emergenze mediche - Digilander

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04.05.2005
IL DOLORE
Cosa succede quando si prova un dolore? Il dolore è un problema di emergenza?
Sempre? Quando? Dipende dalla sede del dolore? Dall’intensità? Certo, l’intensità
del dolore varia la sua connotazione, ma non basta… il dolore si divide in ACUTO e
CRONICO. Il primo è un sintomo, il secondo una patologia. Un dolore acuto può
dare una reazione vagale ed in quel caso è malattia.
Con quale sistema si genera il dolore? e con quale sistema lo riconosciamo?
Il dolore riferito è un qualche cosa che indica dello stesso dolore una patologia ben
localizzata.
Il dolore come sintomo è equivalente agli altri segni vitali (pressione arteriosa,
frequenza cardiaca) e con essi va sempre indicato nella cartella clinica del paziente.
Il dolore quando supera l’esistenza della noxa che l’ha generato diventa esso stesso
malattia, ciò perché o lo può superare nel tempo (dolore post-traumatico) o
nell’importanza. Il dolore come sintomo è importante ma come malattia lo è ancora
di più.
Com’è clinicamente? In termine di sottoclinico si divide in tre componenti:
 NOCICEZIONE;
 COGNIZIONE;
 COMPONENTE EMOTIVA.
Nessuno proverà mai un dolore senza avere una componente emotiva ed una
cognitiva. La componente cognitiva è anche la componente culturale di risposta al
dolore, per questo ad esempio in Italia abbiamo modi differenti di risposta al dolore.
La nocicezione è la sensazione associata con il danno tissutale ed è la sensazione che
porta alla percezione del dolore. La via nocicettiva trasmette il dolore fino alla
corteccia. Il vero dolore clinico è più espanso della nocicezione pura, inoltre se si
mantiene a delle intensità elevate si connota un altro effetto importante che è la
sofferenza. Poi in situazioni croniche ed intensità elevate c’è la risposta
comportamentale al dolore.
Esempio: Se ho una lombosciatalgia camminerò, mi muoverò in modo da provocare
meno il dolore, cambio le modalità del mio comportamento. Dunque le basi cliniche
per il dolore sono le componenti, la sua espressione clinica va dalla nocicezione pura,
dolore, alla sofferenza e all’alterazione del comportamento. L’incrocio delle tre
componenti da una maggiore cognizione della tipologia del dolore. Se è molto
importante la componente emotiva, darò delle espressioni del dolore differenti.
Il sistema nocicettivo come funziona? Come una noxa dalla periferia viene trasmessa
alla corteccia? Ci sono 2 vie, una a tre neuroni e una, la più vecchia, che consiste nel
sistema paleospinotalamico, multisinaptico.
Via a 3 neuroni: 1° neurone periferia; 2° neurone midollare; 3° neurone talamo;
corteccia.
Ci sono recettori periferici delle fibre A-DELTA, C, che hanno il nucleo cellulare nel
ganglio spinale poco prima dell’entrata nel midollo e terminano nella prima, seconda,
terza e quarta lamina midollare di Rexed. Hanno una prima stazione a questo livello
di integrazione della percezione nocicettiva poi proiettano il secondo neurone che si
decussa e va al talamo, ai nuclei talamici basali e centrali, poi proietta e va alla
corteccia. Il talamo è la stazione in cui questa sensazione, che fino ad ora non è
ancora riconosciuta, viene riconosciuta come dolore.
La seconda via, il fascio paleospinotalamico, ce l’hanno tutti gli animali, e si articola
così: il 1° neurone è al livello dei gangli, nel midollo nella quarta e quinta lamina di
Rexed o nella sostanza gelatinosa di Rolando c’è il 2° neurone che prende le prime
connessioni con il sistema reticolare ascendente e che proietta poi al sistema
neurovegetativo e ai nuclei talamici, da cui determina una risposta neuroendocrina
(talamo – ipotalamo – ipofisi). Inoltre proietta anche alle strutture limbiche
(componente emotiva) e alle aree corticali associative, determinando il
comportamento istintivo connesso con la percezione dei messaggi dolorosi.
