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2. UN POETA CONTRO LA STORIA: IL METASTASIO DAL 1740 AL 1782.
È mia intenzione ricercare nell'Epistolario le informazioni necessarie a ricostruire,
almeno nelle linee principali, la personalità e il pensiero del Metastasio nel periodo
dal 1740 alla morte. Vorrei puntare, pertanto, a una lettura strumentale delle lettere del poeta, non già ad analizzarle esteticamente come opera di prosa: cosa che pure andrebbe fatta specificamente, cercando di approfondire le indicazioni offerte dal
Binni1 e di superare giudizi critici sul Metastasio prosatore spesso positivi ma quasi
sempre generici2.
Tuttavia, anche per tale lettura di carattere strumentale, è necessario ricordare che
lo stile epistolare del Metastasio conosce livelli diversi e coerenti con la natura e
gl'interessi del destinatario, e con il particolare rapporto che ha con lui il poeta: e
diversa è anche la scelta e l'organizzazione dei contenuti. Pertanto, le lettere andranno usate con una certa attenzione al loro peso relativo: e l'importanza maggiore, a mio modo di vedere, e per i fini che mi sono proposto, va attribuita a due gruppi di lettere che si collocano, per così dire, agli estremi dello spettro dei diversi stili:
da una parte, cioè, alle lettere caratterizzate dal massimo di confidenza con i corrispondenti (indirizzate al Farinello, al fratello Leopoldo, a Francesca Maria Torres
Orzoni, ad Anna Francesca Pignatelli di Belmonte, Tommaso Filipponi, Giovanni
Adolfo Hasse, e pochi altri); dall'altra, invece, alle lettere non confidenziali, e in particolare a quelle scritte per esporre il proprio pensiero in forma ufficiale, tra le quali
sono evidentemente quel le considerate ammissibili alla pubblicazione 3. Dal confronto tra questi due gruppi molto diversi e quasi opposti si possono trarre utili informazioni: per esempio, l'assenza pressoché completa della polemica antilluministica al di fuori delle lettere destinate al fratello4, prova indirettamente che il Metastasio si sentiva (e, in effetti, si trovava) in una situazione di progressivo isolamento ideologico.
Naturalmente, quando si vorrà indagare il pensiero del Metastasio, sarà importante
constatare la congruenza tra le posizioni espresse ai diversi livelli della sua
corrispondenza: e si può anticipare che questo confronto non offre mai l'occasione
di segnalare delle ambiguità o delle vistose dissonanze tra le varie espressioni delle
sue posizioni di fondo. Il Metastasio, pur con ovvie cautele nelle proprie affermazioni, è "sempre eguale a se stesso", non si smentisce mai: la sua moderazione e il
suo conservatorismo si mantengono inalterati nel tempo, e il compito del lettore è
semmai quello di cogliere le variazioni di tono più significative nella permanenza e
nella saldezza delle convinzioni.
[Le citazioni dalle opere del Metastasio sono tratte dall'edizione mondadoriana delle Opere curata da
B. BRUNELLI (Milano 1943-1954; vol. I: melodrammi; vol. II: opere varie; voll. III-V: epistolario), che
d'ora in poi verrà indicata con la sigla B, seguita dal numero del volume (in cifra romana) e da quello
della pagina]. - Arc. Met., pp. 275-282.
1
Si vedano, principalmente: G. CARDUCCI, op. cit., p. 281; G. NATALI, La vita e le opere, cit., p. 25;
M. FUBINI, Introduzione all'antol. ricciardiana, cit., pp. 20-24; E. RAIMONDI, op. cit., p. 254.
2
Le lettere di cui il Metastasio consentì la pubblicazione sono cinque: le due lettere a F. G. di Chastellux sulla musica drammatica (15 luglio 1765 e 29 gennaio 1766; B IV 397-399 e 435-440), quella
scritta a Domenico Diodati contenente il famoso paragone tra Ariosto e Tasso (10 ottobre 1768; B IV
663-668) che riproduce la lettera «a un cavalier napoletano» del 7 aprile 1737 (B III 152-155), e le due
lettere a Saverio Mattei sulla musica (5 aprile 1770 e 17 gennaio 1774, B IV 813-819 e B V 277-278).
3
Fanno eccezione le lettere allo Chastellux (15 luglio 1765; B IV 397-399), al principe di Belmonte (14
marzo 1768; B IV 606-608), a Eleonora Fonseca de Pimentel (8 marzo 1776; B V 374-376).
4
8
Se si desiderano trarre indicazioni di carattere psicologico ed esistenziale, invece,
andranno decisamente privilegiate le lettere ad familiares, cercando di amplificare
(senza distorcerli) i segnali sempre sfumati, filtrati, spesso autoironici, che il poeta
trasmette di sé e dei propri sentimenti. Anche qui, dunque, si tratta - salvo una sola
eccezione - di seguire passaggi a volte impercettibili, senza rotture: come sempre si
deve fare seguendo le vicende del Metastasio nella vita e nella poesia.
Svolte queste rapide considerazioni metodologiche, un'ulteriore considerazione va
fatta: l'epistolario metastasiano, quale ci è conservato, presenta un netto squilibrio,
dal punto di vista quantitativo, a favore degli anni posteriori al 1740: delle 2626 lettere raccolte dal Brunelli, solo 164 portano una data anteriore al 1740.
Pertanto, la personalità metastasiana può essere meglio studiata nel suo periodo
maturo e senile: sono scarse le testimonianze dirette e personali del poeta sugli anni
romani e napoletani, sul periodo della sua formazione5. Di questa scarsezza, per i
nostri fini, non si soffre: noi prendiamo le mosse da un momento in cui la personalità del poeta appare già formata e sicura, e in cui molteplici testimonianze consentono di coglierne le reazioni di fronte al grande movimento culturale del maturo Settecento.
Iniziando dal 1740 la lettura della parte più copiosa dell'epistolario metastasiano,
c'imbattiamo ben presto in un avvenimento importante.
Ieri nell'entrare del giovedì un'ora e mezza dopo la mezzanotte passò all'altra vita il mio augustissimo
padrone Carlo VI. Non occorre che vi dica di più per farvi concepire la mia desolazione. Gli ultimi giorni della sua vita preziosa ci hanno fatto conoscere il peso della nostra perdita, poiché non ci è stato
momento in cui non abbia date prove di pietà, di costanza ed amore verso i suoi popoli. È spirato adempiendo fin all'ultimo istante le parti di cristiano, di padre, di principe e di eroe6.
