Terenzio Maccabelli I FONDAMENTI “NATURALISTICI” DELLA CURVA DEI REDDITI: L’ANTROPOLOGIA SOCIALE DI PARETO DSS PAPERS STO 2-03 INDICE Avvertenza ................................................................................... Pag. 4 Abbreviazioni ...................................................................................... 4 1. Introduzione ......................................................................................... 5 2. Razze e disuguaglianze sociali: l’influsso dell’“antroposociologia” 9 3. L’eterogeneità sociale ....................................................................... 23 4. La selezione sociale ........................................................................... 28 5. La selezione e la forma delle gerarchie sociali ............................... 32 6. L’antropologia delle élite .................................................................. 38 Avvertenza Il presente scritto è una versione preparatoria di un lavoro più complesso dedicato al pensiero di Pareto su gerarchie sociali e disuguaglianze economiche. Rappresenta in particolare un capitolo, ancora molto provvisorio, di collegamento tra i capitoli dedicati agli aspetti economico-statistici della curva dei redditi, sviluppati da Pareto nelle opere precedenti il 1900, e quelli dedicati alla teoria sociologica delle élite, approfondita soprattutto nel Trattato di sociologia generale del 1916. Il lavoro complessivo intende mostrare come la riflessione sociologica e politica si innesti progressivamente su quella economica e statistica, ma sempre nell’ambito di una unitarietà di fondo che caratterizza la concezione paretiana della scienza sociale. I temi interconnessi della distribuzione della ricchezza e delle gerarchie sociali rappresentano infatti a nostro parere esempi emblematici di come Pareto abbia tradotto la propria concezione della “scienza sociale” come “storia naturale delle società umane”. In questo paper, per i motivi sopra detti, questa unitarietà risulta sacrificata, in quanto si affrontano soltanto gli aspetti antropologici del pensiero di Pareto. Si è cercato comunque, per quanto possibile, di rendere il presente scritto autonomo e indipendente rispetto alle rimanenti parti del lavoro. Abbreviazioni Cours: V. PARETO, Cours d’économie politique, vol. I-II, F. Rouge, Lausanne, 1896-1897, trad. it. Corso di economia politica, Einaudi, Torino, 1943. Systèmes: ID., Les systèmes socialistes, Cours professé à l’Université de Lausanne, vol. I-II, Giard & Brière, Paris, 1901-1902, trad. it. I sistemi socialisti, Utet, Torino, 1987. Manuale: ID., Manuale di economia politica con una introduzione alla scienza sociale, Società Editrice Libraria, Milano, 1906, rist., Cedam, Padova, 1974. Trattato: ID., Trattato di Sociologia Generale, Barbera, Firenze, 1916, Edizione critica a cura di G. Busino, Utet, Torino, 1988. 1. Introduzione Per me la scienza sociale è la storia naturale delle società umane. L’economia politica è, all’incirca, la scienza che studia le funzioni di nutrizione di quegli aggregati. (V. Pareto a F. Papafava, 10 febbraio 1897). I contributi di Pareto riguardanti la distribuzione della ricchezza e le gerarchie sociali sono notoriamente tra i più rilevanti nell’ambito della sua complessa e multiforme produzione. Questi argomenti hanno alimentato una vastissima letteratura, tanto sul piano teorico quanto storiografico. Anche solo scorrendo i titoli di questa sconfinata bibliografia si evince immediatamente però la totale separazione tra l’aspetto economico-statistico della celebre “curva dei redditi”, strumento ideato da Pareto per studiare la distribuzione della ricchezza, e la componente politico-sociologica della circolazione delle élite, teoria utilizzata per spiegare i movimenti interni alle gerarchie sociali. Questa separazione è frutto evidentemente della specializzazione disciplinare sempre più spinta che si è imposta nell’ambito delle scienze sociali, che ha consolidato l’immagine di un Pareto economista distinto e diverso dal Pareto sociologo. La teoria paretiana della stratificazione sociale viene così solitamente indagata o esclusivamente in chiave economicostatistico, scindendola dall’orpello sociologico che la circonda, oppure solo in chiave politologica, e in questo caso trascurando le fondamenta statistiche ed economiche che la supportano. In questo lavoro cercheremo di focalizzare l’attenzione sull’aspetto che riteniamo possa essere considerato una sorta di ponte tra la componente I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 5 economico-statistica della curva dei redditi e la teoria sociologica della circolazione delle èlite. A nostro avviso questo ruolo è giocato dalle concezioni antropologiche di Pareto, che svolgono un ruolo decisivo nel Cours, nei Systèmes e nel Manuale (anche se molto meno, invece, nel Trattato). L’antropologia di Pareto è peraltro legata alla controversa questione dello statuto scientifico della “legge dei redditi”: formula “empirica”, legge “statistica” o legge “naturale”? Su questo terreno Pareto si muove con una certa ambiguità, dando risposte non sempre concordanti. La cautela con cui invita a guardare alle regolarità statistiche non lo esime infatti dall’attribuire alla propria legge lo status di legge “naturale”. Scrive ad esempio nel 1896 che i dati statistici rilevano “la presenza di una legge naturale secondo la quale i redditi tendono a distribuirsi” nella società, ritenendo siano sufficienti per “rigettare interamente la teoria della casualità”1. E aggiunge nel 1897 che “non c’è forse altra legge statistica che abbia in suo sussidio tanta e tale compia di fatti come ne ha la legge delle entrate”2. Le ragioni che spingono Pareto ad assegnare alla legge dei redditi lo status di legge naturale sono solo in parte economiche. L’invariabilità nel tempo e nello spazio della forma delle gerarchie sociali – e della conseguente disuguale distribuzione della ricchezza – viene infatti dedotta da Pareto chiamando in causa proprio l’antropologia. Il “naturalismo” dell’autore del Cours nasce su questo terreno, dal fatto cioè che egli rigetta – o comun 1 V. PARETO, La courbe de la répartition de la richesse, Université de Lausanne, recuéil publié par la faculté de Droit à l’occasion de l’exposition nationale suisse, Geneve 1896, Ch Viret-Genton, Losanna, 1896, trad. it. La curva della distribuzione della ricchezza, in M. Baldassari, P. Ciocca (a cura di), Radici della scuola italiana di economica e finanza. Da Ferrara (1857) a Einaudi (1944), “Rivista di politica economica”, a. LXXXVII, nn. 8-9, 1997, p. 649. 2 V. PARETO, Aggiunta allo studio sulla curva delle entrate, “Giornale degli economisti”, a. VIII, vol. XIV, n. 1, 1897, p. 26. 6 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi que ridimensiona in misura sensibile – i fattori socio-istituzionali, scegliendo invece di puntare sulle caratteristiche “antropologiche” della natura umana. Egli riconosce infatti tre potenziali “cause” che potrebbero spiegare l’uniformità individuata nella distribuzione della ricchezza: 1) il “caso”; 2) l’“organizzazione sociale”; 3) la “natura degli uomini di cui la società si compone”. Le prime due possibilità vengono però accantonate3, a vantaggio della terza che si presenta a tutti gli effetti come il nucleo centrale della teoria paretiana delle gerarchie sociali. L’argomentazione di Pareto si sviluppa attorno a due concetti fondamentali: l’“eterogeneità sociale” e la “selezione sociale”. Le fonti da cui Pareto attinge nel proporre tali concetti sono espressamente dichiarate: si tratta in particolare di Otto Ammon e di Georges Vacher de Lapouge, esponenti di punta di una propaggine del darwinismo sociale piuttosto influente negli anni a cavallo del Novecento. Dei rapporti di Pareto con questi autori non si conosce però molto. Lo stesso economista di Losanna è piuttosto sfuggente al riguardo. Nel Cours d’économie politique e nei Systèmes socialistes essi sono frequentemente citati, con un singolare miscuglio di riverenza e disapprovazione; e in diverse circostanze egli dichiara il proprio debito intellettuale nei loro confronti. Ma se, da una parte, non si può negare un’eccessiva benevolenza da parte di Pareto nei confronti di Ammon e Lapouge, propugnatori di discutibili concezioni sociali, dall’altro è indubitabile che egli evochi le loro teorie per poi 3 L’esclusione del “caso” poggia sulla diversa natura della curva del reddito e della curva casuale degli errori, divergenza che Pareto dimostra nella nota matematica del paragrafo 87 del Cours (cfr. Cours, vol. II, p. 348). Per quanto riguarda invece l’idea che siano i meccanismi istituzionali a regolare le modalità di ripartizione del reddito, questa viene esclusa in quanto contraddetta dalla circostanza che la medesima curva si ripresenta nelle più diverse organizzazioni sociali, lontane sia nel tempo che nello spazio (cfr. ibid., p. 344). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 7 prenderne risolutamente le distanze. Non è poi secondario il fatto che nel Trattato di sociologia generale egli rinunci definitivamente alla loro sconveniente presenza. Uno sguardo alle concezioni di Ammon Lapouge appare a questo punto doveroso, prima di vedere quanto effettivamente Pareto abbia tratto da questi autori. 