La seconda metà del settecento L`età delle rivoluzioni

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LA SECONDA METÀ DEL SETTECENTO
L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
LA STORIA
Il Settecento: l’età delle Rivoluzioni
[Una società in movimento] Il Settecento è stato definito ben a ragione come l’età delle rivoluzioni.
Una simile definizione vuole sottolineare le grandiosi trasformazioni che hanno sconvolto nel
corso del XVIII secolo l’Occidente europeo da tutti i punti di vista: economico, sociale e politico.
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Sul piano economico abbiamo la fine dell’economia chiusa basata sull’agricoltura e il
trionfo dell’industrializzazione e del capitalismo.
Sul piano sociale l’ascesa della borghesia e il passaggio dai ceti alle classi.
Sul piano politico le monarchie assolute vengono soppiantate dal moderno stato borghese.
[Una frattura nella storia dell’umanità] Queste trasformazioni segnano, nella storia
dell’umanità, una frattura fondamentale. Ciò vuol dire che se un uomo del Trecento si fosse
trovato catapultato nel primo Settecento, avrebbe trovato un mondo tutto sommato abbastanza
simile al proprio, nel quale sarebbe riuscito bene o male ad orientarsi; al contrario, nel mondo di
fine Settecento avrebbe creduto di trovarsi tra i marziani, o in un paese di folli. Lo stesso vale per
noi: se il mondo pre-settecentesco ci appare come del tutto diverso da quello contemporaneo, il
mondo di fine Settecento comincia ad avere dei tratti che riconosciamo come familiari: è l’inizio
dell’era contemporanea. Ovviamente una simile trasformazione non avvenne da un momento
all’altro, né in maniera uniforme. Per decenni il vecchio e il nuovo convissero fianco a fianco;
alcuni paesi continuarono a rimanere in una fase premoderna mentre altri balzarono in avanti
bruciando le tappe (è il caso soprattutto dell’Inghilterra); all’interno dello stesso paese alle zone più
avanzate e dinamiche si contrapponevano vaste sacche in cui sembrava che il tempo si fosse
fermato.
Prima della rivoluzione: una società agricola
[L’agricoltura come base dell’economia] Fin dai tempi della rivoluzione agricola, avvenuta nel
neolitico (tra il sesto e il terzo millennio avanti Cristo), fin da quando l’uomo primitivo aveva
imparato a coltivare la terra e a non affidarsi semplicemente alla caccia, alla pesca, alla raccolta
delle piante nate spontaneamente, l’agricoltura era stata la base dell’economia. Anche nelle
società antiche e nel medioevo esistevano la produzione artigianale e il commercio: ma fabbri,
muratori, carpentieri, falegnami, tessitori, cambiavalute, mercanti di spezie, vasai, orefici erano in
genere ritenuti inferiori, per prestigio sociale e per potere politico (sebbene a volte potessero essere
persino più ricchi), alla classe aristocratica o nobiliare, principale proprietaria terriera.
[La terra: unica forma di ricchezza] L’unica vera ricchezza era considerata la terra, proprio
perché al possesso della terra era legata l’agricoltura, e dall’agricoltura dipendeva la sopravvivenza
della comunità: avere una produzione sufficiente al fabbisogno locale, evitare il rischio di carestie e
la morte per fame erano l’obiettivo principale del sistema economico. Non si coltivava la terra per
accumularne i prodotti e aumentare il guadagno, ma per rispondere al fabbisogno comune, per
sopravvivere. La terra di per sé era la ricchezza, e questo bastava. Chi possedeva la terra ne aveva in
genere così tanta (sono i latifondi: proprietà estese enormemente), da non avere bisogno di altro.
Per questo si parla di economia di sussistenza o chiusa. A volte i proprietari potevano persino
decidere di lasciare incolta buona parte della loro proprietà: perché – come si è detto – a contare era
la terra in sé e non il suo prodotto – tanto il cibo sarebbe stato sempre più che abbondante per i
proprietari stessi: solo per gli altri poteva non essere sufficiente…
Il sorgere e l’affermarsi di un nuovo modello economico
[La nascita dell’economia industriale in Inghilterra] Questa struttura economica (definita
economia agricolo-artigianale) subisce, nel corso del Settecento, una straordinaria trasformazione
che viene indicata, nel suo insieme, come rivoluzione industriale. Il termine ‘rivoluzione’ viene
utilizzato proprio per sottolineare la rapidità e la profondità della trasformazione, che riguarda tutti
gli aspetti della vita umana: il modo di produrre, i rapporti tra i diversi gruppi sociali, il sistema
politico, il rapporto tra l’uomo e la natura, la mentalità e la cultura. Alla base di tutto questo
processo sta l’affermarsi di un’economia industriale, centrata sulla fabbrica. Il primo paese a
essere interessato è l’Inghilterra, che godeva di una situazione di vantaggio grazie a una serie di
fattori: il commercio fiorente e la ricchezza diffusa che ne derivava, le trasformazioni già in atto nel
settore agricolo, l’esistenza di una discreta rete interna di comunicazioni, un sistema politico
particolarmente avanzato. Possiamo così sintetizzare gli aspetti principali della rivoluzione
industriale:
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L’introduzione delle macchine nel processo produttivo. Nel corso del ‘700 una serie di
geniali innovazioni, frutto dell’esperienza pratica e non di particolari conoscenze
scientifiche, permettono di meccanizzare la lavorazione di alcuni prodotti. Il primo settore
interessato alla trasformazione è quello tessile, e la prima innovazione significativa è
rappresentata dalla navetta volante, brevettata da un orologiaio, John Kay, nel 1733: un
congegno meccanico che permetteva di allargare l’ampiezza del tessuto (prima limitata
all’estensione del braccio). Nel giro di breve tempo, la filatura diviene interamente
meccanica; poco dopo, si passa dalla forza umana all’uso del vapore e del carbone come
forza motrice. Nascono così l’industria siderurgica e mineraria. Inizia l’era delle
macchine: servono macchine che producano le macchine tessili, macchine che permettano
di reperire e sfruttare il carbone. Le macchine cambiano radicalmente il modo di lavorare: se
prima l’uomo era padrone degli attrezzi che usava, adesso deve adattarsi ai tempi e ai ritmi
delle macchine, che non gli appartengono più. L’impatto delle macchine sulla natura è
straordinario. L’ambiente viene modificato in maniera intensa e invasiva, come mai era
successo prima. Il treno, i binari che tagliano le campagne, i pali del telegrafo, i piroscafi a
vapore diventano i simboli della nuova era.
