 fu nominato comandante del Gruppo di Armate Est (Groupement des armées de l'Est),
comprendente il settore che andava da Belfort a Verdun. Dal mese di luglio segnalò all'alto
comando dell'esercito l'insufficienza delle difese per quanto riguardava l'artiglieria dei forti, ma i
suoi avvertimenti vennero sempre ignorati. Un anno più tardi l'offensiva tedesca gli diede ragione,
il che non gli evitò di essere sollevato dall'incarico e messo a riposo per limiti di età nel marzo
1916. Divenne governatore militare del campo trincerato di Parigi, posto che mantenne sino alla
primavera del 1918. Nel 1918 diviene Gran Cancelliere della Légion d'honneur, carica che
mantiene fino alla morte. Durante tale mandato Dubail creò nel 1921 la società, e nel 1925, il
Museo della Legion d'onore. Muore a Parigi il 7 gennaio 1934, e il suo corpo fu inumato presso il
cimitero di Montparnasse. Una avenue del 16mo arrondissement di Parigi fu ribattezzata in suo
onore: avenue du Général-Dubail.
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Josias von Heeringen (1850 - 9 ottobre 1926) è stato un generale tedesco durante il periodo
imperiale, servì durante la Prima guerra mondiale.
Prima della guerra fu Ministro della guerra del Regno di Prussia. Il 2 agosto 1914 ricevette il
comando della 7ª Armata; nel corso della battaglia delle Frontiere respinse l'avanzata francese in
Alsazia prevista dal Piano XVII (battaglia di Morhange-Sarrebourg). Il successo gli valse la
medaglia Pour le Mérite, la più alta onorificenza militare tedesca, e le felicitazioni personali del
Kaiser, Guglielmo II. Nel corso della Prima battaglia dell'Aisne contribuì ad arrestare la
controffensiva portata dalla 5ª e 6ª Armata francese e dal Corpo di Spedizione Britannico. Rimase
al comando della 7ª Armata sino al 28 agosto 1916, giorno in cui ricevette la Croce di ferro con
fronde di quercia. Per il resto del conflitto comandò le forze di difesa costiera.
La fase iniziale della battaglia delle frontiere
Secondo i piani dello Stato maggiore francese, sintetizzati nel Piano XVII, l'offensiva dell'ala
destra, composta dalla Prima e Seconda Armata, fra Metz e i Vosgi, ossia a sud della zona
fortificata Diedenhofen-Metz, doveva essere preceduta da un'operazione di portata minore in
Alsazia, il cui obiettivo era quello di consolidare la posizione dell'ala destra francese al Reno,
strategico snodo per le forniture ed il passaggio di forze e mezzi nell'intero assetto germanico. Per
tale offensiva preliminare il comandante della Prima Armata, il generale Dubail, aveva costituito
presso Belfort un Distaccamento d'Armata formato dal VII Corpo e dall'Ottava Divisione di
cavalleria, più una brigata della fortezza di Belfort. L'obiettivo di questa offensiva non era solo
strettamente militare, ma anche politico, visto che l'avanzata nell'Alsazia, persa dal 1870, avrebbe
assunto un particolare carattere di 'revanche' dal lato francese e avrebbe potuto suscitare dei moti
anti-tedeschi fra la popolazione che, nella grande maggioranza, e nonostante fossero sotto l'egida
tedesca da piu' di quarant'anni, era francese.
Il 4 agosto, inizio' l'offensiva in Alsazia. Ma in realtà, sia il generale Dubail sia il generale Bonneau,
comandante del VII Corpo d'Armata, nutrivano forti dubbi circa l'opportunità di una tale operazione,
poiché le informazioni raccolte dalle ricognizioni sembravano indicare uno sgombero volontario dei
reparti tedeschi (la Settima Armata tedesca) e temevano che lasciandosi attirare in profondità
potessero essere, poi, attaccati sui fianchi. Ma tali perplessità, che il generale Dubail aveva fatto
presenti al proprio Comando Supremo, vennero da quest'ultimo decisamente respinte. I sostenitori
dell'offensiva a oltranza, Joffre su tutti, giudicarono questo atteggiamento prudente in modo
sfavorevole. Le teorie strategiche della nuova scuola di pensiero tattico francese sostenevano che
lo spirito di decisione dei comandi è essenziale alla riuscita di qualsiasi operazione. Pertanto tutti
gli ordini di attacco vennero confermati.
Il VII Corpo si mosse il 7 agosto, come previsto (anche dai tedeschi, i quali immaginavano
perfettamente come l'offensiva francese sarebbe stata diretta a riprendersi quanto perso nel 1870);
superati i Vosgi, le truppe francesi sboccarono verso la valle del Reno e occuparono Altkirch, sulla
strada principale Belfort-Morhange-Sarrebourg, pochi chilometri oltre la frontiera. Solo l'indomani,
8 agosto, il generale Bonneau riprese l'avanzata, impadronendosi senza lotta di MorhangeSarrebourg; ma, sempre preoccupato di una eventuale minaccia sui fianchi, confermata piuttosto
che smentita dalla debolissima resistenza avversaria, si fermò nuovamente attestandosi a difesa.
Di fronte a lui le scarse forze di copertura tedesche si erano ritirate sulla riva destra del Reno; ma il
comandante della Settima Armata tedesca, generale Von Heeringen, prendeva immediati
provvedimenti per spostare verso Morhange-Sarrebourg il grosso delle sue forze concentrato più a
nord, nella regione di Strasburgo.
Lo smacco subito dalla controffensiva tedesca, che riporto' assai velocemente MorhangeSarrebourg sotto il controllo tedesco, convinse il Comando Supremo francese, che volle attaccare
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quel quadrante con forze inadeguate nonostante il parere contrario dei comandanti, a riprendere
l'operazione anziche' accantonarla, destinandovi ingenti forze che avrebbero potuto essere
impiegate forse più utilmente nell'offensiva principale della Prima Armata verso Saarburg. Il VII
Corpo venne così rinforzato da ben 4 divisioni (3 delle quali di riserva) formando una nuova grande
unità, forte di circa 150.000 uomini, denominata Armata di Alsazia, affidata al generale Pau.
Inoltre, il Comando Supremo francese,ancorato al concetto che il fallimento di un attacco dipende
più dall'incapacità del comandante che da qualsiasi altra circostanza, sostitui' il generale Bonneau,
iniziando una serie di esoneri e di confinamenti a Limoges con incarichi di retrovia, tramite i quali
Joffre intendeva punire inflessibilmente la presunta incapacità dei generali che erano stati sconfitti
su cui, per la maggior parte aleggiava ancora l'ombra della vecchia guardia responsabile della
disfatta nella guerra franco-prussiana del 1870. Questa voglia di chiudere col passato pero' non
portera' i risultati sperati, anzi rischiava di scoprire in modo fatale l'intera nazione.
Il 14 agosto il generale Pau rinnovava l'offensiva in Alsazia Superiore e, pur incontrando una
scarsa resistenza da parte delle esigue forze tedesche (3 brigate), solamente il giorno 19 tornava
ad occupare Morhange-Sarrebourg e finiva per arrestarsi del tutto il giorno 20 dello stesso mese. A
quel punto, anche il Comando Supremo francese dovette constatare il fallimento dell'obiettivo
principale dell'offensiva, ossia distrarre importanti forze avversarie per alleggerire l'attacco
principale di Dubail più a nord. I Francesi non erano riusciti ad acquistare sufficiente spazio verso
nord, avendo occupato soltanto Munster a sud-ovest di Colmar. Perciò lo stesso 20 agosto
l'Armata di Alsazia venne sciolta e le sue divisioni furono inviate a rinforzare direttamente la Prima
Armata o altri settori del fronte, lasciando intravedere quello che sara' veramente il primo conflitto
mondiale.
Le due offensive iniziali francesi si chiudevano così con un bilancio del tutto passivo. Se nella
prima si erano esposte forze inadeguate a subire uno scacco quasi inevitabile, nella seconda si
erano impegnate forze cospicue senza ottenere alcun profitto. Inoltre, in questa occasione, Joffre
(e fu, per la verità, la sola volta) aveva dato prova di irresolutezza e di una certa indeterminatezza
strategica. Dapprima l'armata del generale Pau era stata sottratta al comando del gen. Dubail; poi
non si era saputo farla venire tempestivamente a sostegno di quest'ultimo, pur essendo schierata
in un settore contiguo; infine essa gli era stata restituita quando ormai era troppo tardi. In pratica,
contravvenendo a un principio strategico basilare, si erano lasciate inutilizzate forze considerevoli
nel momento decisivo della battaglia in Lorena.
La battaglia
Come detto l'invasione francese della Lorena costituiva uno dei principali obiettivi dell'intera
strategia offensiva pre-guerra francese contro la Germania, compresa nel gia' descritto Piano XVII.
Nel Piano XVII quindi, il recupero di Alsazia e Lorena era l'elemento centrale della strategia
francese e di conseguenza ben noto anche in Germania prima ancora che iniziasse la guerra;
obiettivo che quindi veniva preso seriamente in considerazione nel Piano Schlieffen.
Il 14 agosto, la Prima e la Seconda Armata francese iniziarono l'offensiva principale in Alsazia e
Lorena. Gli obiettivi principali erano Saarburg per la Prima Armata e Morhange per la Seconda. Le
truppe francesi, anche in rispetto alle nuove teorie strategiche francesi, erano si' sprovviste di
artiglieria pesante, ma a questo fattore bisognava aggiungere il terreno difficile, per la presenza di
colline e boschi e il caldo stagionale. Tutto cio' faceva pensare che l'avanzata francese sarebbe
stata faticosa e difficile. Di contro i tedeschi, guidati dal principe ereditario di Baviera che aveva ai
suoi comandi, dal 9 agosto, la Settima Armata del generale von Heeringen, potevano opporre solo
16 divisioni, fra attive e di riserva, alla trentina di divisioni francesi. Queste ultime pero' erano in
parte destinate all'Armata di Alsazia, che praticamente non sara' mai impiegata, mentre altre 3
costituivano le guarnigioni di guardia a Verdun, Toul e Nancy. Le cose, ma questo doveva essere
previsto con largo anticipo, dal punto di vista tedesco in quel settore erano critiche. Eppure questo
era il rischio che si doveva correre per poter effettuare una consistente manovra di sfondamento in
Belgio che avrebbe portato le Armate tedesche del nord a poter prendere Parigi e rinculare
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prendendo alle spalle le forze francesi dedicate alla riconquista di Alsazia e Lorena stesse. Per
fare questo era quindi necessario resistere, o quantomeno rallentare il piu' possibile l'avanzata
francese in quel quadrante, pena la possibilita' di venire aggirati e di predere nodi produttivi
strategici per il proseguio della guerra.
Ma proprio in quel settore l'avanzata francese procedeva di suo con molta lentezza e visto che, per
il giorno 18, l'ala destra tedesca sarebbe stata pronta a muoversi, crebbe, nel capo di Stato
maggiore tedesco la fiducia di poter portare a compimento i piani prestabiliti; tanto più che egli
aveva provveduto immediatamente a rafforzare la propria ala sinistra con 6 divisioni d'appoggio,
che in precedenza erano state promesse all'alleato austro-ungarico, e che avrebbero poi dovuto
essere impiegate a rinforzo dell'ala destra marciante. Anzi Moltke a un certo punto, con la sua
caratteristica indecisione fra manovra avvolgente sulla sola destra (o da nord, come previsto dal
Piano Schlieffen) e manovra a doppio avvolgimento (che prevedeva un avanzamento sul lato
meridionale del confine franco-prussiano), penso' di preparare l'ala sinistra tedesca a una
controffensiva talmente poderosa, da sfondare il fronte avversario in Lorena per congiungiersi, in
quella direzione, con l'ala destra marciante, rendendo completo l'accerchiamento dell'intero
esercito francese. Alla fine vi rinunciò, almeno per il momento; però le 6 divisioni del gruppo di
riserva rimasero all'ala sinistra: troppe, per svolgere compiti puramente difensivi. I Francesi,
intanto, avanzavano con grande lentezza, tanto più che solo il 18 agosto, ossia cinque giorni dopo
aver iniziato l'avanzata, essi poterono disporre di forze completamente concentrate. La Prima
Armata di Dubail avanzava oltre la Meurthe e l'alta Saar (Sarre); sulla destra, il XX Corpo d'Armata
scendeva lungo le pendici dei Vosgi per operare ad est di essi, nella valle del Reno. La Seconda
Armata di De Castelnau che avrebbe dovuto tenersi in stretto contatto con l'ala sinistra della
Prima, in realtà avanzava soltanto con la propria ala destra perché i due corpi di sinistra, secondo
le disposizioni del Comando Supremo, erano stati trattenuti sulla riva sinistra della Mosella,
apparentemente per coprirsi da possibili attacchi in direzione di Metz, ma in realta' cosi facendo i
francesi si ponevano completamente sulla difensiva. Infatti, con questa disposizione i francesi pur
avendo una superiorita' numerica schiacciante, avevano lasciato le proprie divisioni cosi' sfilacciate
sul territorio da poter opporre al nemico appena 19 delle potenziali 30 divisioni di fronte al nemico
tedesco. Questi ultimi, però, non seppero approfittare del vantaggio ottenuto, poiché l'ala sinistra
(formata dalle famose 6 divisioni del gruppo di riserva) era troppo forte per un semplice compito
difensivo e al tempo stesso insufficiente per tentare un vero sfondamento in Lorena, settore
presidiato da poderose fortezze francesi. Moltke a questo punto penso' di sfruttare quelle divisioni
per poter attaccare ai fianchi le due Armate francesi dopo averle fatte incuneare in quel difficile
terreno. Cosi' le forze tedesche ebbero l'ordine di ripiegare senza opporre seria resistenza. In tutto
questo, l'avanzata francese continuava con lentezza, ora anche perché le retroguardie tedesche
coprivano il ripegamento dei commilitoni utilizzando largamente il fuoco d'artiglieria, (ed evitando
d'impegnarsi in combattimenti di fanteria), fuoco che fu cosi' efficace che la 29ma Divisione di
fanteria della Seconda Armata francese, nel tentativo di attaccare presso Lagarde, subì perdite
enormi dall'artiglieria tedesca, senza averne neppure visto la fanteria. La Prima Armata, nel
frattempo riusci' ad occupare Sarrebourg il 18 agosto successo che pero' non porto' grossi
sconvolgimenti in materia di conquista di territorio. Infatti anche se il 19 l'avanzata riprese oltre
Sarrebourg i francesi incontrarono sempre maggiori difficoltà, sia per le asperità del terreno, sia
per l'efficace resistenza opposta dall'avversario. Nonostante le forti perdite subite, per il 20 agosto
le due armate francesi contavano di proseguire l'avanzata contando sull'idea che le azioni
tedesche che avevano bloccato in diversi punti l'avanzata, vennero interpretati come un episodi di
un'estrema resistenza da parte di un nemico ormai prossimo al cedimento.
Moltke, con l'idea fisse di poter attaccare il nemico dai fianchi con le sue divisioni, voleva far
penetrare ancora di piiu' i francesi nel proprio territorio, cosi' da trovarsi, tra non molto esposti ad
un potenziale attacco ai fianchi che sarebbe divenuto quasi un accerchiamento. Ma il principe di
Baviera era contrario alla prosecuzione di quel ripiegamento, non compreso dai soldati, che su
quel fronte avevano subito perdite praticamente nulle e che ancora non avevano praticamente
visto il nemico. Moltke venne cosi' pressato da vicino dal Comando Supremo perche' effettuasse
un valoroso, quanto stupido tatticamente, contrattacco diretto. Purtroppo per la Germania, Moltke
non fu in grado di far comprendere allo stesso Comando Supremo la bonta' del suo piano, il quale,
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sarebbe potuto attuarsi solo attendendo ancora per qualche altro giorno (vista la lentezza con cui
avanzavano i francesi), per poter accerchiare e distruggere le due Armate francesi nella loro
interezza. Ma alla fine, il principe Rupprecht e il suo Capo di Stato Maggiore, generale Krafft von
Dellmensingen, riuscirono a strappare a Moltke la sospirata autorizzazione e contrattaccarono
subito. Il 20 agosto la Sesta e la Settima Armata sferrarono la controffensiva. I Francesi, che
avanzavano sui prati e nei boschi con la loro visibilissima uniforme rosso-blu, si trovarono sotto il
tiro della micidiale artiglieria avversaria e, per la prima volta, si accorsero a proprie spese che
l'élan non era sufficiente ad aver ragione del meno impetuoso, ma meglio armato e condotto con
più freddezza esercito tedesco. Alle 4 del pomeriggio il generale De Castelnau, fortemente
premuto presso Morhange e attaccato anche sull'ala sinistra dalla guarnigione di Metz, era
costretto a ordinare la ritirata generale della sua armata. La Prima Armata, nel complesso, si batté
con maggior fortuna e, in molti settori, riuscì a respingere l'attacco; ma il cedimento dell'armata
contigua aveva frattanto lasciata scoperta la sua ala destra, sicché il 21 anche il generale Dubail
era costretto a ripiegare.
Le conseguenze
Il complesso di azioni del 20 agosto, che costituirono la battaglia di Morhange-Sarrebourg, si
chiuse pertanto con una grave sconfitta dei Francesi, che subirono perdite assai gravi e dovettero
cedere tutto il poco terreno così faticosamente conquistato; essi però sfuggirono
all'accerchiamento e alla distruzione, principalmente perché il contrattacco tedesco era stato
prematuro. La Seconda Armata arrestò la sua ritirata ad ovest della Meurthe e ricevette, come
rinforzo, 2 divisioni della riserva e il II Corpo di cavalleria; sulla sinistra venne mantenuta la linea
del Grand Couronnè, un anfiteatro di colline che racchiudono la città di Nancy. La Prima Armata
che, pur avendo subito gravi perdite, era tuttavia in condizioni migliori della seconda, si attestò su
una linea da Dames-aux-Bois al Col du Bonhomme.
Sul lato francesi furono commessi errori nela valutazione della consistenza delle forze nemiche e
nella loro abilita' di tiro. L'azione gagliarda dei reparti francesi, il loro ardore non poteva bastare per
avere la meglio, in maniera devastante, su un nemico che seppur in apparente inferiorita' numerica
e privo di artiglieria di grosso calibro, era comunque molto ben organizzato e sapeva utilizzare alla
meglio i propri pezzi di medio calibro, i quali, grazie all'osservazione aerea e ottennero una
notevole precisione di tiro. Ma anche dal lato tedesco ci sono delle gravi recriminazioni da poter
fare. Il non avere ascoltato le ragioni del piano di Moltke traformo' quella che poteva essere un
trionfo, che avrebbe sicuramente sconvolto l'intero schacchiere di Alsazia e Lorena, in una vittoria
importante ma non decisiva. Infatti, rigettati fino alle loro basi di partenza ed oltre, i francesi,
sconfitti ma non distrutti, trovarono nelle proprie poderose fortificazioni di frontiera la chiave per
trasformarsi in una forza combattente addirittura più potente di prima. Inoltre a questo punto
sarebbero dovuti essere proprio i tedeschi a dover esporsi allo scoperto per aver ragione di un
avversario fortemente arroccato. La lotta si riaccese violenta sul fronte della Prima Armata di
Dubail, il 23 di agosto mentre, più a nord, la Seconda armata di Castelnau era anch'essa
fortemente premuta, il tutto senza che nessuno riuscisse a strappare risultati decisivi. La fase
conclusiva della guerra di movimento sul fronte franco-tedesco iniziava a prefigurarsi.
Battaglia di Gumbinnen
20 agosto 1914
Gli avversari
Hermann von François (Lussemburgo, 31 gennaio 1856 - 15 maggio 1933)
Personalità brillante ed eccentriaca, fortemente indipendente all'interno dell'Esercito imperiale
tedesco, all'inizio della prima guerra mondiale ebbe un ruolo decisivo, alla guida di un corpo
d'armata prussiano, nella battaglia di Tannenberg, durante la quale egli agì spesso in contrasto
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con gli ordini del comando superiore. Dopo la grande vittoria continuò a distinguersi in azione sul
fronte orientale e sul fronte occidentale ma, inviso all'Alto comando tedesco, non raggiunse
incarichi superiori di comando per il resto della guerra. Nato da nobile famiglia di origine ugonotta
(da cui il cognome francese), von François fu avviato alla vita militare in giovane età. Suo padre
Bruno era un generale e comandante prussiano della 27ª Brigata di fanteria (27. Preußische
Infanterie-Brigade), ucciso in azione durante la battaglia di Spicheren il 6 agosto 1870, pochi giorni
prima della battaglia di Sedan. Von François, arruolato come cadetto, fu inviato nel 1875 a
Potsdam come Leutnant (tenente) del 1º Reggimento della Guardia a piedi (1.Garde-Regiment zu
Fuß). Dal 1884 al 1887, frequentò l'Accademia militare di Berlino, e nel 1889 fu promosso ad
Hauptmann (capitano) ed assegnato al Comando Supremo.
Nei primi anni novanta von François fu distaccato come ufficiale di Stato Maggiore al XV Corpo
d'armata di base a Strasburgo. Dopo una breve parentesi come comandante di compagnia nel
151º Reggimento di fanteria della 31ª Divisione, ritornò al Comando Supremo. Nel 1894 fu
promosso maggiore e trasferito all'8ª Divisione a Mannheim. Nel 1899 divenne capo di Stato
Maggiore del IV Corpo d'armata, agli ordini del Generaloberst Paul von Hindenburg e di stanza a
Magdeburgo. Nel 1901 la madre di von François, Marie, trasferì la famiglia in Namibia (allora Africa
Tedesca del Sud-Ovest) per seguire il figlio più giovane Hugo, capitano dell'esercito coloniale.
L'altro fratello, Curt, fu un noto scienziato e ricercatore che in Africa condusse i suoi studi. Nel
1908 von François fu promosso a Generalmajor (maggior generale) e messo al comando della
Brigata dell'Assia (Hessischen-Brigade) di Darmstadt. Fu promosso a Generalleutnant (tenente
generale) nel 1911 e tenne il comando della 13ª Divisione per un breve periodo prima della
promozione a General der Infanterie e l'assegnazione al comando del I Corpo d'armata dell'8ª
Armata di base a Königsberg. Von François all'inizio della guerra era di stanza nella provincia della
Prussia Orientale. Compito dell'8ª Armata era difendere le regioni orientali dall'attacco russo diretto
sull'importante città di Königsberg, per un tempo sufficiente a consentire l'arrivo delle truppe di
rinforzo provenienti dall'occidente, in accordo col Piano Schlieffen. Quando la guerra scoppiò
nell'agosto 1914, le truppe di von François fronteggiarono l'ala destra del corpo d'invasione russo,
alla cui testa procedeva la 1ª Armata comandata da Paul von Rennenkampf. Il 17 agosto il
comandante tedesco del teatro di operazioni, generale Maximilian von Prittwitz, vedendo con
nervosismo l'avanzata dell'ala sinistra russa nel lontano sud, ordinò la ritirata a von François,
mentre questi si trovava sotto un pesante attacco di Rennenkampf. Von François, riluttante a
cedere ogni metro dell'amata terra di Prussia, e combattivo per natura, reputava inoltre molto
pericoloso ogni tentativo di sganciamento in quella situazione, perciò ignorò gli ordini, e rispose
con la famosa frase «Il generale von François si ritirerà quando avrà sconfitto i russi!». Lanciò il
contrattacco, dando il via alla battaglia di Stallupönen, ed ottenne una sorprendente vittoria
infliggendo al nemico 5.000 tra morti e feriti e prendendo 3.000 prigionieri.
Dopo la vittoria, von François obbedì agli ordini di Prittwitz e si ritirò di 25 chilometri verso ovest,
dove tre giorni dopo costrinse Rennenkampf alla ritirata nella battaglia di Gumbinnen. La tattica
aggressiva di von François fermò l'avanzata verso occidente del cauto Rennenkampf. In seguito a
quest'ultima battaglia e ad un avvicendamento nei quadri di comando (il Comando Supremo
ritenne che Prittwitz aveva perso il controllo della situazione e dei nervi), il corpo d'armata di von
François fu trasferito per ferrovia verso sudovest, per opporsi alla 2ª Armata russa in avanzata nel
meridione al comando del generale Aleksandr Samsonov. Sebbene non godesse del favore dei
suoi nuovi comandanti, Paul von Hindenburg ed Erich Ludendorff, a causa della sua precedente
disobbedienza, von François ebbe un ruolo importante nella battaglia di Tannenberg. Il 27 agosto
attaccò gli elementi di testa dell'armata di Samsonov ed iniziò una decisa avanzata alle sue spalle.
Ludendorff, temendo un contrattacco di Rennenkampf, gli ordinò di interrompere l'avanzata,
tuttavia von François ignorò per due volte gli ordini e fu determinante nel successivo
accerchiamento e distruzione dell'armata di Samsonov. Quando Hindenburg e Ludendorff mossero
a sud per condurre la 9ª Armata nella Polonia russa, von François rimase col suo corpo d'armata
nella Prussia Orientale e lo condusse ad ulteriori successi. Quando il generale von Schubert,
nuovo comandante dell'8ª Armata, gli ordinò la ritirata, von François inviò un telegramma al
Comando Supremo descrivendo i propri successi ed affermando che «Il Comandante viene
malamente consigliato». Il telegramma colpì talmente il Kaiser che tolse immediatamente il
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comando a Schubert e, il 3 ottobre, assegnò a von François il comando dell'8ª Armata. Ma von
François non lo tenne a lungo. Quando Hindenburg e Ludendorff prepararono il loro contrattacco
da Thorn in direzione di Lódz, von François era riluttante ad inviare, come richiesto, il I Corpo
d'armata, inviò anzi il XXV Corpo d'armata della Riserva, poco addestrato e male equipaggiato.
Ciò fu troppo per i suoi superiori. Ad inizio novembre 1914 von François fu rimosso e rimpiazzato
dal generale Otto von Below. Dopo un periodo senza incarichi, von François ricevette il comando
del XLI Corpo d'armata della Riserva, che tenne per il resto della guerra, continuando a
distinguersi. Ricevette la Pour le Mérite, la più alta decorazione militare tedesca, nel maggio 1915
per il suo ruolo nello sfondamento di Gorlice, e su di essa le Foglie di Quercia nel luglio 1917 per la
sua brillante prestazione durante la battaglia di Verdun. Dopo la fine della guerra si ritirò a vita
privata e scrisse numerosi libri di storia militare, fra cui, nel 1920, Marneschlacht und Tannenberg,
vendutissimo in Germania.
RENNENKAMPF, Pavel Karlovic. - Generale russo, nato in Estonia il 17 aprile 1854,
processato e fucilato dai bolscevichi a Taganrog nel maggio 1918.
Ufficiale di cavalleria, frequentò la scuola di guerra. Nelle operazioni in Manciuria del 1900-1901 e
nella guerra russo-giapponese (1904-1905) si acquistò fama di straordinaria risolutezza e audacia.
Discusso per la sua vita privata, fu tuttavia nominato, poco prima della guerra, comandante in capo
della circoscrizione militare di Vilna. Nell'agosto 1914 ebbe il comando della 1ª armata, destinata a
invadere da est la Prussia Orientale, mentre la 2ª armata avrebbe puntato da sud. La superiorità
della preparazione e soprattutto del comando tedesco fece sì che la sorte delle armi fu in definitiva
contraria al Rennenkampf al quale toccò di agire contro Hindenburg. L'insuccesso fece nascere il
pettegolezzo della lontana origine tedesca e quello, infondato, ma accreditato dal generale
francese Buat capo dello Stato maggiore francese, nei suoi studî su Ludendorff e Hindenburg, del
tradimento; ben triste ricompensa al generale che fu sempre pronto ad agire offensivamente contro
i Tedeschi per alleviare la fronte francese. Vincitore a Gumbinnen (20 agosto 1914) fu
decisamente battuto ai Laghi Masuri (settembre 1914). Durante l'offensiva tedesca su Lódz
(novembre 1914) il Rennenkampf riuscì a circondare l'ala sinistra tedesca (tre divisioni), ma non
avendo i Russi stretto il cerchio, gli avversari riuscirono a spezzarlo (24 novembre 1914). Il
Rennenkampf fu per questo esonerato dal comando.
La genesi
Allo scoppio della guerra un'azione offensiva contro i russi non era nei piani strategici del
Comando dell'8ª Armata tedesca, comandata dal generale Maximilian von Prittwitz: questi infatti
riteneva indifendibile l'area della Prussia Orientale con le esigue forze di cui disponeva, perciò
aveva predisposto una linea di difesa fortemente presidiata sul fiume Angerapp e sulla piana di
Instenburg.
L'Ottava Armata era composta da quattro corpi: il I Corpo di Hermann von François, il XVII Corpo
di August von Mackensen, il I Corpo della Riserva di Otto von Below ed il XX Corpo, ai quali si
aggiungeva la prima divisione di cavalleria. Contro queste forze erano schierate due armate russe,
la Prima (Paul von Rennenkampf) sul settore nord e la Seconda (Alexander Samsonov) a sud. I
russi godevano di un'ampia superiorità numerica, ma avevano grossi problemi e mancanze nel
loro sistema di rifornimenti e comunicazioni. Lo schieramento tedesco posizionava il grosso
dell'Ottava Armata (I Corpo, XVII Corpo, I Corpo della riserva) sul settore nord contro la I Armata
Russa, mentre a sud, sulla linea Neidenburg-Ortelsburg stava il solo XX Corpo a fronteggiare la
Seconda Armata Russa. Per i tedeschi pertanto esisteva il grave rischio legato ad un'avanzata
della Seconda Armata, verso nord o verso ovest, che avrebbe potuto isolare tutte le forze tedesche
sul fronte settentrionale, dando così i russi la possibilità di occupare la Prussia Orientale senza
opposizione e di minacciare eventualmente anche Berlino.
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L'aggressivo comandante del I Corpo, generalleutnant François, però era convinto che i tedeschi
fossero avvantaggiati per la loro preparazione militare e per l'equipaggiamento, pertanto chiese al
comandante von Prittwitz di poter prendere l'iniziativa ed attaccare. Il 17 agosto von François
decise di sua iniziativa e contro gli ordini di attaccare la Prima Armata Russa nella Battaglia di
Stallupönen. Al termine della battaglia il I Corpo ripiegò su Gumbinnen, dopo aver inflitto gravi
perdite ai russi (5.000 morti e 3.000 prigionieri). Frattanto le difficoltà in cui versava la Prima
Armata russa, aggravate da notevoli ostacoli di carattere ambientale (il fronte di avanzata russo
era tagliato proprio a metà dalla grande Foresta di Rominten, luogo di caccia al cervo prediletto dal
kaiser Guglielmo II, ma intransitabile a grandi unità moderne), indusse Rennenkampf a ordinare
una sosta già il 20 agosto. Solo allora la Seconda Armata di Samsonov si stava accingendo ad
attraversare la frontiera: dunque il movimento concentrico delle due armate russe appariva male
sincronizzato fin dall'inizio e somigliava poco al chiudersi delle branche di una tenaglia. Tali
circostanze sembravano invitare i Tedeschi a sferrare un rapido e deciso contrattacco ma non
tanto per una ferma e consapevole volontà del Comando dell'Ottava Armata, quando per
l'intraprendenza dei comandanti in subordine. Tali furono le insistenze di von Francois per
un'azione tempestiva che Prittwitz, confermando la sua incapacità di imporre le proprie direttive
strategiche, finì per cedere e dare battaglia subito, rinunciando a sfruttare le forti posizioni
predisposte sulla riva dell'Angerapp. L'irruento comandante del I Corpo, tuttavia, si spinse troppo
avanti e la conseguenza fu che gli altri corpi dell'Ottava Armata non avrebbero potuto intervenire
nella lotta imminente che in una seconda fase e in modo discontinuo. Questa incapacità di tenere
unite le sue forze e di coordinarne i movimenti fu, indubbiamente, la più grave delle carenze
nell'azione di comando del Prittwitz: infatti, pur avendo il XVII Corpo ancora sull'Angerapp, egli si
risolse a dare battaglia a Gumbinnen con il solo corpo di sinistra.
La battaglia
Nelle prime ore del mattino del 20 agosto il I Corpo del generale Francois, apri' le ostilita' con un
bombardamento di artiglieria pesante che sorprese la Ventottesima Divisione russa ancora
addormentata. Contrariamente agli ordini, il Khan di Nakhicevan non si era portato sul rovescio
dell'avversario in direzione di Insterburg e nemmeno aveva assicurato la protezione del fianco
destro del XX Corpo d'Armata di Smirnov. Di conseguenza la manovra aggirante della seconda
Divisione tedesca (von Falck), coadiuvata da un attacco frontale della Prima Divisione (von Kont)
fu coronata da un completo successo. La Ventottesima Divisione russa, esaurite le munizioni
d'artiglieria e caduti nel vuoto gli appelli del suo comandante Laskevic ai comandanti delle unità
vicine, dopo una vana resistenza venne disorganizzata come efficiente unità da combattimento e,
alla fine, praticamente distrutta. Questo grave scacco dei Russi fu reso possibile sia dalla
mancanza di collegamenti laterali fra le varie unità le quali, in pratica, agivano indipendentemente
l'una dall'altra, sia dall'inerzia del Corpo di cavalleria (Khan di Nakhicevan) e della Ventinovesima
Divisione (gen. Rosenschild-Paulin). Il risultato di queste manchevolezze fu che una sola divisione
del XX Corpo russo si era trovata a sostenere da sola, per molte ore, l'urto del grosso di von
Prittwitz, lasciando sul terreno il 60% dei propri effettivi, mentre le unità contigue avevano brillato
per la loro assenza.
Assai differente fu l'esito della battaglia sul tratto centrale e meridionale del fronte. L'attacco del
XVII Corpo d'Armata di von Mackensen (altro comandate destinato a una rapida e folgorante
carriera durante la guerra mondiale) si infranse davanti all'incrollabile resistenza del III Corpo russo
di Epancin; anzi le truppe tedesche, che pure all'inizio avevano attaccato mostrando una buona
dose di coraggio, sottoposte a un bombardamento di artiglieria pesante di sbandarono
completamente e rifluirono in disordine. La rotta delle due divisioni tedesche fu così grave che
neanche lo stesso gen. Mackensen, accorso in prima linea nel tentativo di arrestare gli sbandati,
riuscì a raddrizzare la situazione. Ancora più a sud, il I Corpo della riserva di von Below urtò il IV
Corpo del gen. Aliev in una tipica battaglia d'incontro nei pressi di Goldap, e a sera, dopo aspra
lotta, dovette a sua volta ritirarsi. La Terza Divisione tedesca di riserva non fece nemmeno a tempo
ad intervenire nella battaglia, perché aveva potuto mettersi in movimento dalle sue posizioni dietro
l'Angerapp solo con grave ritardo rispetto alle altre.
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Le conseguenze
I successi della 1ª armata a Stallupönen e a Gumbinnen e la conseguente ritirata dei Tedeschi
verso la Vistola, decisero il Samsonov a dirigersi non a nord verso la 1ª armata russa, ma ad
appoggiare ancor più verso ovest per ottenere un successo maggiore ampliando l'aggiramento
delle forze avversarie. Ne risultò una tale distanza tra le due armate che i Tedeschi, lasciando
contro il Rennenkampf un debole velo di cavalleria, agirono con tutte le forze contro l'armata del
Samsonov a Tannenberg. Nel complesso la battaglia di Gumbinnen, pur con esito incerto, si può
ritenere in definitiva una vittoria russa. Il brillante successo di von Francois sull'ala sinistra era
stato immediatamente vanificato dal disastro di Mackensen al centro, che aveva lasciato scoperto
il fianco del vittorioso I Corpo. Sull'ala sinistra dell'Ottava Armata, poi, i durissimi combattimenti
sostenuto dal corpo di von Below non avevano migliorato la situazione strategica: anche se i Russi
non avevano riportato un successo decisivo, l'attacco tedesco di sorpresa era mancato.
