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5) Modello atomico di BOHR
(pag.92 par.3 - parziale- )
PREMESSA: LIMITI DEL MODELLO DI RUTHERFORD
Il “modello planetario dell’atomo” sostenuto da Rutherford si adattava bene a
molti dati sperimentali ma presentava anche dei grossi limiti.
Ciò che venne contestato a Rutherford non era il suo modello, ovvero il fatto che
l’atomo fosse costituito da un nucleo attorno al quale ruotavano gli elettroni, ma le
motivazioni che egli sosteneva per giustificare il fatto che gli elettroni non
cadevano sul nucleo cioè che forza di attrazione elettrostatica fosse bilanciata
dalla forza centrifuga determinata dal moto di rotazione.
In base alle leggi dell’elettromagnetismo infatti, una particella dotata di carica
elettrica che percorre una traiettoria chiusa emette radiazioni elettromagnetiche
perdendo continuamente energia cinetica. Come conseguenza, gli elettroni, a
differenza dei pianeti che non sono carichi, perdendo via via energia cinetica,
dovrebbero rallentare il loro moto circolare ma ciò comporterebbe una
progressiva diminuzione della forza centrifuga che, pertanto, non sarebbe più
sufficiente a controbilanciare l’attrazione esercitata dal nucleo. Gli elettroni quindi,
contrariamente a quanto sostenuto da Rutherford, dovrebbero percorrere orbite
sempre più piccole, cioè una traiettoria a spirale sempre più stretta, fino a cadere
in un decimilionesimo di secondo sul nucleo. In realtà invece gli atomi sono stabili
e i loro elettroni non cadono sul nucleo.
LA TEORIA QUANTISTICA
Per giustificare questa contraddizione, Niels Bohr sostenne che le leggi della
fisica classica ricavate dallo studio dei corpi macroscopici non potevano essere
applicate al movimento di particelle microscopiche e dotate di carica come
l’elettrone e che il modello atomico doveva essere invece interpretato
utilizzando una nuova teoria fisica, proposta nel 1900 dal fisico tedesco Max
Planck, la teoria quantistica.
Secondo la teoria quantistica, in qualunque processo fisico, l’energia (E) non
è emessa in modo continuo, cioè in quantità piccole a piacere, ma sotto forma
di pacchetti costituiti da quantità determinate, definite, di E, dette “quanti”.
Per comprendere questo concetto, si può pensare ai gradini di una scala: per
poter salire un gradino, è necessario utilizzare una quantità di E ben precisa,
una quantità minore non ci consentirebbe mai di alzare il piede di un’altezza
sufficiente: la quantità di E necessaria per salire il gradino, può essere
considerata un quanto di E.
Questa teoria, riguardando ogni forma di E, fu applicata anche alla luce (E
luminosa), il “mezzo” utilizzato da Bohr per studiare la struttura atomica (ancora
oggi, quasi tutto quello che sappiamo sulla struttura elettronica degli atomi
proviene dall’analisi della luce emessa o assorbita dalle sostanze).
LA DOPPIA NATURA DELLA LUCE
(pag.86-90 par.1)
La teoria quantistica ha permesso di attribuire alla luce una doppia natura:
natura ondulatoria e natura corpuscolare, superando le ipotesi precedenti,
secondo cui i fenomeni luminosi venivano spiegati considerando la luce talvolta
in base ad un modello (ondulatorio) e talvolta in base all’altro (corpuscolare).
La diffrazione e l’interferenza sono fenomeni luminosi (derivati dall’interazione
di due raggi luminosi) che si interpretano facilmente utilizzando il modello
ondulatorio.
I fenomeni che derivano dall’interazione della luce con la materia, si
interpretano invece agevolmente scegliendo il modello corpuscolare.
La natura ondulatoria della luce
La luce è un tipo di radiazione elettromagnetica (Maxwell, metà 1800)
La radiazione elettromagnetica è una forma di E che si propaga nello spazio
sotto forma di onde (rapidissima oscillazione di cariche elettriche).
L’insieme delle onde elettromagnetiche costituisce lo spettro
elettromagnetico.
I parametri che caratterizzano le onde elettromagnetiche sono la
velocità, la lunghezza d’onda () e la frequenza ().
La velocità è il parametro che accomuna le onde: nel vuoto esse
viaggiano con v = 300.000 km/s (= c).
La lunghezza d’onda = distanza tra due picchi (massimi o minimi)
successivi, si esprime in metri, nanometri (nm) o in ångstrom (Å).
