doc per word - Atuttascuola

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Domande Concorso Dirigenti Lombardia 2012
Area 4 - Processi di apprendimento e valutazione

DOMANDE VARIE SULLA PEDAGOGIA E SULL’APPRENDIMENTO
(SOLO DOMANDA):

Difficoltà d'apprendimento e strategie di recupero

Passaggio dalla scuola orientata al programma ad una orientata al
conseguimento dei risultati.

Prescrittività del programma e del PECUP

Documentazione delle competenze, quando e con quali strumenti

La scuola come ambiente di apprendimento

Pedagogia dell'essere nella scuola

Aspetti motivazionali dell'apprendimento

Nuove tecnologie nell'apprendimento

Inversione di modello tra una scuola orientata in conformità ai programmi e
una scuola centrata sugli apprendimenti

Difficoltà d'apprendimento e strategie di recupero

Linee generali per l'organizzazione di una scuola primaria

Linguaggi multimediali: potenzialità di utilizzo

Documentazione prevista dalla legge per favorire i percorsi di apprendimento
per alunni diversamente abili

Il Ds e la gestione delle organizzazioni complesse: presupposti teorici e
realizzazioni pratiche

Cooperative learning

Valutazione degli apprendimenti e giudizio valutativo

Documentazione prevista dalla legge per favorire percorsi di apprendimento per
alunni DSA

L'utilizzo delle nuove tecnologie nell'apprendimento

DOMANDE VARIE SULLA PEDAGOGIA E SULL’APPRENDIMENTO
(DOMANDA E MATERIALE DI STUDIO PER LA RISPOSTA):

Intercultura e aree a forte processo immigratorio
AREE D'INTERVENTO – INTERCULTURA (MIUR)
La presenza di alunne e alunni con cittadinanza non italiana è un fenomeno strutturale del
nostro sistema scolastico.
L’Italia ha scelto, fin dall’inizio, la piena integrazione nella scuola di tutti e l’educazione
interculturale come dimensione trasversale e come sfondo integratore che accomuna tutte le
discipline e tutti gli insegnanti.
L’integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana deve partire dall’acquisizione delle
capacità di capire ed essere capiti e dalla padronanza efficace e approfondita dell’italiano
come seconda lingua.
Si tratta di dare risposte ai bisogni comunicativi e linguistici degli studenti con cittadinanza
1
non italiana,con particolare riferimento a quelli di recente immigrazione.
Sono quindi indispensabili azioni mirate di formazione del personale scolastico, insegnanti e
dirigenti scolastici, e azioni di sostegno all’inserimento degli alunni con cittadinanza non
italiana.
Si riconoscono, inoltre, come centrali, l’orientamento alla scelta scolastica da parte degli
studenti e la partecipazione attiva e la relazione tra famiglie, immigrate e non immigrate.
Altresì importante è coltivare gli orientamenti assunti in molte scuole per ridefinire i
contenuti e i saperi in una prospettiva interculturale, con l’integrazione di fonti, modelli
culturali ed estetici e nuovi linguaggi della comunicazione visiva e musicale.
NORMATIVA
CM 24/2006 Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri.
(leggitela!)
La tutela del diritto di accesso a scuola del minore straniero trova la sua fonte
normativa nella legge sull’immigrazione, n. 40 del 6 marzo 1998 e nel decreto legislativo
del 25 luglio 1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” che riunisce e coordina gli
interventi in favore dell’accoglienza e integrazione degli immigrati, ponendo particolare
attenzione all’integrazione scolastica. La legge n. 189 del 30 luglio 2002 (cd. Bossi/Fini) ha
confermato le procedure di accoglienza degli alunni stranieri a scuola.
Attualmente il quadro normativo, imperniato sull’autonomia delle istituzioni
scolastiche, con D.P.R. n. 275/99, rappresenta lo strumento principale per affrontare tutti gli
aspetti, come quello dell’integrazione degli stranieri, che richiedono la costruzione di
appropriate e specifiche soluzioni.
La legge di riforma dell’ordinamento scolastico, n. 53/2003, contiene elementi idonei
allo sviluppo delle potenzialità di tutti gli allievi attraverso la personalizzazione dei piani di
studio per la costruzione di percorsi educativi e didattici appropriati a ciascuno studente.
Il Decreto Legislativo n. 76/2005 relativo al diritto-dovere all’istruzione e alla
formazione, nel riprendere ed ampliare il concetto di obbligo formativo (art. 68 Legge
144/99), individua i destinatari in “tutti, ivi compresi i minori stranieri presenti nel territorio
dello Stato” (comma 6 dell’art. 1).
Il Contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto scuola 2002/05, all’art. 9,
“Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e
contro l’emarginazione scolastica” ha collocato in un’unica previsione normativa le
situazioni territoriali relative alle aree a rischio e a forte processo immigratorio, ha
ricompreso in un quadro contrattuale unitario gli obiettivi di lotta all’emarginazione
scolastica, ha trasferito alcune competenze dagli Uffici centrali a quelli regionali, ha
prefigurato specifiche modalità di raccordo e di collaborazione tra le istituzioni scolastiche.
INDICAZIONI OPERATIVE
In presenza di fenomeni di concentrazione di studenti con cittadinanza straniera, si
ritiene proficua un’equilibrata distribuzione delle iscrizioni attraverso un’intesa tra scuole e
reti di scuole e una mirata collaborazione con gli enti locali, avendo come riferimento
normativo l’art. 7 del D.P.R. 275/1999.
Si accolgono a scuola in qualunque momento dell’anno (obbligo di istruzione esteso a tutti
anche non italiani)
Continua…
2

Diversamente abili: normativa e azione del DS
Il P.E.I. è:

progetto operativo interistituzionale tra operatori della scuola, dei servizi sanitari e
sociali, in collaborazione con i familiari

progetto educativo e didattico personalizzato riguardante la dimensione
dell'apprendimento correlata agli aspetti riabilitativi e sociali
Contiene

