"Percorsi di cittadinanza" - settembre 2003 rubrica “Strumenti di

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Recensione tratta da Aut&aut, inserto "Percorsi di cittadinanza" - 2003
rubrica “Strumenti di lavoro” a cura di Giuseppe Faso
AA.VV., "Multiculturalismo e intercultura", a cura di Francesca Gobbo, ed. Imprimitur, Padova
2003, pp.218, euro 14
Di Francesca Gobbo abbiamo recensito in questa rubrica due anni fa l'ottimo "Pedagogia interculturale.
Il progetto educativo nelle società complesse", edito da Carocci; ci convinceva particolarmente, in un
momento di insoddisfazione per le troppe pubblicazioni sull'intercultura, la capacità di andare oltre la
retorica delle diversità, la cui celebrazione rituale è sempre più ineffettuale, e di riflettere su di essa,
situandola nell'orizzonte di una società complessa, cui la scuola della tradizione occidentale giunge del
tutto impreparata. La pubblicazione che abbiamo oggi davanti (che è la terza di una serie cominciata nel
1997 con ""Cultura intercultura" e proseguita due anni dopo con "La quotidiana diversità", tutte
pubblicate dall'editrice Imprimitur di Padova) viene oggi a confortare chi lavora all'inserimento
scolastico di bambini di origine straniera, alle prese con un nodo non eludibile: quello per cui non si dà
nessuna pratica interculturale seria o minimamente efficace in una scuola che non trasformi
profondamente se stessa, mettendosi in ascolto dei nuovi venuti e vivendo contraddizioni e conflitti
interni non indolori. Non è altrmenti possibile mettere in discussione la discontinuità tra cultura della
scuola e cultura di appartenenza (di una parte) degli alunni, e la scuola non potrà ambire a essere, oltre
che un'istituzione sociale, una agenzia educativa.
Ma andiamo per ordine.
Dagli anni 70 si era sviluppato negli Stati Uniti (già Gobbo se ne era fatta per tempo interprete e
cronista presso di noi) un indirizzo di ricerca che, piuttosto che attardarsi sui principi esplicativi dello
"svantaggio sociale" e della "deprivazione culturale" (troppo comodi nella loro funzione di spiegare tanti
effetti senza spiegare se stessi), provava a trasferire sulla stessa istituzione scuola le responsabilità
dell'insuccesso scolastico di bambini e adolescenti provenienti dalle minoranze etniche. Per non
rimanere allo stadio ideologico, tale posizione doveva sviluppare una capillare etnografia della scuola,
indagata come ambiente culturale spesso in conflitto con regole, comportamenti e linguaggi appresi nel
gruppo di appartenenza, e perciò destinata a rimanere un territorio straniero per alunni di minoranza.
Una parte di questi studi Francesca Gobbo ha introdotto presso di noi a metà anni '90 nel prezioso
reading "Antropologia dell'educazione" (Unicopli ed.).
Nei tre volumi pubblicati da Imprimitur gli sviluppi di tali prospettive ritornano, sia grazie agli
interventi di chi alla loro elaborazione ha contribuito da sempre, sia nelle riprese di giovani studiosi,
invitati da Francesca Gobbo o a lei vicini. La funzione della Gobbo, di promotrice capace di mettere in
comunicazione tra loro esperienze e metodologie disciplinari diverse, è particolarmente visibile in
questo volume, dove un suo saggio fa da cerniera tra una prima parte più antropologica e quella
propriamente pedagogica. Sotto l’apparenza di una informatissima rassegna sull’antropologia
dell’educazione, è all’opera la profonda sensibilità civile dell’autrice, capace di indicare come il
determinismo culturale e identitario – che ormai rischia di pervadere il nostro linguaggio – ci impedisca
di vedere e ascoltare gli altri. Ne risulta la proposta di un multiculturalismo che non si fermi alla
rivendicazione del reciproco riconoscimento, ma chiami a integrare i nostri significati con quello che le
nostre azioni e le nostre istituzioni significano per altri.
Sulla base di ricerche etnografiche sul campo, i due contributi di Flavia Cuturi e Francesco Spagna
studiano come la riaffermazione dell’identità di gruppi minoritari metta in discussione il significato
dell’educazione, progetti un cambiamento pedagogico, e metta in gioco, sfruttando come una risorsa il
riconoscimento della diversità della propria storia, l’ovvietà delle pratiche educative: di particolare
interesse è poi constatare come opporre resistenza a programmi e abitudini discriminatorie non porti a
riaffermazioni di localismi, ma, al contrario, promuova la realizzazione di progetti educativi capaci di
affermare valori universali. A loro volta, il contributo di Gianni Dore e quello di Donatella Schmidt e
Giovanna Palutan, studiando il modo di vivere il proprio senso di appartenenza di immigrati stranieri nel
Veneto, con le notevoli capacità di adattamento e le capacità di interagire con il contesto locale,
illuminano il dinamismo culturale dei nuovi venuti e ci interrogano sulle nostre – forse assai ridotte capacità di rispondere a tanta disponibilità alla trasformazione, senza irrigidire i nostri schemi culturali
e pedagogici.