Battaglia di Namur
20-25 Agosto 1914
Gli avversari
Max von Gallwitz - Generale tedesco (Breslavia 1852 - Napoli 1937)
Generale di artiglieria, allo scoppio della prima guerra mondiale comandò il corpo d'armata di
riserva della guardia: diresse l'espugnazione di Namur (22-28 ag. 1914). Mandato sul fronte
orientale col suo corpo d'armata nella "battaglia invernale" ai Laghi Masuri, protesse efficacemente
il fianco all'8a armata; nel luglio 1915, come comandante di un gruppo di armate, diresse l'attacco
contro l'esercito russo che portò alla rottura della linea del Narew. Dall'autunno 1915 comandò
l'11a armata contro la Serbia e più tardi la 2a in Francia; nel febbr. 1918 ebbe il comando di un
gruppo d'armate sul fronte di Verdun. Scrisse: Meine Führer tätigkeit im Weltkriege, 1914-16
(1929).
Michel, Augustin-Édouard - Generale belga (n. 1855 - m. Bruxelles 1931)
Allo scoppio della prima guerra mondiale era governatore di Namur che difese nell'agosto 1914,
con il concorso francese, contro i Tedeschi; con le truppe sottratte alla cattura partecipò
nell'ottobre successivo alla battaglia dell'Yser. Nel 1918, nel corso dell'offensiva generale sferrata
dagli Alleati, fu a capo dell'armata belga del Nord con la quale prese parte alla battaglia di Fiandra
ed entrò a Ostenda (18 ottobre).
La genesi
Il Belgio è uno di quei paesi moderni formatisi dalla convenienza politica. Sulla base delle antiche
province del sud Paesi Bassi, le Fiandre e le aree valloni di Artois, è stato istituito come una
barriera tra la Francia, i Paesi Bassi e gli stati che si andarono ad unire per formare la nazione
tedesca. La neutralità belga venne garantita dal trattato del 1839, firmato da tutti i paesi che alla
fine sarebbero diventati i principali belligeranti della Grande Guerra del 1914-1918. Negli ultimi
decenni del XIX secolo, la fortuna belga ando' crescendo. Capitalizzando la sua posizione nel
cuore dei traffici europei, come luogo di scambio internazionale, e le grandi fonti di ricchezza
naturale come carbone e ferro, la sua popolazione crebbe esponenzialmente e il suo benessere
economico sboccio' negli anni appena antecedenti alla guerra. Militarmente, si credeva, da parte
delle grandi potenze del tempo, che le forze belghe fossero di poco conto, perché, praticamente,
non aveva nessun esercito vista la sua perpetua neutralita'. Nel corso di tutte le crisi diplomatiche
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degli inizi del XX secolo, il Belgio rimase sempre in disparte, concentrandosi piu' sullo sviluppo
delle sue recenti acquisizioni in Africa centrale, tra le piu' ricche dal punto di vista minerario
dell'intero continente, e per far rendere al massimo il suo periodo d'oro industriale. In quel
momento, quindi, aveva ben poco senso una qualsiasi azione militare imminente da parte belga. In
questa accogliente atmosfera, gli organi diplomatici belgi non riuscirono a sensibilizzare il proprio
governo sul fatto che la sicurezza nazionale si stava progressivamente indebolendo in quanto
continuava ad affidarsi alle tradizionali garanzie date dalla neutralità. L'ambasciatore francese a
Bruxelles veniva sempre più isolato, soprattuto in seguito al fatto che sia il Ministero degli Esteri
belga che gli esponenti dell'alta società stabilirono in maniera crescente sempre piu' trattati con
enti tedeschi. Tutto questo porto', nel 1910, la Germania a superare la Francia come il più
importante partner commerciale del Belgio. 'La Belgique Moderne', pubblicato nel 1910 dal
francese Henri Chauriaut rimarcava la rapidità della penetrazione culturale tedesca nella vita
belga. Particolarmente i cattolici fiamminghi erano molto impressionati dalla disciplina e dalla
moralità tedesca. Intellettuali belgi cominciarono allora a passare più tempo in Germania che alla
Sorbona, a Parigi. Inevitabilmente cosi' la politica e l'opinione pubblica belaga erano, negli anni
immediatamente prima della guerra, molto pro-tedeschi. Solo una categoria rimasta fermamente
pro-francese: la classe ufficiale. Essi infatti ereditavano la lingua e la cultura francese, e fu da
questa classe che emersero gli avvertimenti, che si dimostrarono corretti, a proposito dei pericoli
della crescente influenza tedesca.
L'impreparazione dell'esercito belga
E 'stato in gran parte grazie al Re Leopoldo II e Albert che il Belgio riusci' ad avere un tipo di
esercito efficace per il 1914. I due re non solo erano nella posizione di essere forti monarchi
costituzionali sostenuti da successioni di deboli governi nazionali, ma soprattutto, erano,
costituzionalmente, i comandanti in capo delle forze armate. Leopoldo aveva agito
responsabilmente, in seguito alla guerra del 1870 e considerando l'evidente crescita della potenza
tedesca in Europa, fece partire sia la costruzione delle fortezze sulla Mosa, a Namur e Namur, sia
una legge che decretava la crescita dell'esercito con un sistema di servizio nazionale che
coinvolgeva oltre 100.000 uomini. Il paese non riusci' a rispondere efficacemente al decreto, cosi'
un ulteriore legge venne approvata nel 1902, affidando la responsabilita' principale della difesa ai
volontari. A dispetto di un forte sostegno democratico-cristiano per l'espansione militare, il partito di
governo cattolica vacillava. Il popolo belga non erano militarista, e c'era poco, in termini di
propaganda interna che li 'invogliasse' in quel senso.
Un'altra legge venne approvata nel 1909, questa volta limitando servizio ad un figlio per famiglia.
In questo modo, e insieme ad altri tipi vari di 'incentivi', che potevano abbreviare il periodo di
servizio, l'esercito poteva contare a quel punto su circa 33.000 elementi per ogni anno. La durata,
proposta, del servizio differiva dall'arma di appartenenza, ma in tutti i casi era lunga appena per
formare un uomo, figuriamoci per dargli un'esperienza militare importante:
. Fanteria 15 mesi
. Artiglieria 21 mesi
. Cavalleria 24 mesi
Tutti gli uomini erano poi tenuti in riserva attiva, per un servizio totale di 15 anni.
Nel 1912, il capo del governo cattolico, Charles de Broqueville (che si era unito alla Camera nel
1892 come un anti- militarista, e che poi nel 1909 non approvo' la legge sulla coscrizione)
annuncio' che una riforma militare profonda era necessaria per la nazione belga. Era una copia del
piano di espansione dell'esercito tedesco relativa allo stesso anno, ma, ovviamente, ridotta nelle
dimensioni. Nel 1913, la clausola che portava solo un figlio per nucleo familiare in servizio venne
revocata. Secondo autorevoli storici e' stato calcolato che ci sarebbe voluto almeno fino al 1918
per avere a disposizione un esercito di 340.000 uomini ben addestrati, numero di riferimento
considerato come minimo necessario per difendere il paese da un attacco serio.
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L'esercito belga nel luglio 1914 era forte di circa 190.000 unita' ed organizzato come un esercito di
campo con sei divisioni, più le guarnigioni delle fortezze situate su Anversa, Namur e Namur.
L'esercito contava su circa 14.000 soldati professionisti in ferma, mentre il resto era diviso tra unita'
in servizio di leva e riserva. È interessante notare che l'esercito belga nel 1839 era composto da
ben 100.000 uomini, potendo contare pero' sulla meta' della popolazione rispetto al primo
decennio del XIX secolo). Gli effetti delle leggi militari sul rafforzamento dell'esercito, furono
comunque di forte impatto, come può essere visto nella composizione di questa lista in cui
vengono indicati le forze in aggiunta anno per anno dell'esercito belga:
. 1906-9 13.000 uomini all'anno
. 1910 - 17.000 uomini all'anno
. 1911 - 19.000 all'anno
. 1912 - 21.000 all'anno
. 1913 - 33.000 all'anno
Così, con un potenziale totale di 144.000 uomini disponibili per l'esercito circa 40.000 non
divennero reclutabili nell'agosto 1914 per vari motivi. Circa 104.000 uomini servirono nell'esercito
nel 1914, a cui vanno aggiunti i 14.000 soldati regolari del tempo. Inoltre, le fortezze di Namur,
Namur e Anversa eranop presidiate da 5.000 elementi fissi come guarnigione oltre ai 60.000
'anziani' delle classi 1899-1905. Il saldo del totale, prima riportato (190.000) era composto da
personale, ufficiali e unità di supporto vari. L'armamento e le attrezzature dell'esercito riflettono
decenni di rigorose attenzioni al budget finanziario. In tutto erano disponibili solo 93.000 fucili e
6.000 spade, dato di suo già abbastanza grave in considerazione degli effettivi, ma il vero
problema in termini di armamento era rappresentato dalla scarsità di artiglieria. C'erano solo 324
cannoni oltretutto obsoleti, e un misero numero di 102 mitragliatrici. Un decreto del 15 dicembre
1913, emesso come reazione all'aumento delle tensioni e alla chiara intenzione di Re Alberto di
adottare una posizione difensiva neutrale, faceva partire ordini per le moderne apparecchiature di
artiglieria. Gli ordini di artiglieria pesante vennero affidati all'azienda Krupp, in Germania. Inutile
dire che, Krupp ritardo' le consegne e quindi, i belgi scesero in campo con un solo tipo di arma che
rientrava nei parametri di moderna artiglieria leggera e comunque con un quantitativo minimo. Ma i
problemi non erano finiti. Non c'era praticamente nessun mezzo di trasporto meccanizzato,
l'esercito si basava ancora sul cavallo; c'erano anche gravi carenze per il genio militare,
attrezzature minori e persino uniformi, tant'e' che l'amministrazione non riusci' ad attrezzarsi per
l'espansione delle classi 1913 e 1914.
Mentre la crisi 1914 si andava accentuando, un osservatore neutrale, che avesse dovuto valutare
la capacità dell'esercito di difendere il paese, avrebbe trovato poco spazio all'ottimismo in campo
belga. In primo luogo, vi erano disaccordi ai massimi livelli sulla strategia da adottare, anche se
quasi tutti erano d'accordo sulla posizione neutrale difensiva. Certo, si andava incontro alla
probabilità di essere invasi da Germania e Francia, ma le due superpotenze intendevano scontrasi
con le strategie che erano tutt'altro che segrete. Queste divergenze, negli altri quadri militari belgi,
permase ancora nell'inoltrato anno 1914. Allo scoppio della guerra infatti, non una decisione
significativa era stata presa sul dispiegamento dell'esercito, indipendentemente che il Belgio fosse
attaccato dalla Germania o dalla Francia. Il governo di de Broqueville si aggrappava ostinatamente
alla speranza che fossero rispettati i trattati di neutralità, fino al momento in cui le truppe tedesche
stavano attraversando il confine. In campo belga, non è stato semplicemente compreso cosa
sarebbe successo quando le garanzie del 1839 sarebbero diventate senza valore.
De Selliers de Moranville, Capo di Stato Maggiore a partire dal 25 maggio, propose di concentrare
tutto l'esercito nelle fortezze di Anversa, Namur e Namur lasciando solo una parte delle forze come
schermo per ritardare le avanzate nemiche. De Ryckel, aiutante generale, era invece favorevole
ad una politica che guardasse ad un forte presidio delle frontiere, soprattutto di fronte a Namur, per
poter verificare le forze d'invasione, e solo allora cercare di ripiegare su Anversa, se ritenuto
necessario. Il re Alberto stabilì allora che: l'esercito si doveva concentrare sulla riva sinistra della
Mosa, preparare una seconda linea lungo il Gette, ed avere base su Anversa. Le decisioni finali
vennero adottate il 2 agosto, quando i tedeschi stavano gia' espandendosi in Lussemburgo.
Accanto alla preoccupazione per la strategia vi era la preoccupazione per la condizione
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dell'esercito belga stesso. Esso infatti non aveva mai combattuto, e praticamente tutta la sua
efficacia era concentrata sul buon funzionamento delle guarnigioni di fortezza. Gli ufficiali avevano
mai comandato grandi corpi di uomini in campo aperto. Erano anche, nella maggior parte dei casi,
terribilmente in contatto con gli uomini, la maggioranza dei quali parlavano fiammingo, non il
francese della classe ufficiale stessa. Gli ordini militari invece continuavano ad essere dati solo in
francese, il che, aggiunto al dato che oltre il 10 % dei soldati semplici erano analfabeti, creava un
certo disangio nella catenda di comando. Infine, l'esercito belga era in fase di riorganizzazione,
con molte unità, brigate, divisioni e personale in via di cambiamento. Questo stato di incertezza
amministrativa esisteva ancora quando i tedeschi marciarono sul Belgio nel mese di agosto del
1914.
Piano Schlieffen contro Piano XVII
La posizione militare del Belgio è stata inevitabilmente dettata dalla posizione geografica e politica,
in bilico tra le due super-potenze Francia e Germania, che avevano previsto due piani strategici
bene definiti tempo prima dell'apertura del conflitto.
La strategia militare francese in Europa era sostanzialmente guidata da due forze:in primo luogo,
un appassionato desiderio di riconquistare i territori dell'Alsazia e della Lorena, che erano stato
ceduti a buon mercato ai tedeschi dopo il famoso conflitto del 1870; queste due regioni erano state
intensamente germanizzata, provocando la repulsione dei francesi, inoltre erano, e sono ancora
oggi, ottimi settori per l'agricoltura e l'industria. Per le terre tedesche ad ovest del fiume Reno
quelle zone erano di immensa importanza tattica poiche' erano regioni industriali di assemblaggio
materiali per le truppe, e rappresentavano quindi un bersaglio ovvio per una potenziale offensiva
francese. In secondo luogo, l'esercito francese era diventato ossessionato da una dottrina militare
che si basava quasi esclusivamente sull'attacco - specialmente l'idea di attacco a oltranza, con
stile, con energia, con uno slancio. Questa idea era relativamente nuova, ma era sviluppata a
partire dal 1900, guidata dall'insegnamento di Foch e altri presso le scuole ufficiali. Prima di allora,
la strategia francese era stata fortemente marcata dal difensivismo, strategia che aveva portato
alla costruzione delle fortezze di confine a Maubeuge, Belfort, Verdun, Toul, Epinal e in altre
località.
La nuova dottrina porto' inesorabilmente alla mancanza francese nell'organizzazione difensiva, e
all'assenza di una formazione su come affrontare un nemico che avesse resistito e contrattaccato
a sua volta. Questo tipo di mancanza stava per costare caro ai francese nei primi anni della
guerra, particolarmente nei primi scontri lungo la frontiera. I piani francesi pertanto collocavano un
gran numero di truppe in grado di aggredire l'Alsazia e la Lorena, con il centro di gravità
dell'esercito che ruotava di fronte Metz. La prima e la seconda armata, sotto generali Dubail e de
Castelnau, sarebbero state dirette verso Colmar, Strasburgo e Metz. I francesi, naturalmente,
sapevano che i tedeschi avrebbero attaccato la Francia appena avuta l'opportunità, e volutamente
lasciato aperto un canale - i trouée de Charmes - per loro di farlo. Un ampio spazio è stato lasciato
tra la Seconda Armata, e la Terza Armata del generale Ruffey di fronte Longwy e al Lussemburgo.
Si ipotizzava quindi che i tedeschi sarebbero stati indotti a entrare nel varco, e quindi trattenuti
nella zona e distrutta dai forti intorno a Verdun. Il resto dell'esercito prese posizione lungo il confine
con il Belgio a nord fino alla vecchia fortezza di Maubeuge, rimanendo sulla difensiva, mentre la
Prima e la Seconda armata dovevano avanzare, attraverso le Ardenne. I belgi avevano quindi
ragione a preoccuparsi tanto di un attacco sia da ovest che da oriente. La pianificazione francese
pero' non considerava che i tedeschi potessero avanzare attraverso le regioni settentrionali del
Belgio (anche se va detto che, Michel, predecessore di Joffre come comandante in capo, aveva
postulato questo possibilita' che venne ritenuta assurda e divenne una delle cause della sua
destituzione). Le distanze erano troppo lunghe, secondo i francesi, perche' potesse essere
praticata quell'ipotesi, e, naturalmente, violava la stessa neutralità che il suo stesso paese aveva
firmato per prima. Quindi solo un sottile schermo di protezione venne lasciato tra Maubeuge e la
costa nei pressi di Dunkerque. Il piano francese era di grande semplicità e, a parte piccole
modifiche particolari, rimase invariato fino all'inizio delle ostilita'. L'ultima revisione del 1912, era il
Piano XVII.
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Ma l'Intelligence tedesca conosceva, per grandi linee, le intenzioni francesi, fin dal 1897. Fu in
questo anno che von Schlieffen, Generale del capo di Stato Maggiore tedesco, aveva trovato il
coraggio di articolare la ovvia risposta militare per l'alleanza franco-russa del 1893. Non poteva
combattere e battere entrambi contemporaneamente; quindi, contando sulla tradizionale
incompetenza russa e sulla loro incapacità di mobilitarsi in massa a causa della mancanza di un
sistema ferroviario sufficiente, poteva contare su un breve periodo di tempo in cui per battere il
nemico francese. I tedeschi potevano contare sui benefici degli ottimi sistemi ferroviari laterali che
vennero costruiti per spostare masse di truppe da una potenziale Francia conquistata fino in
Oriente, per battere in seguito i russi. Ma il confine franco-tedesco non era l'ideale per un grande
assalto. Gran parte di esso era collinoso, e i francesi avevano lasciato un ampio divario di fronte a
Verdun, troppo evidente per attaccarlo in sicurezza. Quindi, solo 40 chilometri circa di fronte erano
ideale per l'assalto, uno spazio non sufficiente per un attacco di massa e potenzialmente
pericoloso perche' poteva lasciare il fianco troppo esposto ad un potenziale contrattacco francese.
No, la risposta è stata di muoversi attraverso il Belgio, e marciare su Parigi. Politicamente
impossibile, sembrava a von Schlieffen che la possibilità di accerchiamento da parte dell'Alleanza
ne giustificasse l'azione. Più tardi, appena nell'Alleanza, divenuta Triplice Intesa, si uni' l'Inghilterra,
la giustificazione per l'invasione belga era definitiva. La macchina della propaganda tedesca
comincio' a suggerire all'opinione pubblica, che quei paesi non ancora allineati, come il Belgio,
francesi e inglesi non avrebbero esitato a usarli come loro aufmarschgebiet, o zona trampolino di
lancio, per un assalto diretto alla stessa Germania. Così, naturalmente , era solo per motivi di
difesa che la Germania avrebbe invaso il Belgio.
Il piano di Von Schlieffen seguiva quindi queste linee guida: l'esercito avrebbe colpito duro e
veloce contro la Francia, in un movimento che puntasse direttamente da Nord verso Parigi.
Qualora fosse andato tutto bene, l'esercito avrebbe continuato il suo movimento in senso antiorario
per piombare alle spalle sul grosso dell'esercito francese soprattutto se quest'ultimo fosse, anche
di poco, avanzato in Lorena, visto che i tedeschi avrebbero lasciato una forza molto leggera
numericamente parlando a sud di Metz. Per assicurarsi la vittoria, ci sarebbero tre volte il numero
di uomini sulla fascia destra tedesca rispetto alla propria sinistra. A questo punto il piano per
l'occupazione del Belgio, diveniva fondamentale; il progetto era semplice - mettere fuori
combattimento i forti di Namur e Namur e andare avanti il piu' rapidamente possibile. Fondamentali
in questo progetto erano la cattura delle ferrovie, di Bruxelles e la presa di Anversa come varco
aggiuntivo, utile per un ulteriore accesso al mare del Nord. Non c'era proprio nessuna possibilità
che le sei divisioni dell'esercito belga, così scarsamente attrezzate e organizzate, potessero
rivelarsi una minaccia per le potenti armate teutoniche. Gli eserciti di Von Kluck, Von Bulow e Von
Hausen dovevano, secondo i piani, muoversi rapidamente in avanti, superando in velocita' le
resistenze belghe, per poi catturare Parigi. Ma i tedeschi non si reserono conto che, al fianco dei
belgi, ci sarebbe stata anche la British Expeditionary Force, posizionata di fronte a Maubeuge sulla
sinistra dello schieramento francese. Questa disposizione del BEF fu una vera sorpresa per tutti, lo
stesso Parlamento britannico non ne sapeva nulla fino a all'ultimo minuto, e d'altronde non c'era
ragione di preoccuparsi da parte parlamentare, anche qualora fossero stati a conoscienza
dell'operazione. Infatti quattro divisioni di un esercito a cui erano state date alcune dure lezioni dai
boeri a pochi anni prima, avrebbero avuto un piccolo impatto sulle operazioni tedesche.
Spregevolmente piccolo, come disse il Kaiser.
Ma sopra ogni cosa, la debolezza del Piano Schlieffen stava nella rigidità del calendario, sia nella
tempistica programmata per catturare Parigi (operazione quasi riuscita), sia nella sottovalutazione
delle difficoltà di approvvigionamento e di comunicazione delle forze finora in avanzamento. In
definitiva, questi problemi, furono i responsabili del fallimento del Piano Schlieffen. Le forze alleate
potevano spostare le truppe sul fronte, grazie all'uso della ferrovia, molto più velocemente di
quanto i tedeschi potevano fare, senza contare la possibilita' di inviare rapidamente rifornimenti
alimentari ed eventuali truppe di riserva. Inoltre, fattore forse ancora piu' critico, l'isolamento di
Moltke dalla linea del fronte, visto che era arrivato non lontano da Parigi, porto' ad una seria ad
una serie di decisioni sbagliate e di un indebolimento importante delle forze tedesche nel
quadrante a nord. Sfruttando le lacune nel sistema tedesco, francesi ed inglesi furono in grado di
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terminare rapidamente la guerra di movimento paventata dagli avversari dando inizio alla statica
guerra di trincea.
Con l'intensificarsi della crisi, nell'estate del 1914 , sia Piano XVII e il piano Schlieffen
cominciarono ad essere attuati. Un enorme numero di uomini vennero mobilitati e iniziarono a
prendere posizione. Il 27 luglio, il Belgio cerco' di correre ai ripari richiamando i 33.000 uomini della
classe 1913 , che erano andati in congedo il 10 luglio. Il 31, venne proclamata la mobilitazione
generale, dopo l'annuncio tedesco di Kriegsgefahrzustand alle 13:30 di quello stesso giorno. Il 2
agosto, i tedeschi occuparono il Lussemburgo, senza incontrare alcuna opposizione. Parti' cosi'
l'ordine, a tutti i posti di frontiera lungo tutte le frontiere belghe, di aprire il fuoco contro tutte le
truppe nemiche che cercassero di attraversare il Belgio. Lo stesso giorno, l'ambasciatore tedesco
a Bruxelles si presento' al Ministero degli Esteri belga, con una lettera, o meglio, con un ultimatum.
Con il pretesto che la Francia stava per attaccare il Belgio, infatti, i tedeschi chiesero il libero
passaggio attraverso il territorio belga. La richiesta, o ultimatum, venne brevemente discussa dal
Governo belga, che un'ora più tardi la respinse all'unanimità. Il 3 agosto, i francesi iniziarono le
ostilità contro la Germania, e Joffre ordino' al VII Corpo di andare avanti per catturare Mulhouse.
(Per inciso, il comandante dello stesso VII, il generale Bonneau, tergiverso', impiegando due giorni
per raggiungere la città - che era a soli 15 chilometri dalla sua base - e trascurando
successivamente ricognizioni e fortificazioni difensive, perdendo cosi' la stessa citta' appena due
giorni dopo). I tedeschi, subito dopo l'occupazione, trasferirono ancora più uomini in Lussemburgo.
Fu solo in questo giorno che il quartier generale belga decise finalmente come schierare il proprio
esercito. La 3a Divisione del generale Leman venne dislocata a Namur, la 4a, sotto Michel, a
Namur, per la difesa ad oltranza. La 1a Divisione lasciò Gent per Tienen, la 2a passo' da Anversa
a Leuven, la 5a da Mons a Perwez, e la 6a passò a Wavre, provenendo dalla capitale. All'alba del
4, vennero inviati gli ordini alle unità tedesche avanzate: dovevano eseguire il passo successivo
del Piano Schlieffen, ossia la distruzione o la cattura di Namur. Unità tedesche attraversarono il
confine con il Belgio, in sei punti diversi. Un telegramma venne inviato da un piccolo presidio di
confine belga: << dalla 34a Brigata a Gemmenich al generale Leman, comandante della 3
Divisione, a Namur: 'Le terroire Belge avait été envahi par les troupes Allemandes!' >>. Caduta
Liegi, dopo una tenace resistenza che ritardo' notevolmente l'avanzata tedesca, era giunto il turno
di Namur.
La battaglia
Cosi' come a Liegi, la città di Namur era stata fortificata tra il 1888 e il 1892 sotto la direzione
dell'ingegnere militare Brialmont con la costruzione di un anello di fortificazioni che circondavano
per intero la città stessa. Si credeva, da parte belga, che i forti, accompagnati dal supporto attivo
della fanteria, avrebbero protetto gli attraversamenti dei fiumi Sambre e Mosa dall'invasione
tedesca. In maniera simile a Liegi, i forti stavano a circa cinque chilometri dal centro della città, ed
erano nove in totale (quindi una differenza in termini di distanza dal centro cittadino e in numero
totale). Infine forti erano collegati, come a Liegi, da trincee e filo spinato, anche se le condizioni di
quest'ultimo non erano ottimali.
Von Bülow ordinò al Generale Gallwitz, comandante del Corpo della Riserva della Guardia, di
condurre l'attacco su Namur con Angriffsgruppe, mentre la Terza Armata doveva rimanere a
protezione contro un eventuale attacco degli Alleati tra Namur e Givet. Nel frattempo, l'artiglieria
pesante ed alcune unità del genio, ancora stanziate a Liegi, furono inviati a Namur lungo la valle
della Mosa portando con loro l'esperienza guadagnata nell'operazione contro i forti di Liegi. Von
Bülow arrivò alla sede centrale di Gallwitz 20 agosto ed insistè che la Divisione di Riserva
muovesse ulteriormente a nordovest di Namur, per proteggere il fianco sinistro della Seconda
Armata che cercava di aggirare la fortezza. Per far questo, la divisione di Gallwitz doveva
attraversare il fiume ad Andenne ma i "borghesi" belgi ne rimandarono il passaggio tramite un
combattimento stradale. La 3 Divisione di Guardia fu invece dirottata a Hingeon da un contrattacco
belga da Cognelée. Sull'argine meridionale, nel frattempo, l'XI Corpo tedesco respinse improvvisi
attacchi belgi, arrivò ai suoi punti di raggruppamento e stabilì la propria posizione di fianco a
Florée. Ma l'artiglieria Tedesca arrivò tardi e così il bombardamento fu posticipato al 21 agosto.
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Dopo una ricognizione 19 agosto, Gallwitz decise, di attaccare la parte nord-orientale della
fortezza con la Terza Divisione di Guardia tra Hingeon e Vezin ed il lato orientale con la Prima
Divisione della Riserva della Guardia situato ad Andenne. L'artiglieria d'assedio, una volta giunta,
doveva essere piazzata nei settori opposti: Marchovlette, Maizeret ed Andoy. Il piano era ben
strutturato, ma i belgi avevano usato il tempo impiegato nell'assedio di Liegi per consolidarte le
fortificazioni di campo costruite tra i forti e, particolarmente nella parte più vulnerabile del perimetro
difensivo di Namur: ossia la direttrice che va da nord a sud-est.
Il bombardamento inizio' il 21 agosto ma fu subito interrotto dalla nebbia e da mezzogiorno
l'artiglieria su nordest e sud-est aveva sparato mettendo sotto pressione solamente i forti
Marchovelette, Maizeret, Andoy e la terra che s'interponeva nel mezzo di questi. Nel frattempo la
Prima Divisione della Riserva avanzò nell'area di Hemptinne e Meeffe, mentre la Terza si
avvicinava ai villaggi di Marchovelette, Gelbressée e Wartet, cosi' come la 22a Divisione arrivò
vicino a Thon, e la 38a arrivo' ad Andenne. Un controllo del terreno a est e sud-est di Namur fece
emrgere che essendo assai scosceso era disadatto per un attacco il che portò Gallwitz a pensare
ad una finta in quel quadrante ed ordinò alla 38a Divisione di muoversi dall'argine nord a partire
dal giorno successivo. Il tempo piovoso impedì una ricognizione fotografica aerea tedesca ma la
1a e la 38a Divisione della Riserva erano gia' destinate ad un attacco tra Daussoulx e Gelbressée,
cosi' come la 3a Divisione rimase in riserva. Il fuoco d'artiglieria fu diretto sul forte Cognelée gia'
dal 22 agosto, mentre i difensori belgi effettuarono due contrattacchi costringendo la 3 Divisione di
Guardia a lottare aspramente vicino a Marchovelette, mossa che costrinse i tedeschi a dilazionare
l'attacco fino al giorno dopo. Il bombardamento continuò, coi comandanti d'artiglieria sicuri degli
effetti della propria azione, che, nelle loro convinzioni stava devastando i forti belgi, i quali pero',
secondo le ricognizioni aeree non dimnuivano di numero o efficacia.
A questo punto Gallwitz ordinò l'attacco del 23 agosto verso le postazioni nord e nordest, sotto il
comando del Tenente-generale von Plüskow il comandante dell'XI Corpo. Il piano prevedeva che
appena l'artiglieria da assedio fosse riuscita a sopprimere l'artiglieria da fortezza belga, la fanteria
ed il genio dovessero attaccare le difese intermedie tra i forti sostenute dall'artiglieria da campo.
Dopo il primo attacco, la frangia settentrionale di Namur sarebbe stata occupata dai tedeschi. Von
Plüskow opto' per un ulteriore dilazione delle operazioni, almeno fino a quando non fosse stato
sicuro che il bombardamento del forte fosse riuscito perfettamente ma Gallwitz rifiutò. L'attacco
cominciò alle 9:30 a.m. mentre giunse notizia che la 3 Divisione di Guardia aveva catturato le
difese est di forte Cognelée. Plüskow cosi' ordinò al resto delle unità nel suo settore di attaccare.
Alle 11:15 a.m. le difese di forte Marchovelette caddero e anche il fuoco da forte Cognelée cesso'.
Gli attacchi continuarono lungo l'intero fronte verso Namur, con una brigata della 1a Divisione della
Guardia, insieme ad un reggimento della 38a Divisione avanzavano lungo la strada di Leuze. Con
le fortezze di Cognelée e Marchovelette cadute l'attacco al settore nord di Namur arrivo'
all'obiettivo alle 4:00 p.m.
La 14a Divisione di Riserva attaccò verso forte Emines e Suarlée per deviare il fuoco belga
dall'attacco principale, mentre la 22a Divisione bersagliò forte Maizeret ed Andoy fino al
pomeriggio, quando, alle 5:00 p.m., Gallwitz spedì un inviato al comandante della guarnigione di
Namur, per chiedere la resa della città e dei forti rimanenti dalle 7:00 p.m. oppure la città e la
cittadella sarebbero state inesorabilmente bombardate. Nessuna replica fu data fino al termine
massimo, ma, per evitare una battaglia stradale durante la notte successiva al termine
dell'ultimatum tedesco cominci' solamente un bombardamento su cittadella e parte meridionale
della città. Il bombardamento cessò dopo quindici minuti appena alcune delle truppe stanziate nel
nord della città si spinsero oltre le linee dei binari ferroviari. Gallwitz ordinò al resto della fanteria di
avanzare verso Sambre e Mosa che erano indifesi; le residue truppe belghe catturate nella città
riportarono che la 4a Divisione belga si era ormai ritirata a sud quando l'attacco Tedesco aveva
colpito piu' duramente la linea delle fortezze. Durante la notte le truppe Tedesche mantennero le
loro posizioni, pronte per riprendere l'attacco la mattina seguente.
I Tedeschi ripresero l'attacco il 24 agosto alle 5:00 a.m. e l'artiglieria pesante (Grande Berta
inclusa) riprese il bombardamento di forte Emine e Suarlée. Le truppe teutoniche nella città
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ripararono i ponti sulla Mosa e Sambre. Forte Maizeret era gia' caduto il giorno prima davanti alla
22 Divisione e Gallwitz quindi ordinò alla 38a Divisione di avanzare a sud-ovest di Namur, per
attaccare forte Malonne e St. Héribert. La 3a Divisione di Guardia doveva prendere il resto della
città e la 1a Divisione della Riserva doveva proteggere l'artiglieria posizionata a nord della Mosa,
per il bombardamento di forte Emines e Suarlée. La 14a Divisione di Riserva doveva prevenire
un'eventuale fuga a ovest o sud-ovest dei belgi e la 22a Divisione una volta presi i forti Andoy e
Dave, avrebbe dovuto avanzare al di la' della Mosa. La 3a Divisione di Guardia prese il resto di
Namur durante la mattina ed insieme cadde forte Andoy. Malonne fu presa con un rapido assalto
mentre, durante la serata, la 38a Divisione prese sia forte St. Héribert che forte Emines. I forti
Dave e Suarlée vennero catturati il 25 agosto.
Le perdite
L'esercito belga aveva perso 15,000 unita' di cui 10,000 erano appartenenti alla sola 4a Divisione
che successivamente si uni' piu' a sud alla Quinta Armata francese. La divisione fu trasferita a Le
Havre e poi da mare ad Ostenda, arrivandovi il 27 agosto e ricongiungendosi con l'esercito di
campo ad Anversa. La storiografia Ufficiale Tedesca registrò la cattura di 5,700 prigionieri belgi e
francesi, la cattura di dodici pezzi d'artiglieria da campo e che elementi della 4a Divisione che
aveva lasciato la fortezza all'ultimo momento furono catturati a sud di Namur. I tedeschi avevano
perso 900 unita', di cui pero' solo 300 risultarono come uccisi.
Le conseguenze
La lezione di Liegi era stata assimilata dai tedeschi. L'attacco su Namur era stato più veloce, ebbe
bisogno di meno truppe ed era stato meno costoso in termini di vite umane germaniche,
nonostante le tre settimane che i difensori ebbero a disposizione per prepararsi alla difesa. I
tedeschi invertirono le tattiche usate a Liegi ed aspettarono i pezzi d'artiglieria d'assedio
(provenienti in treno) per bersagliare preliminarmente i forti che circondavano Namur. Durante la
notte del 24 agosto, il Corpo della Guardia della Riserva e l'XI Corpo furono inviati a sud per
riunirsi alla 2a e 3a Armata. L'avanzata tedesca proseguiva, ora piu' rapida, ma con un ritardo
accumulato che si sarebbe fatto sentire in seguito. Se gia' in precedenza si fosse usato in campo
tedesco una ratio d'assedio come quella vista a Namur, probabilmente il Piano Schlieffen avrebbe
avuto un pieno successo dando un altro corso all'intera Prima guerra mondiale.
