Hegel sic et simpliciter

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Hegel
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), pervenne lentamente alla costruzione del suo immenso
sistema filosofico che fu in grado di influenzare la filosofia in modo definitivo, al pari di Aristotele o di
Kant. I suoi scritti più importanti sono La fenomenologia dello Spirito (1807), nella cui prefazione
prendeva le distanze dalla dottrina di Schelling, La scienza della Logica (1812-1816) e L’enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio ( 1817) che è la sua opera più sistematica. A Berlino pubblicò i
Lineamenti di filosofia del diritto ossia diritto naturale e scienza dello stato (1821). Morì in questa città
per un’infezione di colera.
Gli scritti giovanili (1793-1801).
I suoi scritti giovanili, scoperti e riproposti soltanto di recente, rivelano il debito di Hegel con
l’Illuminismo e la tradizione cristiana, con i quali si confrontò direttamente.
I più importanti sono:
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Vita di Gesù.
Positività della religione cristiana.
Lo spirito del cristianesimo e il suo destino.
Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling: la prima opera teoretica composta a
Jena, nel 1801, dove Hegel rileva la superiorità del sistema di Schelling, in quanto restituisce alla natura
l’importanza negatale da Fichte (che l’aveva ridotta a semplice “immagine prodotta”, non a realtà
esistente in sé) giungendo ad una filosofia dell’assoluta identità tra l’Io e la natura,
I capisaldi del sistema.
1. Il rapporto finito/infinito: “Il Vero è l’Intero”
Questa formula, contenuta nella prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, riassume l’intento
speculativo di Hegel di spiegare la realtà attraverso la congiunzione delle opposizioni di “finito” e
“infinito”, di “universale e particolare”, di “unità e molteplicità”. La Realtà, risiede nella loro Unità.
“Ciò che è vero” (= ciò che è dotato di senso), per Hegel, è soltanto la Totalità. La totalità, essendo “il
tutto”, non ha nulla al di fuori di sé e quindi coincide con l’infinito (che Hegel chiama anche Idea o
Ragione o Spirito). Soltanto in questo Tutto (= o “l’Intero”) risiede la vera realtà (Wirklichkeit) che
non è da intendersi come un insieme disordinato di sostanze autonome, un ammasso di parti alla rinfusa
(Realitaet), ma un organismo unitario, che in senso ontologico coincide con l’essere. Come in fisiologia
possiamo comprendere la funzione di un organo soltanto contestualizzandolo in un corpo, così la
filosofia può capire il contingente, il “finito”, solo analizzandolo come parte di un Tutto.. Il tutto, per
Hegel, come per Aristotele, è maggiore della somma delle parti. Tali parti, però, sono dette “Il finito”,
solo impropriamente, dato che, tecnicamente, il finito non esiste, perché ciò che chiamiamo “finito” è
soltanto un’espressione parziale dell’Infinito, è una parte del tutto. Sul piano ontologico (= dell’Essere
nella sua globalità), soltanto l’Intero, il tutto, per Hegel, è vivente. E lo è non in maniera accidentale e
provvisoria, come qualunque individualità particolare (= gli esseri che nuotano, corrono, strisciano,
volano sulla terra, che rappresentano il finito), ma è vivente nel senso che è vivente “assoluto”, al di
fuori di esso non c’è nulla e non conosce morte.
2. Il rapporto ragione/realtà: “Ciò che è reale è razionale; ciò che è razionale è reale”
Questo aforisma riassume il senso stesso dell’Hegelismo e significa che la razionalità è la sostanza stessa
di ciò che esiste. La realtà e la ragione coincidono.
Tutto ciò che esiste, l’universo, le stelle, la natura, le persone, la civiltà, tutto ciò che è, che è stato e che
ancora non conosciamo: questo è il Reale. Esso è Rale perché è “tutto ciò che esiste” è l’Intero. Questo
“Tutto”, dal punto di vista ontologico, è un soggetto vivente, ossia dotato di Spirito, che Hegel identifica
con la pura razionalità (= Ragione). Il modello monistico di Hegel, a differenza di quello spinoziano che
1
considerava la Natura come una sostanza unica, sì ma anche statica, concepisce la realtà non come
“sostanza”, ma come Soggetto spirituale in fieri (= in divenire), che, tramite un lungo percorso di ri-cono-sci-men-to, tende alla consapevolezza di sé e si riconosce come Spirito. La realtà è ragione in
Abbiamo detto che la Realtà coincide con la Ragione. Fin qui ci siamo. Ma… “La Ragione”, di cui Hegel
parla, cos’è? La razionalità per Hegel non è semplice prerogativa umana, la facoltà che consente
all’uomo di interpretare il mondo a suo modo e di imprimergli una forma (alla maniera dell’Intelletto di
Kant, cha attraverso le categorie imprime un ordine alla realtà). No. L’uomo possiede la ragione perché
essa è anche nel mondo. La struttura della realtà è intelligibile, per l’uomo, perché coincide esattamente
con la struttura della ragione umana. La realtà, l’Assoluto, lo Spirito, non è una materia caotica alla quale
l’essere umano, il soggetto, imprime una regola, ma è il dispiegarsi stesso di una struttura razionale che è
già razionale anche fuori dall’uomo, la quale, in modo inconsapevole, si manifesta nella natura ed in
modo consapevole nell’uomo.1 A differenza di quel che pensava Kant, Hegel afferma che quel che
vediamo, udiamo o percepiamo, lo vediamo, udiamo e percepiamo perché la realtà è esattamente così
come ci appare dato che la nostra ragione è la stessa ragione che dà la forma al mondo. (… Alt! chi
prima degli idealisti aveva affermato che il logos, la ragione, regge il mondo?).
Tale sostanziale identità (di ragione e realtà) → implica anche quella, conseguente, tra essere e dover
essere, in quanto ciò che “è” risulta esattamente ciò che razionalmente “deve essere”. Infatti, si domanda
Hegel, questo Reale (così reale in quanto intero), è necessario o puramente fortuito? Potrebbe ciò che
esiste (che è esistito o esisterà) essere diverso da com’è (com’è stato e come sarà)? Insomma, esiste il
caso (l’accidentale) o il mondo è retto solo dalla necessità? (Ananke per i greci).
Per Hegel, il mondo si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono essere
diversi da ciò che sono. La realtà è una totalità processuale necessaria, formata da una serie
ascendente di “gradi”, che rappresentano ognuno il risultato di quelli precedenti ed il presupposto di
quelli seguenti, non c’è spazio per la casualità. L’idea di Hegel è che tutto ciò che è reale (tutto ciò che
esiste in natura e tutti gli eventi della storia umana) è di per sé razionale e quindi necessario. La Ragione
non è pura astrazione, bensì governa il mondo e lo costituisce.
“Ciò che è reale è razionale” significa, per Hegel, che quello che è è e-sat-ta-men-te ciò che deve essere:
ossia, ogni fatto che si manifesta del mondo risponde a una legge razionale; nulla è casuale, tutto ha
una sua logica, il giusto e l’ingiusto, ciò che sembra assurdo e ciò che non lo è. Ogni cosa è quindi
giustificata e trova giustificazione. Tutto ciò che ha in sé una razionalità assoluta non solo esiste ma non
può non esistere.
3. La funzione della filosofia: “La filosofia è come la nottola di Minerva che inizia il
suo volo sul far del crepuscolo”.
L’identità assoluta della realtà con la ragione porta con sé la conseguenza che compito della filosofia sia
l’occuparsi del ciò che è e non del ciò che dovrebbe essere.
“Ciò che è” è la Ragione e “intendere ciò che è” è il compito della Filosofia. Essa ha la funzione di
prendere atto della realtà e comprenderne le strutture razionali che la compongono. La filosofia,
insomma, non deve immaginare come dovrebbe essere il mondo ma limitarsi a spiegarlo.
“La filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta
nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. [...] La
nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.2 Con ciò il pensatore tedesco intende
significare che la filosofia giunge a comprendere una condizione storica solo dopo che questa è già
trascorsa. “Rinunciare alla pretesa di plasmare la realtà e limitarsi a giustificarla razionalmente,
questo il ruolo della filosofia”. Essa arriva quando la realtà ha già compiuto il suo processo di
formazione.3 Infatti la filosofia è l’ultima e la più alta manifestazione del dispiegarsi della razionalità
nella storia umana, che supera l’arte e la religione, quali tentativi di spiegare la realtà. Abbiamo detto,
tutto ciò che è avvenuto non è avvenuto per caso; tutto ciò che avviene ha una profonda ragione d’essere
Noi riconosciamo come razionale il moto degli astri perché esso è dotato di ragione!!! (Con buona pace della “rivoluzione
copernicana” di Kant!!!).
2
G.W.F. Hegel Lineamenti di filosofia del diritto, Prefazione, Bari, Laterza, 1965, pag. 17.
3
La nottola, la civetta, il simbolo dell’intelligenza di Minerva, Athena, la dea della razionalità. Gli occhi ed il becco
sintetizzavano la lettera φ (phi) simbolo della filosofia.
1
2
ed il mondo non potrebbe essere diverso da come è. Appare evidente quindi, anche ad una prima
sommaria lettura, che l’hegelismo può, a ragione, essere interpretato come “giustificazionismo”,
nonostante l’interpretazione che di alcuni pensatori, da Engels a Marcuse, che hanno fornito una acuta
lettura di Hegel in senso rivoluzionario o socialmente dinamico.
Il discorso sulla dinamicità della filosofia di Hegel c’introduce direttamente nel cuore del suo pensiero.
Contro la pretesa romantica di cogliere immediatamente l’Assoluto attraverso il sentimento, l’intuizione o
la fede Hegel afferma che questo si può cogliere con un metodo razionale, quello della Dialettica.
La Dialettica.
☺ Per Hegel, la dialettica è una “regola” applicabile tanto alla realtà quanto al pensiero umano. Essa è,
al contempo, la legge di sviluppo della realtà e la legge di comprensione della medesima.
1. La Dialettica della Realtà
Abbiamo detto che la Realtà, per Hegel (= come era per Schelling) è un divenire, ossia un farsi man
mano di quello Spirito che egli chiama anche Idea o Ragione. Tale divenire dello Spirito è ciò che Hegel
indica con l’antico termine di Dialettica e consiste nella sequenza dei tre stadi che gli storici della
filosofia posteriore ad Hegel, hanno schematizzato nei termini di Tesi, Antitesi e Sintesi, termini che
Hegel per la verità non ha mai utilizzato.
La Tesi (= affermazione), l’Antitesi (= negazione) e la Sintesi (= l’unificazione comprensiva delle prime
due) costituiscono i tre momenti della dialettica hegeliana, esposta nella sua Enciclopedia, che, su
modello fichteiano, avrà tanta fortuna nella filosofia posteriore.
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La Tesi: (= è ciò che Hegel chiama l’Idea in sé, o Idea Pura).

L’Antitesi: (= l’Idea fuori di sé).

La Sintesi: (= l’Idea che ritorna in sé o idea in sé e per sé).