L’avvento del sistema di fabbrica. Nel corso dei secoli precedenti la tessitura e la
produzione di stoffe e vestiti avveniva a livello familiare e artigianale; spesso erano gli stessi
contadini che, nelle ore e nelle stagioni in cui erano liberi dal lavoro dei campi, si
dedicavano a questa attività. Le macchine, al contrario, non possono essere gestite a livello
familiare o artigianale, perché costano troppo, hanno bisogno di spazio e necessitano di
forza motrice (vapore). Vengono comprate e messe insieme in luoghi appositi, enormi
capannoni, spesso vicino a corsi d’acqua: le fabbriche. Gli operai che lavorano nella
fabbrica non possiedono più i mezzi di produzione, ma vendono al padrone la loro forzalavoro in cambio di un salario. Nasce così una nuova classe sociale: il proletariato, che
lavora solo nelle fabbriche e dipende dal salario. Il lavoro diventa una merce che si può
vendere e comprare, che ha un prezzo.
Il trionfo del capitalismo. Il sistema economico legato all’industrializzazione viene definito
capitalismo, perché alla base del sistema economico non è la terra, ma il capitale, cioè il
denaro e il possesso dei mezzi di produzione (le macchine, la fabbrica). La caratteristica del
capitalismo è la mobilità, l’espansione continua. Al centro di questo sistema è l’idea del
profitto. Il capitale investito non deve solo rendere quanto necessario per sopravvivere, ma
deve dare un profitto ulteriore, che viene subito reinvestito per accrescere le risorse – nuove
macchine, nuovi operai – e ottenere un profitto sempre maggiore. La ricchezza fondiaria è
statica: rimane sempre uguale. Il capitale, al contrario, è sempre in espansione. Altra
caratteristica fondamentale del capitalismo è la trasformazione di ogni cosa in merce, cioè
in qualcosa che ha un prezzo sul mercato, si vende e si compra. Tutto acquista un prezzo,
anche ciò che prima non lo aveva: la terra, il lavoro.
Le trasformazioni sociali: dalla società d’antico regime…
[Il primato della nobiltà] La rivoluzione industriale trasforma radicalmente la struttura sociale. La
società seicentesca, che viene definita ‘d’ancien régime’ (antico regime), era caratterizzata dal
primato incondizionato della nobiltà, il cui prestigio era fondato sulla proprietà terriera. La nobiltà
aveva una forte coscienza di classe e rispettava, in tutta Europa, gli stessi riti sociali e lo stesso stile
di vita. Si presentava come una casta chiusa, alla quale si apparteneva per privilegio di nascita,
anche se, al suo interno esistevano delle differenze: tra nobiltà ricca e nobiltà povera, tra nobili di
spada (di origine feudale e cavalleresca) e nobili di toga (di origine più recente, in genere legati
all’amministrazione statale).
[La divisione in ceti] La difesa dell’identità e dei privilegi nobiliari aveva determinato la divisione
della società in ceti (o ordini o stati). Oltre alla nobiltà esistevano altri due ceti: il clero (a cui
appartenevano tutti gli ecclesiastici) e il terzo stato (che rappresentava la maggior parte della
popolazione e conteneva al suo interno categorie molto diverse tra loro: contadini, operai, artigiani,
commercianti, professionisti, banchieri). I ceti corrispondono in parte alle classi sociali, ma sono
diversi perché si basano su una esplicita discriminazione. L’appartenenza a un ceto piuttosto che a
un altro è stabilita dalla nascita e determina diritti e doveri diversi, nonché un diverso trattamento di
fronte alla legge. Dal ceto dipendono i privilegi e gli obblighi fiscali, la possibilità di accedere a un
certo livello di istruzione, o di avere determinati incarichi amministrativi e militari.
[Una società immobile] La società è tendenzialmente immobile, ed è molto difficile cambiare ceto
di appartenenza: il destino di ogni individuo è in buona misura segnato dalla nascita. Anche il clero,
che è un ceto d’elezione (si deve scegliere di diventare uomini di chiesa) è diviso al suo interno tra
alto clero (ecclesiastici di prestigio, provenienti da famiglie nobili) e basso clero (parroci di
campagna, frati – di solito di origine umile). I nobili difendono la loro ‘diversità’ impedendo i
matrimoni misti e destinando solo al primogenito titoli e proprietà di famiglia (in modo da non
spezzettare il patrimonio).
…alla società borghese
[L’emergere della borghesia] Questo sistema è messo in crisi dalla trasformazione del sistema
economico. Molti imprenditori, molti dei proprietari delle nascenti fabbriche provengono infatti dal
terzo stato. Sono ricchi, sicuri di sé, intraprendenti, e non sono disposti ad accettare i privilegi
nobiliari, né a rimanere confusi con il popolo e con gli strati più umili: sono borghesi. Poco per
volta l’asse del potere si sposta inesorabilmente dalla nobiltà a questo nuovo gruppo sociale, la
borghesia, perché il sistema economico su cui si basava il privilegio della nobiltà (economia
agricola e ricchezza fondiaria) sta tramontando a favore dell’industria e del capitalismo.
All’affermazione economica si lega la presa di coscienza: la borghesia acquista consapevolezza di
sé e si propone come insieme autonomo, diverso sia dal terzo stato, sia dalla nobiltà.
[Dai ceti alle classi] L’emergere della borghesia mette in crisi il sistema dei ceti, troppo rigido e
statico. Nel giro di un secolo, si passa dai ceti alle classi. L’appartenenza alla classe è determinata
solo in parte dalla nascita: dipende invece dalla ricchezza, dalla professione svolta, anche
dall’autocoscienza della propria condizione. Non si può cambiare ceto, ma si può cambiare classe
sociale. Comincia ad affermarsi l’idea dell’uguaglianza giuridica dei cittadini: tutti devono essere
uguali di fronte alla legge, godere degli stessi diritti e delle stesse possibilità, avere gli stessi doveri
fiscali. L’appartenenza a una classe, insomma, non determina lo statuto giuridico della persona,
contrariamente a quanto avveniva per i ceti.