La frequenza = numero di oscillazioni (max o min) al secondo, si
misura in Hertz (Hz) (1Hz = 1 s-1)
La lunghezza d’onda e la frequenza sono in relazione tra loro
(inversamente proporzionali:  = c /)
Il fenomeno della diffrazione è la prova più evidente della natura
ondulatoria della luce.
Se un fascio di luce attraversa fenditure molto piccole (dimensioni confrontabili
con la  dell’onda luminosa), dopo la fenditura esso non si propaga più in linea
retta ma si allarga a ventaglio (invadendo anche la zona d’ombra) formando
zone chiare e scure alternate dette frange di interferenza.
(interferenza positiva)
scura si forma dove le
onde sono in
opposizione di fase
(interferenza negativa)
La natura corpuscolare della luce
L’effetto fotoelettrico, scoperto dal fisico tedesco Philipp Lenard nel
1902, è la prova che la luce ha anche natura corpuscolare.
Tale fenomeno consiste nell’espulsione di elettroni dalla materia quando
interagisce con la luce.
Dispositivo di rilevamento dell’effetto fotoelettrico
P. Lenard, nei suoi esperimenti misurò sia il numero di elettroni emessi in un
secondo che la loro velocità.
Notò che se utilizzava una radiazione più intensa il numero di e- emessi aumentava
ma non aumentava la loro velocità.
Per aumentare la velocità occorreva utilizzare una radiazione a frequenza
maggiore.
Notò anche che, al di sotto di una frequenza minima, l’effetto fotoelettrico non si
manifestava, anche se la radiazione era particolarmente intensa.
Un tale comportamento non trova spiegazioni in termini ondulatori.
Si spiega, invece, se ciascun raggio di luce viene considerato un insieme di
“pacchetti” di E , tanto più grandi quanto più alta è la frequenza del raggio e
tanto più numerosi quanto più il raggio è intenso.
Affinché gli e- possano essere espulsi dal metallo colpito dalla luce, devono
acquistare l’E necessaria a vincere la forza attrattiva che li lega al metallo stesso:
-se i “pacchetti” di E che arrivano uno dopo l’altro sul metallo, seppur numerosi,
sono troppo deboli, non si ha emissione di e-,
-se l’elettrone, invece, riceve un pacchetto di E abbastanza grande, ne utilizza una
parte per allontanarsi dal metallo e la parte restante per acquisire velocità.
Tanto più è grande il pacchetto di E, cioè maggiore è la frequenza del raggio, tanto
più grande è la velocità con cui l’e- esce dal metallo.
A questi “pacchetti “ di E elettromagnetica è stato dato il nome di fotoni o
di quanti di E luminosa.
La luce e tutte le radiazioni elettromagnetiche sono composte da fotoni
capaci di cedere la loro E agli e- con cui interagiscono.
Secondo la relazione di Planck-Einstein, E e ν sono direttamente
proporzionali:
E=h·ν
dove:
E = energia del fotone
ν = frequenza elettromagnetica
h = costante di Planck ( = 6,63 · 10 -34 J · s)
All’aumentare della frequenza, aumenta l’E trasportata dalla radiazione
elettromagnetica: un fotone di luce rossa ha E minore di un fotone di luce
violetta.
Poichè  = c /: E = h · c /
ovvero all’aumentare della lunghezza d’onda, diminuisce l’E trasportata dal
fotone.
Queste due formule evidenziano i due aspetti della natura della luce:
- nella propagazione e nell’aggiramento di piccoli ostacoli, la luce evidenzia il
suo comportamento ondulatorio, caratterizzato da una certa ν e da una
determinata λ
- nell’interazione con la materia (ed i suoi e-) emerge il suo aspetto
corpuscolare: un raggio di luce si comporta come un insieme di fotoni a
ciascuno dei quali corrisponde una precisa E.
I fotoni sono privi di massa e devono essere considerati “pacchetti di E” e
non “particelle di materia”. Il termine corpuscolare indica quindi soltanto che la
luce ha natura discontinua.
SINTESI teoria quantistica
Secondo la teoria quantistica, la luce e ogni radiazione
elettromagnetica sono costituite da pacchetti di energia, detti
quanti di energia o fotoni. Ad ogni fotone è associata una
determinata quantità di E.
Radiazioni con frequenza maggiore sono formate da fotoni con E
maggiore.