Ma cosa significa?
Serviamoci di un esempio proposto da Hegel stesso:


 L’idea in sé, secondo il paragone di Hegel, corrisponde a “Dio prima della creazione”. O meglio al
programma di sviluppo del mondo, un progetto che non è imposto dall’esterno perché è un progetto
immanente (= interno) al mondo stesso. 4
 L’idea fuori di sé è la Natura, l’estrinsecazione dell’Idea nella realtà spazio-temporale del mondo: è
l’applicazione del programma.
 L’Idea che ritorna in sé è lo Spirito. Lo Spirito è l’Idea (= il programma) che, dopo essere uscita da sé
facendosi natura (= l’Antitesi), torna presso di sé con l’intelligenza dell’uomo (la Sintesi).
Idea, Natura , Spirito (Tesi, Antitesi, Sintesi). Tre nomi diversi per tre diversi momenti dello
svolgersi dell’essere che è Logos. L’idea ha in sé il principio del proprio svolgimento e prima esce fuori
di sé divenendo Natura, poi supera questa alienazione e ritorna a sé medesima come Spirito.
Ovviamente vale per Hegel il discorso fatto per Schelling, ossia che questa triade non è da intendersi in
senso cronologico, come se prima ci fosse l’Idea in sé, poi la Natura e infine lo Spirito, ma in senso
logico. Ciò che concretamente esiste è lo Spirito che ha come co-eterna condizione la Natura e come
co-eterno presupposto il programma rappresentato dall’Idea pura.5
Hegel applica la dottrina del divenire dialettico a qualsivoglia elemento della realtà, ogni aspetto della
realtà si afferma, si nega e si supera. Quindi la trasformazione dialettica è una legge universale. Per
esistere, ogni cosa deve trasformarsi, cambiare, dunque questo implica che ogni cosa debba negare se
stessa, per poi trovare una sintesi. Hegel insomma condivide l’idea di Eraclito che ogni essere,
esistendo, realizza un’unità di contrari. Pensare la realtà significa pensarla dialetticamente,
interpretarla come una totalità processuale che procede secondo lo schema triadico.
L’espressione, che è di Hegel, non deve trarre in inganno perché l’assoluto hegeliano è un Infinito Immanente, che non crea il
mondo perché è il mondo.
5
Questo concetto non contraddice quello di “dinamicità” o progressione, perché Idea, Natura e Spirito sono co-esistenti e
svolgono la loro azione continuativamente e contemporaneamente.
4
3
2. La Dialettica del Pensiero
Come funziona il pensiero dell’uomo?
Anche il pensiero soggiace alla dialettica, ossia si presenta diviso in tre “aspetti”.
 L’aspetto Astratto, consiste nel concepire ogni determinazione, “come se fosse” separata dalle altre (=
in sé). Questo è il momento più basso del pensiero, proprio dell’Intelletto, che riesce a considerare la
realtà soltanto come molteplicità di cose divise le une dalle altre e viste solo in base alle loro differenze,
secondo l’antico principio “d’identità e non contraddizione” (= per cui ogni cosa è se stessa e
assolutamente separata dalle altre). A questo momento corrisponde la Tesi.6
 L’ aspetto Dialettico, che dà il nome a tutto il procedimento, mostra l’insufficienza del principio
d’identità, tipico dell’Intelletto e la necessità di un suo superamento, semplicemente dimostrando come,
ad ogni affermazione, corrisponda ne-ces-sa-ria-men-te una negazione perché, per specificare ciò che
una cosa è, occorre, implicitamente, riferirsi a ciò che essa non è (ad esempio, il concetto di uno, per
essere chiarito, deve essere messo in contrapposizione a quello di molti, il concetto di bene a quello di
male, il concetto di quiete a quello di movimento e così via): a questo momento corrisponde l’Antitesi.
 L’aspetto Speculativo, consiste nel cogliere l’unità delle opposte determinazioni, che altro non sono se
non aspetti unilaterali di una realtà più ampia che li comprende e li sintetizza: a questo ultimo aspetto
corrisponde la Sintesi. La sintesi è il momento più alto del pensiero razionale ed è una ri-affermazione
della affermazione iniziale, potenziata tramite l’azione della negazione intermedia. Questa unificazione,
questa sintesi, è da Hegel chiamata Aufhebung, termine che possiede il doppio significato di togliere e
conservare.
Considerazioni finali
1) La dialettica illustra il principio fondamentale della filosofia di Hegel: la risoluzione del finito nell’infinito,
perché ci mostra come ogni spicchio di realtà, il finito, non possa esistere se non in un contesto di rapporti, in una
trama di relazioni che forma il tutto infinito.
2) La dialettica esprime una concezione ottimistica del mondo perché ha il compito di unificare il molteplice
conciliando le opposizioni e quindi pacificando i conflitti. Il conflitto è un momento reale del mondo, certamente,
ma di passaggio: il negativo per Hegel esiste soltanto come aspetto necessario della successiva unificazione, la
sintesi,
3) Esiste però una fine di questo processo, una sintesi finale. Hegel, infatti, a differenza di Fichte, privilegia
l’idea un processo chiuso, perché spostando indefinitamente la meta da raggiungere lo Spirito non avrebbe mai il
pieno possesso di sé stesso. Questa soluzione di “chiusura” scontenterà alcuni dei suoi allievi, come Engels e
Croce, poiché introduce l’idea di uno “stagnante epilogo che annulla ogni attività creatrice”.
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
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Ai tre “momenti” dell’assoluto Hegel farà corrispondere le tre “sezioni” in cui divide il Sapere filosofico.
La Logica (la scienza dell’Idea pura), che corrisponde alla Tesi.
La filosofia della Natura, che corrisponde all’Antitesi.
La filosofia dello Spirito, che corrisponde alla Sintesi.
Le critiche ai predecessori.
1) Hegel polemizzò con gli illuministi, di cui criticò il concetto di ragione definendola un semplice
intelletto astratto, in quanto parziale strumento (adatto soltanto ad esprimere e ad analizzare la Realitaet)
con il quale i Philosophes, inoltre, pretendevano di dar lezioni alla storia, stabilendo come essa avrebbe
dovuto essere, mentre la realtà è sempre come dovrebbe essere.
2) Di conseguenza egli si trovò in disaccordo anche con Kant, che dell’Illuminismo fu il momento più alto
e completo. L’antitesi kantiana tra finito e infinito, il dualismo tra fenomeno e noumeno, tra realtà e
ragione e, in campo morale, tra essere e dovere essere, non è per Hegel tollerabile.
3) Nei confronti dei romantici, dei quali aveva fatto parte nel periodo di Francoforte, Hegel esprimerà forte
dissenso. In primo luogo contesta ad essi il primato conferito all’“arte” e alla “fede”, in nome della ferma
convinzione che soltanto la ragione possa trovare le risposte agli enigmi dell’esistenza. In secondo luogo,
egli contesta gli atteggiamenti individualistici ed intimistici di alcuni romantici affermando che
l’intellettuale non deve ripiegarsi nel proprio io, ma tener d’occhio l’oggettivo corso del mondo ed
integrarsi nelle istituzioni socio-politiche.
4) Nei riguardi di Fichte, l’accusa è di aver ridotto l’oggetto, la natura, a semplice ostacolo esterno all’Io,
col rischio di ricadere in un nuovo dualismo di tipo kantiano. A Fichte, inoltre, Hegel contesta l’ aver
È questo il momento del “mucchio di sassi”, un semplice coacervo di elementi slegati tra loro, amorfi e privi di unità. È il
momento della realitaet.
6
4
ridotto l’Infinito a semplice meta ideale dell’io finito, la cui spinta incessante, nel tentativo di raggiungere
tale meta ideale, si riduce ad un processo che non giunge mai ad un fine, si riduce a puro “tendere”
invano, ad uno Streben romantico. Fichte si muoverebbe, per Hegel, all’interno di una filosofia del
“cattivo infinito”, come sprezzantemente la chiama, ancora incapace di cogliere la piena coincidenza tra
finito e infinito, razionale e reale, essere e dovere essere, che costituisce la sostanza dell’idealismo e che
era stata invece colta da Schelling.
5) Anche Schelling però, nonostante Hegel ritenga il suo sistema superiore a quello di Fichte per i motivi
cui si è fatto cenno, non rimarrà escluso dal novero delle critiche. Nell’introduzione alla Fenomenologia
dello spirito Hegel lo biasimerà per aver concepito il suo Assoluto come mera identità indifferenziata di
Io e natura, vuota indifferenza di soggetto e oggetto, dalla quale rimane esclusa l’attività dialettica.
L’Assoluto di Schelling è criticato perché a-dialettico, un abisso vuoto che non sa dare il giusto valore al
negativo, “come una notte nella quale tutte le vacche sono nere”.
Nonostante Schelling abbia costruito il suo Assoluto all’insegna del “dio che diviene”, per Hegel tale
concetto è statico, poiché a-dialettico.
Per Hegel lo Spirito è Vita elevata a Coscienza. Vita perché lo Spirito, diversamente dagli individui che
lo costituiscono, non ha relazione alcuna con la morte, è eterno. Coscienza perché lo Spirito è vita
consapevole di se stessa. Tale coscienza non è data, una volta per tutte, ma implica un lungo percorso
dialettico di conquista.
Tale cammino dello Spirito, che giunge alla piena manifestazione di Sé, è stato esposto da Hegel in
due modi differenti.
1.
Il primo è una sorta di “romanzo”, descritto nella Fenomenologia dello Spirito, dove Hegel illustra la
“storia” del percorso che la coscienza ha dovuto affrontare per giungere ad afferrare questo principio.
2.
Il secondo modo è quello dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, che è l’opera più sistematica ed
accademica, nella quale vi è l’illustrazione della realtà così com’è, secondo Hegel.
La Fenomenologia dello Spirito.
Il saggio intitolato La Fenomenologia dello Spirito, 7 stampato nel 1807 a Jena, è la prima grande opera
di Hegel e narra la storia romanzata della coscienza, che, errando tra contrasti e scissioni esce dalla sua
individualità, raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione. 8
Attraverso una serie di Figure divenute famose, Hegel ripercorre le tappe e i gradi di formazione dello
Spirito il quale, progressivamente, acquisisce coscienza di sé, fino a riconoscersi come totalità
razionale. Lo Spirito, dopo un percorso lungo e faticoso, acquisisce la consapevolezza che le varie
espressioni particolari e finite del mondo altro non sono che sue manifestazioni. La Fenomenologia
coincide con il divenire del Sapere umano, della scienza e della filosofia.
Le Figure di Hegel.
Sono entità né totalmente ideali, né totalmente storiche ma ideali e storiche al contempo, in quanto
esprimono alcune condizioni ideali dello Spirito che hanno trovato una loro esemplificazione tipica nel
corso della Storia. Nella fenomenologia, infatti, Hegel ha inteso delineare una filosofia trascendentale
della coscienza (= ciò che di norma avviene in ogni coscienza) e, al tempo stesso, una storia complessiva
dello sviluppo culturale dell’umanità. Potremmo definire la figura hegeliana come archetipo ossia un
“modello originario” universale ed al contempo situazione concretamente realizzata nella storia.