La disadorna retorica del messaggio di partecipazione al grave lutto induce il Metastasio a trasfigurare Carlo VI in una delle sue ideali figure di sovrano melodrammatico: padre, principe, eroe. E - si deve aggiungere - nume tutelare della fortuna del
poeta, di cui aveva sollecitato continuamente la penna con la sua passione per il
teatro che richiedeva sempre nuove produzioni. Sua figlia Maria Teresa, che il Metastasio non meno amò, avrebbe fortemente diradato le commesse al poeta; la sua
contrastata ascesa al trono, la guerra dei Sette Anni, e poi il difficile lavoro di riassetto e di riforma dell'impero l'avrebbero distolta dai più gradevoli ozi, l'avrebbero
convinta a contenere le spese di corte e quindi anche il numero degli spettacoli teatrali. Sebbene questo abbia consentito al Metastasio lo spazio necessario per dedicarsi allo studio e al ripensamento della sua poetica, non di meno si può far l'ipotesi
che il diradamento del "lavoro" per il poeta, cui venivano commessi per lo più azioni
sceniche brevi e addirittura asciutti "complimenti" in occasione di genetliaci ed onomastici, abbia concorso - con tutte le altre componenti che avremo ad enumerare ad accentuare nel poeta la sensazione dell'impoverimento della sua arte e, ancor più
verosimilmente, a convincerlo della "secondarietà", della necessaria subordinazione
della poesia a più gravi, concreti e meno melodrammatici problemi. Inoltre Maria
Teresa, soprattutto dopo l'associazione al trono del figlio Giuseppe II, avrebbe dato
impulso a una politica riformistica improntata a principi profondamente difformi
dalle convinzioni del poeta. Pertanto, la morte di Carlo VI appare un avvenimento
chiave per la vita e per la poesia del Metastasio; anche se per diversi anni ancora il
5
Cfr. BINNI, Arc. Met., p. 253.
6
A G. Peroni, Roma, 20 ottobre 1740 (B III 195).
9
poeta non nutrirà la precisa consapevolezza di questi mutamenti, è tuttavia questo
il momento che segna concretamente la fine di un periodo di lavoro intenso, corroborato da un ambiente pienamente congeniale.
Infatti la produzione poetica metastasiana assume un ritmo ben più blando: dopo
l'Ipermestra e l'Antigono del 1744, il poeta non compone più melodrammi sino al
1751; per il resto, egli è occupato dal lavoro di rifinitura dell'Attilio Regolo, che, a
dieci anni dalla prima stesura, andrà in scena nel 1750 a Dresda, e ha modo di dedicarsi alla traduzione e al commento dell'Ars Poetica di Orazio, al commento ad Aristotele, e d'esporre così i princìpi della sua poetica.
Già la scelta del Metastasio di ancorare la propria meditazione di poetica a questi
autori dimostra il suo classicismo; tuttavia, considerando che i due commenti varranno a difendere la legittimità del genere melodrammatico e la giudiziosa libertà
dell'artista nell'applicare la precettistica tradizionale, s'intende che questo classicismo è moderato da un forte senso della contemporaneità, che richiede una reinterpretazione, razionale e illuminata dal senso storico della evoluzione del gusto, dei
canoni classici del teatro tragico.
L'esigenza della contemporaneità spinge il Metastasio a formulare la sua poetica
della chiarezza, della comunicabilità, della razionalità, che pure non soffoca, sebbene infreni e controlli, il fuoco dell'ispirazione: contro la «condannabile oscurità» di
coloro «che han bisogno del fosco lume per facilitar lo spaccio delle loro merci imperfette»7. E, ancora, lo spinge ad accettare il melodramma, a dedicarsi con convinzione al teatro, al concreto pubblico che lo riempiva, in cerca di sogni d'evasione che
non risultassero tuttavia difformi dai suoi valori e dai suoi ideali. Corrispettivo di
questo adeguamento è per il poeta l'accentuazione del valore pedagogico del suo
melodramma:
L'obbligo principale di questo (come buon poeta) si è assolutamente e principalmente quello di dilettare; l'obbligo poi del poeta (come buon cittadino) è il valersi de' suoi talenti a vantaggio della società,
della quale ei fa parte, insinuando, per la via del diletto, l'amore della virtù, tanto alla pubblica felicità
necessario8.
Questo cenno sulla poetica del Metastasio serve a chiarire i motivi della sua incomprensione e della sua stroncatura della letteratura preromantica, che non sarà - dal
suo punto di vista - né dilettevole né pedagogica: sarà soltanto, per il Metastasio, il
segno letterario dell'incapacità, da parte della ragione, di controllare la forza della
sensibilità e favorire l'ordinato progresso della società. E questo breve excursus sulla poetica serve anche a sottolineare invece la concordia del maturo Metastasio con
il gusto arcadico, con gli ideali, diffusi in Italia, della reazione antibarocca: poesia
fondata sul vero, fornita di «discreta eloquenza»9 e di misura: ma poesia ancora intesa «come prova di perizia letteraria, come gradevole intrattenimento, come ornamento d'obbligo nelle varie solennità pubbliche e private»10.
Sul piano esistenziale, i primi anni dopo il '40 sono pacifici e senza preoccupazioni,
vissuti con la confortante compagnia della contessa d'Althann: non si preoccupa
gran che il poeta della guerra di successione, rifugiato nella residenza di Czakaturn:
7
Cfr. il commento a Orazio (B II 1278).
8
Lettera al Santoro, 26 marzo 1764 (B IV 349-350).
9
FUBINI, Dal Muratori al Baretti, cit., p. 341.
10
Ibid., p. 353.
10
È vero che
mentre d'intorno
d'alto incendio di guerra arde il paese
noi ce ne stiamo in placido soggiorno
senza temer le militari offese,
ma pure questo beneficio ha la sua punizione, ed è la mancanza di notizie. Non già delle pubbliche
(perché questa non saprei se vada fra' difetti o fra le prerogative del nostro ritiro), ma bensì delle
private, e di quelle che specialmente riguardano le persone più stimate e più care11.
Sembra proprio che la burrasca della guerra non sia effettivamente temuta, che alla
sollecitudine per le sorti dell'impero prevalga il desiderio di una sorta di rimozione;
mentre appare evidente l'aspirazione a non smarrire l'appoggio della propria cerchia
di amici, la cara abitudine della loro conversazione, nella convinzione che la fastidiosa parentesi della guerra debba presto chiudersi.