Già a livello della prima stazione, che è quella midollare, c’è una prima reazione
dovuta al primo circuito del centro midollare che genera l’arco riflesso, grazie al
quale ad esempio se ci pungiamo allontaniamo la mano.
Se mettiamo insieme queste conoscenze, capiamo perché il dolore non è solo un
campanello d’allarme, ma un danno, per diversi motivi. La risposta neurovegetativa
non è sempre un vantaggio, perché provoca una tachicardia, un aumento della
pressione arteriosa. Se questa reazione serve, cioè se serve un aumento della
performance cardiaca è un discorso, però in un cardiopatico è diverso ed inoltre
anche in un soggetto sano se superano un certo livello possono provocare un danno
cardiaco, un danno respiratorio, un’ipertensione grave, un’emorragia cerebrale se non
sono delle reazioni che servono. Gli aspetti neurovegetativi sono fattori di rischio se
non controllati. Anche quando il dolore è asciutto e solo, non si può ammettere,
soprattutto per i fattori di rischio che porta, di lasciarlo intrattato.
Però la mia terapia antalgica non è mai indirizzata al zero dolore, il mio target non è
l’assenza totale di dolore, ma è la migliore qualità di vita.
Ma torniamo all’attivazione del talamo e del sistema talamo, ipotalamo ed ipofisi, a
cui segue un’attivazione della ghiandola surrenale con conseguente liberazione degli
ormoni che portano un evidente alterazione metabolica, ad un incremento del
catabolismo, quindi a situazioni che evidentemente superano l’area di difesa. Non
solo, l’attivazione del sistema nocicettivo, interferisce in senso generalizzato con il
sistema immunitario. In una situazione di un trauma vengono liberate
immediatamente le citochine pro-infiammatorie, controbilanciate da quelle antiinfiammatorie che attivano il sistema della nocicezione in periferia dove caricano le
treminazioni nervose di recettori oppiacei, che possono rispondere all’endorfina in
modo da fare un bilanciamento completo sul trauma. C’è un’interferenza che ha la
capacità di modulare, di gestire il dolore anche a livello centrale. Ovvio che ciò
interessa anche l’asse ipotalamo – ipofisi. Dunque gli aspetti clinici del dolore sono
estremamente complicati, tenendo presente l’aspetto nocicettivo puro, tutto il sistema
neuroendocrino, neurovegetativo, immunitario, ecc…
Il dolore post-operatorio va trattato perché il catabolismo che si ha in risposta
all’attivazione del sistema neurovegetativo e neuroendocrino, trattando il dolore,
viene limitato per cui, il paziente corre meno rischi nell’immediato post-operatorio,
non solo, guarisce dalle infezioni in un tempo più prolungato se non lo tratto, per via
dell’inibizione del sistema immunitario che ne deriva. Altra circostanza che ci
chiarisce il legame di interdipendenza tra il sistema immunitario ed il sistema
nocicettivo è: nel soggetto reumatico facendo un trattamento di immunosoppressione,
ottengo una riduzione del dolore. Quindi ottengo una riduzione del dolore, non solo
utilizzando un farmaco che agisce sulla nocicezione, ma somministrando un farmaco
che agisce sul sistema immunitario. Questi sono tutti fattori che richiedono, reali ed
esistenti le interferenze tra i sistemi. Il dolore clinicamente si divide in:
 ACUTO: dolore intenso a limitata estensione nel tempo.
 CRONICO: dolore che permane al di là di due mesi, tre mesi e tende a non
recedere anche con la terapia.
Purtroppo c’è un problema, il dolore acuto per intensità e problematiche, sulla prima
stazione midollare, modifica la memoria del dolore, superando il recettore cellulare
del secondo neurone. Cioè il dolore acuto in alcune situazioni è in grado di
determinare la sua permanenza, è in grado di cronicizzare, quindi il dolore acuto ha
un altro motivo per essere trattato ed è quello di non cronicizzare […]
A seconda della parte somatica o corporea il dolore si divide in:
 SOMATICO: è ben localizzato. Es. se mi pungo con l’ago il dolore è ben
localizzato, subito individuo il punto preciso in cui ho dolore. Se poi tolgo l’ago,
il dolore lo avverto in una zona più ampia, c’è un’iperalgesia secondaria. Dunque
è localizzato ed in genere acuto e poche volte a risposta neurovegetativa.
