16. Mutamento sociale, azione collettiva e movimenti sociali

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16. Mutamento sociale, azione collettiva e movimenti sociali
•
Il mutamento sociale consiste nel modificarsi limitato e parziale delle strutture sociali - la
forma estrema è la rivoluzione).
Wilbert Moore ha definito il mutamento sociale come “una significativa alterazione delle
strutture sociali”, dove per strutture sociali si intendono “i modelli di azione e di
interazione sociale”. Questa definizione ha il vantaggio di riguardare modelli osservabili
dell'agire sociale, come i mutamenti all'interno della famiglia o del lavoro; ma non presta
particolare attenzione a altri elementi culturali, come i valori, le norme e le credenze.
• Cause endogene del mutamento sociale possono essere:
◦ devianza sociale;
◦ contraddizioni strutturali (disuguaglianza sociale: tra i sessi, tra le etnie, tra le classi);
◦ conflitti interculturali (banlieu francesi: come disagio degli emigranti non integrati).
Questi conflitti sono quotidiani, poiché quotidianamente gli individui entrano in
relazione condividendo risorse non equamente distribuite oppure non utilizzabili
contemporaneamente. Il problema è quando si supera una certa “soglia”, oltre la quale
il conflitto si fa scontro aperto.
◦ incompatibilità di valori e norme (anomia);
• Cause esogene:
◦ guerra;
◦ la contaminazione culturale.
•
Si possono rintracciare due modelli di mutamento sociale:
◦ diffusione: contaminazione di caratteri culturali di un’altra società (il modello culturale
greco a Roma);
◦ adattamento: modifica del sistema in risposta a cambiamenti esterni (globalizzazione e i
mutamenti nel mercato del lavoro);
• Teorie sul mutamento sociale
Teoria di età industriale
Caratteristiche centrali dell'età industriale furono l'accentramento e la standardizzazione; al suo
apice, qualsiasi cosa era “di massa”, dalla produzione alla distruzione. In questo periodo fu
sviluppato il taylorismo e il fordismo. La struttura piramidale di potere nell'età industriale
era efficientissima nello sformare enormi quantità di prodotti standardizzati. Un lato
negativo era l'assoluta uguaglianza dei prodotti. Anche tante forme di cultura e di
intrattenimento furono standardizzate per essere vendute sul mercato di massa. I sociologi
della Scuola di Francoforte furono fieri critici dell'”industria culturale” capitalistica,
accusata di sfornare cultura standardizzata per le masse.
La spinta della concorrenza indusse poi i grandi produttori di beni standardizzati a cercare di
differenziare i loro prodotti per soddisfare o creare gusti diversi.
La sociologia delle origini – più nella forma della filosofia sociale – ha cercato di individuare le
“leggi del mutamento” (siamo in pieno Illuminismo-Positivismo). Costoro erano ben
consapevoli della problematicità dell'impatto dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione
sulla vita sociale; furono testimoni di sollevazioni e rivolte nella loro società e cominciarono
a ricevere le prime dettagliate notizie sulle società tribali e di clan, le cosiddette “società
primitive”.
Le prime teorie sociologiche del mutamento sociale immaginarono stadi di sviluppo sociale su
lunghi periodi di tempo e riguardanti società o addirittura civiltà intere. Erano quindi teorie
dello sviluppo macrosociali, storiche, dominate dal motivo della modernizzazione e del
progresso.
Le teorie evoluzionistiche considerano il mutamento sociale come qualcosa che avanza
gradualmente attraverso certe fasi di sviluppo, come dalla “società militare” alla “societ
à industriale”, e dalle forme agricole semplici a quelle industriali-urbane più complesse.
Furono sviluppate nel XIX secolo da pensatori che per primi cominciarono a chiamarsi
sociologi, come Comte, Spencer, Durkheim. A metà del XX secolo, certi aspetti di questa
teoria evoluzionistica si potevano ancora leggere nel funzionalismo, che considerava il
mutamento sociale come l'adattamento di un sistema sociale al suo ambiente attraverso la
differenziazione (specializzazione della parti) e una crescente complessità strutturale
(Parsons). Per esempio, la famiglia perse alcune sue funzioni, che furono assunte da
istituzioni come l'istruzione e l'economia.