E davvero in questo periodo si può riconoscere nel Metastasio, a parte la ricorrente
lamentela dei propri malanni, di cui difende strenuamente la rispettabilità 12, e l'impazienza (mitigata però da un vivo umorismo) per una somma di doveri formali più
che sociali13, una tranquilla gioia di vivere, una maturità appagata, che si esprimono in diverse forme, tutte animate dalla stessa vitalità non esuberante, ma attiva e
fiduciosa: si veda, a questo proposito, la vivacità che traspare dalla descrizione di
un battibecco di teatro che ha per protagonista il Caffariello14; il tono delle lettere al
Farinello, al Filipponi, alla Pignatelli di Belmonte, alla Torres Orzoni, tanto per citare i più assidui corrispondenti a cui il poeta trasmette la sua tranquilla filosofia. Sul
piano della discussione artistica e letteraria, si vedano la pazienza e la minuzia dei
consigli poetici che trasmette all'Algarotti15, la famosa lettera allo Hasse sulla musica del l'Attilio Regolo16, che dimostra come in questo periodo il Metastasio riuscisse ancora a credere in una produttiva collaborazione della musica e della poesia nel
melodramma, nonostante egli avesse già manifestato in diversi momenti la sua impazienza nei riguardi delle tendenze della musica drammatica contemporanea. Ma
trattando con il «caro Sassone» il poeta può ancora fondarsi sulla comune educazione musicale alla "scuola napoletana" per dar sfogo a quella musica che egli concepiva componendo i propri versi e per favorire la produzione di uno spettacolo in
cui le varie componenti tendessero a un fine comune.
Né sarà un caso che le riuscite poetiche dei primi anni dopo il 1750 (Il Re Pastore,
L'Eroe Cinese, L'isola disabitata) siano legate alla musica del Bonno, anch'egli di
scuola napoletana e - in possesso dell'«ottimo gusto della vera musica» - capace pertanto di stimolare il lavoro del poeta dandogli la certezza che esso non sarebbe stato
brutalmente contraffatto nello scontro con un'estetica musicale troppo difforme: ostacolo tanto più grave per un poeta che non scriveva nulla «senza (o bene o male)
imaginarne la musica», che affermava di non conoscere poesia senza musica, e che
pertanto aveva un vitale bisogno della possibilità concreta di avere la musica per
11
Lettera scritta da Czakaturn a Luigi di Canale, Vienna, il 13 ottobre 1741 (B III 205-207).
12
Alla contessa di Sangro, 15 aprile 1747 (B III 296-297).
13
A N. Jommelli, 8 aprile 1750 (B III 508-509).
14
Lettera del 5 luglio 1749 (B III 405-408).
15
Lettere del 27 ottobre 1746 e del 1° dicembre 1746 (B III 277-281 e 281-288).
16
20 ottobre 1749 (B III 427-436).
11
docile alleata piuttosto che per nemica17.
Né, in questo periodo, si manifestano le nette prese di posizione antilluministiche
che diverranno, in seguito, frequenti e - più tardi ancora - amareggiate o sarcastiche. La nouvelle philosophie non è ancora divenuta un problema quotidiano: possiamo soltanto cogliere, poco fuori dal giro del primo decennio del regno di Maria Teresa, i prodromi della polemica futura nella lettera a Luigi di Cahusac 18 in cui declina elegantemente l'invito a collaborare all'Encyclopédie, e in una di poco successiva
ad Antonio Maria Zanetti19, in cui manifesta la sua diffidenza:
[Ho deciso] di non prendere per ora la minima parte della Enciclopedia di cui vi parlai. Dopo avervi
scritto ho avuto notizie così poco vantaggiose dell'uomo che a nome d'una società mi richiese di assisterlo in questa provincia a lui commessa, che ho giustamente temuto che il suo possa far torto al mio
credito, senza ch'egli ne risenta vantaggio proporzionato al danno: sicché mi sono scusato seco con le
più dolci espressioni che ho potuto, e mi son tolto d'impaccio.
S'intende bene, dunque, che questa diffidenza è cosa ben diversa dalle ferme opposizioni che registreremo più avanti: la vita del Metastasio procede pacificamente e
senza problemi di sorta, almeno fino a quel 1755 (data fortemente sottolineata dal
Carducci e dai suoi seguaci) in cui termina il cosiddetto regno "della seconda Marianna", con la morte della contessa d'Althann che segna effettivamente un momento psicologico unico nella vita del poeta, al di là del quale, anche quando la filosofia
di vita del Metastasio e il naturale rimedio del tempo avranno lenito il dolore, non vi
sarà un totale ritorno al pristino equilibrio, anche a causa degli avvenimenti immediatamente successivi.
La vostra gratissima del 15 del caduto mi ha trovato in una delle più grandi afflizioni che possano essermi destinate in questa vita. La degnissima contessa d'Althann da sabato scorso a sera 20 è stata
cancellata dal numero de' viventi da una febbre "infiammatoria reumatica" che ha compiuto in sei giorni l'opera funesta. Un'amicizia di ventiquattro anni fabbricata sopra principii irreprensibili è un edificio
che non si dirocca senza scosse crudeli. Consideratelo, compatitemi, ma vi prego di non tentar di consolarmi in risposta. Addio21.
E nei mesi seguenti il poeta così descriveva a Francesca Maria Torres Orzoni le conseguenze di questa grave perdita:
Non mi dimandate, riveritissima signora contessina, qual sia il presente tenore della mia vita. Son divenuto, a dispetto della mia natural repugnanza, pianeta errante: e tutto il mio studio è di non andar
mai due volte di seguito nel luogo istesso: tanto son spaventato dall'imperioso dominio che acquista
sopra di me l'abituazione. È vero che la comune maniera di pensare ed i mal sicuri caratteri della
maggior parte delle persone fra le quali si vive sono un efficace preservativo contro gli assalti di una
nuova amicizia: ma chi è fabbricato con le mie inclinazioni corre sempre il rischio d'esser indulgente
ne' giudizi, per non fare a quelle violenza. Immaginatevi quanto sia insipida la mia vita e quanto maggior agio io mi trovi da riflettere sulle tormentose vicende della mia capricciosa salute... 22
Il poeta sente il desiderio di difendere la propria solitudine, facendosi «pianeta errante» per sfuggire all'«abituazione», a quella vita un po' monotona alla quale egli si
17
Per questo problema si veda l'Appendice, infra.
18
Lettera del 12 agosto 1751 (B III 665).