finalità e obiettivi didattici

itinerari di lavoro

tecnologia

metodologie, tecniche e verifiche

modalità di coinvolgimento della famiglia
Tempi

si definisce entro il secondo mese dell'anno scolastico

si verifica con frequenza, possibilmente trimestrale

verifiche straordinarie per casi di particolare difficoltà
DISABILI
minorazione
disabilità
handicap
La nota 4274 del 4/8/09 del Miur Linee guida per l’integrazione degli alunni con disabilità
è il testo normativo di riferimento per queste questioni con le note integrative accluse.
SI dovrebbe oggi parlare di INCLUSIONE scolastica.
Gli USR stipulano accordi di programma regionali, gestiscono i GLIR, curano la
formazione dei DS, dei docenti e degli ata, sostengono la costituzione di reti territoriali
idonee.
CERTIFICAZIONE degli alunni disabili: regolata dal DPR 24/2/94 che affidava le
certificazione della disabilità ad uno specialista medico o psicologo dell’età evolutiva. Il
DPCM 185/2006 riconduce la certificazione nell’alveo previsto dalla l. 104/92 quindi con le
medesime modalità di quella per gli adulti.
Della normativa precedente rimangono VALIDI e necessari:
DF = diagnosi funzionale
PDF: profilo dinamico funzionale
PEI: piano educativo individualizzato
Cosa deve fare la scuola per i disabili?
1. accordi di programma per coordinarsi
2. dotarsi di strumenti e personale
3. attivare progetti integrati
4. sviluppare le potenzialità a 360°
5. attivare l’integrazione nelle classi
6. il docente di sostegno è contitolare: valorizzare questa figura
7. attivare la flessibilità oraria, degli organici, didattica
8. valutare, in ultima istanza, anche una terza ripetenza se utile allo sviluppo dell’alunno
Diagnosi Funzionale: si intende per diagnosi funzionale qualunque diagnosi che dia
qualche pur breve descrizione delle conseguenze o delle limitazioni sul piano cognitivo,
comportamentale, affettivo ecc
3
La normativa di riferimento è la CM 250/85
L’intesa stato/regioni del 20/3/08: valutazione dinamica, di ingresso, presa in carico per la
piena integrazione scolastica e sociale. Viene eseguita dall’Unità Multidisciplinare
Territoriale, viene redatta in base al modello ICF = international classification of
functioning, disability and health
La diagnosi basata sull’ICF si articola come segue:
L’ICF quindi si snoda su quattro punti: ANAMNESI-FUNZIONALITA’ CONTESTUALIOBIETTIVI E STRATEGIE - PROFILI E RISORSE NECESSARIE PER
INTEGRAZIONE
La conferenza unificata nel documento del 20 marzo 2008 ha previsto che PDF e DF siano
inclusi in quanto, effettivamente, spesso risultavano essere l’uno il duplicato dell’altro.
Insieme vengono a coincidere poi con il profilo di funzionamento della persona (ICF).
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Cos’è il PEI?
La Legge 104/92 prevede l’istituzione di un GLH di istituto, che non va confuso con il
gruppo di lavoro (?).
Docente di sostegno: già nella l. 517/77 si parlava di attività di integrazione nel limiti di 6
ore settimanali per classe.
La l. 270/82 definisce il contingente organico nella misura di “un posto ogni 4 alunni
certificati frequentanti”. Il rapporto 1:4 poteva essere derogato per comprovate necessità.
La l. 449/1997 ridetermina questo rapporto nel numero di 1:138 alunni complessivamente
frequentanti nell’ambito provinciale (La dotazione organica di insegnanti di sostegno per
l'integrazione degli alunni handicappati é fissata nella misura di un insegnante per ogni
gruppo di 138 alunni complessivamente frequentanti gli istituti scolastici statali della
provincia, assicurando, comunque, il graduale consolidamento, in misura non superiore
all'80 per cento, della dotazione di posti di organico e di fatto esistenti nell'anno scolastico
1997-1998,)
La l. 296/2006 prescrive di individuare l’organico corrispondente alle effettive esigenze
(finanziaria)
La l. 244/2007 (Fioroni) istituisce, per l’attribuzione dei posti di sostegno, un duplice
criterio: non più del 25% del numero delle classi e, a livello provinciale, non meno di un
rapporto 1:2 (un docente minimo per ogni due alunni disabili, ergo: max 9 ore per alunno).
Valutazione dei disabili: inizia con l’art. 16 L. 104/92:
I ciclo: si valutano il comportamento, le discipline e le attività in decimi per quanto previsto
e progettato nel PEI
Conclusione I ciclo: sono possibili o necessarie prove differenziate, è consentito l’uso di
strumenti e sussidi e di ausili tecnici. L’alunno riceve il medesimo documento degli alunni
non disabili
II ciclo: stesse condizioni del I ciclo, ma l’alunno riceve un ATTESTATO (non un diploma)
Il COMUNE ha la competenza sul sostegno alle disabilità fisiche
La PROVINCIA ha la competenza sul sostegno alle disabilità sensoriali (ciechi, muti, sordi)
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Dirigente scolastico e disabili:
Stando alla normativa e all’intesa stato/regioni già citata, il DS ha la funzione di garante
dell’integrazione scolastica dei disabili.
Cosa fa il DS in concreto?
- promuove e incentiva attività diffuse di aggiornamento e formazione
- valorizza i progetti dotati di strategie orientate all’inclusione
- guida e coordina direttamente le azioni previste dalla normativa (glhi, formazione classi,
utilizzo docenti di sostegno ecc)
- indirizza l’operato del cdc/cdint
- coinvolge le famiglie e ne garantisce la partecipazione
- cura il raccordo con enti e associazioni locali
- attiva l’orientamento nei passaggi fra cicli
- individua le barriere architettoniche e sensopercettive per provvedere a rimuoverle

