Per averla praticata sconsiglio vivamente la via dell`autodidattismo e

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Vittorio Gelmetti: vita, collages, didattica
1. Introduzione. Se nostra intenzione è aprire il presente saggio con un breve sguardo alla
persona di Vittorio Gelmetti come uomo prima che al compositore quale appare nelle sue
opere non è per fare uno psicologismo a buon mercato e neppure per rivelare particolari
che non siano alla portata di chiunque voglia effettuare ricerche su questo musicista. Ciò
che ci spinge a tracciare un profilo di Vittorio Gelmetti è il fatto che dai suoi dati
biografici e dal suo temperamento si evincono le ragioni che hanno giocato, a nostro
avviso, un ruolo primario (se non decisivo) nel far calare un velo di dimenticanza su una
figura della musica contemporanea italiana a lungo partecipe della realtà culturale del
Paese. Data la approssimativa conoscenza che si ha di Gelmetti, pure in ambito
musicologico, ci sembra opportuno delineare subito i tratti fondamentali di un
compositore che, morto il 5 febbraio del ’92, non ha conosciuto pubblicazioni delle
proprie partiture e pochissime edizioni in vinile o CD delle sue musiche 1. In sintesi,
Gelmetti nasce a Milano nel 1926 e riceve la sua prima educazione musicale attraverso
l’ascolto dell’opera lirica durante le stagioni dell’Arena di Verona e de La Scala e grazie
alla frequentazione di un prozio veneziano maestro di banda e direttore d’orchestra
(Carmelo Preite). Le prime lezioni vere e proprie vengono interrotte dal trasferimento a
Roma della famiglia Gelmetti. Nella capitale Vittorio tenterà di regolarizzare i suoi studi
musicali, più perché spinto dagli amici musicisti che perché convinto della loro efficacia.
Il compositore porterà a giustificazione di un certa mancanza di basi accademiche anche
ragioni economiche che gli impedirono di seguire il cursus di studi conservatoriali e di
ottenere un diploma da lui denominato “patente di esercizio”. L’autodidattismo,
insomma, è una cifra del suo approccio alla musica che non deve essere dimenticata. Con
le sue stesse parole:
1
Eccettuati qualche vinile ormai introvabile e dischi di sonorizzazione che come tali non
incontrano una diffusione capillare neppure nei negozi specializzati in musica colta, l’unica
edizione significativa al giorno d’oggi è il CD postumo Musiche elettroniche, ed. Nepless 1997
(CO 971 1003). Disponibile solo su ordinazione da catalogo. Testi (in questo caso CD) sui quali
diamo indicazioni di reperibilità sono da considerarsi d’ora in poi fondamentali per una
conoscenza di Gelmetti.
1
Per averla praticata sconsiglio vivamente la via dell’autodidattismo e per due motivi ben
precisi: in primo luogo per la diffidenza che essa ingenera comunque negli altri, e, in
secondo luogo, per la costante insicurezza nei confronti della conoscenza musicale, una
preoccupazione di non saperne mai a sufficienza. Essa viene generalmente esorcizzata da
un diploma, un attestato […] Naturalmente, tutto questo ha anche risvolti positivi perché ti
spinge ad approfondire i problemi, a sviscerarli, con una grande tensione verso una
irraggiungibile esaustione.2
A Roma Gelmetti intreccerà rapporti con gli ambienti musicali (in special modo con Evangelisti e Nuova
Consonanza), televisivi (RAI), cinematografici (ex Centro Sperimentale di Cinematografia) e teatrali (tra i
più significativi i contributi per spettacoli di Quartucci e Bene). Fondamentale appare soprattutto
l’esperienza di musica elettronica presso il Laboratorio di Elettroacustica dell’Istituto Superiore delle Poste
e Telecomunicazioni, e presso lo Studio S2FM di Pietro Grossi a Firenze (la cui strumentazione verrà
trasferita nel 1965 nella sede del Conservatorio Cherubini per creare la prima cattedra di musica elettronica
in Italia). Fondamentale, dicevamo, perché occuperà 4 anni (dal 1959 al 1963) dell’attività compositiva di
Gelmetti portando il musicista, grazie all’impegno di Evangelisti, a lavorare presso lo Studio Sperimentale
della Radio Polacca a Varsavia nel 1969. Chiusa la fase puramente elettronica, l’articolata vicenda musicale
di Gelmetti passerà attraverso un ripensamento delle strutture acustiche e miste per approdare verso un
personalissimo collagismo che trova la sua fonte ispirativa diretta nella Biennale veneziana sulla Pop Art
(1964). Ma di questo ne parleremo più avanti.