19
Lettera del 21 agosto 1751 (B III 670).
20
Vale a dire il 1° marzo 1755.
21
Lettera al fratello Leopoldo, 3 marzo 1755 (B III 993-994).
22
3 maggio 1755 (B III 1009).
12
era fin allora benissimo adeguato: ed effettivamente egli sente di andare contro le
proprie «inclinazioni», quando sfugge all'amicizia e al civile conversare; ma il suo
problema di adesso è che l'equilibrio affettivo fondato sulla lunga e «irreprensibile»
amicizia con la d'Althann si è spezzato, il che lo costringe a una fase d'incertezza e
di disorientamento prima che la "filosofia" gli consenta di ristabilirlo. E in tali disposizioni d'animo il Metastasio si vede costretto a una dura prova:
Il generale d'Althann mi ha costretto, a forza di gentilezze, a non interrompere l'invecchiato costume di
passar qualche parte dell'autunno in Moravia: ed io non ho potuto onestamente difendermi. Figuratevi, signora contessina gentilissima, quante memorie serene abbiano potuto risvegliarmi tutti gli oggetti
di Joslowitz e di Frain, che non eran resi famigliari dal costume come quelli di Vienna, che hanno
perciò perduta qualche parte della loro funesta efficacia. Avrebbe bastata questa ragione per avvelenar
la mia villeggiatura, ma per compimento di piacere hanno congiurato il freddo, le piogge, i venti ed i
miei flati ipocondriaci a rendermela insopportabile. A dispetto di tante opposizioni della natura io ho
posto in uso l'unico rimedio che ho saputo trovar nel mio caso: cioè di non restar fermo in alcun luogo.
Ho corso continuamente: ho fatto visite in quei dintorni, che non avrei mai immaginate: ed eccomi finalmente alla mia solita, se non ridente, almeno meno violenta situazione...23
Anche di fronte alle «memorie serene» di Joslowitz e Frain il Metastasio è preso - e a
maggior ragione - dal desiderio di sfuggire il contatto diretto per tentare di superare
il dolore: si muove in continuazione, contro la sua natura di poeta "residenziale",
per non rischiare di darsi in preda alla violenza dei sentimenti che egli, possiamo dire, sperimenta qui per la prima volta. Infatti non troviamo, tra le lettere del Metastasio, un'altra simile esperienza di dolore: tanto che si potrebbe affermare che la morte di Marianna d'Althann sia stata l'unico grande dolore della sua vita, l'unico episodio in cui la mano del destino abbia osato colpire proprio nel centro di quella cerchia privata di affetti che il poeta aveva costruito con pazienza e cautela per provvedersi di quella vita tiepida e tranquilla che la sua concezione un po' domestica del
carere dolore gli suggeriva di favorire. E se si considera questo egocentrismo del poeta, oltre al fatto che la ferita nel suo cuore era recente, si comprende come egli rimanesse quasi insensibile alla grande (e, per l'ottimismo illuministico, sconvolgente)
tragedia del terremoto di Lisbona. Leggiamo ciò ch'egli scrive, nella circostanza, al
carissimo Farinello24:
Io ho provato nel mio interno tutto lo sconvolgimento dell'infelice Lisbona. Che orrore! che flagello! che
miseria! povera umanità! Fra tanti motivi di afflizione io rifletto per consolarmi al largo campo che la
Provvidenza ha aperto al vostro adorabile sovrano di spiegar le grandi e ammirabili disposizioni del regio suo cuore. Ciò ch'egli ha fatto parrebbe immaginazione poetica, s'io l'attribuissi al mio Tito o al mio
Alessandro. Queste sono azioni, caro gemello, che onorano tutta l'umanità. Felice chi è destinato dal
Cielo per istrumento di tanta gloria a tutta la nostra spezie!
Teniamo presente che si tratta di una lettera confidenziale, destinata al "caro gemello", parlando al quale il Metastasio non sente, altrove, il dovere di essere magniloquente, come invece qui accade: e non mi sembra illegittimo sospettare che le esclamazioni cui egli ricorre, e le iperboli («io ho provato nel mio in temo tutto lo
sconvolgimento...»; «parrebbe immaginazione poetica...»), per non parlare del contenuto complessivo della lettera, in cui prevale lo spazio dedicato all'interpretazione
"obliqua" della tragedia, coprano in realtà un sentimento di partecipazione alquanto
tenue.
Al dolore per la morte della contessa d'Althann succede comunque proprio una
preoccupazione di carattere "pubblico", che questa volta il poeta poteva sentire più
sua perché finiva indirettamente per coinvolgerlo, con le ripercussioni che aveva
23
A F. M. Torres Orzoni, 11 ottobre 1755 (B III 1066).
24
5 dicembre 1755 (B III 1075-1076).
13
sulla vita e sulle discussioni di tutti i giorni: la guerra dei Sette Anni, dichiarata nel
1756, che il Metastasio segue nelle sue prime vicende con una certa apprensione,
dato che essa non si apre affatto con vicende favorevoli per gli Asburgo. L'esercito di
Federico II di Prussia, prima di pagare le conseguenze dell'accerchiamento politico e
militare, infliggeva dure sconfitte agli eserciti alleati degli Austriaci, dei Francesi e
dei Russi. Il poeta, negli anni decisivi della campagna nell'Europa centrale (17561759), non manca quasi mai, nelle proprie lettere, d'informare gli amici e il fratello
sull'andamento della guerra, lasciando trasparire una certa sollecitudine per le sorti
dell'impero attraverso la minuziosità delle relazioni e nei commenti, che lasciano
intravedere una conoscenza dell'"arte della guerra" sicuramente proveniente dalle
discussioni e dalle polemiche che a Vienna dovevano essere ben serrate. E non sono
poche le preoccupazioni per il Metastasio, prima che la situazione si ristabilisca con
le decisive vittorie di Daun:
Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Daun25
per il quale il Metastasio non nascose la propria ammirazione26, fino a supporre oblique intenzioni nei suoi detrattori, come possiamo vedere in una lettera scritta
quando il pericolo è scampato, la salvezza assicurata: nella quale il poeta può finalmente esprimere francamente il suo fastidio:
Io vorrei essere in qualche nascondiglio della Nuova Zembla o del polo antartico, per non sentir nuove
di guerra e per non tener sempre alla tortura il mio lume naturale offeso e strapazzato giornalmente
dagli sciocchi ed impertinenti ragionamenti della maggior parte degli uomini, e specialmente di quelli
che per l'età e per la professione guarniscono d'aria autorevole gli spropositi che suggeriscon loro mille
private passioni.27
Ora che le cose si sono messe al meglio, e si parla addirittura di marciare su Berlino28, il poeta ritrova la sua impazienza nei confronti di ciò che turba il ritmo della
vita quotidiana; ma restano dopo la tempesta le gravi ferite all'economia dell'impero,
e anche a quella privata del Metastasio:
nel corso di questa guerra io sono con enorme sproporzione aggravato a titolo d'imprestito di fiorini
duemila duecento e sessanta; ed ho dovuto prendere il mio soldo d'un anno intero non solo diminuito
del 12 per cento, ma in carte, che non possono ridursi in denaro senza la perdita di altri 12 per cento almeno. Aggiunga a tutto questo i testatici, e tante altre giornali nuove imposizioni, e s'imagini con qual
leggiadria sieno atte a sostener questo peso le facoltà di un poeta. Ciò non ostante, sicurissimo che
tutte le mie querele e le mie agitazioni non avrebbero cambiato il sistema già stabilito, ho risparmiata
l'opera inutile, demitto auriculas tamquam iniquae mentis asellus, ubbidisco e mi raccomando alla
Provvidenza29.