 VISCERALE: ha una mal localizzazione. Si intendono le due cavità, addominale
e toracica. Es. dolore da infiammazione pancreatica ha una sua tipologia ma non è
ben localizzato, prende delle zone. Si accompagna con grande frequenza a
risposte neurovegetative forti come nausea e vomito.
 NEUROLOGICO: per stimolazione di un tronco nervoso (compressione). Es.
sciatica.
 NEUROPATICO: quando c’è una lesione del tronco nervoso. Es. arto amputato,
l’arto non c’è, ma sento il dolore. Questo meccanismo avviene perché a livello
della prima stazione non c’è più una terminazione nervosa e stimoli che prima
non provocavano dolore adesso lo provocano. La nevralgia posterpetica è un altro
tipo di dolore neuropatico. Il virus ha danneggiato i neuroni, primo e secondo,
addirittura in alcune situazioni va a danneggiare anche i neuroni intermedi con la
stazione midollare. Quando c’è questo quadro neuropatico è sempre
accompagnato da due sintomi ben precisi: ALLODINIA (stimolazione che non è
di norma dolorosa ma che viene percepita come dolore). L’altra è IPERALGESIA
(utilizzo stimoli subliminari sotto soglia di dolore che vengono percepiti come
dolore). Quindi come vedete, alcuni aspetti clinici ci possono già differenziare le
tipologie di dolore.
 DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE: dolore psichiatrico, neurologicocentrale, dovuto ad una lesione neurologica-centrale. E’ una definizione molto
vaga non esattamente definibile perché non si riesce a risalire precisamente
all’origine.
Ormai per tutte le società scientifiche il dolore dev’essere segnato in cartella. Ma
come misuro il dolore, visto che le componenti sono così diverse in ognuno di noi,
per storia, per emotività? Non è possibile misurare il dolore oggettivamente. Esistono
sistemi soggettivi basati prevalentemente sull’intensità. I sistemi si dividono in:
 PLURIDIMENSIONALI, che modulano le varie componenti. Questa è la misura
più attendibile che mi mette in grado di decidere che intervento terapeutico
attuare.
 MONODIMENSIONALI, basati prevalentemente sull’intensità. Esistono scale
verbali di definizione, dell’intensità (0 dolore; lieve; moderato; intenso;
fortissimo). In realtà non ci sarà mai la stessa concezione per ogni paziente e le
differenze sono collegate alla storia, alla tipologia di quel corpo. E non solo, c’è
una problematica dimostrata secondo cui uno è portato più ad esagerare la
sensazione di dolore. Il passaggio per migliorare è stato quello di dire, togliamo
gli aggettivi e mettiamo i numeri (1,2,3,4,5), perché i numeri, sono equivalenti per
ogni lingua, perché forse, il mio forte in inglese non è proprio equivalente. Ma
anche qui purtroppo non si è del tutto obiettivi. Allora si è pensato di associare le
due scale. C’è stata poi un’evoluzione. Si usa una sbarra, che ha l’inizio che
rappresenta lo zero dolore ed una fine che è il massimo dolore sopportabile. Ma
anche questa è soggettiva perché dipende dai vari tipo di esperienze. Tutto questo
per dire che tutte le scale, numeriche, verbali, analogico-visive non danno mai la
misura precisa, assoluta del dolore. Si sono allora fatti i test multidimensionali.
Si è preso un certo numero di studenti e si è chiesto loro un certo numero di aggettivi
per definire il dolore. Di questi aggettivi si sono scelti quelli che erano presenti in
almeno un 75% di quel campione, sono stati presentati al paziente ed hanno ridotto
notevolmente il numero. Facendo l’analisi saltava fuori che alcuni aggettivi hanno
preponderante componente fisica (nocicettiva), altri emotiva, altri cognitiva – centrale
(raziocinando il dolore). In questa maniera si era trovato un test che se usato bene ci
dava una certa risposta sulle tre componenti del dolore. In questo modo si ha
un’indicazione sull’intensità ed una generale sulle componenti. Non solo, si faceva
poi scegliere il numero di parole e la tipologia. Alla lombosciatalgia apparteneva un
certo numero di parole ed un determinato raggruppamento, alla cefalea un altro.
