DOGMATICA IV

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DOGMATICA IV
ECCLESIOLOGIA E MARIOLOGIA
PROF FILIPPI NICOLA
Lezione n 24 del 10 marzo 2009
La scorsa volta abbiamo concluso il discorso sul Magistero specificando ancora meglio i
pronunciamenti così detti infallibili. E’ meglio dire che è il maestro che ha parlato infallibilmente
perché la proposizione è infallibile anche se è espressa con un linguaggio umano limitato e dunque
la formulazione risente del contesto storico, culturale, filosofico nel quale è stata formulata.
L’oggetto della proposizione deve essere una dottrina di fede o di morale.
Abbiamo detto anche che questi pronunciamenti sono irriformabili di per sé, cioè vuol dire che una
volta che il maestro, il Papa, come supremo pastore con il deliberato intento di confermare nella
fede i suoi fratelli, ha parlato, queste proposizioni sono vere non in virtù del consenso della chiesa
ma di per se stesse cioè per il fatto che sono state pronunciate le proposizioni sono vere.. Non c’è
quindi bisogno del consenso ne dell’episcopato ne della chiesa questo perché noi crediamo che il
Papa, nel momento in cui pronuncia una sentenza infallibile, gode di una particolare assistenza dello
S.S. ed è lo stesso S.S. che suscita nei fedeli il SENSUS FIDEI . Per cui, siccome lo S.S. è
estremamente coerente, quello che suscita nel cuore dei fedeli, nel cuore della chiesa di cui fa parte
il Papa e il collegio, non può essere in contraddizione.
Questo è molto utile perché possono verificarsi delle situazioni in cui sia urgente prendere una
decisione mentre la consultazione dell’episcopato potrebbe risultare molto lunga..
Questo serviva anche per rispondere al Gallicanesimo che invece reclamava una certa importanza
per il collegio episcopale.
Il dogma dell’infallibilità in questi termini ha provocato delle grandi crisi in particolare nell’oriente
ortodosso dove vige il principio della collegialità, dove ogni decisione conciliare, per essere vera,
deve essere ratificata da tutta la comunità ecclesiale e quindi si capisce bene che un’affermazione di
principio come questa sia difficilmente accettabile dal mondo ortodosso.
Il fatto di affermare che il dogma dell’infallibilità è vero di per sé non vuol dire che è la norma, la
modalità con la quale viene usata così come le affermazioni di principio che vengono fatte sul
primato di giurisdizione sono delle affermazioni di principio che poi non è detto che si traducano
nella pratica ordinaria della vita.
Il Papa gode di questa possibilità, che poi la usi o meno questo dipende dalle circostanze.
Per specificare meglio l’oggetto abbiamo parlato delle verità di fede ovvero quelle contenute nella
Rivelazione ed abbiamo distinto un duplice oggetto: uno primario e uno secondario.
Quello primario sono tutte le verità di fede contenute nella Rivelazione; quelle che fanno parte
dell’oggetto secondario sono principalmente delle proposizioni che derivano per logica
conseguenza da alcune affermazioni che si trovano nell’oggetto primario ed anche queste possono
essere definite infallibilmente.
Ci siamo poi soffermati sulla questione su cosa significa insegnare infallibilmente sulla questione
morale. Siamo partiti dal concetto di legge morale naturale che è quella legge che Dio ha inscritto
nel cuore e che ci è stata rivelata e siccome la legge morale fa parte della Rivelazione e l’oggetto
dell’infallibilità è una dottrina che si è inserita nella Rivelazione, il Magistero può parlare
infallibilmente.
La legge morale naturale è composta di alcuni principi generali e altri secondari.
Mentre sui principi generali non ci sono problemi, il grosso problema è se sui principi secondari,
cioè le applicazioni pratiche, il Magistero possa parlare infallibilmente.
Se ricordate, ho fatto il caso dell’eutanasia: il principio generale è non uccidere, contenuto nella
scrittura, mentre l’eutanasia non è contenuta nella scrittura ma deriva per logica conseguenza dal
principio generale. E dunque si può dire che il Magistero può parlare infallibilmente anche sui
principi secondari. La Commissione Teologica Internazionale darà ulteriori chiarimenti.
L’ultima cosa che abbiamo detto è su come bisogna accogliere l’insegnamento.