8 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 2. Razze e disuguaglianze sociali: l’influsso dell’“antroposociologia” I piuoli superiori della scala dissero agli inferiori: “non crediate di essere uguali a noi. Voi state nel fango mentre noi ci libriamo negli spazi. La nostra gerarchia, creata dalla natura, fu consacrata dal tempo ed è pertanto legittima”. Un filosofo, che passava di là, udito codesto fine ragionamento, sorrise e capovolse la scala (H. Heine). Ammon e Lapouge costituiscono personaggi “scomodi” nella storia delle scienze sociali, tanto da essere poco menzionati – se non addirittura dimenticati – non solo dalle storie dell’economia politica ma anche dalle storie dell’antropologia o della sociologia. Negli anni a cavallo del Novecento la loro rilevanza era tuttavia notevole, e i loro scritti avevano eco su riviste di varie discipline scientifiche. I due studiosi sono in effetti difficilmente classificabili dal punto di vista strettamente disciplinare, avendo operato in una nebulosa zona di confine tra antropologia e sociologia. Il loro progetto scientifico era in verità volto alla costruzione di una nuova branca del sapere, per la quale avevano coniato le espressioni di “antropologia sociale” o “antroposociologia”4. Per capire l’humus su cui prendono corpo le teorie di Ammon e Lapouge è necessario tenere conto di quattro fondamentali idee che si fanno largo nelle scienze sociali dell’Ottocento, in vario modo riguardanti la con 4 “This new school, or new science […], has been called by its creators Anthroposociology, or Social Anthropology, and it is already promulgated by numerous champions, among whom Lapouge in France and Ammon in Germany occupy positions of special prominence” (A. LORIA, Social Anthropology. A review, “American Anthropologist”, n.s., vol. I, n. 2, Apr. 1899, p. 283). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 9 cezione della natura umana. Per prima cosa, è da ricordare il radicale mutamento che si registra nella letteratura antropologica, verso la metà del XIX secolo, in merito a quello che nel Settecento – da autori pur tanto diversi tra loro come ad esempio Burke, Rousseau o Smith – era ritenuto un principio indubitabile, cioè l’uguaglianza naturale degli esseri umani. La disuguaglianza – tanto da coloro che la condannavano tanto da quelli che la legittimavano – veniva infatti concepita come un fatto “sociale”, ossia il prodotto esclusivo dell’evoluzione storica5. “Intorno alla metà del diciannovesimo secolo”, invece, come ha osservato M. Harris, non c’era ‘verità’ più ‘autoevidente’ del fatto che gli uomini siano stati creati disuguali. Nessuna ‘verità’ esercitò mai un’influenza più dannosa sullo sviluppo della scienza sociale. Il determinismo razziale fu la forma che assunse l’avanzante onda della scienza della cultura mentre si frangeva sulle rive del capitalismo industriale6. L’origine dell’antropologia sociale, a detta dei loro stessi fondatori, rimanda proprio alla scoperta delle differenze e delle gerarchie tra le razze, così come formulata tra il 1853 e il 1855 dal conte di Gobineau nell’Essay sur l’inegalité des races humaines. Un secondo tassello necessario all’edificazione della antroposociologia, ancora assente nella costruzione di Gobineau, era l’idea che le differenze qualitative tra gli individui potessero essere trattate alla stregua dei dati quantitativi. Alla nascita dell’antropologia sociale contribuiva in modo decisivo proprio lo straordinario perfezionamento dei metodi statistici che si stava registrando nel periodo, reso peraltro possibile anche grazie alla loro applicazione nel campo dei fenomeni sociali. 5 Ciò che divide gli autori ricordati è il giudizio sull’esito di tale processo, se cioè la creazione della disuguaglianze sia stato un fatto positivo per la civiltà oppure no, ma non l’uguaglianza originaria degli esseri umani. 10 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi Tra i primi a dimostrare le enormi potenzialità dello strumento statistico in tale ambito d’indagine erano stati soprattutto Quetelet e Galton. Nelle Lettres sur la thèorie des probabilités Quetelet aveva individuato nelle celebre curva “normale” di frequenza lo strumento statistico attraverso il quale rappresentare la distribuzione delle attitudini umane, ossia la progressiva riduzione della proporzione dei “talenti” e “degli “inetti” ai due estremi e la concentrazione della popolazione sul carattere medio; Galton, da parte sua, oltre a insistere sulla distribuzione “normale” delle attitudini umane, aveva indicato che le qualità mentali, non meno di quelle fisiche, sono soggette ai principi dell’eredità biologica7. Ed è appunto questo il terzo pilastro della antroposociologia, l’idea cioè dell’ereditarietà delle attitudini umane, siano esse positive o negative. Per ultimo è da ricordare il concetto di “selezione sociale”, emulo della selezione darwiniana, al quale gli antroposociologici ricorrono in modo massiccio nelle loro opere. Queste quattro intuizioni – la disuguaglianza “naturale” degli individui e delle razze, la misurabilità dei caratteri qualitativi, l’ereditarietà degli stessi e l’idea di selezione sociale – venivano poi racchiuse entro un quadro concettuale costruito attorno alla distinzione formulata da Galton tra “nature” e “nurture”8, funzionale alla tesi 6 7 8 M. HARRIS, L’evoluzione del pensiero antropologico. Una storia della teoria della cultura, Mulino, Bologna, 1971, p. 109. J.A. FIELD, The Progress of Eugenics, “The Quarterly Journal of Economics”, vol. XXVI, November, 1911, p. 5 e p. 6. Cfr. F. GALTON, Hereditary Talent and Character, “Macmillan’s Magazine”, vol. XII, June; August 1865, considerato il punto di partenza della letteratura “eugenetica”, e il successivo Hereditary Genius pubblicato nel 1869, dove viene ribadita la tesi fondamentale dell’ereditarietà delle abilità, supportata da un’abbondante materiale genealogico sulla storia delle famiglie degli uomini di genio. “Nature is all that a man brings with himself into the world; nurture is every influence from without that effects him after his birth” (F. GALTON, Englihs Men of Science: their Nature and Nurture, London, 1874, p. 12). La stessa distinzione comare anche in ID., Hereditary Improvement, “Frasers Magazine” January, 1873, p. 116 (cfr. Grieg, p. 14). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 11 della supremazia della prima sulla seconda, ossia dei “caratteri innati” rispetto alle successive acquisizioni dall’ambiente sociale. Ammon e Lapouge costruiscono l’antropologia sociale raccogliendo fermenti dottrinari ormai diffusi nell’intellighenzia europea, grazie “alla fortuna letteraria delle idee volgarizzate da Gobineau”9, ma dando alle stesse una bardatura scientifica molto più potente. I due antropologi traducono la “verità autoevidente” della disuguaglianza originaria in una teoria sociale dagli espliciti contenuti razziali; inoltre, appoggiandosi ai dati oggettivi dell’indagine empirica e avvalendosi delle più moderne tecniche statistiche introdotte nelle scienze sociali da Quetelet e Galton, elaborano una complessa teoria sociale che incorpora i problemi dell’eredità genetica, della selezione naturale, della stratificazione sociale e dell’organizzazione politica10. A questa ambiziosa costruzione dottrinaria viene dato il nome, come anticipato, di “antroposociologia” o anche “antropologia sociale”11. Presupposto delle teorie di Ammon e di Lapouge è, da un lato, che le qualità umane – “genio”, “intelligenza”, “abilità”, ecc. – siano misurabili e, dall’altro che queste stesse qualità siano “innate” e trasmissibili attraverso 9 Cfr. M. BATTINI, L’ordine della gerarchia. I contributi reazionari e progressisti alle crisi della democrazia in Francia, 1879-1914, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p. 196. 10 Sui due fondatori della antropo-sociologia, cfr. W. STARK, Natural and Social Selection, in M. Banton (ed.), Darwinism and the Study of Society. A Centenary Symposium, London, 1961. Su Lapouge, in particolare, cfr. J. M. HECHT, The Solvency of Metaphysics. The Debate over Racial Science and Moral Philosophy in France, 18901919, “Isis”, vol. XC, n. 1, Mar. 1999, pp. 1-24; A. BEJIIN, Le Sang, le sens et le travail: George Vacher de Lapouge, Darwinist social, Fondateur de l’anthroposociologie, “Cahiers internationaux de sociologie”, vol. LXXIII, 1982, pp. 323-343. 11 “The establishment of anthro-sociology as a distinct branch of investigation – scrive Lapouge – dates from my lectures at the University of Montpellier (1886-1892) and from the publication by Ammon of his researches on the conscripts of Baden” (G. VAUCHER DE LAPOUGE, The fundamental laws of anthropo-sociology, “The Journal of Political Economy”, vol. VI, n. 1, Dec. 1897, pp. 54-92. 12 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi l’eredità. Su questo terreno i due autori non fanno che radicalizzare gli esiti delle ricerche di Quetelet e Galton. Fanno però un passo ulteriore, associando le diverse attitudini ad alcune tipologie razziali, per sottolineare il ruolo del fattore etnico nell’evoluzione delle società umane. Le differenze qualitative tra gli individui vengono ricondotte a un dato oggettivo quantificabile: l’indice cefalico12. In base ad esso vengono identificate tre fondamentali tipologie razziali – l’Homo Europaeus, l’Homo Alpinus e l’Homo Meditteraneus – il primo dolicocefalo biondo (dalla testa stretta e lunga) e i secondi brachicefali bruni. A ciascuno di essi vengono associati particolari “caratteri” e “predisposizioni” attraverso cui spiegare il loro diverso atteggiamento “sociale” e “culturale”. L’Homo Europeus, chiamato anche ariano da Lapouge e teutonico da Ammon, sarebbe attivo, intraprendente e ambizioso, con uno spiccato orientamento migratorio e un’attrazione irrimediabile per la vita urbana; l’Homo Alpinus e l’Homo Meditteraneus sarebbero invece più stanziali, concentrati maggiormente nei centri agricoli e poco propensi al mutamento e all’innovazione. Da questi presupposti vengono derivate le “leggi fondamentali” dell’antropologia sociali, le più importanti delle quali affermano che, dove le diverse tipologie razziali convivono, i dolicocefali occupano i gradini più alti delle gerarchie sociali e possiedono una maggiore proporzione di ricchezza e, più in generale, che l’indice cefalico delle classi elevate è minore di quello dei ceti inferiori13. 