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A COME ACROMATOPSIA: DALL’ESSERE UN PROBLEMA
ALL’AVERE UN PROBLEMA
Anna Piccioni
Per parlare di acromatopsia il famoso neurologo e regista americano Oliver Sacks sceglie
per un suo libro il titolo intrigante "L'isola dei senza colore", che sottolinea come, nella
accezione più comune, l'acromate sia colui o colei che non vede il mondo a colori, quasi fosse
rimasto negli anni del cinema e della televisione in bianco e nero.
Abbiamo spesso bisogno di semplificare termini scientifici complicati, che ci lasciano in
disparte rispetto agli addetti ai lavori. C'è per tutti il bisogno di comprendere, di essere
consapevoli del significato dello scorrere del tempo e delle potenzialità ancora in nostro
possesso soprattutto dopo una diagnosi, momento di riflessione, semaforo rosso nella vita.
A chi il compito di tradurre una diagnosi: come e perché?
Vorrei iniziare dall'ultima di queste domande: perché?
Perché è necessario e indispensabile che esista una comunicazione tra medico e paziente
nella quale la conoscenza, l'esperienza e la perizia del medico vengano offerte al paziente
attraverso un linguaggio che possa renderlo cosciente di quanto gli sta accadendo, con la
comprensione ed il supporto necessari a non lasciarlo solo con i suoi dubbi e le sue
preoccupazioni.
Citando Paolo Cattorini, professore di Bioetica: "Il clinico non è solo un tecnico, ma un
uomo impegnato a promuovere il bene di un altro uomo, portando a frutto le competenze
tecniche e le conoscenze scientifiche acquisite".
La passione e l'abnegazione del medico non possono ravvisare nella diagnosi il loro unico
fine; il grande compenso professionale si riceve quando, seppure in condizioni terapeutiche
svantaggiate, il paziente mantiene o recupera un adeguato equilibrio personale.
Quanto sia delicato il momento della comunicazione di una diagnosi credo sia esperienza
comune. Tuttavia non è mai abbastanza sottolineato per creare l'atmosfera più idonea al caso,
soprattutto quando si hanno di fronte genitori addolorati, sconvolti e frustrati nella loro umana
aspettativa di benessere per il proprio figlio.
Come comunicare è quasi sempre affidato al buon senso ed alla esperienza dei singoli e
non è ancora divenuto tema generale di studio e riflessione durante gli anni universitari per
conseguire la laurea in medicina.
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Comunicare la diagnosi può avere un effetto devastante se, nello stesso tempo, non si
offrono consigli ed indicazioni sui servizi e sulle metodiche di approccio riabilitativo,
considerando le esperienze psicosociali e le capacità di affrontare la presenza di un deficit
visivo da parte della famiglia e/o dell'individuo.
Chi ha il compito di tradurre la diagnosi?
Nel caso di una patologia congenita, quale l'acromatopsia, è frequente che siano i genitori i
primi osservatori di un comportamento anomalo nella visione dei loro figlioli già durante i
primi mesi di vita. Possono essere chiamate in causa professionalità diverse dal pediatra, al
neurologo, all'oculista. Sicuramente a quest'ultimo è quasi sempre passato il testimone perché
giunga al traguardo capace di definire un quadro a volte sottostimato e passibile di una
interpretazione che porta fuori strada.
L'oculista deve sentirsi investito di una responsabilità che supera quella clinica, in quanto
egli è utile ed indispensabile per promuovere collegamenti tra le varie figure professionali che
possono offrire sostegno scientifico, tecnico ed educativo. All'oculista spetta il compito di
spiegare perché l'assenza della percezione di variazioni di colore nel mondo intorno a noi
possa generare una serie di comportamenti che, all'apparenza, richiamano difficoltà
aggiuntive mal comprensibili.
Nel caso dell'acromatopsia l'approccio oculistico può presentare difficoltà legate alla rarità
del disordine, alla presenza di segni obiettivi che sono in comune con altre patologie retiniche
ed alla necessità di intervenire nei primi anni di vita, quando è difficoltoso somministrare tutti
i test validati per una quantificazione della vista e della capacità nel riconoscimento delle
sfumature di colore.
Soprattutto nel primo anno di vita non possiamo chiedere ad un bambino di leggere una
tabella o di verbalizzare una percezione di colore.
Nel caso di bambini e adolescenti si rende necessaria una buona familiarità con le
metodiche che consentono di capire come viene usata la vista e quale sia la funzione alterata.