A seconda che il Papa parli come vescovo di Roma o come pastore universale c’è una differenza
allo stesso modo se poi è una sentenza definitiva o autorevole ci sono diversi gradi di ossequio.
Il Magistero, che le congregazioni romane svolgono a nome del Papa, deve essere considerato come
magistero ordinario del romano pontefice perché il Papa si serve delle congregazioni per esercitare
la sua vita pastorale in particolare il magistero della Congregazione per la dottrina della fede, che
coadiuva il Papa nel suo MUNUS DOCENTI .
IL PRESBITERATO
Schema di quanto tratteremo:
- Introduzione: cerca di chiarire i termini del problema per farci capire la difficoltà di
definire l’identità del presbitero
- Impostazione ecclesiologica o cristologia del presbiterato che ha rilevanza esistenziale e
pratica
- Essere amico di Cristo
- Essere pastore
- Sacerdozio agli uomini
- Significato del celibato
Sul mio librettino trovate ulteriori approfondimenti al capitolo 4°
INTRODUZIONE:
Il CVII tenendo fede al suo impianto di rinnovamento nella continuità non escluse le varie categorie
del popoli di Dio.
Fra i vari documenti del CVII ce ne sono alcuni che toccano direttamente l’identità delle diverse
categorie di popolo di Dio. La L.G. dà il grande affresco, dipinge lo sfondo, poi per delineare i
particolari di questo affresco che è la L.G., il CVII porta diversi decreti: APOSTOLICAM
ACTUOSITATEM ( sui laici) CHRISTUS DOMINUS ( sui vescovi) PERFECTAE CARITATIS (
sulla vita religiosa) PRESBYTERORUM ORDINIS ( sul ministero dei presbiteri) OPTATAM
TOTIUS ( sulla formazione presbiterale)
Ciò che uscì dal CVII provocò una crisi fra i preti e molti abbandonarono perché l’identità che
usciva fujori era una identità rinnovata per un verso ma che si scontrava con un mondo che
cambiava velocemente. Allora si può immaginare che alcuni preti, formati in un certo modo in un
contesto in cui l’autorità era ampiamente riconosciuta, si trovarono a dover fare i conti con una
realtà nella quale non si riconoscevano.
Uscì allora un’immagine di prete, dopo il CVII, che ha retto per alcuni anni ma che però in seguito
ai veloci mutamenti di questi ultimi decenni è nuovamente entrata in crisi.
Durante il Sinodo del 1990, dedicato alla formazione de sacerdoti e da cui è uscita fuori
l’esortazione sinodale PASTORES DABO VOBIS, il prefetto della congregazione per la dottrina
della fede Ratzinger disse: “L’immagine del sacerdozio cattolico, quale fu definita dal Concilio di
Trento e approfondita in senso biblico dal CVII, dopo il concilio è caduta in una profonda crisi”
Questa crisi, provocata dalla scarsa chiarezza sull’identità del presbitero, è ancora presente oggi.
I dibattiti nella chiesa latina circa il conferimento del sacerdozio alle donne, agli uomini sposati,
testimoniano scarsa chiarezza sull’identità e sulla missione dei presbiteri ma è dovuto anche alla
cultura contemporanea che rende difficile la comprensione del ministero sacerdotale per due
ragioni:
- si è smarrita l’idea del segno, il sacerdote è segno del Cristo Buon Pastore mentre oggi sembra il
funzionario di una grande azienda
- crisi dell’autorità: al presbiterato è associata un’autorità da esercitare. In un mondo in cui
l’autorità viene riconosciuta solo se conferita dalla basi, si capisce bene che è difficile accettare
questo. Questa crisi d’identità ha come diretta conseguenza , la crisi delle vocazioni.
Benedetto XVI : “ Come potrebbero i giovani avere il desiderio di diventare sacerdoti se il ruolo
non è definito e riconosciuto
La necessità di approfondire l’identità, la sostanza del ministero presbiterale, è necessaria affinché i
sacerdoti possano essere consapevoli e contenti della loro identità e quindi svolgere bene la loro
missione.
Questa esigenza è ormai avvertita da molti vescovi e teologi. In Italia la CEI, ad Assisi nel 2005 e a
Roma nel 2006, ha sviluppata un’ampia riflessione sull’identità presbiterale incentrata proprio sul
tema dell’identità e della vita dei presbiteri.