12 Calcolato comparando la larghezza e la lunghezza della testa. La nozione di “indice cefalico” si ricollega alla “frenologia” di Lavater e di Gall, anche se la sua introduzione intorno al 1845 ad opera dello scienziato svedese André Retzius è inizialmente per fini critici nei confronti dei frenologi (cfr. L. POLIAKOV, Le myithe aryen, Calmann-Lévy, 1971, trad. it. Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi, Editori Riuniti, Roma, 1999, p. 299). 13 Cfr. G. VAUCHER DE LAPOUGE, The fundamental laws of anthropo-sociology, cit., p. 61 e p. 87: “Laws of the distribution of wealth. In country inhabited jointly by Homo Europeus, the former element posses more than its proportionate share of wealth. […] I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 13 Lo sbocco delle ricerche di Ammon a Lapouge sul piano economicosociale è facilmente intuibile: la gerarchia sociale non fa che riprodurre le differenze originarie degli esseri umani; l’ambiente, l’educazione e in genere l’organizzazione sociale non possono fare nulla nei confronti di una differenziazione che proviene dalle inesorabili leggi della “natura”. La stratificazione sociale ed economica illustrata dalla statistica dei redditi è quindi il riflesso della diversa dotazione “genetica” degli individui in fatto di intelligenza e abilità. Al riguardo Ammon propone quello che è forse il primo tentativo di dimostrare la coincidenza tra la “curva dell’intelligenza” e la “curva della ricchezza”, avvalorando un’ipotesi già sostenute in precedenza da Galton ma senza il necessario supporto delle statistiche dei redditi. L’antropologo tedesco aveva infatti esortato a estromettere dall’immaginario sociale l’idea della piramide; questa avrebbe dovuto essere sostituita da una figura simile alla “cipolla” come quella sottostante, la “vera” forma appunto della “piramide sociale”. Laws of stratification. The cephalic index is lower and the proportion of dolichocephalic greater among the higher classes than among the lower classes in each community”. 14 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi In questo modo Ammon, richiamandosi alle ricerche di Galton, aveva voluto sottolineare l’andamento simmetrico della struttura sociale, con un ridotto numero di geni e di inetti ai due estremi e una concentrazione nella zona mediana della mediocrità. Il passo successivo compiuto da Ammon consisteva nel mostrare come anche la distribuzione della ricchezza avesse un andamento analogo a quello rilevato nella distribuzione delle attitudini umane. Scrive infatti l’antropologo tedesco che “due verità” scaturiscono dal confronto delle due curve: (1) that the form of the curve of incomes (except at the base) very nearly coincides with Galton’s curve of the distribution of ability; and (2) that the income curve is not symmetrical above and below but corresponds more nearly to what we have called the “true form of the social pyramid” […], which like the income curve, stands upon a horizontal base line14. Altro concetto cardine degli antropo-sociologi è quello di “selezione sociale”, i cui fini principali sono, da una parte, di eliminare gli individui degeneri e, dall’altra, di perfezionare gli elementi superiori. La selezione, chiarisce Lapouge, è una delle parole chiave dell’antropologia sociale, il cui motto “Determinismo, Disuguaglianza e Selezione”, in ossequio alla rivoluzione darwiniana, doveva sostituire quello illuministico di “Libertà, Eguaglianza e Fraternità”15. 14 15 O. AMMON, Some social applications of the Doctrine of Probability, “The Journal of Political Economy”, vol. VII, n. 2, mar. 1899, p. 226, trad. ing. parziale di ID., Die Gesellschaftsornung und ihre natürlichen Grundlagen, Jena, 1896. “The naturalness of human inequality seemed to him a major implication of Darwinism, and he praise Royer for being among the first to note this” (L.L. CLARK, Social Darwinism in France, cit., p. D1039). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 15 Non sempre tuttavia la selezione opera nella direzione voluta: una delle maggiori ossessioni della letteratura antroposociologica è il rischio di degenerazione degli individui scelti. Ai loro occhi, infatti, nella società moderna operano processi sociali che tendono a eliminare gli elementi “superiori” e a moltiplicare gli “inferiori”16, invertendo il fine della selezione di perfezionare lo “stock razziale” dell’umanità17. Nell’opera Les sélections sociales del 1896, Lapouge sosteneva infatti che la contaminazione razziale avrebbe avuto effetti nefasti18. Gli elementi brachicefali, per quanto “‘inferiori’ per grado di civiltà”, possedevano una maggiore forza riproduttiva, che gli avrebbe permesso di “soppiantare i dolicocefali, attraverso una selezione di ordine complesso, biologico e insieme 16 17 18 16 Pur con differenti punti di vista sul modo di operare della selezione naturale, questo pericolo attraversa l’opera sia di Ammon che di Lapouge (cfr. R.A. NYE, The BioMedical Origins of Urban Sociology, “Journal of Contemporary History”, vol. XX, n. 4, Oct. 1985, p. 666). Misurando l’indice cefalico di un vasto campionario di popolazione, Ammon giunse alla conclusione che la tipologia “teutonica” caratterizzata da individui “long-headed” fosse irrimediabilmente attratta dalle città, e perciò soggetta al deterioramento fisico e morale derivante dalle condizioni di vita urbane (Grieg, p. 58). Quasi contestualmente Lapouge, nel libro Les sélections sociales del 1895, aveva tracciato le linee di una storia naturale delle razze, sottolineando come su queste avesse agito la guerra, la vita politica ed economica, la religione e il diritto. Lo sbocco di questo affresco storico era una teoria del miglioramento razziale da realizzare attraverso la selezione sociale (Grieg, p. 59). “Vacher de Lapouge also deplored the fact that in modern society artificial constraints interfered with the process of natural selection and thereby, he alleged, contributed to racial degeneration. Like the English eugenicist Francis Galton, he proposed to reverse this trend by preventing unfit human specimens from reproducing and encouraging the physically fit to do so” (L.L. CLARK, Social Darwinism in France, “The Journal of Modern History”, vol. LIII, n. 1, mar. 1981, pp. D1039D1040). G. VACHER DE LAPOUGE, Les sélections sociales, Paris, 1896, p. 488 ; G.L. MOSSE, toward the Final Solution. A History of European Racism, Haward Ferting, New York, 1978, trad. it., Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto, Laterza, Bari, 1980, p. 68. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi sociale”19. Un esempio storico di questo tipo era dato dalla Rivoluzione francese: Il fallimento della Rivoluzione – scrive Lapouge – è strepitoso […]. Questa è stata prima di tutto la sostituzione del brachicefalo al dolico-biondo nella detenzione del potere. […] Attraverso la Rivoluzione il brachicefalo ha conquistato il potere, e con un’evoluzione democratica questo potere tende a concentrarsi nelle classi inferiori, le più brachicefali. L’ariano quale l’ho definito è tutt’altra cosa, è l’Homo Europeaus, una razza che ha fatto la grandezza della Francia e che presso di noi è oggi rara e quasi estinta20. Come si vede, c’è nella concezione di Lapouge un’idea dell’“avvicendarsi” tra elementi superiori e inferiori che avrà un’influenza molto forte su Pareto, il quale riuscirà comunque a stravolgerne il significato estromettendo ogni contenuto razziale. Nelle mani di Lapouge, invece, la teoria dell’eterogeneità e della selezione sociale ha uno sbocco ineluttabile, facendo da anticamera al nazionalsocialismo e alla “soluzione finale”. Condizione per la rigenerazione della società, infatti, era “la formazione di una nuova élite politica prodotta dalla selezione razziale”. Inoltre, questa produzione di “eugenici” di matrice ariana, avrebbe dovuto essere accompagnata dall’eliminazione fisica dei soggetti “inferiori”21. Si tratta di quella forma di selezione che Pareto, con atteggiamento critico, definirà “diretta”. Tanto Ammon quanto Lapouge erano infatti convinti che si potesse assecondare l’opera di selezione dei soggetti inferiori istituendo particolari luoghi di attrazione – dove distribuire alcool gratuito, diffondere il vizio e favorire il libertinaggio – in modo da concen 19 M. BATTINI, L’ordine della gerarchia, cit., p. 199. G. VAUCHER DE LAPOUGE, L’Aryen, son rôle social, Paris, 1899, p. VII, 22 e 464, cit. in L. POLIAKOV, Le myithe aryen, cit., p. 305. 21 Cfr. M. BATTINI, L’ordine della gerarchia, cit., pp. 200-201. 20 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 17 trare gli individui degeneri e poi farli “sparire”22. Tale progetto non avrebbe però mai potuto realizzarsi nell’ambito di un’organizzazione liberale della società, la quale doveva perciò lasciare il posto a un modello dirigistico e centralizzato di socialismo di stato finalizzato a porre in essere i veri principi della gerarchia sociale. “Sostituire l’umanità attuale con una razza unica e perfetta” richiede infatti, scrive Lapouge, “quasi necessariamente, un regime socialista, e da ciò deriva un’altra difficoltà: il socialismo si è mostrato, fino ad ora, prevalentemente livellatore e peggiorativo”23. Anche questo aspetto attirerà l’attenzione di Pareto, il quale avrà modo, commentando questo brano, di estendere la propria critica a tutte le manifestazioni del socialismo. Ma prima di vedere la riflessione di Pareto su questi temi, è importante sottolineare la considerazione dell’antropologia sociale alla fine dell’Ottocento, ritenuta da molti contemporanei di Ammon e Lapouge una dottrina “scientifica”, “erudita” e “rivoluzionaria”24. “Sfogliando le riviste e le pubblicazioni scientifiche dell’epoca ci si convince che l’‘antroposociologia’ […] era presa molto sul serio. Certo Lapouge faceva scuola soprattutto in Germania, dove Guglielmo II vedeva in lui ‘l’unico grande uomo francese’; ma egli ebbe anche dei fautori negli altri paesi europei”25. Un segno dell’incredibile diffusione dell’antropologia sociale è l’eco di tale dottrina sulle maggiori riviste economiche, alimentata da una martellante campagna pubblicistica condotta da Carlos C. Closson. L’economista di Chigago divulga le teorie antropo-sociologiche non solo traducendo sulle 22 G. VACHER DE LAPOUGE, Les sélections sociales, cit., p. 471 ; M. BATTINI, L’ordine della gerarchia, cit., p. 201. 