Socrate - G. Lombardo Radice

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Socrate
Si suole dividere la Storia della filosofia antica in due parti.
1) La filosofia dei “presocratici
2) La filosofia da Socrate in poi.
Questa divisione non è artificiosa, o formale, ma corrisponde ad un criterio
tanto logico quanto storico-culturale. In effetti tanto sul piano strettamente culturale
quanto sui punti dell’interesse argomentativo bisogna dire che il problema dell’archè
era essenzialmente finalizzato alla conoscenza e al dominio dell’ambiente fisico.
Con l’ampliarsi della polis, dei commerci e della ricchezza, si venne a determinare la
necessità del controllo dello spazio sociale, cioè della politica intesa come gestione
del potere, all’interno della polis, attraverso il consenso. E’ chiaro che gestire i
rapporti umani, incidere sulle convinzioni
delle
persone ed ottenerne
l’approvazione, significava coniare strumenti nuovi per ottenere il dominio.
Tale nuovo sistema, tali nuovi strumenti, si identificano innanzitutto con la
parola, con i discorsi e soprattutto con il rapporto interpersonale che permetteva di
raggiungere i vari personaggi della polis. Riuscire a comprendere i “problemi
umani” i grandi temi dell’esistenza, come la felicità , il dolore della vita, la giustizia,
etc... significava dare spazio a quei temi “antropologici” che costituivano una società
complessa! Lo stesso teatro greco, sia quello tragico, sia la commedia,
rappresentavano in ultima analisi il dibattito allargato sui temi generali della città e
dell’esistenza . Cosi ad esempio l’accesso gratuito dei cittadini alle rappresentazioni
tragiche indicava il desiderio di far partecipare il maggior numero di persone alle
grandi tematiche dell’esistenza espresse nella tragedia: la forza del fato (destino), la
devastazione che possono creare i sentimenti e le passioni quando si rivelano nei loro
aspetti piu profondi come l’amore incestuoso di Edipo per la madre o l’infinito
desiderio di potere che ha Agamennone , disposto ad uccidere la figlia Ifigenia, pur di
dare inizio alla spedizione militare che lo consacra re dei re. Anche il teatro comico
di Aristofane, che metteva in ridicolo gli uomini politici piu importanti della città,
ma anche dei personaggi emblematici come Socrate , definisce e tiene aperto un
intenso dibattito sui problemi della città. Tale capacità di dibattito e di relazione
diventa il punto di forza di qualunque uomo voglia incidere sulla gestione della
politica. Per tutto questo l’interesse della filosofia si sposta dall’indagine sulla
natura per determinarne l’archè, il principio che regge tutte le cose, all’indagine sui
“discorsi” che devono essere incisivi per il convincimento ed il consenso degli
altri.
Occorre allora una capacità di identificazione nel linguaggio una essenza
oggettiva (valida per tutti) capace di mettere d’accordo tutti quanti sui problemi
fondamentali dell’esistenza.
Con Socrate avrà inizio proprio questa forma di filosofia che recupera l’interesse per
l’uomo e per i suoi problemi. E’ stato detto che Socrate è forse la figura più
inquietante della filosofia perchè incarna l’idea del filosofo che opera attivamente
all’interno della comunità e che tende a usare la filosofia come sistema aperto che
pone cioè problemi evitando di dare risposte dirette. Mentre ad esempio Democrito
da una spiegazione completa e coerente della struttura del mondo Socrate tenderà ad
impiegare il “dialogo” per sollevare una serie di problemi gnoseologici ed etici che
coinvolgono tutta la comunità sociale. Il problema gnoseologico, ovvero sia di che
tipo di metodo conoscitivo possiamo giovarci con sicurezza, è strettamente legato alla
possibilità politica di crescita della città. Nel particolare Atene del V secolo a.C.
(500-400 a.C) passa da un vero e proprio processo di crescita materiale ed artistico,
che ha in Pericle il personaggio centrale, ad un periodo di crisi radicale che sfocia
nella sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso e nell’avvento dei trenta Tiranni
che imporranno una dittatura anti-democratica pesante e selvaggia . La decadenza
politico-militare di Atene produce un sistema di vendette alternative tra gli esponenti
dell’aristocrazia e quelli del popolo : vendette e contrasti che lasciano profonde ferite
nel contesto sociale. La figura di Socrate occupa grosso modo gli anni che vanno dal
governo illuminato di Pericle al governo dei trenta Tiranni : il sistema di passaggio
tra questi due estremi è segnato dal tentativo costante di Socrate di educare la
cittadinanza ateniese a ricercare un equilibrio sociale attraverso il sapere e la spinta
verso la conoscenza. In questo senso Socrate ha un’assoluta consapevolezza della sua
opera a favore della città! Egli affermerà, davanti al tribunale che lo accusa di
corruzione dei giovani e di introdurre nuovi culti religiosi, che la sua opera
educativa è da ricompensare piu di come si ricompensavano i vincitori delle
Olimpiadi: chiede cioè di essere mantenuto gratuitamente dallo stato ateniense per
almeno cinque anni nel Pritaneo. Tale affermazione urta la giuria popolare che lo
condanna a morte tramite la cicuta, un veleno vegetale potentissimo.
La prima notazione di questo filosofo inquietante è che non scrisse nessuna opera :
qualcuno ha addirittura immaginato che Socrate non sapesse scrivere. La verità è
che Socrate non scrisse nulla perchè riteneva che il tradurre i pensieri nel linguaggio
scritto significa in qualche modo bloccarli, renderli statici e pertanto inefficaci .