Una società in movimento
[Un sistema fondato sul denaro] La borghesia è una classe al suo interno molto eterogenea: si va dai
piccoli e grandi imprenditori ai liberi professionisti, dai finanzieri ai commercianti, dai giornalisti
agli impiegati più umili. Comune a tutti è però una forte consapevolezza, il fatto cioè di sentirsi
borghesi. La borghesia elabora velocemente un suo sistema di valori, diverso da quello nobiliare:
non più lusso e dispendio, ma oculata gestione del proprio patrimonio, non più privilegio di nascita,
ma intraprendenza individuale. Al centro di questo sistema è il denaro. Il denaro è l’idolo (e
l’incubo) della borghesia. Nel mondo borghese tutto viene rapportato al denaro, anche se spesso in
maniera non detta. Il nobile rimane nobile anche senza soldi, il borghese senza soldi è molto simile
a un qualsiasi membro del terzo stato. Il denaro fa la differenza, ma rende tutti uguali perché,
almeno in teoria, è alla portata di tutti. Cambia così la concezione della ricchezza: la ricchezza
borghese è in costante movimento, si accumula (si può anche perdere) e si reinveste, ed è ben
diversa dalla ricchezza acquisita (congenita e statica) dei nobili.
[Il mito dell’ascesa sociale] Per questo la società borghese è una società mobile, in continua
trasformazione, che esalta come suo valore essenziale proprio il dinamismo, la mobilità sociale. Il
grande mito della borghesia settecentesca e primo-ottocentesca è l’ascesa sociale: la possibilità di
arricchirsi, di ‘arrivare’ (parvenir è il verbo francese che meglio esprime questo concetto; parvenu
sono i nuovi ricchi), di compiere la scalata sociale. Come già si diceva prima, almeno in teoria la
possibilità dell’ascesa sociale è aperta a tutti. Chiunque, purché dotato di intraprendenza,
spregiudicatezza, costanza, può realizzare la propria personale ascesa sociale. Il mito dell’ascesa è
sostenuto dalle trasformazioni in corso nel sistema produttivo, che determinano oggettivamente
un’apertura delle possibilità: in un mondo economico in rapida evoluzione è davvero possibile
godere di numerose opportunità e occasioni favorevoli. Tanto è vero che, nel corso del
Settecento, soprattutto in Francia e in Inghilterra, migliaia di persone e di gruppi familiari si
arricchiscono, cambiano condizione sociale e diventano borghesi.
Le grandi rivoluzioni politiche
[Il sistema politico dell’antico regime] La forma politica per eccellenza dell’ancien régime è la
monarchia assoluta. Il sovrano governa in maniera ‘assoluta’, cioè sciolto da ogni vincolo,
controlla il potere giudiziario, esecutivo e fiscale, non deve rendere conto del suo operato, perché il
suo potere non è frutto di un accordo, di un mandato sociale, ma deriva direttamente da Dio: è
sacro. Il rapporto tra trono (potere civile) e altare (potere religioso) è tipico dell’antico regime: i
sovrani si servono della religione per rafforzare la loro autorità, concedendo in cambio privilegi e
immunità agli ecclesiastici. Lo stato assoluto rappresenta e difende gli interessi
dell’aristocrazia, sia dal pericolo di eventuali rivolte popolari, sia – in seguito – dalla pressione dei
ceti borghesi.
[La crisi del sistema politico dell’antico regime] Proprio le grandi trasformazioni in atto nel sistema
economico e sociale determinano la crisi di questo sistema politico. I borghesi in ascesa, sempre più
ricchi e intraprendenti, non sono disposti ad accettare una forma di organizzazione politica da cui
rimangono esclusi e premono per essere rappresentati e tutelati, sfruttando spesso a proprio favore il
malcontento dei ceti più umili.
[L’età delle rivoluzioni] Il passaggio del potere dall’aristocrazia alla borghesia avviene attraverso
una serie di grandi rivolgimenti: è l’età delle rivoluzioni. La prima di queste rivoluzioni avviene in
Inghilterra, proprio perché l’Inghilterra era il paese più avanzato dal punto di vista sociale ed
economico. La ‘gloriosa rivoluzione’ (1688) – come sarà definita in seguito – stabilisce per la
prima volta alcuni principi che diventeranno essenziali: il ruolo del parlamento rispetto al
sovrano; la divisione dei poteri; la tutela dei cittadini rispetto alla legge. Alla rivoluzione
inglese seguono la rivoluzione americana (1776-1783), che porterà alla nascita degli Stati Uniti
d’America, e la rivoluzione francese (1789-1799). Anche se l’effetto immediato fu spesso una
situazione di caos e di violenza, il risultato finale di questa serie di avvenimenti traumatici è la fine
dell’ancien régime e la nascita dello stato liberale borghese. Sicuramente non si tratta di un
processo lineare: alcuni paesi trovano abbastanza presto un nuovo assetto (Inghilterra, Francia); altri
si arroccano nella difesa ad oltranza dell’assolutismo e dei privilegi aristocratici (Russia, Austria,
Prussia).
[Dalla Rivoluzione francese alla Restaurazione] Dopo la rivoluzione francese, l’Europa intera è
travolta dall’ascesa di Napoleone Bonaparte, che instaura alla fine una vera e propria dittatura
personale; nel 1815, quando Napoleone viene sconfitto definitivamente, le potenze vincitrici
(Austria, Prussia e Russia soprattutto) si illudono di poter tornare all’epoca precedente la
rivoluzione, e all’antico regime: è l’inizio dell’età della Restaurazione. Ma il processo storico è
ormai irreversibile.