La preoccupazione per la guerra dei Sette Anni si intreccia, all'inizio degli anni '60,
25
Al fratello, 16 ottobre 1758 (B IV 69-70).
Cfr. la lettera a G. Rossi, 29 dicembre 1760 (B IV 174-175): «Questo è l'uomo che ha ravvivata la nostra perduta militare disciplina: che non ha mai avuta la disgrazia d'esser battuto, e che ha tenuto a
freno, vinto, scacciato, sorpreso e malmenato un nemico che gli altri avevano deificato per loro scusa.
Questo è quello che tutto il mondo vede di lui: ma se fossero note le occulte difficoltà fra le quali questo ammirabile capitano si è continuamente trovato ravvolto, conoscerebbe che la sua prudenza, la
sua fedeltà, la sua pazienza e mille altre virtù hanno in lui quel grado eroico che sorpassa la misura
delle santificazioni». Prudenza, fedeltà, pazienza… abbiamo trovato nel Daun anche un generale metastasiano?
26
27
Alla Torres Orzoni, 10 novembre 1759 (B IV 119-120).
28
Ad Antonio Tolomeo Trivulzio, 30 dicembre 1759 (B IV 123-125).
29
A D. Florio, 22 settembre 1759 (B IV 111).
14
con la polemica antilluministica che il Metastasio intraprende con decisione, limitandosi significativamente a darne confidenza al fratello, per spirito di cautela, avendo appurato che le sue idee differiscono sia da quelle della imperatrice Maria Teresa, sia ancor più da quelle del principe Giuseppe.
Del 3 luglio e del 28 settembre 176130 sono due aperti sfoghi contro lo «spirito di cabala e di partito» e l'«anarchia temporale e spirituale» che si vedono regnare; contro
l'antigesuitismo, di cui il Metastasio coglie con esattezza il carattere di epifenomeno:
«la fermentazione che agita tutta l'Europa pare che abbia oggetto più vasto che i Gesuiti che le servono di pretesto». E ciò che preoccupa particolarmente è la diffusione
ormai ampia della nuova filosofia:
Queste rare scoperte sono per altro rancidissime; ma altre volte non erario pericolose che a qualche
letterato di mal costume. Ora, mercé i libretti galanti che allettano con la dissolutezza, sono divenute
la coltura e la morale di tutti i bei giovani e di tutte le donne di spirito 31.
Né manca il poeta di far notare al fratello che l'Illuminismo, in realtà, è la negazione
della razionalità, realizzata nell'ordine sociale dell'Ancien Régime: i «felici ingegni»
della nuova filosofia
vorrebbero liberar l'umanità dal giogo della religione e dell'ubbidienza al proprio principe e da tutti
quegli onesti doveri che sono i legami più solidi e più necessari della società, la quale è il primo, il più
grande e il più essenziale nostro bisogno32.
Questa sete di libertà altro non gli sembra che il preludio a un'anarchia che il poeta
vede favorita proprio alla sua corte, proprio dove la resistenza politica e culturale
dovrebbe essere più attiva.
Gli anni '60 furono per il Metastasio quelli della presa di coscienza del distacco ideologico che si era venuto irrimediabilmente scavando tra lui e il mondo contemporaneo: anche in campo musicale l'«eresia» andava diffondendosi, cosa che il poeta anche in precedenza aveva lamentato, ma nella convinzione che la «risipiscenza» fosse
vicina33 e confortato dal fatto che poteva ancora trovare musicisti capaci di secondare il suo gusto; ora invece la speranza di un rinsavimento della musica si fa più lontana:
Dura provincia intraprende, riverito signor Verazi, se ella vuol ripurgare il teatro delle enormi eresie
musicali. I compositori ed i cantori si sono dimenticati affatto di essere imitatori della natura, e contentandosi di far meraviglia non pensano e non sono atti a muovere alcun affetto, se non se ordinariamente il fastidio e non di rado l'indignazione [...] Converrà che non può esservi riforma fintanto che il
popolo, infastidito di veder ballare sulla corda, desideri e chieda di proprio moto la verità del ballo
espressivo della natura34.
Di pochi anni successive a questa sono le due famose lettere a Francesco Giovanni
di Chastellux, che contengono la dura definizione della musica contemporanea come «serva fuggitiva», ribelle al magistero della poesia, e una sorta d'incrocio, più che
un paragone, tra la questione della musica e la polemica politica:
30
B IV 211-212 e 226.
31
Lettera del 3 luglio 1761, cit.
32
Ibid..
Si vedano per esempio le lettere ad Antonio Bernacchi del 21 gennaio 1753 e del 15 settembre 1755
(B III 784-785 e 1065-1066).
33
34
Lettera a Mattia Verazi, 1° ottobre 1762 (B IV 273-274).
15
Vorrebbe ella che, siccome si dice la repubblica delle lettere, si dicesse ancora la repubblica delle arti;
e che per conseguenza la poesia, la musica e le altre loro sorelle vivessero amichevolmente in perfetta
indipendenza. Io, per confessare il vero, non sono repubblichista; non intendo perché questa, a preferenza delle altre forme di governo, abbia a vantar sola la virtù per suo principio; mi pare che tutte
siano soggette ad infermità distruttive; mi seduce il venerabile esempio della paterna suprema autorità; né trovo risposta all'assioma che le macchine più semplici e meno composte sono le più durevoli e
meno imperfette35.