Si parla in termini di valutazione funzionale, tipica della riabilitazione visiva.
Da parte dell'oculista è ugualmente utile acquisire conoscenza ed esperienza nella genetica
oculare perché da questa importante branca della scienza ci vengono chiarimenti non solo
sull'origine della malattia, ma anche sulla diversità del modo di presentazione in ciascun
individuo.
Particolare cura deve essere dedicata al colloquio con i genitori.
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L'atteggiamento di ascolto della storia clinica può fornire tutte le indicazioni non raccolte
attraverso altri esami. Esiste un elemento che fa la differenza, troppo spesso sottovalutato: la
brutale variazione di risposta nel comportamento del bambino al variare delle condizioni di
luminosità degli ambienti, un passaggio dalla cecità alla visione che si propone con reazioni a
volte drammatiche.
L'ambiente di visita può divenire il luogo di definizione della diagnosi solo se le luci
adottate sono coerenti con tali presupposti.
L'oculista, inoltre, deve poter contare sulla collaborazione di colleghi specializzati negli
esami di elettrofisiologia oculare, il più importante dei quali per l'acromatopsia è l'ERG o
elettroretinogramma. L'ERG rappresenta l'esame attraverso il quale si analizza e si misura il
trasporto dell'informazione visiva all'interno della retina. Questa è la struttura più interna della
parete del bulbo oculare, costituita da tessuto nervoso a più strati ciascuno dei quali svolge un
compito specifico compiendo una iniziale fase di elaborazione nella percezione delle forme,
del colore, del movimento e della profondità.
L'identificazione delle varie componenti dell'ERG è possibile inducendo differenti
condizioni di adattamento della retina alla luce, variando lo stimolo ed il metodo di raccolta
dati.
Sui particolari di questo utile esame tornerò fra poco.
Semir Zeki, neurofisiologo, scrive in un articolo di qualche anno fa: "Lo studio del sistema
visivo è una impresa di carattere profondamente filosofico: si tratta, infatti, di stabilire in che
modo il cervello acquisisca conoscenza del mondo esterno".
Il mistero ed il fascino del meccanismo della visione sono proprio in questo indissolubile
rapporto tra percezione e conoscenza.
Nel 1871 James Clerk Maxwell, fisico e matematico, uno dei più grandi scienziati di tutti i
tempi, tiene una lezione sulla visione dei colori al Royal Institut e all'inizio del discorso
sostiene: "Vedere è vedere a colori, perché è soltanto mediante l'osservazione delle
differenze di colore che distinguiamo le forme degli oggetti. E quando parlo di differenze di
colore intendo includere anche le differenze di lucentezza e ombra".
Si era solo all'inizio di una ricerca che nei secoli ci ha portato alle raffinate conoscenze
odierne, ma l'ultima frase svela già quanto sia da considerare oltre il colore. Si sottolinea
l'importanza del contrasto, aspetto fondamentale nella visione.
All'interno dell'occhio la retina svolge il compito di intercettare la luce e identificarne le
caratteristiche spaziali, temporali, di composizione e di intensità luminosa. Due sono le
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popolazioni cellulari protagoniste di questo complesso fenomeno: i coni e i bastoncelli, nomi
che derivano dalla loro forma osservata al microscopio elettronico.
La specializzazione dei coni è quella di rispondere, di captare le fonti luminose ad alta
intensità, quale la luce solare, diurna. La percezione del colore si accompagna alla elevata
intensità luminosa.
La loro incapacità di reazione alle luci potenti, più di tutte la luce del giorno, lascia l'occhio
senza difesa, senza la struttura che seleziona e modula l'impatto dei segnali sulla retina. Il
risultato è l'abbagliamento, come uscendo alla luce dopo un tunnel oscuro o come un flash
scattato all'improvviso. Ognuno di noi si definirebbe "accecato", ferito da troppa luce. A
causa del fenomeno dell'abbagliamento si assiste a due diversi comportamenti: il primo e più
plausibile è lo strizzare le palpebre di fronte a luci intense, la cosiddetta fotofobia. Il secondo,
che non ha ricevuto ancora una totale spiegazione dalle neuroscienze, è rappresentato
dall'attrazione eccessiva verso le fonti di illuminazione. Si pensa che in questo caso si produca
una stimolazione paradossa, una sorta di autoipnosi piacevole e senza gravi rischi perché i
coni sono già lesi.