Prima parte
A. Coscienza
B. Autocoscienza
C. Ragione
Schema
Seconda parte
Spirito
Religione
Filosofia (come sapere assoluto)
7
Probabilmente, la più complessa e delirante opera filosofica mai impressa su carta da pugno umano, della quale cercheremo
di dare una versione semplificata e comprensibile, intento nobile ma di dubbia realizzazione. Leggi la nota e dimenticatela.
8
Fenomenologia, la scienza di ciò che appare ( il termine deriva dal greco Phainomenon “apparenza” e Logos “discorso” e
“dottrina”).
5
Prima parte

La Coscienza.
L’attenzione qui è rivolta all’oggetto. L’individuo che conosce in questa fase è convinto che l’oggetto
abbia piena e autonoma realtà.

L’Autocoscienza.
È la sezione più interessante di tutta la Fenomenologia perché contiene le Figure più celebri della
filosofia hegeliana. Qui, il centro dell’attenzione si sposta dall’oggetto al “soggetto” e, qui Hegel non si
muove più solamente in ambito prettamente gnoseologico ma la sua indagine spazia in settori più vasti,
quali la società, la politica, la storia e la religione.
L’Autocoscienza è “la certezza che la coscienza ha di se stessa”, ma il termine autocoscienza acquista
in Hegel un valore sociale e politico, perché essa si raggiunge soltanto confrontando la nostra esistenza
con quella degli altri; l’uomo riesce a riconoscersi soltanto se è riconosciuto da altre autocoscienze simili
a lui. L’autocoscienza, infatti, postula la presenza di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di
essere tale.
Qui è presentato il concetto di Riconoscimento.
L’essere umano si contraddistingue per l’innato desiderio di riconoscimento (Anerkennung) che nutre
dentro di sé. Secondo Hegel, qualunque cosa faccia, l’uomo la fa per essere ri-co-no-sciu-to. Io sono
certo di essere un uomo, sono certo di essere autocoscienza solo e soltanto perché altri uomini mi
riconoscono come tale. Io desidero fortemente essere riconosciuto, chiamato uomo, desiderato e amato e
apprezzato dagli altri uomini. Non è immediato però che l’altro (Mario, il capuffico, mio padre) sia
disposto a riconoscermi, ad apprezzarmi, ad amarmi come desidero; la sua indifferenza è per me fonte di
insostenibile sofferenza. Questo è ciò che può accadere ad ognuno nel concreto dell’esperienza quotidiana
e molto spesso coincide con l’inizio di una insicurezza, di una disistima in noi stessi. Collocato in ambito
teoretico e fuori della storia, questo discorso vale come esperienza universale ed individua la
condizione originaria, innata, dell’essere umano nella quale egli lotta per il proprio riconoscimento,
arrivando a desiderare l’annientamento di colui che, con la sua presenza indifferente, mette in discussione
la sua stessa esistenza. Il desiderio di riconoscimento porta con sé dunque l’eventualità del conflitto che
s’innesca quando gli esseri umani si rifiutano di riconoscersi reciprocamente e rifiutano la relazione. “O
mi riconosci o ti uccido”, “o mi ami o mi uccido”, “o mi riconosci come adulto o non ti parlo più e faccio
comunque quel che mi pare”. Tale lotta per il riconoscimento è per Hegel generata da un fraintendimento:
i contendenti credono che riconoscersi voglia dire escludere l’Altro fino ad ucciderlo o fino ad uccidersi o
fino a non considerarlo proprio. Ma questa è illusione. Si ha autentico riconoscimento solo a patto che
l’altro sia incluso nella propria vita e lo si può fare soltanto se esso resta in vita ovvero se il rapporto
permane (Vedi testo Philosophica, 3a, pagg. 132-139 “Il riconoscimento in Hegel”).
a. La figura del Servo-Padrone.
Questa esperienza, universale e a-storica, dell’ Anerkennung, del desiderio di riconoscimento, gioca
un ruolo fondamentale anche nella storia del “genere umano”. Mentre negli scritti giovanili, Hegel aveva
romanticamente attribuito il reciproco riconoscersi delle autocoscienze all’amore, nella
Fenomenologia, inserisce il desiderio di riconoscimento all’interno di una non meglio specificata
antichità pre-storica in cui vige la lotta di omnes contra omnium. Il riconoscimento deriverebbe così dalla
lotta fra le autocoscienze che desiderano essere riconosciute senza a loro volta riconoscer. Secondo
Hegel, in un ipotetico, ma verosimile, stato di natura, le cose, ad un certo punto, avrebbero preso una
piega inattesa: uno dei due contendenti, consapevole più dell’altro del valore della propria vita ha avuto
paura della morte ed abbandonata la lotta avrebbe rinunciando alla propria libertà. In questo modo, egli ha
riconosciuto l’altro senza esserne riconosciuto. Si è arreso davanti a colui che non ha rinunciato alla lotta,
divenendone il Suddito. Questo è quello che, secondo Hegel, avrebbe originato il rapporto di signoriaservitù tipico delle società del mondo antico. Messosi in tale situazione di disuguaglianza, il servo,
attraverso il proprio lavoro, trasforma la natura per soddisfare i bisogni del proprio signore che, in virtù
del diritto acquisito con la forza, lo domina, costringendolo a provvedere alle proprie necessità. E la cosa
va avanti così. Ad un certo punto, però, s’inserisce la paradossale inversione dei ruoli. Il signore,
abituatosi a godere passivamente dei frutti del lavoro altrui, da indipendente che era finisce per diventare
dipendente del servo che lavora per lui. Quest’ultimo, attraverso il lavoro, dal momento che ha imparato a
6
padroneggiare la natura e a trasformare le cose da cui il suo signore riceve il proprio sostentamento,
finisce per rendersi indipendente. Il rapporto di subordinazione si rovescia. Il padrone diviene servo e il
servo diviene padrone. Il lavoro è il mezzo con cui il servo impara a conoscere e dominare la natura,
quella esterna e quella interna a lui, e libera gradualmente se stesso. Attraverso il lavoro egli può
sperimentare il proprio essere, con la relativa conquista della propria autocoscienza, si auto-disciplina
liberandosi dal timore verso la natura e trattenendo anche i propri appetiti (non usufruendo dell’oggetto
che sta lavorando perché non è di sua proprietà). In tal modo il servo raggiunge l’indipendenza dalle
cose stesse e la propria autonomia dagli oggetti. Il lavoro è appetito tenuto a freno, per dirla con Hegel,
da qui il suo potere fortificante.9
b. Lo Stoicismo-scetticismo.
Il raggiungimento dell’indipendenza trova la sua espressione filosofica nello Stoicismo del periodo
ellenistico-romano, ossia quel tipo di visione del mondo che celebra l’autosufficienza e la libertà del
saggio nei confronti di affetti, passioni, ricchezze come condizioni necessarie alla felicità. Il saggio stoico
è libero, sia quando è sul trono, come l’imperatore filosofo Marco Aurelio, sia quando è in catene, come
lo schiavo Epitteto. La libertà stoica è libertà interiore e, riflette Hegel è una libertà soltanto pensata e
non concretamente attuata perché i condizionamenti, da cui ha la pretesa di slegarsi, permangono
oggettivamente. Lo Scetticismo presume di fare un passo aventi nella strada verso la liberazione e,
sospendendo l’assenso su tutto ciò che è comunemente ritenuto per vero, afferma la non-verità di tutti i
legami da cui lo stoicismo aveva preteso di essere libero (la non-verità anche delle catene dello schiavo) e
dunque la loro non esistenza. Lo scetticismo, infatti, negando l’esistenza di ogni possibile verità, mette
tutto in discussione e oppone a tutto ciò che ritiene essere non-vero soltanto la propria certa identità.10 A
questo livello però la coscienza scettica si contraddice perché, negando ogni cosa (affermando che “tutto
è falso”) nega anche la verità della sua stessa negazione (= se afferma che tutto è non-vero come come
pretende la coscienza di dire qualcosa di vero quando afferma questo?). La negazione radicale della
verità contraddice se stessa. Questo è lo stadio storico ed ideale in cui l’Autocoscienza, che aveva preteso
di essere libera attraverso la negazione dei condizionamenti esteriori, entra in crisi profonda.
c. La Coscienza infelice
Una volta scoperta la natura contraddittoria del proprio essere, la coscienza entra in quella fase che Hegel
esprime con la figura della coscienza infelice (oggi diremmo “cade in depressione”). In questo stadio di
sviluppo, la coscienza, riconoscendo d’essere mutevole, accidentale, inessenziale, tende a ricercare
qualcosa d’immutabile, necessario ed essenziale, un punto fermo, e lo trova. È Dio. Dio è concepito
come l’Essere perfetto ed immutabile, in aperta antitesi con l’imperfezione e mutevolezza delle cose del
mondo. Passando dalla concezione propria dell’ebraismo a quella del cristianesimo, la figura di Dio si
trasforma da signore assoluto a padre ma, in ogni modo, sempre trascendente e lontano dall’uomo.
Anche la pretesa dei primi discepoli di cogliere la presenza dell’Assoluto in un uomo mortale, il Cristo, è
anch’essa destinata al fallimento in quanto, di fronte alla coscienza umana, egli continua a rimanere
qualcosa di diverso e separato, sia in quanto Dio trascendente, sia in quanto Dio incarnato, un mistero
per i suoi posteri. Con la ricerca disperata dell’Assoluto, attraverso la mortificazione di sé fino alla
completa negazione dell’io e dei suoi bisogni attraverso l’ascetismo la coscienza tocca il suo punto più
basso e umiliante, in quanto cerca di annientare la propria singolarità nel desiderio struggente di
conoscere Dio, ma il motivo per cui lo fa, ossia il cercare la fusione totale con l’assoluto cui aspira,
trasforma, dialetticamente, questo momento nel punto più alto, quando la coscienza individuale,
annullandosi totalmente nell’assoluto, si rende conto di aver trovato Dio (l’universale, l’assoluto) in se
stessa. Come l’acqua contenuta in una brocca versata in un fiume non va perduta, ma si fonde con l’acqua
del fiume stesso, così l’anima che annulla la sua individualità si fonde con l’assoluto e ne diviene parte.
L’obiettivo dell’unione mistica con Dio è, però, raggiunto soltanto a livello individuale, attraverso la
figura del santo. La ricerca di un’altra strada per raggiungere l’assoluto, che non sia il misticismo,
conduce dal Medioevo al Rinascimento.
Nota come questa affermazione profonda verrà sfruttata in modo ignobile e tragico nella famigerata frase “Il lavoro rende
liberi” appesa all’ingresso dei campi di lavoro nazisti al tempo della seconda guerra mondiale.
10
E non la propria carta d’identità come qualcuno mi ha detto!!!
9
7

La Ragione.