Risulta evidente da questi brevissimi cenni biografici che manca un dato importante, ovvero il nome di
Darmstadt, nei decenni successivi al secondo dopoguerra punto di riferimento e meta di pellegrinaggio in
particolare per i musicisti dell’area postweberniana e strutturalista (ma non solo per quelli). L’assenza di
Gelmetti dai Ferienkurse non fu ovviamente casuale, nonostante che la conoscenza di Evangelisti, assiduo
frequentatore degli incontri tedeschi, potesse essergli di stimolo. Fu, casomai, e qui entriamo nel vivo della
questione, segno della scelta deliberata di Gelmetti di tenersi al di fuori di qualsiasi categorizzazione e
istituzionalizzazione. Anche con la vicinissima Nuova Consonanza il compositore ebbe sempre un rapporto
tangenziale senza mai entrarne a far parte come membro. Non vorremmo con questo alludere ad una
diffidenza e ad un atteggiamento cinico di Gelmetti contro forme di associazionismo o indirizzamento
ideologico; a parer nostro furono soprattutto lo spirito libero, la vis polemica e una notevole capacità di
analisi della contingenza storica (come appare dagli scritti critici del compositore) a tenerlo lontano da un
possibile irrigidimento creativo. Pietro Grossi, ripensando ai lontani anni ’60, ovvero quando Gelmetti si
trovava a Firenze allo studio S2FM, ricorda ancora quel compositore “fuori dalle mode” come un “tipo
bohemien”. Potremmo aggiungere un “puro”, come ebbe a definirlo Stefano Leoni 3, minimamente disposto
a scendere a compromessi di stampo commerciale, sempre proteso alla ricerca di nuove soluzioni tecniche
ed espressive, a sondare il terreno musicale senza farsi coinvolgere nei dogmatismi delle scuole in voga, che
si tratti, come già detto, dello strutturalismo di Darmstadt, o dell’aleatorietà e casualità cageane. Di
In Vittorio Gelmetti, Nostalgia d’Europa, ed. Le parole gelate, Roma-Venezia 1984, pag. 20. Di
difficile reperimento.
2
2
entrambe apprezzerà certi aspetti senza mai condividerle in tutto e per tutto. Lui stesso non nascose le sue
preferenze:
Personalmente mi interessa poco lo Stockhausen immediatamente postweberniano, mi
interessa quando lui esplora alcune possibilità sonore e alcune tecniche di aggregazione
tipo Gruppentechnik. Mi interessano opere come Kontakte […] o come Stimmung, per quel
suo eccezionale uso della vocalità. Ma quando Stockhausen […] avverte la crisi e si salva
con lo Zen, che poi viene dall’Oriente attraverso gli Stati Uniti (con tutte le mediazioni e
intermediazioni che ne fanno una sotto cultura) […] a quel punto mi interessa meno […].4
Cage ha il merito di aver vanificato il rigorismo di Darmstadt, spacciato, fin dalla sua
comparsa, per normativo e vincolante. […] Gli aspetti ideologici da lui sostenuti mi
lasciano perplesso poiché sono scarsamente disponibile all’Oriente mediato dagli USA.5
La purezza di Gelmetti andrà cercata nell’integralismo del suo pensiero che concepisce la musica come arte
sempre in fieri, minacciata continuamente dalle cristallizzazioni di comodo e dal suo aspetto spesso
“consolatorio e assistenziale”6. Una purezza che non riguarda la destinazione compositiva, espletata infatti
assai di frequente non solo per la sala da concerto o in festival di musica contemporanea, ma attraverso i più
vari mezzi di produzione sonora, sotto influssi culturali eteronomi (pittura e letteratura, per es.) e per forme
molteplici di comunicazione tra cui il palcoscenico teatrale e il set cinematografico. Più di una volta,
interrogato da musicologi, Gelmetti ha sostenuto di essersi avvicinato al cinema per ragioni di ordine
economico, scorgendo inoltre in quel mezzo l’opportunità per testare soluzioni musicali da applicare poi
nel campo della musica da concerto. Tuttavia, per qualche motivo suo proprio, ha sempre tenuto separate,
sul piano verbale, queste due occupazioni, evitando di menzionare la non copiosa ma acutissima e originale
attività critica circa la musica per film, la quale, da sola, è traccia di un interesse ben superiore verso il
cinema di quanto Gelmetti sembra voler far credere con le sue giustificazioni economiche e sperimentali.