[Il nuovo sistema politico] Dalla concitata età delle rivoluzioni, emerge, sia pure con tempi e
modalità diverse a seconda delle condizioni dei singoli paesi, un nuovo sistema politico. Possiamo
così schematizzarne così le caratteristiche:
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Tramonta l’idea che il sovrano sia tale per diritto divino
Lo stato è considerato come il frutto di un ‘patto sociale’, di un contratto tra i cittadini
I poteri sono divisi tra sovrano e parlamento
Viene sciolta l’alleanza tra trono e altare, tra potere civile e religione
Tutti i cittadini sono considerati uguali di fronte alla legge
La tutela della libertà individuale e della proprietà privata sono fondamentali
Vengono riconosciuti i diritti elementari (di opinione, di stampa, di parola)
Il voto e gli altri diritti politici sono subordinati al reddito
La particolarità della situazione italiana
[La posizione marginale dell’Italia] In questo periodo di grandi trasformazioni, l’Italia rimane in
una posizione marginale. In primo luogo, a causa della situazione politica: mentre nel resto
dell’Europa si affermano le monarchie nazionali, l’Italia è rimasta divisa in numerosi, piccoli
statarelli, per la maggior parte in mano a dinastie straniere (francesi, austriaci, spagnoli). Anche dal
punto di vista economico le cose non vanno meglio: tutti gli stati italiani hanno subito il declino del
Mediterraneo e sono rimasti esclusi dalle nuove rotte atlantiche; la base principale dell’economia
è ancora l’agricoltura feudale basata sul latifondo; rari e isolati sono gli esperimenti manifatturieri
e industriali. Al contrario di quello che sta avvenendo in altri paesi (Francia e Inghilterra
soprattutto), la classe borghese stenta ad affermarsi e a prendere consapevolezza; particolarmente
forte è l’influenza della Chiesa Cattolica e l’alleanza tra clero e nobiltà.
[Il dispotismo illuminato] Nella seconda metà del ‘700 quasi tutti gli stati italiani tentano la via delle
riforme e del dispotismo illuminato: i principi non rinunciano al loro potere assoluto (dispotismo),
ma accettano i consigli dei filosofi illuministi (per questo il dispotismo è illuminato). Le riforme
varate in questo periodo hanno come scopo principale la modernizzazione e la razionalizzazione
dello stato: il sistema fiscale e burocratico viene reso più efficiente; vengono aboliti alcuni
tradizionali privilegi del clero; viene tolto agli ordini religiosi il monopolio dell’istruzione; in alcuni
casi vengono aboliti la tortura e la pena di morte. Il dispotismo illuminato viene però travolto dalla
rivoluzione francese e dall’avventura napoleonica.
[Le campagne napoleoniche e le repubbliche giacobine] Le prime campagne in Italia di Napoleone
portano alla crisi dei piccoli stati assoluti e alla nascita delle repubbliche giacobine (i giacobini
rappresentavano l’ala radicale dei rivoluzionari francesi), che si affermano nell’Italia settentrionale
e in alcune grandi città (Roma, Napoli). Tuttavia ben presto la guerra di liberazione da parte della
Francia si trasforma in guerra di conquista: le repubbliche crollano e al loro posto Napoleone
instaura un nuovo regno. Finché la caduta di Napoleone e l’inizio della Restaurazione sembrano
riportare l’Italia alla condizione di partenza.
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Antico regime
Società borghese
agricoltura
industria
Economia chiusa, di sussistenza
Economia aperta, mercato
Terra, ricchezza immobile
Denaro, ricchezza mobile
Classe dominante: aristocrazia
Classe dominante: borghesia
Divisione della società in ceti
Divisione della società in classi
Privilegio basato sulla nascita
Privilegio determinato dal denaro
Disuguaglianza giuridica tra i cittadini
Uguaglianza giuridica tra i cittadini
Immobilismo sociale
Mobilità sociale
Monarchia assoluta
Monarchia parlamentare
Unione dei poteri nel sovrano
Alleanza trono/altare
Divisione dei poteri tra sovrano e altri
organi
Divisione tra stato e chiesa
Origine divina della sovranità
Sovranità legata a ‘contratto sociale’
Assenza di tutela per i cittadini
Tutela dei diritti dei cittadini
LE IDEE
La rivoluzione scientifica
[L’autonomia della scienza] Le grandi trasformazioni sociali ed economiche che avvengono nel
corso del Settecento sono precedute (e accompagnate) da una radicale trasformazione del sapere
che viene definita rivoluzione scientifica. La scienza si definisce come una disciplina autonoma,
dotata di un suo metodo e di suoi obiettivi particolari, mentre nei secoli precedenti era stata confusa
con la filosofia, con la teologia, con la letteratura.
[Scienza e religione: la teoria eliocentrica] L’autonomia della scienza riguarda anche la
religione. Nel corso del medioevo e fino al Seicento, i dogmi religiosi erano stati considerati come
verità scientifiche (la creazione del mondo, la struttura del cosmo, la comparsa dell’uomo), e la
scienza aveva accettato i limiti imposti dalla teologia. L’evento simbolicamente più significativo è il
passaggio dalla teoria geocentrica (la terra è immobile al centro dell’universo) a quella
eliocentrica (il sole al centro dell’universo). La nuova concezione astronomica, elaborata da un
astronomo polacco (Copernico) a metà Cinquecento, mette in discussione gli schemi mentali
ritenuti validi per tremila anni.
[Il fine della scienza] Cambia anche la definizione degli scopi della ricerca scientifica. La scienza
deve descrivere i fenomeni e trovarne le norme di funzionamento, non deve andare alla ricerca delle
cause metafisiche. Il fine della scienza non è l’indagine dei principi primi dei fenomeni (Perché
piove? Qual è la causa ultima della pioggia? Chi ha voluto la pioggia?), ma del loro svolgersi
(Come e quando si forma la pioggia? Che cosa porta alla pioggia?). Scompare la tradizionale
distinzione tra attività intellettuale e attività manuale.