Disturbi specifici dell’apprendimento o DSA
in questo caso l’intelligenza è nella norma ma sono presenti difetti di funzionamento di
alcune aree della percezione/produzione. Non vanno confusi con i disturbi di ADHD che
hanno origine diversa, ma che spesso vengono “inclusi” impropriamente in questa categoria.
Si parla di:
Le fonti normative che trattano i DSA sono: DPR 122/2009 + CM 1787 1/3/2005
- Vanno diagnosticati per tempo, fra l’ultimo anno della scuola dell’infanzia e il terzo della
scuola primaria
- è opportuno attivare forme di screening su tutti gli alunni
- se vengono rilevati ci si rivolgerà ai servizi di neuropsichiatria infantile (NPI) per gli
accertamenti e gli interventi del caso
Gli alunni con DSA possono usufruire di strumenti compensativi e dispensativi
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
DSA normativa
LEGGE 8 ottobre 2010 , n. 170
Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico
Art. 1
Riconoscimento e definizione di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia
La presente legge persegue, per le persone con DSA, le seguenti finalita':
a) garantire il diritto all'istruzione;
b) favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire
una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialita';
c) ridurre i disagi relazionali ed emozionali;
d) adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessita' formative degli
studenti;
e) preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate
ai DSA;
f) favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi;
g) incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari
durante il percorso di istruzione e di formazione;
h) assicurare eguali opportunita' di sviluppo delle capacita' in ambito sociale e professionale.
Art. 3
Diagnosi
Art. 4
Formazione nella scuola
Art. 5
Misure educative e didattiche di supporto
Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti
dispensativi e compensativi di flessibilita' didattica nel corso dei cicli di istruzione e
formazione e negli studi universitari.
Art. 6
Misure per i familiari
OM 11 MAGGIO 2012 (ESAMI DI STATO)
Esame dei candidati in situazione di DSA ART 17 BIS
1. La Commissione d’esame – sulla base di quanto previsto dall’articolo 10 del D.P.R.
22/6/2009, n.122 e dal relativo DM n.5669 12 luglio 2011 di attuazione della Legge 8
ottobre 2010, n. 170, recante Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento
in ambito scolastico – nonché dalle Linee Guida allegate al citato DM n. 5669/2011, considerati eventuali elementi forniti dal Consiglio di classe, terrà in debita considerazione
le specifiche situazioni soggettive, adeguatamente certificate, relative ai candidati affetti da
disturbi specifici di apprendimento (DSA), in particolare, le modalità didattiche e le forme
di valutazione individuate nell’ambito dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati.
A tal fine il Consiglio di classe inserisce nel documento del 15 maggio di cui al DPR
n.323/1998 il Piano Didattico Personalizzato o altra documentazione predisposta ai sensi
dell’art.5 del DM n. 5669 del 12 luglio 2011. Sulla base di tale documentazione e di tutti gli
elementi forniti dal Consiglio di classe, le Commissioni predispongono adeguate modalità
di svolgimento delle prove scritte e orali. Nello svolgimento delle prove scritte, i candidati
possono utilizzare gli strumenti compensativi previsti dal Piano Didattico Personalizzato o
da altra documentazione redatta ai sensi dell’art.5 del D.M. 12 luglio 2011. Sarà possibile
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prevedere alcune particolari attenzioni finalizzate a rendere sereno per tali candidati lo
svolgimento dell’esame sia al momento delle prove scritte, sia in fase di colloquio. I
candidati possono usufruire di dispositivi per l’ascolto dei testi della prova registrati in
formati “mp3”. Per la piena comprensione del testo delle prove scritte, la Commissione può
prevedere, in conformità con quanto indicato dal capitolo 4.3.1 delle Linee guida citate, di
individuare un proprio componente che possa leggere i testi delle prove scritte. Per i
candidati che utilizzano la sintesi vocale, la Commissione può provvedere alla trascrizione
del testo su supporto informatico. In particolare, si segnala l’opportunità di prevedere tempi
più lunghi di quelli ordinari per lo svolgimento della prove scritte, di curare con particolare
attenzione la predisposizione della terza prova scritta, con particolare riferimento
all’accertamento delle competenze nella lingua straniera, di adottare criteri valutativi attenti
soprattutto al contenuto piuttosto che alla forma. Al candidato potrà essere consentita la
utilizzazione di apparecchiature e strumenti informatici nel caso in cui siano stati impiegati
per le verifiche in corso d’anno o comunque siano ritenuti giovevoli nello svolgimento
dell’esame, senza che venga pregiudicata la validità delle prove.
2. I candidati con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), che, ai sensi
dell’art.6, comma 6, del DM n.5669 del 12 luglio 2011, hanno seguito un percorso didattico
differenziato, con esonero dall’insegnamento della/e lingua/e straniera/e, e che sono stati
valutati dal consiglio di classe con l’attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi
unicamente allo svolgimento di tale piano possono sostenere prove differenziate, coerenti
con il percorso svolto finalizzate solo al rilascio dell'attestazione di cui all'art. 13 del D.P.R.
n. 323/1998. Per detti candidati, il riferimento all’effettuazione delle prove differenziate va
indicato solo nella attestazione e non nei tabelloni affissi all’albo dell’istituto.
3. Per quanto riguarda i candidati con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento
(DSA), che, ai sensi dell’art.6, comma 5, del DM n.5669 del 12 luglio 2011, hanno seguito
un percorso didattico ordinario, con la sola dispensa dalle prove scritte ordinarie di lingua/e
straniera/e, la Commissione, nel caso in cui la lingua straniera sia oggetto di seconda
prova scritta, dovrà sottoporre i candidati medesimi a prova orale sostitutiva della prova
scritta. La Commissione, sulla base della documentazione fornita dal consiglio di classe,
stabilisce modalità e contenuti della prova orale, che avrà luogo nel giorno destinato allo
svolgimento della seconda prova scritta, al termine della stessa, o in un giorno successivo,
purché compatibile con la pubblicazione del punteggio complessivo delle prove scritte e
delle prove orali sostitutive delle prove scritte nelle forme e nei tempi previsti nell’art. 15,
comma 8. Il punteggio, in quindicesimi, viene attribuito dall'intera commissione a
maggioranza, compreso il presidente, secondo i criteri di conduzione e valutazione
previamente stabiliti in apposita o apposite riunioni e con l'osservanza della procedura di cui
all'art. 15, comma 7.
Qualora la lingua o le lingue straniere siano coinvolte nella terza prova scritta, gli
accertamenti relativi alla lingua o alle lingue straniere sono effettuati dalla commissione per
mezzo di prova orale sostitutiva nel giorno destinato allo svolgimento della terza prova
scritta, al termine della stessa, o in un giorno successivo, purché compatibile con la
pubblicazione del punteggio complessivo delle prove scritte e delle prove orali sostitutive
delle prove scritte nelle forme e nei tempi previsti nell’art. 15, comma 8. I risultati della
prova orale relativa alla lingua o alle lingue straniere coinvolte nella terza prova scritta sono
utilizzati per la definizione del punteggio da attribuire alla terza prova scritta.
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Individualizzazione, PEI e PDP (DSA)
IL PDP: Piano Didattico Personalizzato
Con il termine PDP si intende Piano Didattico Personalizzato da non confondere con il
PEI (Piano Educativo Individualizzato)
PEI = è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di
loro, predisposti per l'alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo,
ai fini della realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione. NON VALIDO PER I
DSA PERCHE’ NON SI TROVANO IN SITUAZIONE DI HANDICAP in quanto hanno
un QI perfettamente nella norma.
Il PDP nasce esclusivamente per i DSA. Esso altro non è che una programmazione
educativa che tenga conto delle specificità segnalate nella diagnosi per l'alunno con DSA.
Esso è un patto d'intesa fra docenti, famiglia e istituzioni socio-sanitarie nel quale devono
essere individuati e definiti gli strumenti dispensativi e compensativi necessari all'alunno
per raggiungere in autonomia e serenità il successo scolastico.
Esso va redatto a cura del Consiglio di Classe una volta acquisita la diagnosi di DSA e
preferibilmente dovrebbe prevedere 3 step :
1 Incontro con la famiglia e lo specialista al fine di acquisire quante più informazioni
possibili sulla specificità e la peculiarità dell'alunno con DSA. Questo incontro è molto utile
in quanto il docente può acquisire molte informazioni sia sul vissuto del ragazzo, sia sulla
caratteristica del disturbo ed eventuali punti di forza/debolezza già individuati con lo
specialista
2 Stesura del documento da parte del Consiglio di Classe e per ogni singola materia. In
questo modo è facile evidenziare sia le materie più confacenti al ragazzo ma soprattutto
indicare nel concreto cosa può servire al ragazzo per riuscire ad essere autonomo e avere
successo nella singola disciplina. Ad esempio in matematica sarà inserito l’uso della
calcolatrice e/o del formulario, piuttosto che in altre materie l’uso delle mappe per lo studio
e per le interrogazioni etc..:
3 Condivisione con la famiglia (talvolta anche l'alunno stesso) al fine di apporre la propria
firma sul documento condiviso. Anche questo momento è di fondamentale importanza
perché, nonostante si sia fatto tutto secondo norma, può accadere che magari sia sfuggito
qualche cosa.
Il PDP non è un documento statico e come tale deve quindi prevedere dei momenti in cui
esso possa essere aggiornato con nuove informazioni derivanti dall'osservazione dell'alunno.
L’alunno con il tempo acquisisce sempre più autonomia e sicurezza, e magari, crescendo, ha
necessità di cambiare anche le strategie che utilizza. E’ fondamentale che l’osservazione
attenta dei docenti e la consapevolezza dell’alunno portino a momenti di verifica del PDP al
fine di modificarlo a seconda delle nuove esigenze.
Come prevede la normativa (Linee guida pag. 8):
3.1 Documentazione dei percorsi didattici
Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché gli
strumenti compensativi e le misure dispensative dovranno essere dalle istituzioni scolastiche
esplicitate e formalizzate, al fine di assicurare uno strumento utile alla continuità didattica e
alla condivisione con la famiglia delle iniziative intraprese.
A questo riguardo, la scuola predispone, nelle forme ritenute idonee e in tempi che non
superino il primo trimestre scolastico, un documento che dovrà contenere almeno le
seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte dal disturbo:
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• dati anagrafici dell’alunno;
• tipologia di disturbo;
• attività didattiche individualizzate;
• attività didattiche personalizzate;
• strumenti compensativi utilizzati;
• misure dispensative adottate;
• forme di verifica e valutazione personalizzate.
Nella predisposizione della documentazione in questione è fondamentale il raccordo con la
famiglia, che può comunicare alla scuola eventuali osservazioni su esperienze sviluppate
dallo studente anche autonomamente o attraverso percorsi extrascolastici.
Sulla base di tale documentazione, nei limiti della normativa vigente, vengono predisposte
le modalità delle prove e delle verifiche in corso d’anno o a fine Ciclo.
Tale documentazione può acquisire la forma del Piano Didattico Personalizzato.
A titolo esemplificativo, vengono pubblicati sul sito del MIUR alcuni modelli di Piano
Didattico Personalizzato.
Nella stessa pagina web dedicata ai DSA, potranno essere consultati ulteriori modelli,
selezionati sulla base delle migliori pratiche realizzate dalle scuole o elaborati in sede
scientifica.
Perché fare un PDP?
Oltre ad essere un atto dovuto perché presente nella normativa in materia di DSA, esso, sul
piano pratico, è uno strumento necessario allo studente con DSA che potrà così accedere a
tutto ciò che gli è necessario anche in sede di esami di stato, in quanto la normativa
permette l'uso di quanto già concesso durante gli anni scolastici; inoltre è un documento
che funge da CV del ragazzo al quale qualsiasi docente può accedere sia esso di ruolo che
sostituto etc... e potrà avere sempre sotto mano uno strumento che lo aiuterà anche in sede
di valutazione.
Nel PDP nello specifico devono essere riportati i dati dell'alunno completi di chi ha redatto
la diagnosi, a che anno risale la diagnosi. Poi si passa ad un successivo step in cui vanno
riportate le difficoltà dell'alunno così come da diagnosi acquisita.
Nei successivi step vanno indicati materia per materia gli interventi compensativi e
dispensativi che si intendo attuare con l'alunno, vanno anche indicati i punti di forza e di
debolezza dello stesso così da promuovere i primi e evitare i secondi.
Nella stesura si deve fare riferimento anche alle metodologie didattiche che si intendono
attuare , nonché alla modalità di assegnazione dei compiti a casa, delle interrogazioni e del
metro di valutazione.