◦
◦
Giambattista Vico: “le tre età della storia umana”: l’età degli dei (dominata da
potenze divine), l’età degli eroi (dominata da uomini storici eccezionali, forti e astuti
– leoni e volpi) e l’età degli uomini (quella presente, comunque nell’alveo della
provvidenza divina);
Auguste Comte: “legge dei 3 stadi”, teologico (si spiega ricorrendo all’animismo o alle
divinità); metafisico (ibrido, in cui la realtà è spiegata ricorrendo a principi astratti, alle
facoltà individuali) e scientifico-positivo (in cui la realtà è provata tramite i dati
osservativi).
Al contrario, le teorie del cambiamento rivoluzionario, come quelle che derivano dal pensiero
marxista, sottolineano il crescente conflitto tra le differenti arti sociali. La teoria marxista
del cambiamento rivoluzionario induce a metafore come quella dell'improvvisa e a volte
violenta uscita del neonato dal ventre materno, dopo un faticoso travaglio.
◦
Karl Marx: il capitalismo – che nasce dalle contraddizioni del feudalesimo e,
dialetticamente, lo supera – è edificato sulla proprietà dei mezzi di produzione
(fabbriche, macchinari-tecnologia, terra, materie prime, ecc.), che separa coloro che li
posseggono, i capitalisti (che perciò sono in una posizione di forza e di potere) da coloro
che sono proprietari della loro sola forza-lavoro, e che hanno come unica ricchezza la
prole (proletari).
Il mutamento sociale può essere solo rivoluzionario, passando attraverso l’esplosione delle
contraddizioni insite nel sistema, che porterà, dialetticamente, attraverso la “dittatura
del proletariato” alla “società senza classi”.
Per Marx, ciò che definisce il capitalismo non è la fabbrica, né la tecnologia, ma i rapporti
sociali di produzione, ovvero le relazioni tra i gruppi sociali dei lavoratori e dei
proprietari dei mezzi di produzione. L'impiego di tecnologia industrializzata nell'età
postindustriale non cambia la sostanza del rapporto tra operai e proprietari capitalisti.
Queste teorie dello sviluppo onnicomprensive, chiamate anche metanarrative, cominciarono ad
essere oggetto di serie critiche nella seconda metà del XX secolo. Sembravano voler
spiegare fin troppo, nella loro presunzione di scoprire un modello di sviluppo universale.
◦
Max Weber criticherà le filosofie della storia e sottolineerà il carattere storicamente
determinato di ogni forma sociale. Per lui il mutamento della società industriale si fonda
sul processo di“razionalizzazione”. Questo processo comporta la sostituzione dei lavori
e delle istituzioni tradizionali con quelli basati sul principio del calcolo razionale
riguardo i mezzi più efficaci per conseguire obiettivi concreti. La razionalizzazione si
esprime nelle forme dell’economia di mercato capitalista, il campo in cui opera la
razionalità formale, tecnica e lucrativa della domanda e dell'offerto, e della burocrazia,
che funziona con regole esplicite, standardizzate ed omogenee. L'amministrazione
burocratica dello stato è per Weber l'epitome del processo di razionalizzazione al cuore
della modernità. L'emergere delle forme contemporanee di tecnologia dell'informazione
e delle comunicazioni non rappresenta dunque nell'ottica weberiana un mutamento
rivoluzionario della società ma semplicemente l'estensione della razionalizzazione e
della burocratizzazione. .
Sebbene anch'egli parlasse di cambiamenti nel lungo periodo analoghi a quelli degli altri
teorici, metteva però l'accento sul carattere storico, cioè limitato e specifico delle forme
sociali, come nel caso del capitalismo occidentale e della forma di organizzazione
burocratica moderna. Questo modo risultò più congeniale ai sociologi della seconda
metà del XX secolo, i quali preferirono teorie di medio raggio.