A partire dal Rinascimento l’Autocoscienza si eleva gradatamente a Ragione, cercando se stessa mentre
indaga “un’altra cosa”, la Natura. Con i filosofi naturali del ‘500, la ragione, cerca di riconoscersi nella
realtà oggettiva che le sta davanti: l’Universo. Questo tentativo è destinato a fallire, secondo Hegel,
poiché l’unità di io e mondo non è qualcosa di dato e, dunque, di contemplabile perché esistente, ma è
qualcosa che deve essere realizzato. Questo progetto di realizzazione è anch’esso destinato a fallire
finché assume la forma di uno sforzo individuale. Con alcune figure simbolo (che vanno da Faust a
Robespierre) Hegel intende dire che se ci si pone dal punto di vista dell’individuo si è inevitabilmente
condannati a non raggiungere mai l’universalità. Questa unione con l’universale, agognata dalla
coscienza, si potrà realizzare soltanto nella fase successiva, quella dello Spirito. È la fase in cui
l’individuo scopre che la sua pienezza è concepibile soltanto all’interno di un tessuto sociale, in quel
complesso di costumi e di leggi che Hegel chiama “sostanza Etica” (o “sostanza universale.
Seconda parte. Nella sua seconda parte, la Fenomenologia tratta la dialettica dello Spirito (= la
Ragione concretamente realizzata nelle istituzioni storico-politiche di un popolo, ossia lo Stato), della
Religione e della Filosofia, ampiamente riprese ed ampliate nella Enciclopedia delle scienze, tanto che lo
stesso autore deciderà di non riproporle nelle edizioni seguenti. Prima di abbandonare questa seconda
parte della Fenomenologia c’è una figura che vorremmo sottolineare. Hegel ne parla nella sezione
dedicata allo Spirito etico, proprio della civiltà greca, ed è rappresentata dalla fanciulla Antigone.
Celebrata nell’omonima tragedia di Sofocle, Antigone incarna l’ideale giuridico legato alla convinzione
della superiorità delle leggi eterne non scritte, stabilite dagli dèi, sopra quelle civili, positive (poste),
create artificialmente dagli uomini. Nel 442 a.C. Sofocle mette in scena il conflitto tra Antigone e
Creonte in termini politici. È il problema del conflitto tra legge naturale e legge dello stato, contro la
quale Antigone si batte in nome della legge eterna, cui anche gli stessi dèi devono sottostare.
“Io seguo le leggi sacre e incrollabili degli dèi, leggi non scritte, delle quali io un giorno dovrò subire
il giudizio [...] E non credevo che i tuoi bandi fossero così potenti da sovrastare e sovvertire le leggi
morali degli dèi”.
La dialettica dello Spirito comincia, così, con un conflitto tra le leggi umane e quelle divine, le agrapta
nomina (le leggi eterne) invocate da Antigone che, andando contro l’esplicito divieto del tiranno Creonte,
dà sepoltura al cadavere del fratello Polinice, che si era ribellato allo stato. Hegel parla di Antigone per
mettere in evidenza il dissidio sussistente tra legge morale (che invoca i sentimenti di pietà familiare) e
legge dello stato dando un valore maggiore a questa ultima, in quanto l’istituzione statale risulta essere
più evoluta rispetto all’istituzione familiare, più arcaica e dunque meno evoluta.
Il Sistema. L’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche.
Somma aspirazione di Hegel è la stesura di un sistema che esprima il Sapere Assoluto. Tale sapere,
interpretato come il complesso delle scienze filosofiche, è la esposizione di quel processo attraverso cui
lo spirito arriva a comprendere se stesso come “totalità razionale”; totalità nella quale ciascuna parte
trova giustificazione se cessa di essere considerata unilateralmente (o, per dirla con Hegel, in modo
Astratto) e diviene momento di un insieme strutturato secondo nessi necessari (ossia Concreto). Il
“sistema” della filosofia hegeliana è l’esposizione dell’Assoluto che mostra il mondo come razionalità.
L’esposizione più chiara e completa del suo sistema è data da Hegel nell’Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio.
Essa comprende tre parti generali: La Logica, la Filosofia della Natura, la Filosofia dello Spirito.
Per Hegel, il rapporto tra i termini astratto e concreto è opposto a quello del linguaggio comune, per il
quale ciò che è astratto è solitamente il pensiero, indipendente dal concreto che ha a che fare con la realtà
delle cose e dei fatti. Per Hegel al contrario astratto è l’insieme degli elementi del reale, considerati,
secondo il loro etimo, come estrapolati dal contesto (abstracti), come se fossero indipendenti dal
movimento complessivo, organico, del tutto. Concreto, per Hegel, è soltanto il reale; ma se “il vero è
l’intero” allora reale veramente è soltanto “il tutto”, ossia lo Spirito, ossia l’Idea, perché essa conserva
sempre la coscienza della relazione che ha con altre idee. Solo questo è Wirklichkeit, la realtà
concreta, la parte, è Realitaet, la realtà astratta.
8
Logica
Filosofia della Natura
Filosofia dello Spirito
Dottrina dell’Essere
Dottrina dell’Essenza
Dottrina del Concetto
Meccanica
Fisica
Fisica organica
Spirito Soggettivo
Spirito Oggettivo
Spirito Assoluto
1. Logica.
La logica è la “scienza dell’Idea pura”, ossia la scienza che studia la legge che regola l’universo colta
“nell’elemento astratto del pensiero”. Attraverso lo studio della Logica, il mondo, o meglio la sua
impalcatura, si manifesta come un come un organismo dinamico fatto di “concetti” e “categorie” i quali,
in virtù della supposta equazione hegeliana pensiero = essere costituiscono le determinazioni tanto del
pensiero quanto della realtà. Potremmo dire, perciò, che, in Hegel, la logica (lo studio del pensiero)
coincide esattamente con l’ontologia (lo studio dell’essere). I concetti, di cui parla Hegel non sono
pensieri “soggettivi”, ai quali la realtà rimane esterna e contrapposta, ma pensieri “oggettivi” (categorie)
che esprimono la realtà stessa nella sua essenza.11
Divisa in logica dell’Essere, logica dell’Essenza e logica del Concetto, la logica hegeliana procede
partendo dai concetti più poveri o astratti (come quello di essere) fino a giungere a quelli più ricchi e
concreti, sino al “concetto di tutti i concetti” che è l’Idea.
Il concetto cardine della logica hegeliana è l’assoluta identità tra essere e nulla. Il concetto di essere è il
più astratto di tutti. Assolutamente privo di determinazioni e di contenuto, “l’essere è”. L’essere è “che
cosa?”, è “Come”? Niente cosa, niente come: l’essere è, punto! Esso coincide con il verbo essere e basta!
Il nulla non è il contrario dell’essere ma ne rappresenta solo un momento. Come si può vedere il concetto
di essere è in Hegel opposto a quello di Parmenide. Per il filosofo di Elea l’essere era statico e
contrapposto al non-essere, per Hegel l’essere è dinamico ed indissolubilmente legato al non essere e,
anzi, ne fa parte. Hegel, piuttosto, riconosce valida l’intuizione di Eraclito: la realtà ed il pensiero sono
contrassegnati dal mo-vi-men-to. Essere e nulla trapassano continuamente l’uno nell’altro; quindi, la
sintesi perfetta di entrambi è il divenire, nel quale essi sono superati. Il concetto perfetto di questa perfetta
unione è il divenire che è anche il loro superamento ed il primo passaggio alla determinazione.
L’essere e il nulla, come pure astrazioni sono, infatti, l’opposto dell’essere “determinato”, che proprio in
virtù di tale opposizione viene posto in luce. Dal passaggio continuo dall’essere al nulla e dal nulla
all’essere, dal nascere al perire, deriva l’essere determinato ossia l’essere finito, quel che Hegel chiama
l’esserci, che ha come carattere fondamentale il limite. Dalle più semplici determinazioni dell’essere, la
logica hegeliana trapassa in quella del concetto che per Hegel è espressione soggettiva della ragione
universale (ossia lo Spirito, la ragione universale, si esprime nell’uomo attraverso i concetti). Nella sua
forma più alta il concetto è l’Idea, ossia la ragione auto-cosciente. All’interno della Logica Hegel
esprime alcuni dei suoi concetti cardine.
 La definizione di Idealismo:. L’idealismo della filosofia consiste in questo: nel non riconoscere il
finito come un vero essere (Hegel Scienza della Logica). L’idealismo è per Hegel la propria dottrina
della risoluzione dialettica del finito nell’infinito (che è la sua proposizione fondamentale).
 La distinzione tra astratto e concreto: il sapere dell’intelletto (quello della scienza) è astratto perché
coglie soltanto pezzi, tronconi di realtà, separati dal tutto, il sapere della ragione è concreto perché
della realtà riesce a cogliere l’unità organica. Quello dell’intelletto è un modo di pensare statico, basato
sul principio di identità e non contraddizione, che immobilizza gli enti nelle loro determinazioni rigide e
reciprocamente escludentesi. Quello della ragione è un modo di pensare dinamico, fluido, che riesce a
cogliere la concretezza vivente del reale.
 La distinzione tra cattiva infinità e buona infinità. La cattiva infinità (che attribuisce a Fichte), è il
prodotto dell’intelletto astratto. Essa non include al suo interno il finito che le si contrappone
semplicemente come qualcosa di estraneo. La buona infinità o “vera” infinità consiste nella unità di
finito e infinito.
11
Da notare come le categorie, che con Kant erano funzioni mentali umane, valide soltanto in relazione al fenomeno, con
Hegel tornino ad essere determinazioni sia del pensiero che della realtà in sé.
9

La logica di Hegel non è la logica aristotelico-parmenidea. Questa aveva per suoi princìpi
fondamentali il principio di identità e non contraddizione, secondo cui gli opposti non possono
coincidere. Per Hegel il reale è proprio una sintesi d’opposti. La logica aristotelica, dunque, è la
logica dell’intelletto, quella hegeliana è logica della ragione dialettica. Per Hegel è valida
l’intuizione di Eraclito, per cui il nulla, non è il contrario dell’essere (come sostenuto da Parmenide)
ma ne rappresenta solo un momento e dunque fa parte dell’essere. Essere e nulla trapassano
continuamente l’uno nell’altro; quindi la sintesi perfetta di entrambi è il divenire, nel quale essi sono
superati
2. Filosofia della Natura .
La seconda parte dell’Enciclopedia tratta della Filosofia della natura. Nell’economia generale del
sistema di Hegel, la Logica corrisponde alla Tesi, dunque la Filosofia della natura corrisponde
all’Antitesi ossia il momento negativo. Essa è anche il luogo in cui tale sistema presenta le maggiori
incongruenze. Hegel identifica la natura come “esteriorizzazione”, nello spazio e nel tempo, dell’idea,
che, raggiunta la pienezza del suo sviluppo logico, si risolve ad uscire da sé, manifestandosi in una
molteplicità di forme. Ma, mentre in certi momenti egli sembra giudicare negativamente questa
“trasformazione” dell’idea, giudicando la natura una forma di degrado dell’idea, una caduta di stile, una
risoluzione imperfetta, inadeguata alla perfezione dell’Idea, in altri momenti sembra considerare questo
passaggio, dall’idea alla natura, come una sorta di potenziamento dell’idea, un arricchimento
autoriflessivo dell’idea. Indubbiamente, in accordo più con Fichte che con Schelling, Hegel ha
prevalentemente insistito sul carattere peggiorativo della natura rispetto all’idea, poiché, avendo essa
un’esistenza meramente esteriore, tutte le sue manifestazioni sono condizionate dalla contingenza, mentre
all’idea si addicono i caratteri dell’universalità e della necessità.