Quindi come vedete, abbiamo conferme molto personali delle tipologie del dolore,
purtroppo però non è così preciso, allora per esplicare meglio le componenti vengono
utilizzati altri test:
 TEST DELL’ANSIA;
 TEST DELLA DEPRESSIONE.
Il dolore è un puzzle difficile da comporre. Inoltre ci sono i test di laboratorio.Per
valutare la soglia e la dolorabilità. Nel passaggio dal non dolore al dolore c’è la soglia
del dolore, il passaggio dal dolore alla sopportazione è la tolleranza. Questi due test
che teoricamente sembrerebbero biologicamente puri, nella realtà non sono
assolutamente puri, ma dipendono dal comportamento del singolo soggetto che si
sottopone ai test di soglia e di sopportazione. Perché se pensate, se uno va a fare il
test però sta pensando a qualcosa di negativo che provoca uno stress emotivo, la
soglia del dolore si abbassa. Cambia dunque a seconda dello stato emotivo del
soggetto. Neppure i test di laboratorio sono perciò in grado di dimostrare la capacità
di interpretazione clinica del dolore nei lavori.
Nei topi con schiacciamento della coda si sta valutando principalmente il sistema
paleo-spino-talamico.
Abbiamo quindi parlato alla fin fine di alcuni modi di misurare il dolore e di aspetti
clinici del dolore. Poi abbiamo detto che è importantissimo prevenire finché possibile
la cronicizzazione del dolore. Gli ambiti sono:
 CRONICO BENIGNO;
 CRONICO NEOPLASTICO.
Il problema è anche di come vada seguito il paziente. Cure palliative in cui il dolore
è l’85% le metto prima di un’ipotesi di trattamento perché il trattamento del dolore
influenza il trattamento della patologia.
Il trattamento antalgico si divide in TERRITORIALE e OSPEDALIERO. Si stanno
allora organizzando, sebbene siano ancora agli inizi, dei comitati ospedalieri senza
dolore. Da un’analisi fatta in questi ultimi mesi al Policlinico di Modena risulta che il
50% dei pazienti dell’ospedale hanno dolore, ed è un policlinico universitario,
sensibilizzato dunque a questo problema. Il sistema sanitario dovrebbe usare un
sistema organizzato del trattamento del dolore intraospedaliero e territoriale, perché
altrimenti non si è in grado di controllare il dolore anche perché, essendo diverso il
gioco delle componenti dentro l’ospedale e fuori da questo, pensare di dire faccio
solo quel trattamento non ha senso, perché cambia a seconda del gioco di vari fattori.
Se la mia descrizione è razionale, quale sistema razionale di trattamento ho?
Conoscendo qual è il sistema e quali sono le interferenze si parla allora solo del
sistema nocicettivo: uso farmaci che agiscono sui recettori periferici,
antinfiammatori. Se parlo della trasmissione dalla periferia fino alla prima stazione
midollare, anestetici locali […] Ancora in questa fase del 1° neurone siccome è
dimostrato che si generano e non solo recettori oppiacei, si usano gli oppioidi. Poi dal
2° neurone in su sono presenti su tutto l’asse neuronale recettori oppiacei, usiamo gli
analgesici maggiori. Poi se vado su trovo i componenti aggiuntivi dell’emotività e
cognizione, userò farmaci ansiolitici, antidepressivi. Poi se la mia componente è
anche una lesione del sistema nocicettivo che genera degli spike i farmaci saranno
antiepilettici (carbamazepine).
Ho una razionalità di utilizzo dei farmaci fino a tecniche anche invasive, vie
alternative di somministrazione di farmaci, se la situazione ancora non migliora
potrei decidere di dare io delle lesioni al sistema nocicettivo: NEUROLISI,
periferiche e centrali.