23 G. VACHER DE LAPOUGE, Les sélections sociales, cit., p. 480 e segg. ; M. BATTINI, L’ordine della gerarchia, cit., p. 202. 24 Cfr. J. M. HECHT, The Solvency of Metaphysics. The Debate over Racial Science and Moral Philosophy in France, cit., p. 3. 25 L. POLIAKOV, Le myithe aryen, cit., p. 306. 18 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi riviste anglosassoni alcuni dei contributi di Ammon e Lapouge ma anche con numerosi contributi personali26. Closson non nasconde il proprio l’entusiasmo per le teorie dei fondatori dell’antropologia sociale, ritenute rivoluzionarie proprio per il loro approccio transdisciplinare: The work of Ammon himself, together with of De Lapouge, has not only brought statistical anthropology into close relation with politics, economics, ethics, psychology, the interpretation of history, and especially sociology; but conversely it has also transformed the methods of anthropological investigation itself, enriching that science with new categories and distinctions, and with a multitude of new problems27. In generale saggi di Closson non sono che pedisseque ripetizioni delle teorie di Ammon a Lapouge, alle quali non fa che cercare di aggiungere nuovi riscontri empirici. Il suo contributo è comunque di rilievo, tanto da essere frequentemente accomunato ad Ammon e Lapouge come esponente della nuova scuola di antropologia sociale. Tra i suoi saggi vale la pena ricordare quello sulla “selezione sociale”, anche perché attirerà l’attenzione di Pareto. Dopo aver di nuovo menzionato Ammon e Lapouge come i fondatori della “selctionist school of sociology”, Closson articola il discorso sulla selezione indicando due forze principali che operano nella società: la prima è la forza conservatrice dell’eredità biologica che tende a perpetuare di generazione in generazione le stesse caratteristiche fisiche; la seconda è la forza 26 Cfr. C.C. CARLOS, Dissociation by Displacement: A Phase of Social Selection, “The Quarterly Journal of Economics”, vol. X, n. 2, Jan. 1896, pp. 156-186; ID., Recent Progress of Social-Anthropology, “The Journal of Political Economy”, vol. IV, n. 3, Jun. 1896, pp. 410-412; ID., Social Selection, “The Journal of Political Economy”, vol. IV, n. 4, Sep. 1896, pp. 449-466; ID., Ethnic Stratification and Displacement, “The Quarterly Journal of Economics”, vol. XI, n. 1, Oct. 1896, pp. 92-104; ID., Further Data of Anthropo-sociology, “The Journal of Political Economy”, vol. VII, n. 2, Mar. 1899, pp. 238-252. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 19 evolutiva della selezione che introduce i mutamenti e stabilisce quali specie devono progredire e quali scomparire28. Queste due forze agiscono sulle razze e la seconda in particolare “is the great force in altering the quality of population”. Il miglioramento, tuttavia, non avviene grazie all’azione dell’ambiente istituzionale ma avviene esclusivamente sul piano razziale. Closson ribadisce uno dei pilastri della antroposociologia, cioè la sterilità della “nurture”: “Education has only a limited effect upon the single individual and even this effect is not in any appreciable degree transmitted to his descendants; it cannot be relied upon as the primary means of human improvement”29. L’opera della selezione deve dunque essere tale da favorire lo sviluppo degli elementi “etnicamente superiori”, cosa che non sempre accade, a causa di un processo di avvicendamento tra le élite che nelle società moderne ha finito per favorire le “classi inferiori”30. Il delirio di Lapouge sull’imminente pericolo per l’Homo Europaeus di essere contaminato dalla razze inferiori viene quindi ribadito anche da Closson. Il futuro dell’umanità, conclude quindi Closson, si gioca tutto sulla possibilità di reindirizzare l’opera della selezione sociale lungo i suoi naturali binari, per realizzare i seguenti scopi: (1) to constitute a natural aristocracy among a given people; (2) to constitute specialized and distinct castes suited for the different branches of social works, (3) to transform a people a whole in a given direction, (4) to form a universal dominant race, (5) to improve all humanity by utilizing the most perfect local types, (6) to substitute for existing humanity a single more perfect race, etc. Systematic selection, whatever its ultimate 27 C.C. CARLOS, Recent Progress of Social-Anthropology, cit., pp. 410-411. C.C. CARLOS, Social Selection, cit., p. 453. 29 Ibid., p. 459. 30 Ibid., p. 462. 28 20 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi goal, would have to proceed in two directions: (1) to eliminate the degenerate, vicious and incapable elements, (2) to increase and perfect the superior elements31. Tra gli economisti, i soli a noi noti che abbiano cercato di sgonfiare l’aurea di scientificità attribuita da Ammon, Lapouge e Closson all’antroposociologia, sono Achille Loria e John Cummings. L’ampio saggio di Cummings insiste soprattutto sulla totale assenza di fondamento scientifico di termini come “razza”, “fattore etnico”, o “indice cefalico”, per sottolineare l’impropria associazione tra quest’ultimo elemento di identificazione razziale e le qualità individuali, caratteriali e intellettuali degli individui32. Ritiene inoltre inconsistente il tentativo di eliminare l’influenza dell’ambiente sociale sulle attitudini umane, poiché, egli scrive, “Environment is the matrix and to conceive man apart from environmental influences is as impossible as to conceive a cast without a mould”33. Conclude quindi con l’auspicio che questa perversa deriva del darwinismo sociale venga spazzata dagli orizzonti del sapere umano e che la scienze sociali riprendano il loro consueto cammino: Anthropologists do non present any data to justify the assumption that the cephalic index carries any mental attribute or any character with it; nor can any such contention be maintained in the face of modern psychology, which more and more is coming to regard the head-form as irrelevant to mental capacity or character, certainly where the size of the brain is diregarded. Phrenology, like astrology, has had its day; and the sort of racial phrenology with which modern anthropologists are engaged is bound to go to the same limbo. Sociology may then breathe again naturally34. 31 Ibid., p. 465, Cfr. J. CUMMINGS, Ethnic Factors and the Movement of Population, “The Quarterly Journal of Economics”, vol. XIV, n. 2, Feb. 1900, pp. 181, 201 e 195-196. 33 Cfr. ibid., p. 199. 34 Cfr., ibid., p. 211. 32 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 21 Loria si concentra invece quasi esclusivamente su Ammon, comunque con non minore verve critica. La sua è soprattutto una presa di posizione contro l’idea che la gerarchia economica sia il riflesso della gerarchia intellettuale. Di tutt’altra natura la ricezione delle teorie antroposociologiche da parte di Pareto. Egli sembra l’unico economista intenzionato ad accogliere e discutere le teorie di Ammon, Lapouge e Closson, dissentendo certamente su molti punti, ma in sostanza legittimando il loro approccio scientifico. L’autore del Cours riconosce del resto espressamente questo debito intellettuale e la teoria di Lapouge, da quanto risulta da una lettera a Pantaleoni, era oggetto di lezione all’interno dei suoi corsi di sociologia, anche se spesso edulcorata a causa della presenza di un vasto pubblico femminile35. Pareto non arriverà mai ad assumere esplicite posizioni “razziali” ed “eugeniche”; tuttavia la sua antropologia sociale risulta fortemente debitrice delle concezioni dei fondatori di tale disciplina. Muovendosi tra le maglie di questa ambigua concezione sociale, egli cerca di districarsi “salvandone” alcuni fili e rigettando quelli ritenuti più farneticanti. In quest’opera di cernita e distillazione egli fa dei veri e propri salti mortali; forse se ne rende conto, se è vero, come avremo modo di vedere, che nel Trattato di sociologia cerci in qualche modo di emanciparsi da questa imbarazzante influenza culturale. 35 Quest’anno ho tutta una panca piena di signore o signorine che vengono ad ascoltare le mie lezioni. Quindi oggi, discorrendo delle teorie del Lapouge, ho dovuto tacere molte cose” (V. Pareto a M. Pantaleoni, 2 novembre 1898, in V. PARETO, Lettere a Maffeo Pantaleoni. 1890-1925, a cura di G. De Rosa, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1962, vol. II, p. 246). 