◦
Merton, come Weber, giungerà a criticare le testi struttural-funzionaliste affermando la
necessità di rifiutare teorie macro onnicomprensive, a vantaggio di teorie di medio
raggio.
Teorie contemporane e
La cultura di massa non è scomparsa con l'avvento della società dell'informazione, ma insieme
si stanno creando nicchie demassificate. L'età dell'informazione ha significato un forte
incremento del numero e della varietà delle stazioni radio. Negli ultimi tempi, però, questa
tendenza alla diversità del contenuto radiofonico sta forse iniziando a invertire la sua
tendenza. Poche gigantesche aziende mediatiche posseggono centinaia di emittenti radio.
I mutamento occorsi nell'economia e nella cultura dei paesi occidentali, dalla massificazione
standardizzazione della società industriale alla differenziazione così apparentemente
caratteristica della società dell'informazione, non sono poi così netti e definitivi. Alcuni
aspetti del vecchio ordine persistono a fianco di quelli del nuovo, suggerendo che l'attuale
sia un periodo di transizione.
V erso la fine del XX secolo le teorie del mutamento storico, macrosociale, tornarono in auge,
con riferimento al passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, o società
dell'informazione, e dalla modernità alla postmodernità. Queste nuove teorie hanno dovuto
fare i conti con la richiesta di specificare i criteri usati per poter essere poi giudicate in base
ad essi.
Alcuni analisti contemporanei riecheggiano i loro precursori ottocenteschi nel presentare un
quadro che è un mix di sviluppi a lungo termine e di cambiamento rivoluzionario. Un
esempio tipico è quello di Alvin Toffler.
◦
Toffler presenta un modello di sviluppo sociale a stadi, ispirato a quello di Comte e di
Spencer, la cui premessa è che la storia umana può essere descritta come aderente a un
modello.
▪ Prima ondata di trasformazione: circa 10.000 anni fa iniziò l'età agricola, e il suo
significato sociale fu che la popolazione dismise nomadismo e caccia e cominciò a
raggrupparsi in villaggi stanziale e a coltivare la terra. La ricchezza era la terra.
▪ Seconda ondata di trasformazione: l'età industriale, basata sulla potenza meccanica.
Iniziò nel XVIII secolo quando iniziò il processo di urbanizzazione, e culminò nella
seconda guerra mondiale. La ricchezza di diversificò nei tre fattori di produzione:
terra, lavoro e capitale.
▪ Terza ondata: l'età dell'informazione, che caratterizzata la nostra epoca. Basata sul
cervello piuttosto che sui muscoli, potentemente guidata dalla tecnologia informatica.
La ricchezza dipende sempre più dal binomio sapere/informazione.
◦
Daniel Bell (1973) divide la società in tre sfere: struttura sociale, struttura politica (lo
stato e le istituzioni politiche), struttura culturale. L'avvento della società postindustriale,
secondo Bell, comporta anzitutto mutamenti nella struttura sociale, in particolare
nell'economia ed in aree come lavoro, scienza, tecnologia.
I principali mutamenti nella transizione da società industriale a società postindustriale per
Bell sono:
▪ predominio della produzione di servizi rispetto a quello della produzione di merci;
▪ perdita di rilievo delle occupazioni manuali rispetto alle professioni intellettuali;
▪ predominio del sapere teorico su quello pratico;
▪ sviluppo di tecniche decisionali fondate sulla cibernetica, i mezzi di comunicazione,
la teoria dei giochi, la statistica delle probabilità;
Si può dire che Bell sia riuscito a prevedere alcuni degli sviluppi che portarono poi i
sociologi a parlare di società dell'informazione. Inoltre, va riconosciuto che Bell non
affermò che la società avesse già realizzato una trasformazione rivoluzionaria; piuttosto,
disse che era in una fase di transizione, in cui elementi della società preindustriale e di
quella industriale coesistevano con elementi della società postindustriale. Tali elementi
rimangono tuttora in conflitto o in contraddizione.