Un ulteriore fenomeno che genera curiosità è la costrizione paradossa della pupilla, dal
diametro ridotto al buio ed invece ampia in condizioni di luce intensa. Tale fenomeno è
indicativo di affezioni della retina e fornisce un utile indizio diagnostico. La sua origine non è
chiara, ma richiama alla necessità di eseguire un ERG. L'elettroretinogramma rappresenta una
tecnica non cruenta, non invasiva, indolore.
Nell'acromatopsia siamo in grado di poter esaminare la diversa risposta allo stimolo
prodotta dai coni e dai bastoncelli. Per questi ultimi si usa la metodica dell'ERG scotopico
ottenuto stimolando la retina con luce a bassa intensità dopo aver fatto soggiornare il paziente
al buio per 30 minuti. La stimolazione dei coni ci fornisce un tracciato detto ERG fotopico per
l'uso di luce ad alta intensità. Nell'acromatopsia completa l'ERG fotopico è estinto, l'ERG
scotopico è normale.
Certamente l'ERG è un esame che richiede grande esperienza e soprattutto necessita di
pazienza e di abilità da parte dell'esaminatore per mettere il paziente nelle migliori condizioni
di risposta.
Se tale presupposto è valido per gli adulti, è irrinunciabile per i bambini. A volte un
approccio inadeguato da parte dell'operatore mette a repentaglio la possibilità di ottenere dati
preziosi in assenza di altri test.
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Oltre a questo vale ricordare come la visione ad alto contrasto sia l'unica utile al
riconoscimento dei dettagli. Il concetto di contrasto ritorna importante come nelle parole di
Maxwell.
Quante volte, senza neppure riflettere, aumentiamo l'illuminazione per poter leggere
meglio, infilare l'ago, notare una sfumatura o evidenziare la forma di un oggetto o di un
disegno.
Aumentiamo la luce perché abbiamo bisogno di stimolare l'area della retina che è preposta
alla visione nitida, dettagliata, ad alto contrasto. Questa regione è la macula, al centro della
retina, nel fondo del bulbo oculare ed è abitata dai soli coni. Nel resto della retina troviamo
praticamente solo bastoncelli il cui compito principale è quello di rispondere alle basse
intensità di luce, senza fornirci la nitidezza del particolare e senza sensibilità ai colori.
Per capire meglio, suggerisco un piccolo esperimento: fissate la punta del dito indice posto
davanti a voi. Il vostro dito risulta chiarissimo in ogni dettaglio, tutte le immagini che sono
dietro sono visibili, ma sfuocate. Avete usato la macula, cioè i coni, per fissare l'indice, il
resto della retina con i suoi bastoncelli è servito per avere una visione d'insieme senza
cogliere i dettagli. La stessa cosa accade davanti alla tabella di lettura, per lontano o per
vicino, con la quale si effettua la misurazione della vista. La misurazione, espressa in decimi,
è la quantificazione del buon funzionamento della macula.
In questo modo si spiega come, per l'assenza di funzione dei coni venga a diminuire anche
l'acuità visiva, sia per lontano che per vicino. Nel caso dell'acromatopsia la riduzione è stabile
nel tempo, senza modifiche perché i coni sono assenti o comunque incapaci di reagire fin
dalla nascita. La massima risposta visiva è tra 1/20 e 1/10 nella forma completa, di poco
superiore nella forma incompleta e nel monocromatismo dei coni blu, terza variante
dell'acromatopsia trasmessa attraverso l'alterazione di un gene presente sul cromosoma X
della mamma.
La ricerca della massima risposta visiva richiede la ricerca e la correzione di un difetto di
refrazione. La refrazione è la capacità da parte delle varie componenti dell'occhio a
convogliare gli stimoli luminosi sulla macula per metterli a fuoco. Molti bambini acromati
sono ipermetropi e necessitano della correzione con lenti per ridurre al massimo la sfuocatura
dell'immagine. La prescrizione degli occhiali rappresenta a volte una difficoltà psicologica
per le famiglie che hanno richiesto l'inclusione del proprio figlio nelle liste dei disabili della
vista. Gli occhiali rappresentano una contraddizione alla dichiarazione del deficit o comunque
un timore di essere sconfessati. Anche in questo caso è importante la conoscenza dei
meccanismi fisiologici della visione e la filosofia dell'approccio riabilitativo.
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L'esaltazione del contrasto va perseguita con ogni mezzo: l'uso delle lenti filtranti, la
schermatura laterale della montatura e/o l'uso di una visiera all'esterno, la correzione del
difetto di refrazione, l'uso di una illuminazione mirata all'interno degli ambienti di vita,
l'assecondare posizioni di sguardo con ausili che migliorino la postura.