Teorie dell’apprendimento, costruttivismo, cognitivismo
Modello comportamentista

la mente non è conoscibile

si studia la relazione tra stimolo e risposta
Si può studiare solo ciò che è oggettivamente osservabile e misurabile (modello della
scatola nera). Il rinforzo positivo è lo strumento più potente per influenzare l’apprendimento
Il modello della task analysis (analisi dei requisiti di base per l’esecuzione di un compito,
che viene scomposto nei suoi elementi minimi) è alla base della istruzione programmata
(Skinner, 1954)
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Modello cognitivista di elaborazione dell’informazione

la mente trasforma le informazioni in entrata
Tra i sistemi di rappresentazione formale dei processi cognitivi figurano l’algoritmo e il
reticolo di nodi e relazioni
Modello costruttivista

la mente è un sistema cibernetico

Il soggetto costruisce attivamente la propria conoscenza

la conoscenza emerge dall’interazione
L’apprendimento cooperativo
È un metodo di apprendimento/insegnamento in cui coppie o piccoli gruppi di
discenti lavorano insieme per raggiungere obiettivi condivisi.
Obiettivo della cooperazione è ottimizzare il proprio apprendimento e quello degli
altri unendo gli sforzi a beneficio di tutti
Questo metodo aiuta a correggere il bias sociale ed educativo inconscio che
favorirebbe la competizione
Apprendimento cooperativo e collaborativo