Nella successiva pubblicazione, Le contraddizioni culturali del capitalismo, Bell torna sul
tema delle contraddizione, e decide di rivolgere la sua attenzione dai mutamenti
strutturali ai mutamenti culturali. Il libro si basa sull'idea che i tre ambiti focali siano
governati da principi in contrasto tra loro: per l'economia, si tratta dell'efficienza; per la
politica, dell'uguaglianza; per la cultura, dell'autogratificazione. Bell si concentra sul
conflitto tra l'ambito sociale, ancora dominato dai vecchi tratti di autocontrollo,
moderazione e gratificazione differita, e quello culturale, caratterizzato dall'edonismo.
Il sociologo paventa l'emergere di una cultura postmoderna basata sul consumismo,
«riguardante il gioco, lo svago, l'apparire e il godere», in cui predominano la cultura
visuale, la presenza di non razionalità e irrazionalità, il venir meno della distinzione fra
alta e bassa cultura, la perdita di significato della coerenza individuale;
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Per Ulrich Beck si affermano la società del rischio e la globalizzazione. Con società del
rischio (1986) si intende il fatto che, mentre nella società industriale il rischio era
naturale (la malattia, l’epidemia, l’alluvione, la frana) e l’obiettivo era liberarsi dalla
povertà, nella contemporaneità il rischio è prodotto dalle innovazioni tecnologiche per
il progresso di cui, però, ignoriamo le conseguenze. Questi rischi sono invisibili (chimici,
biologici, nucleari); sono planetari (riguardano tutti, ricchi e poveri) ma nessuno,
nemmeno la scienza, è in grado di darci risposte: una volta identificato il pericolo, la
scienza può dirci qual è la sostanza pericolosa, ma non può rendercene immuni. Si
produce un effetto boomerang (verso chi produce rischi) e nasce il business del rischio
(movimenti per l’ambiente, prodotti biologici, sostanze igienizzanti etc.) per cui la
società del rischio si nutre dei rischi che produce;
La Globalizzazione (1997) comporta il predominio dell'economia su ogni altra
dimensione: essa agisce in maniera globale e sgretola i fondamenti dell'economia
nazionale e degli Stati-nazione. Essa sollecita un depotenziamento della politica
nazional-statale, si tratta di smantellare le competenze e l'apparato dello Stato, cioè di
realizzare l'utopia anarchico-mercantile dello Stato minimale.
La Globalizzazione comporta:
▪ esportazione dei posti di lavoro;
▪ destrutturazione e delocalizzazione della produzione;
▪ uso delle condizioni ambientali (norme del lavoro, situazioni di governo, forza dei
sindacati, presenza di materie prime, energia e forze lavoro) più favorevoli;
▪ uso delle condizioni economiche più vantaggiose (regimi fiscali, tassi di interesse,
sistemi bancari).
◦
Con la globalizzazione si infrange l'alleanza storica tra Economia di mercato, Stato
sociale e Democrazia, che finora ha integrato e legittimato il progetto della modernità,
basato sullo Stato-nazione.
◦
Per Manuel Castells (1996) assistiamo alla nascita della Società in Rete. È in atto un
passaggio conflittuale dalla società industriale alla società "dell’informazione",
caratterizzata dal ruolo strategico della conoscenza e della capacità simbolica umana di
produrre ricchezza. È una società dove predomina la rete comunicativa, che supera le
frontiere e rende il mondo un’unica realtà.
Il "capitalismo informazionale" mantiene la pervasiva ricerca del profitto sempre rinnovato,
avviando una globalizzazione della produzione, della circolazione e dei mercati alla
ricerca, in ogni luogo, delle condizioni più vantaggiose per la realizzazione dei profitti,
assicurandosi, al contempo, l'appoggio dello Stato per aumentare la produttività e la
competitività delle economie nazionali, spesso a scapito della protezione sociale e delle
regolamentazioni di interesse pubblico.
• Mutamento e movimenti
Il mutamento sociale è legato all’emergere di “attori sociali” quali i movimenti collettivi che,
con la loro azione, più o meno consapevole e mirata, riescono a produrre cambiamenti
epocali.