Comunque è importantissimo trattare il dolore. Evitare che una nevralgia trigeminale
divenga cronica. Il dolore è un’emergenza che dev’essere subito trattata.
2^ LEZIONE
Storia clinica.
Circa 18 mesi fa arriva un paziente. Fuma 10 sigarette al giorno, ha uno stile di vita
regolare, non v’è niente nell’anamnesi familiare. Nell’anamnesi patologica remota
risulta essere stato operato di appendicectomia a 20 anni ed aver avuto degli episodi
di coliche renali a 15 anni. A 21 anni ha avuto una frattura…
Il paziente viene a causa di cambiamenti nelle abitudini dell’alvo. Aveva stipsi più
evidente rispetto a quella che lui riteneva una normalità ed il suo medico, che è stato
molto accurato, gli ha fatto fare una colonscopìa, seguendo una regola generale che
dice che se viene un uomo di circa 50 anni che lamenta cambio nelle abitudini
dell’alvo, non perdete tempo per la colonscopia. Concetto legato alla prevenzione di
neoplasie, colon-retto. Però, fare la colonscopia a tutti, paziente con più di 60 anni,
diviene assai complicato, allora si fa per familiarità.
Il sangue occulto è un’altra sintomatologia che porta a fare la colonscopia.
Questo paziente che già aveva fatto una colonscopia in cui erano stati tolti due
polipetti del colon trasverso e discendente arriva dal medico con dei dolori
addominali maggiori al quadrante inferiore di destra che duravano alcune ore e poi
passavano. La prima volta si diede la colpa ad un disordine alimentare, la seconda ad
un’infezione virale, la terza all’aderenza dovuta alla precedente appendicectomia. Ma
noi avevamo presente che due anni fa aveva fatto una colonscopia. Tutti questi
discorsi venivano fatti perché i medici avevano presente questo dato. Poi il paziente
torna a casa e dopo una settimana torna con lo stesso problema e con vomito. Allora
cominciano i problemi, si fanno tutte le indagini, VES, globuli bianchi... Ad un certo
punto ci si chiede: che non abbia una malattia infiammatoria? Che non abbia un
morbo di Crohn? Cronica intestinale? Però ha fatto la colonscopia due anni fa ed ogni
anno fa dei controlli… Quest’altalena è andata avanti per un po di tempo finchè non è
tornato una volta con dolori più forti e l’addome molto meteorico trattabile con
vomito, ed è stata eseguita una lastra dell’addome, lastra che per essere valida deve
essere fatta in orto e clinostatismo.
In clino, ci sono in sede centrale dell’addome delle anse ileali molto distese ripiene di
gas, quella sulla destra ha poi un aspetto simile a pile di piatti che è la trazione
radiologica dell’edema delle mucose tipico di anse ematose. Poi tra ansa e ansa si
vede anche uno spazio vuoto, tra parete e parete, che può essere interpretato come gas
nel colon e forse nel retto. Questo significa che c’è un’occlusione nel tratto ileale.
Vediamo poi in ortostatismo: nelle anse intestinali non si osservano molti livelli
idroaerei. Nell’intestino si raccoglie liquido e gas. Allora si vede l’occlusione ileale
verosimilmente dei tratti distali dell’intestino tenue. Ci sta con l’anamnesi? Sì. Le
cose diventano più complicate perché un paziente così diviene acuto e va
ospedalizzato con adeguato apporto idrico e idrolitico e si ipotizza un intervento
chirurgico, perché se la situazione non si risolve o non migliora nel giro di 8 – 12 ore,
da una parte c’è il malato che richiede un intervento d’emergenza, quando ci sono i
segni clinici di una sofferenza dell’ansa (torsione, strozzamento di un’ernia,
occlusione intestinale con ischemia che evolve in peritonite). Dall’altro un paziente
con addome trattabile, paziente che non ha grossi dolori, ma vomita, l’alvo è chiuso.