Lo stesso spirito di sovversione che il Metastasio riscontra nell'ideologia politica progressista viene colto nelle aspirazioni della musica all'indipendenza dalla poesia. Aggiungiamo che al poeta non era più dato il piacere di collaborare con un musicista
nella unità d'intenti che, solo dieci anni prima, gli aveva suggerito parole d'elogio
per il Bonno. In campo musicale non gli resta altro che riconfermare le proprie idee
e le proprie concezioni, senza la speranza di poterle concretamente affermare, così
come faceva nello ambito politico: e correlativamente a questa coscienza dell'irrimediabile caduta degli ideali cui aveva ispirato la sua vita e la sua opera, il Metastasio
non si sente più "maturo", ma effettivamente vecchio; sente il suo Orazio «che gli va
gridando all'orecchio»
solve senescentem mature sanus equum, ne
peccet ad extremum ridendus, et ilia ducat36.
Anche sul piano umano, nonostante il poeta abbia recuperato il suo «tenor di vita filosofico», e ancora insista sulla necessità dei legami sociali e della scambievole tolleranza e compassione37, o sul concetto che i piaceri della vita risultano, in definitiva,
più consistenti dei dolori38, il Metastasio vede con dispiacere i primi sintomi dell'irragionevolezza senile del fratello39, risponde con più asciuttezza ai suoi corrispondenti, lamenta gl'incomodi della sua salute con un po' di petulanza, mal sopporta
gli «assalti» di tutti gli «insetti di Parnaso» e di tutti coloro che si rivolgono a lui e al
suo prestigio per ottenerne qualche tornaconto. Si ha, leggendo le lettere di questi
anni più tardi, la netta sensazione che la vita del poeta sia divenuta esclusivamente
"difensiva": egli tende sempre più a delimitare la cerchia dei suoi familiares tra i corrispondenti, e per questi sa ancora trovare accenti solleciti, cordiali, scherzosi; mentre a tutti gli altri destinatari giungono scritti freddi e distaccati, che più raramente
di prima superano i confini del cortese ma asciutto biglietto di risposta. La poca
propensione allo scrivere che ancora rimane viene impiegata per consigliare gli amici di mantenersi fedeli ai sani e moderati principi di vita e di morale che li accomunano, senza cedere alle sempre più pressanti sollecitazioni della moda. Si veda ad esempio la lettera in cui il poeta sconsiglia al principe di Belmonte di assumere un
precettore francese40, dove si legge una condanna severa e inappellabile non solo
della cultura che queste persone propagandavano, ma anche dello scadimento dei
costumi, della decadenza verso l'effeminatezza che essi favoriscono, contro la necessità di provvedere una classe dirigente austera e di princìpi irreprensibili:
35
La citazione è dalla seconda lettera allo Chastellux (29 gennaio 1766; B IV 435-440).
36
Ibid..
37
Al fratello, 26 maggio 1760 (B IV 142-143).
38
Ad A. F. Pignatelli di Belmonte, 22 aprile 1762 (B IV 249-250).
In questo senso vanno letti gl'inviti alla parsimonia che il poeta gli rivolge (18 agosto 1766 e 15 settembre dello stesso anno; B IV 489-490 e 493-496); infatti sei anni dopo il Metastasio si vide costretto
ad affidare la conduzione della casa romana al fedele Carlo Buzzano, perché il fratello «ha quasi
perduto affatto l'uso della ragione» e manifesta quest'insania nella eccessiva prodigalità.
39
40
Lettera del 14 marzo 1768 (B IV 606-608).
16
questa specie di gente sotto una modesta e regolare apparenza nasconde (molto spesso) un fondo di
pessima morale, e per necessità di pochissima religione: onde formano allievi prosuntuosi, ignoranti e
libertini nei pensieri, nelle parole e nelle opere: ma forbiti parlatori francesi, eccellenti cultori delle belle dame e prodighi dispensatori di complimenti e di riverenze. Non asserisco però che fra tanti non ve
ne sia alcuno degno di stima: ma l'abbattersi in quello è lo stesso che cogliere un terno secco al lotto di
Genova...
Ma contro la nuova cultura non è più possibile organizzare un'opposizione: si legga
quanto scrive il poeta per dissuadere il fratello dal pubblicare un trattato filosofico:
L'ingiusto premio che ritrarrebbero da tal pubblicazione i vostri dotti sudori sarebbero le beffe di tutti i
moderni filosofi illuminati e de1 loro innumerevoli seguaci, che inondano oggidì i penetrali del santuario non che i portici ed i licei. La vostra filosofia, appunto perché verace e cristiana, non è la filosofia
della moda, e sarebbe follia lo sperare che la verità esigesse rispetto da costoro, predicata da voi,
quando appresso de' medesimi sono soggetti di riso l'istesse venerabili sorgenti donde le vostre esortazioni derivano [...] Gli urli e le derisioni de' difensori della comoda libertà di pensare e della suprema
autorità della natura, ma separata dal secondo loro ingiurioso aggiunto di ragionevole, soffocherebbero
la vostra voce e non sareste ascoltato41.
Qui i filosofi illuminati vengono dipinti come una turba dilagante, e soprattutto intollerante e iconoclasta, colpevole protagonista dello «scadimento della ragione al
senso» (Gavazzeni), che è l'accusa di fondo che il Metastasio muove loro, facendo leva sull'insistenza dei novatori sul concetto di natura da cui si deduceva l'infondatezza dei privilegi di nascita su cui era fondata la società dell'Ancien Régime. È la stessa critica che compare nella famosa lettera "profetica" del 23 novembre 176742:
Cotesta enorme licenza di pensare e di parlare raduna facilmente proseliti, perché trova partigiani e
avvocati efficacissimi nelle nostre passioni, alle quali paiono subito lucidi e incontrastabili tutti i raziocini che loro tolgono quel freno che convien pur che si soffra se si vuol vivere insieme. Non veggo perciò
apparenza che il mondo risani da cotesto epidemico delirio a forza di ragioni: convien che funeste conseguenze, a poco a poco intollerabili a tutti, disingannino col fatto. Questa terribile crisi dee per necessità seguire, e forse è incominciata; ma prima che tutto prenda di nuovo il suo equilibrio, sa Dio che
sarà di noi.