Mario Diani definisce il movimento sociale come “una rete di interazioni informali tra una
pluralità di individui, gruppi e/o organizzazioni, impegnati in un conflitto politico o
culturale, sulla base di un'identità collettiva condivisa”.
Castells classifica 3 tipi di movimenti:
◦ movimenti ed identità legittimanti, che è tipico delle istituzioni dominanti della società
(chiese, sindacati, partiti politici, cooperative e associazioni civiche), la cosiddetta
società civile, che sta fuori dagli organismi dello Stato ma ha legittimo accesso al potere
statale. Per Castells, è difficile che tali movimenti ed identità possono portare a
sostanziali trasformazioni nella società dell'informazione attraverso l'azione statale,
perché lo stato stesso risulta indebolito dalla globalizzazione. Il suo potere viene roso
anche dal declino del welfare state burocratico, che crebbe nelle società industriali ma
non è altrettanto saldamente radicato nella società dell'informazione. L'influenza del
movimento operai si è indebolita e si sta assistendo a una maggiore erogazione privata di
benefici sociali.
◦ Movimenti ed identità resistenziali . Le più familiari sono quelle basate su
fondamentalismo religioso, razza ed etnia, cultura omosessuale e altri gruppi esclusi:
vale a dire prodotti di alienazione e risentimento nei confronti delle istituzioni e delle
ideologie dominanti nella società. Sono «formazioni socioculturali difensive» nate come
opposizione nei confronti delle istituzioni e delle ideologie dominanti nella società. Per
Castells è pessimista sull'idea che questi movimenti siano in grado di produrre
mutamenti istituzionali, perché è convinto che abbiano una scarsa influenza nei centri di
potere statale.
◦ Movimenti ed identità progettuali. Un'identità progettuale è formata «quando gli attori
sociali, quali che siano i materiali culturali a loro disposizione, costruiscono una nuova
identità che ridefinisce la loro posizione nella società e, così facendo, cercano di
trasformare la struttura sociale nel suo complesso» (i movimenti ambientalista o
femminista). Contrariamente ai movimenti di resistenza, i movimenti di progetto vanno
oltre la tematica dell'esclusione, cercando di trasformare le istituzioni esistenti o di
costruirne di nuove. Per Castells, alcune comunità religiose posseggono un potenziale di
trasformazione grazie ai loro sforzi finalizzati a “rimoralizzare la società, ripristinare
valori divini ed abbracciare il mondo intero in una comunità di credenti, fondando così
una nuova società”.
In origine, l'analisi dei movimento sociali era inclusa nello studio di quell'ampio arco di
fenomeni che vanno sotto il nome di “comportamento collettivo”. Neil Smelser definisce il
comportamento collettivo come “mobilitazione sulla base di una credenza che ridefinisce
l'azione sociale”. Esistono condizioni che permettono o incoraggiano la manifestazione di
un comportamento collettivo, e, secondo Smelser, questo matura in una sorta di
progressione cumulativa come processo di valore aggiunto.
Tra le teorie che spiegano l’affermarsi dei movimenti ricordiamo la teoria della mobilitazione
delle risorse e la teoria dei nuovi movimenti sociali.
◦ Per la teoria della mobilitazione delle risorse, sviluppata da John McCarthy e Mayer
Zald, i movimenti sociali hanno bisogno di risorse: denaro, volontari, conoscenze, ecc.
Più risorse riescono a mettere in campo, più successo avranno. Insomma, il principale
compito di un movimento sociale, è di agire razionalmente al fine di incrementare il suo
bacino di risorse disponibili. Questo può essere fatto persuadendo i singoli individui a
impegnarsi come attivisti e a mettere a disposizione parte delle loro risorse. La teoria
della mobilitazione delle risorse ritiene che i movimenti sociali e i singoli individui si
muovano sempre su una base razionale e facciano scelte di tipo razionale. Si tratta
quindi di una forma di teoria della scelta razionale, per la quale, “agendo
razionalmente, un attore si impegna in una sorta di ottimizzazione”.
