Visualizza le note di regia - Fondazione Teatri di Piacenza

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IL “MIO” AMICO FRITZ
di Leo Nucci
Quando pensammo di mettere in scena L'amico Fritz avevo le idee chiarissime.
L'amico Fritz si rappresenta poco. È l’opera del «duetto delle ciliegie» e del famoso intermezzo.
Quest’anno ricorre il 70° dalla morte di Mascagni.
Pensavo di conoscerla perché l'avevo sentita in disco e vista in teatro anche se devo confessare
che in tutte le occasioni mi ero abbastanza annoiato. Naturalmente ho delle registrazioni: in primis
quella di Gigli con sua figlia Rina diretti da Gavazzeni. Ho un video recente che a mio avviso, per
fare la rima, è piuttosto scadente. Bene le voci però l'allestimento tristissimo.
Poi mi sono reso conto che in realtà quest’opera non la conoscevo affatto. Almeno nella sua verità
interiore. Vizio del parlare o del pensare per sentito dire… vizio sempre in voga nel mondo
dell’opera. Nostri informatori molto autorevoli sostengono che Mascagni volesse farne un'opera
allegra. Qualcosa a questo punto non quadrava…
Ovviamente ho iniziato il lavoro di documentazione e mi si è accesa la classica lampadina.
Il testo è preso da una novella simpatica (senza essere un capolavoro di drammaturgia) di
Erckmann e Chatrian del 1864, adattata per il teatro nel 1876.
Per la parte della linea del canto la musica non è male e giusta nelle intenzioni teatrali, anche se
però va molto spesso a finire in melanconia. Il problema semmai è l’aspetto armonico e
strumentale che poco ci azzecca con il testo, portandosi palesemente sulle spalle il successo e
l’eredità di Cavalleria Rusticana... non facile da cancellare. Ha comunque nella partitura pagine
eccellenti e note, come quelle già citate.
Siamo in Alsazia, questo lo sappiamo tutti, in una comunità ebraica, e forse a questo pensano in
pochi. Tutte le edizioni viste o sentite non lo sottolineano o lo fanno marginalmente. C'è il rabbino
che evoca continuamente la Sacra Bibbia. Abbiamo al secondo atto una pagina lunghissima e
difficile da mettere in scena, e che può essere apparentemente monotona, sulla storia di Rebecca.
Eppure gli altri personaggi sono sempre rappresentati come appartenenti ad un altro mondo
culturale, compreso Fritz.
Sappiamo che non tutte le persone di discendenza ebraica sono religiosamente praticanti. Anche
questi però hanno il rispetto di certe indicazioni della tradizione biblica. Qui però l’assidua
frequentazione della casa Kobus da parte del rabbino pare indicare che la pratica religiosa ci sia.
Doverosa riflessione: quest'opera era in auge nel periodo del Ventennio, merito anche di
Beniamino Gigli e della sua straordinaria qualità vocale. Perché quest’impronta 'ebraica' del
libretto è sempre stata poco evidenziata, a parte l’inequivocabile personaggio di David? Forse il far
mostrare, a quell'epoca, il mondo ebraico come un mondo di generosità e amore non
corrispondeva alla 'moda' ideologica di quegli anni..?
Perché di questo si tratta: Fritz nella tradizione popolare, anche in alcune zone d'Italia, è simbolo
di generosità. E l'opera termina con un matrimonio al grido «O amore, o bella luce del core […] la
vita è in te!»
Sarò retorico, però a pensare male qualche volta ci si prende. Dopo però rimangono le convenzioni
che noi chiamiamo tradizioni (e ti saluto)...
Nel 1874 si dà vita ufficialmente in Francia al movimento pittorico detto Impressionismo e il
sommo artista che gli dà il nome, Monet, ha una famosa casa con il celebre giardino proprio nei
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paraggi del luogo ove si svolge la vicenda. Qui un’altra lampadina si è accesa: siamo nel periodo
esatto del libretto! Non potrebbe darsi che anche la musica in un qualche modo possa essere
impressionista? E se provassimo ad accostarla a quel periodo anche visivamente dimenticando
tutte le indicazioni scenografiche della partitura?