Secondo Socrate stabilire una verità precostituita non è possibile e dunque
cristallizzare il pensiero in forme simboliche non ha nessuna efficacia. La forma
“dialogica” è l’unica che permette uno scambio di punti di vista, un contrasto
dialettico dal quale può emergere la verità o meglio un metodo capace di condurre
verso una verità meno soggettiva e più efficace per la collettività. Ma non si tratta di
un fatto necessario e che avviene sempre : molto spesso i punti di vista del dialogo
restano distanti, nessuno di essi predomina sull’altro ma, nel loro non concludersi, vi
è un grosso spazio che resta per la riflessione. Sentiamo come egli ragiona su tale
punto: “ In effetti l’arte dello scrivere, per il fatto che verrà trascurata la
memoria, produrrà la dimenticanza in coloro che l’apprenderanno poiché ci si
ricorderà delle cose apprese sulla fede dello scritto, dal di fuori, attraverso
simboli a noi estranei (le parole scritte) non apprese da noi stessi nella nostra
interiorità……Ma anche questo lo “scritto” ha di terribile che veramente
assomiglia alla pittura. I prodotti della pittura, i quadri, si presentano come
esseri viventi: ma se chiedi loro qualche cosa di altro di ciò che rappresentano
tacciono maestosamente! Lo stesso fanno i discorsi scritti: sembra che parlino
come se pensassero ma se vengono interrogati su qualcuna delle cose dette con il
desiderio di comprendere più profondamente significano una cosa sola e sempre
la stessa………….E allora? Ebbene vedremo un altro tipo di discorso (quello
orale, il dialogo) fratello legittimo di questo (il discorso scritto), in quale modo
si generi e di quanto sia naturalmente migliore e più capace di questo. Si tratta
del discorso orale che con sapienza si scrive nell’anima di chi impara e che è
capace di difendersi e sa con chi debba parlare e con chi mantenere il
silenzio……il discorso vivente e animato…...Bello è quando uno, servendosi
dell’arte dialettica, prendendo un’anima adatta vi pianta e vi semina con scienza
discorsi che sono capaci di venire in aiuto a colui che ascolta ed a chi li ha
piantati e che non sono infruttiferi, ma hanno in se germi da cui scaturiranno
altri discorsi piantati in altre persone, discorsi capaci di produrre questi effetti
senza mai venir meno e di rendere felice chi ne possieda il dono, per quanto
all’uomo è possibile…….” (Platone Fedro, 275°-277°)”.
Dunque per Socrate il discorso scritto è come le immagini della pittura che non
rispondono alle domande che gli si possono fare! Diversa è la condizione del discorso
orale che viene indirizzato a chi è interessato e lo coinvolge: è come piantare un seme
che potrà dare frutti e che potrà portare felicità ad altri ed a se stessi per quanto è
possibile all’uomo. Non un travaso di conoscenze ma un seminare ed attendere che la
semina abbia effetto ed efficacia. Dunque Socrate sapeva scrivere benissimo ma
ritiene che la scrittura non sia capace di fare germogliare nessun arricchimento alla
pari del dialogo che è invece capace di creare un ambiente ricco di stimoli dove è
possibile determinare nuove verità, nuovi frutti della ricerca. Possiamo dire che se
per i Sofisti la scienza era costituita dal fare apparire “forte” la verità che interessava,
nel permettere che una certa ragione soggettiva divenisse condivisa ed oggettiva,
appartenente ai molti, Socrate ribalta tale sistema affermando che la verità è quella
che serve il bene della collettività e che germoglia come il frutto di una libera
elaborazione personale, che ogni insegnamento, ogni dottrina vanno sottoposti a
critica, non vanno accettati ma discussi e che proprio attraverso questa stessa
discussione e ricerca che ciascuno costruisce se stesso. Ebbene se Socrate non ci ha
lasciato nulla di scritto perché non ha voluto immobilizzare, cristallizzare e
pietrificare la verità, come sappiamo della sua vita e soprattutto delle sue idee:
insomma del suo pensiero filosofico? Innanzi tutto perché ha lasciato dei “semi”
molto fruttiferi che lo hanno ricordato come ad esempio Platone, Senofonte, Euclide,
Antistene, Aristippo etc.
Ebbene differentemente dai tempi attuali i discepoli erano a quei tempi molto
legati alla figura dei loro maestri. Platone , il maggior discepolo di Socrate, gli dedica
un dialogo dal titolo “ L’apologia di Socrate” nel quale si fa il riassunto del processo
di Socrate, le accuse che gli vengono mosse ed i personaggi che lo accusano.
Attraverso questo processo che si concluderà con la condanna a morte di Socrate
Platone racconta, tramite lo stesso Socrate, le idee che questo portava avanti e il
senso del suo filosofare e del suo concepire il significato della filosofia.
Risulta comunque doveroso ricordare che tra le fonti su Socrate vi sono altri
due personaggi: uno è un commediografo, Aristofane, che in una sua commedia, “Le
nuvole”, dipinge Socrate come un sofista, come un imbroglione acchiappa nuvole e
venditore di aria fritta. Infatti si occupa di problemi fisici e naturalistici “volteggiando
nel cielo e guardando il sole” sospeso per aria in una cesta! Inoltre si occupa
di ”quanti piedi (dei suoi) può saltare una pulce che, dopo avere morso in faccia
Cherefonte, era saltata in testa a Socrate”. E’ dichiaratamente ateo tanto che
considera i discorsi sugli dei come “moneta fuori corso” ed afferma che “le nuvole
sono le nostre divinità”. Considerando che la commedia venne rappresentata in Atene
nel 423 a.C. e che Socrate viene messo a morte nel 399 possiamo arguire che già
quasi ventiquattro anni prima della morte di Socrate si era detto che egli fosse un
approfittatore spregiudicato della cittadinanza, che fosse ateo e che aveva una
personalità “stramba” ma che in molti lo cercavano per imparare da lui l’arte di
produrre discorsi atti ad ingannare le persone ed a sostenere gli imbrogli. Ricordo
inoltre che nel 423 Amipsia rappresenta Socrate nella commedia Konnos ed Eupoli,
nel 421, rappresenta sempre Socrate nella commedia “Gli adulatori”. In entrambe le
commedie Socrate appare come “il senza mantello” ed il “senza sandali”, cioè povero,
trascurato e piuttosto “zozzo”. Comunque doveva essere molto famoso in Atene per
entrare quale personaggio in ben tre commedie: segno questo che egli viveva
veramente “attaccato come una zecca alla città” e che di questa era diventato un
personaggio emblematico e comunque conosciuto da moltissimi suoi concittadini.