La funzione chiave del concetto di Natura all’interno del sistema è quello insostituibile di farsi
“rifugio” di tutto quel mondo dell’apparenza, del finito, dell’accidentale e del contingente e
dell’individualità, legati al tempo ed allo spazio, che Hegel tende a respingere fuori dell’Olimpo
aristocratico della diarchia Ragione-Realtà. Tutto ciò che l’individualità, legata alla contingenza
naturale, ha di irriducibile alla ragione deve pur trovare posto nel sistema, se è vero che il principio di
identità tra ragione e realtà impone l’obbligo di giustificare e risolvere nella ragione tutti gli aspetti della
realtà. Ed il posto lo trova nella natura, che da questo punto di vista si configura come una sorta di
pattumiera del sistema stesso.
3. Filosofia dello Spirito.
La filosofia dello Spirito è il momento della Sintesi dei due momenti che lo hanno preceduto, quello della
Logica e quello della filosofia della Natura. Lo spirito è al contempo negazione della natura (in quanto ne
elimina l’esteriorità) e esaltazione della natura (in quanto la realizza al massimo vertice). Giunta al livello
dello Spirito la ragione si fa soggettività libera (libera dalle ferree leggi naturali) e pienamente
consapevole di sé. Lo spirito coincide e si manifesta con l’uomo. Con esso la natura si eleva dalla
cecità alla coscienza e diviene cultura.
Anche lo Spirito dell’uomo procede per gradi ed Hegel ne segue lo sviluppo dialettico; diversamente da
quanto accade nella Natura, però, nella quale i gradi sussistono giustapposti e coesistenti uno accanto
all’altro (il mondo vegetale e minerale accanto a quello animale), nello Spirito ciascun grado è compreso
e risolto nel grado superiore, il quale a sua volta è già presente nel grado inferiore (= l’individuo non
esiste accanto alla società, ma è ricompresso nella società, la quale, a sua volta, è presente nell’individuo,
fin dall’inizio).
I momenti dello sviluppo dello Spirito: lo Spirito soggettivo, lo Spirito oggettivo, lo Spirito assoluto.
Spirito Soggettivo
Spirito Oggettivo
Spirito Assoluto
Antropologia
Fenomenologia
Psicologia
Diritto
Moralità
Eticità (famiglia-società-stato)
Arte
Religione
Filosofia

10
Lo Spirito soggettivo.
Suddivisa in tre parti, la filosofia dello Spirito soggettivo (attraverso l’antropologia la fenomenologia e la
psicologia) studia lo Spirito individuale, considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura,
dai più elementari gradi della vita psichica fino alle più elevate attività conoscitive e pratiche, quando
l'individuo è in grado di esprimersi con l’alta manifestazione del volere libero.
Lo Spirito oggettivo.
È la sezione più importante di tutta l’ Enciclopedia (che riprende cammino della coscienza dove
l’avevamo lasciata nella Fenomenologia).
Divenuto libero, lo Spirito soggettivo, quando incontra altri individui liberi come lui, sente la necessità di
regolare la propria libertà. Il termine Libertà per Hegel indica la “realizzazione di sé” del singolo,
tramite un atto di volontà. Tale atto ha senso solo in un mondo strutturato, una società, uno stato. Fuori di
questo mondo tale libertà è indeterminata, insensata e vuota. Quindi, la volontà di libertà dell’uomo
trova la sua realizzazione soltanto nella sfera dello Spirito oggettivo che è la sfera delle istituzioni
sociali, quell’insieme di istituzioni sovra individuali che Hegel raccoglie sotto il concetto di Diritto.
1. Il diritto Astratto La Tesi.
Il momento in cui l’individuo realizza la propria libertà all’interno di una sfera sociale è quello del diritto
astratto (che coincide con il diritto privato e una parte di quello penale). È il momento in cui
all’individuo viene riconosciuta la “personalità giuridica” al modo romano, ossia egli, considerato
all’interno di un istituzione sociale concreta, diviene soggetto dotato di diritti. La persona qui considerata
è la persona che non vive in stato di natura dove vige l’infinita volontà ma in uno stato di diritto. Infatti,
l’essenza del singolo, dell’essere individuale, è la libertà; questa può dirsi tale, però, soltanto all’interno
di una società civile perché si rapporta alla libertà di altri singoli, altrimenti non sarebbe
commensurabile.12
Come sempre, parlare di libertà in termini giuridici, politici e sociali esige alcune precisazioni. Libertà civili,
giuridiche, come intendevano i democratici italiani che nel Risorgimento chiedevano la costituzione. Libertà
individuali, di parola, di stampa, di commercio come chiedevano i liberali inglesi a partire da Locke. Libertà
di vivere una vita dignitosa, liberi dall’incubo della fame come chiedevano i socialisti. Cos’è la libertà?
Libertà di prendere a calci chi non mi piace senza che alcuno me lo impedisca? Libertà di uscire la sera senza
coprifuoco né limiti d’orario?
1. La “persona”, per Hegel diviene tale solo in rapporto al mondo esterno di “cose” che può riconoscere
come sue, “ la persona ha per suo fine il diritto di porre la sua volontà in ogni cosa”. Il primo dei diritti
della persona è dunque quello alla proprietà privata. Qui Hegel entra in aperto conflitto con la
concezione di Rousseau, che aveva individuato nella proprietà privata un vero e proprio atto di arbitrio
(Vedi Philosophica 3A: Antologia, brano 6. pag. 118 = confrontare con vol. 2B p. 147!). Per Hegel la
proprietà privata è invece costitutiva della libertà della persona giuridica. La proprietà di qualcosa è
affermazione di sé, dell’individuo, nella cosa. Possedere qualcosa significa essere materialmente libero (=
libero di disporre come si vuole di quella cosa).
2. In quanto persona giuridica, l’individuo è soggetto a diritti ma anche a doveri. La proprietà, perciò,
diviene tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimento fra persone e questo si ha tramite l’istituto
giuridico del contratto.
3. L’esistenza del diritto rende possibile il suo contrario, il torto. Diverse sono le forme di torto, dalla
controversia (in cui le parti interpretano diversamente il diritto), fino al delitto, dove il valore della legge
è completamente negato. Per ciò il diritto (tesi), violato tramite il delitto (antitesi), deve essere ripristinato
mediante la punizione o pena, che rappresenta la sintesi o la ricomposizione del diritto trasgredito, quindi
una necessità oggettiva del vivere in comune. Perché essa sia ri-compositiva della frattura creatasi tra
l’individuo e la società, e non vendicativa, occorre che essa sia riconosciuta interiormente dal colpevole.
Questa esigenza, trascende l’ambito del diritto, che concerne l’esteriorità della legge e richiama la sfera
della moralità.
12
Se immaginiamo di essere l’unico abitante di un mondo senza altri individui come noi la parola “libertà” non ha più alcun senso
vero.
11
2. La Moralità L’Antitesi.
La moralità è la sfera in cui l’individuo manifesta una volontà di agire in base ad un proponimento,
una libera intenzione. Il fine a cui mira quest’intenzione è il benessere. Hegel, avverso al rigorismo etico,
ritiene che la morale non debba mai entrare in contrasto con la nostra aspirazione alla felicità. Tale
aspirazione, essendo volontà soggettiva, interiore e privata, non riesce quasi mai ad elevarsi fino a
coincidere con l’aspirazione al bene in sé e per sé. Da ciò deriva la contraddizione kantiana tra essere e
dovere essere che è tipica della moralità che non riesce mai a concretizzarsi nella realtà di fatto.
3. L’Eticità La Sintesi.
La scissione tra la soggettività ed il bene, tipica della Moralità, viene risolta da Hegel nell’Eticità, nella
quale il bene è in grado di attuarsi concretamente. L’eticità è moralità sociale, in grado di realizzare il
bene in forme istituzionali, quali la Famiglia, la Società civile, lo Stato.
In quanto moralità concreta, attuata visibilmente nel mondo e non astrattamente, l’eticità rappresenta il
superamento della spaccatura fra interiorità ed esteriorità che è propria della morale del dovere (kantiana).
Nello stesso tempo, configurandosi come una sorta di morale che ha assunto le forme del diritto
(dell’esteriorità istituzionale) e di diritto che ha assunto le forme della morale (del perseguimento del bene
universale), l’eticità risulta in grado di superare le opposte unilateralità sia del diritto che della morale.
Famiglia, società civile e stato a loro volta costituiscono la triade dialettica dell’eticità.
La Famiglia . Tesi.
È il primo momento dell’eticità. Quella di Hegel è la prima teorizzazione filosofica della famiglia
borghese, incentrata sulla coppia e sui figli, piuttosto che sui più vasti legami di parentela delle famiglie
tradizionali ed è strettamente associata al patrimonio. Fondata sull’amore e la fiducia (la monogamia) ha
come fondamento il matrimonio e scopo la crescita e l’educazione dei figli, i quali divenendo personalità
autonome a loro volta daranno origine ad altre famiglie. La famiglia è una persona giuridica e come
“persona” ha la sua realtà sostanziale nel possesso di beni, di una proprietà.
La Società civile. Antitesi.
Il momento successivo dello Spirito etico è quello in cui il sistema unitario e solidale della famiglia si
frantuma per dar luogo a quello, conflittuale, della società civile, che della famiglia costituisce la naturale
antitesi. Qui interessi particolari ed indipendenti coesistono ed entrano in conflitto economico, sociale e
giuridico tra loro. La società civile rappresenta il momento negativo dell’eticità “il campo di battaglia
dell’interesse privato di tutti contro tutti”, un sistema atomistico in cui si ripropone l’isolamento degli
individui, chiusi ciascuno nel proprio ambito privato, che vede contrapposti anche i diversi nuclei
familiari tra loro. Individui che lottano tra loro per la conquista di un posto nella società. La società civile
si articola a sua volta in tre diversi sistemi.