Le difficoltà scaturiscono dal fatto che noi oggi ci troviamo davanti ad una multiforme
interpretazione dell’identità sacerdotale.
Fino al CVII l’identità era molto chiara, il prete aveva la cura delle anime, era uno che stava in
mezzo alla gente, la conosceva per nome, l’accompagnava nella vita predicando la parola di Dio e
celebrando i sacramenti.
Oggi noi non ci troviamo più di fronte a questa interpretazione univoca.
Dario Vitali in un suo articolo dice: “ A fronte dell’uomo del culto, il quale continua ad insistere
sui sacramenti come fondamento della vita cristiana, sta l’uomo della parola impegnato a rinnovare
le ragioni della fede mediante l’annuncio del Vangelo. A fronte dell’uomo del servizio, che mette al
primo posto la diaconia come la scelta di farsi prossimo a tutti, sta l’uomo della preghiera il quale
tende ad isolarsi con ritmi di vita quasi monastici.
A fronte dell’uomo della comunità, al servizio della quale spende tutte le sue energie, sta l’uomo
della missione aperto a tutti nelle infinite modalità di incontro con i lontani”.
Di fronte a tutti questi modelli di sacerdozio è difficile fare comunione per cui è necessario risalire a
quell’unità di fondo ovvero che il sacerdote è amico di Cristo e pastore.
Questo è il nucleo irrinunciabile, il resto sono concretizzazioni dell’essere amico di Cristo e
dell’essere pastore.
I presbiteri partecipano in grado subordinato del sacerdozio del vescovo. Il sacerdozio è unico, è
quello di Gesù Cristo che è l’unico, sommo ed eterno sacerdote. Questo sacerdozio è stato
partecipato agli apostoli, dagli apostoli con la loro autorità è stato affidato in vario grado ad altri
soggetti. Per cui si può dire che, in quanto elemento della potestà derivata dagli apostoli, il
sacerdozio è apostolico ed allora anche il sacerdote, sebbene non sia successore degli apostoli,
partecipa alla missione apostolica ma vi prende parte in maniera subordinata.
Mentre per i diaconi non si parla di sacerdozio ma di ministero non così tra presbiteri e vescovi per i
quali il sacerdozio è lo stesso ma con gradi diversi ( i vescovi in grado sommo)
IMPOSTAZIONE ECCLESIOLOGICA O CRISTOLOGICA
E’ una questione abbastanza teorica ma che ha delle ricadute pratiche, funzionali.
Nella riflessione post-conciliare si è sviluppata in due direttrici la definizione dell’identità
sacerdotale:
- prospettiva ecclesiologia
- prospettiva cristologia
Non è giusto pensare queste due prospettive in contrapposizione, perché una illumina l’altra, anche
se la preminenza va a quella cristologia.
Questa questione ha una rilevanza esistenziale perché a seconda dell’impostazione che noi le diamo
abbiamo risposte differenti. E’ il compito della parola o quello della celebrazione eucaristica il
carisma originario dell’imposizione delle mani dal quale derivano tutti gli altri? L’ordinazione
affida al cristiano che la riceve un compito oppure lo costituisce in una nuova forma di esistenza
cristiana?
Se scelgo la prospettiva ecclesiologica, il sacerdote è un rappresentante della Chiesa davanti a Dio.
Se scelgo la prospettiva cristologica il sacerdote rappresenta Cristo davanti alla Chiesa. Se il
sacerdozio, mi costituisce in una nuova forma di esistenza, vuol dire che questa forma di esistenza è
valida 24 ore su 24. Si è soltanto un officio che mi viene consegnato allora io lavoro dalle 8 alle 20,
e purtroppo stiamo scivolando verso questa prospettiva ecclesiologica-funzionale.