LO STUDIO DELLO SPETTRO ATOMICO
(pag.91 par.2)
Ciò che suggerì a Bohr di utilizzare la teoria quantistica per interpretare la
struttura dell’atomo fu lo studio dello spettro dell’atomo di idrogeno e di alcuni
altri elementi.
Lo spettro è il risultato della scomposizione della luce visibile nelle sue
componenti a differente frequenza (corrispondenti a colori diversi): l’arcobaleno
è uno spettro della luce solare ottenuto quando questa attraversa le goccioline
di acqua presenti nell’atmosfera (fig.3.6 pag.91).
In laboratorio lo spettro è ottenuto facendo passare un raggio luminoso
attraverso un prisma di vetro:
- lo spettro della luce solare, ma anche quello della luce emessa da solidi,
liquidi e gas compressi portati all’incandescenza (quando gli atomi sono
sollecitati da una scarica elettrica o da una fiamma, si eccitano, cioè acquistano
energia che poi rilasciano sotto forma di radiazioni luminose), è uno spettro
continuo, cioè costituito da una serie continua di radiazioni di tutti i colori (come
l’arcobaleno);
- lo spettro dei gas e dei vapori a bassa pressione, se portati ad elevata
temperatura o sottoposti ad una scarica elettrica, è invece uno spettro a righe,
cioè discontinuo, costituito da una successione di righe di colore diverso, ben
separate tra loro.
Lo spettro continuo è una serie di colori che si
susseguono senza discontinuità, tipico dei solidi,
dei liquidi e dei gas compressi (alta pressione)
portati all’incandescenza.
Lo spettro a righe, tipico dei gas rarefatti
sottoposti a scarica elettrica, è formato da righe
colorate discontinue (righe di emissione).
La luce emessa dagli atomi non è continua e
presenta soltanto alcune frequenze, caratteristiche
per ciascun tipo di atomo.
Poiché i gas o i vapori di ogni elemento presentano uno spettro a righe
specifico, diverso da quello di ogni altro elemento, Bohr ipotizzò che ogni
spettro fosse determinato dalla struttura intima dell’atomo che lo produce (lo
spettro di ogni atomo è detto anche spettro atomico), ovvero dal contenuto
energetico degli elettroni in esso presenti.
Inoltre, poiché l’E emessa dagli elettroni è discontinua (come dimostra lo
spettro a righe), Bohr ipotizzò che il contenuto energetico dell’elettrone, allo
stesso modo del contenuto energetico della luce (come formulato dalla teoria
quantistica), fosse quantizzato, cioè potesse avere solo determinati livelli di
energia e non altri.
Per comprendere questo fenomeno si può paragonare l’elettrone ad una
pallina che si sposta da una quota più alta ad una più bassa. Se tale caduta
avvenisse per rotolamento lungo un piano inclinato, l’energia della pallina
diminuirebbe gradualmente in modo continuo, se invece la pallina (ed è ciò
che accade all’e-) è costretta a scendere lungo dei gradini, la sua energia
diminuisce in maniera discontinua.
Il MODELLO ATOMICO DI BOHR
(pag. 92-93 par.3)
In base a queste considerazioni, Bohr elaborò un modello atomico che si basa
sui seguenti postulati:
1) Gli e- percorrono solo determinate orbite circolari a distanze fisse dal
nucleo, chiamate “orbite stazionarie”, ad ognuna delle quali corrisponde
un preciso contenuto energetico: le orbite sono cioè quantizzate.
2) Il valore in pm (1 pm = 10-12 m) dei raggi delle orbite descritte dagli e- è
ricavabile dalla seguente formula:
r = 53 · n2
dove n è un numero chiamato numero quantico principale che
può assumere tutti i valori interi e positivi da 1 a infinito
(n = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, ecc.)
Risolvendo risulta: per n = 1 r = 53 pm ; per n = 2 r = 212 pm;
per n = 3 r = 477 pm, ecc.
All’aumentare di n aumenta la distanza degli elettroni dal nucleo e, di
conseguenza, il contenuto energetico degli e- : il valore di E più basso si ha
quando n = 1, cioè quando l’elettrone occupa l’orbita più vicina al nucleo
(all’aumentare della distanza dell’e- dal nucleo aumenta la sua E potenziale).
L’atomo di Bohr
Le orbite degli elettroni in un atomo sono quantizzate.
Il numero quantico principale n indica il livello energetico associato a ogni
orbita.
Il livello più basso di energia è detto stato fondamentale.
I livelli a energia superiore dello stato fondamentale si chiamano stati eccitati.
3) Quando l’elettrone ruota su un’orbita stazionaria non assorbe e non emette
energia.