La valutazione d’Istituto
L’autovalutazione d’istituto
La necessità di progettare interventi di controllo, autoanalisi e autovalutazione nasce dalla
constatazione che, nella realizzazione del servizio progettato, a determinare la qualità
prodotta intervengono molte variabili mai pienamente rispondenti a quanto previsto. Anche
se la progettazione è stata particolarmente puntuale e ha tenuto in debito conto sia le
condizioni operative concrete che la possibilità dell’insorgere di imprevisti, la
produzione/erogazione del servizio deve essere attentamente verificata. Ecco perché diventa
necessario estendere l’attenzione dalla sola analisi e valutazione degli esiti in termini di
apprendimento degli alunni, a quella del processo negli elementi dei diversi fattori, attività e
interazioni che concorrono alla produzione/erogazione del servizio scuola.
Il conseguimento dell’obiettivo di un ipotetica commissione, che è quello di produrre un
miglioramento del servizio offerto, dovrà quindi prendere le mosse da una ricognizione di
massima di tutti gli aspetti delle attività della scuola per individuare quelli su cui focalizzare
l’analisi e, quindi, orientare quest’ultima alla comprensione dei fenomeni indagati, per
disporre di un punto di partenza adeguato su cui innestare l’azione migliorativa. Il progetto
di autoanalisi, anzitutto, dovrà perciò selezionare gli “indicatori” di qualità più rilevanti sui
quali procedere con la raccolta e l’organizzazione delle informazioni, che potrebbero ad
esempio essere concretamente rappresentati dai criteri usati per la formazione delle classi,
dal rapporto in ogni classe tra alunni in situazione di handicap o appartenenti a culture
diverse e i normodotati, dalla strutturazione degli spazi, dagli eventuali accordi di
integrazione tra scuola e territorio, dal clima del rapporto tra gli insegnanti. Ad ogni modo,
malgrado gli esempi fatti, il campo delle variabili che possono essere considerate è molto
ampio. Si tratta per questo di scegliere e, soprattutto, di imparare a mettere in relazione le
misure tra loro e con i fenomeni che si vogliono indagare.
Terminata l’analisi si disporrà di una serie di informazioni organizzate che misurano o
descrivono le prestazioni della scuola: i risultati degli allievi, il servizio offerto, le attività
realizzate; e misurano o descrivono altresì le risorse esistenti e il loro utilizzo: personale,
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strutture, strumenti. Bisognerà a questo punto usare le informazioni raccolte per capire se
effettivamente il servizio scolastico offerto risponde ai requisiti di qualità precedentemente
stabiliti e resi noti all’utenza attraverso la Carta dei Servizi e il Piano dell’Offerta Formativa;
se funziona più o meno bene; se è possibile migliorarlo.
Per quanto riguarda i criteri in base a cui valutare l’efficacia dei risultati ottenuti o
l’efficienza del modo in cui sono state organizzate e realizzate le attività, le scuole italiane
possono oggi disporre di adeguati standard di riferimento, stabiliti a livello nazionale
dall’«Istituto Nazionale per la valutazione del sistema di istruzione» nato dalla
trasformazione del CEDE con il D.L. 20/’99. Questa istituzione fornisce dunque - nel
rispetto delle indicazioni offerte dal “Regolamento per l’autonomia delle istituzioni
scolastiche” - i criteri generali di qualità del servizio in base ai quali ogni scuola potrà
definire i propri specifici.
Un primo punto di partenza per l’autovalutazione delle singole istituzioni scolastiche è
quindi dato dal fatto che l’autoanalisi permette di costruire una rappresentazione della
scuola e del suo operato che, proprio perché fondata sulla rilevazione di dati obiettivi, non
coincide o coincide solo parzialmente con la percezione che gli operatori interni ne
hanno. Questo accorgersi da parte del corpo docente che esiste un divario tra gli obiettivi
prefigurati e la realtà effettiva delle cose costituisce già una prima forma di valutazione. Dal
momento che gli operatori avranno precedentemente declinato la “qualità attesa” in obiettivi
cui l’erogazione del servizio avrebbe dovuto rispondere, il confronto tra la realtà effettiva e
questi ultimi potrà quindi essere sviluppato in modo puntuale, pertinente e produttivo.
È pur vero che questa prima forma di autovalutazione è ancora “autoreferenziale”, poiché
sono gli stessi elementi che erogano il servizio a valutarlo; malgrado ciò se questi
conducono la valutazione con metodo, al fine di stabilire cosa funziona e cosa no per
migliorarlo, e non invece con lo scopo di “scovare il colpevole”, questa operazione potrà
sfuggire al rischio di trasformarsi in una frettolosa autogiustificazione. Oltre a ciò,
l’autoanalisi, attraverso gli strumenti offerti dalla Carta dei Servizi quali questionari,
interviste e sondaggi da proporre all’esterno, dovrebbe poi essere riuscita ad indagare anche
quali valutazioni esprimono sul servizio i suoi referenti esterni. Queste ultime, infatti,
rappresenterebbero il necessario punto di vista esterno che integrato agli elementi rilevati
dall’analisi dei fattori dall’interno della scuola e agli elementi rilevati dal Servizio
Nazionale di Valutazione, conduce ad una valutazione maggiormente attendibile. È chiaro
che in un’ottica di autovalutazione il più possibile obiettiva i contributi “esterni” non
dovranno certamente essere percepiti nella logica della sanzione o della rivalsa, ma in quella
della corresponsabilità, della collaborazione, dell’intesa tra coloro che hanno stipulato un
«Contratto formativo». L’autovalutazione dell’efficacia e dell’efficienza della scuola non ha,
tra l’altro, lo scopo di assolverla o di condannarla, ma di aiutarla a conoscersi e offrire così
un quadro di riferimento all’azione.
La valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’operato della scuola condotta a partire dai
risultati dell’autoanalisi consente così di giungere ad una descrizione dei “punti di forza”
della scuola, degli elementi che ne sostengono la qualità, e dei suoi “punti di debolezza”,
ossia di quei fattori che ne limitano la qualità o non le consentono di produrla. Una chiara
consapevolezza dei punti di forza consentirà di capire su cosa è possibile far leva per
migliorare la qualità del servizio o per farla percepire più adeguatamente. La conoscenza dei
“difetti” indicherà, invece, su che cosa occorre intervenire. Lavorando sulla lista dei difetti
occorrerà individuare quelli che rappresentano un reale ostacolo per la qualità del servizio e
costituiscono per questo un problema che deve essere risolto. Una volta individuati i difetti
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da eliminare e averli contestualizzati è poi importante capire perché si verificano.
L’individuazione di quei particolari tipi di relazione che sono i rapporti di causa-effetto
consentirà, infatti, intervenendo sulle cause, non solo di rimediare alle effetti indesiderati,
ma di evitare che esse si ripresentino.
Per concludere: procedere all’autovalutazione d’Istituto significa anzitutto esaminare
attentamente processi e dati che misurano i risultati reali e gli scostamenti rispetto a
quelli attesi e quindi acquisire gli elementi per confermare le scelte fatte o per
rivederle. Inoltre, la valutazione dei risultati serve a stabilire se l’intervento realizzato ha
davvero risposto adeguatamente ai bisogni che si intendeva affrontare e risolvere;
suggerisce spunti per integrare l’azione con altri interventi che ne rafforzino l’efficacia
complessiva o per mettere a fuoco altri problemi che interferiscono con essa ostacolandone
la realizzazione o limitandone l’efficacia. Ancora, l’autovalutazione di Istituto è essenziale
per stabilire se le soluzioni adottate funzionano e possono perciò essere applicate
stabilmente o su larga scala; per riconoscere le condizioni alle quali sono realmente efficaci
o anche di quali adattamenti hanno bisogno per essere traslate in diversi contesti.
Tutto ciò invita però a tenere conto sia del fatto che il mancato raggiungimento di un unico
obiettivo non debba decretare l’inefficacia assoluta del programma, sia della possibilità di
aver raggiunto a tal punto i risultati previsti da evidenziare un’eccessiva modestia degli
obiettivi, che devono conseguentemente essere spostati più in alto.
Il punto di partenza della qualità nella scuola dell’autonomia è dunque costituito
dall’autoanalisi e dall’autovalutazione dell’efficacia e dell’efficienza del servizio erogato da
ciascuna scuola, e quindi delle scelte decisionali “autonomamente” effettuate. Le strategie
auto valutative divengono così lo strumento con cui ogni scuola interrogando se stessa, il
proprio funzionamento e i propri referenti esterni può riconoscere la sua peculiarità e i suoi
difetti, ponendovi conseguentemente rimedio.

