Dalla Neolingua di Orwell alle neuroscienze: la relazione tra

annuncio pubblicitario
Dalla Neolingua di Orwell alle
neuroscienze: la relazione tra
pensiero e linguaggio
Secondo Orwell, il linguaggio può controllare il pensiero. La neurologia
tradizionale sosteneva l’esistenza di aree separate per la decodifica del pensiero e
l’elaborazione del linguaggio, ma uno studio recente apre nuove frontiere. Che
relazione esiste tra pensiero e linguaggio?
Se il pensiero distorce il linguaggio, anche il linguaggio è in grado di distorcere
il pensiero.
Nel 1948 George Orwell, con il suo “1984”, stravolgeva completamente l’idea di
linguaggio. L’autore sosteneva che chi avesse il controllo della lingua,
potesse manipolare la Storia, raccontandola a suo modo. La Neolingua
(Newspeak) Orwelliana esemplifica meravigliosamente questo concetto, in
perfetto contrasto con l’idea classica e abituale che il linguaggio sia un mezzo per
comunicare il pensiero.
In 1984, invece, la Neolingua, oltre che fungere da veicolo per la trasmissione del
pensiero dominante, è utilizzata dal Partito per impedire qualsiasi altra forma
di pensiero. Di fatto, Orwell propone un processo inverso di relazione tra
pensiero e linguaggio. Non è quest’ultimo espressione del pensiero, ma è il
linguaggio stesso a modificare idee e concetti nella mente umana.
L’interessante riflessione di Orwell circa la materia linguistica ben si sposa con la
visione neuroscientifica tradizionale del linguaggio. Già sul finire dell’XIX
secolo, infatti, erano stati individuati due centri cerebrali del linguaggio,
con funzioni ben distinte: uno serviva per comprendere e uno per elaborare il
linguaggio. Nella visione Orwelliana, potremmo arrivare a distinguere un centro
dedicato alla decodifica da linguaggio a pensiero (comprensione) e uno per
tradurre in linguaggio il pensiero neonato (elaborazione).
Carl Wernicke e Paul Broca sono riconosciuti come i due pionieri grazie ai quali
furono individuati questi centri. A entrambi i neurologi, infatti, oggi vengono
attribuite le due zone cerebrali fondamentali per il linguaggio: l’area di Wernicke
e quella di Broca.
Quella di Wernicke era specializzata nella comprensione del linguaggio, mentre in
quella di Broca avveniva la produzione delle parole. Un fascio nervoso
collegava le due aree, permettendo l’uso del linguaggio così come lo
conosciamo. Lesioni specifiche di un’area portavano a disturbi del linguaggio
tipici.
Per esempio, una perdita di funzione dell’area di Broca non permetteva al
paziente di articolare un discorso, pur comprendendo tutto ciò che udiva. Un
danno all’area di Wernicke, invece, impediva proprio la comprensione delle
parole. Le conoscenze neurologiche attuali, però, smentiscono questa
netta separazione di compiti tra le due zone del cervello.
Uno studio della Northwestern University, pubblicato sulla rivista scientifica
Brain, ha svelato interessanti particolari sulle afasie (disturbi del linguaggio). In
particolar modo, sono stati esaminati pazienti affetti da PPA (afasia primaria
progressiva), una malattia degenerativa dell’abilità e della comprensione
linguistica.
Attraverso strumenti di neuro-imaging è stato evidenziato come solo parte dei
pazienti presentasse una lesione dell’area di Wernicke. Inoltre, la perdita di
comprensione in alcuni casi era limitata solo a intere frasi, mentre le singole
parole potevano essere capite.
I ricercatori hanno poi notato come siano lesioni a un’altra area del cervello a
determinare il deficit di comprensione delle parole, un’area molto vicina a quella
di Wernicke. La scoperta più innovativa di questo studio, infine, è
l’importanza di un fascio di connessione tra l’area appena individuata e
quella di Wernicke. Qualora in un soggetto fossero funzionanti anche entrambe le
zone cerebrali, ma questo fascio presentasse dei danni, ecco che sorgerebbero
comunque disturbi del linguaggio.
La novità, dunque, dello studio della Northwestern University è l’esistenza di un
insieme di aree coinvolte nella gestione del linguaggio, in continuo scambio d’
informazioni. Molto probabilmente ognuna svolge più compiti, in modo da
convogliare l’attività delle altre zone. Più che le singole aree, è fondamentale
la rete di connessioni tra esse.
Ancora oggi, però, le conoscenze neurologiche sul linguaggio sicuramente non
sono sufficienti a spiegare la potente e misteriosa relazione tra il pensiero e la sua
traduzione in parole. In 1984, Orwell aveva già espresso quanto questa unione
fosse importante, tanto che nelle intenzioni del Partito:
Si sperava, da ultimo, di far articolare il discorso nella stessa laringe, senza che
si dovessero chiamare in causa i centri del cervello.
REFERENZE
Gozzano G. (2015), La mappa del cervello in “Mente e cervello” , Numero 128.
Milano, Italia. Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A.
Scarica