C`era una volta il pozzo nero

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C’era una volta il pozzo nero
Nell’orto il grande caldo e il sole implacabile sono una benedizione. L’importante è dare acqua. Tanta,
e possibilmente di scorrimento. I pomodori e i peperoni già dal mese di luglio continuano a produrre,
quasi in modo aggressivo. Evidentemente loro vera nemica è la pioggia: in certe estati di siccità
eccezionale le piante si conservano eccezionalmente sane.
Ma ultimamente, negli orti dei miei vicini, le melanzane hanno avuto qualche problema: sono cattive e
spugnose, le foglie ingiallite e malate. Onestamente, non sono riuscito a capire tanta insoddisfazione e
rabbia. E dire che, essendo originarie dell’India, non dovrebbero temere il caldo... Sarà il sole troppo
“ozonato”? Nel mio orto, la prima pianta della breve fila, un po’ riparata da un infestante e strabordante
cespuglio di rose, ha un aspetto molto più verde e normale dell’ultima, che, in pienissimo e spietato
sole, è al contrario veramente bruttina, ormai da tempo: mezza morta, è più simile a un povero e triste
frustino che a una pianta...
Leggo nel vecchio Orticoltura redditizia di Sergio Poncini (edizioni Hoepli) che, per garantire il
benessere dell’orto estivo, dovrei bagnare con innaffi concimanti (e concimati). Sono cose che non
faccio, e che il mio vecchio maestro Giovanni invece faceva: il pozzo nero risultava provvidenziale per
pomodori, peperoni, melanzane, mais, fagioli, zucchine. Naturalmente, per giuste e antiche precauzioni,
le insalate e le piante a foglia non ricevevano quel benefico trattamento: il tifo era sempre dietro
l’angolo! Oggigiorno il pozzo nero non esiste più, per legge: per ovviarne alla mancanza si potrebbe
mettere nell’acqua dell’innocuo concime di vacca facendolo macerare (d’estate si fa in fretta!). E
qualche cucchiaiata di urea certamente non guasterebbe (quasi come l’angostura in certi cocktail!),
semmai darebbe qualche brivido in più...
L’orto è un mondo antico e affascinante, usanze e maniere sono quelle di una professione lontana.
Forse le varietà di verdura sono cambiate leggermente: si sono un po’ messe al passo con i tempi
moderni, dove spesso, e tristemente, le scelte sono dettate non dal gusto ma dalla ricerca del più grande,
del più sano e del più rapidamente e facilmente trasportabile. Non sarà un caso se la consistenza di
bucce e pelli è ormai molto simile al cuoio...
Per un orto moderno il catalogo Ingegnoli è di grandissimo aiuto; fotografie e descrizioni sono belle e
accurate: il fai-da-te è sempre più “à la page”!
Irrequieto estragon
Di tutte le erbe aromatiche, l’estragon è la più ricca di personalità e forse la più gradevole, sicuramente
la più amata nella tradizionale e apprezzata cucina francese.
Il ben conosciuto latino di Linneo svela, con tranquilla sicurezza, l’appartenenza dell’estragon a una
delle famiglie più note per profumo e, soprattutto, aroma: le artemisie. Per l’esattezza: Artemisia
dracunculus, “dragoncello” in italiano, “tarragon” in inglese. È pianta perenne, rustica, originaria della
Russia e dell’Europa meridionale, spontanea anche in Italia.
Se coltivata negli orti e nei giardini solitamente perde, con la maturità, il profumo, per diventare quasi
un’erbaccia qualunque: per mantenere sempre intenso e gradevole il suo aroma è bene dividerla e
ripiantarla ogni due o tre anni. Ama evidentemente il movimento e i piccoli traslochi! De gustibus...
Il periodo migliore per piantarlo e dividerlo è ottobre o marzo, in terreno leggero e particolarmente ben
drenato e assolato.
Preferisce esser piantato in zone calde-temperate: il freddo, sotto forma di gelo forte e prolungato, non
gli si confà. Potrebbe mandare il nostro povero dragoncello all’altro mondo: d’inverno conviene,
comunque, ripararne con un bello strato di foglie secche le radici piccole e rizomatose.
Nei posti gelatissimi consigliano di estirparlo con la sua zolla di terra e di invasarlo in un contenitore,
per salvarlo e poterne far durare di più le foglioline, a beneficio di carni, uova e formaggi...
I fiori, bianco-verdastri, riuniti in pannocchie rade, spuntano in estate e non sono particolarmente belli:
è consigliabile tagliarli subito, a beneficio di vegetazioni nuove e tenere. Essendo i fiori terribilmente
insignificanti, non è proprio un grande sacrificio...
Molti anni fa ne seminai un piccolo sacchetto, comperato in un negozio inglese. Ne nacquero alcune
piante, che con cura e devozione trapiantai e crebbi: fu un emerito fiasco. Da adulte diventarono tutte
insipide e sciocche. Dovetti estirparle, deluso. Da allora cerco di rinnovare le mie poche piante, ogni
anno, acquistando qualche vasetto in terra di Francia o di Svizzera: i mercati rionali delle grandi città, a
mio giudizio, sono i più seri fornitori. L’anno scorso, per la prima volta, a Masino ne ho trovati di
ottimi dal sempre più specializzato e attento Gramaglia. Quest’autunno dividerò le piante. Quando ci si
imbatte in quelle “giuste” non è assolutamente saggio perderne le tracce...
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