2. Il pensiero musicale. La non appartenenza ad alcuna corrente di scrittura e la curiosità
innata verso nuove acquisizioni sonore portarono Gelmetti a cimentarsi nelle varie
tipologie linguistiche di volta in volta affioranti nel panorama musicale internazionale.
Dalle prime composizioni per strumenti si arriva (anche se con qualche anno di ritardo
rispetto alle esperienze iniziali di altri compositori) alla musica elettronica pura con 2
Studi: Varianze II, Tensioni del 1961 (ma vi era già stato un primo approccio al nastro
magnetico con Misure I del 1958), e poi, in rapida successione, al collagismo di Nous irons
3
Stefano Leoni, Addio a Gelmetti, il puro, in Il Giornale della Musica, n° 70, marzo 1992.
In Nostalgia d’Europa, cit., pp. 24-25.
5
Michela Mollia (a cura di), Autobiografia della musica contemporanea, Lerici, Cosenza 1979,
pag. 219.
4
3
a Tahiti (1965), alle forme gestuali di Prossimamente (1967), a quelle aleatorie miste di
azionismo/strumenti/elettronica (Karawane del 1972), fino all’uso dei primi sintetizzatori
per esecuzioni live con Per Adrian (1976). Il passaggio da una tecnica all’altra ha segnato
conseguentemente periodi abbastanza distinti nell’attività artistica di Gelmetti, tanto è vero
che se dal ’54 al ’61 si dedicò alla composizione per strumenti, i 2 Studi segnano l’inizio
della fase elettronica con la presenza pressoché costante del nastro magnetico. Si ritornerà
alla scrittura “acustica” pura solo nel ’73 e da allora in poi le acquisizioni ottenute nel
passato verranno messe a frutto attraverso una produzione copiosa che riassume, senza
specifiche preferenze, ogni tipologia compositiva. Quindi, il prolifico “tirocinio” portato
avanti sia nel campo acustico che elettroacustico nel decennio ‘54-’64 fornì a Gelmetti
quella padronanza tecnica dei mezzi musicali necessaria per compiere il salto decisivo
verso una maggiore originalità espressiva. Ci riferiamo alla pratica del collage che a
cominciare dalle avanguardie storiche e da Duchamp7 in primis fa propria l’estetica della
mescolanza di oggetti eterogenei, di provenienza disparata e scelti senza prestare
attenzione alle categorie e alle discriminazioni culturali; oggetti, in tal modo,
decontestualizzati ed accostati affinchè rivestano significati altri. Quella del collage è una
tecnica che entrerà a far parte della musica quando le strumentazioni elettroniche gliene
daranno la possibilità. Numerosi esempi storici quali, uno per tutti, le citazioni e gli
sviluppi di temi popolari nelle sinfonie di Mahler, non possono essere additati come
collagismi visto che manca loro quel tanto di manualità insita nel montaggio. Manualità
che è invece ravvisabile nell’utilizzo del nastro magnetico (come della pellicola filmica
nella fase di editing):
Esistono infatti - puntualizza Gelmetti - certe tecniche della musica d’oggi, direi la musica
elettronica, la musica concreta (la musica elettromagnetica tout-court) che hanno a che fare
Vittorio Gelmetti, Listo do Michała, in Cinema Nuovo n° 226, 1973, pp. 408-413. Ripubblicato in
Verona Voce n° 8, marzo 1990, pp. 22-23. Il testo può essere chiesto direttamente all’emeroteca
della biblioteca civica di Verona.
7
Ma anche, e forse più, da Schwitters che segna il passaggio dal ready-made al gioco dada.
“Schwitters, significativamente, costruirà i suoi collages e i suoi rilievi non solo di ritagli, ma di
cose trovate per terra, gettate via: spazzatura. E sempre significativamente darà a questi oggetti il
titolo di Merz, seconda metà della parola Kommerz (commercio)”. In Pierluigi deVecchi/Elda
Cerchiari, Arte nel tempo, Bompiani, Milano 1994, vol. 3, tomo II, p. 480. Il legame del Merz con
l’oggettistica quotidiana della pop-art e del new-dada che Gelmetti ricorda come “fattore decisivo”
del suo cambiamento (v. più avanti) è evidente.
6
4
con nastro magnetico, con dei montaggi che sono tecnicamente la stessa cosa del
montaggio del film. 8
Proprio sotto questo aspetto il discorso strutturale, che è implicito in qualsiasi forma
comunicativa e, pertanto, di pensiero organizzato, avvicina musica e immagine anche dal
lato tecnico. Sarà forse per questo che il collage musicale si adatta bene a quello filmico.