Battaglia di Charleroi
21 Agosto 1914
Gli avversari
Karl von Bülow (Berlino, 24 aprile 1846 - Berlino, 31 agosto 1921) Generale tedesco
Nato da insigne famiglia militare prussiana, von Bülow si arruolò nell'esercito durante la guerra
austro-prussiana del 1866; nella guerra franco-prussiana del 1871 servì come capitano nello Stato
Maggiore. Nel 1884 fu promosso colonnello e assegnato al 9º Reggimento di fanteria della
Guardia. Nel 1897 divenne direttore del dipartimento centrale del ministero della Guerra. Fu
comandante del III Corpo d'armata dal 1903 sino alla nomina ad ispettore della 3ª Armata nel
1912, poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale.
Assegnato alla 2ª Armata nell'agosto 1914, comandò l'invasione del Belgio catturando la fortezza
di Namur il 22-23 agosto 1914. Avanzando in Francia, von Bülow sconfisse la 5ª Armata francese
a Charleroi il 23-24 agosto, e ancora a Saint-Quentin il 29-30 dello stesso mese. Quando la 2ª
Armata, insieme con la 1ª Armata del generale Alexander von Kluck, si avvicinò a Parigi dal 31
agosto al 2 settembre, von Bülow, preoccupato per la vasta breccia che si era venuta a creare fra
le due armate in avanzata, ordinò a von Kluck di dirigere la 1ª Armata sulla propria sinistra perché
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offrisse sostegno all'ala destra della 2ª. Questa decisione tuttavia provocò la deviazione di von
Kluck a sudest di Parigi, invece che a nordovest come previsto dal Piano Schlieffen e compromise
l'offensiva. Di fronte poi al contrattacco alleato che si insinuò nella breccia (battaglia della Marna,
5-12 settembre), le due armate dovettero ritirarsi sull'Aisne. Fu promosso feldmaresciallo nel
gennaio dell'anno successivo; dopo aver accusato un attacco cardiaco due mesi dopo, fu messo a
riposo all'inizio del 1916. Si stabilì a Berlino dove morì il 31 agosto 1921.
Charles Louis Marie Lanrezac (Pointe-à-Pitre, 31 luglio 1852 - Neuilly-sur-Seine, 18 gennaio
1925) Generale francese.
Charles Louis Marie Lanrezac nasce a Pointe-à-Pitre, in Guadalupa, il 31 luglio 1852, rampollo di
una famiglia della piccola nobiltà tolosana, i de Quinquiry d'Olive, emigrati ad Amburgo durante il
periodo del Terrore, seguente alla Rivoluzione francese. Suo padre, Auguste Lanrezac, era
ufficiale della fanteria di marina. Per poter studiare Charles Lanrezac ricevette una borsa di studio
dal Prefetto della Manica, mentre suo padre era di guarnigione a Cherbourg. Frequentò il Prytanée
national militaire di La Flèche, passando poi al'Ecole impériale spéciale militaire de Saint-Cyr nel
settembre 1869, classificandosi 75º su 250 ammessi. Come sottotenente ricevette la sua prima
destinazione nel 1870, assegnato al 13º Reggimento di fanteria. Durante la guerra francoprussiana, si ritrovò assegnato al XV Corpo d'Armata, appartenente all'Armée de la Loire.
Partecipò al combattimento di Coulmier, il 9 novembre 1870, e poi ai combattimenti attorno ad
Orleans, il 24 novembre. Il suo comportamento gli valse la promozione al grado di tenente a titolo
provvisorio e la Croce di Cavaliere della Légion d'Honneur. Nel gennaio 1871, il suo Corpo
d'armata raggiunse l'Armée de l'Est del generale Charles Denis Bourbaki con la missione di
liberare Belfort e prendere i prussiani alle spalle in Alsazia. Partecipa ai combattimenti attorno a
Héricourt dal 15 al 17 gennaio, portandosi poi su Besançon per proteggere la ritirata del'Armata,
sfuggendo all'internamento in Svizzera, e combattendo infine a Larnod il 20 gennaio. Alla fine della
guerra riprende i suoi studi presso l'École spéciale militaire de Saint-Cyr, al termine dei quali viene
assegnato al 30º Reggimento di fanteria di Annecy. Viene promosso capitano il 21 febbraio 1876 e
trasferito al 24º Reggimento di fanteari a Parigi. Ottiene il brevetto di ufficiale di Stato maggiore nel
1879. Viene nominato professore aggiunto d'arte militaire presso l'École spéciale militaire di SaintCyr, passando poi cinque anni in Tunisia in seno alla brigata d'occupazione, appartenente al 113º
Reggimento di fanteria. Al suo ritorno in patria diviene professore di tattica presso l'École
supérieure de guerre, ed è promosso comandante di battaglione (chef de bataillon) nel luglio 1892.
Nel 1898 viene promosso tenente colonnello e nominato direttore degli studi dell'École supérieure
de guerre. Nel 1901 viene promosso colonnello e assume il comando del 119º Reggimento di
fanteria.
Nel marzo 1906 diviene comandante ad interim della 43ª Brigata di fanteria a Vannes, e fu
promosso generale di brigata nel giugno dello stesso anno. Professore, poi comandante in
seconda, dell'École de Guerre, Charles Lanrezac fu uno dei più fini strateghi, ma anche il meno
ascoltato, alla vigilia della Prima guerra mondiale. Si oppose all'uso sistematico e predeterminato
dell'offensiva ad oltranza e preconizzò un ricorso più frequente alla manovra ragionata, così
motivando: Se ogni comandante di unità subordinata ha il diritto di lanciarsi a testa bassa contro il
primo avversario che gli capita a tiro, il comandante in capo è impossibilitato ad esercitare la
minima azione direttiva. Si attribuisce a lui la formula: Attaquons, attaquons...comme la lune!. Nel
1911 viene promosso generale di divisione, e nel 1912 è elevato al rango di generale di corpo
d'armata, assumendo il comando dell'XI Corpo d'Armata di Nantes. Nell'aprile 1914 sostituisce il
generale Joseph Simon Gallieni alla testa della 5ª Armata (di mobilitazione) francese, prendendo il
suo posto anche all'interno del Supremo Consiglio di Guerra. Tale armata, forte di ben cinque
Corpi d'Armata, in base al Piano XVII elaborato dal generale Joseph Joffre era posizionata
all'estrema ala sinistra dello schieramento francese. Il suo comando era indubbiamente il più
difficile del fronte occidentale, in quanto doveva incontrate l'ala destra avvolgente dell'esercito
tedesco che travolse rapidamente la resistenza dell'esercito belga, cooperando nel contempo con
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la British Expeditionary Force britannica posizionata sul suo fianco sinistro. Allo scoppio delle
ostilità, Lanrezac tentò insistentemente di attirare l'attenzione del generalissimo Joffre sul pericolo
di una penetrazione tedesca a nord della Mosa e della Sambre attraverso il Belgio. Joffre credeva
che l'esercito francese dovesse eseguire il Piano XVII indipendentemente da quello che potesse
succedere in Belgio, ma Lanrezac finì per convincerlo e poté portare le proprie truppe (290.000
uomini) sul fronte di Charleroi. Ma i pessimi rapporti con il comandante della British Expeditionary
Force, generale Sir John French, segnarono non solo il proseguimento della sua carriera ma
anche una parte della guerra stessa. Dopo i fallimenti in coabitazione con French, Lanrezac fu
silurato il 3 settembre 1914 e rimpiazzato da Franchet d'Esperey. Amareggiato dalla sostituzione
Lanrezac rifiutò nel 1917 il posto di maggior generale dell'esercito che gli propose Paul Painlevé,
allora ministro della guerra. Dopo la guerra pubblicò un pamphlet contro Joffre. Poco tempo prima
di morire, ricordando quel doloroso periodo Lanrezac scrisse: Al posto del generale Joffre, avrei
agito come lui; non avevamo lo stesso modo di vedere le cose, né del punto di vista tattico, né del
punto di vista strategico; non potevamo intenderci.... ero molto deciso a non attaccare il
generalissimo, perché non avevo il diritto di giudicare i suoi atti sulle altre parti del campo di
battaglia. Il 29 agosto 1924 il Maresciallo Philippe Petain, decorandolo con la Gran Croce
dell'Ordine della Legion d'Onore, lo riabilitò pienamente. Si spense a Neuilly-sur-Seine il 18
gennaio 1925.
La genesi
Concentrati sull'applicazione del Piano XVII, gli alti ufficiali francesi non riuscirono a prevedere un
possibile aggiramento del nemico, nello specifico quello dettato dal piano Schlieffen; tra tutti questi
vi era pero' un'unica eccezione: il comandante Lanrezac, comandante della Quinta Armata. Gia' l'8
agosto egli invio' il proprio Capo di Stato maggiore al Quartier Generale di Chatéau-Thierry, per
avvertire Joffre del pericolo di avvolgimento sul suo fianco sinistro; ma, ovviamente nessuno lo
prese in considerazione. Si riteneva, correttamente, che per poter minacciare un avvolgimento
dell'estrema ala sinistra francese, i Tedeschi avrebbero dovuto varcare la Mosa con forze
imponenti; ma questa ipotesi tattica era ritenuta impossibile, in considerazione del fatto che i
Francesi ignoravano l'impiego in linea delle divisioni di riserva avversarie. Cosi', Joffre e i suoi
collaboratori ritennero che i Tedschi non avrebbero mai potuto disporre di forze bastanti a coprire
tutta la linea del fronte franco-belga; e considerarono la segnalazione del pericolo di Lanrezac
come un segnale di imminante cedimento di nervi. Quindi, ogni saggio ammonimento venne
ignorato dall'alto comando, fino al momento in cui le informazioni raccolte sul campo
incominciarono a confermare i timori espressi da Lanrezac; anche allora, però, Joffre vi credette
solo in parte, ed il comandate della Quinta Armata non fu autorizzato che a una modesta rettifica di
posizionamento, ossia a spostare più ad ovest il proprio corpo d'armata di sinistra: misura ritenuta
insufficiente perfino dallo stesso Lanrezac. D'altra parte, per una eventuale controffensiva in Belgio
Joffre faceva affidamento su una attiva cooperazione sia con il BEF, sia con l'esercito belga. E, in
entrambi i casi, peccava di eccessivo ottimismo: perché in quel momento l'esercito del re del
Belgio Alberto stava ripiegando su Anversa, attirando da quella parte ben due corpi d'armata di
riserva tedeschi (prima il III e poi il IX), ma senza rallentare l'avanzata dell'ala destra avversaria;
mentre, da parte sua, il generale britannico, sir John French, gli comunicava che le forze
britanniche non sarebbero state pronte ad entrare in azione prima del 24 agosto. Perciò le 13
divisioni dell'armata di Lanrezac, rafforzate da 2 divisioni di riserva, si trovarono ad affrontare non
17 o 18 divisioni tedesche come stimato dal Comando Supremo francese, ma ben 30. Quanto alle
forze alleate, le 4 divisioni britanniche erano ancora in fase di concentrazione e 5 divisioni belghe
stavano ripiegando su Anversa, mentre una sola divisione belga rimaneva a Namur in appoggio a
quella fortezza, verso l'ala destra della Quinta Armata francese. Verso la metà del mese,
comunque, notizie di una poderosa avanzata tedesca verso la Sambre e la Mosa a sud di Namur
(Dinant fu attaccata il 14 agosto) indussero Joffre ad autorizzare un cambiamento di fronte della
sua Quinta Armata, in modo che il suo attacco si pronunciasse non già verso est, bensì verso
nord, per contrattaccare le forze tedesche che scendevano da Bruxelles. Ma è chiaro che egli non
si era ancora reso conto dell'entità della minaccia sul suo fianco sinistro, tanto è vero che
l'offensiva nelle Ardenne della Terza e Quarta Armata non venne da lui affatto accantonata. Cosi'
si permetteva che si creasse una breccia fra la Quarta e la Quinta Armata; e, quel che è peggio, si
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lasciava scoperto il fianco destro di quest'ultima dalla parte della cosiddetta "Mossa di Dinant",
ossia il tratto del fiume tra Namur e Meziéres. Quale unico argine contro questa minaccia, il I
Corpo d'Armata del generale Franchet d'Esperey venne incaricato della protezione del fianco di
Lanrezac, ma ovviamente non poteva bastare.
La battaglia
Il 21 agosto Joffre ordinò a Lanrezac di attaccare a nord della Sambre; poi, dal momento che
quest'ultimo gli faceva presente che gli Inglesi non erano ancora pronti ad affiancarlo, gli rimise la
libertà di attaccare quando lo avesse ritenuto opportuno: ma l'armata di Lanrezac non fece in
tempo ad attraversare la Sambre, perché fu preceduta dall'avversario. Il giorno 21 la Seconda
Armata tedesca raggiunse la linea della Sambre e la superò in anticipo con le sue avanguardie,
mentre ad est veniva a contatto con i forti di Namur contro cui iniziava immediatamente il
bombardamento con l'artiglieria pesante resa disponibile in seguito alla caduta di Liegi. Così, il
passaggio attraverso il fiume era assicurato per i tedeschi: la potenziale posizione difensiva per i
francesi era gia' stata coperta dal nemico. Il mattino del 22 agosto, poi, la ricognizione tedesca non
vide a sud del fiume che scarse forze avversarie: perciò al von Bülow sembrò presentarsi la
magnifica opportunità di superare senza contrasti quella difficile barriera fluviale. Così, nonostante
gli accordi già presi con von Hausen per un attacco coordinato il giorno 23, cioè l'indomani, egli
decise di muoversi quel giorno stesso. Al Comando della Terza Armata egli fece richiesta di
avanzare verso la Mosa, ma era evidente che, per quel giorno, le divisioni di von Hausen non
sarebbero state in grado di gettare tutto il proprio peso nella lotta. A sud della Sambre, la Quinta
Armata francese al completo contrattaccò la Seconda Armata; le truppe di Lanrezac, non
trincerate, si batterono con grande acccanimento impegnando pesantemente il nemico. alla fine i
Tedeschi ebbero la meglio: dopo duri scontri, il centro della quinta Armata fu respinto a sud del
Marlagne, dove cerco' di riorganizzarsi. Nel frattempo, sulla sinistra, il III Corpo non riuscì a
togliere Charleroi ai tedeschi, ma, nel complesso, mostro' grande valore nonostante le pesanti
perdite. Infine, la Terza Armata di von Hausen, informata dell'attacco prematuro di von Bülow, si
affretto' per arrivare fino alla riva destra della Mosa, iniziando pero' l'attacco solo nella nottata,
passando il fiume in alcuni punti ed incontrando anche la decisa resistenza del I Corpo di
d'Esperey.
Il giorno 23 l'Armata di Von Bulow non porto' offensive degne di nota, non fosse altro perche' lo
stesso comandante tedesco credette di avere di fronte a sé forze superiori, in considerazione della
resistenza incontrata, e quindi preferì aspettare l'esito della manovra avvolgente di von Hausen.
Questo "ritorno" al piano principale, se vogliamo vederlo cosi', mostra un ennesimo segno di
incostanza in Von Bulow che, se inizialmente era stato eccessivamente precipitoso vista la scarsa
resistenza nemica, ora passava ad un attegiamento di altrettanto eccessiva prudenza. Ma lo
stesso Von Hausen non si trovava in una posizione comoda: la lotta sul fianco destro della Quinta
Armata francese era durissima; in particolare, le truppe di von Hausen effettuarono un pericoloso
attacco ad Onhaye, ma vennero ricacciate dal contrattacco di una brigata del valorosissimo I
Corpo francese. Nel pomeriggio la Seconda Armata tedesca riprese l'azione, respingendo ancora il
centro della Quinta Armata francese; tuttavia, von Bülow rimase nuovamente impressionato
dall'efficacia con cui si batteva l'avversario, al punto che richiese a von Hausen di impegnare il
fianco della Quinta Armata per alleggerirlo. In quel momento von Hausen aveva già emanato gli
ordini perché la Terza Armata si muovesse, all'indomani, verso sud-ovest al fine di concentrarsi
sulla ritirata della quinta Armata, invece, l'urgente richiesta di aiuto di von Bülow lo indusse a
rinunziarvi, dirigendo l'avanzata direttamente su Mettet. Fu a questo punto che Lanrezac,
considerato l'aggravarsi della propria situazione, non ritenne di poter continuare la lotta a sud della
Sambre. Con le truppe esauste e numericamente assai provate, considerando l'armata di von
Hausen che minacciava il suo fianco, con la Prima Armata di von Kluck in arrivo ( visto che
affrontava il BEF, il quale non poteva essere in grado di resistergli), il Lanrezac decise di ordinare
la ritirata generale. La decisione del generale Lanrezac fu saggia e tempestiva, consentendo di
preservare l'efficienza combattiva della sua armata in vista di altri compiti, che a breve scadenza si
sarebbero presentati. Il ripiegamento della Quinta Armata, tra Givet e Philippeville, ebbe inizio la
sera del 23 agosto, quando le notti si andavano notevolmente rinfrescando.
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Le conseguenze
Il 24 agosto la battaglia delle frontiere era ormai definitivamente perduta per i franco-britannici;
mentre il generale Lanrezac ordinava alla 5ª Armata di abbandonare il campo di battaglia di
Charleroi e ripiegare, anche i britannici si ritiravano da Mons e nelle Ardenne altre due armate
francesi cercavano di raggiungere Sedan e Verdun dopo essere state duramente battute. Il 25
agosto si diffuse la notizia della caduta della fortezza di Namur e della cattura da parte tedesca di
5.000 prigionieri; questa nuova delusione accentuò la preoccupazione dell'opinione pubblica
alleata e confermò che le operazioni avevano assunto un andamento molto sfavorevole alle
potenze occidentali. Lo stesso presidente francese Raymond Poincaré scrisse di "ritirata ed
invasione" e di fine delle "illusioni". In realtà la battaglia di Charleroi non si concluse con una
vittoria decisiva tedesca; a causa di errori tattici, dell'insufficiente coordinamento tra le armate e
soprattutto della mancanza di precise direttive del generale von Moltke, rimasto troppo lontano dal
campo di battaglia e non in grado di esercitare tempestivamente l'autorità di comando, i tedeschi
persero l'occasione di accerchiare e distruggere completamente la 5ª Armata francese. Il generale
von Moltke peraltro non sembrò insoddisfatto dei risultati raggiunti e parlò con un suo collaboratore
di operazioni che si stavano svolgendo "secondo i piani". L'ottimismo, nella quarta settimana di
agosto, era ampiamente diffuso anche tra i generali tedeschi sul campo e all'OHL di Coblenza
pervenivano continui rapporti trionfalistici su vittorie e conquiste. Il 24 e 25 agosto il generale von
Bülow comunicò di aver sconfitto "in modo decisivo" l'ala destra nemica, mentre il generale von
Hausen segnalò che i francesi erano "in piena ritirata". Al quartier generale tedesco si parlava
apertamente di finire la guerra "in sei settimane".
Durante i combattimenti sulla Sambre e sulla Mosa del 21-23 agosto, entrambe le parti subirono
perdite molte elevate; in particolare i francesi, impegnati nei primi giorni in continui attacchi frontali,
dovettero affrontare la superiore potenza di fuoco nemica e appresero compiutamente per la prima
volta le realtà del campo di battaglia della guerra moderna. Nella confusione della battaglia non fu
possibile calcolare esattamente le perdite subite, ma secondo alcuni autori, i francesi a Charleroi
ebbero le perdite più elevate di tutta la battaglia delle frontiere, fino a 6.000-7.000 morti solo il 22
agosto. Peraltro anche i tedeschi, che pur impiegarono con successo l'artiglieria pesante e le
mitragliatrici, in alcune occasioni sferrarono attacchi allo scoperto secondo le vecchie tattiche
subendo a loro volta dure perdite; alla fine della battaglia la 2ª Armata riferì, per il periodo 20-30
agosto, 3.516 morti e dispersi, e la 3ª Armata, 1.275 perdite definitive. Le valutazioni degli storici
riguardo al comportamento del generale Lanrezac durante la battaglia di Charleroi sono ancora
ampiamente discordanti; alcuni ritengono che egli dimostrò una lungimirante comprensione della
situazione strategica e mise in evidenza ripetutamente il pericolo rappresentato dall'ala destra
tedesca; inoltre la decisione del generale di interrompere la battaglia e ripiegare avrebbe evitato
una catastrofe definitiva e permesso di salvare il grosso dell'armata. Altri autori invece evidenziano
la scarsa risolutezza e il pessimismo di fondo del generale; egli avrebbe compromesso l'esito degli
scontri con la sua mancanza di spirito d'iniziativa e di aggressività.
Al termine delle battaglie delle Frontiere, il generale Joffre, nonostante i suoi errori e le sue
recriminazioni contro i generali e le truppe, non era rassegnato alla sconfitta; al contrario egli
mantenne la calma e grazie soprattutto alla sua risolutezza e capacità strategica, l'esercito
francese riuscì a ripiegare lentamente verso Parigi e il fiume Marna mantenendo la coesione e la
combattività. Il comandante in capo francese apprese in parte dai suoi errori e pur continuando ad
accusare di scarsa capacità alcuni suoi subordinati, tra cui il generale Lanrezac che fu destituito,
impartì anche opportune disposizioni tattiche per evitare attacchi frontali troppo precipitosi, per
impiegare meglio l'artiglieria campale, per incrementare l'utilizzo dei trinceramenti. Grazie
all'azione di comando del generale Joffre, alla capacità dei soldati francesi di non scoraggiarsi e
alla partecipazione delle truppe britanniche, rimaste in azione nonostante le sconfitte, l'andamento
delle operazioni sul fronte occidentale, apparentemente già decise con la vittoria tedesca alla fine
di agosto, si sarebbe capovolto all'inizio di settembre nella prima battaglia della Marna che
avrebbe segnato il fallimento finale dei piani tedeschi e la stabilizzazione definitiva del fronte.
Battaglia di Mons
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23-24 Agosto 1914
Gli avversari
John Denton Pinestone French, conte di Ypres, Generale inglese (Ripple, Kent, 1852 - Deal,
Kent, 1925)
Si segnalò nella guerra anglo-boera, durante la quale raggiunse il grado di generale; posto al
comando del corpo di spedizione inglese allo scoppio della prima guerra mondiale, si distinse alla
battaglia dell'Aisne (15-30 sett. 1914) e, più ancora, in quella delle Fiandre (nov. 1914). Dopo
l'insuccesso inglese nella grande azione dell'Artois (sett. 1915), fu sostituito nel comando e più
tardi nominato lord-luogotenente per l'Irlanda (1918-21).
Alexander von KLUCK, Generale tedesco ( Münster, 20 maggio 1846 - Berlino, 19 ottobre
1934)
Sottotenente nel 1866, percorse l'intera carriera nella fanteria. Generale di brigata nel 1899, di
corpo d'armata nel 1906. Verso la fine del 1913 fu nominato ispettore d'armata. Nel 1914 ebbe il
comando dell'armata d'estrema destra (1ª) dello schieramento strategico nello scacchiere
occidentale. Invase il Belgio e il nord della Francia battendo a Mons e a Le Chateau gl'Inglesi e le
forze del Manoury alla Somme. Fisso nell'idea di agire offensivamente a fondo e di aggirare
l'avversario, non esitò ad allontanarsi dalle direttive del Comando supremo lasciando un debole
corpo d'armata nella direzione di Parigi, anziché far fronte da questa parte con l'intera armata.
Invano cercò di rimediare alla debolezza della situazione con un'energica offensiva: la sua
decisione, se pure per certi aspetti ammirevole, aggravò la situazione, anche per mancati accordi
con l'armata laterale (2ª) comandata dal Bülow. Nel marzo 1915 fu gravemente ferito. Nell'ottobre
1916 fu collocato in disponibilità. Pubblicò Der Marsch auf Paris (Berlino 1920).
La genesi
Il 21 agosto il Corpo di spedizione britannico, che, secondo il Servizio informazioni tedesco stava
ancora terminando di sbarcare a Boulogne, si mise in marcia verso le sue posizioni sulla sinistra
della Quinta Armata francese, giungendo a Mons il 22 e attestandosi sul Canale omonimo. Sulla
destra, fra la testa di ponte di Mons e Condè, vi era il II Corpo d'Armata del en. Smith-Dorrien e la
Diciannovesima Brigata di fanteria, sostenuti da una parte dell'Ottantaquattresima Divisione
territoriale francese, sulla sinistra, su di una linea diagonale che andava da Mons alla Sambre, vi
era i lI Corpo del gen. Haig. La Divisione di cavalleria del magg. Gen. Allenby che, insieme
all'aviazione, aveva svolto un ruolo decisivo nell'individuare la presenza della Prima Armata
tedesca, venne per ora mantenuta nelle retrovie. Secondo i piani originari, il mar. French avrebbe
dovuto attaccare a nord del Canale di Mons, in cooperazione con la Quinta Armata francese
avanzante oltre la Sambre, alfine di respingere dal Belgio l'ala destra tedesca; ma, giunti sulle
proprie posizioni, i Britannici seppero che la Quinta Armata francese non avrebbe potuto attaccare,
anzi, che la Seconda Armata di vin Bülow aveva forzato la Sambre con grave pericolo per la loro
ala destra. Il gen. Lanrezac chiese addirittura un attacco di alleggerimento inglese contro la destra
di von Bülow; sir John French non poté aderire, tuttavia promise di mantenere le sue posizioni a
copertura dell'ala sinistra francese per almeno 24 ore. Da parte loro i Tedeschi erano, come si è
visto, gravemente disinformati circa la posizione del Corpo di spedizione britannico: il loro Servizio
informazioni aveva subito un autentico collasso in quei primi giorni di guerra, mancando anche gli
obiettivi minimi cui era preposto. Per quel che gli era stato comunicato, von Kluck riteneva che
esso si trovasse ancora nei dintorni di Lilla; tuttavia, con sicuro intuito, egli avrebbe voluto
spostarsi al più presto possibile verso ovest, al fine di avvolgerne l'ala sinistra. A ciò si oppose il
gen. Von Bülow il quale, volendo esse efficacemente protetto sulla propria destra, verso Mons,
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rallentò lo slancio della prima armata, mutando inconsapevolmente la manovra di avvolgimento dei
Britannici in un urto frontale. Anche la notevole superiorità numerica della Prima Armata tedesca
sul Corpo di spedizione britannico venne alquanto attenuata dal fatto che 2 dei suoi corpi d'armata
erano rimasti indietro, uno per l'assedio di Anversa, l'altro per un ritardo di marcia, degli altri 4, poi,
solo i 2 centrali vennero effettivamente impegnati nella battaglia, il II e il IV.Il 21 agosto il BEF, si
mise in marcia verso le sue posizioni sulla sinistra della Quinta Armata francese, giungendo a
Mons il 22 e attestandosi sul Canale omonimo. Sulla destra, fra la testa di ponte di Mons e Condè,
vi era il II Corpo d'Armata del generale Smith-Dorrien e la Diciannovesima Brigata di fanteria,
sostenuti da una parte dell'84ma Divisione territoriale francese, sulla sinistra, su di una linea
diagonale che andava da Mons alla Sambre, vi era il I Corpo del generale Haig. Secondo i piani
originari, il generale French avrebbe dovuto attaccare a nord del Canale di Mons, in cooperazione
con la Quinta Armata francese avanzante oltre la Sambre, alfine di respingere dal Belgio l'ala
destra tedesca; ma, giunti sulle proprie posizioni, i Britannici seppero che la Quinta Armata
francese non avrebbe potuto attaccare, anzi, che la Seconda Armata di vin Bülow aveva forzato la
Sambre con grave pericolo per la loro ala destra. Ma i Tedeschi erano, come si è visto,
gravemente disinformati circa la posizione del Corpo di spedizione britannico: il loro Servizio
informazioni aveva subito un autentico collasso in quei primi giorni di guerra, mancando anche gli
obiettivi minimi cui era preposto. Per quel che gli era stato comunicato, von Kluck riteneva che
esso si trovasse ancora nei dintorni di Lilla; tuttavia, con sicuro intuito, egli avrebbe voluto
spostarsi al più presto possibile verso ovest, al fine di avvolgerne l'ala sinistra. A ciò si oppose il
Von Bülow che, volendo esse efficacemente protetto sulla propria destra, verso Mons, rallentò lo
slancio della prima armata, trasformando la manovra di avvolgimento dei Britannici in un urto
frontale. La superiorità numerica della Prima Armata tedesca sul Corpo di spedizione britannico
venne annullata dal fatto che 2 dei suoi corpi d'armata erano rimasti indietro, uno per l'assedio di
Anversa, l'altro per un ritardo di marcia, degli altri 4, poi, solo i 2 centrali vennero effettivamente
impegnati nella battaglia, nello specifico il II e il IV.
La battaglia
La struttura del Canale di Mons è particolare: largo circa 20 metri e profondo più di 2, corredato da
16 ponti fra Mons e Condè, ponti che gli Inglesi ebbero ordine di distruggere all'ultimo momento.
Sulla sponda meridionale si era ben trincerato il II Corpo di Smith-Dorrien; alle sue spalle, una
serie di colline offriva una eccellente posizione di secondaria. Il French decise di attendere, in
quella posizione l'attacco della Prima Armata tedesca, cosa che avvenne puntualmente il mattino
del 23 agosto. Il I Corpo del generale Haig, cosi' come la Brigata francese, praticamente non
vennero impegnati; tutto il peso dell'attacco ando' contro il II Corpo, il cui fuoco di reazione causò
ai Tedeschi grandi perdite. Questi ultimi, avendo urtato all'improvviso contro la linea avversaria,
portarono una serie di violenti attacchi, obbligando nel primo pomeriggio i difensori a sgomberare
la testa di ponte a Mons e a ripiegare sulla seconda linea difensiva sulle colline restrostanti; ma
non riuscirono a forzare il canale, molti ponti del quale erano stati distrutti dagli Inglesi, come
accennato in precedenza. All'imbrunire, von Kluck decise di interrompere gli attacchi. La difesa del
Corpo britannico era stata brillante: con 2 sole divisioni esso aveva tenuto testa a 6 divisioni
avversarie per molte ore; le truppe avevano mostrato di possedere un elevato spirito combattivo.
Le perdite, limitate, erano state provocate soprattutto dal tiro degli obici regolato dall'osservazione
aerea nemica. Ma quella sera stessa, al generale Wilson, giunse la notizia che Lanrezac aveva
ritirato la sua quinta Armata senza preoccuparsi di avvertire gli alleati che tanto efficacemente
avevano protetto il suo fianco sinistro. Sdegnato per il comportamento dei Francesi, e temendo
inoltre di rimanere accerchiato, il comandante inglese ordinò una lunga, velocissima ritirata, che
valse a neutralizzare la manovra avvolgente dell'ala destra di von Kluck, pronunciatasi il 24 agosto.
Le conseguenze
Entro il tramonto del 24 agosto, gli inglesi si erano ritirati con successo verso quella che si riteneva
sarebbe stata la successiva linea difensiva, lungo la strada che collegava Valenciennes a
Maubeuge. Sfortunatamente per loro, però, la ritirata non si fermò lì. Significativamente decimata
dalla 1. Armee e con i francesi in ritirata, la BEF non ebbe altra scelta se non quella di continuare a
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ritirarsi: il I Corpo d'armata si ritirò verso Landrecies, il II verso Le Cateau. In totale, la ritirata
sarebbe durata due settimane e i soldati inglesi avrebbero coperto più di 400 km. Inoltre durante
tutta la ritirata essi sarebbero stati inseguiti a poca distanza dai tedeschi e ciò costrinse loro a
dover combattere numerose azioni di retroguardia, come le battaglie di Le Cateau (26 agosto), di
Étreux (27 agosto) e di Néry (1º settembre). In un certo senso, entrambi i contendenti uscirono
vincitori a Mons. I britannici, in inferiorità numerica, riuscirono a trattenere la 1. Armee per 48 ore,
infliggendole pesanti perdite, e riuscirono anche a ritirarsi con ordine. In conclusione, la BEF riuscì
a raggiungere il suo obbiettivo primario, cioè impedire che la V armée venisse aggirata e attaccata
sul fianco sinistro. In più la battaglia di Mons fu un vittoria importante anche sul piano del morale
degli uomini. Poiché essa fu il primo scontro sul continente in cui venissero coinvolti soldati inglesi
dalla Guerra di Crimea, più di sessant'anni prima, vi era grande incertezza su come essi si
sarebbero comportati. Quando si ritirarono, gli inglesi si allontanarono dalla battaglia con la
sensazione di aver avuto la meglio a Mons. Al contrario i tedeschi capirono di aver subito un duro
colpo da un'armata che precedentemente avevano considerato incapace di opporsi seriamente
alla loro avanzata. Lo scrittore e capitano di fanteria Walter Bloem, tedesco, scrisse i suoi pensieri
riguardo al risultato della battaglia:
« Gli uomini sono congelati fino alle ossa, talmente stanchi da non riuscire quasi a muoversi e con
la consapevolezza deprimente della pesante sconfitta che grava su di loro. Una brutta sconfitta,
non si può negarlo... siamo stati duramente sconfitti, e dagli inglesi - da quegli stessi inglesi di cui
tanto abbiamo riso fino a poche ore prima. »
Per i tedeschi, Mons rappresentò tatticamente una sconfitta, ma, comunque, anche una vittoria
strategica. La 1. Armee, nonostante fosse stata temporaneamente bloccata dagli inglesi ed avesse
sofferto pesanti perdite, riuscì lo stesso ad attraversare la barriera costituita dal canale MonsCondé ed incominciò la sua avanzata in territorio francese. Alla fine, essa sarebbe riuscita a
spingere la BEF e le armate francesi fin quasi alle porte di Parigi prima di essere finalmente
bloccata sulla Marna.
Assedio di Maubeuge
24 agosto - 7 settembre 1914
Gli avversari
JOFFRE, César-Joseph-Jacques
Maresciallo di Francia, nato a Rivesaltes (Pirenei Orientali) il 12 gennaio 1852, morto a Parigi il 3
gennaio 1931. Nel 1870 fu nominato sottotenente d'artiglieria, ma dopo la guerra franco-prussiana
riprese gli studi alla Scuola politecnica e divenne ufficiale del genio: fu a lungo nelle colonie,
segnalandosi nel 1884 a Formosa e soprattutto nell'occupazione di Timbuctù (1894), per la quale
fu promosso ten. colonnello. Colonnello nel 1897, fu al Madagascar. Promosso generale di brigata
nel 1901, generale di divisione nel 1905, fu successivamente ispettore delle scuole, comandante
del II corpo d'armata e membro del Consiglio superiore di guerra, del quale fu poi nominato
vicepresidente, carica che implicava la nomina, in caso di guerra, a comandante in capo.