Attivismo pedagogico
L'attivismo pedagogico è un metodo educativo che ebbe origine alla fine del XIX secolo,
prevalentemente ad opera del filosofo Americano John Dewey.
L'influenza di Dewey nella pedagogia moderna, americana ed europea, è stata paragonata a
quella di Jean-Jacques Rousseau nell'Ottocento.
Cenni storici
A precedere l'attivismo pedagogico furono alcuni college progressisti inglesi, ad esempio
quello di Reddie in cui si cercava di generare una relazione tra insegnanti e studenti in modo
da evitare la tipica rivalità e facendo in modo di evitare tecniche mnemoniche per
l'apprendimento, si proponevano gite e viaggi d'istruzione, attività sportive e scientifiche,
lavori manuali e apprendimento di lingue straniere. Altri sperimentatori furono Badley, che
si staccò dal college di Reddie, Lietz in Germania con una scuola radicale e Desmolins con
la sua Ecolé des Roches, il quale affermava che il professore dovesse comportarsi come un
padre di famiglia per i suoi studenti.
Il primo esperimento pedagogico di Dewey fu la fondazione di una scuola elementare a
Chicago nel biennio 1894-1896, essenzialmente basata sulla concezione di Friedrich
Froebel.
L'Attivismo ha come scopo la creazione di una scuola non convenzionale, non impostata sul
nozionismo e sull'ascolto passivo degli insegnanti o lo studio individuale come erano state
le scuole sino ad allora, bensì eretta sugli interessi dei discenti. In altre parole, una scuola
secondo la psicologia dell'alunno e non del maestro.
13
La nuova pedagogia, secondo Dewey, deve mirare al metodo e abbandonare ogni contenuto
prefissato, puntando non solo allo studio dei fatti della storia passata ma anche e soprattutto
all'analisi dell'azione futura. Le nozioni sono fini a se stesse in quanto mutevoli, ciò che
realmente conta è la ricerca e lo sviluppo delle capacità critiche. L'indagine tramite
l'esperienza diretta è la sintesi di questo metodo.
Molto vicino alle idee di Dewey sarà il metodo Montessoriano ad opera di Maria
Montessori.
Caratteristiche dell'Attivismo Pedagogico

Puerocentrismo: mentre precedentemente l'educatore era spinto a rendere il bambino
adulto il prima possibile, ci si concentra sull'importanza dell'infanzia

Importanza della psicologia: l'avvento della ricerca psicologica aveva spinto la
pedagogia a ripensare i suoi limiti, legandosi più fortemente a quelle che erano state le
scoperte per quanto riguarda l'apprendimento e lo sviluppo

Insegnante come guida: l'insegnante non era più visto come la persona che doveva
trasmettere delle conoscenze, quanto la guida nel processo di scoperta del fanciullo.

Legame Interesse/Bisogni: a seconda degli interessi e dei bisogni del bambino,
l'educatore avrebbe personalizzato il suo insegnamento

Legame Insegnamento/Vita: la scuola non doveva essere una parte separata della vita,
ma servire per la vita; alcuni radicali affermarono che la scuola stessa era vita.

Intelligenza Operativa: il bambino andava stimolato ad utilizzare la propria
intelligenza attraverso dei laboratori (es. di giardinaggio, di scultura, di pittura)

Vygtosky e la competenza sociale
Vygotskij costruì una visione storico-culturale della psicologia evolutiva dando rilevanza
alle attività mentali più alte, come il pensiero, la memoria e il ragionamento; estese le tesi di
Marx ed Engels allo sviluppo umano secondo cui gli uomini trasformano se stessi attraverso
il lavoro e l’uso di strumenti.
Il modo di produzione economica determina le condizioni di lavoro delle persone e le
interazioni sociali, che a loro volta ne influenzano le cognizioni: stili cognitivi,
atteggiamenti, percezione della realtà e convinzioni. Sono le interazioni con altre persone
all’interno dei vari contesti sociali e gli “strumenti psicologici”, come il linguaggio, usati in
queste interazioni che plasmano il pensiero del bambino. L’azione fatta con strumenti crea il
pensiero.
Secondo la concezione contestualista di Vygotskij, gli individui sono inseriti all’interno di
un tessuto sociale o contesto; di conseguenza, il comportamento umano non può essere
studiato avulso da tale tessuto sociale. Dal punto di vista evolutivo, il contesto definisce e
plasma il bambino, rendendo lo sviluppo psicologico un processo di interiorizzazione di
attività funzionale allo sviluppo della vita sociale e alla mediazione tra le persone.
La cultura consiste di credenze, valori, conoscenze, abilità, relazioni strutturate, modi e
sistemi simbolici, ma comprende anche ambienti fisici ed oggetti. E’ la risposta di un
gruppo al proprio contesto ecologico e fisico, che privilegia certe forme di attività
economica. Queste attività impongono una particolare organizzazione sociale e divisione
del lavoro, che a loro volta influenzano le pratiche educative dei bambini.
Lo sviluppo psicologico, dunque, avviene sempre nel contesto di una cultura (che lo
influenza) e attraverso lo scambio e la comunicazione con gli altri.
Su questa base, Vygotskij individua una stretta relazione tra sviluppo e apprendimento: egli,
infatti, considera il bambino come un costruttore attivo delle sue conoscenze, all’interno
14
però di un contesto socio-culturale che gliene offre gli strumenti. Per meglio delineare
questa posizione, Vygotskij si serve del concetto di “zona di sviluppo prossimale”.
La zona di sviluppo prossimale viene definita come la distanza tra “il livello attuale di
sviluppo, così come è determinato dal problem-solving autonomo”, e il livello più alto di
“sviluppo potenziale, così come è determinato attraverso il problem-solving sotto la guida di
un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci”.
Questo processo, dunque, prevede che una persona più competente collabora con il bambino
al fine di aiutarlo a muoversi dal punto in cui si trova al punto dove può trovarsi facendosi
aiutare. Cioè l’adulto più abile si basa sulla competenza che il bambino già possiede e gli
presenta delle attività che richiedono un livello di capacità lievemente al di sopra di dove si
trova ora il bambino.
Questa persona, fungendo da modello, guida e indirizza il bambino, attraverso la
partecipazione collaborativa, l’incoraggiamento, la discussione , il confronto.
La zona di sviluppo prossimale si differenzia dal livello reale di sviluppo, perché mentre
questo caratterizza lo sviluppo retrospettivamente, la zona di sviluppo prossimale lo
caratterizza prospettivamente. Vygotskij ritiene infatti, che l’educazione dovrebbe essere
basata sul livello potenziale dei bambini, piuttosto che su quello reale
Vygotskij crede che lo sviluppo possa venire compreso solo osservando direttamente il
processo di cambiamento, e non un bambino statico. Egli, infatti, osserva direttamente la
successione di azioni e pensieri del bambino mentre cerca di risolvere un problema.
Un modo per valutare la zsp è quello di fornire una singola informazione e osservare i
miglioramenti del bambino, oppure si può presentare, durante la fase in cui c’è l’aiuto
dell’adulto, quegli aspetti del problema che il bambino inizialmente non aveva capito.
Vygotskij, quindi nei suoi studi, osserva i cambiamenti che si verificano durante una o più
sedute sperimentali. Tale metodo è chiamato microgenetico.
L’apprendimento all’interno della ZSP avviene grazie all’intersoggettività, ovvero un modo
comune di vedere le cose basato su un punto sul quale concentrare l’attenzione e su un
obiettivo che il bambino e la persona più competente condividono.
E’ importante sottolineare che, secondo Vygotskij, all’interno della zsp il comportamento
del bambino e quello dell’adulto si influenzano in maniera reciproca, l’educazione quindi
non è unidirezionale. I bambini, infatti, contribuiscono attivamente in quanto motivati ad
imparare, invitano l’adulto a partecipare e in maniera graduale si assumono una maggiore
responsabilità nel portare avanti l’attività. E l’adulto adatta il livello di aiuto alla risposta del
bambino.
Bronfenbrenner ha identificato quattro modalità in cui il temperamento dei bambini plasma
attivamente i loro contesti sociali:

gli attributi personali incoraggiano o meno le reazioni altrui: per esempio un bambino
schizzinoso può essere più facilmente rifiutato dagli adulti che non un bambino felice e
sorridente

i bambini mostrano differenze individuali nella tendenza ad avvicinarsi e ad evitare
aspetti particolari del mondo fisico e sociale.