La prospettiva ecclesiologica è una prospettiva funzionale ed è molto vicina all’interpretazione
protestante del ministero, mentre la prospettiva cristologia è quella cattolica. Quindi è chiara la
problematica. La prospettiva ecclesiologica è molto vicina alla teologia protestante per la quale le
categorie della legge, ovvero io sacerdozio come culto sono viste come una degenerazione del
cristianesimo primitivo in quanto i protestanti sostengono che Paolo abbia alterato il primo
messaggio ed interpretano il ministero ordinato partendo dalla struttura della Chiesa. In questa
prospettiva c’è un ministro ordinato perché il ministro ordinato ha il compito di garantire
l’autenticità della fede in linea con la successione apostolica. Allora tutto è incentrato sulla parola
anche perché il culto, l’eucaristia, è una degenerazione. Tale impostazione considera ,’essenza del
sacerdozio racchiusa nella parola “servizio”, infatti il sacerdozio, altro non sarebbe che il servizio
alla comunità, nell’espletamento di una funzione sociale e quindi il prete è uno che svolge un
servizio per la comunità per custodirla nella fede apostolica. Questo comporta la priorità del
servizio della parola, la paradosis, la trasmissione del vangelo che mi garantisce di restare fedele
alla tradizione apostolica. In questo modo i ministri ordinati, compiono il gesto più tipico e
qualificante del loro ministero quando durante le celebrazioni sacramentali annunciano e spiegano
la Scrittura. Tutto ciò è molto vicino al protestantesimo, mentre io credo che il gesto più tipico e
qualificante del mio ministero è consacrare il pane e il vino, offrire il sacrificio oltre che spiegare la
parola. E’ una questione teologica, però bisogna riuscire ad intuire le conseguenze pratiche.
La prospettiva cristologia, invece, riferisce l’identità sacerdotale alla figura di Cristo; il sacerdote è
sacramento di cristo, ovvero segno sacramentale efficace di cristo buon pastore perché Lo rende
presente e in quanto sacramento, comunica la grazia. Questa seconda impostazione più cristologia è
centrale nel pensiero di Benedetto XVI per il quale la radice del sacerdozio è Gesù Cristo. Quando
il Papa Benedetto ha incontrato il clero di Roma ha detto: “è indispensabile ritornare sempre e di
nuovo alla radice del nostro sacerdozio e questa radice è Gesù Cristo”.
Le due prospettive non devono essere pensate in contrappostone, ma al contrario quella cristologia
fonda e illumina quella ecclesiologica perché il riferimento a Cristo è di capitale importanza per
comprendere che tutta la vita di un sacerdote è tesa la servizio della comunità nella celebrazione dei
Sacramenti e nell’annuncio della parola. Questo la vedremo meglio dove l’essere amico di Cristo
diventerà l’essere buon pastore per gli altri.
Questo servizio che io rendo alla Chiesa non è un servizio svolto da un uomo, ma è il servizio che è
reso da Cristo stesso, è Cristo buon pastore che guida la comunità e la nutre con i suoi sacramenti, e
questo è possibile soltanto in virtù di un dono che mi è dato e che mi configura ontologicamente a
Cristo. Un dono che ho ottenuto grazie alla mediazione della Chiesa ed è per questo che è
sacramento.
Non si vuole negare il carattere di servizio del sacerdozio (prospettiva ecclesiologica) ma la si deve
collocare in una cornice più ampia perché se la mia identità è fondata soltanto sul servizio e questo
servizio diventa pesante, io lo abbandono. Ma se la mia identità è radicata in qualcosa d’altro, ci
penso due volte.
La prospettiva cristologia significa che il ministro è confermato ontologicamente a Cristo, ha come
base questa prospettiva che il ministero ordinato è un sacramento. Che l’ordine è un sacramento
vuol dire che io do ciò che io stesso non posso dare, faccio qualche cosa che non dipende da me,
sono in una missione e sono divenuto portatore di ciò che l’Altro mi ha trasmesso.
Nel sacramento dell’ordine l’uomo offre tutto il suo essere a Cristo, perché il Signore prendendone
possesso, ne possa liberamente disporre. Nel gesto dell’imposizione delle mani c’è proprio questo
gesto di Dio che prende e custodisce per sempre.
Vale allora, in modo del tutto speciale, quanto Paolo afferma in GAL 2,20: “non sono più io che
vivo ma è cristo che vive in me”.
Tutte le parole che nelle diverse celebrazioni il sacerdote pronuncia (consacrazione e assoluzione)
realizzano quanto affermano, ovvero solo in virtù del sacramento solo in virtù del fatto che mi sono
offerto a Cristo, e che Cristo ha preso possesso di me e che ora ne dispone liberamente per
comunicare la grazie e quindi il presbitero può agire in persona CHRISTI.
Questa nozione è stata più volte richiamata dal papa nei discorsi rivolti ai sacerdoti, perché
l’identità sacerdotale non deve mai essere paragonata ad alcun titolo secolare o confusa con un
ufficio civile o politico
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