Tuttavia, nell’evoluzione stilistica della musica di Gelmetti, è bene non lasciarsi trarre in
inganno da questa apparente vicinanza. Scrive a tal proposito Ennio Simeon9:
[…] la contaminazione, il richiamo al passato musicale, la pratica del collage, hanno fatto
parte della poetica di Gelmetti a partire proprio dal 1965 con Nous iron à Tahiti […].
Mettere in stretta relazione il cambiamento di indirizzo nella concezione compositiva di
Gelmetti con l’avvicinamento al cinema è senz’altro un’operazione arbitraria, tanto più che
il compositore non cita mai il cinema come stimolo per la svolta di quegli anni, indicando
nelle suggestioni della pop-art il fattore decisivo del cambiamento10; tuttavia le implicite
analogie tra i principi esposti da Gelmetti come tipici della sua produzione a partire dalla
metà degli anni ’60 ed alcuni principi di funzionamento della musica cinematografica
impongono almeno di sottolinearne la coincidenza cronologica: ‘L’appropriazione del già
esistente […] e l’inserzione del preesistente in un contesto inconsueto, il significato
<secondo> che assume il preesistente se inserito in un contesto desueto, sono le
determinazioni che si trovano alla base di una lunga attività che potrei definire la mia
seconda maniera’11.
E la “seconda maniera” comincia proprio con la tape-music, la musica per nastro
magnetico che permette quei montaggi del preesistente “la cui logica era l’analogia, la
contrapposizione, il mixage incrociato, il passaggio brutale con l’inclusione di elementi
di disturbo (normalmente ritenuti tali) in contrapposizione alla asetticità del suono
ottenuto in studio o in sala di registrazione”12. I frammenti di questo comporre musica con
musica sono lacerti della memoria storica e personale che riaffiorano nel loro legame
8
V. Gelmetti, Aspetti della musica nel film, in Filmcritica n° 143/144, 1964, pp. 146-147.
Ennio Simeon, Le colonne sonore, saggio inedito sulla musica cinematografica di Gelmetti. Per
gentile concessione della Sig.ra Nelly Gorska-Gelmetti.
10
Il compositore ricorda quanto decisiva sia stata per lui la famosa Biennale del 1964 sulla
Pop-art e l’uso intensivo del preesistente che artisti come Andy Warhol o Roy Lichtenstein
facevano. Si veda Michela Mollia, Autobiografia […], cit., pp. 215-216. L’interesse di Gelmetti per
la pittura e le arti plastiche pare ricorrente se si pensa alla sua partecipazione a un dibattito sulla
pittura di Dorazio (in Musica e pittura, dibattito su Dorazio, Marcatrè n° 16/17/18, 1965, pp.
225-230) e l’opera per nastro magnetico Modulazioni per Michelangiolo (1964) composta su
commissione del Comitato per le Onoranze a Michelangelo Buonarroti in occasione della mostra
allestita nel Palazzo delle Esposizioni a Roma nel IV centenario della morte dell’artista
(descrizione dell’opera in Vittorio Gelmetti, Musica elettronica per la Mostra di Michelangelo,
Marcatrè n° 4/5, 1964, pp. 71-72).
11
Vittorio Gelmetti, Nostalgia d’Europa, cit., pag. 60.
12 Michela Mollia (a c. di), Autobiografia […], cit., pag. 216.
9
5
affettivo con ciò che non può più essere. Per tale motivo quando viene chiesto a Gelmetti
se debbano essere riconoscibili o meno la risposta è una sola: sì. Che poi i frammenti
assumano significati secondi, come già abbiamo ricordato sopra, è una conseguenza
implicita e caratterizzante questa modo di far musica. In ogni caso la manipolazione del
materiale non deve raggiungere un livello di deformazione tale da storpiarne la sua
natura intrinseca:
Come ebbi occasione di dire allo stesso Stockhausen il celare i materiali è operazione in cui
si evita qualsiasi rischio, una sorta di esorcismo, uno schermo protettivo che si adotta
perché alla fin fine si ha paura di quei materiali con i quali, tuttavia, non è possibile evitare
di fare i conti.13
Il collagismo in Gelmetti è un atteggiamento, è bene chiarirlo, propositivo e positivista
che si pone come antitetico alla imminente afasia musicale implicita nelle estreme
conseguenze del pensiero cageano, un atteggiamento che cade in un momento storico (gli
anni ’60) cruciale per la musica d’avanguardia, in cui lo scacco subito da chi pensava di
aver trovato nello strutturalismo una nuova età della musica fece circolare più che mai
l’idea che la musica fosse prossima ad una morte per autoconsunzione. Il proposito di
Gelmetti fu invece quello di rivitalizzare le ceneri di un’Europa a cui si appartiene per
nascita e per cultura, di cui si sente nostalgia “in senso affettivo, etimologico (dolore per
l’assenza), e non tanto nel desiderio di ritorni o revivals (che poi è sempre un desiderio
legato ad atteggiamenti di rinuncia e puramente consolatori).”14
3. Sedimentazioni uditive, memorie acustiche. Torniamo volutamente sul concetto di
collage perché ci sembra che Gelmetti ne sia stato in campo italiano uno dei rarissimi
promotori e sicuramente il più prolifico e significativo. Dopo aver portato avanti per tutta
la vita una personalissima nozione della musica, ancora nel 1989, isolato e poco
condiviso, trovava la forza di annunciare: “Il <collage>, a mio […] avviso il fenomeno
artistico più importante del nostro secolo, si rivela alla fine vincente”15. Un’affermazione
forse anacronistica visti i tempi in cui fu lanciata e sicuramente eccessiva nel contenuto.