[Il nuovo metodo sperimentale] La scienza non è più una disciplina astratta, esclusivamente
speculativa; lo scienziato, se vuole ‘sperimentare’ veramente, deve confrontarsi con la materia: deve
ideare, progettare e saper realizzare gli strumenti necessari. Vengono così messe a punto le prime
macchine di precisione, i primi strumenti moderni. La scienza e la tecnica sono ormai intrecciate;
sta nascendo la moderna tecnologia. Il procedimento essenziale della nuova scienza è il metodo
sperimentale, che si articola in tre momenti diversi: 1) ipotesi matematica; 2) osservazione dei
fenomeni; 3) esperimento di verifica.
L’illuminismo
[Caratteri dell’illuminismo] Alla rivoluzione scientifica si riallaccia in parte l’illuminismo. Come
dice il nome stesso, l’obiettivo principale è quello di rischiarare (illuminare) con i lumi della
ragione le tenebre dell’ignoranza. Il movimento ha origine in Francia, ma ben presto si diffonde a
livello europeo, manifestandosi con sfumature molto diverse tra loro. Secondo gli illuministi la
ragione distingue l’uomo dagli animali ed è la sua dote principale; solo grazie ad essa è
possibile uscire dall’ignoranza e da una condizione di vita primitiva. Per questo non bisogna
accettare supinamente ciò che la tradizione suggerisce, ma riflettere con la propria testa, mettere in
discussione i preconcetti e i dogmi tramandati dall’autorità del passato.
[La distinzione tra fede e ragione] In particolare, è necessario liberarsi dall’autorità della
religione, che è stata per secoli sinonimo di oscurantismo. La religione rivelata ha impedito lo
sviluppo del libero pensiero e ha costretto l’umanità ad accettare senza discutere una serie di dogmi
e una visione generale dell’universo e della vita basata sulla fede e non sull’indagine razionale dei
fenomeni. Gli illuministi affermano invece la distinzione tra fede e ragione: l’esistenza di dio o in
generale i problemi metafisici non vengono negati a priori, ma subordinati alle questioni terrene.
Ciò che conta è la terra e non il cielo. La fede è una questione che riguarda la coscienza dei singoli.
Alcuni illuministi sono atei, altri deisti (credono cioè nell’esistenza di un essere supremo che però
non si identifica con il dio di una precisa religione rivelata), altri credenti.
[Conquiste e limiti dell’illuminismo] Nel complesso si può dire che l’illuminismo ha contribuito in
maniera decisiva a superare dogmi e oscurantismi del passato e a elaborare un pensiero moderno,
razionalista e tollerante, sostituendo il principio d’autorità con l’indagine critica, restituendo
dignità e valore al singolo individuo e alla vita terrena. Tuttavia, non bisogna dimenticarne i
limiti: l’esaltazione della ragione a danno di altri aspetti, la fiducia eccessiva nella scienza e nel
progresso, il sostanziale disinteresse per i ceti umili. Ancora oggi, l’aggettivo ‘illuministico’ indica,
nel bene e nel male, l’atteggiamento di chi crede ottimisticamente nella forza della ragione e pensa
che le idee e la cultura siano in grado di per sé di modificare le condizioni di vita dei popoli, senza
intervenire direttamente sulle strutture materiali e sulla distribuzione della ricchezza.
Nuovo pubblico, nuovi intellettuali
[L’intellettuale illuminista] Con l’illuminismo si afferma una nuova figura di intellettuale. Il
letterato tradizionale si limita alla pratica della letteratura e dipende dalla protezione e dal favore dei
potenti (nella maggior parte dei casi è un ecclesiastico, al servizio dei nobili o della corte). Al
contrario, l’intellettuale illuminista, oltre ad avere una diversa origine sociale (nella maggioranza
dei casi proviene dalla borghesia e non fa parte di ordini religiosi), si considera investito di un ben
preciso mandato sociale. Vuole essere ideologo e riformatore, intervenire nei problemi civili e
sociali, proporre ragionevoli riforme. È un poligrafo, che si interessa degli argomenti più
disparati; scrive sui giornali e sui periodici, pubblica opere di propaganda militante (pamphlets);
tende a influenzare l’opinione pubblica per indirizzarla verso il bene comune.
[La nascita del pubblico moderno] D’altra parte anche il pubblico acquista un peso
considerevole: aumenta rapidamente il numero delle persone alfabetizzate, in grado di leggere, di
giudicare le opere letterarie, di intervenire nelle questioni di pubblico interesse. Si diffondono
nuove forme di aggregazione intellettuale, al di fuori dei luoghi tradizionali come le accademie o le
corti: le società, i salotti, i caffé. Si affermano strumenti moderni di diffusione della cultura: le
gazzette e i periodici. In Italia la prima rivista politico-culturale è «Il caffé»: gli autori, fingendo
di riproporre le discussioni che avvengono in un caffé milanese, intervengono sulle principali
questioni di attualità. Come molte altre riviste contemporanee, il «Caffé» adotta uno stile
divulgativo: i contenuti vengono esposti con un linguaggio semplice, facilmente comprensibile,
ricco di riferimenti alla realtà quotidiana. In generale, la prosa degli illuministi tende a essere
chiara, accessibile. Non un linguaggio specialistico e settoriale, riservato solo agli intenditori, ma
un efficace strumento di comunicazione adatto al nuovo pubblico borghese.
La rottura con il passato
[Un’epoca di mutamenti veloci e radicali] Nel corso del Settecento le condizioni di vita materiali,
sociali e politiche mutano profondamente e rapidamente; così tanto, da influenzare in maniera
decisiva la vita dei singoli individui, che spesso sperimentarono sulla propria stessa pelle la portata
dei cambiamenti in atto. Diventa indispensabile sapersi adattare, modificare al bisogno idee,
comportamenti sociali, pratiche politiche, esigenze economiche.
[La rottura con il passato] L’eredità del passato non è più il punto di riferimento
imprescindibile. Di conseguenza, cambia anche il modo di concepire la letteratura nel suo insieme.
Fino al Settecento la tradizione letteraria era sentita come un insieme continuo e ininterrotto, dal
passato classico al presente, senza soluzione di continuità. Qualsiasi nuova opera si collocava in
questa tradizione, in un dialogo sempre aperto con gli autori del passato, ai quali si potevano anche
scrivere lettere, rivolgere preghiere, chiedere ispirazione. A partire dalla metà del Settecento si
avverte invece sempre di più la frattura tra antico e moderno: i classici del passato sono oggetto
di venerazione, di nostalgia, di rimpianto, a volte anche di ripudio, in ogni caso appartengono a uno
spazio e a un tempo a sé stante.