L’altra fonte è un militare che ad un certo punto della sua vita decide di dedicarsi
alla storia: Senofonte. Per essere un militare Senofonte era piuttosto pignolo, un
“precisino” diremmo oggi, con il gusto di raccontare essenzialmente aspetti morali
delle vite dei personaggi più illustri di Atene e della Grecia: coloro i quali erano
rimasti nella memoria, “I memorabili” appunto. La testimonianza di Senofonte, anche
se può apparire attendibile perché egli era piuttosto estraneo al dibattito filosofico e
non aveva un suo sistema filosofico da cui farsi guidare e condizionare nell’esporre le
tesi di Socrate, sembrano piuttosto lontane dal pensiero dello stesso Socrate. Infatti
Senofonte non ha la finezza intellettuale per comprendere una personalità così
complessa e sfumata come quella di Socrate e ne accentua gli aspetti moralistici. Così
ad esempio fa dire a Socrate: “ Quelli che non sono consapevoli di ciò che fanno,
scegliendo il male e fallendo miseramente nelle loro imprese, non soltanto sono
castigati e puniti dai loro sensi di colpa e dalla loro frustrazione, ma perdono anche
ogni stima, diventano ridicoli e vivono oscuramente”. La premessa è socratica: erra
chi non è consapevole delle proprie azioni; ma la conclusione che si perde la stima
degli altri e si vive oscuramente non appartiene alla concezione socratica. Dunque
Senofonte, anche perché ha conosciuto Socrate poco e da giovane, non è una fonte
estremamente attendibile. Platone ed Aristotele restano allora le fonti più precise
ricordando comunque che, in ultima analisi, resta Platone la fonte più diretta ed
immediata, almeno nei dialoghi giovanili, nei quali l’influsso di Socrate è più forte ed
autonomo.
Ebbene ai tempi di Socrate il “processo” era pubblico e si svolgeva solitamente
in un intero giorno. La mattina venivano formalizzate le accuse. Nel pomeriggio
intervenivano gli avvocati dell’imputato oppure lo stesso imputato prendeva la
parola. Alla fine della difesa, che parlava per ultima, i giurati emettevano la sentenza.
Dopo questa prima sentenza l’imputato poteva “concordare” la pena meno forte
giustificandosi e chiedendo pietà ai giudici togati. Solitamente la pena veniva
abbassata e per i reati meno gravi si trasformavano in pene corporali come le frustate.
Il processo di Socrate ebbe nella mattinata l’accusa di Meleto, Anito e Licone che lo
accusarono di reati molto gravi: di corrompere la gioventù ateniese con il suo
insegnamento e di introdurre nuovi culti religiosi e nuove divinità, allo scopo di
destabilizzare il quadro sociale e politico della società ateniese. Colui che parla
come accusatore è Anito, buon parlatore ed il più conosciuto dei tre! L’accusa scritta
era stata presentata da Meleto mentre Anito si presentò come “sostenitore” di Meleto
assieme a Licone. Di quest’ultimo nulla sappiamo ma di Anito sappiamo che era un
ricco conciatore di pelli ed egli stesso ricco commerciante. Aveva preso parte attiva
alla vita politica di Atene ricoprendo la carica di stratego nel 409 e militava
attivamente nel partito democratico. Mandato in esilio al tempo della dittatura dei
trenta tiranni rientrò in Atene con Trasibulo e partecipò alla restaurazione del partito
democratico. Il reato potremmo tradurlo in termini moderni come “alto
tradimento” e la possibile pena prevista dallo stato ateniese per tale reato era la morte.
Dopo
l’ arringa accusatoria di Anito i giudici chiedono a Socrate se ha degli avvocati
esperti che possano difenderlo. Socrate risponde che non vuole ricorrere agli avvocati
perchè intende difendersi da solo e parlare al popolo di Atene come ha sempre fatto:
alla buona e cercando di farsi capire da tutti. Racconta Platone che quando Socrate
cominciò a parlare scese un silenzio di tomba nel grande spiazzo dove si svolgeva il
processo. Socrate inizia la sua difesa affermando che lui non è maestro di nessuno : si
è intrattenuto con tutti i suoi cittadini che lo hanno interrogato, è stato un tafano (una
zecca) appiccicato alla cittadinanza perchè ha convissuto con la città in modo
simbiotico. Ma tale esistenza non ha mai determinato un impianto scolastico, da
maestro, fra lui e i cittadini stessi . Ricorda che l’oracolo di Delfi interrogato su chi
fosse il cittadino piu sapiente, con piu saggezza , di Atene , ha risposto che questo è
Socrate...!? Con questa affermazione Socrate dice che la sua saggezza è riconosciuta
dall’oracolo che rappresenta la voce della divinità: sapere oracolare che trova il suo
fondamento nella tradizione aristocratica della città e che in qualche modo afferma
che i nuovi ceti artigiani e borghesi sono estranei alle tradizioni arcaiche della città
stessa. Sotto questo profilo Socrate rappresenta una posizione retrogada rispetto alle
dinamiche sociali e culturali che avevano prodotto il benessere del tempo di Pericle.