22 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 3. L’eterogeneità sociale L’idea di “eterogeneità sociale” costituisce uno dei fondamentali pila- stri della concezione paretiana delle gerarchie sociali. Essa è utilizzata in opposizione all’idea “illuministica” di eguaglianza, a cui Pareto rimprovera di avere radicato tra gli intellettuali “pregiudizi” che hanno portato “a misconoscere l’eterogeneità degli individui di una stessa società”36. La società umana, infatti, anziché essere omogenea, “è costituita da elementi che differiscono più o meno, non solo per caratteri evidentissimi, come il sesso, l’età, la forza fisica, la salute, ecc.; ma anche per caratteri meno facilmente osservabili, ma non meno importanti, come sarebbero le qualità intellettuali, morali, l’attività, il coraggio, ecc.” (Manuale, p. 98). Sono questi i fattori principali da cui deriva la diseguale ripartizione della ricchezza, per comprendere la quale la teoria economica deve far posto all’antropologia sociale, o alla “fisiologia sociale”, come recita l’ultimo capitolo del Cours. All’eterogeneità sociale si deve il fatto che le “qualità”, le “capacità” e le “attitudini” delle persone siano distribuite in modo che alcuni ne “possiedono […] in misura più eminente di altri”. Da questa diseguale distribuzione dell’intelligenza e in genere delle “qualità psichiche e fisiologiche” discende la disposizione degli individui lungo un continuum sociale ed economico – privo di fratture o discontinuità37 – a cui corrisponde una gerarchia di reddito e di ricchezza che è tipica di tutte società umane. Essendo il 36 Cours, vol. II, p. 390. Cfr. Manuale, p. 98: “L’asserzione che gli uomini sono oggettivamente eguali è talmente assurda, che non merita neppure di essere confutata. Invece, il concetto soggettivo dell’eguaglianza degli uomini è un fatto di gran momento, e che opera potentemente per determinare i mutamenti che subisce la società”. Sul concetto di eterogeneità sociale in Pareto, cfr. J.J. SPENGLER, Pareto on Population, II, “The Quarterly Journal of Economics”, vol. 59, n. 1, Nov., 1944, in particolare pp. 116-122, in cui si discutono anche le teorie degli antroposociologi. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 23 riflesso di un dato antropologico naturale, deve escludersi che la stratificazione economica derivi da cause ambientali, come “l’educazione ricevuta” o più in generale la “condizione sociale” familiare38. Per spiegare la distribuzione della ricchezza Pareto ricorre pertanto in minima parte alle “leggi” dell’economia, preferendo fondare la sua teoria su concetti antropologici. L’eterogeneità sociale, intesa in questo senso, viene assunta addirittura alla stregua della legge di gravitazione universale, quale postulato cioè in grado di spiegare il costante ripetersi del fenomeno nelle diverse società. È questo il motivo che spinge Pareto ad attribuire alla propria legge dei redditi lo status di legge “naturale”. Confrontandola con la legge formulata da Keplero per spiegare il movimento degli astri, l’autore del Cours implicitamente riconosce che anche un fenomeno “sociale” quale quello della ripartizione della ricchezza sia governato da una legge equivalente a quella che governa il movimento “naturale” degli astri: il Newton ha fatto certe ipotesi sull’attrazione dalle quali seguono razionalmente, mediante altre ipotesi, le leggi del Keplero. Si può fare sull’eterogeneità sociale certe ipotesi dalle quali segue razionalmente la formula trovata empiricamente per le entrate. Studi posteriori ci sapranno dire se basta quella dottrina dell’eterogeneità sociale per spiegare tutti i fenomeni, oppure, come è più probabile, quasi certo, se si deve tenere conto di altre cause (p. 669) 37 38 Cfr. Cours, vol. II, p. 428. Cours, vol. II, p. 390. Cfr., in proposito, in commento di Busino: “Questa stratificazione sociale, corroborata anche dalla teoria della distribuzione della ricchezza, è fondata sulla natura degli uomini, non è il prodotto di forze economiche o di speciali capacità organizzative. Insomma la ineguaglianza (ché in fondo di ciò trattasi) fra gli uomini è determinata dal possesso di certe qualità psicologiche. Queste qualità personali fanno sì che certi uomini cercano ed ottengano l’egemonia ed altri debbano necessariamente subirla” (G. BUSINO, Introduzione a V. Pareto, Trattato, pp. xxv-xxvi. 24 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi Pareto dichiara espressamente che la “dottrina della eterogeneità sociale” è tratta in larga parte dagli scritti di “Ammon, Lapouge ed altri antropologi”39. Tuttavia, nel descriverne le manifestazioni, egli prende le distanze dalle radicalizzazioni in senso razzista dei due fondatori dell’antropologia sociale. L’autore del Cours ritiene infatti che siano ancora insufficienti i dati fattuali sui quali si è costruita la dottrina della gerarchia delle razze: Nulla autorizza a considerare – scrive infatti Pareto – quali caratteri esclusivi, per differenziare le razze umane, la forma del cranio e il colore dei capelli e degli occhi. Per parecchi antropologi è un articolo di fede che esista una razza dolicocefala bionda, molto superiore alle razze brachicefale brune, che sono qualificate “razze inferiori”. Si adducono in prova fatti poco numerosi, spesso mal osservati e accostamenti forzati (Cours, vol. II, p. 396). Come si vede, Pareto segue con molta attenzione la letteratura antropologica, ma ritenendo che essa non sia ancora arrivata a proporre rigorosi criteri di identificazione delle razze. Sull’argomento Pareto intrattiene una polemica anche con Cesare Lombroso, al quale rimprovera di ricorrere, nei suoi studi di sociologia criminale, a un approssimativo concetto di razza, confuso con quello di “etnia”40. In risposta alla replica di Lombroso, che accusava Pareto di essere troppo prigioniero delle teorie di Lapogue, l’autore del Cours puntualizza che la “questione delle razze è ora fra le più oscure. C’è chi seguita a discorrere delle antiche razze etniche, c’è chi dice che bi 39 V. PARETO, La curva delle entrate e le osservazioni del prof. Edgeworth, “Giornale degli economisti”, a. VII, vol. XIII, n. 10, 1896, p. 443. 40 “Sul concetto di ‘razza’ non sono d’accordo gli antropologi. Il Lombroso seguita a discorrere di razze latine, germaniche, ecc., mentre il Lapouge ci ammonisce che: ‘Il est bien entendu que dans l’état actuel de la science, on ne doit jamais parler de race latine, race germanique, race slave’. Ecco un primo punto sul quale sarebbe molto desiderabile di avere un esame critico fatto con criteri rigorosamente scientifici” (V. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 25 sogna invece considerare certe razze zoologiche”, sottolineando che il suo il suo scetticismo è rivolto non solo verso Lombroso ma anche verso Lapouge. Pareto ritiene comunque che l’argomento vada approfondito con ulteriori studi, poiché sulla questione delle razze “deve decidere l’esperienza e l’osservazione, e non è quesito da sciogliersi con una semplice affermazione”41. Il giudizio complessivo sulle teorie razziali appare dunque in bilico. Da una parte egli ritiene che tali ricerche abbiano messo in evidenza fattori rimasti a lungo sottostimati dalle scienze sociali; dall’altra ammonisce a non fare della razza l’unico fattore di spiegazione storica42. Il concetto di eterogeneità sociale che egli dichiara avere tratto da Ammon e Lapouge viene così fortemente ridimensionato, estromettendo i suoi connotati razziali. Il merito di questi autori è quello di avere dissolto il pregiudizio “egualitario” e di avere nuovamente posto al centro dell’attenzione l’irriducibile diversità degli individui. Tuttavia, “i modi” in cui essi hanno “presentato la dottrina dell’eterogeneità sociale han pure contribuito, non poco, a farla respingere da molti” (Cours, vol. II, p. 391). Nelle mani di Pareto l’eterogeneità sociale diventa invece un principio che intender spiegare i processi di differenziazione muovendo dalle diverse “qualità individuali” e non dalle diverse forme di aggregazione sociale (“razza”, “classe”, “casta”, ecc.) che sono state 41 42 PARETO, L’uomo delinquente di Cesare Lombroso, “Giornale degli economisti”, novembre 1896, ora in ID., Scritti sociologici minori, Utet, Torino, 1980, p. 111-112). V. PARETO, Polemica col Prof. Lombroso, “Giornale degli economisti”, giugno 1897, ora in ID., Scritti sociologici minori, cit., p. 120. Osserva infatti Pareto che per alcuni “autori, come Lapouge, la razza zoologica degli uomini spiega ogni cosa. Queste è una di quelle cause X che era stata lasciata nell’ombra. È meritorio averla ben messa in evidenza, senonché esagerandone l’azione, considerandola unica, non si fa altro se non del romanzo puro” (V. PARETO, Del materialismo storico, “Zeitschrift für Sozialwissenschaft”, vol. I, 1898, ora in ID., Scritti sociologici minori, cit., p. 158). 26 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi di volta in volta proposte43. Secondo Pareto sono pertanto “insostenibili” sia le teorie che ipotizzano la preminenza di certi aggregati sociali su altri sia quelle, di segno opposto, che presumono “gli uomini tutti uguali” alla nascita e che ascrivono le differenze sociali “unicamente all’educazione ricevuta e alla condizione sociale” (Cours, vol. II, p. 390). L’antropologia sociale di Pareto punta in sostanza sul fatto che vi sono differenze “innate” tra gli individui dalle quali non può che discendere la diseguale distribuzione della ricchezza descritta dalla curva dei redditi. In questo senso è da intendersi il “naturalismo“ di Pareto, dovuto al fatto che egli spiega questa gerarchia di ricchezza e di status solo in parte con argomenti socio-economici, privilegiando invece quelli antropologici. L’eterogeneità sociale è la legge primordiale della specie umana e a quelle disuguaglianze proprie dell’essere umano corrispondono disuguaglianze economiche e sociali, le quali si osservano presso tutti i popoli, dai tempi più antichi ai moderni, ed in qualsiasi luogo del globo, per modo che, tale carattere non mancando mai, la società umana si può definire una collettività con gerarchia (Manuale, p. 268). 43 “Dire che esistono nella società uomini che possiedono certe qualità in misura più eminente di altri e dire che esiste una classe di uomini assolutamente migliori del resto della popolazione non è già la stessa cosa” (Cours, vol. II, p. 392). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 27 4. La selezione sociale Il secondo concetto di natura antropologica utilizzato da Pareto è quello di “selezione sociale”44. Anche in questo caso l’autore del Cours prende esplicita ispirazione dalle teorie antroposociologiche, ma di nuovo cercando di espungere le parti a contenuto razziale. Il testo dove maggiormente sviluppa l’idea di selezione sociale è senza dubbio Les systèmes socialistes. Anche nel Cours e nel Manuale vi sono ampi rimandi agli effetti esercitati dalla selezione sui processi di distribuzione della ricchezza e di differenziazione sociale, ma è sopratutto nel libro pubblicato tra il 1901 e il 1902 che a tale argomento viene dato ampia visibilità. L’idea di selezione sociale verrà invece meno quando Pareto metterà mano al Trattato di sociologia generale. La “selezione” è intesa da Pareto come un processo che opera con uguale intensità sia sul piano “naturale” che su quello “sociale”. Senza le sue leggi verrebbe meno uno dei principali meccanismi di preservazione degli organismi vitali. Nelle società umane, in particolare, la selezione ha un “duplice scopo”: da una parte di collocare gli individui nel posto a loro confacente nella gerarchia sociale; dall’altra di eliminare quei soggetti inetti ed incapaci che potrebbero minare la sopravvivenza degli aggregati sociali (Systèmes, p. 541). Per quanto riguarda il primo fine, Pareto ritiene che esso possa essere perseguito lasciando agire le leggi del mercato e della concorrenza, come vedremo discutendo la concezione paretiana delle élite. Il rag 44 Sulla “selezione naturale” in Pareto, cfr. J.J. SPENGLER, Pareto on Population, II, cit., pp. 116-122; A. MACCHIORO, Vilfredo Pareto, in ID., Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Feltrinelli, Milano, 1970, pp. 568-569; A. LEGRIS, La distribution des revenus chez Walras et Pareto: une analyse comparative, in Les traditions économiques françaises 1849-1939, sous la direction dé P. Dockès, L. Frobert, G. Klotz, J.-P. Potier e A. Tiran, Paris, Cnrs Editions, 2000, pp. 512-514. 28 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi giungimento del secondo scopo della selezione è invece più complesso. “Vi sono individui”, scrive Pareto, “che possono essere decisamente nocivi e pericolosi per la società”, […] ed è grazie alla selezione, che questi rifiuti sono eliminati e la specie si conserva”. Come nella natura, anche nella società la selezione contribuisce alla distruzione degli “elementi inferiori” e impedisce “ch’essi si riproducano nei loro discendenti” (Systèmes, pp. 540-542). Se questo non accadesse, se cioè “la razza umana” non fosse investita dalla legge di “selezione”, essa non potrebbe salvarsi “dal decadere” (Manuale, p. 299). Ma il problema è “come” eliminare gli elementi ritenuti “inferiori”. Vi sono al riguardo due meccanismi, uno “diretto” e uno “indiretto”. Il primo ha una efficacia “incontestabile” nel regno animale e vegetale, come ben sanno “allevatori e coltivatori”: attraverso la selezione “diretta” non solo si distruggono direttamente “gli elementi inferiori, ma, cosa ancora più importante, se impiegata in tempo, impedisce anche ch’essi si riproducano nei loro discendenti” (Systèmes, p. 542). Nella società umane risulta invece molto difficile attuare questa forma di selezione, e i tentativi che vanno in quella direzione proposti da Ammon e Lapouge vengono condannati da Pareto45. È necessario quindi ricorrere alla selezione “indiretta”, la quale ha 45 Nel Cours Pareto si rammarica che “uno spirito distinto come il Lapouge” sia arrivato a immaginare una società “eugenica” nella quale la “selezione della razza” non avviene solo attraverso l’eliminazione fisica degli elementi inferiori ma anche “imponendo” l’esercizio del dovere sessuale solo agli individui “scelti”. Lapouge immaginava che per realizzare tali obiettivi fosse necessario organizzare in modo socialistico la società, argomento che permette a Pareto di sottolineare la propria disapprovazione. Dichiarata infatti la propria “ripugnanza” per le soluzioni avanzata da Lapouge, aggiunge che esse sono comunque istruttive su dove “sbocchi la via, che, iniziata con i monopoli di Stato, proseguita con i sindacati obbligatori, l’assicurazione obbligatoria, l’organizzazione collettiva della produzione e la costituzione di uno Stato provvidenza, adduce alla distruzione di ogni iniziativa individuale, all’annientamento di ogni dignità umana e riduce gli uomini al livello di un gregge di montoni (Cours, vol. II, p. 394). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 29 “parecchi mezzi”, anche se purtroppo “molto imperfetti”, attraverso cui eliminare “gli elementi inferiori”. Di questi “mezzi” Pareto ne ricorda alcuni: il sistema penale di reclusione e di soppressione degli individui pericolosi; i differenti tassi di mortalità e natalità delle diverse classi sociali, che contribuiscono a sopprimere “in gran numero gli individui deboli e mal formati”; le abitudini viziose che attraggono gli individui degenerati, come ad esempio l’alcolismo, che accelera la loro “degenerazione” e quella dei loro discendenti. Tutte queste diverse forme di selezione raggiungono, se pur in modo imperfetto, il fine di sopprimere gli individui non adatti. Esse incontrano però un grosso ostacolo sulla loro strada: il tarlo “umanitario” che si sarebbe insinuato presso utopisti, riformatori ed élite degenerate. Agli occhi di Pareto, le riforme di carattere “sociale” impediscono alla selezione di svolgere compiutamente il proprio scopo. Nella condanna dell’umanitarismo e del sentimentalismo c’è una totale comunanza di vedute con Ammon e Lapouge. Gli umanitari e i riformatori, scrive Pareto, perseguono infatti “disperatamente” il fine del “miglioramento degli individui di qualità inferiore”, non rendendosi conto che “ogni speranza nutrita in questo proposito è stata sempre delusa” (Cours, vol. II, p. 552). Il loro errore nasce dal non voler ammettere che nella specie umana, come in tutte le specie di esseri viventi, gli individui non nascono uguali, hanno caratteri diversi, e certi individui sono andati all’ambiente in cui vivono, altri no. Si crede facilmente ciò che si desidera. Gli umanitari 30 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi non studiano il mondo reale qual è; si foggiano un mondo immaginario, quale i loro sentimenti desiderano46. Citando con approvazione Lapouge, Pareto sottolinea inoltre il modo perverso in cui si vorrebbe estendere a tutti l’educazione, tendenza che sta prendendo piede in molte società moderne, ma giudicato totalmente inefficace. 46 Systèmes, p. 554. Cfr. anche Manuale, p. 299: “Gli umanitari possono bene chiudere gli occhi per volontariamente ignorare questa verità, ma ciò non muta nulla ai fatti. In ogni razza nascono elementi di scarto, che debbono essere distrutti dalla selezione. I dolori di quella selezione sono il riscatto del mantenersi e del perfezionarsi la razza; ed è uno dei tanti casi in cui il bene dell’individuo è in contrasto col bene della specie”. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 31 5. La selezione e la forma delle gerarchie sociali La selezione ha poi effetti molto importanti sulla forma delle gerarchie sociali e sul modo in cui si ripartiscono le ricchezze. Pareto si avvale infatti del meccanismo selettivo che opera negli strati inferiori della società per spiegare la discordanza tra la curva dei redditi e la curva delle attitudini. Quest’ultima, come abbiamo ricordato, è sempre stata ritenuta, da Quetelet e Galton in poi, una curva “normale“, simmetrica rispetto al valore medio e modale. La curva dei redditi, diversamente, presenta una forte asimmetria, che Pareto cerca di giustificare avvalendosi appunto della teoria della selezione. Nel Cours Pareto si era avvalso dell’immagine della “freccia” per tradurre figurativamente l’idea della gerarchia sociale (in sostituzione all’immagine della “piramide”, ritenuta impropria). Il particolare accorgimento grafico che gli permette di ottenere la punta della “freccia” consiste nel far ruotare la curva di redditi attorno all’asse delle ordinate, così da generare un corpo solido dall’aspetto della figura sottostante. 32 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi L’immagine della “freccia” viene tuttavia abbandonata da Pareto. Già nel Cours, ad essa comincia ad affiancare quella della “trottola”47, ritenendo inizialmente le due figure equivalenti48. Ma nelle opere successive la “freccia” verrà definitivamente sostituita dalla “trottola”, anche perché essa gli permetterà di accogliere alcune critiche che erano state rivolte alle sue prime rappresentazioni geometriche della distribuzione della ricchezza49. Il passaggio dalla metafora della “freccia” a quello della “trottola” segna l’acquisizione da parte di Pareto dell’idea che la curva dei redditi, nella zona inferiore, abbia un andamento opposto a quello della parte superiore. Attraverso l’immagine della “trottola” egli riesce pertanto a incorporare nella descrizione figurativa della gerarchia sociale anche la forma della parte inferiore. Nelle opere successive al Cours, la rappresentazione proposta da Ammon, che era stata inizialmente criticata, viene rivalutata, fino a diventare decisivo punto di riferimento nei Sistemi socialisti e nel Manuale. Scrive infatti Pareto che “ciò che si chiama piramide sociale è in realtà, una specie di trottola”, quale quella “indicata da Otton Ammon, che ci pare assai probabile” (Systèmes, p. 19). 47 Cfr. R. ROY, Pareto statisticien: la distribution des revenus, “Revue d’économie politique”, 1949, a. LIX, pp. 555-577. 48 Osserva infatti che la distribuzione della ricchezza, assume la forma non “già d’una piramide […], ma invece d’un corpo che ha la forma della punta di una freccia o, se si preferisce, della punta d’una trottola” (Cours, vol. II, p. 346). 