[Romanticismo e neoclassicismo] Questa consapevolezza è alla base di due tendenze
apparentemente contrapposte che si manifestano nel corso del Settecento. Da una parte
l’esibizione provocatoria della rottura con la tradizione: si rigettano le forme del passato, si
sperimentano nuove forme, si afferma la libertà assoluta del genio individuale. È questa la base
dell’atteggiamento che si definirà romantico. Dall’altra il recupero volontaristico della
tradizione: si esalta la lezione dei classici, l’imitazione degli antichi. Si parla a questo proposito di
neoclassicismo, vale a dire ‘nuovo classicismo’: non il classicismo del passato, dunque (cioè una
comunione spontanea, scontata e immediata con i classici), ma il tentativo di ritornare al passato
con spirito nuovo, nella consapevolezza della frattura avvenuta.
Neoclassicismo e preromanticismo
[I principi del neoclassicismo] Il neoclassicismo mette in pratica sul piano estetico alcune delle
principali istanze illuministe: la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia formale risponde infatti al
culto della razionalità e della regolarità. La base dell’estetica neoclassica è l’opera di un archeologo
tedesco, Johann Joachim Winckelmann. I principi fondamentali del neoclassicismo sono:
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La convinzione che l’arte non nasce dall’imitazione della natura, ma dall’imitazione del
bello ideale.
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L’idealizzazione dell’arte antica (soprattutto greca), in quanto espressione del ‘bello
ideale’, ossia di una bellezza definita come compostezza, serenità, armonia, controllo delle
passioni.
La consapevolezza della distanza che separa gli antichi dai moderni.
Il rifiuto di ogni canone precostituito: i modelli antichi non si possono ingabbiare in una
serie di norme e di regole da riproporre passivamente.
La proposta di una ‘imitazione’ attiva, tesa a ricreare i modelli antichi e non a ricopiarli.
[Un ideale di arte impegnata] Il neoclassicismo non si chiude in un’ammirazione astratta del
passato, ma propone l’ideale di un’arte impegnata politicamente e civilmente, volta a
rappresentare i valori su cui si regge la società. Ovviamente questi valori possono anche variare:
durante la rivoluzione francese il modello per eccellenza è l’antica Roma repubblicana, mentre nel
periodo napoleonico diventa Roma imperiale.
[Caratteri del preromanticismo] Tuttavia, come abbiamo già detto, il sentimento della distanza
insormontabile che separa il mondo moderno dall’antichità può suscitare anche tendenze diverse,
definite come preromantiche. In questo caso a prevalere è l’esaltazione del passato primitivo e
medioevale delle singole nazioni, la valorizzazione dell’irrazionalità, la preferenza accordata agli
aspetti più cupi e tempestosi della natura e dell’animo umano. Il movimento culturale che
meglio esprime le tendenze preromantiche è lo Sturm und Drang (Tempesta e impeto), nato e
diffusosi in Germania tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento. Anche la moda della
poesia sepolcrale (poesia ambientata nei cimiteri, preferibilmente in notti tempestose) esprime la
medesima sensibilità preromantica. Bisogna però fare attenzione: le definizioni di neoclassicismo e
preromanticismo si basano su testi e documenti dell’epoca, ma nessuna delle due è stata coniata e
teorizzata dagli autori interessati. Entrambe esprimono due aspetti della medesima cultura e
rappresentano soprattutto indicazioni di gusto e di sensibilità. Di conseguenza, non ha senso
tentare una classificazione degli autori e delle opere su questa base. Nello stesso autore, a volte
persino nella stessa opera, è possibile riconoscere contemporaneamente elementi neoclassici e
elementi preromantici.
Rivoluzione scientifica
Illuminismo
Autonomia della scienza
Centralità della ragione
Distinzione religione/scienza
Distinzione fede/ragione
Metodo empirico e sperimentale
Uso della ragione contro oscurantismo
Rottura con l’autorità e con la tradizione
Frattura antico/moderno – consapevolezza della distanza
Funzione civile dell’arte e della letteratura
Neoclassicismo
Preromanticismo
Recupero dell’antico
Rifiuto della tradizione
Valorizzazione della classicità
Valorizzazione del Medioevo e del primitivo
Equilibrio, armonia, razionalità
Passionalità, eccesso, sentimentalismo
LO SPAZIO LETTERARIO
Una frattura radicale
[Generi vecchi e nuovi] Tra la metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento avviene nella storia
letteraria occidentale una trasformazione epocale. Forme dalla tradizione secolare, spesso di
origine classica (greca o latina), scompaiono o diventano nel giro di pochi anni reperti archeologici.
È il caso del poema epico, o della tragedia classica. Forme minori passano contemporaneamente in
primo piano; si affermano nuovi generi: il saggio, l’autobiografia. Soprattutto, incomincia la grande
stagione del romanzo, che si impone come la più compiuta espressione della nuova era borghese.
[Una rivoluzione nel sistema dei generi] Il sistema dei generi ne risulta rivoluzionato: il romanzo
diviene il genere narrativo per eccellenza, a scapito di altre forme narrative in versi. Si ha nel
complesso uno straordinario incremento della produzione letteraria, legato anche alla piena
legittimazione di generi minori (la memoria, la scrittura epistolare). Lo spazio letterario viene
insomma ridisegnato: nel giro di qualche decennio si passa da uno spazio premoderno a uno
spazio moderno. O meglio: che noi definiamo ‘moderno’ (distinguendolo da quello precedente)
perché è sostanzialmente, da due secoli circa, ancora il nostro. Per noi, a distanza di tempo, è facile
scorgere la frattura. Ma sul momento, pochi si accorsero di quanto stava avvenendo; quasi tutti
continuarono a praticare indifferentemente generi diversi, senza avvertirne l’incompatibilità. A
lungo forme vecchie e nuove convivono fianco a fianco. Opere di straordinaria modernità
convivono con opere ormai del tutto anacronistiche. È il caso di autori come Ugo Foscolo,
Giacomo Leopardi, Wolfgang Goethe. Per questo la loro produzione ci appare oggi come uno
strano miscuglio di aspetti familiari, in cui ci riconosciamo e che sentiamo nostri, ed aspetti che
invece ci sembrano straordinariamente lontani ed estranei.