Subito dopo sottolinea diverse volte, e chiama a testimonianza tutto il popolo ateniese,
il fatto che nelle sue interrogazioni non ha mai dato delle soluzioni , proprio perché la
sua funzione è stata quella di non insegnare niente a nessuno. Egli così si esprime:
“Io dunque cittadini di Atene avrei davvero tenuta una indegna condotta se
abbandonassi il mio posto per paura della morte o di qualsiasi altro pericolo dal
momento che il dio mi ha ordinato, come credo di avere capito ed interpretato,
di dovere vivere filosofando ed esaminando me e gli altri. Questa sì che sarebbe
una indegna condotta e davvero si avrebbe allora ragione di trascinarmi in
tribunale per il fatto che non credo negli dei poiché disubbidisco all’oracolo,
temo la morte e mi reputo sapiente senza esserlo. Si cittadini temere la morte è
sembrare di sapere ciò che non si conosce . Nessuno infatti conosce se per caso
non sia la morte il maggiore di tutti i beni che possano capitare agli uomini
anche se ognuno la teme come se sapesse con certezza che è il maggiore dei mali.
Non è ignoranza questa, la più vergognosa ignoranza, credere di sapere ciò che
non si conosce? Ebbene io, o cittadini, è proprio in questo che sono veramente
diverso dalla maggioranza degli uomini perché non oserei mai dire che sono più
sapiente di qualcuno: come non conosco nulla di esatto sul mondo dell’Ade
(oltretomba) allo stesso modo non credo di saperne!.........Ebbene cittadini se voi
mi diceste che non prestate fede alle accuse di Anito e che mi lasciate andare a
patto che io non passi più il mio tempo in codeste ricerche e che più non mi
dedichi a filosofare altrimenti mi metterete a morte, ebbene pure a tali
condizioni io vi direi: cittadini di Atene vi amo e vi saluto ma ubbidirò piuttosto
al dio che a voi…………..Io poi non sono mai stato maestro di nessuno: solo che
quando qualcuno mi vuole ascoltare, giovane o vecchio, non ho mai detto di no e
non è vero che ne ricavi guadagno. Sono sempre a disposizione tanto del povero
quanto del ricco e comunque di chiunque mi voglia interrogare e abbia desiderio
di ascoltare quello che rispondo. Se poi qualcuno, a causa di tali incontri,
diventa uomo per bene oppure disonesto non è giusto che ne ricada su di me la
responsabilità, su di me che non ho mai dichiarato a nessuno di insegnargli
alcunché ne mai ho insegnato una qualche dottrina”. (Platone: apologia di
Socrate,28b,28d,30c, 30e,33)
Socrate mostra un grande coraggio in questa risposta ed in ciò che dirà dopo: il
dio gli ha comandato di dire a tutti che è opportuno ricercare la virtù ed egli
continuerebbe a farlo anche se i suoi concittadini cercherebbero di impedirglielo. Egli
continuerà, attraverso l’interrogazione, l’esaminazione e la confutazione, a mostrare
chi tiene come cosa da poco ed inutile ciò che invece è più pregevole ed onesto.
Dunque egli non si è mai presentato a nessuno come colui che insegna qualche cosa
che lui conosce e gli altri no. Non ha mai preteso di insegnare nessuna verità a
nessuno e tanto meno ha mai parlato delle divinità o della morte visto che non si
ritiene sapiente in tali ambiti. Dunque le accuse di corrompere la gioventù con il
suo insegnamento e di introdurre culti religiosi estranei alla tradizione è falsa
perché infondata. Ma proprio per eseguire l’ordine della divinità oracolare egli non
accetterebbe mai di abbandonare la città ed il suo modo di confrontarsi con i suoi
concittadini. In ogni caso non sarebbe corretto dare a lui la responsabilità della
riuscita o del fallimento di alcuni suoi interlocutori. Il riferimento è a Krizia e ad
Alcibiade che con i loro comportamenti hanno creato problemi alla città.
In effetti la grandezza del personaggio consiste nell’avere intuito che il confronto
orale , condotto in un certo modo, è quello che permette di fare scaturire una verità
che sia razionalmente condivisibile da tutti. Non è facile schematizzare questo
processo, ma vi sono dei passaggi sintomatici che possono darne un idea piuttosto
precisa. Ad esempio quando Alcibiade gli chiede se è opportuno che egli si presenti
come candidato principe nella sua città Socrate risponde : “ Il problema non è se tu
diventi principe di Atene ma piuttosto se è opportuno che un uomo diventi principe di
una città.” Ed ancora quando il sacerdote Eutifrone dichiara “santa” l’azione che sta
compiendo, cioè di denunciare il proprio padre per omicidio, Socrate gli chiede “cosa
è la santità”; Eutifrone risponde che è ciò che lui sta facendo! Socrate ribatte che
non vuole sapere di azioni sante ma di cosa sia la stessa santità, la definizione
generale di santità per la quale qualsiasi azione può dirsi santa oppure no. Tale tipo di
richiesta che Socrate poneva con la domanda: “cosa è questo” ha fatto dire ad
Aristotele che Socrate ha scoperto i concetti o le definizioni. Dunque una certa
storiografia, quella di Aristotele in particolare, ha fatto dire che Socrate è lo
scopritore della conoscenza concettuale. Se è certamente vero che il “cosa è questo”
richiama la richiesta di una definizione oggettiva, che sia la premessa di un discorso
oggettivo e non soggettivo, tuttavia è fuorviante pensare che Socrate intendesse
creare un insieme di concetti a cui i termini dovevano fare riferimento ad un elemento
assoluto, quasi fuori dal linguaggio stesso. Questa sarà un’esigenza di Platone prima
e di Aristotele dopo: ma non di Socrate. Torneremo più avanti sui termini più
verosimili della questione.