Nell'agosto 1914, conformemente al piano di operazione da lui stabilito (il noto piano XVII), ispirato
alla tendenza che un gruppo di giovani valenti ufficiali (la cosiddetta jeune école) aveva fatto
prevalere in Francia, Joffre prese ovunque l'offensiva, ma l'insuccesso fu generale. La Francia fu
invasa. Qui si rivelarono le non comuni doti di questo condottiero, che, instancabile e
imperturbabile, coordinò la ritirata dell'esercito, proclamando sempre che al momento opportuno
sarebbe stata ripresa l'offensiva. Ben coadiuvato dal generale H.-M. Berthelot, Joffre corse
razionalmente ai ripari per tentare di rimediare agl'inconvenienti del primo schieramento con
spostamenti di forze verso l'ala sinistra minacciata d'avvolgimento. Buon conoscitore di uomini,
affidò comandi di armate a generali come F. Foch e Franchet d' Espérey. Il 5 settembre, per le
insistenze del governatore di Parigi, generale J.-S. Gallieni, il qusle aveva notato che i Tedeschi
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avanzavano presentando il fianco all'armata di Parigi, Joffre risolse l'offensiva generale che portò
alla vittoria della Marna. Nonostante però gli sforzi di Joffre, i Tedeschi riuscirono a consolidare le
loro linee su territorio francese. Nel dicembre 1915 Joffre fu nominato comandante supremo di
tutte le forze francesi su tutti i fronti d'operazione. Nel febbraio 1916, l'attacco tedesco contro
Verdun sorprese i Francesi, ma Joffre seppe anche qui scegliere l'uomo, inviando nella piazza
attaccata il generale H.-F. Pétain che salvò la situazione. La grande offensiva franco-inglese della
Somme (luglio-novembre 1916) non ebbe l'esito sperato, e la stella del vincitore della Marna
tramontò definitivamente. Il 26 dicembre 1916, Joffre fu nominato maresciallo di Francia, ma
esonerato dal comando; e non ebbe più influenza sugli avvenimenti militari. Già a capo
dell'esercito francese da tre anni prima della guerra, a lui si deve imputare se nell'esercito prese il
sopravvento una concezione esagerata dell'offensiva a ogni costo, anche se non sufficientemente
preparata dall'artiglieria, e se lo schieramento dell'esercito non rispose alla necessità di evitare
l'invasione dal Belgio.
Alexander von KLUCK, Generale tedesco (Münster, 20 maggio 1846 - Berlino, 19 ottobre
1934)
Sottotenente nel 1866, percorse l'intera carriera nella fanteria. Generale di brigata nel 1899, di
corpo d'armata nel 1906. Verso la fine del 1913 fu nominato ispettore d'armata. Nel 1914 ebbe il
comando dell'armata d'estrema destra (1ª) dello schieramento strategico nello scacchiere
occidentale. Invase il Belgio e il nord della Francia battendo a Mons e a Le Chateau gl'Inglesi e le
forze del Manoury alla Somme. Fisso nell'idea di agire offensivamente a fondo e di aggirare
l'avversario, non esitò ad allontanarsi dalle direttive del Comando supremo lasciando un debole
corpo d'armata nella direzione di Parigi, anziché far fronte da questa parte con l'intera armata.
Invano cercò di rimediare alla debolezza della situazione con un'energica offensiva: la sua
decisione, se pure per certi aspetti ammirevole, aggravò la situazione, anche per mancati accordi
con l'armata laterale (2ª) comandata dal Bülow. Nel marzo 1915 fu gravemente ferito. Nell'ottobre
1916 fu collocato in disponibilità. Pubblicò Der Marsch auf Paris (Berlino 1920).
La genesi
Nel periodo precedente alla guerra mondiale la regione fra la Mosa e l'Escaut, che aveva a uno dei
vertici appunto Maubeuge, era considerata come teatro di eventuali operazioni in caso di una
invasione tedesca della Francia attraverso il Belgio. Di qui l'importanza assegnata a Maubeuge
anche perché questa veniva a sbarrare la ferrovia che collega direttamente Parigi a Liegi per
Saint-Quentin, e perché poteva servire quale appoggio d'ala unitamente alle fortificazioni di Lilla e
Reims del fronte difensivo Verdun-Belfort. Riconosciutosi che la sua potenza difensiva era
alquanto limitata, nel 1912 s'intrapresero lavori di miglioramento; tuttavia nel 1914, all'apertura
delle ostilità, su 12 gruppi di opere, 6 erano ancora sprovvisti di cupole e di ogni altro genere di
corazzature e mancavano pure di adatti ricoveri blindati; gli altri erano appena in grado di resistere
alle artiglierie di medio calibro, e insufficientemente ai proiettili carichi di alti esplosivi. Data la sua
funzione, conseguente al piano offensivo dei Tedeschi, all'atto della mobilitazione Maubeuge ebbe
una guarnigione di 30.000 uomini e un armamento di 335 bocche da fuoco. Ma la sua resistenza, a
causa della natura delle opere, dell'incompleto armamento e dei potenti mezzi d'attacco
dell'invasore fu di appena 15 giorni. Il 24 luglio 1914 in seguito allo spostamento della quinta
armata francese la piazza di Maubeuge rimase isolata; il suo comandante, generale Fournier,
l'aveva già messa in assetto di difesa. Il compito di espugnare la piazza fu affidato al generale
Zwehl, comandante del VII corpo d'armata di riserva, il quale disponeva di due divisioni e mezza,
di due reggimenti del genio, due di cavalleria, più 16 batterie di medio e grosso calibro e sei di
grossissimo. Oltre la metà della fanteria apparteneva all'esercito permanente. Le munizioni erano
e si mantennero scarse. Il generale Zwehl investì interamente la piazza, lasciando due reggimenti
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di fanteria, due di cavalleria sulle fronti ovest e sud e concentrò i mezzi d'attacco sulla fronte est a
cavallo della Sambre.
La battaglia
A nord della Sambre il 29 agosto fu aperto il fuoco contro i forti e contro la città: i Francesi
risposero vivacemente e il 1° settembre attaccarono sulle due rive della Sambre, ma senza
sufficiente preparazione d'artiglieria; furono perciò respinti con gravi perdite (1000 uomini per 6
battaglioni). Il 2 settembre incominciò il fuoco delle batterie a sud della Sambre. Gli aerei tedeschi
segnalarono che i forti erano danneggiati; che l'unica opera corazzata da 155 era stata distrutta e
che gravi esplosioni si erano verificate anche in città. Il 4 la fanteria tedesca riuscì a trincerarsi a
500 m. dai forti, debolmente contrastata dall'artiglieria, e il 5 riuscì ad occupare senza incontrare
grande resistenza, il forte di Salemagne. Il mattino successivo innalzarono bandiera bianca anche i
due forti di Boussois e di Rocq a nord e a sud della Sambre. Il generale Zwehl, sebbene
difettassero le munizioni, intimò allora la resa che avvenne il giorno 7, dopo che i Tedeschi ebbero
occupato quasi tutti i forti a nord della ferrovia, sgombrati dai difensori perché sconvolti dal tiro
delle artiglierie e delle bombarde. Il presidio fu prigioniero di guerra. Solo 1900 uomini riuscirono
ad attraversare la sottile linea d'investimento e a congiungersi con l'esercito francese. I Tedeschi
ebbero 1100 fra morti e feriti. Importa rilevare che il presidio avrebbe potuto sfuggire alla cattura
attaccando i due reggimenti di fanteria e i 5 squadroni che accerchiavano la piazza a O. e a S.
occupando una fronte di oltre 30 km.
Le conseguenze
La fortezza sarà riconquistata dalla Guards Division e dalla 62nd (2nd West Riding) Division,
entrambe unità britanniche, solamente il 9 novembre 1918, due giorni prima della fine del conflitto.
Sin dal 1913 il Consiglio superiore di guerra francese aveva dichiarato che Maubeuge doveva
considerarsi un semplice punto d'appoggio di un'armata che avesse dovuto operare nelle
vicinanze. E del resto la relazione francese ha ragione di notare che Maubeuge aveva vincolato
circa tre divisioni tedesche, le quali mancarono alla Marna. Ma sta di fatto che l'episodio dimostrò
chiaramente come una piazza non convenientemente sistemata e con armamento antiquato non
possa resistere alle moderne artiglierie. Sono ora allo studio provvedimenti intesi a migliorare tutte
le opere fortificatorie sulla base degli ammaestramenti della guerra mondiale.
Battaglia di Le Cateau
26 Agosto 1914
Gli avversari
Horace Smith Dorrien Lockwood - Generale (Haresfoot, Hertfordshire, 1858 - Chippenham
1930)
Prese parte alla guerra contro gli Zulu (1879), a quella d'Egitto e del Sudan (1882-85), a varie
campagne nell'India, ancora nel Sudan con H. H. Kitchener (1898), e infine alla guerra contro i
Boeri (1899-1902). Nel 1914 ebbe il comando del 2° Corpo d'armata, che fu il primo a sbarcare in
Francia e si batté volontariamente durante la marcia di avvolgimento dei Tedeschi da Liegi a
Parigi. Fu poi (1915) comandante della 2a Armata e (1915-16) delle forze dell'Africa inglese
dell'est; infine (1918-23) governatore di Gibilterra.
Alexander von KLUCK, Generale tedesco ( Münster, 20 maggio 1846 - Berlino, 19 ottobre
1934)
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Sottotenente nel 1866, percorse l'intera carriera nella fanteria. Generale di brigata nel 1899, di
corpo d'armata nel 1906. Verso la fine del 1913 fu nominato ispettore d'armata. Nel 1914 ebbe il
comando dell'armata d'estrema destra (1ª) dello schieramento strategico nello scacchiere
occidentale. Invase il Belgio e il nord della Francia battendo a Le Cateau e a Le Chateau gl'Inglesi
e le forze del Manoury alla Somme. Fisso nell'idea di agire offensivamente a fondo e di aggirare
l'avversario, non esitò ad allontanarsi dalle direttive del Comando supremo lasciando un debole
corpo d'armata nella direzione di Parigi, anziché far fronte da questa parte con l'intera armata.
Invano cercò di rimediare alla debolezza della situazione con un'energica offensiva: la sua
decisione, se pure per certi aspetti ammirevole, aggravò la situazione, anche per mancati accordi
con l'armata laterale (2ª) comandata dal Bülow. Nel marzo 1915 fu gravemente ferito. Nell'ottobre
1916 fu collocato in disponibilità. Pubblicò Der Marsch auf Paris (Berlino 1920).
La genesi
Dopo la battaglia di Mons, il generale French fu dapprima tentato di ripiegare con il BEF entro la
fortezza di Maubeuge; vi rinunciò rammentando il fatale errore di Bazaine che, nel 1870, si era
chiuso in Metz; e anche perché le fortezze in genere, dopo la caduta di Liegi, avevano perso molta
della considerazione in cui erano state tenute dagli esperti di cose militari. Pertanto la ritirata degli
Inglesi proseguì nella direzione generale di sud-ovest, premuti costantemente da vicino dalle
divisioni di von Kluck, tanto che solo mediante un impiego abile e audace della cavalleria e
dell'artiglieria a cavallo essi avevano potuto allontanarsi da Mons dopo la battaglia. Per portarsi
nella zona di Bavay verso Le Cateau, il Corpo di spedizione britannico si trovò davanti alla grande
foresta di Mormal, il cui interno era privo di strade, e dovette dividersi: il II Corpo di Smith-Dorrien e
la Divisione di cavalleria di Allenby presero la strada a ovest della foresta, mentre il I Corpo di Haig
prese per quella ad est. La sera del 1°agosto le truppe del I Corpo raggiunsero Landrecies, dove
ebbero uno scontro assai confuso con avanguardie del IV Corpo tedesco, che vennero respinte;
questo episodio, comunque, mise in evidenza l'estrema vicinanza dell'armata di von Kluck e
aumentò il nervosismo del generale French e del suo Stato maggiore (trasferitosi da Le Cateau a
St. Quentin). Ancora più allarmante fu quanto accadde al II Corpo presso Le Cateau, ove venne
quasi raggiunto dal II e IV Corpo tedeschi a ovest della città; le truppe inglesi raggiunsero solo
nella notte, parzialmente, le posizioni loro assegnate e si trovarono talmente vicine all'avversario
che il proseguire la ritirata l'indomani avrebbe significato esporle alla distruzione. D'altra parte, alle
ore 21,00, il gen. Smith-Dorrien aveva ricevuto l'ordine esplicito di non impegnare battaglia il
giorno successivo, ma di continuare il movimento di ritirata. Smith-Dorrien si consultò con il
generale Allenby, comandante la Divisione di cavalleria, e col comandante della Quarta Divisione
di fanteria, inviata dall'Inghilterra e giunta appena quel pomeriggio: né l'uno né l'altro erano alle sue
dirette dipendenza, nella critica situazione, essi acconsentirono a sostenerlo nella battaglia che
egli intendeva dare l'indomani per disimpegnarsi, sebbene non fossero premute da vicino quanto
lo era il II Corpo. Fu così che la decisione di fermarsi e di combattere contro forze superiori venne
presa, con notevole coraggio, sotto la responsabilità personale del gen. Smith-Dorrien: essa salvò
il II Corpo britannico dalla distruzione quasi certa.
La battaglia
Alle prime ore del mattino del 26 agosto, l'attacco della Prima Armata tedesca contro la Quarta
Divisione del generale Snow, apri' le ostilita'. Dopo un primo arretramento, i britannici riuscirono a
contenere gli assalti, seppure la Quinta Divisione, che si difese con minor fortuna, subì un
rovescio. Eppure, neanche in quel punto i Tedeschi riuscirono a far breccia, anche perché furono
arrestati dall'intervento della cavalleria di Allenby. La Terza Divisione, al centro dello schieramento
britannico, venne scarsamente impegnata, ma questo non era dovuto ad una oculata scelta tattica
di attacco sui fianchi, bensi' dal fatto che von Kluck, come a Mons, non poteva impiegare nello
scontro che alcuni "frammenti" della sua armata, ossia 3 divisioni in tutto (anche se con molta
artiglieria): quindi, doveva attaccare con forze non superiori a quelle dell'avversario. La situazione
inglese, comunque, si aggravò rapidamente per la manovra a doppio avvolgimento da parte di un
corpo tedesco che, da Landrecies, minacciava la destra britannica, e di un altro corpo germanico
che muoveva contro la Quarta Divisione sulla sinistra. Spaesati, e forse anche fin troppo zelante
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nel preservare le proprie forze piu' che le proprie posizioni, Smith-Dorrien ordinò la ritirata
generale, che fu effettuata con successo lasciando sul terreno o nelle mani del nemico 8.000
uomini e 34 pezzi. Ma l'effetto di questa, forse troppo affrettata fuga, fu che, alcuni interi reparti,
non furono informati di quell'ordine (o lo furono troppo tardi) venendo quasi interamente distrutti.
La ritirata inglese, risulto' in definitiva un successo se si guarda all'integrita' delle forze britanniche,
le quli comunque, erano state supportate nel loro ripiegamento dal valoroso appoggio offerto dal
Gruppo d'Armata francese del generale d'Amade ( 3 divisioni di truppe territoriali), che tenne testa
al II Corpo d'Armata di von Bülow. I Tedeschi, tuttavia, dopo una durissima lotta ebbero la meglio
del gruppo di D'Amade e stavano per irrompere contro l'ala sinistra inglese, quando vennero
nuovamente trattenuti dal Corpo di cavalleria del generale Sordet. Le truppe di Smith-Dorrien
proseguirono il ripiegamento nella notte, nonostante la spossatezza, riuscendo così a sottrarsi alla
minaccia diretta dei loro inseguitori.
Le conseguenze
La battaglia di Le Cateau fu un episodio privo di particolare importanza strategica; non pose fine
alla ritirata inglese ma permise di continuarla in condizioni meno precarie. Fu una tipica azione di
sganciamento, neppure paragonabile a quella effettuata dalla Quinta Armata francese a Guise:
infatti non era stata voluta né dal generale French, né tantomeno dal Comando Supremo francese.
La direzione tattica dispiegata da Smith-Dorrien era stata però eccellente; i soldati inglesi e
francesi vi diedero prova di ottime capacità combattive, cosa che mal si accordava con la
presunzione di von Kluck - e, quindi, di Moltke - di essere lanciato all'inseguimento di un avversario
ormai sull'orlo della disfatta totale.
Battaglia di Helgoland
28 Agosto 1914
Gli avversari
Franz von HIPPER
Ammiraglio tedesco, nato a Weilheim (Baviera) il 13 settembre 1863. Promosso sottotenente di
vascello nel 1884, percorse l'intera carriera e, contrammiraglio nel 1911, ebbe il comando delle
forze navali d'esplorazione e delle siluranti. Vice-ammiraglio nel 1915, comandò le navi tedesche
alla battaglia del Dogger Bank; ammiraglio nel 1918, tenne il comando in capo delle forze navali
d'esplorazione, indi delle forze d'alto mare. Come conseguenza della sua partecipazione alla
battaglia dello Jutland, gli fu conferita la medaglia al merito di guerra e il titolo nobiliare. Fu
collocato a riposo il 13 dicembre 1918.
Sir Roger John Brownlow Keyes
Ammiraglio inglese (Forte Tundiani, Panjab, 1872 - Buckingham 1945). Partecipò alla prima guerra
mondiale distinguendosi in molte occasioni: nelle acque di Helgoland (1914), nelle operazioni ai
Dardanelli (1915), ma specialmente nell'azione di Zeebrugge e di Ostenda (1918). Nel 1925
divenne comandante in capo della flotta britannica nel Mediterraneo, e nel 1930 della Home Fleet.
Fu deputato nel partito conservatore (1934-43).
David BEATTY
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Uno tra i più noti ammiragli della marina inglese, nato a Borodale (Irlanda) il 17 gennaio 1871;
entrò in marina a 13 anni, fu ufficiale nel 1889, tenente di vascello nel 1893. Nel 1897, durante la
guerra nel Sudan, imbarcato su una cannoniera del Nilo per cooperare con l'esercito, agli ordini del
Kitchener, dimostrò molto ardimento e perizia, e così pure si distinse nelle operazioni sul Nilo del
1898. Anche in Cina, nella campagna contro i Boxers del 1900, egli diede prove di ardimento,
segnalandosi nella difesa di Tien-tsin, e in seguito, nominato comandante della brigata navale
inglese che venne inviata in aiuto della spedizione Seymour, contribuì alla liberazione di quella
città. Per tutti i segnalati servigi compiuti, fu nominato capitano di vascello nel 1900, a soli 29 anni.
Promosso nel 1910 contrammiraglio, venne nel 1912 chiamato quale segretario navale del primo
lord all'ammiragliato (Churchill). Nel 1914, promosso vice-ammiraglio, fu nominato comandante
degl'incrociatori della grande flotta. Partecipò allo scontro di Helgoland del 28 agosto 1914; il 24
gennaio 1915, al comando delle forze navali inglesi al Dogger Bank, concorse all'affondamento del
Blucher. Il 31 maggio 1916, quale comandante della flotta degl'incrociatori, partecipò alla battaglia
del Jutland e nel novembre dello stesso anno ebbe il comando della Grand Fleet, col grado di
ammiraglio. Una grande notorietà gli derivò a causa delle aspre polemiche scatenatesi in
Inghilterra, dopo la fine della guerra, pro e contro l'opera sua. Dal 1919 al 1927 il Beatty, creato
conte, fu primo lord dell'ammiragliato.
Le navi da battaglia nella prima guerra mondiale
La Prima Guerra Mondiale ha visto come protagonista sul mare la "nave da battaglia" nella sua
versione classica della corazzata monocalibro e nella versione più sofisticata dell'incrociatore da
battaglia, quest'ultimo costoso esemplare di una grande nave particolarmente veloce. Le corazzate
monocalibro o dreadnought, dal nome della prima unità impostata, erano il prodotto di una
tecnologia navale all'avanguardia con apparati motore a vapore basati sul binomio caldaie ad alta
pressione e turbine, armamento principale di grossi calibri di grande portata ed adeguata
protezione realizzata attraverso corazze di cospicuo spessore e resistenza. Il loro costo era molto
elevato e quindi solo le Grandi Potenze poterono investire gran parte dei loro bilanci nella
costruzione di questi colossi del mare, la cui gestione richiedeva inoltre equipaggi numerosi e
specializzati. Gli investimenti in questo tipo di unità erano da considerarsi non solo militari, ma
anche "politici", in quanto una Marina di corazzate era un importante deterrente per qualsiasi
avversario ed un importante mezzo di pressione internazionale. Un Paese senza corazzate non
poteva iscriversi tra le potenze mondiali e quindi si vide che non solo le due grandi nazioni
marittime dell'800, Gran Bretagna e Francia, ma anche i nuovi stati arrivati più recentemente
nell'arengo internazionale, quali la Germania, l'Italia, gli Stati Uniti ed il Giappone, si dotarono di
unità similari per garantirsi quel ruolo politico, che la loro politica estera e coloniale richiedeva. La
Russia zarista, umiliata nella guerra con l'Impero Nipponico, cercò anch'essa di entrare nel club
delle marine maggiori realizzando unità di questo tipo. La corazzata monocalibro classica era una
grande nave di un dislocamento tra le 20.000 e le 30.000 tonnellate, dotata di almeno quattro torri
binate di cannoni del calibro superiore ai 280 mm, con velocità massima attorno ai 20/22 nodi e
protetta da una cintura corazzata di spessore pari o superiore al calibro dei suoi pezzi. Per
combattere le siluranti della cosiddetta poussière navale furono tutte dotate di un armamento
secondario di medi calibri ad alto volume di tiro, posti in ridotti protetti. Alcune unità furono anche
dotate di tubi lanciasiluri subacquei con l'idea di impiegarli per finire un grosso avversario
fortemente danneggiato dall'artiglieria. L'apparato propulsivo, come già indicato, si basava su
turbine a vapore alimentate da grandi caldaie, queste turbine facevano girare due o più eliche con
potenze mediamente attorno ai 30.000 hp per poter raggiungere le velocità di combattimento.
Questi apparati motori erano alimentati sia a carbone sia a nafta con soluzioni abbastanza diverse
tra le varie marine in relazione al grado di tecnologia raggiunto dai vari paesi costruttori. Solamente
gli Inglesi, i Tedeschi ed i Giapponesi costruirono anche gli "incrociatori da battaglia", che di fatto
null'altro erano che corazzate più veloci (oltre 27 nodi) con una protezione minore, ma cannoni
dello stesso calibro delle altre grandi unità. Il loro compito era quello di distruggere gli incrociatori
nemici anche in teatri operativi lontani e svolgere il compito dell'esplorazione ravvicinata per le
grandi Squadre da Battaglia. Risultarono unità molto costose e, in considerazione della loro minor
protezione, decisamente più fragili al tiro avversario.
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La genesi
Nonostante la dipendenza dell'industria tedesca dall'importazione di materie prime e quella
dell'agricoltura dalle importazioni di foraggio, la Marina imperiale non fu impiegata per proteggere il
commercio tedesco, perché vincolata dalla teoria del Kaiser della "flotta in essere" e dalla certezza
della Germania di una vittoria preventiva a terra. Tirpitz era furioso per il rifiuto del Kaiser di
utilizzare immediatamente la sua superba marina , giacché, come affermò, "La nostra migliore
occasione per ottenere un successo in battaglia era nelle prime due o tre settimane successive
alla dichiarazione di guerra". Dopo la guerra, l'ammiraglio Jellicoe confermò: "Il nemico ha avuto
sicuramente la sua migliore opportunità nei primi mesi della guerra, poiché allora esisteva molta
più parità di potenza che in qualsiasi altro periodo successivo". Nel 1930, nelle sue conversazioni
con Wolf, figlio del Grand'ammiraglio, Churchill confermò l'opinione di Jellicoe in maniera più
dettagliata. In realtà in mare si svolsero solo due battaglie tra Gran Bretagna e Germania: la
battaglia di Helgoland (o della Baia) del 28 agosto 1814 - quasi accidentale - e la battaglia dello
Jutland (o dello Skagerrak) alla fine del maggio 1916 - ancora oggi la più grande battaglia navale
di tutti i tempi.
La battaglia
Inizialmente l'incrociatore leggero tedesco Mainz incontrò diversi cacciatorpedinieri inglesi. Undici
di questi spararono siluri, senza mai centrare il bersaglio, mentre il Mainz aveva una mira migliore.
Ma quando gli incrociatori leggeri di Goodenough si diressero verso sud a pieno ritmo e aprirono il
fuoco a 6.000 iarde, il Mainz "fuggì saggiamente come un cervo". Ma nella manovra di sterzata, il
Mainz fu colpito alla batteria e nella parte centrale. Si trattò di una battaglia impari: il Mainz finì
sotto il fuoco di quindici cannoni da 6 pollici a cui poteva rispondere solo con i suoi due cannoni da
4,1 pollici. L'incrociatore leggero tedesco, colpito almeno due volte, scomparve nella nebbia
cercando di fuggire. Ma non ci riuscì. Fuggendo verso sud a 25 nodi con Goodenough alle
calcagna, all'improvviso il Mainz si trovò a puntare direttamente contro la prua dell'Arethusa e dei
cacciatorpedinieri Harwich. Tyrwhitt ordinò che venti cacciatorpedinieri britannici attaccassero il
Mainz con i loro siluri. Il Mainz lottò disperatamente e il suo fuoco fu notevolmente accurato...il
Mainz incassava colpi e li assestava allo stesso tempo: il Laurel venne colpito tre volte e fu messo
fuori uso; il successivo cacciatorpediniere Liberty fu colpito sul ponte e il suo capitano rimase
ucciso. Il Laertes, il quarto cacciatorpediniere della linea, venne colpito su tutti e quattro i lati da
un'unica salva tedesca e si bloccò. Furono sparati trentatre siluri inglesi il timone del Mainz era
rimasto bloccato a dritta, la nave era in fiamme, il motore di sinistra era distrutto e l'imbarcazione si
stava lentamente girando in direzione degli incrociatori di Goodenough in arrivo. Ma il peggio
doveva ancora venire. Improvvisamente un siluro sparato del cacciatorpediniere britannico Lydiard
colpì la nave. Le luci di emergenza si spensero. Il Mainz era una massa di fiamme gialle e fumo.
Uno dei suoi cannoni sparava ancora spasmodicamente, ma nel giro di dieci minuti si trasformò in
un relitto fiammeggiante che affondava a prua. "Il Mainz è stato incredibilmente coraggioso ed
estremamente galante - scrisse un ufficiale britannico - ma la sua sezione maestra era un inferno
di fiamme. Un cannone davanti e uno a poppa ancora sparavano sbuffi di rabbia e sfida come un
gatto selvatico che impazzisce perché ferito". Un marinaio tedesco superstite aggiunse dettagli
cupi: "Il ponte superiore era un caos di rovine, fuoco, caldo torrido e cadaveri e tutto era striato di
verde e giallo, residui degli esplosivi che producono gas soffocanti". Alle 12:20 il capitano ordinò
"Affondate la nave. Afferrate i giubbotti di salvataggio". Poi uscì dalla torretta e fu immediatamente
colpito a morte da uno scoppio di munizioni. Alle 12:25 Goodenough annunciò il "Cessate il fuoco"
e alle 12:50 ordinò che l'incrociatore leggero Liverpool calasse le scialuppe di salvataggio per
mettere in salvo gli uomini che nuotavano nell'acqua. A questo punto arrivò il commodoro Keyes
con il Lurcher e il Firedrake. Vedendo il Mainz con i suoi ponti in fiamme pieni di feriti incapaci di
muoversi, si affiancò con il Lurcher, le lastre di acciaio delle due navi che si sfioravano con il
movimento del mare. Grazie a questa manovra, Keyes riuscì a evacuare e salvare 220 ??uomini.
Uno di loro si rifiutò. "Un giovane ufficiale tedesco 'che era stato molto attivo nel dirigere il trasporto
dei feriti' ora stava ritto e immobile sul ponte della sua nave maledetta. Keyes gli urlò che aveva
fatto un ottimo lavoro che non c'era più niente che potesse fare sul Mainz, così gli tese la mano per
aiutarlo a salire a bordo del Lurcher. Ma lui 'si tirò su impettito, salutò e disse grazie, no'. Pochi
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minuti dopo il Mainz si rovesciò, giacendo su un fianco per dieci minuti, poi si capovolse e affondò.
Fortunatamente il giovane ufficiale che aveva rifiutato l'aiuto di Keyes fu trovato in acqua e
salvato".
Quell'ufficiale era Wolf Tirpitz, figlio del Grand'ammiraglio. Il suo comportamento e la sua
avventura a bordo del Mainz meritano una spiegazione, che mi ha dato lui stesso negli anni
Sessanta. A quel tempo aveva problemi di artrite, ma era affascinante come sempre grazie alla
sua altezza e i brillanti occhi azzurro scuro. Mi raccontò di essersi rifiutato di abbandonare il Mainz
perché voleva rispettare la tradizione degli ufficiali tedeschi che vanno a fondo con la loro nave. In
realtà la sua determinazione aveva spinto alcuni giovani ufficiali ancora in vita, che avevano
cercato inutilmente di convincerlo ad abbandonare la nave prima che affondasse, a rimanere a
bordo con lui. Morirono tutti tranne mio prozio Wolf, in quanto si trovò avvolto da una bolla d'aria
fuoriuscita dalla stiva della nave che stava affondando. Siccome aveva potuto continuare a
respirare normalmente ad atmosfera zero e che la bolla d'aria si muoveva verso l'alto, Wolf pensò
di essere morto, si sentiva come in un sogno e si dava dei pizzicotti per controllare se riusciva
ancora a sentire il suo corpo, fino a quando la bolla scoppiò una volta raggiunta la superficie del
mare e Wolf si trovò completamente bagnato. I marinai britannici lo tirarono fuori dall'acqua e lo
portarono su una delle loro navi dove si presero cura di lui. Il retroammiraglio David Beatty
apparentemente osservò tutta questa dimostrazione di coraggio. Quando scoprì che Wolf era il
figlio del Grand'ammiraglio, informò Churchill che chiese subito di incontrarlo e inviò un
telegramma a suo padre dicendogli che suo figlio stava bene e sarebbe tornato a casa dopo la
guerra. Un gesto davvero signorile. Questo episodio rappresentò l'inizio di un'amicizia e Wolf si
recò diverse volte a Chartwell, la residenza di campagna dei Churchill.
Le conseguenze
La battaglia venne considerata una chiara vittoria britannica. La Germania perse tre incrociatori
leggeri, il Mainz, il Koln e l'Ariadne, e il cacciatorpediniere V-187; l'incrociatore leggero Frauenlob
venne gravemente danneggiato. Anche gli incrociatori leggeri Strassburg e Stettin furono
danneggiati. Le vittime tedesche furono 1 242, di cui 712 i morti, incluso l'ammiraglio Maass, e 336
prigionieri. La Royal Navy non perse alcuna nave ma 35 uomini morirono e 40 rimasero feriti. Il
risultato più significativo della battaglia fu l'effetto delle decisioni del Kaiser, la sua successiva
decisione fu di trattenere la flotta per evitare rischiose perdite lasciò Tirpitz di stucco e diede inizio
a una lotta tra il Grand'ammiraglio e il sovrano con ripetute richieste di dimissioni.
Battaglia dei Laghi Masuri
7 - 14 settembre 1914
Gli avversari
Paul Ludwig von Beneckendorff e von Hindenburg - uomo politico e generale tedesco
(Poznan 1847 - Neudeck 1934).
Comandante supremo delle forze armate tedesche dal 1916, nel 1925 fu eletto presidente della
Repubblica; riconfermato nel 1932, nominò A. Hitler cancelliere dopo le elezioni del 1933.
Partecipò alle campagne del 1866 e del 1870-71; dopo una notevole carriera militare lasciò (1911)
il servizio attivo col grado di generale di corpo d'armata. Richiamato allo scoppio della prima
guerra mondiale, ebbe il comando delle truppe tedesche in Prussia Orientale e l'assegnazione di
E. von Ludendorff a suo capo di stato maggiore; per merito prevalente di H., fu conseguita la
vittoria di Tannenberg. Per le successive vittorie riportate contro i Russi e per la condotta
strategica della campagna estiva del 1915, H. acquistò prestigio e popolarità immensa, per cui
(1916) succedette a E. von Falkenhayn nel comando supremo di tutte le forze armate tedesche,
con Ludendorff semplice quartiermastro generale. Aderendo alle vedute del suo audace
subordinato, fece iniziare (1917) la guerra sottomarina che determinò l'intervento degli Stati Uniti.
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Condottiero di mente elevata, esperto sia come stratega sia come tattico, anche nelle circostanze
più difficili seppe assicurarsi l'iniziativa delle operazioni. Messosi in disparte dopo la fine della
guerra, pubblicò le sue memorie (Aus meinem Leben, 1920). Nel 1925, accettando di presentarsi
come candidato della coalizione conservatrice, fu eletto presidente del Reich e rieletto poi nel 1932
in contrapposizione a Hitler. Nonostante la sua volontà di porsi come equilibratore tra i partiti per la
rinascita della Germania, dopo le elezioni del 1933 affidò il cancellierato a Hitler. Alla sua morte, la
carica di presidente del Reich non fu assunta da Hitler, che preferì il titolo di Führer.
RENNENKAMPF, Pavel Karlovic
Generale russo, nato in Estonia il 17 aprile 1854, processato e fucilato dai bolscevichi a Taganrog
nel maggio 1918. Ufficiale di cavalleria, frequentò la scuola di guerra. Nelle operazioni in Manciuria
del 1900-1901 e nella guerra russo-giapponese (1904-1905) si acquistò fama di straordinaria
risolutezza e audacia. Discusso per la sua vita privata, fu tuttavia nominato, poco prima della
guerra, comandante in capo della circoscrizione militare di Vilna. Nell'agosto 1914 ebbe il
comando della 1ª armata, destinata a invadere da est la Prussia Orientale, mentre la 2ª armata
avrebbe puntato da sud. La superiorità della preparazione e soprattutto del comando tedesco fece
sì che la sorte delle armi fu in definitiva contraria al Rennenkampf al quale toccò di agire contro
Hindenburg. L'insuccesso fece nascere il pettegolezzo della lontana origine tedesca e quello,
infondato, ma accreditato dal generale francese Buat capo dello Stato maggiore francese, nei suoi
studi su Ludendorff e Hindenburg, del tradimento; ben triste ricompensa al generale che fu sempre
pronto ad agire offensivamente contro i Tedeschi per alleviare la fronte francese. Vincitore a
Gumbinnen (20 agosto 1914) fu decisamente battuto ai Laghi Masuri (settembre 1914). Durante
l'offensiva tedesca su Lódz (novembre 1914) il Rennenkampf riuscì a circondare l'ala sinistra
tedesca (tre divisioni), ma non avendo i Russi stretto il cerchio, gli avversarî riuscirono a spezzarlo
(24 novembre 1914). Il Rennenkampf fu per questo esonerato dal comando.
La genesi
La zona dei Laghi Masuri costituì all'inizio della guerra mondiale un ostacolo separatore fra le due
armate russe di P. Rennenkampf (1ª armata) e A. Samsonov (2ª armata), le quali sotto il comando
del generale Zilinskij, comandante della fronte nord-ovest, erano destinate a invadere la Prussia
Orientale. Tale ostacolo aveva una fronte di un'ottantina di chilometri in linea d'aria da Nordenburg
a Johannisburg e, verso il centro, era rafforzato dalla piccola fortezza di Lötzen. Ciò indusse i
Russi a invadere la Prussia Orientale con le due masse separate, la 1ª armata a nord, la 2ª a
ovest dei laghi. I successi della 1ª armata a Stallupönen e a Gumbinnen e la conseguente ritirata
dei Tedeschi verso la Vistola, decisero il Samsonov a dirigersi non a nord verso la 1ª armata
russa, ma ad appoggiare ancor più verso ovest per ottenere un successo maggiore ampliando
l'aggiramento delle forze avversarie. Ne risultò una tale distanza tra le due armate che i Tedeschi,
lasciando contro il Rennenkampf un debole velo di cavalleria, agirono con tutte le forze contro
l'armata del Samsonov la quale nella battaglia di Tannenberg fu circondata e in gran parte
catturata. Il Rennenkampf intanto aveva avanzato lentamente; ma conosciuto il disastro, ripiegò
sulla linea: fiume Deime-fiume Alle-Allenburg-Gerdauen-Nordenburg-Angenburg-est dei Laghi
Masuri sino a Bialla. Intanto l'8ª armata tedesca era stata rafforzata da due corpi di armata e da
una divisione di cavalleria tolti dalla fronte di Francia. La sottrazione di tali truppe dallo scacchiere
decisivo ebbe conseguenze fatali per l'esercito tedesco alla Marna (5-10 settembre). Il Hindenburg
disponeva contro il Rennenkampf di 16 divisioni, il Rennenkampf aveva 14 divisioni delle quali 8
erano in linea a nord dei laghi, circa 2 a est dei laghi stessi, il resto in riserva verso Insterburg; una
nuova armata, la 10ª, cominciava a riunirsi a sud dei laghi nella zona Lyck-Grajewo-Ozowiec: più
ad ovest tra Ostroleka e Chorzele era disponibile la 2ª armata, battuta a Tannenberg. Il generale J.