Possiamo attendere delle ore e tenere la situazione sotto controllo, però è una
situazione da risolvere. In questo caso non ci sono segni di peritonite, non ci sono
crisi dolorose, non c’è aumento di globuli bianchi, c’è la documentazione di un
ostacolo al transito ileale. Abbiamo ancora il tempo di fare qualcosa in più e quando
abbiamo un’occlusione della parte terminale dell’ileo ci interessa sempre accertare
che tutto il colon, compresa l’ultima ansa ileale della valvola ileo-cecale, non abbia
una patologia. Noi in condizioni acute di emergenza possiamo fare un CLISMA
OPACO. Perché abbiamo scelto questo esame? Non è opportuno un esame per OS se
c’è un’occlusione con vomito è difficile che il paziente beva un bicchiere con mezzo
di contrasto. Se il paziente ha delle crisi noi possiamo avere un dato qualitativo di
giudizio. Es. se il paziente ha un’occlusione ileale pensiamo che questa occlusione sia
in via di risoluzione, pensiamo ad una sindrome aderenziale, perché ha avuto tanti
interventi. Bene, il paziente sta meglio non ha vomito, dolori, allora stasera possiamo
dargli un po di mezzo di contrasto. L’indomani mattina facciamo una lastra, se
vediamo che il mezzo di contrasto ha raggiunto il fondo, vuol dire che il transito sta
riprendendo, ma è un’analisi qualitativa, non ci dice né come, né dove, né perché si è
stabilita una condizione di occlusione o subocclusione. Noi abbiamo scelto un’altra
via perché un’occlusione ileale c’è, allora andiamo a vedere che non ci sia qualcosa
alla valvola ileocecale, l’ultima ansa. Un esame che si può fare in condizioni di
urgenza senza indurre dei danni al paziente è il clisma opaco (diapositiva). Questo ci
fa vedere a colpo d’occhio che il colon per ragioni di variabilità anatomica è un po
lungo e ripiegato su se stesso. Il radiologo ha sciolto questa matassa e ci ha fatto
vedere che il colon discendente si ripiega su se stesso e diventa cieco nella parte più
alta e distale c’è una zona dove il transito è ridotto ad un filo (torsolo di mela). E nei
radiogrammi successivi vi è il medesimo restringimento. Questa è l’immagine di un
CARCINOMA STENOSANTE della parte craniale del cieco ascendente. Per noi è
stato un po una doccia fredda, perché tutta la nostra diagnostica era basata su un dato:
ma la colonscopia era normale! Cos’era successo? Il tecnico che aveva eseguito la
colonscopia non era arrivato fino a quel punto!!!
Quando si fa la colonscopia deve essere totale, se non si riesce a superare un punto lo
si deve scrivere nel referto. Se non si dice, deve arrivare in fondo ed il fondo lo
raggiunge quando vede la valvola ileo-cecale.
Endoscopista dolicocolon ascendente ha superato la fessura e si è fermato alla
“piegatura” escludendo 30 cm di colon all’esame endoscopico.
C’erano dei polipi sentinella di qualcosa di molto più importante che non si vedeva
alla colonscopia. Con che meccanismo questa neoplasia aveva determinato nel giro di
un annetto questa neoplasia? Qual è la sintomatologia di un occlusione ileale bassa?
SINTOMI:
vomito
digiuno  occlusione alta
dolori addominali  occlusione media
distensione dell’addome
alvo tende a chiudersi
 occlusione bassa
Sono variamente mescolati, son sono mai soli. La patologia era 30 cm dopo la
valvola ileo-cecale, nel colon ascendente perché si dilatava l’ileo. Questa è una
stenosi organica del colon ascendente. Nelle occlusioni del colon si possono
verificare due condizioni: si stringe il colon ascendente; si stringe il colon trasverso.
L’ileo continua la propria peristalsi e spinge il contenuto nel cieco. La valvola ileocecale è costruita in modo che lascia passare il contenuto dall’ileo al colon. Sicchè
con colon trasverso chiuso, peristalsi dell’ileo, continenza della valvola, può avvenire
che il colon destro si dilati e la tensione, per la legge di Gay-Lussac, è in rapporto al
diametro del cieco e il diametro del cieco è molto più grande, il cieco ha una tensione
maggiore e rischia la perforazione. Si dilata e i vasi della parete del colon diventano
ischemici perforazione diastasica del cieco da neoplasia stenosante del colon
trasverso. Non c’è stata perforazione altrimenti si sarebbe unito il quadro di
peritonite.