La rassegnazione si esprime anche nell'amarezza del sarcasmo:
Se piacesse al Signore Iddio di delegarmi per pochi momenti la sua onnipotenza, io separerei subito da
noi altri ciechi tutti cotesti illuminati e illuminate: gli radunerei in una grande isola deliziosissima, né
condannerei loro ad altro inferno che all'obbligo di viver sempre a tenore de' loro filosofici dettami ed a
goderne le conseguenze. Oh che placida! Oh che sicura! Oh che amabile società sarebbe mai quella!43
La rassegnazione in campo politico è correlativa alle affermazioni sull'irrimediabilità
delle «eresie» musicali, fino alle definitive parole del 2 novembre 177844, in cui della
possibile «risipiscenza» non si parla nemmeno più:
Sarebbe veramente un degno oggetto del nostro desiderio, ma non so quanto possa esserlo delle nostre
Lettera del 14 luglio 1766 (B IV 478-479). Lo scritto è coerente con il pensiero del poeta, anche se è
giusto notare che qui ha calcato un po' la mano, per essere il più possibile convincente nella sua opera
di dissuasione: giustamente, egli non s'aspetta che venga gran lustro alla fama della famiglia Trapassi
dalla pubblicazione di un trattato filosofico decisamente reazionario (infatti, proprio la cautela, che si
manifesta nel fatto che solo con il fratello egli si lasciasse andare a sfoghi di polemica politica, dimostra che il Metastasio non voleva impegnarsi in pericolose polemiche pubbliche) e scritto da un uomo
che sragionava sempre più spesso.
41
42
Scritta, naturalmente, al fratello (B IV 580-581).
43
Al medesimo, il 16 aprile 1770 (B IV 825-826).
44
A Giovenale Sacchi (B V 537).
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speranze, la purgazione degl'intollerabili abusi che deformano la nostra musica; converrebbe incominciar da' teatri, che ne sono le pubbliche scuole: e questi da ben lungo tempo vanno sempre più di
giorno in giorno compiacendosi della novità degli errori, de' quali molti invecchiando han finalmente
usurpata l'autorità di precetti: onde siam giunti in tempi ne' quali (come disse Livio di Roma) nec vitia
nostra, nec remedia pati possumus.
Gli errori sono divenuti precetti: in filosofia le passioni hanno preso il sopravvento
sulla razionalità che suggerisce l'ordine; e anche la poesia preromantica è vista dal
Metastasio come un fenomeno di questo completo capovolgimento che si è venuto
producendo, come un sintomo della prevaricazione della passionalità e della sensibilità nella loro «situazione morbosa». Si veda come, scrivendo a Giuseppe Bottoni
che gli aveva inviato la sua traduzione delle Notti di Edward Young, il Metastasio elogi il traduttore, ma manifesti delle significative riserve sul poeta, pur riconoscendo
che lo Young è un «eccellente scrittore»:
Quanto sia grande il merito di questo eccellente scrittore si prova coi suoi difetti medesimi, poiché,
malgrado l'ordine negletto, le frequenti ripetizioni, l'ostinato costume di mostrarci sempre gli oggetti
dal lato lor più funesto e di non volerci mai condurre alla virtù per altra via che per quella della disperazione, malgrado, dico, tutte coteste così rincrescevoli circostanze, ei sa rendersi assolutamente padrone del suo lettore e trasportarlo seco dove gli aggrada45.
Pensiero gallicizzante e "manie nordiche" in poesia sono per il Metastasio prodotti
dalla stessa infermità della ragione, ormai incapace di controllare le spinte passionali e d'imporre uno stile di vita e di pensiero pacifico e fiducioso; il mondo è divenuto uno «sporco teatro»46, dove l'immorale commedia che si sta rappresentando si
avvia a trasformarsi in una tragedia di vaste proporzioni. Il distacco è ormai completo, la storia ha definitivamente lasciato da parte il Metastasio e si avvia a rivoluzionare il suo mondo. Non resta al poeta che la cristiana rassegnazione che abbiamo
già riconosciuto e che egli significativamente si augura nell'ultima delle sue lettere,
indirizzata al caro gemello pochi giorni prima della breve malattia che lo condurrà
alla morte47:
Dunque è morta l'invidia per misericordia divina, né qui né altrove (in grazia dell'irregolarità delle stagioni) io mi trovo più amico alcuno, amico né conoscente, che non si lagni della sua salute. Tutti siamo
egualmente bisognosi di rassegnazione: questa imploro per me, questa auguro a voi ed a tutto il numeroso e tormentato nostro prossimo.
Tuttavia il poeta ebbe in estremo anche il beneficio della speranza, nell'aspettativa
creata dalla prossimità dell'incontro tra l'imperatore Giuseppe II e papa Pio VI, organizzato per dirimere i contrasti tra Chiesa e Impero suscitati dalla politica riformatrice di Giuseppe. E il poeta morì nella tenue speranza di una riconciliazione tra le
sue due patrie, Roma e Vienna:
Il gran Servo de' Servi dicono che non è lontano da noi che di due o tre giornate, ed il nostro imperatore, che per un ostinato mal d'occhi è obbligato a guardar la camera, vuole assolutamente andarlo ad
incontrare. Dio benedica a pro di tutto il mondo cristiano questo inaspettatissimo avvenimento.
Il destino risparmiò al Metastasio la delusione di constatare quanto la sua estrema
speranza fosse mal riposta: l'incontro - del resto «inaspettatissimo» e difficile - non
avrebbe dato lo sperato accordo.
Lettera del 23 maggio 1771 (B V 84-85). A questo proposito si vedano anche le lettere: a G. Rovatti,
18 gennaio 1775 (B V 320-322) e ad Aurelio de' Giorgi Bertola, 18 marzo 1776 (B V 378-379).
45
46
Cfr. le due lettere al fratello dell'11 giugno 1770 e del 21 gennaio 1771 (B V 20 e 69).
La lettera al Farinello, l'ultima dell'Epistolario, è del 20 marzo 1782 (B V 713-714); da essa sono
tratte le citazioni che seguono.
47
18
Con una morte serena, senza eccessive sofferenze (se vogliamo prestar fede al racconto che ne dà Marianna Martinez al Farinello48), coerente con una vita in cui soltanto una cesura di rilievo si lascia riconoscere nel corso del suo flusso tranquillo e
sorvegliato dagli astri benigni, termina la vicenda terrena del Cesareo Poeta. Mentre
la si segue, non è facile respingere la sensazione di un grigiore impiegatizio che
contraddice nettamente l'idea che il Romanticismo ci ha instillato della vita di un
poeta: riscontriamo una notevole rassomiglianza tra l'ideale di vita del Metastasio e
quello "medio" che ancora oggi (e, purtroppo devo dirlo, soprattutto oggi, in un'epoca di pochi slanci e di prospettive non accattivanti) occupa le aspirazioni della maggioranza: la vita del Metastasio si propone a noi come l'esempio perfetto di un'esistenza favorita dal successo e, in definitiva, assaporata con calma e moderazione.