Certamente esiste nelle cose un problema di specificità: chi fa il panettiere deve
conoscere la tecné di tale mestiere; lo stesso per il calzolaio, per l’artigiano in genere,
per il medico, per il professore etc. Allo stesso modo, ad esempio, esistono tanti tipi
di donne: alte, basse , belle , racchie etc. e costoro hanno anche nomi e cognomi
diversi. Ebbene cosa hanno di uguale, o comune, tutte le donne? Socrate afferma che
al di là delle soggettive differenze vi è un elemento comune che possiamo definire
“l’esser donna” vale a dire la definizione che indica la totalità del fenomeno stesso
Quando noi discutiamo, valutiamo, pensiamo ad una donna specifica in realtà
facciamo riferimento al concetto di donna. Lo stesso vale per l’idea della “penna”,
della “mela”, del “quaderno” etc. Tuttavia il quaderno del tempo di Socrate non era
quello di fine Ottocento o dei nostri giorni, così come la donna del tempo di Socrate
era molto diversa da quella dell’Ottocento o dell’attualità. Basterebbe pensare
all’esistenza del trucco per il viso, alla depilazione, al tipo di abito o di scarpe, al
taglio dei capelli etc. Insomma il “particolare” fa parte di un “genere” ma tanto il
genere quanto il particolare mutano nel tempo, assumono forme diverse. Così ad
esempio la legge contro l’omicidio condanna il reo alla morte nello stato ateniese del
tempo di Socrate ma lo condanna all’ergastolo nella società italiana di oggi
considerato anche il fatto che per il terzo comma dell’art.27 della nostra Costituzione
le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla risocializzazione del reo: fatto per cui la pena dell’ergastolo è stata di
fatto abolita. Insomma l’insieme delle cose si modifica nel tempo e ciò che prima era
in un modo adesso è in un altro modo: ciò che un tempo o una situazione storica
definisce come “virtù” o “bene” va sottoposto a delle variazioni anche se nessuna
società potrà mai stabilire che uccidere un uomo è un fatto positivo o non è un reato o
non meriti punizione.
Solo che per Socrate l’unica forma della saggezza “è conoscere se stessi come
dice l’oracolo di Delfi quasi in un saluto ai visitatori. A chi entra nel tempio il dio
non dice altro che di cercare di essere saggio e la sua non è altro che una
esortazione.” (Platone: Carmide). Così tutte le singole virtù di cui si parla, come ad
esempio il coraggio o la santità, si risolvono nell’ interiore misura e consapevolezza,
in una parola alla conoscenza di sé. Dentro ciascuno di noi vi sono le risposte giuste
perché vi è una naturale tendenza al dialogo con noi stessi ed alla “ragionevolezza”.
Il vero pericolo è l’ignoranza, il credere di sapere e dunque il non riflettere, il non
metterci in discussione ritenendoci troppo seri per essere critici verso noi stessi.
Questa è la vera ignoranza estremamente pericolosa per noi stessi e per la comunità.
Socrate ritiene che esiste un metodo per aiutare l’emergere della consapevolezza
attraverso il dialogo: si chiama ironia. Dirà infatti Ippia: “a te o Socrate basta
deridere gli altri interrogando e confutando tutti senza che mai tu voglia rendere
ragione alcuna a nessuno né dichiarare sopra alcuna cosa quel che tu pensi …
Egli scoppiò in una risata fragorosa e disse: per Ercole ecco qui la solita ironia
di Socrate! E già avevo predetto a questa brava gente che tu, o Socrate, non
avresti voluto rispondere ma, fingendo di nulla sapere, tutto avresti fatto
piuttosto che rispondere se qualcuno ti avesse interrogato…….Sicuro lui non
risponde ma dando la risposta un altro (l’interlocutore) egli se ne impadronisce
e la confuta”(Platone: Repubblica 337° e 337e).
Socrate ha una sua specifica tecnica di condurre il dialogo; in tale tecnica il
primo luogo è l’ironia che consiste nel permettere all’interlocutore di esporre le sue
idee, le sue presunte certezze. Anzi talvolta Socrate finge quasi di condividere talune
idee dell’interlocutore!? Solo che, subito dopo, fa notare alla controparte come le sue
certezze sono magari vere nell’ambito della sua tecnica: un calzolaio deve avere la
tecnica per costruire scarpe od un professore deve possedere un suo metodo, una sua
didattica, diremmo noi oggi. Ma quando si tratta di discutere delle varie virtù che
fanno bello un individuo e permettono la vita pacifica della comunità politica Socrate
fa notare che le presunte certezze dell’interlocutore sono, viceversa, discutibilissime,
soggettive e non necessariamente giuste. Chi è gravido comprende che le sue
presunte certezze non sono necessariamente vere: ma Socrate non le suggerisce,
non dice che le cose stanno in un determinato modo. Resta “oscillante” soddisfatto
solo di avere istillato un dubbio nell’ascoltatore, di avergli fatto capire che il
discorso può sempre essere approfondito allo scopo finale di rendere possibile la
coesione e la stesa vita della comunità. Se i singoli non sono disposti al confronto,
ma suppongono di avere e di essere nella verità, la vita della comunità diventa uno
scontro fra individualità non disposte al confronto, alla dialettica mediatrice. Questo
atteggiamento di Socrate si dice del “dubbio metodico” perché mettere tutto in
discussione ha come scopo finale quello di determinare una qualche certezza:
almeno che le nostre opinioni non sono necessariamente vere. Sentiamo Socrate:
“Caro Ippia sei un uomo felice tu che sai quali siano le occupazioni degne di un
uomo e le pratichi con molto impegno e senso del dovere come affermi. Io invece,
vittima di non so quale demoniaco destino, oscillo sempre in un perpetuo dubbio
e quando espongo i miei dubbi a voi sapienti sono da voi coperto di insulti non
appena vi ho fatto la mia confessione”.