Zilinskij non si valse efficacemente delle armate 10ª e 2ª, talché la 1ª armata non ne ebbe aiuto
sensibile. Il 4 settembre il Hindenburg iniziò l'avanzata verso est, lasciando soltanto qualche
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brigata di Landwehr a guardare il confine meridionale della Prussia orientale ad est della Vistola
contro la 2ª armata russa. Quattro corpi d'armata, oltre le truppe delle piazze di Königsberg e di
Posen (Poznan), agivano a nord dei Laghi Masuri, mentre due corpi d'armata e mezzo dalla fronte
Lotzen-Johannisburg dovevano sboccare a est dei Laghi Masuri per battere la debole sinistra della
1ª armata russa. Il fianco esterno di questo gruppo era guardato da una divisione di Landwehr (K.
von der Goltz).
La battaglia
Sulla destra sin dal 7 la 3ª divisione di riserva tedesca (già segnalatasi a Tannenberg) batté
facilmente a Bialla un distaccamento della 10ª armata russa e il 9 la stessa divisione tenne in
scacco presso Lyck il XXII corpo d'armata della stessa 10ª armata: più a nord il I corpo d'armata
con l'8ª divisione di cavalleria fece rapidi progressi verso nord-est: sul resto della fronte i Tedeschi
non ebbero che limitati vantaggi. Il Rennenkampf, temendo di essere accerchiato come il
Samsonov, inviò verso sud le riserve, e diede il 9 l'ordine di ritirata alle truppe a nord dei laghi per
sottrarle all'aggiramento: ma la notte dell'11, saputo che i Tedeschi all'ala meridionale avevano
occupato Goldap, diede ordine al XX corpo d'armata di contrattaccare in questa direzione, mentre
le altre truppe dovevano ripiegare verso est. Il contrattacco non riuscì a riprendere tale nodo
stradale, ma rallentò l'avanzata dei Tedeschi. Le truppe del Rennenkampf poterono ripiegare
dietro il Niemen. I Tedeschi inseguirono sino al giorno 14, riuscendo a catturare 45 mila prigionieri
e 150 pezzi. I Russi ebbero inoltre una perdita in morti e feriti di circa 55 mila uomini. I Tedeschi
perdettero 9 mila uomini. Ma a questo successo materiale, uno morale assai più importante si
aggiungeva: Tannenberg e i Laghi Masuri avevano dimostrato la rilevante superiorità dell'esercito
tedesco, superiorità morale che ebbe un grande peso in tutte le operazioni successive dei Russi. Il
generale Zilinskij disponeva nelle tre armate di 389 battaglioni contro 288 tedeschi: egli lasciò
pressoché solo il Rennenkampf, che tenne le riserve riunite al nord e si trovò in inferiorità verso
sud, dove forse sperava nell'aiuto della 10ª armata. Il Zinskij fu esonerato dal comando.
Le conseguenze
Per gli Imperi Centrali, tuttavia, l'effetto delle vittorie tedesche a Tannenberg e sui Laghi Masuri fu
assai ridimensionato da quanto era accaduto nel frattempo agli Austriaci in Galizia . Fu così che la
vittoriosa dell'Ottava Armata, anziché spingere a fondo la sua azione contro i resti malconci
dell'armata di Rennenkampf, dovette mutare completamente il proprio obiettivo strategico e
accorrere in soccorso degli alleati austro-ungheresi che, sotto i colpi di maglio delle armate russe
del fronte sud-occidentale, non davano garanzie di poter resistere a lungo, con grave minaccia per
i passi dei Carpazi e della stessa Pianura Ungherese, granaio della Duplice monarchia.
Assedio di Tsingtao
2 settembre - 7 novembre 1914
Le flotte avversarie
La marina imperiale giapponese nella prima guerra mondiale
A partire dal 1868, il reintegrato imperatore Meiji emanò riforme per industrializzare e militarizzare
il Giappone, allo scopo di impedire che potesse essere sopraffatto dagli Stati Uniti e dalle potenze
europee. Il 17 gennaio 1868 venne creato il Ministero degli Affari Militari (conosciuto anche come
Ministero Esercito-Marina) con Iwakura Tomomi, Shimazu Tadayoshi e il principe Komatsu
Yoshiakira come primi segretari. Durante gli anni settanta e ottanta del XIX secolo la Marina
imperiale giapponese rimase essenzialmente una forza di difesa costiera, sebbene il governo Meiji
continuasse il processo di modernizzazione. La Jho Sho Maru (ben presto ribattezzata Ryujo
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Maru) progettata da Thomas Glover venne varata a Aberdeen in Scozia il 27 marzo 1869. Nel
1870 un decreto imperiale stabilì che la Royal Navy britannica e non la Marina olandese sarebbe
stato il modello per lo sviluppo. Tale modello sfociera' addirittura in una all'alleanza, quella anglogiapponese del 1902, che diede motivo al Giappone per entrare a tutti gli effetti nella prima guerra
mondiale al fianco degli Alleati. Nel novembre 1914, dopo l'assedio anglo-giapponese di Tsingtao,
la Marina imperiale giapponese occupò la base navale tedesca di Tsingtao nella penisola cinese di
Shandong. Quello stesso anno, in agosto e settembre, un gruppo da battaglia venne inviato nel
Pacifico centrale per inseguire lo squadrone tedesco dell'Asia orientale, che si spostò nell'Atlantico
meridionale, dove venne intercettato da forze navali britanniche e distrutto nella battaglia delle
isole Falkland. Il Giappone occupò gli ex-possedimenti coloniali della Germania in Micronesia, le
isole Marianne (esclusa Guam), le isole Caroline e le isole Marshall, che rimasero colonie
giapponesi fino alla fine della seconda guerra mondiale, con il Mandato del Sud Pacifico della Lega
delle Nazioni.
Durante la prima fase del conflitto la Royal Navy chiede il supporto della Marina Imperiale in varie
occasioni: l'inseguimento dello squadrone tedesco dell'Asia orientale, azioni di scorta ai convogli
delle truppe ANZAC e la richiesta, rifiutata dal governo giapponese, di avere in affitto i quattro
incrociatori della classe Kongo (navi di costruzione inglese e le prime navi giapponesi a montare
pezzi da 356 mm). In seguito a ulteriori richieste di contribuire al conflitto e con lo sviluppo da parte
della Germania, dal 1917, della guerra sottomarina indiscriminata, la Marina imperiale giapponese
inviò nel marzo 1917 una forza speciale di cacciatorpediniere nel mare Mediterraneo. La flotta,
comandata dall'ammiraglio Sato Kozo e consistente nell'incrociatore corazzato Nisshin e di otto dei
più nuovi cacciatorpediniere della Marina Giapponese fece base a Malta, proteggendo
efficacemente il traffico navale alleato da Marsiglia e Taranto ai porti egiziani fino alla fine della
guerra. Il cacciatorpediniere Sakaki venne silurato da un sommergibile della k.u.k. Kriegsmarine, e
perirono con esso 59 fra ufficiali e marinai. Al termine del conflitto la Marina imperiale giapponese
ricevette come compensazione di guerra sette sommergibili tedeschi, che furono portati in
Giappone per essere analizzati, contribuendo in maniera decisiva allo sviluppo dell'industria
sottomarina giapponese.
La marina imperiale austriaca nella prima guerra mondiale
Fino alla fine del XVIII Secolo c'erano stati solo limitati tentativi degli Asburgo di creare una Marina
austriaca. I primi piani per fondarne una erano stati caratterizzati da mancanza di volontà, sforzo,
interesse e denaro da parte degli Asburgo e basati prevalentemente su iniziative private degli
abitanti dei territori costieri asburgici. In caso di guerra, i governanti austriaci consideravano più
conveniente affidare la difesa costiera alle forze navali alleate. Negli anni delle guerre contro
l'Impero Ottomano, dal XVI secolo in poi, era stata creata comunque una flottiglia danubiana per
sostenere le operazioni terrestri e contrastare gli attacchi navali turchi nella fitta rete fluviale
dell'europa sudorientale. Gli sforzi di Wallenstein e dell'imperatore Carlo VI di costrire una Marina
da guerra degna di una nascente grande Potenza non avevano avuto effetto durevole. Neanche i
piani di Carlo VI, Maria Teresa e Giuseppe II per la fondazione di colonie avevano contribuito a
uno sviluppo della Marina e, in pratica, per questo motivo tutti i progetti di colonizzazione erano
stati condannati al fallimento. Dopo la Guerra dei Sette Anni la vulnerabilità austriaca ai costanti
attacchi corsari in Mediterraneo aveva indotto il Cancelliere di Stato conte Kaunitz a premere per la
creazione di una piccola forza navale. Ma fu solo nel 1797 che questa situazione cambiò, quando
l'Austria ottenne la città di Venezia coll'Istria e la Dalmazia grazie al Trattato di Campoformio. Le
forze e le attrezzature navali veneziane, passate all'Austria, divennero la base della futura Marina
Austro-Veneta, che esisté fino al 1848 e fu sotto una forte influenza italiana. Fino a quell'anno,
comunque, per l'Austria non era ancora giunto il momento di divenire una grande Potenza navale.
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Fu solo grazie all'impegno dell'ammiraglio Tegetthoff, eroe di Lissa, il quale dedicò molti anni alla
riforma della Kriegsmarine, che si videro i primi progressi; ed in particolare, uno dei primi banchi di
prova per la k.u.k. Kriegsmarine fu lo scoppio della rivolta dei Boxer in Cina (aprile 1900), che vide
la marina austriaca coinvolta direttamente in quanto presente nell'area con la nave Zenta, mentre
ufficiali e marinai inviati a Pechino parteciparono attivamente agli scontri. I rinforzi inviati in oriente
(le navi Kaiserin und Königin Maria Theresia, Kaiserin Elisabeth e Aspern) giunsero invece troppo
tardi per partecipare ai combattimenti. Sotto la direzione dei comandanti Hermann von Spaun,
Rudolf Montecuccoli e Anton Haus la marina austro-ungarica fu ulteriormente ampliata e
modernizzata, anche grazie al contributo dell'arciduca Francesco Ferdinando, che nel 1908 aveva
ordinato la costruzione dei primi sottomarini. Il 24 giugno 1911 venne varata la Viribus Unitis, la
prima nave da battaglia austro-ungarica monocalibra (tipo Dreadnought); la corazzata fu la prima
di un'intera classe e venne affiancata l'anno dopo dalle sorelle Tegetthoff e Prinz Eugen, nonché
infine dalla Szent István nel 1914. Fu così che alla vigilia della prima guerra mondiale l'AustriaUngheria si trovò dotata di una flotta di prim'ordine, tra cui la Szent István (Santo Stefano), una
delle navi più moderne dell'epoca. Lo scoppio delle ostilità sorprese l'incrociatore SMS Kaiserin
Elisabeth a Tsingtao, nella colonia tedesca di Kiautschou, e così la nave si sottomise al comando
del governatore alleato tedesco. Quando il Giappone, ansioso di conquistare la colonia, dichiarò
guerra alla Germania e all'Austria-Ungheria, la maggior parte delle navi abbandonarono la colonia,
lasciando l'incrociatore austriaco a presidio della città assieme ad una sola cannoniera tedesca.
Dopo due mesi di accanita resistenza gli austro-tedeschi dovettero arrendersi e, per non far cadere
la nave in mano al nemico, l'equipaggio fece affondare la nave.
La genesi
L'impero tedesco, ugualmente alle altre potenze europee aveva costituito un suo impero coloniale
in particolare in Asia e in Africa. Nel continente asiatico si era impossessato, senza grosse
difficoltà della città di Kiaochow e della sua provincia, all'indomani dell'assassinio di due missionari
tedeschi avvenuto nel 1897 e usato dal governo teutonico come pretesto per occupare la città
cinese e la sua provincia a fine di risarcimento per il danno subito. Il Regno Unito vedeva con
grossa preoccupazione l'allargarsi della potenza militare e industriale tedesca, adesso anche
sull'Oceano pacifico che fino ad allora era di quasi esclusivo dominio inglese. I tedeschi inviarono
nella città di Kiaochow un corpo di spedizione militare e crearono un efficiente porto mercantile e
militare dotato dei più avanzati sistemi di difesa. Anche l'impero Giapponese era non solo
preoccupato dalla presenza tedesca, ma in qualche modo ostacolato nei suoi disegni
espansionistici, sicchè il governo nipponico e quello inglese decisero di stringere una solida e
duratura alleanza con l'obiettivo di ridimensionare fortemente la presenza tedesca nell'Oceano
Pacifico. I rapporti diplomatici tra i due Paesi divennero, in seguito, più stretti e maturarono al
momento della Prima Guerra Mondiale. Il governo giapponese, il cui aiuto militare era stato
sollecitato dal governo britannico, inviò un perentorio ultimattum all'Impero tedesco ordinando la
smobilitazione militare della provincia cinese occupata. L'ultimatum fu seccamente respinto e
L'Impero Giapponese dichiarò guerra alla Germania. La marina imperiale giapponese inviò
inizialmente alcune unità comandate dal viceammiraglio Sadakichi Kato, che issò la sua bandiera
sulla pre-dreadnought Suo (ex Pobeda, catturata dai giapponesi ai russi nel 1905), con il compito
di bloccare la costa di Kiaochow, a partire dal 27 agosto. Inoltre, durante le operazioni, la Royal
Navy distaccò due unità della China Station, un'unità navale che aveva il compito di controllare le
coste della Cina. Le due navi (la pre-dreadnought HMS Triumph e il cacciatorpediniere HMS Usk)
vennero inquadrate nel secondo squadrone. La Triumph fu danneggiata dalle artiglierie costiere. In
generale, la squadra navale, accanto a navi piuttosto obsolete, poteva schierare anche unità
moderne, come le dreadnoughts Kawachi e Settsu, l'incrociatore da battaglia Kongo e la nave
appoggio idrovolanti Wakamiya, i cui aerei furono i primi al mondo a condurre con successo
attacchi di questo tipo a bersagli terrestri e navali. La 18ª Divisione fanteria fu la prima grande
unità giapponese ad iniziare le operazioni terrestri. Questa unità era forte di ben 23.000 soldati e
142 pezzi di artiglieria. Sbarcarono il 2 settembre a Lungkow, ed il 18 alla baia di Laoshan, che era
a 18 miglia dalla città. Il governo inglese (così come quelli delle altre potenze europee) era
consapevole delle mire espansionistiche giapponesi, e quindi decise di inviare un contingente
simbolico di 1.500 uomini. I tedeschi risposero concentrando nella città tutte le forze locali
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disponibili. Complessivamente, la guarnigione arrivò a contare 3.625 uomini, al comando del
capitano navale e Governatore Alfred Meyer-Waldeck: fanti di marina del III Seebataillon, soldati e
marinai (incluse truppe coloniali cinesi e marinai austro-ungarici). La componente navale era
costituita dalla torpediniera S-90, dalle quattro cannoniere Iltis, Jaguar, Tiger e Luchs e
dall'incrociatore protetto austroungarico Kaiserin Elisabeth. Inizialmente, l'equipaggio di
quest'ultima fu diviso in due: metà a combattere a terra con le forze tedesche, e gli altri a bordo
della nave.
A capo del Corpo di Spedizione lo Stato Maggiore nipponico mise il tenente generale Misuomi
Kamio, un ufficiale che, nel corso del vittorioso conflitto con la Russia del 1904-1905, aveva avuto
modo di distinguersi più per pazienza e determinazione che per ardimento o ingegnosità tattica.
Mentre la responsabilità della Squadra Navale di appoggio venne invece affidata al viceammiraglio Sadakichi Kato, ufficiale di sicura esperienza. Dopo avere studiato attentamente la
situazione, il generale Kamio, di comune accordo con il vice-ammiraglio Kato, decise di effettuare
uno sbarco sul lato settentrionale della baia di Kiaochow, per poi muovere in direzione di Tsingtao,
aggirandone le linee difensive sul fronte di terra. Sottostimando la capacità di reazione nemica,
Kamio ritenne che in un primo momento sarebbe stato sufficiente sbarcare una sola divisione di
fanteria alla quale sarebbe spettato il compito di consolidare la testa di ponte. Successivamente,
egli avrebbe disposto l'inoltro dell'intero contingente. Contestualmente a questa manovra, una
parte della squadra navale agli ordini di Kato si sarebbe avvicinata alla costa appoggiando con la
sua artiglieria le truppe di terra, mentre una seconda sezione avrebbe avuto il compito di vigilare
su tutta l'operazione, prevenendo eventuali attacchi da parte di unità nemiche. Va notato che
ancora alla metà di agosto, sia i servizi segreti inglesi che giapponesi temevano che il
viceammiraglio von Spee (che con i suoi incrociatori stava navigando alla volta dell'Europa)
avesse lasciato a Tsingtao una parte della sua Squadra. E proprio per questo motivo il
viceammiraglio Kato non aveva voluto correre inutili rischi, rafforzando la Seconda Squadra con 2
dreadnought, un incrociatore da battaglia e due corazzate pre-dreadnought. Il 27 agosto, la
Seconda Squadra giapponese giunse davanti all'imboccatura della baia di Kiaochow. Dopo avere
fatto occupare tre piccole isole con lo scopo di trasformarle punti di osservazione, il viceammiraglio
Kato fece dragare i campi minati deposti dai tedeschi. Il 30 agosto, tuttavia, le condizioni
atmosferiche incominciarono a peggiorare e nell'arco di poche ore intensi nubifragi accompagnati
da un violento moto ondoso misero a dura prova le unità giapponesi. Nella notte tra il 30 e il 31
agosto, un autentico tifone investì tutta la penisola dello Shantung, causando danni a quasi tutte le
navi nipponiche. Travolto da gigantesche montagne d'acqua il cacciatorpediniere Shirotaye finì per
arenarsi su un isolotto sul quale il suo equipaggio dovette rifugiarsi. Per evitare analoghi incidenti,
Kato dispose un momentaneo allontanamento delle sue navi dalla costa. Il giorno seguente, grazie
al miglioramento della situazione meteorologica, i tedeschi fecero uscire dal porto la cannoniera
Jaguar. L'unità, protetta dalle batterie costiere, si avvicinò allo scafo del Shirotaye e con una
dozzina di precise bordate lo ridusse ad un ammasso di rottami fumanti.
La battaglia
Il 2 settembre, essendosi il tempo completamente ristabilito, Kato ordinò ai piroscafi da carico, al
comando del viceammiraglio Kamimura Hikonojo, di iniziare a sbarcare le truppe a Lungkow, una
località situata lungo la costa nord della penisola dello Shantung. L'operazione non incontrò alcun
ostacolo ed entro breve tempo quattro compagnie di fanti della marina rinforzate da una
compagnia dell'esercito presero terra. Sulla spiaggia, le truppe giapponesi si aprirono a ventaglio
stabilendo una prima testa di ponte, proprio nel mentre un battaglione del genio iniziava la
costruzione di un pontile galleggiante in legno e di due banchine in pietra per consentire un più
agevole attracco da parte delle navi. Il primo pontile venne ultimato in appena 24 ore e permise, tra
l'altro, lo sbarco di un reggimento di cavalleria e di uno di fanteria, rinforzato da una compagnia di
mitraglieri. Ma gia' dal 3 settembre, a causa dei continui nubifragi e della natura pianeggiante del
terreno, i reparti giapponesi dovettero rallentare la loro marcia, trovandosi a vagare in un'immensa
e profonda palude. Il 5 settembre 1914, il viceammiraglio Kato fece decollare un idrovolante per
compiere un'accurata ricognizione sul porto onde valutare la reale consistenza della flotta tedesca.
La missione ebbe esito positivo e al suo rientro il pilota riferì di avere individuato soltanto
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l'incrociatore austro-ungarico Kaiserin Elisabeth, cinque cannoniere, un cacciatorpediniere e alcuni
piroscafi. Confermata l'assenza della temibile Squadra di von Spee, Kato decise di rimandare in
Giappone parte della sua flotta e di inviare a Singapore tre incrociatori corazzati per proteggere
l'importante base inglese da eventuali attacchi di navi corsare tedesche. In cambio, la Royal Navy
fece salpare da Hong Kong alla volta di Tsingtao la vecchia corazzata Triumph. Nell'ambito di una
più vasta cooperazione, il governo di Londra si impegnò inoltre a fornire al generale Kamio un
piccolo contingente composto da un battaglione di fanteria rinforzato da due compagnie indiane. Il
13 settembre, dopo una faticosa marcia nel fango, la cavalleria giapponese andò a cozzare contro
il primo caposaldo esterno tedesco, quello di Tsimo. Vantando una netta superiorità numerica, i
nipponici travolsero il debole distaccamento germanico costringendolo ad abbandonare la
posizione a ritirarsi precipitosamente verso Tsingtao. Il giorno seguente, i reparti mobili giapponesi
raggiunsero anche l'importante località di Kiautschou, tagliando la linea ferrata dello Shantung ed
isolando di fatto Tsingtao dal resto della Cina. Rassegnato per la perdita di Kiautschou, il
governatore Meyer-Waldeck decise di schierare il 50 percento delle sue forze (comprese quelle
della Marina) a protezione dell'anello difensivo che si estendeva lungo l'arco collinare della linea
esterna. Ma il conseguente, inevitabile indebolimento delle posizioni del litorale consentì alla flotta
giapponese di farsi più audace e di effettuare una serie di brevi ma intensi bombardamenti contro
la baia.
Il 15 settembre, in seguito ad un ennesimo, improvviso tifone, Kamio decise di interrompere
momentaneamente tutte le operazioni di sbarco lungo la costa settentrionale della penisola,
ordinando alla flotta di recuperare la 24ª brigata di fanteria e di trasferirla nella baia di Lau Schan,
situata non lontano da Tsingtao. Il generale lasciò ai reparti di cavalleria, a quelli del genio e alla
23ª brigata di fanteria, il compito di proseguire fino a Tsimo, dove intanto si era consolidata la
nuova linea del fronte. Lo scopo ultimo di Kamio era quello di effettuare un'ampia manovra a
tenaglia, aggirando la piazzaforte nemica. Il 18 settembre, i giapponesi, partendo da Tsimo,
proseguirono con cautela in direzione degli avamposti tedeschi situati in cima alle colline che
sovrastavano la località. La sera del 18, una compagnia nipponica riuscì a conquistare il passo di
Hotung, obbligando gli effettivi del locale presidio tedesco ad arretrare. Il 19 settembre, la fanteria
giapponese conquistò Mecklemburg Haus, superando per la prima volta la linea esterna tedesca.
Reputando che il nemico non disponesse delle forze necessarie per difendere tutto il fronte, Kamio
diede impulso all'avanzata attraverso le alture a ridosso di Tsingtao. I giapponesi si mossero
suddivisi su più colonne, ciascuna della forza di una compagnia, costringendo i tedeschi a
sparpagliare ulteriormente i propri effettivi onde evitare pericolosi aggiramenti. Nel frattempo, il
Comando Supremo di Tokyo ordinò a Kamio di prendere stabile possesso dell'intera ferrovia dello
Shantung, allargando ben oltre il dovuto l'occupazione del territorio cinese. Inizialmente, il generale
inviò un battaglione lungo la ferrovia in direzione di Tsinan (città la cui stazione sorgeva lungo la
ferrovia costruita dagli inglesi che collegava Shanghai a Pechino), seguito più tardi da un intero
reggimento di fanteria. Informato della manovra, Meyer-Waldeck tentò di arginare la penetrazione
nemica. Sapendo che i giapponesi presidiavano con grandi forze il passo situato nei pressi della
Mecklenburg Haus, il governatore tedesco pianificò un attacco diversivo contro lo scarsamente
presidiato passo Kletter, situato nei pressi di Tsimo. Tuttavia, per la realizzazione di questa
manovra Meyer-Waldeck non poté che mettere insieme una forza di appena 130 uomini, con 4
mitragliatrici Vickers Maxim e 2 cannoni da campagna Krupp da 77 millimetri. Nonostante la sua
oggettiva esiguità, il reparto attaccò con estremo vigore l'obiettivo assegnatogli, investendo il
battaglione giapponese posto a difesa del passo. Ma proprio quando le sorti della battaglia stavano
per arridere ai tedeschi, quattro reparti nipponici dislocati non lontano dalla sella si lanciarono in
soccorso dei camerati, riconquistando il terreno perduto e costringendo la colonna germanica a
ritirarsi.
Il 26 settembre, dopo avere ammassato circa 16.000 soldati a ridosso della città, il generale Kamio
reputò giunto il momento per scatenare l'attacco finale contro l'ormai provato anello difensivo
tedesco. Le truppe giapponesi, appoggiate dal fuoco da almeno 150 pezzi da campagna e da
montagna da 75, 105 e 150 millimetri, si mossero simultaneamente e da più direzioni verso le
trincee nemiche, mettendo subito in crisi i magri reparti nemici, la cui dotazione di munizioni si era
ormai sensibilmente ridotta. Temendo il tracollo dell'intero fronte, Meyer-Waldeck ordinò al caccia
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S90 e alla cannoniera Jaguar di bersagliare i contingenti che formavano l'ala destra dello
schieramento giapponese, ormai in procinto di investire il porto. Nella notte tra il 26 e il 27
settembre i tedeschi abbandonarono la linea esterna arretrando e trincerandosi dietro la seconda
linea interna. Nei due giorni successivi le forze di Kamio, appoggiate da reparti britannici, ripresero
con inalterato vigore la loro spinta offensiva, giungendo ad un paio di chilometri dal centro di
Tsingtao. Ed ancora una volta, le unità austro-tedesche intervennero per dare man forte alle truppe
di terra. Sfidando il fuoco degli incrociatori pesanti dell'ammiraglio Kato che erano ancorati
all'imboccatura della baia, il Kaiserin Elisabeth, la Jaguar e l'inesauribile caccia S90 effettuarono
un cannoneggiamento contro l'ala destra giapponese, i cui reparti si erano già infiltrati nell'abitato
adiacente lo scalo. Con notevole prontezza, Kamio fece intervenire una batteria composta da 12
pezzi da campagna per respingere la puntata delle tre unità nemiche. Ma proprio mentre gli
artiglieri giapponesi si apprestavano ad eseguire gli ordini, un'improvvisa bordata proveniente dalla
Kaiserin Elisabeth investì la batteria nipponica, mettendo fuori uso la metà dei suoi pezzi e
causando decine di morti e feriti. Pur sapendo che ben presto sarebbe stato costretto ad
abbandonare anche la seconda linea difensiva, Meyer-Waldeck ordinò al più munito presidio di
quest'ultima, quello situato in cima all'elevata collina Prinz Heinrich, di resistere ad oltranza.
Dall'alto di questa postazione, infatti, i tedeschi potevano controllare ancora tutte le mosse delle
truppe giapponesi. Fino dall'inizio di agosto, sulla cima Prinz Heinrich i genieri tedeschi avevano
allestito un piccolo ma robusto ridotto (difeso da 60 uomini muniti di mitragliatrici) dotato di scorte
di viveri, acqua e munizioni per circa due mesi. Il fortino era inoltre collegato, tramite telefono ed
eliografo, al Comando e alle batterie terrestri ubicate alla periferia di Tsingtao.
Nella notte tra il 27 e il 28 settembre, Kamio, fece avanzare verso il Prinz Heinrich una compagnia
scelta, tratta dal 46° reggimento di fanteria. L'unità, rinforzata da un plotone di genieri, uscì dalle
trincee nel bel mezzo di un violento acquazzone, inerpicandosi in cordata lungo un ripidissimo e
viscido crinale. A causa del violento temporale e delle nuvole basse, la terribile marcia di
avvicinamento del reparto nipponico si protrasse per tutta la notte. All'alba, in concomitanza con un
repentino miglioramento delle condizioni atmosferiche, i giapponesi giunsero a poche centinaia di
metri dal fortino, venendo però scoperti dalle vedette nemiche. I tedeschi aprirono un violento ma
disordinato fuoco contro gli assalitori, molti dei quali si trovavano ancora legati alle funi. La
battaglia infuriò per alcune ore. Poi, con uno sforzo estremo, i giapponesi si lanciarono all'attacco
del ridotto bersagliandolo con una pioggia di bombe a mano e cariche di dinamite. Lo scontro
finale vide i soldati dei due schieramenti affrontarsi alla baionetta in una spaventosa mischia, al
termine della quale i giapponesi ebbero la meglio. La conquista dello strategico cocuzzolo del
Prinz Heinrich costò al reparto di Kamio 24 morti e 26 feriti, contro 6 soldati tedeschi uccisi e circa
50 feriti. Venuto a conoscenza della perdita dell'avamposto, il governatore decise di abbandonare
la seconda linea difensiva: manovra che venne attuata con la parziale copertura dei pezzi del
Kaiserin Elisabeth, del Jaguar e del S90. Con la conquista del Prinz Heinrich si era aperto il
capitolo finale dell'assedio di Tsingtao. Al generale Kamio non rimaneva infatti che infrangere
l'ultima, fragilissima linea interna tedesca. Egli fece quindi approntare presso la baia di
Schatsykou, località non molto lontana da Tsingtao, una piattaforma per i cannoni pesanti da
assedio collegata ai moli situati sulla spiaggia da una strada e da una ferrovia a scartamento
ridotto. Contemporaneamente, Kamio dislocò la maggior parte delle sue truppe di fanteria al riparo
dei bastioni e delle trincee di Lau Schan. Per dirigere il tiro dei pezzi, i genieri allestirono sul Prinz
Heinrich un posto di servito da cinque linee telefoniche e da un apparecchio radio. Meyer-Waldeck
cercò di intralciare in qualche modo i preparativi del nemico, ordinando alle sue batterie da
campagna da 77 e 88 millimetri di bersagliare la cima e le retrovie nemiche. Il cannoneggiamento
venne effettuato con il concorso del Taube superstite di Pluschow. Ma l'aereo, ripetutamente
attaccato dai Farman giapponesi, non poté svolgere a dovere il suo compito. Anche l'unico pallone
da osservazione tedesco, issato per cercare di correggere i tiri, venne inquadrato dall'artiglieria
giapponese che sparando ad alzo massimo lo costrinse ad atterrare. Resosi ben presto conto
dell'inutilità del cannoneggiamento, Meyer-Waldeck decise allora di lanciare un contrattacco
notturno sul fianco destro giapponese. La sera del 2 ottobre, tre compagnie di fanteria (per un
totale di circa 300 uomini), suddivise su altrettante colonne, uscirono di soppiatto dalle trincee,
riuscendo ad avanzare fino alle prime linee avversarie. Un reparto tedesco ebbe la sorpresa di
trovare alcuni tratti di trincea vuoti, mentre gli altri due raggruppamenti andarono a cozzare contro
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le munite difese di un intero battaglione di fanteria nipponico che obbligò i tedeschi a retrocedere,
lasciando sul campo 29 caduti.
A partire dall'inizio di ottobre, anche il corpo di spedizione britannico ebbe modo di partecipare ad
alcune azioni. Ma l'arrivo delle truppe inglesi creò subito qualche serio problema. In più occasioni,
infatti, i giapponesi scambiarono i soldati inglesi per tedeschi: equivoco che portò a veri e propri
scontri a fuoco con perdite da entrambe le parti. Per ovviare a questo inconveniente, Kamio
suggerì di distribuire alle truppe di Sua Maestà divise regolamentari giapponesi, ma l'iniziativa
venne accolta con grande disappunto dagli ufficiali britannici. Verso la fine di ottobre, nonostante
l'irrigidirsi dei rapporti tra i due comandi, il Comando inglese, che non desiderava lasciare ai soli
giapponesi l'onere e l'onore della conquista di Tsingtao, fece giungere al fronte altre due
compagnie di fanteria indiana. Tra il 6 e il 10 ottobre, le batterie pesanti giapponesi martellarono le
residue postazioni d'artiglieria tedesche e i sobborghi della città. Il 14 ottobre, l'ammiraglio Kato
fece intervenire anche i pezzi di medio e grosso calibro della sua squadra (comprendente anche il
Triumph), ordinando a quattro unità sottili di avvicinarsi ulteriormente alla base per saggiare le
capacità di reazione della logorata sezione navale austro-tedesca. Nel corso di questa manovra,
un colpo partito da un cannone pesante costiero danneggiò seriamente il Triumph, che dovette
ritirarsi frettolosamente. Il 15 ottobre, un tifone fece interrompere ai giapponesi tutte le operazioni,
e i tedeschi ne approfittarono per autoaffondare tutte le navi da carico presenti in porto. Il 17
ottobre, Meyer-Waldeck ordinò al caccia S90 di effettuare un'ultima sortita notturna. La gloriosa
unità scivolò lentamente fuori del porto, individuando il profilo di un'unità nemica contro la quale
lanciò un siluro. L'arma andò a colpire in pieno il vecchio incrociatore leggero Takachiho che saltò
in aria, causando la morte di ben 253 marinai su 256. Dopo il boato, le altre unità giapponesi
presenti nella baia accesero i riflettori, aprendo un fuoco infernale sull'S90 che tuttavia riuscì ad
allontanarsi a tutta forza verso il mare aperto. Non potendo più rientrare a Tsingtao, in seguito il
caccia andrà ad internarsi in un vicino porto cinese. Il 29 e il 30 ottobre, l'ammiraglio Kato
intensificò i bombardamenti contro le residue difese a mare. E il 31 ottobre, giorno del compleanno
dell'imperatore Taisho, una cinquantina di pezzi da assedio e circa 150 obici e cannoni di medio e
piccolo calibro aprirono simultaneamente il fuoco su Tsingtao, mettendo a tacere quasi tutte le
postazioni d'artiglieria tedesche. Valutando ormai prossima la fine, Meyer-Waldeck ordinò al
Kaiserin Elisabeth e alla Jaguar di autoaffondarsi, e agli equipaggi di unirsi alla guarnigione. Il 2
novembre, le batterie giapponesi spostarono il loro tiro sui ridotti difensivi interni e sul centro
abitato, colpendo e distruggendo la centrale elettrica. All'alba del 4 novembre, una compagnia
giapponese, rinforzata da un plotone di genieri, raggiunse i grandi depositi di acqua potabile della
città facendo 21 prigionieri. Con la perdita delle cisterne, gli ultimi reparti tedeschi furono costretti
ad arrangiarsi con l'acqua salmastra tratta dai pozzi. Il 5 novembre, la Squadra di Kato si avvicinò
ulteriormente alla città, distruggendo l'ultima batteria costiera, quella di Hui Tschuen Huk. Il 6
novembre, Meyer-Waldeck ordinò al Taube del tenente Pluschow di decollare e di raggiungere il
territorio neutrale cinese. Il governatore affidò al pilota alcuni carteggi riservati e l'ultimo messaggio
per il Comando di Berlino. Il giorno seguente, i giapponesi conquistarono gli ultimi due capisaldi
tedeschi, le colline fortificate Iltis e Bismarck. Resosi conto della fine, la mattina del 7 novembre il
governatore Meyer-Waldeck inviò un suo emissario presso il Comando del generale Kamio per
intraprendere le trattative di resa della colonia. E il giorno seguente, sulla residenza del
governatore venne issata la bandiera del Sol Levante.