Il sistema
dei Bisogni
Qui Hegel mostra piena competenza nei processi economici tipici della
società industriale e si avvicina alle analisi degli economisti classici, come Adam Smith, di cui accoglie i
risultati. Il primo momento della società civile è il cosiddetto sistema dei bisogni che nasce dalla necessità
di soddisfare i bisogni di tutti. A tal fine gli individui, attraverso l’organizzazione della produzione dei
beni in base alla “divisione del lavoro”, danno origine ad un sistema di classi o ceti, nel quale ognuno,
credendo di lavorare solo per il proprio vantaggio contribuisce all’appagamento dei bisogni di tutti gli
altri. “Dove si ha società civile- dice Hegel- hanno luogo le classi nella loro distinzione; giacché la
sostanza universale, in quanto vivente, non esiste se non si particolarizza organicamente”. Le classi
distinte da Hegel sono tre: 1) Il ceto “naturale”, degli agricoltori, che ha il suo patrimonio nei prodotti di
un terreno che lavora. 2) Il ceto “formale” degli artigiani, dei fabbricanti e dei commercianti, che si
occupa di “dar forma al prodotto naturale”. 3) Il ceto “universale” dei funzionari, che ha per sua
occupazione soltanto gli interessi della società. Il problema rappresentato dal pauperismo crescente del
moderno mondo industrializzato, dovuto alla crescita demografica ed all’accumulo diseguale della
ricchezza, deve essere risolto secondo Hegel non dall’assistenzialismo, contrario ai principi di una società
civile, né dall’estensione forzata dell’occupazione, che creerebbe soltanto una crisi da sovrapproduzione,
ma con l’espansione di un “mercato”.
12
L’Amministrazione
della Giustizia
Il secondo momento della società civile è costituito dall’amministrazione
della giustizia in cui il diritto diviene pubblico e concerne la sfera delle leggi realizzandosi in modo
concreto in un sistema di norme pubblicamente riconosciute e con valore obbligante.
La Polizia
e le Corporazioni
La polizia provvede alla sicurezza sociale, assicurando la protezione del singolo
che deve essere un diritto. Tra i compiti della polizia per assicurare il benessere dei membri del corpo
sociale deve esserci quello educativo, in quanto l’individuo è visto come figlio della società civile.
Nel sistema hegeliano rivestono un ruolo particolare le corporazioni di mestiere che, di fronte alla
conflittualità del modello sociale borghese, tendenzialmente individualistico, si pongono come elemento
mediatore tra l’individuo e la società. Esse prefigurano, in un certo qual modo, il momento
dell’universalità statale, attuando una sorta di anello di congiunzione tra la volontà del singolo e quella
della categoria lavorativa cui appartiene. Le corporazioni hegeliane verranno prese a modello nella
legislazione dello stato fascista italiano e interpretate come una sorta di alternativa al modello capitalista
e a quello comunista della lotta di classe.
Lo Stato. Sintesi.
Lo Stato costituisce il culmine della Eticità che in esso trova piena realizzazione e compiuta unità.
Lo Stato risolve in sé i due momenti precedenti, ri-affermando l’unità immediata della famiglia (Tesi) al
di là della dispersione della società civile (Antitesi). La dottrina hegeliana afferma che lo stato è fonte
di libertà e norma etica per il singolo. Quello di Hegel è, infatti, il più compiuto modello di stato
etico mai elaborato nel quale tutte le particolarità (gli individui, le famiglie, le classi) trovano il loro
fondamento, il senso del loro essere ed il fine del loro agire.
1. Lo Stato Etico
Per Hegel lo stato esprime l’ethos di un popolo ed il suo spirito. “Esso è sostanza etica consapevole di sé,
la riunione del principio della famiglia e della società civile”. Molto di più della semplice somma delle
persone giuridiche che lo compongono, è Totalità organica, un organismo attraverso cui vivono i suoi
singoli componenti. Come dal punto di vista metafisico l’intero viene prima delle parti, di cui non è
semplice somma, così lo stato viene prima della società civile e della famiglia. Incarnazione suprema
della moralità e del bene comune lo Stato Etico di Hegel si differenzia nettamente dal modello politico
elaborato dagli autori precedenti.
A. Si differenzia dal modello liberale (da Locke a Kant), per il quale lo stato sarebbe un entità artificiale,
uno strumento creato dagli individui per la semplice tutela dei loro interessi, dei loro diritti e a garanzia
della loro sicurezza (questa teoria comporta per Hegel una riduzione dello stato a semplice tutore dei
particolarismi della società civile, dove la libertà nello stato finisce per identificarsi con la libertà dallo
stato).
B. Lo Stato di Hegel si differenzia anche dal modello democratico di Rousseau, secondo il quale la
sovranità risiederebbe nel popolo. Questa nozione di sovranità popolare appartiene al novero “dei confusi
pensieri” in quanto il popolo “al di fuori dello stato” è soltanto una somma di singoli, una moltitudine
informe. A tale “astrazione” Hegel contrappone la teoria per cui la sovranità dello stato deriva dallo stato
stesso, il quale dunque ha in sé, e non al di fuori di sé, la propria ragione d’essere. Tale concezione antiliberale ed anti-democratica si fonda sul presupposto teorico che non siano gli individui a fondare lo stato,
ma lo stato a fondare gli individui, sia dal punto di vista cronologico e storico (= in quanto gli individui
nascono nell’ambito di uno stato che viene prima di essi), sia dal punto di vista ontologico (= in quanto
lo stato è superiore agli individui esattamente come il tutto è superiore alle parti che lo compongono).
C. Tale ottica organicistica dello stato etico si accompagna anche al rifiuto del modello contrattualistico,
ossia della teoria, di Hobbes, Locke e Rousseau, che vorrebbe far dipendere l’esistenza della vita
13
associata da un “contratto sociale”, scaturito dalla volontà arbitraria degli individui che si uniscono in
virtù di un’esigenza, il che per Hegel sarebbe un insulto alla “maestà” dello stato (Leggi Antologia brano
6. p.121).
D. Il Giusnaturalismo, la teoria che afferma l’esistenza di diritti naturali prima ed al di fuori dello stato,
proposto da Ugo Grozio e da Samuel von Pufendorf e di cui Antigone è la figura simbolica (vedi casella
pag. 11), è contestato da Hegel in quanto l’idea stessa di un “diritto” anteriormente ed al di fuori di una
compagine statale, è contraddittoria. Lo stato, per Hegel non può trovare nelle leggi della morale un
limite, un impedimento alla sua azione e non può dipendere da quei “pensieri universali”, come li chiama,
che vanno sotto il nome di “principi morali”. Abbiamo detto che lo stato è “fonte di libertà e norma etica
per il singolo”, la condotta dello stato, quindi, non può essere oggetto di valutazioni morali da parte
dell’individuo: lo Stato si pone fine supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
2. Stato di Diritto e la Monarchia costituzionale
Lo stato di Hegel è assolutamente sovrano ma non dispotico, ossia illegale. Conformemente con la
tradizione che va da Hobbes a Rousseau, Hegel ritiene che lo stato debba operare soltanto attraverso le
leggi, il suo è uno stato di diritto fondato sul rispetto delle leggi che devono governare al posto degli
uomini. Da ciò il ruolo fondamentale del potere legislativo che, insieme a quello governativo e quello
principesco, forma la divisione perfetta della perfetta costituzione che per Hegel è la monarchia
costituzionale. La monarchia costituzionale è la migliore tra le forme di governo, perché riassume le
forme classiche, monarchia, aristocrazia e democrazia, “Il monarca è uno, con il potere governativo
intervengono alcuni e con il potere legislativo interviene la pluralità”.
Pur riconoscendo l’importanza mediatrice dei ceti, che stanno tra il potere del governo ed il popolo
dissolto in individui, Hegel si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che essi
siano inclini a far valere gli interessi privati a spese dell’interesse generale, anzi, coerentemente con le sue
premesse antidemocratiche, arriva ad affermare che i membri del governo possono fare ciò che è il meglio
da soli, perché essi possiedono una profonda conoscenza dei bisogni e degli affari dello stato, mentre il
popolo non sa ciò che vuole e ciò che è il meglio per lui.
3. Statolatria?
Da tutto ciò deriva che lo Stato per Hegel realizza l’ingresso di Dio nel mondo. Esso è “Dio reale”. È
stato rilevato, soprattutto nel corso del novecento, che alla concezione dello “Stato Etico” si sono
richiamati i regimi totalitari, come quello fascista italiano (si pensi alla carta del lavoro del 1927) 13, per
negare i diritti e le libertà individuali in nome della supremazia dello stato. Alcuni interpreti affermano
che la sfera della politica e dello stato non rappresentano il senso ultimo della vita dello Spirito in Hegel,
quindi per quanto lo Stato rappresenti il culmine della eticità, è l’eticità stessa a non essere l’ultima parola
della filosofia” (vedi Philosophica 3° pag.121). Questa interpretazione “conciliante” del pensiero politico
di Hegel rileva che, stando alle premesse del suo pensiero, Hegel non identifica Dio con lo Stato ma con
lo Spirito assoluto, il quale attraverso l’arte e la religione culmina nella filosofia. Ciò è senz’altro vero,
ma è bene ricordare che l’arte, la religione e la filosofia esistono per Hegel soltanto nello stato e in
virtù dello stato, il quale rappresenta allora, proprio come scrive Hegel “l’entrata concreta e visibile di
dio nel mondo”.
4. La Guerra è la Salute dei popoli
Così come non esiste alcuna legge morale, non scritta, che abbia il potere di limitare l’azione dello Stato
al suo interno, altrettanto per Hegel non esiste alcuna autorità esterna in grado di dirimere le controversie
tra gli stati sovrani. Lo stato, infatti, è un individuo che si pone di fronte ad altrettanti individui statali
ciascuno autonomo e sovrano all’interno del suo territorio. Oltre a se stesso, nessun giudice, nessun
organismo superiore, è legittimato a regolare i rapporti inter-statali. Con ciò Hegel nega che esista un
diritto pubblico internazionale. Non potrà mai esistere una Repubblica dell’umanità, come quella sognata
da Kant, poiché non esiste uno Spirito dell’umanità, ma solo uno “Spirito dei popoli”. Tale Spirito è il
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La Carta del Lavoro è il documento programmatico con il quale vennero fissate le principali linee guida della Politica
sociale Italiana nel 1927. Essa rappresentava la politica economica del ventennio fascista, caratterizzata dal corporativismo,
inteso come terza via fra il liberal-capitalismo e il collettivismo marxista.
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riconoscersi di un popolo in un modo d’essere tipico che porta con se la nozione di patria. Ne deriva che
la sovranità politica deve risiedere esclusivamente nello stato nazionale. E dato che le nazioni si trovano
tra loro in una condizione di naturalità, ne consegue che la guerra rimane l’unico modo per risolvere i
contrasti, “quindi il conflitto tra gli stati, in quanto le volontà particolari non trovano un
accomodamento, può essere deciso solo dalla guerra”.14 In altre parole, poiché nessuno può fungere da
arbitro nelle dispute tra stati, il solo giudice universale è il ricorso alla guerra.