Certo, per chi coltiva l'aspirazione a una vita diversa e più "piena", più ricca di svariate esperienze, di sentimenti profondamente vissuti, non può mancare l'impressione di aver preso contatto con il lato opposto della propria coscienza, con quella parte di essa che prospetta i piaceri dell'abitudine e della tranquillità, del riparo dalle
tempeste che si agitano attorno. Vorremmo allora disprezzare il Metastasio per aver
realizzato nella sua vita un ideale cui quasi tutti improntano l'esistenza, e che mantiene il suo richiamo anche presso coloro che hanno la velleità di negarlo?
Pure, non era mio scopo giudicare un'esistenza, ma seguirne le vicende a un fine
diverso, cioè per ricavarne osservazioni possibilmente utili alla rilettura delle opere
che sarà fatta.
Del Metastasio si è soliti sottolineare la profonda coerenza ideologica con l'epoca del
primo razionalismo (di specie cartesiana), con la poetica arcadica e, sul piano politico, con l'assolutismo paternalistico. Non c'è motivo di rifiutare questa interpretazione: il conservatorismo del Metastasio maturo, la sua inequivocabile ripulsa del nuovo in campo politico, artistico, culturale, ne sono una prova ulteriore.
Sul piano personale, il Metastasio si presenta sempre controllato nelle sue manifestazioni; ogni moto sentimentale è sempre temperato e controllato dalla riflessione:
all'esterno non filtra, dei movimenti della anima, che un riflesso purificato, pacificamente comunicabile. A chi legge viene offerta una traduzione dello scrittore in termini di socievolezza, di convinta adesione alla comune fiducia nel mondo e nelle
istituzioni che lo governano. Ai suoi corrispondenti il poeta raccomanda con convinzione la stessa terapia, lo stesso sforzo di conformarsi alla società, di avere fiducia
nel rapporto con gli altri: ed è in questo sforzo di diffondere questo ideale di dialogo
e di socievolezza che si realizza più frequentemente l'altruismo del Metastasio, che è
a sua volta "dovere dell'umanità", sentito in termini sociali e religiosi:
inutilmente nacque
chi sol vive a se stesso49.
Lo si può leggere in B V 809-810. E' una lettera redatta in perfetto stile metastasiano: «Ora giacché
ognuno che nasce deve pagare il tributo dell'umanità, può unicamente sollevare il dolore d'una tanta
perdita la riflessione che questo uomo illustre, dopo aver con applauso universale fatto uso degli esimi
suoi talenti per adempire esattamente ai doveri d'un vero cristiano, d'un insigne letterato, e conseguito
il vanto, non mai contrastato, del maggior poeta del secolo, goda ora la condegna mercede, nell'eternità, della sua severa rettitudine, probità, onesta e costumatezza».
Si vede bene come la «filosofia» del Metastasio abbia in Marianna Martinez una convinta seguace: il
carere dolore impone l'immediata «riflessione» che attenua il pianto: quella «riflessione» che il Metastasio solo per la morte della contessa d'Althann non seppe trovare.
48
49
Attilio Regolo, II, 7.
19
In quell'«inutilmente» si legge la convinzione metastasiana per cui il senso dell'utilità
della propria vita è raggiungibile con un non difficile adeguamento alla società, con
la ricerca ed il riconoscimento della propria specifica funzione a sostegno dell'ordine
razionale delle cose. Non diversamente, infatti, si può interpretare l'atteggiamento
del Metastasio nello svolgimento del suo lavoro di poeta-cortigiano, convinto di collaborare culturalmente alla conservazione e alla difesa dell'ordine costituito, rivalutandone e richiamandone continuamente la sostanza morale e altruistica che esso
non deve smarrire per non trasformarsi in dannosa tirannide.
La coerenza del Metastasio con l'ideologia e con lo stile di vita del primo Settecento
provoca, negli anni più tardi, il suo progressivo "scollamento" dalla vita e dalla cultura contemporanee, che si differenziavano, sempre più nettamente e in ogni campo, dai valori a cui il poeta restava fedele. Tuttavia, all'interno di questo processo di
progressivo distacco e nell'evoluzione della personalità del Metastasio dopo il 1740,
vanno distinte delle fasi successive.
Un primo periodo si estende dalla morte di Carlo VI (1740) alla morte della contessa
d'Althann (1755): la datazione è permessa dalla centralità e dall'importanza della
morte della donna, che già ho fatto notare. Fino ad essa il Metastasio vive pacificamente la propria maturità: sono anni in cui, sul piano poetico, non si può riconoscere la vitalità creativa dei decenni precedenti; tuttavia, la vita per il poeta continua senza rotture, e l'incipiente disaccordo con la cultura contemporanea si lascia
cogliere solo episodicamente.
Dopo la morte di Marianna d'Althann, con l'esperienza del dolore individuale, sembra incrinarsi la filosofia di vita del Metastasio, che si sente più di prima disposto al
pessimismo e alla solitudine, verso i quali lo spingono anche lo spettacolo della
guerra dei Sette Anni, il dilagare della filosofia dei Lumi e delle «eresie» musicali, che
minano alla base il suo pensiero e la sua estetica: tuttavia, in un primo momento, il
poeta reagisce polemicamente, la sua opposizione manifesta ancora una certa vitalità, benché già si lasci cogliere la sua persuasione che ben difficilmente il movimento
culturale avrebbe potuto essere fermato e ricondotto alla ragione.
È difficile dire quando abbia inizio il terzo periodo, quello della rassegnazione, che
succede alla fase della polemica; il passaggio dall'uno all'altro è progressivo e sfumato: volendo indicare un punto di riferimento, potrei al massimo dire che esso si
svolge intorno al 1765, in un arco temporale abbastanza lungo. Tuttavia la distinzione rimane e va fatta. Negli ultimi quindici anni di vita il Metastasio capisce l'inutilità della polemica. La sua «filosofia» gli permette ancora una vita pacifica: ma ciò
che prima era saggezza attiva, tenue e tranquillo ottimismo, ora è soltanto una rassegnata e melanconica attesa della morte.
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