49 Il balletto delle diverse immagini è legato in particolare al problema della parte inferiore della gerarchia sociale. Tanto la “piramide” quanto la “freccia” sottintendono una relazione tra il reddito e il numero di persone che dispongono dei diversi livelli di reddito che è sempre inversa, e che mostra appunto una concentrazione del maggior numero di persone nella parte più bassa della gerarchia sociale. Pareto. Pareto aveva chiarito al riguardo che non esistevano sufficienti riscontri empirici per spiegare la dinamica dei redditi più bassi. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 33 Il dato da sottolineare è come Pareto modifichi nel Manuale la rappresentazione grafica della curva, che viene disegnata riportando un andamento simile a quello delle binomiali asimmetriche. Se nel Cours il disegno della curva mostrava un andamento sempre decrescente, che si interrompeva bruscamente al livello della sussistenza per assumere l’aspetto di una retta orizzontale, nel Manuale la rappresentazione assume la veste di una curva binomiale asimmetrica. La nuova rappresentazione grafica permette all’autore del Manuale di discutere più nel dettaglio il motivo della discordanza tra la curva delle attitudini e la curva dei redditi, essendo appunto la prima simmetrica intorno alla media e la seconda caratterizzata da una profonda asimmetria. Pareto chiarisce che “la curva non è punto simmetrica intorno” alla media; “la parte superiore” risulta essere “molto lunga” e la parte inferiore “quasi schiacciata”, con un andamento fortemente asimmetrico rispetto alla parte superiore. Ma “da ciò non si può concludere che non vi è simmetria tra le qualità degli individui che si allontanano da una parte o dall’altra della media”. A intralciare il parallelismo è la circostanza che in fatto di distribuzione del reddito esiste un limite verso il basso oltre il quale non è possibile scendere, assente nella parte superiore della scala: “invero, di due uomini che si scostino egualmente dalla media delle qualità, quello che ha attitudini eccezionali per guadagnare quattrini può ottenere un’entrata altissima; e quello che ha qualità negative eguali non può cadere, senza sparire, al di sotto dell’entrata minima che basta a sostenere la vita”(Manuale, p. 271). 34 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi Al di sotto del reddito minimo vitale, dunque, opera il processo selettivo attraverso cui vengono eliminati gli elementi inferiori, altrimenti nocivi per la società. Ciò spiega perché gli individui che hanno attitudini molto al di sotto della media non compaiono nella statistica dei redditi, appunto per la loro incapacità di raggiungere la sussistenza. Per sussistere nella zona inferiore della gerarchia sociale ed economica sono necessarie in sostanza attitudini almeno vicine alla media, poiché quelle di molto inferiori metterebbero in azione i meccanismi di selezione. È da ricordare ancora un ulteriore concetto antropologico che Pareto discute nel Manuale in modo speculare rispetto al concetto di selezione: si tratta del concetto di “stabilità”50. A parere di Pareto la società umana è retta infatti da due principi basilari. Il primo è la “stabilità”, che opera attraverso la persistenza del passato e della tradizione e a cui contribuisce tra gli altri l’istituto dell’eredità. Portato al suo estremo, l’elemento di stabilità non fa che “cristallizzare” tutti i rapporti sociali, come accade negli organismi sociali “con caste rigidamente costituite”. Il secondo principio è invece quello della “selezione”, o della “mutabilità”, che opererebbe con la sua massima forza quando fossero sciolte tutte le costrizioni del passato, così da lasciare i destini degli individui del tutto indipendenti dalle condizioni familiari. La combinazione dei due principi è ciò che caratterizza le “società moderne”, dato che in esse opera sia “l’elemento di stabilità”, garantito “dalla proprietà 50 Anche in questo caso, i concetti sono tratti dall’antropologia sociale, ma modificandone il significato. Come abbiamo visto, Closson, nel suo saggio sulla “selezione sociale”, aveva proprio enfatizzato le due forze contrapposte della “conservazione” e dell’“evoluzione”. Il discorso di Closson verte però sui meccanismi biologici di trasmissione dello stock razziale, mentre Pareto traduce questo processo sul piano economico e sociale analizzando gli effetti dell’eredità patrimoniale. Il saggio di Closson, è comunque ritenuto da Pareto “un importante contributo” (cfr. V. PARETO, The New Theories of Economics, “The Journal of Political Economy”, vol. V, n. 4, sep. 1897, p. 502). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 35 privata e dall’eredità”, sia “l’elemento di mutabilità e di selezione”, assicurato “dalla facoltà concessa a tutti di salire quanto è possibile nella gerarchia sociale” (Manuale, p. 301). Questi dati oggettivi potrebbero quindi fornire preziosissime armi ai riformatori sociali. Se infatti essi dimostrassero che l’istituzione dell’eredità, operando esclusivamente sul fattore della “stabilità”, preclude ogni possibilità di azione al meccanismo della “selezione”, avrebbero con ciò stesso provato la “necessità di restringere, od anche togliere, quell’istituzione”. È invece singolare, afferma Pareto, “che i socialisti non abbiano scorto l’aiuto che tale modo di considerare i fenomeni poteva recare alle loro dottrine” (Manuale, pp. 304-305). Egli riconosce che nulla indica che lo stato attuale di trasmissione delle ricchezze “sia perfetto”, o “che debba durare indefinitamente”. Non ci sono ragioni “economiche” che impediscono di assumere come plausibile un’ipotesi di intervento redistributivo che sappia togliere in modo efficace “qualche genere di proprietà privata” o addirittura sopprimere, “in parte od in tutto, l’eredità”. L’unica certezza sul piano sociale è che verrebbe “molto affievolito l’elemento di stabilità e rinvigorito l’elemento di mutabilità e di selezione”. Ma non si può tuttavia “a priori decidere se ciò sarebbe utile o dannoso alla società” (Manuale, p. 301). L’agnosticismo velato dietro il giudizio di Pareto è in verità solo apparente. Stabilità e selezione contengono tanto elementi positivi che negativi; entro certi limiti, rinvigorire una delle due forze sociali può portare a decisi miglioramenti, non dimenticando però che superata una certa soglia gli effetti positivi verrebbero sopraffatti da effetti di segno opposto. Abbattere d’un colpo il principio della stabilità, ad esempio attraverso un’abolizione dell’istituto ereditario, vorrebbe dire fare emergere tutti i lati negativi della 36 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi mutabilità, la quale se “spinta all’estremo è penosissima all’uomo, lo disgusta, lo avvilisce, e quindi ne riduce al minimo l’attività”. Quegli stessi che reclamano l’uguaglianza di condizioni sarebbero poi i primi, secondo la nota legge della circolazione delle élites, a cercare di consolidare i nuovi vantaggi acquisiti: “Chi sta peggio di un altro, desidera naturalmente mutare condizione, ma, appena conseguito l’intento, desidera anche maggiormente di conservare ciò che ha acquistato e di rendere stabile la sua condizione. Le società umane hanno una fortissima tendenza a dare rigidità ad ogni nuovo ordinamento, a cristallizzarsi in ogni nuova forma” (Manuale, p. 302). Insomma, l’opinione di Pareto è che la dialettica tra stabilità e selezione sia la sola che permette all’organismo sociale di persistere, nonostante ci possano essere momenti transitori in cui uno dei due fattori acquista il sopravvento sull’altro, per poi riportarsi in equilibrio. Stando così le cose, il fatto che l’eredità permetta a qualche discendente degenere di occupare una posizione sociale non conforme alle sue attitudini è il minore dei mali. Un sano organismo sociale permetterà agli “eletti” delle classi inferiori di prendere il posto dei “degeneri” delle classi superiori, e questo movimento potrà realizzarsi anche quando, sul piano materiale della ricchezza, le condizioni iniziali delle classi siano profondamente disuguali. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 37 6. L’antropologia delle élite Altrettanto importanti sono gli spunti che Pareto trae dalla letteratura antropologica nel formulare la propria teoria della circolazione delle élite51. L’idea che vi sia un perpetuo “avvicendarsi” di queste élite è senza dubbio un concetto che l’autore del Cours condivide con Lapouge e Ammon. Ed è lo stesso Pareto, in risposta a chi insinua che la sua teoria sia un plagio delle idee di Gaetano Mosca, a puntualizzare che “dal Mosca non ho preso niente. Ho bensì preso molto, moltissimo, e l’ho detto chiaramente, […] dall’Ammon, e un poco anche dal Lapouge. Gli studiosi possono vedere peraltro come in parte da loro dissento e cosa ho aggiunto”52. Di nuovo troviamo quindi Pareto intento a precisare la cernita compiuta sulle concezioni antroposociologiche, dalle quali cerca, per quanto possibile, di distillare le componenti ritenute presentabili. 51 La teoria della “circolazione delle élite”, a cui Pareto dà forma più compiuta nei Sistemi socialisti e poi nel Trattato, compare in nuce anche in un brano del Cours, dove si contrappone la stabilità della forma “esteriore” della gerarchia sociale ai continui stravolgimenti che avvengono al suo “interno”: “Sappiamo – scrive Pareto – che la forma della curva non varia che molto lentamente. Si può dunque supporre che tale forma sia quasi costante, in media, e per un tratto di tempo abbastanza lungo. Ma le molecole di cui l’aggregato sociale si compone, non si mantengono in riposo: degli individui si arricchiscono, altri impoveriscono. Movimenti abbastanza estesi agitano dunque l’interno della figura. L’organismo sociale assomiglia in ciò ad un organismo vivente. La forma esterna di un organismo vivente, un cavallo ad esempio, si mantiene quasi costante, ma all’interno avvengono movimenti ampi e svariati. La circolazione del sangue fa muovere rapidamente certe molecole; i processi di assimilazione e di secrezione modificano incessantemente le molecole di cui si compongono i tessuti” (Cours, vol. II, p. 397). L’analogia proposta in questo brano è come si vede di fondamentale importanza per comprendere la genesi della teoria della circolazione delle élite, su cui E. RIPEPE, Le origini delle teoria della classe politica, Giuffré, Milano, 1971. 