Certamente uno degli elementi per cui Socrate è spesso malvisto e criticato da
alcuni dei suoi concittadini è questo instillare dei dubbi, delle incertezze, sui valori
che guidano gli uomini della città. Molto spesso, nei periodi di crisi delle culture, gli
individui tendono a dare la colpa degli eventi negativi alla crisi dei valori del passato
e agli individui che hanno messo in forse, in dubbio quei valori tradizionali. Ebbene
Socrate con il suo metodo finiva per essere confuso con i nuovi intellettuali, i sofisti,
che avevano messo in dubbio i valori della tradizione.
La ricerca che Socrate conduce per fare emergere la consapevolezza di dovere
ricercare la verità dentro di noi egli la paragona all’arte della maieutica. Lasciamo
parlare ancora lo stesso Socrate e poi commenteremo a nostra volta. “ Amico mio
(Teeteto) non hai sentito dire che io sono figlio di una brava e forte levatrice
(ostetrica) e che esercito la stessa arte? Ebbene sappi che è proprio così!
Comunque ti prego di non andare a dirlo agli altri. Essi non lo sanno e non
dicono questo di me; dicono piuttosto che sono un tipo stravagante e che non
faccio che mettere in imbarazzo la gente. Se ricordi tutto quello che fa una
levatrice comprenderai quello che ti voglio comunicare. Sai che nessuna donna
finché abbia possibilità di concepire e di generare compie questo mestiere di fare
partorire altre donne: tale mestiere fanno solo quelle che non possono più
generare……….Ora la mia arte di maieutico è in tutto simile a quella delle
levatrici ma comunque ne differisce in questo: che io aiuto a fare partorire le
anime e non i corpi!.......... ed anche questo ho in comune con le levatrici: anche
io sono sterile nel senso della sapienza. La causa che io non manifesto mai la mia
sapienza è proprio questa: il dio mi costringe a fare da ostetrico avendomi però
vietato di generare”(Platone Teeteto:148e – 151d).
Visto che abbiamo parlato di maieutica, dell’arte che faceva la madre di Socrate,
che era appunto una ostetrica, diventa opportuno accennare alla vita di Socrate dentro
la città, alle sue notizie biografiche. Egli nasce ad Atene nel 469 a.C. dallo scultore
Sofronisco e dall’ostetrica Fenarete del demo di Alopeke. Il padre non era
necessariamente un famoso scultore nel senso che diamo noi oggi a questo termine
ma probabilmente era uno scalpellino che lavorava la pietra per i monumenti o per
opere murarie. La sua educazione giovanile, per quanto ne sappiamo, fu tipicamente
ateniese di questo periodo: ginnastica, musica, poesia. E’ stato detto che Socrate,
giovanissimo, ebbe contatti con Parmenide di Elea e con Zenone, nonché abbia
conosciuto Anassagora. Platone afferma comunque nel Fedone che egli lesse il testo
di Anassagora. Entrò in contatto con il fisico Archelao e sembra che frequentasse
Aspasia e il suo circolo di intellettuali e che comunque si interesso alle discipline più
varie. L’orizzonte intellettuale nel quale si muove Socrate è dunque vario e
comprende interessi molteplici per diverse discipline. Fu cittadino osservante delle
leggi e mantenne sempre corretti comportamenti. Dopo il 421 prese moglie,
Santippe, dalla quale ebbe tre figli. La tradizione, sostenuta dai Cinici che erano
contrari al matrimonio, afferma che Santippe era una donna gretta, ignorante e rissosa
che rese la vita impossibile al povero Socrate, angariandolo in ogni modo. La notizia
comunque è inesatta e comunque esagerata: se pensiamo che Socrate non aveva una
stabile condizione di lavoro, che viveva della solidarietà dei concittadini e degli
amici, ci rendiamo conto che qualche lamentela di Santippe è ben giustificata.
Socrate non si allontanò mai da Atene se non per compiere il suo dovere di soldato.
Combatté valorosamente nella campagna di Potidea e durante una ritirata salvò
Alcibiade che era stato ferito. Nel 424 combatté a Delio e salva l’amico Lachete. Nel
422 lo troviamo nella battaglia di Anfipoli dove dimostra il solito coraggio. Occorre
dire che Socrate appare sempre misurato ed equilibrato: gli piace comunque divertirsi,
stare con gli amici, mangiare ed anche bere quando è possibile. Nel 406-405 fece
parte della Pritania essendo stato eletto nel Consiglio dei Cinquecento. In
quell’occasione si oppose all’incriminazione dei generali Ateniesi sotto un unico
capo di imputazione per avere abbandonato in mare i marinai della flotta ateniese.
Nel 404, quando salirono al potere i trenta tiranni, all’ordine di Krizia che gli
comandava di arrestare il democratico Leonzio, Socrate non ubbidì. Caduti i trenta
tiranni e restaurata la democrazia per merito di Trasibulo ed in parte di Anito, egli nel
maggio del 399, su pubblica accusa scritta di Meleto ed appoggiata da Anito e Licone,
viene processato. Il capo di accusa, come già abbiamo accennato, era: “questo ha
sottoscritto e giurato Meleto contro Socrate di Sofronisco: Socrate è colpevole di non
riconoscere come dei quelli tradizionali della città ma di introdurre divinità nuove;
ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena richiesta: la morte!”
Dal breve riassunto della vita di Socrate si può facilmente dedurre che la vita di
Socrate fu piuttosto esemplare e comunque svolta sempre all’interno dello spazio
culturale e politico della città stessa.