Le conseguenze
Il lungo assedio di Tsingtao era costato ai tedeschi 199 morti e circa 300 feriti, mentre altri 3.600
soldati erano stati fatti prigionieri dalle forze giapponesi e britanniche. Dal canto suo, l'armata di
Kamio aveva pagato il suo tributo con 415 caduti e 1.515 tra feriti e dispersi, mentre la Marina
nipponica aveva perso l'incrociatore leggero Takachiho, il cacciatorpediniere Shirotaye, una
motosilurante e due piccoli dragamine, registrando oltre 400 morti e un centinaio di feriti. Per
quanto concerne il piccolo Corpo di Spedizione Britannico, quest'ultimo ebbe a lamentare la morte
di 16 tra soldati e marinai e il ferimento di un'altra sessantina di uomini.
Battaglia di Guise
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29 agosto 1914
Gli avversari
Karl von Bülow (Berlino, 24 aprile 1846 - Berlino, 31 agosto 1921)
Nato da insigne famiglia militare prussiana, von Bülow si arruolò nell'esercito durante la guerra
austro-prussiana del 1866; nella guerra franco-prussiana del 1871 servì come capitano nello Stato
Maggiore. Nel 1884 fu promosso colonnello e assegnato al 9º Reggimento di fanteria della
Guardia. Nel 1897 divenne direttore del dipartimento centrale del ministero della Guerra. Fu
comandante del III Corpo d'armata dal 1903 sino alla nomina ad ispettore della 3ª Armata nel
1912, poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale.
Assegnato alla 2ª Armata nell'agosto 1914, comandò l'invasione del Belgio catturando la fortezza
di Namur il 22-23 agosto 1914. Avanzando in Francia, von Bülow sconfisse la 5ª Armata francese
a Charleroi il 23-24 agosto, e ancora a Saint-Quentin il 29-30 dello stesso mese. Quando la 2ª
Armata, insieme con la 1ª Armata del generale Alexander von Kluck, si avvicinò a Parigi dal 31
agosto al 2 settembre, von Bülow, preoccupato per la vasta breccia che si era venuta a creare fra
le due armate in avanzata, ordinò a von Kluck di dirigere la 1ª Armata sulla propria sinistra perché
offrisse sostegno all'ala destra della 2ª. Questa decisione tuttavia provocò la deviazione di von
Kluck a sudest di Parigi, invece che a nordovest come previsto dal Piano Schlieffen e compromise
l'offensiva. Di fronte poi al contrattacco alleato che si insinuò nella breccia (battaglia della Marna,
5-12 settembre), le due armate dovettero ritirarsi sull'Aisne. Fu promosso feldmaresciallo nel
gennaio dell'anno successivo; dopo aver accusato un attacco cardiaco due mesi dopo, fu messo a
riposo all'inizio del 1916. Si stabilì a Berlino dove morì il 31 agosto 1921.
Charles Louis Marie Lanrezac (Pointe-à-Pitre, 31 luglio 1852 - Neuilly-sur-Seine, 18 gennaio
1925)
Charles Louis Marie Lanrezac nasce a Pointe-à-Pitre, in Guadalupa, il 31 luglio 1852, rampollo di
una famiglia della piccola nobiltà tolosana, i de Quinquiry d'Olive, emigrati ad Amburgo durante il
periodo del Terrore, seguente alla Rivoluzione francese. Suo padre, Auguste Lanrezac, era
ufficiale della fanteria di marina. Per poter studiare Charles Lanrezac ricevette una borsa di studio
dal Prefetto della Manica, mentre suo padre era di guarnigione a Cherbourg. Frequentò il Prytanée
national militaire di La Flèche, passando poi al'Ecole impériale spéciale militaire de Saint-Cyr nel
settembre 1869, classificandosi 75º su 250 ammessi. Come sottotenente ricevette la sua prima
destinazione nel 1870, assegnato al 13º Reggimento di fanteria. Durante la guerra francoprussiana, si ritrovò assegnato al XV Corpo d'Armata, appartenente all'Armée de la Loire.
Partecipò al combattimento di Coulmier, il 9 novembre 1870, e poi ai combattimenti attorno ad
Orleans, il 24 novembre. Il suo comportamento gli valse la promozione al grado di tenente a titolo
provvisorio e la Croce di Cavaliere della Légion d'Honneur. Nel gennaio 1871, il suo Corpo
d'armata raggiunse l'Armée de l'Est del generale Charles Denis Bourbaki con la missione di
liberare Belfort e prendere i prussiani alle spalle in Alsazia. Partecipa ai combattimenti attorno a
Héricourt dal 15 al 17 gennaio, portandosi poi su Besançon per proteggere la ritirata del'Armata,
sfuggendo all'internamento in Svizzera, e combattendo infine a Larnod il 20 gennaio. Alla fine della
guerra riprende i suoi studi presso l'École spéciale militaire de Saint-Cyr, al termine dei quali viene
assegnato al 30º Reggimento di fanteria di Annecy. Viene promosso capitano il 21 febbraio 1876 e
trasferito al 24º Reggimento di fanteari a Parigi. Ottiene il brevetto di ufficiale di Stato maggiore nel
1879. Viene nominato professore aggiunto d'arte militaire presso l'École spéciale militaire di SaintCyr, passando poi cinque anni in Tunisia in seno alla brigata d'occupazione, appartenente al 113º
Reggimento di fanteria. Al suo ritorno in patria diviene professore di tattica presso l'École
supérieure de guerre, ed è promosso comandante di battaglione (chef de bataillon) nel luglio 1892.
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Nel 1898 viene promosso tenente colonnello e nominato direttore degli studi dell'École supérieure
de guerre. Nel 1901 viene promosso colonnello e assume il comando del 119º Reggimento di
fanteria.
Nel marzo 1906 diviene comandante ad interim della 43ª Brigata di fanteria a Vannes, e fu
promosso generale di brigata nel giugno dello stesso anno. Professore, poi comandante in
seconda, dell'École de Guerre, Charles Lanrezac fu uno dei più fini strateghi, ma anche il meno
ascoltato, alla vigilia della Prima guerra mondiale. Si oppose all'uso sistematico e predeterminato
dell'offensiva ad oltranza e preconizzò un ricorso più frequente alla manovra ragionata, così
motivando: Se ogni comandante di unità subordinata ha il diritto di lanciarsi a testa bassa contro il
primo avversario che gli capita a tiro, il comandante in capo è impossibilitato ad esercitare la
minima azione direttiva. Si attribuisce a lui la formula: Attaquons, attaquons...comme la lune!. Nel
1911 viene promosso generale di divisione, e nel 1912 è elevato al rango di generale di corpo
d'armata, assumendo il comando dell'XI Corpo d'Armata di Nantes. Nell'aprile 1914 sostituisce il
generale Joseph Simon Gallieni alla testa della 5ª Armata (di mobilitazione) francese, prendendo il
suo posto anche all'interno del Supremo Consiglio di Guerra. Tale armata, forte di ben cinque
Corpi d'Armata, in base al Piano XVII elaborato dal generale Joseph Joffre era posizionata
all'estrema ala sinistra dello schieramento francese. Il suo comando era indubbiamente il più
difficile del fronte occidentale, in quanto doveva incontrate l'ala destra avvolgente dell'esercito
tedesco che travolse rapidamente la resistenza dell'esercito belga, cooperando nel contempo con
la British Expeditionary Force britannica posizionata sul suo fianco sinistro. Allo scoppio delle
ostilità, Lanrezac tentò insistentemente di attirare l'attenzione del generalissimo Joffre sul pericolo
di una penetrazione tedesca a nord della Mosa e della Sambre attraverso il Belgio. Joffre credeva
che l'esercito francese dovesse eseguire il Piano XVII indipendentemente da quello che potesse
succedere in Belgio, ma Lanrezac finì per convincerlo e poté portare le proprie truppe (290.000
uomini) sul fronte di Charleroi. Ma i pessimi rapporti con il comandante della British Expeditionary
Force, generale Sir John French, segnarono non solo il proseguimento della sua carriera ma
anche una parte della guerra stessa. Dopo i fallimenti in coabitazione con French, Lanrezac fu
silurato il 3 settembre 1914 e rimpiazzato da Franchet d'Esperey. Amareggiato dalla sostituzione
Lanrezac rifiutò nel 1917 il posto di maggior generale dell'esercito che gli propose Paul Painlevé,
allora ministro della guerra. Dopo la guerra pubblicò un pamphlet contro Joffre. Poco tempo prima
di morire, ricordando quel doloroso periodo Lanrezac scrisse: Al posto del generale Joffre, avrei
agito come lui; non avevamo lo stesso modo di vedere le cose, né del punto di vista tattico, né del
punto di vista strategico; non potevamo intenderci.... ero molto deciso a non attaccare il
generalissimo, perché non avevo il diritto di giudicare i suoi atti sulle altre parti del campo di
battaglia. Il 29 agosto 1924 il Maresciallo Philippe Petain, decorandolo con la Gran Croce
dell'Ordine della Legion d'Onore, lo riabilitò pienamente. Si spense a Neuilly-sur-Seine il 18
gennaio 1925.
La genesi
Il 27 agosto 1914 Joffre stabilì di organizzare una posizione di resistenza fra Marna e Aisne,
collegata a sinistra con la posizione di Craonne-Laon-La Fère-corso della Somma. Sulla Somma
doveva per il 28 riunirsi la 6ª armata destinata ad agire offensivamente contro la destra tedesca.
Divisioni territoriali avrebbero poi prolungato lo sbarramento sino al mare. Per dar tempo alla 6a
armata di concentrarsi, Joffre ordinò alla 5ª armata di contrattaccare i Tedeschi una volta raggiunta
la zona di Vervins (sud dell'Oise). Ma il 27 stesso Joffre seppe che gl'Inglesi, che operavano a
ovest della 5ª armata, incalzati dall'avversario, avevano abbandonato San Quintino. Quindi Joffre
ritenendo i Tedeschi stanchi e indeboliti ordinò alla 5ª armata di passare l'Oise in direzione di San
Quintino per dare un colpo d'arresto alle truppe che inseguivano gl'Inglesi e impedire che esse
minacciassero la zona di sbarco della 6ª armata.
La 5ª armata (Lanrezac) doveva coprirsi sulla destra, verso Guise, col minimo di forze. Il Lanrezac
mandò contro San Quintino le divisioni di riserva 59ª e 63ª, il XVIII corpo d'armata e il III corpo
d'armata. Contro Guise lasciò il X corpo d'armata sostenuto sulla destra dalla 51ª divisione di
57
riserva e da una divisione di cavalleria. In riserva il I corpo d'armata e una divisione del XVIII corpo
d'armata. In tutto 13 divisioni di fanteria. Il passaggio dell'Oise doveva iniziarsi il 29 mattina.
La battaglia
La 2ª armata tedesca (Bülow) - in totale 8 divisioni - era divisa in due gruppi: il VII corpo d'armata e
il X corpo d'armata di riserva col corpo di cavalleria intorno a San Quintino; una quindicina di
chilometri più a est il X corpo d'armata e la Guardia che avevano passato con qualche contrasto
l'Oise alla sera del 28. Il tempo non aveva consentito ricognizioni aeree: il corpo di cavalleria non
aveva potuto passare l'Oise. Bülow aveva ordinato per il 29 la prosecuzione dell'inseguimento
verso SO. In conseguenza il mattino del 29 la divisione di testa del VII corpo d'armata e il corpo di
cavalleria continuarono nella marcia in direzione SO., mentre il X corpo d'armata di riserva veniva
completamente sorpreso a sud di San Quintino: le truppe fecero però risolutamente fronte
all'attaccante e, aiutate poi da mezza divisione del VII corpo d'armata, ricacciarono i Francesi
sull'Oise. Il III corpo d'armata francese prima di passare il fiume era stato attaccato dal X corpo
d'armata tedesco, talché aveva fatto fronte verso nord. Tanto il III quanto il X corpo d'armata
francese, per quanto sostenuti sulla destra dalla 51ª D. R. e dalla cavalleria, perdettero terreno di
fronte al X corpo tedesco e alla Guardia, ma riuscirono ad arrestarli e a infliggere con l'artiglieria
perdite notevoli.
Il Lanrezac ordinò al I corpo d'armata di rinforzare il III e X corpo d'armata: il I corpo d'armata
avanzò senza però giungere a stretto contatto con la fanteria nemica. I Tedeschi in complesso
mantennero a sud di di Guise le posizioni conquistate il mattino. L'affermazione della relazione
ufficiale francese che i Tedeschi abbiano dovuto ripassare l'Oise in seguito a un grande
contrattacco del I, III e X corpo d'armata è insussistente. Bülow per il giorno 30 ordinò che X e
Guardia tenessero fermo (la Guardia era autorizzata a ripassare, occorrendo, l'Oise). Il gruppo di
destra, VII e X R., doveva attaccare la linea dell'Oise a SE. di Guise. Il von Kluck (1ª armata)
richiesto di concedere l'aiuto del IX corpo d'armata accordò una sola divisione. Ma nella notte
Joffre aveva ordinato la ritirata. L'ordine però giunse al Lanrezac alle 8 del 30. Le truppe erano
quindi in movimento per attaccare in direzione di Guise, ma siccome da questa parte i Tedeschi
non avanzavano fu possibile ai Francesi di disimpegnarsi facilmente. Le truppe sull'Oise invece
furono attaccate, ma riuscirono a disimpegnarsi, salvo la 38ª divisione coloniale che dopo una
tenace resistenza a Ribemont ebbe perdite gravissime. I Tedeschi non furono però in condizioni
d'inseguire.
Le conseguenze
Questa battaglia dimostra che i Francesi erano in grado di far fronte, ma non di attaccare a fondo
truppe tedesche anche inferiori di numero; e dimostra una volta di più che la ricerca
dell'aggiramento a ogni costo aveva prodotto per i Tedeschi la mancata cooperazione della 14ª
divisione il 29 e di una divisione della 1ª armata il giorno 30. Inoltre, Parigi era ormai vicina e, nel
campo alleato, dopo l'esaltazione di Guise gli animi ricaddero nel cupo abbattimento seguito
all'inizio della ritirata generale dalle frontiere. Quanto alla Sesta Armata di Manoury, sorpresa dalla
destra di von Kluck presso Amiens mentre era ancora in fase di concentrazione, essa venne
sconfitta e respinta con gravi perdite, sicché anche la speranza di attestarsi sulla Somme,
all'estrema ala sinistra francese, svanì bruscamente.
Battaglia di Limanowa
1 - 13 Dicembre 1914
Gli avversari
Conrad von Hötzendorf, Franz, barone, poi conte Feldmaresciallo austriaco (Penzing,
Vienna, 1852-Mergentheim 1925)
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Nominato capo di Stato maggiore nel 1906, riorganizzò l’esercito e la scuola di guerra; sostenitore
deciso di una guerra preventiva contro l’Italia e la Serbia, al fine di reprimerne le aspirazioni
irredentistiche, fu allontanato dalla carica su richiesta del ministro degli Esteri Aehrenthal, contrario
alla sua politica. Richiamato nel 1912, durante la Prima guerra mondiale fu capo delle forze
austriache. Quasi sempre in disaccordo con lo stato maggiore germanico, contro l’opinione del
generale E. Falkenhayn, attuò l’offensiva del 1916 nel Trentino, con grave danno per le operazioni
sul fronte russo. Esonerato dall’incarico e investito, nel 1917, del comando del gruppo d’armate del
Tirolo, progettò, l’anno seguente, la battaglia del Piave, che, risoltasi in un insuccesso, segnò il suo
crollo. Scrisse un libro di memorie: Aus meiner Dienstzeit, 1906-18 (1921-25).
Josef Roth, Generale austriaco (Trieste 1859 - Vienna 1927)
Comandante della Scuola militare di Wiener-Neustadt (1910-14), nel 1914 ebbe il comando di una
divisione di fanteria. Si distinse nella battaglia di Limanowa-Lapanów (5-7 dic. 1914), ove arginò
l'avanzata russa; partecipò poi alla battaglia di Gorlice (1915), prese le formidabili posizioni russe
di Tarnów, e partecipò all'attacco contro Przemysl e Leopoli. Nel 1916 gli fu affidata la difesa del
Trentino, particolarmente la zona delle Dolomiti.
Radko Dimitriev (Gradets, 24 settembre 1859 – Pyatigorsk, 18 ottobre 1918)
Generale bulgaro fu capo di Stato Maggiore dell'esercito bulgaro dal 1º gennaio 1904 al 28 marzo
1907, poi fu generale dell'esercito russo durante la prima guerra mondiale (1914-1918).
Nato nell'impero ottomano, nel villaggio di Gradets (Regione di Sliven), ma cresciuto dalla nonna a
Kotel, nel 1881 Dimitriev fu promosso a tenente e nel 1884 divenne capitano dopo la laurea
conseguita alla Accademia di San Pietroburgo. Nel 1895 prese parte alla guerra serbo-bulgara, era
uno dei comandanti del Corpo Occidentale, combatté le vittoriose battaglie di Slivnica (17-19
novembre) e di Pirot (26-27 novembre).Durante la prima guerra mondiale (1914-1918) Radko
Dimitriev servì nell'esercito russo come comandante della 3ª armata in Galizia, con cui prese parte
il 23 agosto–11 settembre 1914 alla vittoriosa battaglia di Galizia contro gli austro-ungarici. Dal 24
settembre 1914 al 22 marzo 1915 comandò il vittorioso assedio di Przemysl contro gli austroungarici.
Riconfermato, alla fine del 1916, al comando della 12ª armata sul fronte di Riga, nell'estate 1917
Alekseev lo sostituì con Ruszky, in quanto Dimitriev aveva dimostrato debolezza e indulgenza coi
comitati dei soldati che erano sorti ovunque dopo la rivoluzione di febbraio (1917). Dimitriev
congedato andò con la famiglia nella località turistica di Pyatigorsk nel Caucaso, ma il 18 ottobre
1918 fu fucilato insieme ad altri 100 ufficiali, nell'eccidio perpetrato dalle guardie rosse.
La genesi
L'inverno del primo anno di guerra sul fronte orientale si apriva con le truppe tedesche che si
portarono fin nel cuore della Polonia russa, mentre quelle russe penetrarono ancora più a fondo
nella Galizìa austriaca. A mano a mano che i tedeschi avanzavano nelle province polacche
dell'impero zarista, la popolazione locale infieriva contro, gli ebrei, che pure vivevano in quelle terre
da secoli. Botteghe, case e sinagoghe vennero saccheggiate. Nella zona occupata dalle divisioni
russe, a quanto riferì l'ambasciatore francese a Mosca, Paléologue, ogni giorno venivano impiccati
ebrei, accusati di parteggiare per i tedeschi, di cui si sarebbero augurati la vittoria. Che 250.000
ebrei prestassero servizio nell'esercito russo non bastava a vincere i pregiudizi. Centinaia di
migliaia di ebrei furono costretti ad abbandonare le proprie case a Lódz, Piotrków, Bialystok,
Grodno, e in altre decine di città e villaggi. Si misero in cammino, portando con sé quel poco che
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un carretto 0 un fagotto potevano contenere, e si diressero verso est, rifugiandosi nella profonda
Russia, lontano dal fanatismo delle zone dove infuriava la guerra.
Sul fronte orientale le vittime erano ancora più numerose che su quello occidentale. Il 12 ottobre
Stanley Washburn, inviato speciale del «Times» al seguito delle armate russe, scrisse
dall'ospedale militare di Rovno: «Vagando fra le sconfinate corsie affollate di feriti, si è via via
sempre più sorpresi di quali mutilazioni un uomo possa subire e, nel contempo, di come possa
ristabilirsi con le cure mediche odierne. Il corpo umano è così delicato che si stenta a credere che
possa sopportare offese tanto terribili e riprendersi tornando come nuovo. C'era un soldato al
quale una pallottola aveva trapassato il cranio. Gli medicarono la ferita e due settimane dopo
l'uomo stava quasi bene». Altri, colpiti allo stomaco, alla vescica o ai polmoni, «riuscivano a
guarire come se prendersi una fucilata fosse la cosa più normale di questo mondo».
Una decina di giorni dopo, dal fronte della Galizia, Washburn inviò al «Times» la sua testimonianza
del campo di battaglia: «Tutt'in-torno ai crateri scavati dalle granate sono sparsi in ogni direzione i
frammenti di panno azzurro delle divise austriache; sul campo di battaglia si possono ancora
vedere monconi di braccia, una gamba infilata in uno stivale e altri macabri brandelli di soldati che,
rispettosi della disciplina, hanno tenuto la posizione sotto una pioggia di bombe e di granate».
Sul luogo in cui fino a poco prima si combatteva, Washburn scorse un crocifisso di legno. Un
braccio del Cristo era stato «staccato da una scheggia di granata». Alla croce era inchiodata una
tavoletta, rozzamente incisa, con la scritta: «Qui giacciono i corpi di 121 combattenti austriaci e di
4 soldati russi».
Il 17 ottobre nella Polonia meridionale le truppe tedesche, attaccate da forze russe molto più
numerose, furono costrette a ritirarsi. Alcune unità arrivarono a indietreggiare addirittura dì 100
chilometri.
I russi erano ora in una posizione da cui potevano minacciare il cuore industriale della Germania,
vale a dire la Slesia. Dando prova di grande abilità logistica, Ludendorff e Hoffmann spostarono la
9a armata tedesca, che era schierata a nordest - fra Posen e Cracovia -, disponendola a sudest fra Posen e Thorn -, in modo da incombere sulla città russa di Lódz e costringere le truppe zariste,
che in quel momento si accingevano a penetrare in Slesia, a difendere la città. Fu in questa fase
che le forze polacche schierate con l'esercito austriaco scesero per la prima volta in campo contro
i russi.
Il 18 novembre le truppe tedesche, con il nuovo schieramento, avviarono la manovra di
accerchiamento della città di Lódz: i 150.000 soldati russi che difendevano la fortezza furono
attaccati da 250.000 tedeschi. Quando il generale russo più alto in grado ordinò la ritirata per
evitare l'accerchiamento totale, lo zio dello zar, il granduca Nicola, comandante in capo delle
truppe russe, diede il contrordine.
La battaglia di Lódz fu gigantesca. Ci fu un momento in cui tre divisioni tedesche corsero esse
stesse il rischio di rimanere accerchiate. Si liberarono però dalla trappola tesa dai russi portando
con sé 16.000 soldati nemici catturati in precedenza e 64 cannoni pesanti. L'operazione di
sganciamento costò la vita a 1500 soldati germanici. I rinforzi tedeschi, richiamati d'urgenza dal
fronte occidentale, arrivarono troppo tardi per approfittare della sconfitta russa. La Germania si
entusiasmò alla prospettiva di una vittoria ancor più schiacciante di quella di Tannenberg, ma non
riuscì a conseguirla. «L'enorme massa che avevano tentato di respingere si ritirò solo per un breve
tratto e poi si arrestò, immobile» ha scritto uno storico. «Le energie di entrambi gli eserciti
scemarono, bruciate dalle sconfitte, dai combattimenti e dalle difficoltà del terreno paludoso. Il
freddo diventava sempre più intenso, soffiava un vento gelido e di notte la temperatura scendeva a
10-12 gradi sotto lo zero. L'inverno imminente stendeva il suo manto paralizzante sulle attività dei
tedeschi e dei russi.»
Per la vittoria riportata a Lódz, Hindenburg fu nominato feldmaresciallo. Più a sud, l'addetto militare
inglese al seguito delle armate russe, il colonnello Knox, era di umore nero e il 25 novembre
scrisse nel diario: «Temo che in Russia si sia persa di vista la necessità di colmare rapidamente i
vuoti lasciati dalle enormi perdite provocate dalla guerra moderna: se dovremo avanzare d'inverno,
le nostre perdite andranno moltiplicate per tre». L'inverno aggiungeva altre paure a quelle che i
combattenti già dovevano affrontare. «Di notte nelle trincee abbiamo perso diversi uomini per
congelamento» annotò Knox. Il diario di un ufficiale austriaco fatto prigioniero rivelava che «nella
nostra compagnia sono morti di freddo in una sola notte un ufficiale e sei uomini». I russi avevano
ricevuto l'ordine di distribuire té bollente ai soldati, ma un loro ufficiale disse a Knox: «Questi sono
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ordini facili da dare, ma difficili da eseguire, quando non passa giorno senza che venga ferito
qualcuno dei soldati incaricati di portare i viveri agli ufficiali in trincea».
Sul fronte austriaco le truppe russe penetrarono per breve tempo nella Slesia austriaca e per la
seconda volta in Ungheria. Il generale Conrad, consapevole che le minoranze etniche dell'impèro
intendevano approfittare della debolezza dell'Austria, propose il 26 novembre di imporre la legge
marziale in Boemia, Moravia e Slesia. La proposta fu tuttavia respinta da Francesco Giuseppe, il
quale era convinto che la guerra non avrebbe sconvolto il suo impero multietnico. Ma ogni volta
che concepiva un piano militare, Conrad era costretto a tenere in conto che non sempre le unità
slave - fossero esse costituite da polacchi, cechi, slovacchi, sloveni o croati - si sarebbero
impegnate a fondo nel combattere contro i russi.
A Vienna il 28 novembre si diffuse brevemente il panico quando incominciò a circolare la notizia
che le truppe russe si trovavano a 13 chilometri da Cracovia, capitale della Polonia asburgica.
Ordine di battaglia
Impero Russo
Il Fronte russo sudoccidentale era comandato da Nikolay Ivanov:
3ª Armata. Comandante: Radko Dimitriev
XI Corpo
IX Corpo
Impero austro-ungarico
4ª Armata. Comandante: Giuseppe Ferdinando d'Asburgo-Toscana
XIV Corpo Conrad von Hötzendorf, Joseph Roth
47 divisione tedesca della Riserva
IX Corpo
La battaglia
Il 1° dicembre il Gruppo del generale Roth (XIV Corpo d'Armata) arrivò nella zona fra Chabówka e
Mszana, sulla ferrovia pedemontana dei Carpazi, nella valle della Raba: doveva essere quella la
sua base di partenza per l'offensiva su Limanowa. Conrad aveva chiesto a Hindenburg, alla fine di
novembre, una divisione tedesca di rinforzo, ma la 47.a Divisione di riserva, che gli era stata
inviata, era ancora in fase di trasferimento. Come data per l'attacco venne deciso il 3 dicembre, e
vennero confermati i compiti già stabiliti in linea generale. Al generale Roth toccava l'operazione
principale, ossia l'avvolgimento dell'ala sinistra di Radko Dimitriev; a sua volta Boroevic avrebbe
dovuto prendere l'offensiva dal fronte dei Carpazi verso la Galizia, alla scopo di vincolarvi tutta
l'Ottava Armata russa e impedire a Brusilov di portar soccorso alla Terza Armata verso Limanowa.
Questo piano iniziale sarebbe stato modificato in misura notevole nel corso della campagna.
Il 3 dicembre incominciò l'offensiva della Quarta Armata austro-ungarica contro la Terza Armata
russa. Il giorno stesso le truppe di Radko Dimitriev vennero forzate ad evacuare Timbark, a una
decina di chilometri da Limanowa; la cavalleria austriaca si spinse, per Lososina, fino a Limanowa,
penetrandovi in giornata. Il giorno 4 essa si diresse verso Bochnia e Neu Sandec. Mentre il gruppo
avvolgente del generale Roth ottenne discreti successi iniziali, l'ala destra ed il centro della Terza
Armata russa rimasero inattivi fino al mattino del 4; nel pomeriggio, accentuandosi la minaccia di
avvolgimento da sud-ovest, anch'essi parteciparono alla violenta battaglia. Il 5 dicembre,
essendosi ormai rivelato l'obiettivo dell'offensiva austriaca, i Russi presero le prime importanti
contromisure, avviando rinforzi verso Bochnia e Neu Sandec; nello stesso tempo il generale
Brusilov eseguì il trasferimento dell'VIII Corpo d'Armata dall'ala sinistra alla destra della sua Ottava
Armata, dirigendolo verso la breccia creatasi fra le Armate austriache Terza e Quarta: direzione
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assai sensibile per l'avversario, giacché minacciava di far cadere l'VIII Corpo sul Gruppo Roth e
paralizzare, così, la branca avvolgente della Quarta Armata.
Il 6 e il 7 dicembre furono giornate di lotte incerte e sanguinose; la Terza Armata russa, sotto la
spinta iniziale del Gruppo Roth, aveva dovuto arretrare la sua ala sinistra fronte a sud, talché
l'intera armata era schierata adesso ad angolo retto. Vedendo minacciato il suo XIV Corpo, Conrad
pensò di stornare il pericolo ordinando alla terza Armata una immediata ripresa offensiva nei
Carpazi e, alla Prima Armata, l'invio di rinforzi alla Quarta, oltre la Vistola.
Il giorno 9 la battaglia continuò indecisa, mentre all'alba del 10 gli austriaci rimasero assai
sgradevolmente sorpresi da un importante tentativo offensivo avversario tra la Vistola e la strada
Lapanów-Mukowcka.
In quella occasione si vide la grande efficacia dell'artiglieria, il cui bombardamento stroncò l'attacco
russo. Tuttavia la Quarta Armata austriaca non sembrava in grado di venire a capo, in tempi brevi,
delle forze che la fronteggiavano; e Conrad, pur continuando la manovra avvolgente del Gruppo
Roth, fece rinforzare lo schieramento dell'arciduca Giuseppe Ferdinando col XVIII Corpo, tratto
dalla Prima Armata del generale Dankl.
In quei giorni però si stava combattendo un'altra parte decisiva di questa sfida. Nei giorni tra il 7 e il
10 di dicembre le forze austriache della Terza Armata fecero ripiegare l'intera Ottava Armata russa
su tutta la linea, attraverso i Passi dei Carpazi. Così, il 10 dicembre, le truppe di Boroevic
avanzarono anche a Ladomérmezö, a pochi chilometri dal passo di Dukla, sulla strada StropkóDukla; sull'ala destra il Gruppo Krautwald guadagnò terreno nella valle della Laborcza.
Nel frattempo, l'arciduca Giuseppe Ferdinando procedette a una ulteriore riorganizzazione della
sua Quarta Armata, poiché il Gruppo del generale Roth, che disponeva di ben 9 divisioni di fanteria
e 3 divisioni di cavalleria, in realtà aveva le proprie unità ridotte a un numero di effettivi di molto
inferiore al normale. Le divisioni di fanteria non avevano se non 2 o 3.000 fucili, che in un caso
scendevano addirittura a 900: tale era il terribile logoramento cui la sanguinosa battaglia invernale
sottoponeva incessantemente le truppe. La nuova ripartizione delle forze assegnò circa 4 divisioni
di fanteria e 3 di cavalleria al Gruppo Roth; circa 3 divisioni di fanteria al Gruppo Ljubicic e
altrettante al Gruppo Kritek.
Nella notte fra il 10 e l'11 dicembre l'VIII Corpo russo si spinse fino a Limanowa, ma venne
ricacciato. Il Gruppo Krautwald (rinforzato da una divisione), benché fosse ormai giunto nelle
vicinanze di Neu Sandec, non fu in grado di occupare quell'importante nodo strategico; invece il IX
Corpo austriaco, scese fin nei pressi di Gorlice. A dispetto della minaccia di avvolgimento che si
profilava, ormai, per l'VIII Corpo russo e per l'ala sud della Terza Armata, i Russi continuarono ad
opporre una accanita resistenza davanti a Neu Sandec.
Frattanto il VII Corpo della Terza Armata austriaca si impadronì del Passo di Dukla e il Gruppo
Krautwald ottenne un notevole successo in val Laborcza, occupando Mezölaborcz e spingendo
innanzi la cavalleria fino al Passo Beskid. Benché il III Corpo austriaco avesse mancato di
completare la manovra avvolgente, la situazione strategica generale si era talmente aggravata per
i Russi che, il 12, essi ritirarono il proprio VIII Corpo, sfondato dall'attacco avversario, da Rajbrot
fino al Dunajec. A questo punto l'arciduca Giuseppe Ferdinando rinunciò a continuare la pressione
frontale su Wisznic, affidando all'ala destra del Gruppo Roth il compito d'irrompere a sud di
Limanowa su Neu Sandec, per far crollare la resistenza della Terza Armata russa.
Così avvenne; e il giorno 12 portò la decisione. Il generale Roth, e il suo comandante subordinato
generale Arz, sfondarono le ali interne della Terza e dell'Ottava Armata russe a Neu Sandec e
Limanowa. Quel giorno anche la Terza Armata austriaca ottenne dei successi notevoli: Neu
Sandec e Florynka sulla Biala superiore, Ropa e Gorlice caddero nelle loro mani. E così le truppe
del Boroevic, sboccando oltre i Beschidi, minacciavano d'irrompere in Galizia e di spingere un
cuneo fra le ali interne di Radko Dimitriev e di Brusilov, avvolgendo quello e soverchiando questo.
In quel momento sarebbe stato necessario, per infliggere ai Russi una sconfitta decisiva, che tutta
la Quarta Armata riprendesse energicamente l'offensiva, allo scopo di trasformare la ritirata verso il
Dunajec dell'ala destra dell'Ottava Armata in una rotta. Proprio allora, però, si fecero sentire i
perniciosi effetti dell'insufficienza della rete ferroviaria; così le truppe austro-ungariche, spossate
da quelle lunghe lotte invernali e frenate da contrattacchi locali dei Russi in ritirata, non riuscirono a
terminare l'accerchiamento del nemico.
Le conseguenze
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A Limanowa, in una battaglia che durò sette giorni, la 4a armata austriaca sconfisse i russi e li
risospinse quindi verso oriente. La 3a armata austriaca cacciò i russi dalla città di Bartfeld,
nell'Ungheria settentrionale, li allontanò dai Carpazi e in due settimane riconquistò il passo
strategico di Dukla. L'impero asburgico non era più minacciato.
La Russia andò alla ricerca di altre truppe e chiese cannoni e munizioni alla Gran Bretagna. Tali
aiuti le vennero concessi, ma solo a pagamento: nel giro di due anni la Gran Bretagna vendette ai
russi un migliaio fra aeroplani e motori per l'aviazione, 250 cannoni pesanti, 27.000 mitragliatrici,
un milione di fucili, 8 milioni di granate, 64.000 tonnellate di ferro e acciaio, 200.000 tonnellate di
esplosivo e 2 miliardi e mezzo di proiettili.
Ma nonostante gli aiuti alleati le armate zariste non si sarebbero mai più spinte così in profondità in
territorio asburgico o avrebbero minacciato la Prussia orientale e la Slesia. La loro crisi di
rifornimenti li avrebbe bloccati per mesi e lasciati senza aiuti quando nella primavera seguente
Falkenhayn decise di passare all'offensiva. La guerra di movimento sui fronte orientale non era
ancora finita, ma per i russi era passato il momento migliore.
Battaglia di Verdun
Febbraio - Dicembre 1916
Nella più sanguinosa battaglia della storia, Tedeschi e Francesi mandano al massacro i loro
eserciti sperando invano in una vittoria dal valore più "psicologico" che tattico.
Gli avversari
Philippe Pétain (Cauchy-à-la-Tour, 24 aprile 1856 - Port-Joinville, 23 luglio 1951)
Pétain, sessantenne, assunse il comando mentre il Fort Douaumont cadeva, il 26 febbraio 1916;
nonostante la polmonite doppia che minacciò di ucciderlo, il generale si rese rapidamente conto
della situazione, uniformando la propria condotta alla convinzione che occorresse «combattere con
il materiale più che con gli uomini» per evitare di mandare al massacro, sotto il fuoco della
micidiale artiglieria tedesca, migliaia di fanti.