13
Idem, pag. 217.
V.Gelmetti, Nostalgia d’Europa, cit., pag. 79.
15
Vittorio Gelmetti, Musica oggi, in Verona Voce n° 0, 1989, pag. 5.
14
6
Tuttavia attraverso essa Gelmetti continuava a proclamare con solida convinzione il suo
credo.
Ma non è sempre stato così. Molti anni addietro, riflettendo sull’aut-aut posto dalle
avanguardie storiche tra ripiegamento neoclassico e atteggiamento modernista, si
esprimeva in modo assai più cauto e rassegnato:
[…] un tale dilemma si presenta ancor più duramente alla neoavanguardia: o ri-assumere
<materiali> comunque preesistenti, nella sconfitta, nello scacco di ogni possibile sintassi o
darsi al <silenzio> (con o senza garanzie metafisiche). In ogni caso si tratta volenti o
nolenti di votarsi alla sterilità […].16
Si sa benissimo quale delle due posizioni abbia scelto Gelmetti e come sia stato in grado
di volgerla in una vittoria invece che in una sconfitta. Irrisolto rimane invece il problema
sintattico. Se è ovvio che una piena consapevolezza della sua esistenza – tutt’oggi
vitalissima – nella musica contemporanea possa aver condotto il compositore alla
manipolazione di materiali musicali precostituiti, dotati già di sintassi proprie, meno
scontato è definire quale sintassi sia stata adottata per la successioni dei materiali stessi,
quale legame di necessità sottenda il passaggio da un elemento sonoro all’altro. Inoltre
l’impossibilità di utilizzare una notazione soddisfacente per la stesura grafica dei collages
sonori costituisce un serio problema ad analisi che non si limitino a valutazioni empiriche
o estetiche. Di qui la difficoltà e l’imbarazzo a scriverne senza poter sottoporre alcun
materiale visibile agli occhi del lettore, il quale dovrà per proprio conto cercare le
registrazioni, oltretutto non facilmente reperibili. A noi non resta che parlare in linea
generale dell’argomento evidenziandone gli aspetti storicamente ed esteticamente
rilevanti e citare quelle composizioni che riteniamo più significative senza per altro
spingerci in un’analisi dettagliata. L’indicazione di massima che diamo è l’ascolto di due
opere: Nous iron à Tahiti17 del 1965 e la musica per il film Angelus Novus di Pasquale
Misuraca del 1987. Non a caso avviciniamo composizioni lontane e per destinazione
performativa e per periodo di realizzazione. Il nostro intento è quello di chiarire come il
Vittorio Gelmetti, Listo do Michała, cit.
Collage su nastro. Realizzato nello studio S2 FM di Firenze. Prima esecuzione l’8/4/1965 alla
libreria Feltrinelli di Roma per i concerti di Marcatre. La resgistrazione si trova sul CD della
Nepless citato in nota 1.