Socrate ha dunque affermato che la sua condizione di ostetrico è legata al fatto
che lui non è sapiente, è sterile e non ha fatto pertanto scoperte particolari che può
rivelare agli altri.
La maieutica come forma del dialogo permette di recuperare quelle verità che
sono dentro ciascuno di noi e che non emergono fino a quando una domanda precisa
e un dialogo ben condotto non riesca a far emergere questa verità. Socrate sottolinea
nella sua difesa che lui ha sempre detto “ di sapere di non sapere” che significa
che non esiste una verità chiusa, che raggiunge la certezza e che tale verità non è
possibile raggiungere in via diretta, ma che si può ottenere la verità soltanto lasciando
aperta la via della ricerca. Pertanto il suo metodo corrisponde ad una sollecitazione di
ricerca che permetta l’emergere di quel sapere che è in tutti noi. Questa atteggiamente
viene definito come “l’ottimismo etico di Socrate” che significa che Socrate riteneva
che è solo l’ignoranza che fa compiere il male ma che, se si supera l’ignoranza ,
l’uomo compie necessariamente il bene. Infatti ci si accorge che se noi agiamo per il
nostro egoistico interesse prima o poi dovremmo subirne le conseguenze : se rubo la
colazione alla mia compagna accettò implicitamente che la mia compagna possa agire
anche lei nello stesso modo e, dunque, prima o poi dovrò subire anch’io lo stesso
torto. E’ dunque opportuno fare il bene perchè possiamo sempre ritenere che anche
noi saremmo trattati nello stesso modo. Il ragionamento teorico di Socrate
sembrerebbe giusto : solo che gli uomini compiono il talvolta... il “male” in modo
cosciente e programmato, per recarre danno alle altre persone. Dunque non è cosi
vero che è solo l’ignoranza a far compiere il male! Tuttavia Socrate ritiene che se
noi ci rendiamo conto di non avere convenienza a subire il male potremmo cercare di
convincere anche gli altri a comportarsi in modo razionale . Mentre i Sofisti
avevano sostenuto che la bravura di ciascun individuo consisteva nel convincere gli
altri che le ragioni individuali erano quelle migliori , Socrate afferma che attraverso il
dialogo , l’ironia e la maieutica , ogni individuo può trovare l’idea del bene dentro di
se ed agire di conseguenza. Quando Socrate dichiara che la verità è
dentro ciascuno di noi e che lui ha insegnato che la ricerca è quella che conduce
l’uomo ad una maggiore approsimazione al giusto il popolo che formava
l’assemblea giudicante si urtò e, mentre prima era favorevole a Socrate ed a un
giudizio di assoluzione, per un pugno di voti contrari Socrate viene condannato a
morte .
Rinchiuso nel carcere di Atene egli può facilmente fuggire perchè il suo
amico Platone corrompe le guardie che dovevano custodirlo. Detto francamente
questa era una prassi molto usuale in quei tempi in Atene. Ma Socrate rifiutò di poter
scappare con delle argomentazioni perfettamente coerenti con la sua idea di virtù.
Egli dice infatti che avendo settanta anni ed essendo vissuto sempre in Atene gli
sarebbe inaccettabile trasferirsi in un altra città dove nessuno lo conosce e dove non
ha amici. Inoltre ha predicato sempre l’osservanza alle leggi che non possono essere
sbagliate perché costruite da tutta la società anche se gli uomini, talvolta, le usano
male ed è proprio a settanta anni che dovrebbe smentire tutta la sua vita, le sue idee, il
modo con cui ha parlato ai suoi concittadini! D’altra parte se dopo la morte non c’è
nulla egli finalmente riposerà in pace rispetto ai problemi della vita. Se viceversa c’è
un mondo dove vanno le anime egli sarà contento perchè potrà interrogare le anime
dei grandi uomini del passato e potrà ancora una volta interloquire sui grandi
problemi dell’esistenza confermando ancora una volta che non vale la pena vivere
una vita senza interrogarsi sul suo senso e che nemmeno l’altra eventuale forma di
esistenza ha senso senza continuare ad interrogarci con costanza e determinazione sul
senso delle cose.
Serafino Busacca
Insegnante di filosofia e scienze umane
Nell’Istituto Lombardo radice di Catania.
L’EDUCAZIONE DI SOCRATE
E’ quasi impossibile separare la figura e la filosofia di Socrate dal suo contenuto
essenzialmente educativo. Il senso della filosofia socratica è una dinamica educativa
che permette ad ogni uomo di cercare la verità in se stesso ed il senso della verità è
una ricerca senza fine sui valori del bene, del giusto, della santità etc. Pertanto non
risulta affatto agevole differenziare il piano filosofico da quello educativo.
Quella straordinaria immagine per la quale ciascuno di noi lascia negli altri dei
semi che germoglieranno e fruttificheranno in altre azioni ed opere è già un
programma ed un vademecum educativo. Educare significa sapere trasferire ad altri
l’amore per il bene, per la virtù, per l’onestà attraverso lo stimolo a cercare in se
stessi la via per la buona azione o l’azione virtuosa. Tale stimolo, tale impulso,
germoglia in una reazione a catena che coinvolge la collettività: non tutti ma coloro
nei quali abbiamo piantato i semi della libertà e dell’amore per il retto agire. Retto
agire che non rappresenta un moralismo di maniera e di facciata ma la
consapevolezza che la buona azione conduce ad un miglioramento per tutta la
collettività.
Egli, sottolinea Senofonte “nei detti memorabili di Socrate”, non si poneva il
problema dell’origine e della struttura dell’universo o della sostanza dalla quale
originavano tutte le cose: “riteneva anzi folli coloro che di tali cose si davano
pensiero”. E questo perché quel tipo di indagine non portava a nessuna conoscenza
certa né utilizzabile dal punto di vista delle faccende umane. Afferma sempre
Senofonte nell’opera citata che “discuteva solo delle cose umane, ricercando in che
consista la pietà o l’empietà, l’onesto ed il turpe, il giusto e l’ingiusto; in che consista
la temperanza, la follia, il coraggio, l’ignavia, la struttura della polis (stato), il
governo degli uomini, l’uomo capace di governare etc…..”