Serie di consultazioni e riunioni; alla fine decisione unanime che coinvolge il direttore del Teatro
Municipale Angela Longieri, il direttore artistico Cristina Ferrari e i miei principali collaboratori. Il
mio inesauribile aiuto Salvo Piro, lo scenografo Carlo Centolavigna, il costumista Artemio Cabassi,
l’ingegnere delle luci Claudio Schmid.
Risultato: ci siamo appassionati a questo lavoro divertendoci come se stessimo allestendo
un’opera al suo primo debutto. Sempre sottolineando, come nostra abitudine, il rispetto della
musica nella regia. Del resto sul podio troviamo fortunatamente un direttore con sensibilità,
esperienza e bravura, il maestro Donato Renzetti.
Non pretendo dire che solo noi abbiamo capito L'amico Fritz, ma abbiamo provato a "dargli più
sprint". Ci siamo re-inventati l'ambientazione cercando di dare luce a quei momenti musicali che
sembrano, di tanto in tanto, perdere la luce e abbiamo scoperto che, nonostante alcune
contraddizioni, L'amico Fritz è un'opera molto piacevole. Abbiamo tentato di farne un’opera piena
di colori visivi e interpretativi.
Molte opere finiscono bene e con matrimoni, sempre però con matrimoni d'interesse o
convenzionali. Qui abbiamo un matrimonio dove anche sotto questo aspetto noi ci siamo inventati
una nuova situazione, ma sono gli amici ad organizzare la trappola per cui lo scapolo Fritz possa
maritarsi. Alla fine però sarà il vero amore a vincere, perché i personaggi scopriranno che è ciò più
conta nella vita.
Per metterla in battuta: abbiamo cambiato pennello. Da pennello a testa tonda siamo passati alla
testa piatta. Questa forma di pennello, prima di quel periodo storico, era sconosciuta nella pittura
artistica, dove fu introdotta a Parigi nella seconda metà dell'Ottocento. Questo utensile ha dato la
possibilità (ai pittori) di fare pittura impressionista, con pennellate decise e piene di 'materia'.
Anche noi siamo andati giù 'di piatto' cercando di dare a quel mondo di grande cultura per la storia
di tutti noi la dimensione umana spesso negatagli dai pregiudizi.
Una pagina del primo atto mi aveva fatto pensare a Chagall. Da lì è venuta l'idea che mi auguro
possa risultare gradita al pubblico.
Ringrazio il Teatro Municipale di Piacenza per avermi ancora una volta onorato dandomi questo
gradito incarico. Ringrazio tutti i miei collaboratori e le maestranze sempre disponibili, capaci e
entusiaste di questo teatro che funziona in maniera esemplare. Ringrazio il coro del Municipale di
Piacenza e il loro maestro Corrado Casati per la sua bravura e per la loro disponibilità a volersi
divertire con noi.
Ringrazio l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini per l’onore che ci fa nell’essere ancora una volta
con noi. Ringrazio il maestro Donato Renzetti. Il suo apporto di conoscenza professionale e
umanità è per noi fonte di impegno nella gioia della musica e se mi è concesso lo ringrazio per la
nostra ormai storica amicizia.
Un grazie e un applauso ai giovani cantanti che anche quest’anno mi hanno sopportato nelle mie
lunghe esternazioni, sempre fatte (spero) a loro bene, almeno questa era la mia intenzione. Sono
tutti bravissimi e li abbraccio facendogli il classico “in bocca al lupo” e, come rispondo io, “viva il
lupo”!!!
Grazie a voi pubblico che anche quest’anno avete dimostrato di seguirci con l’amore per il mondo
dell’opera. Non facciamo tutto questo per la nostra vanità, ma nella speranza di dare a voi, che
siete la nostra linfa, momenti di emozione e spunti di riflessione.
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