i bambini si differenziano anche per la tendenza ad impegnarsi in attività sempre più
complesse

le differenze di età e individuali si manifestano anche nelle concezioni che i bambini
hanno rispetto al proprio potere di raggiungere gli obiettivi e controllare i propri successi e
fallimenti.
15
Nelle situazioni di apprendimento l’adulto può svolgere alternativamente 2 ruoli: uno di
tutor e l’altro di didatta. Nel primo caso, l’adulto si lascia guidare dagli interessi del
bambino, nel secondo caso, invece, è l’adulto che guida l’acquisizione delle conoscenze del
bambino verso aree che egli stesso sceglie.
La condizione ideale è quella in cui il ruolo dell’adulto risulta calibrato, nel senso che nelle
fasi iniziali di risoluzione di un compito l’adulto svolge gran parte della prova, mentre nelle
fasi successive riduce il suo intervento e lascia spazio al bambino per consentirgli di arrivare
autonomamente alla soluzione. Questa relazione bambino/adulto, che si sviluppa a livello
interpsichico, porta il bambino ad interiorizzare i contenuti della relazione stessa, passando
dunque da un piano interpsichico ad un piano intrapsichico. I bambini diventano sempre più
autonomi nella risoluzione dei problemi invece che farsi correggere dagli altri. Un esempio
pratico che testimonia il passaggio dal livello interpsichico a quello intrapsichico è
rappresentato dal linguaggio.
In primo luogo, Vygotskij considera il linguaggio come un fattore funzionale allo sviluppo
cognitivo. Lo studioso, infatti, individua nel linguaggio lo strumento psicologico che libera
l’individuo dall’esperienza percettiva immediata e gli consente di rappresentare il non visto,
il passato e il futuro; il linguaggio si trova in relazione dinamica con il pensiero, nel senso
che la comprensione e la produzione del linguaggio trasformano e influenzano i processi di
pensiero.
Di conseguenza, pur avendo un’origine indipendente, linguaggio e pensiero si integrano in
un processo di reciproco influenzamento divenendo strutturalmente interdipendenti.
Stando a questa ipotesi, il linguaggio non servirebbe soltanto a verbalizzare ciò che si pensa,
ma eserciterebbe una funzione regolatrice sul funzionamento del pensiero e del suo sviluppo.
Il linguaggio per Vygotskij assolve, in partenza, soltanto una funzione sociale in quanto
viene utilizzato dal bambino per stabilire scambi comunicativi con la realtà esterna;
l’interiorizzazione del linguaggio è un passaggio evolutivo cruciale, poiché consente la
formazione delle funzioni psichiche superiori. Vygotskij, infatti, sostiene che gli uomini
creano se stessi attraverso l’attività, fanno uso quindi di strumenti psicologici e tecnici. Il
gruppo dei coetanei e gli adulti favoriscono questo processo di autoformazione, aiutando i
bambini ad imparare l’uso degli strumenti psicologici e tecnici della loro cultura.
Gli strumenti psicologici sono i sistemi linguistici, quelli di numerazione, la scrittura ecc. e
vengono usati per controllare il pensiero o il comportamento. Tali strumenti trasformano le
funzioni mentali elementari, capacità mentali che abbiamo in comune con gli altri animali,
in funzioni mentali superiori, il pensiero logico e astratto, appunto attraverso il linguaggio.
Stando a questa prospettiva, le funzioni mentali superiori comparirebbero due volte nel
corso dell’ontogenesi: prima come funzioni sociali e interpsicologiche che richiedono
quindi il supporto degli altri individui; successivamente diventano individuali o
intrapsicologiche grazie a un processo di interiorizzazione.
Ne consegue, quindi, che la direzione dello sviluppo procede dall’esterno verso l’interno.
Il linguaggio trasforma anche il modo in cui i bambini usano gli strumenti tecnici. Esso
riorganizza e controlla il loro comportamento con questi oggetti, permettendo così nuove
forme di soluzione dei problemi.
Vygotskij suggerì che inizialmente linguaggio e pensiero sono indipendenti, poi cominciano
a fondersi intorno ai due anni di età. A tre anni circa, invece, il linguaggio interpersonale si
scinde in un linguaggio comunicativo verso gli altri e in un
1. linguaggio egocentrico, un dialogo udibile che il bambino porta avanti con se stesso.
In questo tipo di linguaggio il bambino parla da solo ad alta voce, ma usa il
16
linguaggio per guidare il pensiero, risolvere un problema e pianificare le proprie
azioni. Il linguaggio egocentrico è parlato perché i bambini non differenziano ancora
il linguaggio rivolto verso gli altri e quello per sé. Tale linguaggio facilita
l’apprendimento e non scompare mai completamente, gli adulti lo usano a volte per
dirigere compiti difficili.
2. All’età di sette/otto anni, il linguaggio egocentrico diventa linguaggio interiore. I
bambini possono pensare in silenzio, nonostante il linguaggio interiore sia più
abbreviato e frammentato di quello parlato. Il linguaggio interiore può essere
considerato come una forma di pensiero logico, analitico e sequenziale che si
struttura utilizzando regole della lingua, le parole e i loro significati. Il bambino
crescendo affina le sue capacità di comunicazione verbale, interiorizza
progressivamente il linguaggio fino a farne il mezzo d’espressione dei suoi pensieri
personali. In una fase iniziale, l’utilizzo delle parole per esprimere il proprio pensiero
può comportare anche l’uso di muscoli vocali, ma col tempo il bambino impara ad
usare solo mentalmente le parole. Questa forma di pensiero, che utilizza simboli in
origine acquisiti come parole, viene definito pensiero verbale.
Il linguaggio dà una fortissima spinta alla cognizione permettendo forme di pensiero
che non sono possibili senza l’aiuto del linguaggio. Vygotskij ritiene che si
attraversino tre stadi per lo sviluppo concettuale:

categorie non organizzate: ad esempio un raggruppamento fatto a caso

complessi

concetti che possono essere scientifici, ossia concetti definiti in maniera logica, che
possono avere un contenuto sociale oltre che matematico e scientifico, e spontanei che
invece si riferiscono a concetti concreti e intuitivi basati sull’esperienza quotidiana.
I concetti scientifici vengono trasmessi dal contesto scolastico e ad un certo punto si
fondono con quelli intuitivi che provengono invece dal bambino.
Quando i concetti intuitivi vengono trasformati in concetti scientifici, vengono
decontestualizzati, tolti dall’esperienza concreta del bambino e messi in un sistema formale
privo di contesto. Essendo i contestualisti convinti che lo studio del bambino non possa
essere avulso dallo studio del contesto in cui è inserito, hanno mostrato molto interesse,
nell’andare a osservare tutto ciò che riguarda lo sviluppo del bambino, in termini di zona di
sviluppo prossimale, per la ricerca cross-culturale. Vanno, infatti, ad osservare le stesse
modalità di interazione tra adulto e bambino, in culture differenti. Tali ricerche mostrano
che alcuni comportamenti e stadi dei bambini e le attività educative non sono universali, ma
sono il prodotto di particolari circostanze socio-storico-culturali