2° caso: neoplasia stenosante dell’ascendente. Ad un certo punto la valvola ileo –
cecale diventa incontinente ed allora la condizione di ipertensione del colon a monte
del dolore si ripercuote sull’intestino tenue. La valvola si allarga, il tenue riesce a
spingere il proprio contenuto nel cieco che allora si dilata, si ha un’emiocclusione
ileale che si sovrappone e supera quella colica. Aveva occlusione da incompetenza
della valvola ileo-cecale. Come risolvere l’occlusione? Cosa si può fare? Idratazione,
aspirazione naso-gastrica. Intervento chirurgico che ha come obiettivo la risoluzione
dell’occlusione. Dopo si ha liquido per trasudanza di anse molto tese. C’è una
neoplasia molto limitata ad un organo. Come intervenire?
 Stomia a monte;
 Intervento radicale di emicolectomia dx per asportare il tumore e poi, se le
condizioni lo permettono, si può creare un’anastomosi tra penultima ansa aleale e
colon trasverso, per poi asportare colon dx con linfonodi. Se il fisico non permette
o non è consigliato quest’intervento, si può fare ileostomia, colonstomia e dopo
qualche mese ripristinare la continuità intestinale.
Emicolectomia destra con anastomosi ileo colon trasverso.
E’ un caso un po strano, però ne ricordo altri due analoghi in cui la colonscopia non
aveva visto nulla forse perché eseguita in condizioni non perfette di tumori del colon
stenosanti.
Ventaglio delle possibilità dell’occlusione. Avete visto un caso di neoplasia
stenosante del colon destro, in realtà più comune del colon sx per motivi della
biologia del carcinoma infiltrante?
Nel colon destro è frequente il tumore vegetante che da microemorragie. Oggi i
tumori del colon dx o sx comportano alterazioni dell’alvo. Emorragia macroscopica.
Massa palpabile. Vengono riuniti in un grande insieme.
Lastra 1. In clinostatismo. Con occlusione ileale da briglia in donna che aveva subito
appendicectomia con peritonite. Si vedono anse dilatate con le pliche a pila di piatti.
Lastra 2. Tumore del digiuno in cui il paziente aveva delle crisi di occlusione ileale
con vomito, dolori e poi subito passava.
L’esame è stato fatto cogliendo il momento in cui la paziente non aveva il vomito, si
vede in alto lo stomaco, il duadeno, il Treitz e 20 cm sotto la valvola del Traits un
falso step. Corrispondeva ad un tumore maligno primitivo del digiuno, da mettere in
relazione a quel caso di adenocarcinoma del digiuno distale in una paziente donna
giovane. Quando la neoplasia si invaginava sembrava un occlusione, quando si
svaginava passava. Viene fatto un esame radiologico con mezzo di contrasto.
Lastra 3. Un nonnino che da una casa di riposo arriva in ospedale. Prendeva 8 –9 –10
pillole al dì. Quando andava a letto aveva dolori. In ospedale la lastra mostrava i
livelli ileali ma per 4 gg al mattino stava bene ma la notte vomitava. Poi al 5° giorno
quando vomita sia la notte che il mattino “decidiamo di andare a vedere”, facciamo la
laparotomia, scorriamo l’intestino tenue, ad un certo momento, a 20 – 30 cm dalla
valvola ileo-cecale, 2-3 ^ ansa digiunale, sentiamo qualcosa, ma cos’è? Facciamo una
piccola incisione ed all’esterno dell’intestino estraiamo il coperchio del contenitore di
plastica del diametro di 5 cm corrispondente al contenitore delle pillole. Era successo
così, il nonno la sera prima aveva ingerito le sue pillole insieme al coperchino di
plastica che si era incuneato nell’intestino; quando si metteva in senso trasversale
chiudeva, quando si girava, liberava il passaggio. Ha fatto così per circa 5 gg.
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