Collateralmente a tali argomenti “insegnava fino a quale punto un uomo che
abbia una buona cultura debba in qualche cosa essere colto. Così ad esempio
affermava che bisognava imparare la geometria fino al livello di una conoscenza che
permettesse di prendere con giusta percentuale (misura) una porzione di terra, o darla,
o dividerla o crearvi sopra qualche opera artistica”. Il significato è chiaro sotto un
profilo educativo e conoscitivo: basta conoscere la geometria e la matematica per
scopi pratici, concreti, con quelle conoscenze che risultano sufficienti per dividere i
terreni, per assegnarli in giusta proporzione etc. Viceversa “disapprovava che si
imparasse la geometria fino a certe figure difficili a capirsi perché diceva di non
comprendere di quale utilità fossero queste cose nonostante egli non ne fosse un
profano; aggiungendo che erano studi capaci di consumare la vita di un uomo e di
allontanarlo da molte altre scienze utili”. Dunque occorre studiare la geometria nello
spazio per cui può essere utile nei suoi impieghi mentre la geometria come studio
teoretico, scisso dalla concreta applicazione nella realtà, la riteneva inutile se non
dannosa.
“Socrate esortava poi a diventare esperti nell’astronomia e di apprenderne tanta
da potere riconoscere i periodi della notte, del mese e dell’anno sia per i viaggi che
per la navigazione o per fare la sentinella e comunque per tutte quelle cose che si
fanno la notte, durante i vari mesi e durante l’anno. E’ infatti importante avvalersi di
sicuri segni per distinguere i tempi delle cose dette precedentemente”.
Si tratta dunque di conoscere i fenomeni astronomici sempre per un fine pratico,
per riuscire ad individuare le parti della notte, del mese e dell’anno: ma sempre una
conoscenza volta alla pratica delle cose e non strettamente teorica. Specificava
inoltre che tali conoscenze si potevano acquisire facilmente dalle persone che si
giovano di tali nozioni pratiche come i cacciatori notturni, i capitani di mare etc.
Dunque un sapere pratico appreso concretamente da quelle persone che ne fanno uso.
Viceversa studiare astronomia in modo teorico, le orbite dei pianeti, le stelle erranti e
via di seguito, egli lo riteneva inutile e capace di allontanare la vita di un uomo “da
molte altre utili cose”.
Infine disapprovava chi si interessava in modo costante della divinità perché per
gli uomini non è possibile comprendere la volontà degli dei “ed era convinto che
non faccia cosa grata agli dei chi vada indagando ciò che gli dei non hanno voluto
manifestare”.
Dalla testimonianza di Senofonte sembra dunque che Socrate, pur avendo
studiato in gioventù geometria ad alto livello, astronomia e mitologia ritenga i saperi
teoretici estremamente inutili per risolvere i problemi degli uomini. Pensa invece che
alcuni saperi siano da riportare alle nozioni pratiche che possono aiutare gli uomini
nella vita comune.
Considerando che Socrate ha continuamente affermato che egli non è stato
maestro di nessuno perché non era in grado di insegnare niente a nessuno dobbiamo
trarne una conseguenza che può apparire paradossale anche se, a ben riflettere, non lo
è! Per Socrate aiutare a crescere un uomo significa spingerlo, con l’ironia e la
maieutica, ad indagare in se stesso ed a cercare delle risposte generali, che giovino
per tutta la polis. Tale ricerca ha una finalità: la conformità per tutti alle leggi che
reggono la città e la convivenza. Accettare determinati valori nella loro universalità
significa adeguarsi a questi e rispettarli. Ebbene lo scopo dell’educazione, sia
secondo i Sofisti che secondo la pedagogia moderna, non è forse quello di rendere
libero, autonomo, indipendente da pregiudizi e condizionamenti l’individuo! E allora
educare non significa proprio mettere in discussione la realtà, le leggi, le convenzioni
e giudicare in modo autonomo i fatti del mondo della vita? Se questo è il valore
teoretico dell’educazione quest’ultima non è il contrario della scoperta dei valori
assoluti che reggono la morale e che danno un indirizzo oggettivo ai termini della
morale stessa? Insomma se diamo una definizione dell’onestà che valga per tutti e per
sempre non rischiamo di evitare che un individuo metta, in una certa epoca storica, in
discussione quel tipo di onestà, di pudore, di moralità etc…etc… Forse per questo
Socrate non voleva essere un educatore ed accettava il sapere, la cultura, come sapere
pratico, adattivo; anche se ammirava la capacità educativa, di formare personalità
libere ed autonome, di Gorgia, di Prodigo e di Ippia.
Ho detto all’inizio che Socrate è un filosofo inquietante, affatto semplice nelle
sue idee, nel suo metodo di indagine e nelle finalità del suo filosofare. Proprio lui che
era riuscito a non andare perfettamente d’accordo ne con i democratici ne con gli
aristocratici subisce un processo politico e viene liquidato accusato di avere insegnato
ed invece non ha insegnato nessun metodo educativo per costruire personalità libere
ed autonome……….. Certe volte mi viene un dubbio: ma era lui veramente il buono?
Oppure Platone ha frainteso tutto ed ha impiegato la sua vita a costruire la città giusta
per salvare l’uomo sbagliato…… mah!....bhoo!
Serafino Busacca
Docente di filosofia e pedagogia
Nell’Istituto G. Lombardo radice
Di Catania.
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