16
17
7
collage si sia rivelato a Gelmetti un metodo unico di “scrittura” atto a soddisfare contesti
espressivi assai distinti (non ultimo quello teatrale o pittorico).18
Con tutta probabilità il motivo principale deve considerarsi il livellamento qualitativo tra
gli elementi sonori, che, si badi bene, non si traduce in livellamento dei parametri
decisionali. Cioè: che le componenti sonore, di qualsiasi provenienza (dalla sinfonia
beethoveniana al martello pneumatico, dallo starnazzare di un’oca al tuning radiofonico)
possano acquisire pari dignità d’esistere, non significa che vengano poi convogliate in un
unico calderone senza averle preventivamente scelte. Sarebbe se no come dire che i
dodici suoni della dodecafonia si possono accozzare in maniera fortuita grazie alla loro
equivalenza funzionale. Invece la cernita operata su un materiale potenzialmente infinito
si basa su associazioni emotive privatissime che ripercorrono la memoria acustica
dell’uomo disturbandola o stimolandola con i suoni del quotidiano. Ecco perché si può
parlare per Angelus Novus (come in rarissimi casi cinematografici) di colonna sonora
senza dover specificarne la bipartizione in colonna musica e colonna effetti. La musica di
Gelmetti annulla questa separazione, prevede e accoglie di buon grado qualsiasi realtà
sonora voglia inserirsi nella compagine musicale superando così ogni antiquata
distinzione tra suono e rumore.
Sicuramente tale forma mentis Gelmetti la sviluppò con le sue prime esperienze
compositive elettroacustiche che per loro natura facevano capo ad un materiale sonoro
amorfo, privo di agganci prioritari di ordine sintattico o qualitativo. Curioso casomai è
che dalla strutturazione ferrea di queste composizioni si passi poi gradualmente ad un
pensiero collagistico non meno strutturato ma di fatto più liberatorio, più improntato a
fattori mnemonico-sentimentali che matematico-razionali. Sì, perché se il collage è prima
di tutto inserire frammenti di un dato mondo espressivo in un contesto in cui il loro
semplice combaciare generi dei corto circuiti che ne mutino sensibilmente il valore
originario, per Gelmetti è anche qualcos’altro, qualcosa che va oltre la verve polemica,
graffiante, sarcastica della Pop Art. È una tecnica che, ancor più della citazione, fa
riemergere un mondo interiore arricchitosi nel tempo. Anzi diventa un suo presupposto
ridar vita a questo mondo o, con fare nichilista, sommergerlo nel mare delle rimembranze
come un caro defunto il cui ricordo è ancora ardente nell’affettività di ciascuno di noi.
18
È ovvio che nella pur grande varietà di applicazioni possibili l’ambito di utilizzo è sempre
8
Non si può prescindere da questa vena poetica se si vuol capire la musica di Gelmetti.
Piuttosto si può ravvisare una continua, lieve oscillazione tra spirito combattivo e spirito
nostalgico dove il secondo tende ad incrinare le sicurezze del primo. Enore Zaffiri,
commentando Nous iron à Tahiti, trova belle parole per spiegarlo:
Tutta la nostra vita culturale quotidiana, di natura uditiva, è condensata in questi ventitré
minuti di ascolto.
Spettri sonori di canzoni, voci, danze, messaggi, brani di opere liriche, pezzi pianistici sono
immersi ed emergono da una massa informe di brusii e rumori che si direbbero di natura
galattica. Tutto giunge in corpuscoli musicali sovente sovrapposti. Nel finale, bellissimo,
emerge su una fascia corale quasi immota, che poi gradatamente si dissolve nei rumori
cosmici, frammenti dell’opera 110 di Beethoven, messaggio celato, denso di nostalgia di
un mondo a noi ormai così lontano.19
Per sinestesia affiora alla mente irrefrenabile un’immagine: l’Angelus Novus il cui viso è
“rivolto al passato”, mentre nel presente la tempesta che “spira dal Paradiso […] lo spinge
irresistibilmente verso il futuro”20. Ovvero: si ascoltano al presente i lacerti di un mondo
scomparso nella speranza di costruirne uno nuovo.
4. Il pensiero critico. Vi sono delle costanti che compaiono nella critica e nelle interviste
a musicisti a cavallo degli anni ’60 e ’70: il dibattito sulla sociologia e la politicità della
musica (che poi fa sempre capo ad Adorno, o per appoggiare le sue tesi o per
contraddirle), il futuro di una musica che esce dai rottami post-alea e gestualità, e il
problema dell’educazione del pubblico indirizzato quasi irrimediabilmente all’ascolto
passivo della “musica leggera”. Gelmetti partecipò attivamente ai dibattiti scrivendo dal
’63 al ‘68 su Marcatrè21, e sulle pagine delle principali riviste cinematografiche italiane
(fino al ’68 su Filmcritica e, in seguito a incomprensioni col comitato direttivo, sulla, per
così dire, antagonista Cinema Nuovo). In tutto, tra interviste, articoli, saggi, libri si
contano 33 pubblicazioni in almeno una buona metà dei quali Gelmetti affrontò
profusamente tutti gli argomenti appena citati. Non è possibile qui soffermarsi oltre sulle
riflessioni politiche e il problema della musica dell’avvenire (da Gelmetti risolto col
collagismo e le successive esperienze “sincretiche” e “pluristilistiche”), argomenti già
circoscritto ad opere con marcati segni di sperimentalismo.