Muovendosi in un’ottica diametralmente opposta al cosmopolitismo illuminista e pacifista di Kant (che
aveva sostenuto l’efficacia di una” Lega Mondiale degli Stati” per l’instaurazione di una pace perpetua)15
Hegel non solo attribuisce alla guerra un carattere di necessità ed inevitabilità ma anche addirittura un
alto valore morale. Con un paragone divenuto famoso Hegel afferma che come “il movimento dei venti
preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole” così la guerra
preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua. La guerra è
necessaria alla salute spirituale dei popoli, la cui compattezza (= autocoscienza) si rafforza, attraverso il
contrasto con un nemico. Dalle guerre, infatti, risultano rafforzati i popoli che “sono in discordia in sé
perché acquistano mediante guerre all’esterno, pace all’interno”. Va bene parlare di pace, di pace
perpetua, dice Hegel, ma “le chiacchiere ammutoliscono dinnanzi alle serie repliche della storia”. In
questo gioco di relazioni regolate dalla guerra, gli stati sovrani diventano singole espressioni dello Spirito
che entra nel tempo e si incarna nella Storia. La dialettica dello spirito oggettivo si conclude in una
filosofia della Storia.
5. La Storia.
La Storia del mondo, che conclude la filosofia dello Spirito oggettivo, è il teatro in cui lo Spirito realizza
la sua libertà in senso giuridico ed etico. La storia è la realizzazione della libertà, non una libertà astratta,
puro arbitrio individuale, ma libertà con-cre-tiz-za-ta nel mondo del diritto, della morale e dell’eticità.
L’insieme degli eventi che costituiscono La Storia non può essere catalogato sotto la categoria del
semplice mutamento o del caso, ma sotto quello della ra-zio-na-li-tà.. Occorre guardare la Storia tenendo
presenti le categorie di ringiovanimento e di fine. Tale fine non è da ricercarsi alla luce della divina
provvidenza che si trincera spesso dietro l’impossibilità umana di comprendere i disegni di Dio (= “le vie
del Signore sono infinite”). Occorre che la filosofia porti alla luce della coscienza razionale il fine della
Storia, ne riconosca le vie, i mezzi e i modi con cui essa si realizza nel mondo. Per Hegel dietro
l’esplicarsi della Storia c’è lo Spirito, la Ragione universale che attraverso la storia realizza il suo fine.
 Il fine della Storia . Per Hegel, il fine della Storia è la manifestazione dello Spirito nel mondo, ossia che
esso giunga alla conoscenza di sé, di cosa esso è veramente. E per giungere a questa consapevolezza è
necessario che questo spirito si manifesti nel mondo in qualcosa di concreto, che si incarni in qualcosa di
determinato, e questo qualcosa, è lo Spirito di un popolo. I singoli popoli poi si muovono all’interno di
un teatro, uno stesso orizzonte universale che costituisce lo Spirito del mondo. Il particolare spirito di un
particolare popolo è solo l’anello di una catena costituita dal corso dello spirito del mondo. Tra lo spirito
del mondo e lo spirito del popolo c’è lo stesso rapporto che esiste tra il l’infinito e il finito, tra Dio e le
sue manifestazioni, poiché lo spirito di un popolo è lo Spirito Universale che si fa particolare. La storia
incarna lo spirito del mondo attraverso il farsi dello spirito di un popolo. E questo spirito del mondo è
conforme allo spirito divino che è lo Spirito Assoluto.
 I mezzi della Storia. I mezzi che la Storia usa per realizzare lo Spirito nel mondo, sono gli individui e
le loro passioni; “nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passioni”, esse non sono affatto
opposte alla moralità “anzi realizzano l’universale”. Le passioni, che spingono gli individui ad agire per i
propri scopi egoistici (sete di potere, di ricchezza, di vendetta e d’amore), non sono altro che gli strumenti
che conducono, nella storia, a fini diversi a cui quelle esplicitamente mirano. Accanto alle idee, l’altro
grande movente della storia, le passioni muovono gli uomini verso la realizzazione dei propri particolari
fini. Essi però non sanno d’essere semplici strumenti per la realizzazione degli scopi dello Spirito. Questo
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Come nella dialettica servo-signore anche qui il solo arbitro universale è la forza: poiché ogni individualità statale aspira ad
essere riconosciuta dalle altre come la più potente, ne deriva la regressione allo stato di natura, in cui il ricorso naturale alla
guerra è indicato come lo strumento più idoneo per la soluzione delle controversie, qualora vengano meno le condizioni per un
accordo pacifico.
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G. K.!!!
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vale soprattutto per gli uomini eccezionali, che Hegel chiama gli individui cosmico-storici, essi,
protagonisti della vita dei loro popoli, condottieri, legislatori, eroi, sono stati i veggenti che incarnando
completamente lo spirito di un popolo hanno istintivamente saputo realizzare il fine dello Spirito.
Inseguendo il proprio obiettivo particolare, mossi dall’ambizione o da un ideale hanno
“inconsapevolmente” realizzato il fine dello Spirito.
 L’astuzia della Storia La ragione è astuta, perché utilizza gli individui e le loro passioni agendo alle
loro spalle. Apparentemente Alessandro magno, Cesare, Napoleone non fanno che seguire la propria
passione e la propria ambizione, in realtà si tratta di un’astuzia della ragione che si serve degli individui e
delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini. Non deve meravigliare che una volta compiuta la
propria missione questi “eroi” vengano abbandonati al proprio destino dalla ragione, non deve
meravigliare che su di essi incomba spesso la sconfitta o la tragedia. La loro “funzione” è quella di
realizzare non la propria personale felicità ma fini universali. Questo è il senso dell’Astuzia della ragione,
la quale si avvale degli eroi, delle loro passioni per realizzare il proprio scopo universale, e non i loro
particolari, lasciandoli poi cadere come “gusci vuoti” quando hanno realizzato il loro compito storico. Il
disegno provvidenziale della Storia si rivela nella vittoria che di volta in volta consegue il popolo che ha
concepito il più alto concetto dello spirito.
 La Libertà. Abbiamo detto che il fine ultimo della Storia del mondo è che lo Spirito giunga alla
conoscenza di sé, attraverso lo spirito di un popolo che lo incarna. E se un popolo giunge alla propria
coscienza di popolo è libero. Quindi il fine dello Spirito è Libertà. Se il fine della storia è la libertà,
questa libertà è attuata dai popoli che più si costituiscono forme di Stato corrispondenti e affini al loro
spirito; più essi hanno compreso e approfondito ciò che è il loro spirito (con il diritto, i costumi e la loro
cultura) e più essi sono liberi. Il fine della storia è allora la costituzione di uno Stato, attraverso il quale si
possa realizzare la liberà dello Spirito.
 Il Corso della Storia. La costituzione dello Stato è il fine supremo della storia. Tradotto in termini
temporali: La storia del mondo è la successione di forme statali che altro non sono che momenti di un
divenire assoluto. La concezione di Hegel è eliotropica: come il sole segue il suo corso, muovendosi da
Oriente ad Occidente, così lo spirito del mondo, al suo apparire, si è mosso seguendo il corso del sole. Le
prime grandi civiltà sono fiorite ad oriente (Cina, India, Egitto, Babilonia) dove la forma di governo era il
dispotismo “uno solo è libero”. In seguito, spostandosi verso Occidente, lo Spirito si è realizzato
pienamente presso i Greci, dove “alcuni erano liberi”. Attraverso le vicende della storia di Roma, in cui i
cittadini sono diventati sudditi e del cristianesimo, che ha segnato il mondo con la conciliazione spirituale
tra Dio e l’umanità, attraverso profondi momenti di crisi (la fine dell’impero romano, le invasioni
barbariche e la scissione tra le chiese) lo Spirito è approdato all’era moderna che trova nella Germania di
Hegel la piena realizzazione dell’ideale cristiano- riformato in cui “tutti gli uomini sanno di essere liberi”.
La Ragione è giunta alla sua piena manifestazione ed essa può trovare piena e completa realizzazione
nello stato prussiano che mostra le caratteristiche dello stato-idea. Nel mondo cristiano-germanico la
ragione è giunta alla sua piena attuazione. Si può parlare di una fine della storia? La piena maturità dello
Spirito, che Hegel vede incarnata nella civiltà cristiano-germanica, significa l’inaridimento del suo
slancio creativo? Hegel non dà una risposta a questo, ma accenna agli Stati Uniti come al paese del
futuro, “quello cui in tempi futuri si rivolgerà l’interesse della storia universale” ma, aggiunge, “fare il
profeta non si addice al filosofo”.
 Lo Spirito assoluto.
Lo Spirito oggettivo si è realizzato nello “stato etico”. Ma questo non è lo Spirito assoluto. Quando lo
spirito giungerà alla piena coscienza della propria infinità (cioè del fatto che tutto è spirito e al di fuori di
esso non vi è nulla) questo sarà il culmine della realizzazione dello Spirito, lo Spirito Assoluto. Tale autoconoscersi dello spirito come assoluto ha ancora necessità di un movimento dialettico che si articola in
Arte, Religione e Filosofia. Queste attività si differenziano soltanto per la forma, non per il loro
contenuto che è lo stesso, che è l’Assoluto, Dio.16 L’arte conosce l’Assoluto nella forma dell’intuizione,
la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro concetto.
Il termine “assoluto” conosce una lunga vicenda nel corso della storia occidentale: si tratta, in realtà, di un’espressione
platonica o neoplatonica, che significa “ ab-solutus, assolto (= sciolto) da ogni particolare condizione.
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Arte. L’arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo Spirito acquista coscienza di sé. Nell’arte lo
spirito umano vive in modo immediato ed in-tu-i-ti-vo quella fusione tra soggetto e oggetto, tra Spirito e
natura, che la filosofia idealistica teorizza concettualmente, quando sostiene che la natura altro non è se
non manifestazione dello spirito. L’arte si esprime attraverso forme e materiali naturali ma ciò che
esprime è un messaggio spirituale. Tale conciliazione di spirito e natura non sempre si è realizzata nel
tempo, anzi la storia dell’arte è si è evoluta (ricordiamo che, per Hegel, la storia è sempre evoluzione )
parallelamente alla storia dello Spirito e dei popoli che ne sono stati l’espressione. Nata in oriente, l’arte è
stata da principio caratterizzata da uno squilibrio fra il contenuto e la forma, a favore del contenuto.
Espressione concreta di questo squilibrio è il ricorso al simbolo (= il simbolo è un veicolo espressivo che
allude soltanto al contenuto ideale senza aver la capacità di comunicarlo pienamente. Culmine della
perfezione artistica, priva di profondità e paga solo della sua forma esterna, l’arte classica, attraverso la
scultura, manifesta il suo limite proprio nel perfetto equilibrio tra forma esteriore e contenuto interiore.
Tale limite dell’arte classica è evidenziato dall’arte romantica, sviluppatasi in occidente in età moderna, la
quale attuando un nuovo squilibrio fra contenuto spirituale e forma sensibile è un arte consapevole e
quindi più evoluta. Essa si trova nella condizione di esprimere un contenuto tanto ricco da trovare
inadeguata ogni figurazione sensibile. Di conseguenza le arti privilegiate dalla cultura romantica saranno
la pittura e la musica, dove l’elemento sensibile viene via via affinandosi fino a scomparire del tutto con
la poesia “la più spirituale delle arti”, pura interiorità e capacità evocativa. “Questa è per Hegel l’origine
della moderna “crisi” dell’arte. L’arte è insomma, per Hegel, divenuta inadeguata ad esprimere la
profonda spiritualità moderna.