Il genere della nuova epoca: il novel
[L’origine del romanzo] Il termine italiano «romanzo» deriva dall’avverbio latino «romanice», che
letteralmente significa ‘romanicamente’, e che indicava il modo di parlare di chi abitava la
Romània, cioè il territorio corrispondente all’ex impero romano, ormai in mano ai barbari.
«Romaniche» o «romanze» erano le lingue derivate dal latino; successivamente ‘romanzo’ passò a
indicare un’opera scritta in lingua volgare (cioè in lingua romanza e non in latino), quindi la forma
letteraria per eccellenza della produzione in volgare, il romanzo cavalleresco, e, infine, qualsiasi
narrazione in prosa di una certa estensione.
[Novel e romance] Con lo stesso termine, però, noi indichiamo in italiano due forme letterarie molto
diverse tra loro, che in inglese hanno infatti due nomi differenti: da una parte il novel (ossia il
romanzo realistico, che non si discosta dal verosimile e racconta di solito fatti non lontani dalla vita
ordinaria); dall’altra il romance (il romanzo d’avventura, che narra vicende straordinarie o
meravigliose). Mentre il romance ha origini antichissime (i primi romanzi che conosciamo
appartengono alla letteratura greca e sono dei primi secoli avanti Cristo), il novel si afferma
nell’Europa industrializzata a partire da metà Settecento.
[Caratteri del novel] Le caratteristiche essenziali del novel sono:
 La rappresentazione seria e problematica della realtà quotidiana. Prima del Settecento
il sistema dei generi letterari si basava su una rigida divisione degli stili. I generi ‘alti’ (l’epica, la
tragedia) rappresentavano personaggi nobili in un ambiente elevato e astratto. La quotidianità era
ritenuta adatta solo allo stile umile e ai generi comici. Nel novel le vicende quotidiane acquistano
un’importanza fondamentale.
 L’entrata in scena di personaggi umili, descritti con partecipazione e profondità e non
solo come oggetti comici. Cameriere, maggiordomi, pescatori, lavandaie, piccoli commercianti
hanno diritto a essere considerati con attenzione, e le loro vicende possono essere prese sul serio,
al pari di quelle di grandi dame e nobili cavalieri.
 L’inserimento delle vicende romanzesche nella storia. La precisa collocazione storica e
geografica distingue il novel dalle altre forme romanzesche. I personaggi e le loro vicende sono
calati completamente nella storia e sarebbero incomprensibili al di fuori di un determinato
contesto economico e politico.
 La mescolanza degli stili e dei linguaggi. Il romanzo è un genere ‘onnivoro’, in grado di
riutilizzare (e adattare alle proprie esigenze) forme narrative disparate: dalla lettera alla biografia,
dal resoconto di viaggi alla cronaca politica. Nel romanzo viene a cadere la distinzione
tradizionale tra tragico e comico: la stessa opera a volte può suscitare il riso, a volte può far
riflettere seriamente. Cade anche la distinzione tra lingua aulica e linguaggio popolare: nel
romanzo fanno la loro comparsa i dialetti, le parolacce, le espressioni gergali, i termini tecnici dei
diversi mestieri.
Altre forme romanzesche
[La sopravvivenza del romance] Non bisogna tuttavia dimenticare che se il novel è il genere
moderno per eccellenza, accanto ad esso esistono anche altre forme romanzesche. In primo luogo,
romance d’amore e d’avventura, che proseguono la tradizione classica e medievale: storie
mirabolanti di grandi passioni, che si svolgono in uno scenario indistinto e spesso esotico, al di
fuori del mondo borghese in formazione.
[Antiromanzo, romanzi saggio e romanzi filosofici] In secondo luogo, romanzi umoristici o
paradossali, nei quali la vicenda narrata è solo un pretesto e la linearità della trama è sconvolta dal
gusto delle digressioni, dalle riflessioni della scrittura su di sé. Spesso è stata usata per queste opere
la definizione di antiromanzo: il ribaltamento delle convenzioni romanzesche è così radicale che si
passa dal romanzo al suo contrario. Infine, abbiamo i romanzi-saggio: la vicenda narrata serve
come pretesto per riflettere su un determinato argomento, per criticare alcuni aspetti della società
contemporanea, magari a partire da invenzioni paradossali (l’arrivo di un ‘barbaro’ straniero nel
mondo ‘civile’; il viaggio per terre e popoli immaginari). Possono essere ricondotti a questa
categoria anche i contes philosophiques (romanzi filosofici), genere caro agli illuministi: il
racconto, attraverso l’invenzione narrativa, illustra un concetto o un presupposto filosofico (la
critica alla teoria del migliore dei mondi possibili, il mito del ‘buon selvaggio’, la condanna
dell’intolleranza).
Dalla tragedia / commedia al dramma borghese
[La tragedia classica] Nel sistema classico dei generi fondamentale era la distinzione tra tragedia e
commedia. La tragedia era considerata il genere «perfettissimo» per eccellenza, ed era soggetta
ad una serie di norme molto rigide: unità di luogo e di azione, rappresentazione di grandi conflitti
morali e politici, riferimento a modelli lontani dalla quotidianità (derivanti di preferenza dalla storia
greca e romana). Di fatto si trattava di un genere elitario, composto per una cerchia ristretta di
aristocratici, messo effettivamente in scena (quando ciò avveniva) solo nelle corti.
[Il teatro comico e la commedia dell’arte] Lo stesso si può dire della commedia, che spesso non
faceva altro che ripetere – o complicare all’inverosimile – trame del teatro antico. Per contro sulla
scena teatrale vera e propria si era affermata la commedia dell’arte, basata sull’estro degli
attori, che improvvisavano a partire da una traccia scritta (canovaccio).