L'introduzione di lenti telescopiche per lontano è auspicabile non appena è richiesta una
maggiore autonomia di spostamento.
Questi ausili incontrano di frequente un'avversione psicologica da parte degli adolescenti.
Essi provano disagio a mostrare il proprio limite ai coetanei in una fase di crescita oltremodo
delicata. La dimostrazione del beneficio che ne deriva può ridurre l’interesse per superare il
rifiuto.
A questo punto diventa più agevole spiegare perché in quasi tutti gli acromati, di solito
fino all'adolescenza, gli occhi appaiano scossi da movimenti ripetitivi, fini, orizzontali, con
una tendenza a strizzare le palpebre quanto più si esce all'esterno. I movimenti ripetitivi
rappresentano il nistagmo e compaiono intorno al 4° - 5° mese di vita.
Anche il nistagmo è legato alla funzione della macula, che raggiunge la sua piena maturità
proprio nel 4° mese dopo la nascita. Maturità della macula vuol dire massima risposta dei
coni.
Senza la loro funzione la retina è sprovvista di un centro di fissazione ed è per questo che il
nistagmo sembra spiegarsi come un ripetitivo movimento di ricerca del punto di massima
messa a fuoco. La ripetitività del movimento, spontanea e difficilmente controllabile,
peggiora la qualità della visione. Spesso osserviamo come le persone con nistagmo assumano
delle posizioni anomale del capo per osservare meglio i dettagli e a distanza molto
ravvicinata.
In tali posizioni si ottiene una notevole riduzione delle scosse e non si consiglia di
correggere la postura anomala. Priveremmo i nostri ragazzi di una strategia utile
all'acquisizione di importanti informazioni. Non trascurando l'attenzione per la posizione del
collo e della colonna vertebrale è necessario adattare la scrivania e il banco affinché siano
ridotti la tensione e lo sforzo che sono causa di dolori e di atteggiamenti cronici di compenso.
Tavoli con piani inclinabili, leggii, sedie ergonomiche, studio delle fonti di luce a casa e a
scuola sono sussidi indispensabili prima ancora degli ausili ottici di ingrandimento per tutte le
attività che richiedono l'uso della vista per vicino. La lettura e la scrittura richiedono tempi più
lunghi della norma, serenità, distensione e comodità per un buon apprendimento.
La riduzione della acuità visiva per lontano, unitamente al fenomeno dell'abbagliamento,
presentano delle ricadute funzionali importanti nello sviluppo della comunicazione,
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dell'orientamento e della mobilità, nell'apprendimento incidentale e nelle attività della vita
quotidiana. Nel caso dell'acromatopsia va sottolineato come in modo peculiare ciascuna di
queste aree risenta fortemente delle condizioni di luce ambientale.
La comunicazione si avvale molto di messaggi non verbali particolarmente importanti
all'interno del gruppo dei coetanei. L'orientamento e la mobilità, insieme all'esercizio delle
abilità della vita quotidiana, sono i presupposti dell'autonomia. L'apprendimento incidentale
passa attraverso il "colpo d'occhio", il cogliere fugacemente le immagini di una situazione.
La vita di ognuno è molto più ricca di comunicazione non verbale e di apprendimento
incidentale di quanto si possa immaginare. Nella limitazione visiva le esperienze debbono
essere indotte e concesse. Ogni tipo di informazione deve essere trasmessa e mediata da
parole ed azioni concrete da parte degli educatori e dei riabilitatori, per facilitarne la
costruzione di una memoria mentale.
Di conseguenza l'acquisizione di strategie alternative deve essere sostenuta dalla
consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti in ogni circostanza.
La costruzione della stima di sé diventa una operazione delicata nella ricerca e nella
affermazione di una identità che spesso è difficile confermare agli occhi degli altri.
L'acromate può essere considerato allo stesso tempo un cieco ed un vedente se non si
conoscono l'origine del suo disagio e la necessità di usufruire di metodiche ed ausili che si
modellino ad esigenze molto contrastanti.
A questo non giova ancora molto la rigida classificazione delle disabilità visive alla quale
dobbiamo fare riferimento per ottenere ausili e riconoscimento dei diritti.
In attesa di una burocrazia più sensibile e rispettosa dobbiamo incessantemente ricercare
un approccio riabilitativo altamente professionale che segua i ragazzi nella loro evoluzione.
Anna Piccioni, oculista genetista, consulente di ipovisione
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