19
Dal booklet del CD Nepless.
20
Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1995.
9
trattati in linea di massima nei punti precedenti; ci preme invece sottolineare l’attenzione
prestata dal compositore alla didattica e all’analisi critica delle strutture preposte alla
diffusione della musica e della cultura in generale.
L’attività di insegnante occupò solo saltuariamente Gelmetti. L’insegnamento dovette
tuttavia essere un impegno sentito come imprescindibile dalla sua attività di musicista, un
impegno tanto perseguito da approdare ad una serie di trasmissioni televisive di
alfabetizzazione musicale indirizzate a studenti delle scuole medie che nella sua ottica
dovevano rappresentare il livello di riferimento per un pubblico più vasto.
22
Parallelamente venne pubblicato dalla Nuova ERI (Torino, 1980) un libro, Tutto è
musica23, in cui si raccolgono le diverse lezioni dell’omonimo programma televisivo
comprensive di ascolti consigliati e tavole esemplificative sull’acustica, sulla
disposizione degli strumenti nell’orchestra e dei materiali musicali nelle partiture prese in
esame (con ampia veduta che spazia da Bach a Varèse all’elettronica di Treni d’onda a
modulazione di intensità dello stesso Gelmetti). Tra le carte del compositore abbiamo
anche recuperato progetti didattici di cui non conosciamo una effettiva realizzazione24 ma
che rimangono sintomatici del suo desiderio di veder un pubblico più nutrito di quello dei
festival avvicinarsi alle problematiche della musica del nostro tempo. E i festival
Gelmetti li conosceva bene se si considera la sua partecipazione in veste di critico e di
musicista a quelli (tra i principali) di Palermo, di Venezia, di Varsavia, di Città del
Messico. Il resoconto critico di tali “raduni” verte, ovviamente, sulle opere presentate,
mentre subisce una sterzata significativa quando presi in esame non sono più i festival di
musica contemporanea ma gli enti organizzativi di manifestazioni musicali quali l’Arena
21
Importante rivista di cultura contemporanea dalla lunga e sofferta vita che prestò le sue colonne
anche a Pietro Grossi e Giuseppe Chiari.
22
Tutto è musica è stato un programma in 13 puntate condotto nel 1980 (e replicato nel 1981 e
1982) su RAI 2 nel palinsesto del Dipartimento Scuola Educazione. Regia di Aldo e Antonio
Vergine di cui Gelmetti musicò anche il film tv Il sogno di d’Alambert.
23 Il libro può essere ordinato direttamente alla casa editrice. Insieme ad esso vale la pena
leggersi l’articolo Esperienze in una scuola pubblica, in Trento Cinema. Incontri Internazionali con
la Musica per il Cinema, catalogo dell’omonima rassegna, Trento 1988, pp. 54-55. Si può tentare
di richiedere il catalogo al Servizio Attività Culturali della provincia Autonoma di Trento.
24
Laboratorio annuale sul tema: Musica, voce, immagine ed elettronica; progetto per Una serie di
lezioni sui rapporti fra arte visiva e musica nel secolo XX; programma di Musica per film per i corsi
di Fonica, Montaggio ed Animazione; progetto per un Corso di musica per film. Due di questi
progetti sono stati anche pubblicati: Vittorio Gelmetti. Due proposte, Verona Voce n° 9, aprile
1990, pag. 5.
