Immanuel Kant

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la mappa del trascendentale: Kant
1. l’intento della filosofia trascendentale
1.1. Ci sono dunque due modi per stabilire quali sono e quali possono essere i contenuti della
conoscenza: 1. esaminarli uno ad uno ... 2. esaminare la mente umana ... Si tratta, in questo secondo
caso, della capacità critica della ragione o della Ragion Critica (criticismo kantiano).
1.2. Kant vuole avviare l’esame preliminare della mente umana e considera tale progetto come
il primo, preliminare e doveroso, impegno della filosofia: «un invito alla ragione di assumersi
nuovamente il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e di erigere un tribunale, che la
garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento, non
arbitrariamente, ma secondo le sue eterne e immutabili leggi; e questo tribunale non può essere se
non la critica della ragion pura stessa» (Kant CRP 7).
1.3. ancora una “rivoluzione copernicana” della filosofia (come della fisica con Galilei)
1.4. il tema del limite, la necessità del limite, il pregio del limite o la storia della colomba lieve.
«La colomba leggiera, mentre nel libero volo fende l'aria di cui sente la resistenza, potrebbe
immaginare che le riuscirebbe assai meglio volare nello spazio vuoto di aria.» (Kant CRP)
1.5. si tratta dell’etica dell’illuminismo: “sapere aude”, la valenza etica del sapere: L’illuminismo
è l’età in cui l’uomo accetta il rischio del pensiero; «il coraggio di far uso del proprio intelletto».
Tuttavia, non età illuminata ma età illuministica.
2. l’impostazione trascendentale della filosofia
2.1. trascendentale come metodo, come obiettivo e come oggetto. «Conoscere qualcosa a priori
significa conoscerla per la sua più pura possibilità». L’indagine è trascendentale in quanto si
occuperà «non tanto di oggetti, quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso
che un tale modo di conoscenza deve essere a priori».
2.2. i tre ambiti dell’indagine trascendentale: «Ogni interesse della mia ragione (così lo
speculativo, come il pratico) si concentra sulle tre domande: che cosa posso sapere? che cosa devo
fare? che cosa posso sperare?». Le tre “critiche” delle tre “facoltà”: della ragion pura (conoscenza),
della ragion pratica (volontà), del giudizio (sentimento).
3. le forme della ragione pura: sensibilità, intelletto, ragione
Esposizione trascendentale delle forme a priori della mente: "altro non è che l'inventario di tutto ciò
che possediamo per mezzo della ragion pura, sistematicamente ordinato"
3.1. estetica trascendentale «Chiamo estetica trascendentale una scienza di tutti i principi a priori
della sensibilità.» (Kant CRP 66-67). Spazio e tempo intuizioni pure; geometria e matematica.
3.2. analitica trascendentale studio delle possibilità conoscitive dell’intelletto, del quadro dei suoi
concetti puri, delle sue forme a priori (le categorie).
3.2.1. le scienze. La conoscenza, considerata nell’intero arco della sua costituzione, si presenta
come un processo di organizzazione progressiva del dato sensibile nell’unità dell’oggetto.
3.3. dialettica trascendentale la ragione è una facoltà sistematica; invita a organizzare i nostri
concetti in modo che si compongano nell’unità organica di un sistema. Tende alla completezza della
conoscenza come al proprio fine naturale; è un obiettivo di cui lo stesso senso comune sembra
essere consapevole quando si esprime con termini che indicano una totalità di dati dell’esperienza
come io, mondo, Dio. Ma, ai termini io, mondo, Dio, spiega Kant, non corrisponde alcun oggetto di
esperienza; essi infatti indicano, nel loro significato, una totalità e unità di dati che l’esperienza non
potrà mai fornire; non sono quindi giustificato dall’esperienza come se si potesse indicare un
oggetto reale che possa corrispondere al loro significato. Tuttavia quei termini sono portatori e sono
espressione della funzione specifica della ragione: esprimono quindi l’obiettivo della ragione al
sistema, sono principi di sistema, punti focali o prospettici di convergenza, idee e non concetti.
4. basi per un’etica autonoma
4.1. una morale autonoma (al singolare). Kant progetta di rifondare la scienza etica sulla sola
ragione umana, l’unica fonte di principi che conferisce all’azione i caratteri di universalità e di
autonomia indispensabili a ogni azione morale; a tale scopo la riflessione morale non parte
dall’analisi dei contenuti delle azioni morali, ma delle condizioni della moralità, poste dal soggetto,
del tutto a priori o trascendentali, poste cioè dalla ragione nella sua destinazione pratica.
