Il mistero di una chiesa abitata da peccatori, ma senza peccato
Il teologo Cottier spiega perché le polemiche di questi giorni non sono inedite. B-XVI mette in guardia dalla
“tentazione del potere”
Forse non è il caso di scomodare i Borgia per una vicenda intrisa di piccole
vanità, ripicche e carrierismo. Grazie a Dio, i pugnali sono solo metaforici anche
se la caduta di stile ha fatto arricciare il naso a un colonnello della vecchia
guardia diplomatica come Achille Silvestrini, braccio destro di Agostino Casaroli
(“Ai nostri tempi non sarebbe mai successo”). In qualche commentatore, però, il
ricorso agli intrighi della Grande Babilonia papalina è la premessa per un
appassionato richiamo alla purezza della fede, finalmente sciolta da vincoli
istituzionali. Sarebbe infatti troppo pesante, per il credente di oggi, il fardello
della chiesa post tridentina con i suoi occhiuti tribunali della coscienza, i
confessionali, e tutto l’enorme apparato di controllo dispiegato da una
christianitas ormai tramontata. Meglio affrancarsi il più possibile – ragiona un
certo cattolicesimo corrivo e sfiduciato – da una struttura in cui la grazia e il peccato sono pericolosamente mescolati.
Ecco, la chiesa vergine e puttana, casta meretrix. L’ossimoro è usato spesso in questi giorni per far intendere che
queste bagattelle di cronaca vaticana sono la riprova che, in fondo, la chiesa è sempre stata così: Francesco d’Assisi e
le crociate, l’inquisizione e Savonarola, Marcinkus e Madre Teresa. Come se santi e peccatori si annullassero a vicenda,
due piatti della bilancia in perfetto equilibrio. Una banale simmetria che elude la sostanza teologica del discorso. Ce la
spiega il domenicano George Cottier, cardinale e teologo emerito della casa pontificia.
“Casta meretrix è un’espressione che risale ai Padri della chiesa rimessa in circolazione da Hans Urs von Balthasar;
anche il cardinale Biffi ha scritto un testo interessante sul tema. Più precisamente, è la rilettura che sant’Ambrogio fa di
un passo dell’Antico Testamento: la prostituta che accoglie gli esploratori inviati da Giosuè in avanscoperta nella Terra
promessa è la figura della chiesa fatta di peccatori ma che, in quanto tale, è santa. Su questo sono d’accordo con
Charles Journet: la chiesa non è senza peccatori ma è senza peccato. Journet aggiungeva che la frontiera della chiesa
attraversa il nostro cuore. In questo trovo una certa corrispondenza con quanto ha scritto Giovanni Paolo II nella ‘Tertio
millennio adveniente’, laddove parla della domanda di perdono della chiesa per i peccati dei cristiani. La vita cristiana
comporta la testimonianza, cioè vivere secondo il Vangelo e la grazia di Cristo. Se non c’è testimonianza c’è scandalo. Il
grande predicatore Bossuet diceva che la chiesa è ‘Jésus-Christ répandu et communiqué’, Gesù Cristo diffuso e
comunicato. Il peccato come tale, quindi, è offesa a Cristo e alla chiesa, è un’infedeltà”.
Chiedere mea culpa alla chiesa è però diventata una moda. “Quando facevo parte della commissione che se ne
occupava – ricorda Cottier – abbiamo organizzato convegni sull’antisemitismo e sull’inquisizione. Ebbene, uno storico ci
disse: non si chiede perdono dei miti ma della realtà. Ma per farlo ci vuole un’analisi storica seria. Ciò che oggi non
accettiamo non sempre è stato peccato. Il criterio di discernimento non è l’epoca storica ma il Vangelo”.
La chiesa a volte sembra non sia fiera della propria storia. “Certo, la fierezza è una virtù e noi dobbiamo sentirci fieri
di essere cristiani, anche se siamo sempre in difetto di fronte a questa vocazione. La rilettura seria della storia aiuta
molto la chiesa a fare progressi, in senso escatologico: approfondire le esigenze del Vangelo. E’ questo che insegnano
le vite dei santi”. Eppure l’opinione pubblica è scettica, e a volte lo sono anche i cristiani. “Certo alcuni mettono l’accento
più su meretrix che su casta… – sorride il cardinale ginevrino – anche se Ambrogio non intendeva questo. La grazia di
Cristo raggiunge tutti. Essere cristiani è vivere un cammino continuo di conversione. La fierezza cristiana non è orgoglio
né arroganza ma testimonianza di valori che stanno sopra di noi”.
E poi il Novecento ha crudelmente dimostrato come ci siano altri che devono fare mea culpa. Invece c’è una cultura
che non ha fatto i conti con la radice illuminista delle tragedie totalitarie, un’eclissi di Dio pagata a caro prezzo, come ha
ricordato qualche tempo fa Benedetto XVI. Cottier osserva come “Giovanni Paolo II ha pensato alla chiesa, ma anche
nell’ordine politico si deve fare qualcosa di analogo. La comunità deve ripensare il proprio passato, altrimenti è destinata
a ripeterlo nelle sue forme malsane. L’Europa del secolo scorso ha commesso crimini orrendi, il nazismo certo ma anche
il comunismo. Ci vuole lucidità sugli sbagli commessi, sulle complicità e i compromessi. Non dobbiamo essere prigionieri
del passato, ma non si guarda bene l’avvenire senza avere una coscienza in ordine davanti alla storia”.
Le polemiche di questi giorni attorno al potere ecclesiastico non sono certo inedite. Storicamente la chiesa ha sempre
resistito alla tentazione di escludere i peccatori perché rimanessero solo i giusti, i perfetti. Da qui la condanna di
novaziani, montanisti, donatisti, catari, albigesi, hussiti fino al pronunciamento vaticano contro il giansenista Quesnel. Nel
post Concilio il dibattito si è riacceso, sulla formula casta meretrix hanno scritto due personaggi antitetici come il
cardinale emerito di Bologna, Giacomo Biffi, e il padre della scuola di Bologna, Giuseppe Alberigo.
La posta in gioco è la sorte del cristianesimo nella modernità e oltre, non certo il trascurabile destino di qualche
carriera. Benedetto XVI, intuendo le possibili distorsioni della formula “santa e peccatrice”, preferisce parlare di una
chiesa “santa e composta di peccatori”. L’altroieri ha messo in guardia dalla “tentazione della carriera, del potere, una
tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella chiesa”. Un
richiamo salutare e molto più pratico di quella specie di donatismo strisciante che serpeggia nel mondo cattolico e,
inconsapevolmente, nei mass media, per cui il sacerdote indegno squalifica senza rimedio il sacro.