10
di Verona. Qui non si parla di qualità d’esecuzione dell’orchestra o della bravura dei
singoli cantanti, si stigmatizza piuttosto il tipo di operazione culturale messa in atto. Cosa
che, almeno a livello affettivo, appare abbastanza singolare se indirizzata proprio
all’Arena, ovvero all’istituzione che ha rappresentato per Gelmetti il primo approccio al
mondo dei suoni e che gli ha lasciato un’eredità indimenticabile: Verdi, spesso presente
nei collages del compositore. D’altronde non è alla musica che ci si rivolge, ma all’uso
che se ne fa e al modo di presentarla, o meglio ancora, alla prassi consumistica di cui
capolavori musicali sono fatti oggetto:
[…] quell’Arena che con le sue orge annuali di Aida, sta anche trasformando piazza Bra in
un negozio di rigattiere con pezzi di orrende scenografie in permanenza installate intorno
all’Anfiteatro. Per chiudere il discorso non è inutile richiamare l’attenzione dei lettori sul
fatto che la ripetizione dello stesso programma ad infinitum porterà certamente ad una
saturazione tale da non consentire più di percepire i valori musicali di tali opere.25
Non che Gelmetti sia mai stato privo di forza polemica, ma lo spirito caustico e l’ironia
che spesso sfocia in sarcasmo sembrano essersi acutizzati negli ultimi anni di vita del
compositore. Basti leggere con che toni commenta una delle fin troppo numerose
esibizioni del trio tenorile Domingo, Carreras, Pavarotti coadiuvato dal “fedele” Zubin
Metha:
Se poi si preferisce spendere denaro per queste orgiacce piuttosto che per altro (realizzato
con un po’ più di serietà e rispetto di sé, degli altri e di ciò che si esegue) buon pro faccia
agli organizzatori, a caccia di consenso a basso profilo.26
Il quadro offerto da Gelmetti è estremamente lucido di una situazione musicale in cui non
sembra più utile discorrere di musica contemporanea (come 20 anni prima faceva su
Marcatrè), ma in cui è sentito assai più urgente denunciare, forse con disincantate
aspettative, il degrado senza freni che avvolge la diffusione della cultura oggi. Ed è uno
stato comune anche ai nostri giorni, al quale si giunge dopo decenni di perdurante declino
senza riuscire a trovare mezzi sufficientemente potenti per un’inversione di marcia.
Questo perché il potere economico delle grandi realtà vive del ed alimenta il consenso
pubblico, quello stesso consenso di cui Gelmetti (insieme a molti altri) ha avvertito il
25
Vittorio Gelmetti, Aida Aida, Verona Voce n°3, ottobre 1989, pag. 5.
11
pericolo, bollandolo come sclerotizzazione dell’ascolto al pari della sclerotizzazione
della scrittura che negli anni ’60 impediva, a suo dire, il calarsi di contenuti extramusicali
(nel caso politici) su una materia musicale in continua evoluzione. La memoria storica va
perdendosi quindi sotto la spinta coordinata di due forze complementari: la diseducazione
musicale perseguita con apparente accanimento dagli organi preposti all’istruzione e un
abuso eccessivo del repertorio classico (di cui un esempio è l’Aida menzionata sopra da
Gelmetti) che viene così espropriato della sua godibilità e profondità di pensiero. Di
fronte a tanto, l’esigenza didattica diretta ad una (ri)costruzione del tessuto culturale
musicale è quanto mai naturale e motivata. La “purezza” di Gelmetti è infatti anche
questo: la sua dedizione completa alla promulgazione vitalistica di iniziative volte alla
formazione di un pubblico detentore di uno spirito critico e di quel minimo di conoscenze
che gli permettano di svegliarsi dal torpore intellettivo. Per conservare la sua integrità di
pensiero ha dovuto e scelto di fare mondo a sé, osservando, senza dare troppo nell’occhio,
lo sgretolarsi di un terreno franoso quale quello su cui si sono mosse le “scuole”
d’avanguardia, fiduciose di poterlo ancora trattenere dal crollo definitivo. Ha preferito
piuttosto esserne testimone oculare attraverso la sua musica e le sue apparizioni critiche
che lo resero “noto, ma sospetto”27 solo per il fatto di non aver scelto di stare da alcuna
parte in un momento in cui schierarsi era quasi d’obbligo. Oggi, nella disgregazione
completa dei punti di riferimento, in un mondo dove ogni singolo individuo rappresenta
una corrente a sé stante, nessuno forse vi farebbe più caso e Gelmetti continuerebbe ad
assistere ad una evoluzione storica alla quale si era preparato da tempo. Col vantaggio di
aver evitato il duro contraccolpo della caduta delle certezze e di trovarsi, questa volta per
ragioni storiche e non più strettamente personali, comunque e sempre “fuori”:
un’individualità che “presente in numerosi festival […] occupa tuttavia un luogo
appartato, lontano dalle mode della musica”.28
26
Vittorio Gelmetti, Tre Gladiatenori a Caracalla, Verona Voce n° 11, giugno 1990, pag. 5.
L’articolo in realtà è a firma di Arnoldo Belmonte, pseudonimo di Gelmetti e traduzione italiana di
Arnold Schönberg.
27
Stefano Leoni, Addio a Gelmetti, il puro, cit.
28
Vittorio Gelmetti, Tutto è musica, cit., quarta di copertina.
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