L’autonomia della ragione nel determinare l’azione secondo propri principi oggettivi e universali si
fonda sulla libertà; quest’ultima è una condizione a priori della ragione pratica e della volontà etica,
il presupposto indispensabile dell’azione morale; è la capacità di determinarsi antonomamente.
4.2. gli imperativi categorici. I principi della ragione nella sua destinazione pratica (ragion pratica)
sono indicati con l’espressione «imperativo categorico» non perché si impongano come un’autorità
esterna o in forma coercitiva, ma come condizione ideale che non ha altri presupposti e fini
all’infuori di quelli rappresentati dalla realizzazione della natura libera e razionale dell’uomo.
4.3. le tre formule dell’imperativo categorico.
4.3.1. Esso propone di agire seguendo principi universali (il primo comanda: «agisci come se la
massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a una legge universale di natura»),
4.3.2. trattando se stessi e gli altri uomini come fine e mai come mezzo dell’azione che si intende
compiere («agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro,
sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»),
4.3.3. in piena autonomia, come se ciascuno fosse legislatore di sé (la terza formula ricorda: «agisci
in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale»).
4.4. le caratteristiche della morale autonoma fondata sulla ragione pratica universale
4.4.1. Gli imperativi categorici sono formali: forniscono criteri generali di comportamento.
4.4.2. Fondamentale è notare l’incrocio tra imperativo, massima, azione.
4.4.3. Nel secondo imperativo categorico, la distinzione tra mezzi e fini mette a disposizione il
concetto eticamente indispensabile e fondante di una “realtà fine a se stessa”: «Ogni essere
razionale esiste come fine in se stesso»
4.5. fondamento e postulati dell’imperativo categorico
4.5.1. il fondamento nella libertà (legge e libertà, componenti imprescindibili della morale)
4.5.2. l’oggetto dell’imperativo categorico: il sommo bene o l’idea della piena realizzazione della
volontà secondo le indicazioni dell’imperativo categorico; non si tratta di una situazione reale ma di
una prospettiva pratica razionale che sostiene l’azione etica. Implica nella sua nozione alcuni (due)
postulati: l’immortalità dell’anima; l’esistenza di Dio [questo forse il senso della nota e abusata
frase: un cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi]
5. il sentimento: il fine e la bellezza
5.1. Una terza facoltà, il sentimento, conoscenza e morale: la Critica del giudizio, 1790.
5.2. È un principio finalistico con cui il soggetto ordina e organizza la realtà (già definita
conoscitivamente, dalle facoltà della ragione, in giudizi determinanti) in vista di un fine, di una
nuova prospettiva. La finalità come forma trascendentale del giudizio si differenzia analiticamente
tra una finalità soggettiva e una finalità oggettiva. La prima si presenta come principio a priori dei
giudizi estetici di bello e di sublime, la seconda dei giudizi finalistici che esprimono
l’organizzazione della natura secondo un fine (organizzazione teleologica).
5.3. il giudizio riflettente teleologico considera l’ordine naturale che la conoscenza ha delineato
come se fosse fondato sulla tendenza della natura a realizzare un proprio fine interno. La finalità si
dice oggettiva perchè riferita all’oggetto ma costituisce un principio soggettivo e trascendentale del
sentimento e non afferma assolutamente nulla circa una struttura finalistica del mondo in sé.
5.4. il giudizio riflettente estetico basato sulla finalità soggettiva, riguardante il bello e il sublime,
nella natura e nell’arte, deriva dal sentimento di piacere e dispiacere dovuto alla percezione di
un’armonia o disarmonia tra il soggetto (tra le facoltà del soggetto: immaginazione e intelletto) e
l’ordine che egli scorge (la forma) nella natura. La bellezza non è una qualità della realtà, non è un
predicato oggettivo ma nemmeno un predicato o giudizio solo soggettivo; è invece una situazione di
relazione (uno stare in relazione) che poggia sul rapporto dell’oggetto con il soggetto. Il sublime o
la massima espressione del sentimento in cui è essenziale l’illimite, l’infinito. Il sublime nasce da
una asimmetria, una «sproporzione», tra la tendenza dell’immaginazione e la natura della ragione:
«nella nostra immaginazione vi è una spinta a proseguire all’infinito, e vi è invece nella nostra
ragione una pretesa all’assoluta totalità, come ad una idea reale» (Kant CdG, 99).
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