[La riforma goldoniana] Su questo panorama si innesta la riforma di Carlo Goldoni, che parte
dalla condanna della commedia dell’arte, ma arriva a mettere in discussione la tradizionale
distinzione fra commedia e tragedia. Le opere di Goldoni hanno delle parti innegabilmente
comiche; tuttavia nello stesso tempo riflettono con molta serietà sui valori e sui limiti della nuova
classe emergente, la borghesia. Sulla base della suddivisione canonica, esse sono difficilmente
classificabili: troppo ‘serie’ per essere commedie, troppo ‘umili’ per essere tragedie. Nasce da qui
un nuovo genere, che diverrà dominante nell’Ottocento: il dramma borghese, che può essere
considerato il corrispettivo teatrale del novel. Non più gerarchia degli stili, delle forme, dei temi, dei
linguaggi, ma mescolanza, commistione.
La riforma del melodramma
[La riforma del melodramma a opera di Metastasio] Analoga alla riforma del teatro comico è la
riforma del melodramma, compiuta da Pietro Metastasio nel corso del Settecento. Il
melodramma, nato alla fine del Cinquecento a Firenze, è un genere del teatro musicale fondato sulla
sintesi di azione scenica, parola, canto e musica strumentale; nel corso del tempo la musica si era
affermata a tutto svantaggio del testo e dell’intreccio, subordinati alle esigenze dei musicisti e dei
cantanti. Così come Goldoni, anche Metastasio riparte dalla valorizzazione del testo scritto e ridà
importanza all’azione e alla definizione dei personaggi. I temi sono però del tutto diversi da
quelli della commedia riformata: grandi passioni, tormenti interiori, conflitti tra sentimenti e
valori inconciliabili, amori contrastati e tragici.
[Fortuna del melodramma] Il melodramma diventerà, dalla fine del Settecento in poi, uno dei
generi più popolari: si andava ad assistere alla messa in scena delle opere liriche come oggi si va
al cinema; le arie e le trame più famose erano di dominio pubblico. La fortuna del melodramma è il
rovescio del successo del novel: il novel porta avanti la quotidianità e la vita ordinaria, il
melodramma predilige le situazioni estreme, l’eccesso, i grandi conflitti morali e passionali. Proprio
dal melodramma derivano una serie di temi e di costanti stilistiche (soprattutto il ricorso all’enfasi e
al patetico) che vengono ancora oggi definite, non a caso, ‘melodrammatiche’.
Verso la poesia moderna
[La trasformazione di temi e finalità] Nell’ambito della lirica è difficile evidenziare un momento di
svolta così chiaro, come avviene per la narrativa e per il teatro. Rispetto alla poesia del Seicento e
del primo Settecento, la trasformazione riguarda soprattutto gli aspetti tematici e le finalità dell’atto
poetico. Già nella prima metà del Settecento era stata accanita la polemica contro la poesia del
secolo precedente, accusata di privilegiare situazioni e immagini peregrine e di utilizzare un
linguaggio e uno stile contorti e oscuri, al fine di suscitare la ‘meraviglia’ del lettore. Queste
critiche avevano spinto i poeti a ricercare una maggiore sobrietà di linguaggio e di situazioni,
riscoprendo i modelli dell’antichità classica; ma si trattava ancora di una poesia artificiosa e vuota,
molto lontana dalla realtà. Esempio eccellente di questa tendenza è la cosiddetta poesia
pastorale: gli autori si fingono pastori dell’Arcadia (regione montuosa dell’antica Grecia) e
mettono in scena pastori e pastorelle che confessano pene e gioie d’amore. La poesia del secondo
Settecento parte proprio dal rifiuto di questa poesia d’evasione:
-
-
Il principale obiettivo polemico è la concezione della gratuità della poesia. La poesia
non è fine a se stessa. Non può vivere in un mondo tutto suo, al di fuori della storia e del
presente. Deve confrontarsi con la realtà, calarsi nel mondo reale.
La poesia deve essere espressione di sentimenti ed emozioni autentiche. L’oggetto
privilegiato della poesia è rappresentato dal mondo interiore dell’autore stesso, descritto con
-
immediata e autentica partecipazione. Non più sentimenti finti di personaggi fittizi, ma
sentimenti reali di una persona ‘vera’.
Vengono ampliate le possibilità tematiche della poesia. L’apertura alla realtà e l’interesse
per il mondo interiore determinano un considerevole allargamento dei temi possibili.
[I due filoni: la poesia lirica e la poesia ‘impegnata’] Da queste posizioni emergeranno due filoni
distinti. Da una parte la poesia lirica, che si basa sull’espressione immediata e autentica
dell’interiorità del poeta; è l’inizio di quella che sarà per antonomasia la lirica moderna.
Dall’altra parte abbiamo il filone della poesia più immediatamente impegnata, legata alle istanze
civili e riformatrici dell’illuminismo: poemetti didascalici, odi, poesia satirica. Particolarmente
sentito, in questo secondo caso, è il riferimento alla classicità. La poesia neoclassica fonde alla
perfezione la ripresa dei modelli antichi con l’impegno civile. Entrambi i filoni sono però
accomunati da una medesima concezione stilistica. Lo stile della poesia viene identificato con
l’uso di un linguaggio aulico e lontano dal comune; con la presenza di figure retoriche e di
immagini ‘classicheggianti’; con l’uso di forme metriche precise e consolidate. Solo molto
lentamente questa tradizione sarà superata, e si affermerà la concezione dello stile poetico come
creazione assolutamente individuale e originale.
Trasformazione dello spazio letterario e del sistema dei generi
Novel
Letteratura di viaggio
Romance
Romance
Romanzo epistolare
Romanzo umoristico
De Foe, Montesquieu, Swift,
Goethe, Alfieri, Voltaire
Laclos, Goethe, Foscolo
Voltaire, Montesquieu
Romanzo filosofico
Distinzione tragedia /commedia
Dramma borghese
Opera seria /opera buffa
Mescolanza di caratteri comici
e tragici
Poesia come espressione dell’io
Poesia pastorale e arcadica
Poesia didascalica e impegnata
Goldoni
Mozart
Foscolo, Alfieri
Parini
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