Religione . La Religione, è la forma in cui lo Spirito Assoluto si manifesta come Rappresentazione, che
è il modo tipicamente religioso di pensare Dio che sta a metà strada tra l’intuizione sensibile dell’arte e il
concetto razionale della filosofia. Oggetto della religione è Dio, il soggetto della religione è la coscienza
umana. La prima forma di religione è il sentimento di Dio, la certezza interiore che Dio c’è. Il sentimento
però non è in grado di giustificare razionalmente tale certezza e di trasformarla in verità oggettivamente
valida: io non posso dire “Dio c’è perché me lo sento” e neppure dire “attraverso quest’opera d’arte
intuisco Dio”. Con la religione però posso tentare di pensare Dio, non attraverso i concetti della filosofia
e neppure attraverso l’intuizione sensibile dell’arte, ma tramite una terza via che è data dalla
rappresentazione. Questa è una metafora del pensiero e procede in modo a-dialettico, giustapponendo le
proprie determinazioni quasi fossero indipendenti le une dalle altre. Ad esempio, l’immagine cristiana di
Dio padre che crea il mondo è la rappresentazione, ossia l’ipostatizzazione metaforica (= il frutto di
immagini giustapposte) del fatto che la natura costituisce un momento dialettico della vita dello Spirito.
Come l’arte, anche la religione ha un suo divenire nella storia, parallelo a quello della civiltà dei popoli che la
praticano. Anche essa segue uno sviluppo eliotropico, come la storia stessa. Nata in Oriente come materialismo
feticistico, con il cristianesimo la religione giunge alla forma assoluta, in quanto concepisce Dio come Spirito.
Essa evidenzia una conciliazione tra finito e infinito, tra umano e divino nella persona di Cristo. Essa è, nella sua
sfera, perfetta.
La religione non è ancora filosofia, dice Hegel, ma da questa può essere riconosciuta come momento
fondamentale della vita dello Spirito. Lo sviluppo della coscienza religiosa è lo sviluppo dell’idea di Dio
nella coscienza umana. Al primo stadio troviamo la religione naturale. Qui l’idea di Dio è come sepolta
nella natura. L’idolatria ed il feticismo stanno al grado più basso della religione naturale, le religioni
panteistiche orientali al grado più alto, e così via via fino alla religione più evoluta, quella assoluta, che
presenta al massimo grado l’idea di dio nella coscienza umana che è la religione cristiana, in cui Dio
appare come puro spirito. Vicina con i suoi dogmi alla verità della filosofia (Cristo, l’uomo-dio, esprime
pienamente l’identità di finito e infinito; la trinità di Padre, Figlio e Spirito santo, la triade dialettica di
Tesi, Antitesi e Sintesi), la religione cristiana presenta pur sempre dei limiti, gli stessi propri d’ogni
religione. La religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi di fronte ad un
presunto “mistero dell’Assoluto”. L’unico sbocco coerente della religione è la filosofia, che ci parla
anch’essa di Spirito e Dio ma non più nella forma inadeguata della rappresentazione, ma in quella
adeguata del concetto. Tuttavia la religione cristiana, perfetta nella sua forma, è quella che più di ogni
altra si presta alla conversione nella superiore forma della filosofia.
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Filosofia. Il culmine della vita dello Spirito è la Filosofia. “Essa è l’Idea che pensa se stessa”. Nella
filosofia l’Idea giunge alla piena e concettuale coscienza di se medesima, chiudendo il ciclo cosmico.
Perfettamente dispiegata nella realtà, l’Idea attraverso la filosofia è divenuta auto-cosciente; lo Spirito
con la filosofia è giunto al suo scopo finale che è quello di auto-conoscersi.
Se l’Assoluto non è sostanza immobile ma Storia, allora anche la filosofia, come autocoscienza
dell’assoluto, avrà una dimensione essenzialmente storica.
I vari sistemi filosofici che si sono succeduti nella storia, come le religioni o le forme artistiche, non
devono e non possono essere perciò considerati un insieme disordinato ed accidentale di opinioni. Al
contrario, ognuno di essi costituisce una tappa necessaria e del farsi dello Spirito, che supera quello che
precede ed è superato da quello che segue. La filosofia è storia della filosofia. Essa, al pari della realtà, è
un processo che si è storicamente affermato per gradi e che si è concluso con l’Idealismo. Ogni filosofia è
valida per il suo tempo, adeguata a quelle che sono le esigenze di quel grado di sviluppo dello
Spirito. Quindi “la filosofia che è ultima nel tempo è risultato di tutte le precedenti e deve contenere i
principi di tutte; essa perciò è la più sviluppata, ricca e concreta”.
Il suo compito è comprendere ciò che è. A lei non compete fare previsioni o dare indicazioni su come ci
si dovrebbe comportare, poiché essa è il proprio tempo tradotto in pensiero. Essa è come “la nottola di
Minerva” che spicca il suo volo sul far del crepuscolo”( = Come “pensiero che pensa il mondo
mediante il concetto”, essa può comparire soltanto quando il processo mediante il quale lo spirito si
è concretizzato, in un certo popolo ed in una certa civiltà, si è concluso), quindi “dopo che la realtà ha
completato il proprio processo e si è ben assestata”. La filosofia è espressione senile di un’epoca e sorge
quando conosce la crisi tra le condizioni esterne e le aspirazioni interne e sente il bisogno di ritirarsi in sé
e riflettere. Comprendere, spiegare e, in un certo senso, giustificare la realtà. Questa la funzione della
filosofia per Hegel.
Il ruolo della filosofia per Hegel
La filosofia allora ha un ruolo soltanto giustificatorio? È apparato conservatore? Hegel è stato interpretato
anche così. In realtà la filosofia nel momento in cui comprende il proprio tempo lo rende leggibile,
lo svela e lo rende passibile di modificazioni: la comprensione è infatti la condizione indispensabile
per la successiva correzione degli errori
Con la metafora della nottola, Hegel intende dire
eventuali. Hegel si è sempre ritenuto onesto e
che la filosofia sorge quando una civiltà ha ormai
solerte funzionario della ragione.
compiuto il suo processo di formazione e si avvia
Il dibattito sulle teorie politiche di Hegel, a partire
al suo declino. Al tramonto degli stati ionici,
dalla posizione che lo considera un apologeta dello
nell’Asia Minore, sorse la filosofia ionica. Con la
Statalismo e della restaurazione, è tuttora vivo.
decadenza di Atene fiorì la filosofia di Platone e di
Secondo Karl Popper, Hegel sarebbe un nemico
Aristotele. A Roma la filosofia si diffonde solo al
della “società aperta” ed un “profeta del
tramonto della Repubblica e col regime dittatoriale
totalitarismo”. Tenendo presente che sarebbe
degli imperatori.
altamente ingiusto ritenere le teorie e le forme dello
stato hegeliane puntualmente coincidenti a quelle naziste o fasciste (lo stato di Hegel è uno stato di diritto
costituzionale e l’entità decisiva non è la razza o il sangue come per i teorici del Terzo Reich) resta fermo
che il nostro Hegel ha lasciato in eredità alle dittature del novecento alcune idee, alcune forme mentali
atte a giustificarne la condotta politica.
1) Il valore dato allo Stato, fuori dal quale l’individuo non è nulla.
2) Lo stato non ricava la sovranità dalla “moltitudine informe del popolo” ma da se stesso, in quanto
prima dello stato il popolo “non esiste”.
3) La sovranità statale s’incarna in una cerchia ristretta di funzionari dedita al pubblico bene che,
platonicamente, “sa” e “pensa”.
4) Lo Stato deve permeare di sé tutte le manifestazioni della vita in comune.
5) Lo Stato è un ente che al di là di sé non riconosce alcuna idea etica.
6) Non esiste sopra gli stati alcun diritto internazionale.
7) La guerra è inevitabile strumento di composizione dei conflitti inter-statali e giova alla salute dei
popoli.
Un “arsenale teorico” a cui avrebbero attinto a piene mani i fautori del totalitarismo e che sarebbe servito
a diffondere e giustificare il primato del “collettivo” sull’ “individuale”. Emblematica a tal proposito la
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voce “Dottrina del Fascismo”, redatta da Giovanni Gentile, per l’enciclopedia Treccani e firmata da
Mussolini che sembra enunciare punto per punto le caratteristiche dello Stato Etico teorizzato da Hegel.
Rifiutando polemicamente tale immagine di Hegel altri studiosi hanno cercato di accreditare l’opposta
figura di un Hegel paladino della ragione e della libertà. Alcuni, non accettando questa riduzione di Hegel
quale “dittatore filosofico della Germania prussiana”,17 hanno insistito per una chiave di lettura
“progressista” della teoria politica di Hegel, che vede in lui più un teorico della società civile che non
dello Stato, dato che egli ha incessantemente polemizzato con i teorici della contro-rivoluzione e della
restaurazione ed è stato un portavoce della rivoluzione francese. Fra gli interventi più significativi citiamo
Ragione e Rivoluzione di Herbert Marcuse, il quale, dopo avere insistito sulle potenzialità critiche e
perciò liberatrici della ragione idealistica enumera le concrete differenze fra lo stato hegeliano e quello
totalitario (che si fonda sulla sottomissione delle masse attraverso il terrore, aborrito da Hegel).
Sembrerebbero emerse inoltre alcune interpretazioni di un Hegel “massone” e “segreto” in base ad alcuni
quaderni di appunti presi da uditori nel corso di lezioni di Hegel nel corso di lezioni tenute nel 1831, da
cui emergerebbe un Hegel socialista-liberale. E non dimentichiamo che nella Fenomenologia la
realizzazione del riconoscimento, fra gli individui liberi della società moderna, è affidata da Hegel al
linguaggio, all’esercizio del linguaggio “in un contesto pratico e morale in cui il confronto tra le
autocoscienze non è mediato dalla lotta o dalla violenza ma dal giudizio che ciascuno esprime
vicendevolmente nei confronti dell’azione compiuta dall’altro […] la proposta hegeliana è
l’intersoggettività dialogante. Essa non garantisce che l’azione in sé sia e rimanga buona, garantisce
piuttosto la reciproca comprensione tra esseri umani”.18 Questo non sembra suffragare l’intenzione di
teorizzare uno stato tirannico o violento.
Due visioni di Hegel contraddittorie, due opposte “leggende”. Esse andrebbero ridimensionate. Forse ha
ragione Norberto Bobbio quando afferma che “Hegel non è un “reazionario” ma non è neppure, quando
scrive la filosofia del diritto un “liberale” è puramente e semplicemente un conservatore, in quanto
pregia più lo stato che l’individuo, più l’autorità che la libertà, più la coesione del tutto che l’indipendenza
delle parti, più l’obbedienza che la resistenza, più il vertice della piramide che la base”.
17
Rudolf Haym, Hegel e il suo tempo, Berlino 1857.
Pancaldi, Trombino, Villani, Philosophica, 3 a, Marietti, pag. 138-139.
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