Meta cognizione
Con metacognizione si indica un costrutto teorico molto utilizzato in ambito psicologico ed
educativo. La metacognizione indica un tipo di autoriflessività sul fenomeno cognitivo,
attuabile grazie alla possibilità - molto probabilmente peculiare della specie umana - di
distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali. L'attività metacognitiva ci
permette, tra l'altro, di controllare i nostri pensieri, e quindi anche di conoscere e dirigere i
nostri processi di apprendimento.
Come accennato, in termini epistemologici, una "teoria della mente" è un paradigma
esplicativo della struttura e dei processi funzionali della mente umana, intesa come entità
funzionale autonoma. Al variare delle epoche e dei paradigmi filosofici, culturali, scientifici
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e storico-psicologici di riferimento, sono variate le ipotesi e le modellizzazioni diffuse "su
cosa fosse e come funzionasse la mente".
In termini cognitivi, è la fondamentale capacità umana di comprendere e riflettere sul
proprio e l'altrui stato mentale, e sulle proprie ed altrui percezioni, riuscendo così a
prevedere il proprio e l'altrui comportamento. È questo il significato che viene sviluppato
nell'ambito degli studi metacognitivi.
La percezione comprende sensazioni, credenze, sentimenti, disagi, ecc.
Tale abilità cognitiva si acquisisce normalmente intorno ai 3-4 anni e gli adulti ne fanno uso
nella vita di tutti i giorni senza averne consapevolezza.
Se una coerente teoria della mente non si forma adeguatamente nel bambino, possono
svilupparsi deficit e patologie molto serie: molti studiosi ad esempio ritengono che l'autismo
possa collegarsi ad un deficit in termini di costruzione e rappresentazione interna della
propria teoria della mente.
Per verificare la comparsa di una coerente teoria della mente è possibile effettuare alcuni
test psicologici, come quello della falsa credenza.
Per comprendere appieno cos’è la metacognizione è fondamentale esplicitare alcuni
concetti base:
· Conoscenze metacognitive generale: è l’atteggiamento della persona che riflette sul
funzionamento dei propri processi di pensiero;
· Conoscenze metacognitive specifiche: sono i concetti e le informazioni che la persona
possiede inerenti il funzionamento intellettivo;
· Processi metacognitivi di controllo: sono le operazione attraverso le quali il soggetto
verifica i propri processi cognitivi, influenzate sia dalla conoscenza metacognitive generale
che specifica.
Ma cosa significa tutto ciò dal punto di vista applicativo?
Un soggetto che “usa” bene la metacognizione è una persona che riesce a porsi almeno tre
domande fondamentali durante l’esecuzione di qualsiasi attività di problem solving:
1.
Cosa sto facendo?
2.
Perché lo sto facendo? Qual è lo scopo per cui sto facendo questa determinata cosa?
3.
Come posso agire per fare in modo che tale processo sia massimamente efficace?
Si può quindi affermare che la metacognizione è uno strumento di apprendimento
mediante il quale si rendono le persone consapevoli del modo in cui affrontano i
compiti cognitivi, e si insegna a gestire in modo efficace i processi che mettono in atto.
Per raggiungere tali risultati, bisogna che le persone siano informate sulla struttura generale
dei diversi tipi di memoria, bisogna conoscere i modi con cui una informazione viene
immagazzinata nella memoria e come viene recuperata, bisogna conoscere i limiti di tutto
questo.
Ma non solo.
L’autoconsapevolezza deve basarsi anche sulla distinzione tra la valutazione di se stesso
come persona e la valutazione del proprio comportamento.
Cosa vuol dire questo?
Vuol dire che il proprio comportamento non coincide con la persona e, tenere questi due
ambiti uniti, potrebbe creare delle difficoltà di autostima. E’ importante infatti osservare il
comportamento in sé e mai la persona, e poter offrire delle modalità di confronto positivo
tra le strategie che risultano non efficaci e quelle invece che lo sono, ed insegnare alla
persona ad autointerrogarsi sul proprio modo di procedere.
E’ quindi importante imparare (ed insegnare) a porsi domande come:
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«Sono concentrato?», «Sto incominciando a stancarmi?», «Come faccio a memorizzare gli
elementi più importanti?», «Tendo a distrarmi?»…
In generale, l’applicazione delle tecniche metacognitive nella didattica hanno
riguardato soprattutto l’attenzione, la memoria, la lettura e la scrittura.
Le ricerche in questi ambiti hanno confermato che le prestazioni degli studenti che hanno
una buona consapevolezza metacognitiva, in generale, sono migliori poiché il compito viene
affrontato con maggior coinvolgimento personale.
La variabile emotivo-motivazionale appare quindi avere un ruolo fondamentale, poiché
motore di tutto lo stile di funzionamento della persona. Tale variabile si poggia direttamente
sulla fiducia nelle proprie capacità di portare a termine con successo delle attività, che
prende il nome di autoefficacia.
La percezione che si ha della propria autoefficacia (che si struttura in base ai successi o agli
insuccessi e alla causa che attribuiamo all’uno o all’altro) influenza il comportamento che si
può avere di fronte ad un compito.
Ad esempio: in un qualsiasi evento, gli ostacoli o le difficoltà che possono presentarsi, sono
percepiti come stimolanti per un maggior impegno nel superarli da chi ha un alto grado di
autoefficacia (cioè si sente competente), mentre sono percepiti veramente difficoltosi,
spesso con la conseguenza di un abbandono del compito o comunque di un successo, da chi
ha un basso grado di autoefficacia.
La percezione che si ha della propria autoefficacia può cambiare nel tempo. Ciò avviene
grazie ai rinforzi che si ricevono, alle persone che dimostrano di credere nelle abilità
dell’altro, dai precedenti successi, l’importante è attribuire (e imparare ad attribuire) ai
successi la propria competenza.
Quindi, la metacognizione e la motivazione si influenzano a vicenda influenzando a loro
volta i processi di apprendimento.
E’ perciò importante nell’insegnamento di queste tecniche il modo con cui l’insegnante, o
un “operatore” in generale, trasmette questi concetti.
Non bisogna solo essere dei “trasmettitori di sapere”, ma è vitale riuscire a trasmettere il
messaggio, a chi ci sta di fronte, del valore che riveste per se stesso e per gli altri.
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