E’ quanto a sua volta emerge da un intervento di grande valore civile di Maria Omodeo sul tema delle
tribolazioni degli allievi stranieri nelle scuole italiane. Omodeo nota che in Italia, più che in molti altri
paesi di tradizionale immigrazione, la dispersione scolastica degli allievi di origine straniera è assai alta,
e ne indaga le ragioni, sia interne che esterne alla scuola. E' innegabile che la prospettiva forzata
secondo la quale quasi sempre l'unica speranza di lavoro che si apre per i giovani figli di migranti
consiste nel ripetere l'esperienza lavorativa dei loro genitori porta a una forte delusione nei confronti
della scuola, vista dalle famiglie immigrate come incapace di promuovere mobilità sociale e di mettere in
questione la chiusura in gabbie (le "comunità") cui gli individui stranieri sembrano condannati dalla
società italiana. Ma anche la scuola ha delle forti responsabilità, sia istituzionali (la mancanza di una
seria politica per l'accoglienza e l'inserimento dei minori, la negligenza nei confronti della
valorizzazione della lingua e della cultura d'origine, etc.), sia culturali.
Sempre Omodeo, nel prosieguo del suo intervento, e Alessio Surian, forniscono esempi di percorsi
possibili, sia di servizi interculturali per l’educazione, che di formazione dei docenti. Ma in quest’ambito
più schiettamente pedagogico è da segnalare il lucidissimo saggio di Elizabeth Cohen, che sintetizza i
principi di base dell’ istruzione complessa: ovvero di quel programma, partito vent’anni fa dall’università
di Stanford, che si prefigge di realizzare l’equità in classe, studiando le cause sociali delle
disuguaglianze di base e costruendo pratiche educative, basate soprattutto sulla cooperazione, capaci
di mettere in questione tali elementi di diseguaglianza (e iniquità). Ciò è possibile solo se l’interazione
tra gli studenti avviene sulla base di un’eguaglianza di status, per ottenere la quale è assolutamente
necessario modificare in profondità tante (cattive) abitudini delle nostre scuole, nonchè abbandonare la
chiacchiera sulle differenze culturali per potere lasciare spazio al sospetto che le diseguaglianze
sociali si traducono nelle classi in differenze di status scolastico, con ripercussioni assai nocive sullo
sviluppo delle capacità e delle competenze degli alllievi. L’istruzione complessa proposta da Cohen muove
infatti dal riconoscimento della pluralità delle intelligenze (una conquista di grandi pedagogisti come
Gardner, ancora da acquisire nelle scuole italiane), da attivare attraverso un lavoro di ristrutturazione
dei rapporti nelle classi. Pur implicando la necessità di una ristrutturazione profonda delle pratiche
educative, le indicazioni della Cohen possono essere sperimentate da singoli docenti, pronti a dare un
senso al loro lavoro e a mettere in gioco ruoli e funzioni che non sono più all’altezza dei compiti richiesti
dalla società complessa in cui viviamo.-
Segnalazioni
“Diritto immigrazione cittadinanza”, anno V n.2, 2003, pp.256, €15,50
Nella sezione “Interventi” i contributi di O. Forti, M. De Marco e F. Pittau, “Immigrazione e politiche
legislative: dai dati all’antropologia giuridica”; M. Paggi, “La condizione giuridica dei regolarizzandi
‘perdenti il poso di lavoro’ “; G. Silva, “Ripudio marocchino e diritto di famiglia francese”. Seguono la
consueta, preziosa rassegna di Giurisprudenza, Osservatorio europeo, Osservatorio italiano e
recensioni.
Pierre-André Taguieff, "Vivre-ensemble", Conversazione sul razzismo, in "Millepiani" nn.24/25,
pp.9/24
Asher Colombo, Giuseppe Sciortino, “La legge Bossi-Fini: estremismi gridati, moderazioni implicite
e frutti avvelenati”, in “Politica in Italia”, edizione 2003, a cura di J.Blondel e P.Segatti, Il Mulino
2003, pp.195/215
Alessandra Ballerini, Alessandro Benna, "Il muro invisibile. Immigrazione e Legge Bossi-Fini",
Fratelli Frilli editori, Genova 2002, euro 7,00
Anna Adamczyg e Gianluca Peciola, "Non per fame, prego. Kurdi e Kosovari: le ragioni dell'asilo",
foto di Tano D'Amico, EDUP, Roma, 2003, pp.150, euro 15,00
Fiorella Giacalone (a cura di), "Marocchini tra due culture.
sull'immigrazione", Angeli, Milano 2003, pp.239, euro 16,50
Un'indagine
etnografica
Sirmug, “L’immigrazione straniera in provincia di Livorno: l’inserimento nel mertcato del lavoro e nella
società locale”, Provincia di Livorno, 2003, pp.223, s.i.p.
Luigi Mughini e Anna Zucconi, “Immigrazione, La normativa (Guida ragionata al testo unico
sull’Immigrazione, D.Lgs.25/7/98, n.286 come modificato dalla legge 30/7/02, n.189)”, Guide Input
Comune di Firenze
Il testo, già segnalato nei mesi scorsi, è ora uscito in otto lingue (albanese, arabo, cinese, rumeno,
somalo, francese, inglese, spagnolo), può essere richiesto presso l’Ufficio immigrati, via Leonardo da
Vinci
4,
firenze,
tel.
055/2767501,
055/2767516,
o
scaricato
da
internet.
www.comune.firenze.it/servizi pubblici/stranieri/immigra.htm
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