In 48 ore riuscì a concentrare un'artiglieria altrettanto potente di quella nemica, recuperando un
minimo d'iniziativa grazie ad un sapiente impiego della fanteria, utilizzata per attacchi
estremamente circoscritti ma preparati minuziosamente. Umano verso i soldati e geniale
nell'organizzazione, Pétain fu l'uomo giusto al momento giusto. Dopo Verdun, chiamato a sostituire
Nivelle nel comando supremo in un momento critico per l'esercito francese, logorato dalla guerra di
trincea e scosso da gravi ammutinamenti, egli riuscì a riorganizzare le truppe, salvando la Francia
per la seconda volta.
Ministro della Guerra nel governo Doumergue (1934), Pétain contestò la politica estera francese,
tesa ad avvicinarsi all'Unione Sovietica per controbilanciare Hitler. Durante gli anni del "fronte
popolare", accusando il governo di aver disarmato la Francia, si schierò a favore delle formazioni
parafasciste del colonnello La Rocque. Ambasciatore presso la Madrid franchista del 1939, fu
presidente del consiglio dopo l'invasione nazista del 1940.
Appoggiato dalla destra, ottenne, dall'assemblea nazionale riunita a Vichy, i poteri per una
revisione costituzionale. Istituì allora un regime collaborazionista, macchiandosi poi di crimini che il
popolo francese non avrebbe mai dimenticato. Dopo la liberazione di Parigi (Agosto 1944), Pétain
disconobbe l'ultimo governo collaborazionista. Rimpatriato, processato e condannato a morte,
vedrà commutata la condanna in ergastolo e morrà in prigione nel 1951.
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Erich von Falkenhayn (Burg Belchau, 11 settembre 1861 - Potsdam, 8 aprile 1922)
Discendente di cavalieri teutonici, pupillo del Kaiser, Falkenhayn era un uomo freddo e insensibile,
tanto da approvare il primo impiego dei gas a Ypres e da appoggiare i bombardamenti aerei
indiscriminati. Non si preoccupò nemmeno di comunicare al collega austriaco Conrad, che lo
aveva informato della prossima Strafexpedition ("spedizione punitiva") asburgica contro l'Italia, che
anche la Germania preparava un'offensiva in grande stile a Verdun. Il cinico Falkenhayn, tuttavia,
perdeva tutto il suo "sangue freddo" proprio nei momenti critici.
Scegliendo consapevolmente di trascurare gli altri fronti, giudicati di secondaria importanza, dedicò
tutte le sue energie al fronte francese, là dove, per un soffio, von Moltke aveva fallito. Falkenhayn
argomentava la sua strategia, anziché in termini di "obiettivo prioritario", in termini di "nemico
principale", individuato nell'Inghilterra per compiacere il Kaiser, e l'Inghilterra poteva essere battuta
solamente con una vittoria in Francia e con la guerra sottomarina. Ministro della guerra prussiano
dal luglio 1913 al gennaio 1915, succedette a Von Moltke come Capo di Stato maggiore, dopo la
disfatta della Marna.
Ritenuto responsabile del massacro e dell'insuccesso di Verdun, venne sollevato dal comando di
quel settore dal Kaiser Guglielmo II e inviato in Romania, al comando della 9a Armata. Le sue
memorie, anziché chiarire, rendono ancor più confuse le ragioni del suo operato.
La pianificazione tedesca
Nel 1906 esisteva già un piano del Capo di Stato maggiore prussiano von Schlieffen, che
prevedeva per la Germania, nel caso fosse stata costretta a combattere su due fronti
contemporaneamente, una difesa blanda contro la Russia, presupponendo che questa avrebbe
impiegato almeno sei settimane per mobilitare le truppe. Il Blitzkrieg ("la guerra lampo") si sarebbe
dovuto sviluppare sul fronte francese, giungendo a Parigi in quattro settimane per poi spostare sul
fronte russo tutto l'esercito tedesco, grazie alle attrezzate ferrovie del Reich.
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L'Europa e i fronti di battaglia durante la Prima Guerra Mondiale
Per portare contro il nemico un'offensiva fulminea, i tedeschi avrebbero invaso la Francia dal Nord
e non dal Reno, dove i francesi erano ben fortificati: 58 divisioni (su un totale di 72) avrebbero
violato la neutralità del Belgio per sorprendere l'esercito francese alle spalle, inchiodandolo a nordest di Parigi con l'ala sinistra, mentre l'ala destra avrebbe conquistato Parigi da nord-ovest, con
una manovra avvolgente.
Helmuth Von Moltke, successore di von Schlieffen, aveva apportano notevoli ritocchi al piano, dato
che lo considerava troppo rischioso in alcuni aspetti, anche in considerazione del fatto che
l'esercito russo avrebbe comunque potuto mobilitare una parte delle sue truppe in tempi brevi e,
soprattutto, che l'impostazione dell'esercito francese negli ultimi anni si era fatta sempre più
offensiva con l'adozione nel 1911 del Piano XVII; ciò avrebbe comportato il rischio che un attacco
francese riuscisse a dilagare in Germania in assenza di sufficienti forze difensive. Von Moltke
perciò decise di aumentare a dieci le divisioni in Prussia orientale e rafforzare il fronte sul Reno ed
in Alsazia per poter far fronte a un'eventuale offensiva francese. Per la "spallata" dal Belgio
rimanevano, dunque, soltanto 50 divisioni.
La mancata corsa alla manica
Il piano prevedeva che la 1a Armata di von Kluck raggiungesse al più presto la costa belga della
Manica per impedire ad ogni costo lo sbarco inglese a rinforzo della Francia; successivamente von
Kluck avrebbe dovuto spostarsi costeggiando scrupolosamente la Manica lungo la direttrice
Dunkerque-Calais in modo che ogni soldato tedesco "sfiorasse la Manica con i bottoni della sua
giubba", per poi superare la Senna e attuare, infine, la manovra avvolgente su Parigi.
La 2a Armata di von Bulow e la 3a di von Hausen si sarebbero invece attestate sull'Oise e l'Aisne
per trattenervi i Francesi in difesa. Le altre quattro Armate del fronte avevano il compito di invitare
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il nemico all'offensiva per sbilanciarlo in avanti, mentre alle sue spalle si sarebbe abbattuto il
maglio dell'ala destra germanica. A partire dal 3 agosto 1914, tre Armate, per complessivi 900.000
uomini, entravano in Belgio rispettando perfettamente i tempi.
Subito dopo, però, la 2a Armata non seppe sfruttare il fattore sorpresa, attardandosi sino al 13
agosto per prendere i forti di Liegi. Inoltre, subito dopo la caduta di Bruxelles, avvenuta
precocemente il 20 agosto, von Kluck, anzichè raggiungere la Manica, piegò verso sud, convinto
che il nemico non fosse in grado di opporre una forte resistenza. L'ala meridionale, infine, non
assunse affatto l'atteggiamento "morbido" inteso da von Moltke, ma arrestò l'offensiva nemica,
impedendo così che l'esercito francese si sbilanciasse in avanti.
Limite della massima avanzata tedesca
Gli inglesi, quindi, ebbero tutto il tempo di sbarcare e raggiungere il fiume Marna, dove, una volta
riunitisi con la 5a, 9a, 4a e 3a Armata francese, riuscirono a bloccare l'offensiva settentrionale
tedesca: "la guerra lampo" voluta dal generale von Schlieffen si era conclusa in brevissimo tempo,
ma certamente non con gli esiti da lui sperati.
La battaglia della Marna, nel settembre 1914, costò ai Tedeschi 185.00 uomini su 850.000 (44
divisioni); gli Anglo-Francesi vi impiegarono 56 divisioni e più di un milione i soldati, perdendone
190.000. Il fronte occidentale si sarebbe così stabilizzato per i prossimi 4 anni. Il 1915 vide la
battaglia ribollire altrove in Europa, da Gallipoli all'Isonzo, da Gorlice alle acque dello Jutland.
All'ovest, invece, si verificarono solo due cruente e inconcludenti offensive alleate, una a maggio
sull'Artois, ed un'altra, a settembre, nella regione della Champagne. Mai campagne militari furono
più inconcludenti di quelle combattute nel 1915.
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Strategie
Nel corso della Grande guerra il pensiero militare avrebbe elaborato e applicato sostanzialmente
tre strategie: lo sfondamento, l'usura e la diversione; tutte si sarebbero dimostrate fallimentari. La
strategia dello sfondamento, in teoria la più corretta, in quanto la più risolutiva delle tre non poteva
realizzarsi in quanto si basava su due elementi, la sorpresa ed il metodo, tra loro contraddittori.
Il metodo, consistente nella preparazione dell'artiglieria, richiedeva tempi lunghi, anche fino a 4
giorni, ma tutto ciò andava a sfavore della sorpresa. Solamente in due occasioni gli attacchi di
sfondamento ebbero successo: una volta contro i franco-britannici nella primavera del 1917 e
l'altra contro l'Italia a Caporetto nell'Ottobre dello stesso anno, senza comunque determinare un
risultato definitivo, a causa dell'eccessiva lentezza delle artiglierie e dei servizi nel seguire la
fanteria che, sfondando, perdeva fatalmente il contatto con le proprie retrovie.
La strategia dell'usura, sia nella forma assunta a Verdun o alla Somme, sia nella forma della
guerra sottomarina o del blocco commerciale, più che conseguire risultati, sembrò ritorcersi
sempre contro l'attaccante. La strategia dell'usura, infatti, presuppone l'ipotesi che il morale
dell'avversario possa collassare per stanchezza e privazioni, ma perfino i grandi ammutinamenti
del 1917 in Francia e Russia, dove assumeranno la forma di rivoluzione, sembrano imputabili alla
perdita della speranza di veder prossima la conclusione del conflitto, più che ai risultati di
un'azione usurante dell'avversario. Il crollo del morale, insomma, non dipende dal numero di morti
ma dall'inutilità del sacrificio.
La strategia della divisione, infine, si fondava sull'idea che, non potendo vincere sul fronte
principale, si può tentare di vincere aprendo fronti secondari. Gli inglesi, ad esempio, già al tempo
delle guerre napoleoniche avevano inviato con successo Wellington in Spagna. Esempio tipico di
strategia diversiva nella Grande guerra è costituito dallo sbarco di 80.000 britannici nella penisola
di Gallipoli o dall'impegno inglese in Palestina e Mesopotamia. Tuttavia, anche in questi casi non
fu conseguito, direttamente o indirettamente, nessun risultato determinante per l'andamento del 1°
conflitto mondiale in Europa.
L'operazione Gericht
Tramontata la stella di von Moltke, al comando supremo germanico sorse l'astro fulgente di Erich
von Falkenhayn. Il piano che il generale aveva progettato a tavolino già dal 1915 prese corpo da
un'idea notevole, la quale, tuttavia, si sarebbe realizzata in maniera completamente inaspettata. Il
fucile a ripetizione e la tecnica delle difese campali - comprese Falkenhayn - avvantaggiavano
inesorabilmente la difesa sull'offesa, perciò la "guerra del movimento" si era trasformata in guerra
statica.
Nessuna offensiva, per quanto gigantesca, avrebbe potuto superare il sistema difensivo francese.
A questo punto la "diabolica" mente di Falkenhayn trovò il suo "uovo di Colombo". Così si esprime
in un comunicato del Kaiser: «Se riusciremo ad aprire gli occhi al popolo francese sul fatto che dal
punto di vista militare la Francia non ha più nulla da sperare, giungeremo al punto di rottura [...]
Per raggiungere questo scopo non è necessario ricorrere all'incerto sistema di una profonda
penetrazione nel territorio nemico, penetrazione che d'altra parte i nostri mezzi attuali non ci
consentono. Possiamo, probabilmente, anche se con limitati mezzi, raggiungere ugualmente il
nostro obiettivo. Dietro il settore francese del fronte occidentale vi sono a nostra portata gli obiettivi
per la cui difesa lo Stato Maggiore generale francese sarebbe costretto ad impiegare fino all'ultimo
uomo disponibile. Così facendo, le forze della Francia si dissangueranno, non potendo ritirarsi
anche se lo volessero, senza tenere conto del fatto che da parte nostra si riesca o meno a
conquistare quella zona. Se essi non si comportassero così e conquistassimo i nostri obiettivi,
l'effetto morale sui Francesi sarebbe enorme. Mentre per un'operazione limitata ad un fronte
ristretto, la Germania non dovrà esaurirsi completamente».
Il ragionamento prevedeva dunque che, sia che avanzassero per cedimento del nemico, sia che
non lo facessero, i Tedeschi avrebbero vinto dissanguando il nemico con la concentrazione di una
micidiale forza di artiglieria a Verdun. Il piano fu discusso con il Kaiser durante la notte di Natale
del 1915 e venne approvato. L'inizio della carneficina fu fissato per il 21 febbraio 1916.
Perché Verdun?
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Verdun, la cittadina francese più fortificata, costituiva il fulcro della difesa francese, poiché saldava
il settore settentrionale con quello meridionale del fronte. Inoltre, davanti a Verdun i tedeschi
avrebbero facilmente occultato i pezzi d'artiglieria, le riserve di munizioni e le truppe destinate
all'attacco nelle vaste distese boschive. Infine, per Verdun, la strada proveniente da Bar-le-Duc
costituiva l'unica via di comunicazione con le retrovie e poteva essere sottoposta incessantemente
ad un bombardamento concentrato.
Falkenhayn sapeva inoltre che quei luoghi avevano un grande valore ideale, oltre che strategico,
perché erano stati fortificati da Vaubann sotto Luigi XIV, il Re Sole; quelle fortezze, arrendendosi ai
Prussiani nel 1792, avevano scatenato la furia rivoluzionaria di Parigi; nel 1870 i Tedeschi non
erano riusciti a conquistarle. A Verdun, insomma, batteva il cuore della Francia e per nessuna
ragione la Francia stessa l'avrebbe lasciata al nemico, a costo di dissanguarsi.
Il punto di vista francese
Già nel 1914 Verdun era stata incestita dalla 5a Armata del Kronprinz ("Principe ereditario")
Federico Guglielmo e difesa dalla 3a Armata francese del generale Sarrail. A quell'epoca, il
"generalissimo" Joffre, memore di come i giganteschi cannoni da 420 del nemico fossero riusciti a
smantellare i forti belgi di Liegi, aveva già dato disposizione alla 3a Armata di abbandonare il
sistema delle fortificazioni pur di non farsi intrappolare al loro interno.
Sarrail aveva invece deciso di resistervi ed alla sua ostinazione si dovette, forse, la salvezza
dell'intero esercito. Lo Stato Maggiore francese continuava, tuttavia, a non "credere" in Verdun, un
sistema di fortificazioni permanenti che non aveva più senso nella guerra moderna. Nel 1915 era
addirittura iniziato un programma di disarmo dei forti, all'insaputa del governo. Questa azione,
però, fu temporaneamente bloccata, non appena il ministro della guerra Gallieni ne venne
casualmente a conoscenza. Questa iniziativa provocò la furiosa indignazione di Joffre, ignaro di
quanto lungimirante fosse, invece, il punto di vista dei "politicanti" parigini.
Detto questo, dobbiamo ricordare come la vita dei soldati in trincea è fragile e provvisoria come
quella delle foglie che il vento d'autunno da un momento all'altro staccherà dal ramo: è la voce di
uno dei tanti intellettuali, arruolati volontari. Per il fante Ungaretti Giuseppe del XIX Fanteria,
impiegato nei combattimenti sul Carso, la guerra appare ben diversa da come l'avevano descritta
la retorica dannunziana o l'entusiastica esaltazione degli interventisti. La poesia abbandona la
diaristica esperienza di vita ed assume in connotati di una scoperta esistenziale più profonda: il
dolore. Nella guerra del poeta non c'è traccia di odio, c'è la presa di coscienza della condizione
umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, della precarietà della loro condizione, insieme
a uno slancio vitale amplificato dalla prossimità e dalla frequentazione quotidiana della morte.
I preparativi
I tedeschi prepararono tutto in fretta ed in segreto. In due mesi 1.300 treni scaricarono 2.500.000
proiettili per i 1.500 cannoni concentrati su Verdun, ovvero il fabbisogno dei primi sei giorni di
fuoco; vennero costruite le piazzole per i colossali pezzi di grosso calibro, scavati i depositi
sotterranei delle munizioni e gli immensi bunker per le fanterie sulle posizioni d'attacco.
Il segreto di tali ciclopici preparativi non poté essere mantenuto a lungo e il comandante di Forte
Douaumont informò dei suoi sospetti il Comando Supremo, senza, però, essere realmente preso in
considerazione: la "sana" logica di Falkenhayn. L'incarico di sferrare l'attacco fu affidato alla 5a
Armata, ufficialmente al comando del Kronprinz, ma di fatto sotto la responsabilità del suo Capo di
Stato Maggiore von Knobelsdorf. Due giorni prima dell'attacco, gli osservatori di Forte Douaumont
videro inspiegabilmente "scomparire" le prime linee tedesche, come se i boches ( così i fanti
francesi chiamavano quelli tedeschi ) fossero stati inghiottiti dalla terra.
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Veduta aerea di Fort Douaumont, 1916, prima dell'inizio della battaglia.
Non sbagliavano: infatti, le fanterie avevano raggiunto i loro profondi bunker sotterranei detti
Stollen ("gallerie"), dove sarebbero rimaste per le successive 48 ore. Con la locuzione "battaglia di
Verdun" si intende l'insieme dei cicli operativi legati a quel settore di fronte. Noi analizzeremo
soltanto il periodo che va dal 21 febbraio al 23 giugno 1916, poiché questi mesi ne
rappresentarono la fase cruciale.
La Battaglia
Alle 7.15 del 21 febbraio, su un terreno pietrificato dal gelo, l'artiglieria tedesca aprì il fuoco con
tutti i suoi pezzi: dai giganteschi "420" Krupp ai "380 navali", che miravano su Forte Douaumont, ai
mortai, ai cannoni da campagna e quelli a tiro rapido, che colpivano le postazioni della fanteria
francese tra il Blois des Coures e l'Herberbois. L'artiglieria francese, una parte della quale era
trasferita altrove, praticamente non rispose al fuoco, poiché i Tedeschi, già da tempo avevano
trovato l'ubicazione, l'avevano distrutta con le prime salve. Dopo otto ore di bombardamento calò il
silenzio e le prime pattuglie tedesche, l'avanguardia delle masse di fanteria interrate negli Stollen,
uscirono per prendere possesso delle trincee nemiche sconvolte.
Fu in questa occasione che i poilus ("villosi", soprannome affettuoso con cui venivano chiamati i
soldati francesi nella Prima guerra mondiale) impararono a temere una nuova terribile arma del
nemico: il lanciafiamme. Al tramonto, le difese della prima linea francese erano in mano alle
pattuglie tedesche e le comunicazioni telefoniche erano interrotte. L'attacco in massa della fanteria
tedesca, lanciato il mattino successivo, travolse tre divisioni e conquistò i boschi settentrionali, che
costituivano l'ostacolo principale davanti a Forte Douaumont. Il capo del governo Briand, avvertito
in serata con prudenza da Joffre che «ciò che non poteva accadere era accaduto», decise che
Verdun doveva tenere a tutti i costi: la trappola di Falkenhayn era scattata perfettamente.
Il teorema di Falkenhayn era di una semplicità unica: causare il numero massimo di perdite con il
minimo sforzo. La durezza della difesa, sebbene procurasse ai francesi parecchie migliaia di
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vittime al giorno, implicava comunque l'aumento della pressione e della densità della fanteria
tedesca. La risposta di Pétain, nel frattempo nominato comandante responsabile del settore di
Verdun, non si fece attendere: seppe ammassare in 48 ore un tale numero di cannoni da poter
sviluppare concentrazioni di artiglieria non meno micidiali di quelle germaniche. La situazione era
sfuggita al controllo della logica e la finta offensiva si ritorceva contro il suo ideatore. Così, se la via
dei rifornimenti a Verdun fu battezzata dai francesi route sacreé ("via sacra") per le vittime che
quotidianamente vi si immolavano, anche i Tedeschi ebbero una loro "pista dei birilli" sulla riva
destra della Mosa, dove i grossi calibri nemici mietevano ricche messi di fanti in uniforme grigia.
Verdun 1916
Pétain, all'inizio, aveva potuto schierare su Verdun solo sei nuove divisioni, troppo poche per
arrestare il rullo compressore tedesco. Si preoccupò allora soltanto di rallentarlo per avere il tempo
di allestire una linea fortificata, articolandola sui forti e su nuove opere campali. Anche i Tedeschi
misero in linea cinque nuove divisioni e la mattina del 7 marzo avevano raggiunto l'altura strategica
Le Mort-Homme. Essi iniziarono, però, a subire una serie di contrattacchi che sarebbero durati
sino ad aprile. A questo punto su trenta chilometri di fronte erano ormai concentrati 5.000 cannoni,
tra francesi e tedeschi: in media uno ogni 6 metri di terreno.
L'intensità dei bombardamenti era tale che la maggior parte degli uomini moriva senza aver mai
visto il nemico. Quando uno dei due contendenti conquistava sanguinosamente uno dei tanti
boschi di cui era ricca la regione, l'artiglieria nemica "arava" semplicemente la zona, mandando in
pezzi uomini e alberi. L'inferno della battaglia era tale che Pètain decise di avvicendare a rotazione
sotto il fuoco i reparti di tutto l'esercito: ogni reggimento francese doveva dare il suo contributo di
sangue, gloria e morte dovevano essere equamente suddivise. Non così avveniva tra i Tedeschi
della 5a Armata, che invano continuavano a chiedere l'intervento delle riserve. La sollecitudine di
Pètain verso i soldati ed il suo atteggiamento difensivista non erano però graditi in alto loco.
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La collina "Mort-Homme".
Per dare maggiore impulso dinamico al fronte, Joffre in aprile rimosse Pètain dal comando della 2 a
Armata, promuovendolo al comando del Gruppo di Armate di Centro, e lo sostituì, nella
responsabilità del settore di Verdun, con l'offensivista Robert Nivelle. Questi sarebbe rimasto
subordinato a Pétain, ma avrebbe saputo imprimere un atteggiamento più aggressivo alle truppe,
sostenuto da un altro promotore dell'offensiva a tutti i costi: il generale Charles Mangin. A fine
maggio, quando i tedeschi persero i loro famosi "420", finalmente smantellati dall'artiglieria
francese, Forte Douaumont fu ripreso dai francesi e poi di nuovo perduto. La macchina
"tritacarne", come sarebbe stato definito il campo di battaglia, funzionava ormai a pieno ritmo.
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L'offensiva anglo-francese della Somme
L'ultimo notevole successo germanico fu quello del 7 giugno, con la resa del Forte di Vaux. La sua
difesa ad oltranza era costata alla guarnigione 20 morti e meno di 100 feriti, ai tedeschi il sacrificio
di quattro battaglioni. Ciò nonostante, l'offensiva si sviluppò ancora fino ad investire il Forte di
Souville ed a minacciare quello di St. Michel; in seguito i Tedeschi conquistarono le posizioni
francesi di Cote de Poivre, giungendo a meno di cinque chilometri dal centro abitato di Verdun. Qui
aggredirono la linea di resistenza preparata da Pètain con furiose "spallate" per una settimana di
seguito, senza successo. Il 23 giugno lo stesso Kronprinz ordinò di sospendere gli attacchi, in
attesa delle riserve che Falkenhayn si ostinava a non concedere, fedele al concetto che Verdun
non doveva cadere, ma soltanto essere tenuta sotto pressione.
Per qualche mese, dunque, il "tritacarne" di Verdun lavorò a basso regime: fino al dicembre del
1916, i francesi avrebbero perso 442.000 soldati e i Tedeschi 278.000. Se ai caduti di quel periodo
si aggiungono quelli del 1914 e della successiva offensiva francese nel 1917, della quale almeno
Falkenhayn non era colpevole, il totale delle vittime sale a 1.492.000. Verdun è stata la battaglia
più sanguinosa della storia: la concentrazione di caduti raggiunse una media di tre caduti ogni
metro quadrato. Nel frattempo, però, i cannoni avevano preso ad arroventarsi sulla Somme, dove
si era scatenata un'offensiva franco-britannica, che sottrasse a Verdun uomini e artiglieria. La
Somme costò agli Inglesi circa 420.000 uomini, 200.000 ai Francesi e 450.000 ai Tedeschi,
causando, in quattro mesi, più vittime di Verdun; ci sarebbero volute le offensive francesi della fine
del 1916 e del 1917 perché questa cittadina riconquistasse il triste primato della battaglia più
cruenta della storia.
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Il fallimento della Somme costò il siluramento del generale Joffre (sostituito da Nivelle), quello di
Verdun vide il tramonto dell'astro di Falkenhayn (cui subentrò la coppia Hindenburg e Ludendorff).
Verdun aveva decretato il naufragio della psicologia aberrante di Falkenhayn, ma non la sconfitta
della strategia altrettanto crudele ed inconcludente di Nivelle e Mangin, che ritenevano equo
mandare all'olocausto 10.000 uomini per avanzare anche solo di 100 metri. Durante il 1917, in tutti
gli eserciti i cui generali praticavano l'offensiva ad oltranza, si moltiplicarono episodi di diserzione e
ammutinamento. Nel solo esercito francese, i casi di ribellione pare siano stati 30.000 (pochissime
le sentenze di condanna a morte eseguite). Solo Tedeschi e Austriaci si salvarono da una tale
piaga, perché ai sacrifici corrispose qualche vittoria parziale, che alimentò la speranza di una
prossima conclusione della guerra.
Le conseguenze storiche
La non vittoria di Verdun diede luogo comunque, almeno come concausa, a vari altri effetti. Sul
piano strettamente militare, la Germania ne ricavò diversi vantaggi, sul piano politico-strategico,
invece, ne derivò un colossale errore di valutazione. Tra i vantaggi che i tedeschi ottennero a
Verdun figurano il rinvio dell'offensiva inglese della Somme e la possibilità di distogliere le truppe
dal fronte francese a favore del fronte orientale. Peraltro, l'obiettivo della battaglia, sebbene non in
misura eclatante, fu ugualmente conseguito dai Tedeschi che, a fronte del logoramento di 1/7 del
proprio esercito, ne avevano inflitto ai francesi uno pari a 1/3 delle loro truppe.
In un certo senso, si potrebbe dire che la voluta non vittoria di Verdun propiziò la successiva
vittoria sull'esercito russo e, quindi la rivolta contro lo Zar, che avrebbe causato la resa della
Russia. Questi dati e i concomitanti successi conseguiti nella guerra sottomarina al traffico
mercantile, convinsero lo Stato Maggiore tedesco della possibilità di concludere vittoriosamente il
conflitto in sei mesi. La velocità e l'entità della reazione degli Stati Uniti, suscitata dagli
indiscriminati siluramenti, furono invece sottovalutate dalle potenze dell'Intesa, con nefaste
conseguenze.
All'opinione pubblica francese e internazionale sfuggì il motivo reale della battaglia di Verdun.
Generalmente si ritiene che a Verdun la Francia avesse vinto in quanto la Germania non aveva
sfondato. Così, malgrado l'immane tragedia, paradossalmente l'esercito francese ne uscì
rafforzato nel morale, con un incrollabile fiducia nel comandante del miracolo: Pètain. Tuttavia, il
pesante pedaggio pagato per la difesa e la riconquista dei forti di Verdun, portata a termine entro il
15 dicembre a prezzo di un elevatissimo numero di caduti, avrebbe concorso a produrre il
pericoloso ammutinamento che si verificò nel 1917, quasi contemporaneamente alla rivoluzione in
Russia, quando due reggimenti addirittura progettarono di marciare su Parigi.
Commercio e siluri
Tra il 1913 ed il 1914, le esportazioni britanniche verso i Paesi neutrali prossimi o confinanti con la
Germania aumentarono del 300% verso la Svezia, del 260% nei confronti della Norvegia, del
930% verso la Danimarca e del 290% verso l'Olanda, con il risultato di alimentare la Germania.
Inghilterra e Francia presero, quindi, sempre più drastici provvedimenti per bloccare il traffico
navale dei Paesi neutrali, fornitori o mediatori della Germania, ricevendone in cambio un'esplicita
ostilità, in primo luogo dagli Stati Uniti.
A questa politica di blocco perseguita dagli alleati, la Germania rispose dichiarando le acque
territoriali inglesi zona di guerra sottomarina. I siluri furono inizialmente indirizzati contro il traffico
navale mercantile inglese, ma poi anche contro i traffici navali dei paesi neutrali. In seguito (31
gennaio 1917), i sommergibili tedeschi furono autorizzati ad effettuare anche affondamenti, senza
preavviso, di qualsiasi tipo di nave in transito su quelle acque.
A questa determinazione, che le avrebbe inimicato il mondo, la Germania era giunta nella
convinzione di riuscire a logorare il potenziale bellico ed il morale dei nemici nei soli primi mesi del
1917. In effetti, solamente in quel periodo, la flotta sottomarina tedesca riuscì ad affondare navi per
ben 3.780.000 tonnellate. In seguito ai numerosi siluramenti delle navi americane, il 6 aprile del
1917 gli Stati Uniti dichiaravano guerra alla Germania, compromettendo inesorabilmente l'equilibrio
delle forze a favore dell'Alleanza. A fine guerra i sommergibili tedeschi avrebbero totalizzato
complessivamente cento affondamenti di navi da guerra e ben 6.000 mercantili.
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Un forte e un 'sergentino'
La regione di Verdun era difesa da una ventina di forti di grandi dimensioni e da circa quaranta
capisaldi minori, disposti su tre cerchi concentrici intorno alla cittadina ed a cavallo della Mosa,
capaci di coprire con le loro artiglierie tutto il territorio circostante per 360°. Le fortezze più
importanti erano quelle di Douaumont e di Vaux, entrambe vicine alla stessa Mosa. Fort
Douaumont, forse il più difficile da prendere al mondo, era stato ristrutturato nel 1913. A lavori
compiuti misurava circa 400 metri di larghezza, era protetto da due reticolati profondi 30 metri, da
una fila di pali metallici acuminati e da un fossato largo 7 metri.
Tutto il perimetro del fossato era nel campo di tiro delle mitragliatrici francesi ed illuminato da
potenti fari. Infine, ogni parete del forte era protetta da uno spessore di 2,5 metri di cemento,
intervallato da sabbia di contenimento ed elasticizzazione. Il forte era munito di numerosi accessi
alle gallerie sotterranee, così da poter ricevere munizioni e rinforzi, senza portarli sotto il tiro
nemico.
Al suo interno nascondeva una vera e propria città sotterranea, capace di ospitare circa un migliaio
di uomini. Le ingegnosissime torri d'artiglieria retrattili, nuovamente costruite 20 anni più tardi
anche per la linea Maginot, ospitavano un pezzo da 155 mm e due da 76 mm. Ognuna di queste
torri era protetta da una cupola d'acciaio, spessa 80 cm, che veniva ritratta o sollevata fino a
sporgere di 60 cm, mediante l'utilizzo di contrappesi da 48 tonnellate.
Fort Douaumont al termine del 1916, devastato dai bombardamenti.
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Forte Douaumont affrontò la sua prova del fuoco nel febbraio del 1915 quando una "Grande Berta"
Krupp da 420 mm lo centrò per ben 62 volte. Rimasto intatto, come sarebbe accaduto anche nel
febbraio dell'anno successivo, il forte non avrebbe, tuttavia, resistito all'attacco del sergente
brandeburghese Kunze del 24° reggimento. Abbandonato dalla sua piccola squadra che se l'era
svignata, Kunze, piuttosto che dover riattraversare la cortina di sbarramento dell'artiglieria, decise
di infilarsi in una feritoia di questo forte. Ebbene, la sua azione individuale non soltanto riuscì a far
tacere il cannone da 155 mm e a mettere in fuga diversi nemici, ma, al sopraggiungere di altri
soldati tedeschi, questi lo trovarono a tavola, intento a pasteggiare con pane fresco e uova sode,
mentre alcuni prigionieri francesi davanti a lui si affannavano intorno ad un fornello da cucina! La
cattura del forte era costata ai tedeschi 32 uomini; la sua riconquista richiese ai francesi ben
100.000 caduti.
Battaglie del Piave
Novembre 1917 - Luglio 1918
Nonostante l'onta di Caporetto l'Italia riesce a respingere due offensive austriache e si prepara alla
controffensiva vincente.
Gli avversari
Luigi Cadorna (1850 - 1928)
Figlio del generale Raffaele (che guidò come comandante supremo la spedizione di Roma del
1870 - Breccia di Porta Pia), Luigi nasce a Pallanza il 4 settembre 1850. Dedicatosi alla carriera
delle armi, fu nominato (1868) sottotenente d'artiglieria, passò a far parte del corpo di Stato
maggiore, raggiunse nel 1892 il grado di colonnello, assumendo il comando del 10° reggimento
bersaglieri. Col grado di maggior generale (1898-1905) tenne il comando della brigata Pistoia; con
quello di tenente generale ebbe successivamente i comandi delle divisioni di Ancona e di Napoli, e
poi quello del IX corpo d'armata. Nel 1911 venne designato per il comando di un'armata in guerra.
Scomparso improvvisamente nel luglio 1914 il generale Alberto Pollio, fu chiamato a succedergli
nella carica di capo di Stato maggiore dell'esercito, pochi giorni prima che scoppiasse la guerra
europea, ma con l'Italia neutrale per soprattutto perché l'esercito italiano in quel momento non
aveva l'efficienza necessaria per affrontare una lunga guerra né a fianco dell'Austria con la quale
l'Italia aveva stipulato un patto (Triplice Alleanza), né tantomeno a fianco delle altre potenze
europee (Triplice Intesa). Bisognava innanzitutto riordinare l'esercito e a questo pensò appunto nei
successivi mesi il generale Luigi Cadorna che fu un fervente interventista.
Entrata l'Italia in guerra nel maggio 1915, Cadorna per trenta mesi rimase alla direzione
dell'esercito, cercando di logorare l'esercito avversario, con la strategia della guerra di posizione.
Non mancò tuttavia, ogni qual volta gli fu possibile, di mostrarsi manovriero; come nella primavera-
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estate del 1916, quando seppe parare l'offensiva del Conrad nel Trentino rispondendogli subito
dopo con il duro colpo di Gorizia, e nell'agosto dell'anno seguente, durante l'undicesima battaglia
dell'Isonzo, che per confessione stessa del nemico ridusse l'esercito austriaco all'estremo della
sua resistenza, tanto da indurre i capi di esso a invocare l'aiuto dell'alleato tedesco per liberarsi
dalla pressione italiana.
Costretto dalle insistenze degli alleati all'offensiva contro gli austriaci per alleggerire la pressione
asburgica sui Balcani, dovette attaccare attraverso uno strettissimo varco pedemontano largo circa
50 km, già fortificato dal nemico durante i mesi precedenti.
A contribuire al suo insuccesso, sarebbero intervenute la precoce resa della Russia e la sconfitta
della Serbia. Capro espiatorio degli insuccessi militari italiani, Cadorna venne sostituito da
Armando Diaz, il vero cervello dell'esercito secondo il re.