4) Un elettrone può passare da un’orbita stazionaria all’altra (transizione
energetica) solo assumendo o perdendo un valore quantizzato di E:
1 fotone per ogni livello, con E corrispondente alla differenza di energia tra
le due orbite.
Non è mai possibile all’elettrone acquistare o perdere quantità di energia
frazionarie e quindi occupare orbite intermedie.
Se l’elettrone acquista E (si dice che passa dallo stato fondamentale a
quello eccitato) si trasferisce su livelli più esterni, se perde E si trasferisce
su livelli più interni ma non potrà mai cadere sul nucleo in quanto l’orbita
corrispondente al livello di E più basso è comunque distante 53 pm dal
nucleo
5) Quando l’elettrone perde E, l’atomo emette una luce caratteristica che, se
appartiene alla parte visibile dello spettro elettromagnetico, compare come
riga colorata nello spettro a righe: nello spettro si vedranno tante righe
quanti sono i salti di livello compiuti. L’emissione di E per ogni specifico
salto di livello corrisponde ad un fotone avente determinata frequenza: a
un salto energetico maggiore corrisponde l’emissione di un fotone avente
frequenza maggiore (vedi anche fig.slide 18).
Ogni transizione dell’elettrone da uno stato eccitato a un livello
energetico inferiore è caratterizzata da una riga nello spettro di
emissione: si registrano quindi tante righe quante sono le transizioni.
L’insieme delle
righe che
compaiono
nella porzione
visibile dello
spettro
dell’atomo di H
è detto serie di
Balmer.
Conclusione atomo di Bohr
Attraverso i suoi studi, Bohr riuscì a spiegare l’emissione degli spettri a righe e
perché soltanto certe radiazioni possono interagire con gli atomi: l’elettrone può
assorbire e poi riemettere solo quantità definite di E.
L’emissione di luce dei gas rarefatti si ha in seguito al trasferimento di energia
dalla luce, dal calore o dalla scarica elettrica, agli atomi che costituiscono il gas:
un fotone che viene assorbito da un atomo, cede tutta la sua energia a uno dei
suoi elettroni che passa a uno stato energetico più elevato.
L’atomo si trova così in uno stato
eccitato che è instabile.
Dopo un intervallo di tempo molto
breve (10-8 s), l’elettrone torna allo
stato fondamentale cedendo
l’energia acquistata, sotto forma di fotoni.
Ad ogni “salto d’orbita” corrisponde
l’emissione di un fotone (transizione energetica).
Il passaggio di un elettrone tra livelli
energetici diversi (il passaggio può
essere diretto, es da E5 a E1 oppure graduale,
es. da E5 a e4, da E4 a E3 ecc) comporta
l’emissione di fotoni con E diversa
e quindi con frequenza e colore diversi.
Nel modello atomico di Bohr le orbite sono rappresentate da circonferenze
concentriche con centro nel nucleo e con raggio crescente al crescere di n.
La configurazione elettronica, cioè la rappresentazione della distribuzione
elettronica dell’atomo di H (Z = 1) allo stato fondamentale, secondo il modello
di Bohr è pertanto la seguente:
l’elettrone si trova al suo livello di
E più basso, cioè alla minima
distanza dal nucleo, ovvero
nell’orbita corrispondente a
n=1
(l’elettrone si trova a livelli
superiori quando l’atomo è
eccitato)
Estensione del modello di BOHR: Modello atomico a livelli (o a strati)
Un’estensione del modello di Bohr, detta anche Modello atomico a livelli o a
strati, permette di rappresentare la configurazione, allo stato fondamentale, di
tutti gli atomi appartenenti ai gruppi A (le prime due e le ultime sei colonne)
della Tavola periodica, applicando le seguenti regole:
- nell’orbita con n = 1 possono essere presenti al massimo due elettroni
- nelle successive orbite possono essere presenti al massimo otto elettroni
- a partire dall’elemento con Z = 31 (Gallio) la configurazione deve essere
disegnata tenendo solo conto del periodo (riga o sequenza orizzontale) e del
gruppo (colonna o sequenza verticale) cui appartiene l’atomo e non del
numero effettivo dei suoi elettroni: il numero del periodo corrisponde al numero
delle orbite (livelli energetici), il numero del gruppo corrisponde al numero
degli elettroni sull’ultima orbita.
Es. Gallio: 4° periodo = 4 orbite (4 livelli energetici)
III gruppo = 3 elettroni nell’orbita esterna
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