Il problema maggiore di questa teoria è che tende a ridurre tutta l'analisi sociologica a una
forma di analisi economica. Di conseguenza, essa ha poco da dirci sulla cultura di
movimenti specifici, sui tipi di simboli o stili che questi adottano o sui significati che vi
attribuiscono.
◦
La teoria dei nuovi movimenti sociali, di cui Alberto Melucci fu importante esponente.
rifiuta il riduzionismo razionalistico ed economicistico della precedente, rivendicando
un maggiore interesse all'analisi della cultura e del significato dei movimenti sociali.
infatti, i nuovi movimenti sociali sono spuntati nella società dell'informazione, e sono
impegnati in battaglie sull'informazione. Essi puntano al mutamento sociale tramite l’
azione comunicativa, che punta a influenzare il pubblico affinché veda le cose in
maniera diversa; dunque si tratta di battaglie culturali, combattute sui concetti-significati
(che cambiano), sulle interpretazione della realtà, sugli atteggiamenti, sui valori, sulle
norme e sulle identità. Per Melucci, caratteristiche chiave dei nuovi movimenti (nuovi
perché è nuova la forma della società in cui si sviluppano) sono le seguenti:
▪ Centralità dell'informazione;
▪ Azione come comunicazione;
▪ Dimensione globale;
▪ Latenza e visibilità.
La tesi finale di Melucci è che il successo o la sconfitta di movimento sociale andrebbero
giudicati non esclusivamente sulle conquiste “politiche” ma anche in termini di più
sottili risultati culturali. L'atto stesso di protestare dà alle persone la consapevolezza
delle strutture e degli squilibri di potere.
Per ottenere influenza, dovranno sfruttare i mass media e le modalità nelle quali questi
“inquadrano” o costruiscono socialmente le problematiche.
◦
Questo fenomeno ha indotto i sociologi a sviluppare una frame analysis dei movimenti
sociali, ispirandosi all'opera di Erving Goffman (1974).
La frame analysis propone forme interpretative che permettono agli individui e ai gruppi di
localizzare, recepire, identificare e classificare venti, quindi di precisare significati,
organizzare esperienze e condurre azioni. I sociologi che hanno usato questo metodo
sostengono che i movimento sociali hanno maggiori probabilità di successo nel
comunicare il loro messaggio quando riescono ad allinearlo con l'inquadramento dei
destinatari del messaggio (frame alignment), quando il loro messaggio è percepito in
modo da trasformare il frame esistente dei destinatari, quando la loro rappresentazione
scenica della polemica pubblica riesce ad attrarre simpatie ed attenzioni per i loro valori
e le loro convinzioni, attingendo ad aspetti simbolici della subcultura propria del
movimento e a quelli della cultura più generale.
• La globalizzazione
Per David Held, “la globalizzazione può essere pensata come l'ampliamento,
l'approfondimento e la velocizzazione dell'interconnessione mondiale in tutti gli aspetti della
vita sociale contemporanea, dal culturale al criminale, dal finanziario allo spirituale”.
◦ L'interconnessione non è però mondiale, ma solo tra certe nazioni del pianeta e
soprattutto tra paesi limitrofi;
◦ I flussi di punti connessi sono principalmente in un'unica direzione, o consistono in una
parte che domina l'altra;
◦ La ricerca di profitto porta al supersfruttamento delle risorse mondiali da parte delle
società economicamente più sviluppate.
Dunque, è probabilmente giusto dire che c'è un aumento della globalizzazione nel senso di
interconnessione mondiale su varie dimensioni: comunicazioni, transazioni finanziarie,
scambi, flussi culturali, problematiche ambientalistiche e così via. Ma queste connessioni
sono irregolari e sbilanciate nei loro effetti.
Siamo in una società nell'informazione nel senso che abbiamo accesso a una sempre maggiore
quantità di informazioni. Il problema, tuttavia, è che rischiamo il sovraccarico di
informazioni.
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