Armando Diaz (1861 - 1928)
Diaz nasce a Napoli nel 1861 ed entra giovanissimo nell'esercito. Nel 1911-'12 partecipa con il
grado di colonnello alla campagna di Libia. Nel 1915 diviene generale e nel 1916 è nominato
comandante di divisione. Quando nel 1917 viene nominato capo di Stato Maggiore in sostituzione
di Cadorna, si prodigò per migliorare le condizioni di vita dei soldati al fronte e per ricucire i rapporti
con gli alti ufficiali, ma la sua azione di comando non risultò così esemplare come nel dopoguerra
si volle far credere: nella battaglia di giugno le riserve, troppo arretrate, non sarebbero potute
intervenire prima di 48-72 ore, in caso di eventuale sfondamento da parte del nemico. In seguito,
poi, Diaz lasciò incredibilmente agli austriaci la possibilità di effettuare in maniera del tutto
indisturbata una ritirata assai critica sull'altra sponda del fiume. Infine, ritardò l'offensiva su Vittorio
Veneto per eccessiva "timidezza": in estate, aveva addirittura richiesto agli americani di spostare
dalla Francia al fronte italiano ben 25 divisioni.
Ufficiale di artiglieria all'inizio del conflitto mondiale Diaz si trovò a ricoprire la carica di Capo
dell'ufficio operazioni dello Stato Maggiore fino al giugno 1916, quando ottenne il comando della
46° divisione di fanteria impegnata sul Carso. Nel 1917 ricevette il comando del XXIII Corpo
d'Armata. In seguito al cedimento di Caporetto, ritirò ordinatamente le sue truppe sul Piave. L'8
novembre 1917 sostituì Cadorna nella carica di Capo di Stato Maggiore. Nel dopoguerra sostenne
Nitti, poi entrò nel governo Mussolini come ministro della guerra e garante dell'appoggio militare e
della monarchia al Duce.
Franz Conrad Von Hotzendorf (1852 - 1925)
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Conrad nasce l'11 novembre 1852 a Penzing, vicino Vienna. Abbraccia giovanissimo la carriera
militare: tenente nel 1871, è capo di stato maggiore nel 1906. Ben consapevole della delicata
situazione strategico-militare dell'impero austro-ungarico, aveva tentato di evitare all'Austria una
guerra su più fronti: già nel 1911 aveva proposto invano all'imperatore una guerra preventiva
contro Serbia e Italia.
In seguito quando ormai si delineava la certezza dell'intervento italiano nel conflitto, propose,
senza successo, di cedere alcuni territori all'Italia in cambio della sua neutralità. Stratega dello
sfondamento, in occasione della Strafexpedition (la spedizione punitiva) del 1916 conseguì
qualche successo grazie al rinforzo delle divisioni tedesche sul fronte italiano, mentre nella
battaglia di giugno sul Piave non impensierì affatto le linee italiane. Durante la guerra si trovò
spesso in contrasto sia con l'alleato tedesco che con l'Imperatore Carlo I, che finì per esonerarlo
dall'incarico, assegnandogli il comando dell'Armata in Trentino. Dal suo memoriale emerge un
atavico malanimo nei confronti dell'Italia.
Svetozar Boroevic (1856 - 1920)
Boroevic, di origini croate, fu inizialmente impegnato sul fronte Russo, dove colse qualche
successo; giunse sul fronte italiano nel maggio del 1915, al comando della 5° Armata. Abile nella
guerra di difesa, dopo l'offensiva di Caporetto venne però accusato di scarsa determinazione e
addirittura, secondo alcuni, di essersi lasciato sfuggire la 3° Armata Italiana. Inoltre, a giugno, non
accettò che l'offensiva venisse lanciata singolarmente da Conrad, finendo per disperdere il proprio
potenziale offensivo sull'intero fronte del Piave.
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Gli antecedenti: l'Isonzo
Un palpitante inno di E.A. Mario fissò nella memoria nazionale la drammatica battaglia del Piave,
un vero e proprio poema tragico che si apre con Caporetto e si chiude con Vittorio Veneto. Sotto
l'aspetto militare l'episodio del Piave è, tuttavia, suddivisio in due battaglie distinte: la "battaglia
d'arresto", combattuta dal 9 novembre al 26 dicembre 1917, e la "seconda battaglia del Piave" o
"battaglia del solstizio", durata dal 3 giugno al 5 luglio 1918. Ma non possiamo escludere il
precedente fondamentale dello scontro sull'Isonzo.
Completata la mobilitazione nel giugno del 1915, l'esercito italiano contava 1.089.000 soldati,
mentre gli austro-ungarici schierarono sul fronte italiano 300.000 uomini. Nonostante la superiorità
numerica italiana, però, gli iniqui confini, stabiliti nel 1866 ponevano il nostro paese in una
condizione di palese svantaggio strategico: l'Austria, infatti, possedeva la montuosa regione
trentina incuneata verso il cuore della pianura veneto-lombarda, e la frontiera friulana, anche se
povera di appigli orografici nella sua parte meridionale, era stata efficacemente fortificata dagli
austriaci nella zona del fiume Isonzo durante i nove mesi precedenti, il periodo della neutralità
italiana.
L'offensiva italiana nel primo conflitto mondiale fu, dunque l'unica in Europa a presentarsi subito
come un'estenuante battaglia di logoramento per entrambi gli schieramenti. Gli alleati anglofrancesi, chiedendo che l'Italia assumesse un atteggiamento aggressivo, miravano ad alleviare la
pressione austro-germanica sui Russi nel fronte carpatico, entrato in crisi proprio nel maggio del
1915. Cadorna diede inizio allora all'attuazione di un piano, concepito sin dall'anno precedente,
che prevedeva operazioni limitate sul settore trentino e attaccò a oltranza sull'Isonzo e sul Cadore
per dilagare eventualmente, in seguito, attraverso terreni pianeggianti, fino al cuore dell'impero
asburgico.
Il 23 giugno 1915 Cadorna scatenò la prima battaglia dell'Isonzo. L'undicesima della serie, sferrata
il 19 agosto 1917, in dieci giorni portò alla conquista dell'altopiano della Bainsizza e alla cattura di
circa 30.000 prigionieri e di oltre 250 bocche da fuoco. La dodicesima battaglia, ricordata nella
storia come la rotta di Caporetto, segnò, invece, l'inizio di un'offensiva austro-germanica che
scatterà il 24 ottobre dello stesso anno.
L'anno terribile
Con la Russia fuori gioco e l'esercito francese in grave crisi, i tedeschi poterono inviare sul fronte
italiano rinforzi a sostegno degli austriaci. Dei tre sbocchi offensivi contro la pianura veneta l'Altopiano di Asiago, la testa di ponte di Gorizia e la stretta di Tolmino - il primo aveva già visto il
fallimento della Strafexpedition nel 1916 ed il secondo era caduto in mano agli italiani nello stesso
anno: fu dunque nel settore di Tolmino, sfruttando la conca di Plezzo, che venne accuratamente
preparata l'offensiva austriaca.
Sul ristretto fronte d'attacco furono ammassate ben 15 divisioni (7 tedesche, delle migliori, ed 8
austriache) della 14° armata. Alle 2 del mattino del 24 ottobre 1917 l'artiglieria austriaca iniziò un
fuoco di spaventosa intensità e, alle 7, iniziarono gli attacchi delle fanterie preceduti dal lancio del
nuovo gas fosgene, che da solo annientò un'intera divisione italiana, mietendo 6.000 vittime. Il 9
novembre i resti dell'esercito italiano si trovavano già oltre il Piave.
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Il giorno prima il Re aveva bruscamente sollevato dall'incarico di comadante supremo Cadorna, il
quale aveva esplicitamente accusato i soldati di "non reggere", sostituendolo con il generale
Armando Diaz. Il nuovo vicecapo di Stato Maggiore, Badoglio, a Caporetto non era riuscito
nemmeno ad impensierire le colonne austro-germaniche, malgrado avesse 700 cannoni a
disposizione. In due settimane l'Italia aveva perduto la cifra colossale di 300.000 soldati e 3.000
pezzi d'artiglieria. Altri 350.000 sbandati vennero raccolti per ricostituire unità disgregate durante la
ritirata. Nonostante la sconfitta, però, l'esercito italiano era ancora vitale, grazie all'azione di
comando di Cadorna, rivelatasi assai efficace nel critico momento della ritirata.
Tredici misteriose pagine
Sulle cause concrete della rotta di Caporetto la Commissione d'inchiesta all'uopo nominata non
fece mai luce in modo netto ed univoco. Il principale responsabile, ovviamente, venne indicato in
Cadorna, ma anche di Pietro Badoglio venne data una valutazione negativa, quanto meno perché
si trovava al comando di uno dei corpi d'Armata che cedettero nel primo giorno dell'offensiva
austro-germanica. Le tredici pagine del rapporto conclusivo della Commissione sulle responsabilità
di Badoglio, tuttavia, andarono smarrite prima che la relazione venisse data alle stampe. Questo
"incidente", secondo testimonianze successive, avvenne per ordine del primo ministro Orlando, il
quale voleva evitare complicazioni all'uomo che era, ora, il vicecapo di Stato Maggiore.
Vittorio Veneto nel ricordo di Ferruccio Parri
Ognuno di noi ricorda le parole del bollettino della vittoria redatto da Diaz, che fece seguito alla
battaglia di Vittorio Veneto: «[...] i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo
risalgono in disordine le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». Qualche testimone,
tuttavia, ricorda quella battaglia in modo del tutto diverso e assai poco altisonante, come il
senatore a vita Parri, ad esempio, a quei tempi capitano presso lo Stato Maggiore italiano, il quale
racconta nelle sue memorie che Diaz, una mattina, seguito dai suoi generali, fra i quali c'era anche
Badoglio, «si avvicinò ad una grande carta [...] e, inforcati gli occhiali, si mise a cercarvi una
località senza riuscire a trovarla. Un pò spazientito, voltosi a un certo punto verso Badoglio gli
chiese in napoletano: "neh Badò, addò sta 'sto cazz'e Vittorio Veneto?". Fu in questa maniera continua Parri - che venni a sapere quale sarebbe stato l'obiettivo principale della nostra
offensiva».
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Il Piave come battaglia d'arresto
L'improvvisato schieramento italiano a difesa del Piave era già stato prefigurato da Cadorna, e
Diaz non poteva che attuarlo, ponendo a sud la 3° Armata, con il fianco destro sul mare; più a
Nord l'8° Armata a presidio del colle del Montello; poi la 4° Armata, discosta dal Piave, a cavallo
del fiume Musone e sul Monte Grappa; infine, ancora di seguito, la 6°, attestata tra i fiumi Brenta e
Astico, mentre la 1° e la 7° abbracciavano il resto del fronte fino al Garda e oltre.
In seconda linea, nella zona di Castelfranco Veneto, stazionava in riserva la 9° Armata. Il 9
novembre 35 divisioni italiane fronteggiavano le 55 austro-germaniche. Gli austriaci erano
organizzati in due gruppi d'Armate: il Gruppo Boroevic, costituito dalla 6° e dall'Armata dell'Isonzo
e dislocato tra il mare e i margini orientali del massiccio del Grappa, e il Gruppo Conrad, che
copriva il fronte dal Grappa al Garda. Gli austro-germanici, non essendo riusciti ad agganciare
tutto l'esercito italiano prima che questo riparasse oltre il Piave, speravano almeno di impedirgli di
attestarsi saldamente sulle nuove posizioni, mediante un'offensiva lanciata in due fasi: la prima dal
10 al 26 novembre e la seconda dal 4 al 26 dicembre.
L'attacco più massiccio proveniva daNord, per sfondare la 6° e la 4° Armata italiana, e puntare poi
verso Vicenza e Verona. Il Gruppo Conrad scese dall'Altipiano dei sette Comuni verso Asiago, tra
l'Astico e il Brenta, mentre l'11° Armata di von Krauss lanciò nove divisioni verso il Grappa,
scarsamente fortificato e difeso da quattro gracili divisioni italiane, sostenute da pochi cannoni. Il
fronte italiano resistette in maniera ferrea, nonostante la perdita di Asiago: alcune località furono
addirittura riguadagnate dopo cinque giorni. Il Gruppo Boroevic esercitava intanto una forte
pressione sul Piave e l'11 novembre alcuni reparti austriaci della Isonzo Armee avevano creato
una testa di ponte nell'ansa di Zenson, oltrepassando il Piave! Gli austro-germanici furono respinti
nella Grave di Papadopoli e a Grisolena, presso la foce del fiume.
La testa di ponte austriaca fu poi annientata il 17 dicembre, con il concorso delle batterie della
Marina, montate su vecchi pontoni o su cannoniere, che erano state dislocate presso il corso
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inferiore della foce del Piave. Il sostegno di numerosi cannoni navali, di medio e grosso calibro, e
di alcune migliaia di "marinai in grigioverde", contribuirono notevolmente alla tenuta del settore
della 3° Armata, motivo per cui gli austriaci dovettero concedersi una tregua su tutto il fronte. La
sosta, per quanto breve, consentì di rafforzare il fronte difensivo con alcune truppe alleate e con le
prime classi di leva del 1899. Gli inglesi sul Montello e i Francesi nel settore Tomba-Monfenera
non avrebbero però mai combattuto e quella del Piave sarebbe rimasta una prova difensiva
esclusivamente italiana.
La seconda fase dell'offensiva si scatenò il 4 dicembre, ancora una volta dall'Altopiano di Asiago.
44 battaglioni austriaci, contro 36 italiani del XX corpo d'Armata, riuscirono soltanto a prendere il
monte Valbella e Col del Rosso e due giorni dopo un nuovo attacco sul Grappa fallì. Non andò
meglio a Boroevic con la sua Armata dell'Isonzo, che il 23 dicembre tentò di forzare il Piave con
l'unico risultato di prendere la testa di ponte Zenson. A Natale l'offensiva fu sospesa. La Germania,
pressata dagli americani in Francia, richiamò i reparti tedeschi impegnati sul fronte italiano,
provocando il termine della "battaglia d'arresto". L'illusione austriaca di arrivare a Venezia era
tramontata.
Durante l'inverno, i superstiti e gli sbandati italiani furono raccolti e ridistribuiti in nuovi reparti;
l'industria reintegrò la perdita dell'enorme numero di cannoni, dovuti alla ritirata; entrarono in linea
200 aeroplani e migliaia di mitragliatrici, fino ad allora presenti in scarso numero tra le nostre
truppe. La nazione italiana sembrava aver acquistato una nuova smagliante compattezza, mai
mostrata negli anni precedenti. Diaz, avendo intuito che il nemico non aveva ancora abbandonato
la partita, ignorò l'invito ripetuto da parte dell'alleato Foch di attaccare sull'Altopiano. A febbraio,
infatti, gli Stati Maggiori austriaco e tedesco, riuniti a Bolzano, avrebbero concordato un attacco
contemporaneo sul suolo francese e italiano, previsto per i mesi di maggio-giugno. Nella primavera
seguente, Diaz si limitò ad attuare soltanto azioni limitate per correggere il fronte.
L'offensiva austriaca, inizialmente programmata per maggio, ma poi rinviata a giugno, fu preceduta
dall'aflusso di altre 21 divisioni provenienti dal fronte orientale. L'esercito asburgico mise in linea 60
divisioni, ripartite, come in precedenza, nei due Gruppi di Boroevic sul Piave e di Conrad a nord.
Le bocche da fuoco erano circa 7.000 e gli aeroplani 540. Nonostante il fatto che a questa
ciclopica concentrazione di forze si contrapponesse uno schieramento italiano formato da ben 53
divisioni nazionali e 6 alleate, 7.500 cannoni e 656 aeroplani, 100 dei quali anglo-francesi,
all'attaccante rimaneva, tuttavia, il vantaggio della sorpresa riguardo al momento e al luogo
dell'offensiva, il cosiddetto Schwerpunkt ("punto chiave").
I luoghi più a rischio di un attacco austro-ungarico potevano essere lo Stelvio ed il Garda, Asiago
ed il Grappa, per un tratto complessivo di 200 chilometri di fronte. Diaz, ritenne, in parte
giustamente, che la minaccia più grave pendesse sul settore che andava da Arsiero al Grappa, là
dove già si era scatenata l'offensiva iniziale della "battaglia d'arresto".
Cooperazione
Dopo Caporetto affluirono in Italia tre divisioni francesi e due inglesi, con 20 e 80 aerei
rispettivamente. Molto più consistente l'aiuto fornito sotto forma di armamenti: ben 800
preziossissimi cannoni, molti dei quali "pesanti", ovvero di grosso calibro. Tra le truppe alleate
presenti in Italia vi erano, infine, una divisione di formazione cecoslovacca e un reggimento
americano, che però non andarono mai in combattimento. Tra i tanti militari stranieri attivi in Italia
ricordiamo anche lo scrittore Ernest Hemingway, che da quell'esperienza avrebbe tratto ispirazione
per il suo romanzo Addio alle armi.
L'Italia aveva contribuito a sostenere lo sforzo bellico sul fronte alleato inviando due divisioni di
fanteria in Francia e mettendo la sua flotta a disposizione per il salvataggio dei superstiti dello
sconfitto esercito serbo. Con questa operazione, iniziata nel dicembre del 1915, le navi alleate, in
stragrande maggioranza italiane, riuscirono a portare in salvo circa 260.000 uomini, 10.000 cavalli
ed un centinaio di pezzi d'artiglieria. A febbraio del 1916, contando la perdita di soli sei piroscafi e
due cacciatorpediniere, la flotta italiana aveva tratto in salvo l'esercito serbo nell'entroterra
brindisino ed a Corfù.
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Le forze in campo
Schieramento Italiano
- dallo Stelvio al Garda, la 7° Armata delle Giudicarie, con 4 divisioni;
- dal Garda all'Altopiano dei Sette Comuni su 50 chilometri di fronte, la 1° Armata del Trentino con
8 divisioni;
- dall'Altopiano dei Sette Comuni al Brenta, sino a sfiorare il Grappa, la 6° Armata degli Altopiani
con 9 divisioni, forte e ben trincerata per un fronte di 24 chilometri;
- dal Grappa a Ponterobba, su 20 chilometri di fronte, la 4° Armata del Grappa con 7 divisioni;
- da Ponterobba a Palazzon, per 24 chilometri lungo le rive del Piave e sul Montello, l'8° Armata
con soltanto 3 divisioni;
- da Palazzon al mare, su 45 chilometri di fronte, la 3° Armata del Piave con 6 divisioni, appoggiata
dalle pesantissime artiglierie della Marina, disposte lungo la foce del Piave;
- la riserva generale era costituita dalla 9° Armata, con 10 divisioni a disposizione del Comando
Supremo e 9 distaccate presso le altre Armate. Completavano la riserva 3 divisioni di cavalleria;
24 delle 37 divisioni in linea erano dunque spiegate sul fronte nord-occidentale, da dove si temeva
l'attacco. Il Piave invece era presidiato soltanto da nove divisioni su un fronte di circa 70 chilometri.
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Schieramento austro-germanico
- dallo Stelvio all'Astico, la 10° Armata con 10 divisioni in linea;
- alla sua sinistra, sino al Piave, l'11° Armata forte di 23 divisioni in linea e 4 nella riserva del
Gruppo di Armate;
- lungo il Piave fin oltre il Montello, la 6° Armata con 6 divisioni in linea e una di riserva;
- dal Montello al mare, la 5° Armata con 15 divisioni in linea e una nella riserva.
Gli Arditi di Hemingway
Speciali reparti di assaltatori vennero organizzati dall'esercito italiano a partire dal gennaio 1917.
Si chiamarono prima Arditi, poi Fiamme Nere, infine Reparti d'assalto, ed erano costituiti da
volontari, tra ufficiali e truppa, provenineti soprattutto dai corpi dei Bersaglieri, degli Alpini e della
Cavalleria. Particolarmente addestrati a combattere corpo a corpo, agli Arditi era risparmiata la vita
di trincea e venivano inviati in prima linea solo per il tempo necessario allo svolgimento delle
sanguinose azioni a cui erano destinati: dall'impossibile assalto frontale, ai colpi di mano, alla
cattura di prigionieri da usare come fonte di notizie.
Oltre al pugnale, loro fedele strumento, gli Arditi adoperavano per lo più armi come il lanciafiamme,
il lanciagranate e le bombe a mano. Alla fine del 1918 di questi reparti se ne contavano 39,
organizzati su tre compagnie. Nel frattempo, tuttavia, si era comunque diffusa l'abitudine di
costituire un plotone d'assalto per ogni reggimento o battaglione di Alpini. Degli Arditi e delle loro
qualità di carattere resta, tra le altre, una ricostituzione letteraria, circostanziata e informata, stesa
in 4.000 parole dallo scrittore americano Ernest Hemingway e miracolosamente riapparsa nel
1976.
Tra i numerosi fatti d'arme ricordati dallo scrittore americano spicca l'epico attacco dell'Asolone,
così come tanti altri, raccontati dalla voce dei diretti protagonisti delle battaglie svoltesi tra il 20 e il
27 ottobre 1918. In quel momento Hemingway si era unito agli Arditi del IX Reparto d'assalto,
condotti, a Bassano del Grappa, dal maggiore Giovanni Messe, che nel 1941 avrebbe comandato
il CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) e nel 1943 l'esercito italiano in Tunisia.
Le speranze e i piani austriaci
L'obiettivo dichiarato dello Stato Maggiore austriaco consisteva nella distruzione dell'esercito
italiano: erano già state coniate le medaglie commemorative per la presa di Venezia e Milano, e gli
ufficiali erano stati forniti delle carte militari del Mincio e della pianura lombarda. La propaganda fra
le truppe austro-tedesche era massiccia (venne data agli uomini persino una moneta
d'occupazione emessa dalla "Cassa veneta dei prestiti"), come pure martellante fu quella volta ad
alimentare il disfattismo fra gli Italiani.
D'altro canto, però, l'esercito austriaco era consapevole di giocarsi il tutto per tutto. L'impero, nello
sforzo bellico, aveva esaurito scorte e capacità industriali: per citare soltanto alcuni esempi della
disastrosa situazione del momento, le baionette distribuite nel 1918 Erstazbaionette ("baionette di
ricambio"), erano barre d'acciaio senza manico, sommariamente forgiate e affilate. Le truppe
avevano ricevuto l'ordine di non sventrare i sacchi di farina o le botti italiane dopo essersi rifornite
del necessario, ma di caricarle sulle migliaia di carri nelle retrovie del fronte, le "colonne del
bottino", destinate ad alimentare la patria.
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Il piano dell'offensiva, un compromesso tra le diverse intenzioni di Conrad, di Boroevic e del capo
di Stato Maggiore Arz, prevedeva tre operazioni: l'"Operazione Radetzky", ovvero l'attacco
all'Altopiano dell'Asiago verso Padova e Vicenza; un'offensiva secondaria chiamata "Lawine"
("Valanga"), sul Passo del Tonale per minacciare la Lombardia; infine il "piano Albrecht", che si
riprometteva di forzare il Piave in direzione di Treviso. Il 21 aprile si stabilì che "Lawine" avrebbe
preceduto di qualche giorno gli altri due attacchi per distrarre le riserve nemiche. "Radeztky" e
"Albrecht" avrebbero dovuto formare le ganasce di una doppia tenaglia da chiudere prima a
Catelfranco, poi a Padova. Il difetto di questa offensiva consisteva nel fatto che le forze austriache,
pur globalmente pari a quelle italiane, erano divise in tre operazioni diverse, in nessuna delle quali,
quindi, potevano beneficiare della superiorità di uomini e di cannoni che sarebbe stata necessaria.
Uno spirito maligno
Con l'arrivo del bel tempo, malgrado la piena del fiume, il Comando Supremo italiano si attendeva
l'attacco nemico da un momento all'altro, e spostava i reggimenti e le batterie d'artiglieria per
vanificare il prevedibile fuoco preparatorio dei cannoni avversari: l'attesa era veramente snervante.
Il 13 giugno, di notte, scattò finalmente l'operazione "Lawine" e la'rtiglieria austriaca aprì il fuoco
sulla Sella del Tonale, immediatamente seguita dal vivacissimo tiro di controbatteria dei cannoni
italici: l'offensiva austriaca era cominciata con una sorpresa.
Nella mattinata del 14, tuttavia le fanterie d'assalto avevano preso la prima linea delle trincee
italiane, ma già alle due del pomeriggio l'avanzata era stata fermata, e, alla sera l'11° Armata
austriaca fu costretta a porsi sulla difensiva. Già dalle prime ore della battaglia, secondo il
commento di una relazione militare austriaca, aleggiava tra le truppe asburgiche un "maligno
spirito" e gli episodi di diserzione, sotto l'impressione di un disastro imminente, raggiunsero
proporzioni preoccupanti.
Sul Piave, alle 3 del mattino del 15 giugno, le artiglierie austriache inondarono di lacrimogeni e
fumogeni le linee italiane, mentre i genieri provvedevano immediatamente a gettare ponti
attraverso il fiume. Durante la giornata le difese dell'8° Armata italiana furono superate, il Montello
conquistato e, più a sud, vennero create due teste di ponte in direzione della strada Ponte di
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Piave-Treviso e della linea ferrata San Donà-Mestre, mentre i contrattacchi italiani del 17 e 18
fallivano l'uno dopo l'altro, anche a causa della scarsità di truppe dell'8° e 3° Armata. Il "maligno
spirito" si abbattè, però, sugli attaccanti nella giornata del 18: il Piave, quasi a voler scongiurare il
terribile pericolo che correvano gli Italiani, aumentò la piena, travolgendo le passerelle di barche e
lasciando, così senza alimentazione le teste di ponte austriache.
Il Comando Italiano, che aveva salvato pressochè tutte le proprie artiglierie grazie ai continui
spostamenti, potè ora concentrarle sulle fasce occupate dal nemico lungo la riva destra del fiume
e, infine, mosse le riserve: la 52° Divisione Alpina a Bassano del Grappa, la 33°, l'11° e la 7° a
rinforzo della 3° Armata; la 47°, la 37° e la 22° a Treviso. Pennella, il comandante dell'8° Armata
accusato da Diaz di non aver difeso strenuamente il Montello, venne sostituito con il generale
Caviglia. Il 19 guigno tre nuove divisioni, la 57°, la 60° e la 47°, si unirono alla 50° che aveva difeso
la martoriata collina e assalirono il paese di Nervesa (oggi Nervesa della Battaglia) ai piedi del
Montello. Fu una mischia tremenda, dove da una parte e dall'altra si immolarono compagnie,
battaglioni e reggimenti interi. Sul cielo di Nervesa, quel giorno, cadde anche Francesco Baracca,
l'asso italiano dell'aviazione da caccia.
Il 20 giugno alle 19, il comando supremo austriaco ordinò ai difensori delle teste di ponte sul Piave
di ritirarsi sulla riva sinistra e trincerarvisi a difesa. Nei due giorni successivi il medio e basso Piave
era nuovamente italiano. Il tumulto della battaglia durò ancora qualche giorno a nord, sul Grappa,
sull'Altopiano dell'Asiago e sul Tonale, ma non si trattava più di azioni offensive austriache, bensì
di energici contrattacchi italiani che impegnavano le pur consistenti riserve nemiche. Poi a partire
dal 5 luglio, tornò una relativa calma sul fronte. La seconda battaglia sul Piave era conclusa.
Come se non fossero bastati i combattimenti, nel febbraio del 1918 un flash dell'agenzia iberica
"Fabra" segnalò alcuni casi di una nuova forma di malattia epidemica. Nessuno la prese sul serio
poichè tosse e febbre alta non potevano, in quel momento, interessare più di tanto. Tra l'aprile e il
maggio di quell'anno, però, "la spagnola" era già diffusa in tutta l'Europa e nelle sue trincee, e, a
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settembre, in tutti i continenti. Si calcola che ne morirono 22 milioni di persone; in Italia 375.000
vittime in soli tre mesi.
Cavalieri del cielo
In Italia la guerra aerea si sviluppò con una certa intensità solamente a partire dal 1916, quando
già sugli altri fronti operavano gli assi di chiara fama. Erano definiti "assi" (Kanonen per i
Tedeschi), i piloti che avrebbero abbattuto almeno 4/5 aerei avversari. Le modalità di fregiarsi di
una vittoria aerea variavano di molto a seconda del Paese; i più rigorosi erano i francesi, gli
americani e gli Italiani. Francesco Baracca, tra i migliori aviatori italiani della Prima Guerra
mondiale, è sicuramente il più celebre, l'asso degli assi.
Conseguì 34 vittorie aeree omologate, mostrandosi audace, spericolato ma anche cavalleresco e
generoso. Divenne un "asso" già dal 1915, quando costrinse un Albatros, da lui danneggiato, ad
atterrare entro le linee italiane. Quel giorno fece dipingere sul suo aereo Nieuport Bebè il celebre
emblema del cavallino rampante, passato poi alla Ferrari di Modena, per gentile concessione della
madre. Francesco Baracca morì in combattimento nel 1918, sul Montello.
L'Italia contò circa 42 assi, oltre ai 200 piloti con meno di 5 vittorie; l'Austria 45 sul fronte italiano tra
i quali primeggiò Godwin Brumovsky con 35 vittorie, la Germania due Kanonen, con 5 vittorie
ciscuno; la Francia uno con 6 vittorie. L'Inghilterra partecipò alle operazioni per 10 mesi con
quattro squadrons ("squadriglie") di caccia, rivendicò ben 550 vittorie e 43 piloti inglesi poterono
fregiarsi del titolo di "asso". Il migliore degli inglesi fu il maggiore William Barker, con 43 vittorie sui
cieli italiani per un totale di 50 complessive. Il pilota tedesco Manfred von Richtofen, meglio
conosciuto come il "Barone rosso" dal colore dell'aereoplano che pilotava, entrò nella leggenda
degli "assi" compiendo imprese epiche nei cieli francesi.
Prima di morire in combattimento, nel 1918, si era aggiudicato un'ottantina di vittorie aeree. Infine
Eddie Rickenbacker, dapprima autista personale del generale Pershing, comandante delle forze
statunitensi in Europa, poi pilota da caccia, in pochi mesi abbattè 21 aerei nemici. Una volta gli era
capitato di scontrarsi anche contro il mitico "Barone Rosso", ed era riuscito a sfuggirgli solamente
grazie ad una straordinaria e spericolata manovra in picchiata; sopravvissuto alla guerra,
Rickenbacker giunse alla presidenza della Eastern Airlines.
Memento Audere Semper (MAS)
All'inizio della guerra l'Italia auspicava una battaglia navale in grande stile, per assicurarsi la piena
libertà in Adriatico e cancellare l'onta di Lissa (la sconfitta navale italiana del 1866, durante la terza
Guerra d'Indipendenza). L'Austria godeva del grande vantaggio tattico di possedere navi e porti
vicini alle coste italiane, mentre la flotta nemica era ormeggiata a Taranto.
La flotta asburgica limitò quindi il proprio impegno ai bombardamenti costieri, che mai la flotta
italiana avrebbe potuto prevenire, ai sabotaggi delle navi italiane ancorate alla guerra sottomarina,
ottenendo numerosi successi iniziali, dagli affondamenti degli incrociatori Amalfi e Garibaldi al
sabotaggio e distruzione della corazzata Benedetto Brin. L'Italia reagì allora realizzando lo
sbarramento antisommergibile nel canale di Otranto, che ben presto avrebbe completamente
impedito i movimenti dei sottomarini tedeschi e austriaci, con treni costieri armati di potenti cannoni
antinave e, infine, con l'azione insidiosa di mezzi navali leggeri e veloci: i MAS.
Così, mentre la guerra navale si riduceva anch'essa a guerra di posizione, con le flotte da battaglia
dei continenti ancorate ai porti, i MAS (motoscafi antisommergibile) sostituivano alle torpedini i
siluri, ma sempre più audacemente violavano i porti austriaci per raccogliervi successi fino ad
allora impensabili. L'idea di utilizzare i MAS per incursioni nei porti nemici era venuta inizialmente a
due giovani tenenti di vascello, Alfredo Berardinelli e Gennaro Pagano, i quali sperimentarono con
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successo questo metodo in sei missioni successive, al termine delle quali si era conseguito
l'affondamento di cinque mercantili ormeggiati nei porti austriaci.
Da allora i MAS e i primi incursori inanellarono una serie continua di successi: dall'affondamento
delle corazzate Wien e Santo Stefano, a opera di Luigi Rizzo, a quello della corazzata Viribus
Unitis. Il motto di questi progenitori dei "maiali" e dei "barchini" della seconda guerra mondiale,
Memento Audere Semper, era stato coniato da Gabriele D'Annunzio, che, tra l'altro, prese parte
all'azione navale, guidata da Costanzo Ciano, con cui, nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1918 tre
MAS riuscirono a penetrare nel porto di Buccari, in Dalmazia. Lo stesso D'Annunzio, che era
imbarcato su uno dei MAS, battezzò l'impresa con il nome con cui passò alla storia: "beffa di
Buccari".
Il Bilancio
Gli austriaci persero, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, 118.000 uomini, mentre gli Italiani circa
85.000. In Austria, ormai, più nessuno poteva illudersi sull'esito della guerra, e lo stesso alleato
tedesco ritirò alcune divisioni per destinarle al settore francese, visto che lo Stato Maggiore
austriaco non poteva più tentare alcuna offensiva per proprio conto. In ottobre, quando scattò
l'offensiva di Vittorio Veneto, l'esercito austriaco contava in Italia solo 228.000 soldati al fronte e
147.000 nelle retrovie, sebbene nei mesi precedenti non ci fossero stati grossi scontri, poiché in tre
mesi 180.000 uomini si erano sbandati, avevano disertato o si erano arresi senza combattere.
Le conseguenze
La vittoria difensiva fu salutata con autentica gioia non solo in Italia ma anche fra gli alleati, che
non avevano nascosto la loro preoccupazione sulla capacità di tenuta della Penisola. Quando, poi,
all'errata sensazione di miracolo si sostituì la certezza dell'irreversibile "sfascio" dello sconfitto
esercito austriaco, tutti, in Italia e fuori, si adoperarono a perseguitare Diaz con continue richieste
per proseguire l'offensiva. Diaz, però, non cedette alle pressioni e l'offensiva finale in direzione di
Vittorio Veneto sarebbe stata lanciata solamente il 24 ottobre, quando oramai la vittoria già si
annunciava sul fronte francese.
La richiesta di armistizio austriaca risultò quindi non determinante e, soprattutto, fu avanzata
quando l'esercito italiano era ancora a poche centinaia di metri oltre il Piave: troppo lontano da
Vienna, troppo lontano dai confini di anteguerra. Al tavolo della pace gli Alleati avrebbero
"concesso" all'Italia solo alcune gioie tra le molte amarezze.
Se avesse vinto l'Austria?
Un'eventuale sconfitta italiana sul Piave avrebbe imposto un arretramento prima sull'Adige, poi sul
Mincio ed il Po. In realtà, la sconfitta avrebbe probabilmente causato lo sbandamento totale
dell'esercito italiano che, pur se riorganizzato, non aveva ancora raggiunto la compattezza
necessaria per affrontare una ritirata generale. Alcuni dati chiariscono la situazione: nel maggio
1918 vi fu il più alto numero di diserzioni di tutta la guerra e, le fucilazioni al fronte aumentarono
con regolarità dal dicembre 1917 al giugno 1918, malgrado la fama di umanità della gestione Diaz.
Una sconfitta sul Piave, insomma, avrebbe comportato l'uscita dell'Italia dalla guerra e, di
conseguenza, il trasferimento di 30 divisioni e 10.000 cannoni austriaci ed ex-italiani sul fronte
francese: la guerra sarebbe durata ancora almeno un anno, o, comunque, fino a quando gli Stati
Uniti non avessero deciso di trasferire in Europa le loro enormi riserve militari.
Questa documentazione è stata tratta dal sito Arsmilitaris – www.arsmilitaris.org
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