52 V. Pareto a G. Prezzolino, 17 dicembre 1903, in V. PARETO, Epistolario. 1890-1923, a cura di G. Busino, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1973, vol. I, p. 507. Cfr. anche Manuale, p. 229, dove Pareto menziona le ricerche di Ammon e Lapouge come “conferma scientifica” del fatto che “la storia della società umana è, in gran parte, la storia dell’avvicendarsi di aristrocrazie”, e Systèmes, p. 131. 38 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi Chi sono dunque, nella concezione paretiana, gli individui “scelti”, un termine echeggiante il concetto di razza “scelta” di Gobineau ma da cui Pareto espunge il significato razziale? Scrive Pareto che “per ‘soggetti scelti’ intendiamo semplicemente individui la cui attività di vita è più intensa” (Cours, vol. II, p. 416). È quindi da abbandonare, fino a quando non si avranno riscontri empirici attendibili53, l’idea che i soggetti “scelti” possiedano specifiche caratteristiche antropologiche: Ammon e de Lapouge specificano troppo quando vogliono darci i caratteri antropologici di questa élite, di queste razze eugeniche, identificandole coi dolicocefali biondi. Per ora, questo punto rimane oscuro, e lunghi studi sono ancora necessari, prima di poter stabilire se le qualità psichiche delle élite si traducono in caratteri esteriori, antropometrici, e poter conoscere quali sono precisamente questi caratteri” (Systèmes, p. 133). Avendo escluso che siano i tratti antropologici a identificare le élite, Pareto specifica che il loro riconoscimento non può che avvenire sulla base delle loro capacità e delle loro azioni. L’operare della “mano invisibile” del mercato, in particolare, è ritenuto dall’autore del Cours il meccanismo meno imperfetto che le società umane abbiano escogitato per “selezionare” gli individui più capaci. Questo processo sarebbe certamente più semplice se si volesse accreditare la teoria delle razze elette di Lapouge, che Pareto ricollega a quella di Platone (dove “la razza d’oro”, nella versione dell’antropologo francese, “sarebbe quella dei dolicocefali biondi”): 53 Questa sospensione del giudizio sulle teorie dell’antropologia sociale, da lasciare alla verifica dei fatti, ricorre in diverse circostanze nell’opera di Pareto. A proposito della tesi sostenuta da Lapouge, ad esempio, che nell’antica Roma, le élite siano decadute a causa di “un esaurimento di eugenici, di uomini di razza superiore”, Pareto commenta: “Mancano i fatti per accogliere o respingere assolutamente questa opinione” (Systèmes, p. 157). I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 39 Se, infatti, da alcuni segni esteriori, come la forma del cranio, il colore dei capelli, degli occhi, ecc., si potessero riconoscere i caratteri e le attitudini degli uomini, il problema della migliore organizzazione sociale sarebbe facilmente risolto. Sfortunatamente, queste teorie hanno rapporti ancora incerti con la realtà, e per il momento non si conosce altro mezzo di scegliere gli uomini, se non quello di provare che cosa sanno fare, mettendoli in concorrenza gli uni con gli altri. Ciò ha luogo, sebbene in modo assai imperfetto, nelle nostre società, e la storia ci mostra che i loro progressi sono stati intimamente legati all’estensione di quest’uso (Systèmes, p. 342). Soprattutto, però, la differenza con le teorie antroposociologiche si gioca sull’idea che gli individui provenienti dal “basso” possano inquinare le aristocrazie, concetto che Pareto rigetta sistematicamente. Ai suoi occhi sono invece proprio questi soggetti che permettono al sistema sociale di rinnovarsi continuamente. Contro l’idea propugnata da Lapouge che gli individui “scelti” dovrebbero organizzarsi in caste chiuse, in modo da riprodurre sempre soggetti con le stesse caratteristiche di superiorità, gioca la stessa selezione sociale, al quale l’antropologo francese dà tanta importanza ma senza trarne le necessarie conseguenze. La selezione è infatti “un agente” che permette ai soggetti scelti, nati negli strati inferiori, l’accesso negli strati superiori. La formazione delle caste è contraria a questa selezione ed è quindi un possente agente di decadenza. Degli autori moderni, alla ricerca di novità, sono stati colti da un grande amore per l’istituzione delle caste indiane. Questi autori non ci spiegano come mai un’organizzazione tanto eccellente non abbia impedito che le Indie diventassero preda di numerosi conquistatori, privi tutti di caste, né come alcune migliaia di inglesi bastino a mantenere il dominio britannico su di una paese che conta circa duecento milioni di abitanti (Cours, vol. II, pp. 416-417). Nella concezione paretiana ampio risalto viene quindi dato proprio ai gradini più bassi della gerarchia sociale. Nemmeno la disuguale distribuzio 40 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi ne della ricchezza impedisce ai soggetti “forti” delle classi inferiori di emergere. Solo un reddito inferiore alla sussistenza impedisce alla selezione di operare, in quanto “la miseria avvilisce e distrugge i buoni come i cattivi elementi”. Ma appena al di sopra della sussistenza “la selezione opera col massimo d’intensità. Le entrate non sono assai abbondanti per salvare tutti gli elementi, siano essi atti o no alla lotta sociale, e non sono tanto scarse da deprimere i migliori elementi”. La zona inferiore della gerarchia economica è quindi “il crogiuolo ove si elaborano le future aristocrazie”, fonte continua di “elementi che salgono nella regione superiore”54. Nel complesso quindi è senza dubbio vero che la ricchezza sia indice di “superiorità”55. Tuttavia l’esperienza dimostra che presso gli strati inferiori esistono spesso individui maggiormente dotati di quelli delle classi superiori. “Chiunque abbia un po’ frequentato gli operai sa che s’incontrano tra di loro individui ben più intelligenti di quel tale o tal altro scienziato onusto di titoli accademici”. Un fatto questo, puntualizza Pareto, che riduce molto l’attendibilità delle ricerche compiute da de Candolle o da Galton sulle genealogie degli uomini di genio (Cours, vol. II, p. 396). Non è del tutto chiara l’opinione di Pareto sulla trasmissibilità ereditaria dei caratteri “superiori”. Nel complesso, sembra di poter dire che egli non condivida l’idea degli antroposociologi che le qualità innate si trasmettano ai discendenti. Non si spiegherebbe altrimenti la dura critica all’ipotesi di istituire caste “chiuse” riservate alle élite e alle loro progenie. E non è nemmeno chiara l’opinione di Pareto a proposito della misurabilità delle qualità umane. Egli sembra talvolta accogliere quest’ipotesi, in particolare 54 Manuale, p. 273; Cours, vol. II, p. 414. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 41 quando riconduce la distribuzione della ricchezza alla disuguale distribuzione delle attitudini56; nel Trattato di sociologia egli sembra però superare quest’impostazione, adattando una strategia simile a quella attuata nel caso dell’utilità. Anche nel caso della distribuzione delle attitudini, si potrebbe infatti dire che Pareto abbandoni la “cardinalità” a favore di un approccio “ordinalista”: Supponiamo – scrive Pareto – che, in ogni ramo dell’umana attività, si assegni a ciascun individuo un indice che indichi la sua capacità, all’incirca come si danno i punti negli esami. […] Facciamo dunque una classe di coloro che hanno gli indici più elevati […] alla quale daremo il nome di classe eletta (élite). […] Nel concreto, non ci sono gli esami per assegnare a ciascun individuo il suo posto in queste varie classi e si supplisce con altri mezzi: con certi cartellini che, alla meglio, raggiungono questo scopo (Trattato, vol. III, pp. 1043-1046). Pareto esclude che nelle società moderne questi cartellini che identificano socialmente le qualità “superiori” si trasmettano per eredità. Permane però l’ereditarietà della “ricchezza”, la quale costituisce un grosso fattore di disturbo nella formazione delle gerarchie sociali, assegnando in modo improprio i “cartellini” che identificano le élite. L’eredità, pur essendo scomparsa nelle forme “dirette” del passato, rimane ancora potente indirettamente e chi ha ereditato un gran patrimonio, facilmente è nominato senatore in certi paesi o si fa eleggere deputato, pagando gli elettori e 55 “Le classi dette superiori sono generalmente anche le più ricche. Queste classi costituiscono un’élite, una aristocrazia (nel senso etimologico: αριστος = migliore)” (Systèmes, p. 131). 56 Cfr., ad esempio, V. PARETO, Aggiunta allo studio sulla curva delle entrate, cit., p. 17, dove Pareto discute il fatto che “La curva delle entrate è in qualche dipendenza colla legge della ripartizione delle qualità psichiche e fisiologiche tra un certo numero di individui”, distribuzione che appunto segue un andamento come quello supposto da Ammon. 42 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi lusingandoli, se occorre, col dimostrarsi democratico sbracciato, socialista, anarchico. La ricchezza, le parentele, le relazioni, giovano pure in molti altri casi, e fanno porre il cartellino della classe eletta in genere o della classe eletta di governo in particolare a chi non lo dovrebbe avere57. Non si può negare, in conclusione, che durante il tragitto intellettuale che conduce al Trattato di sociologia si intravede un graduale abbandono dei riferimenti alla letteratura antroposociologica. L’eterogeneità sociale rimane un principio basilare della concezione di Pareto, ma definitivamente emancipata dalla dottrina razziale di Ammon e Lapouge; e per quanto riguarda la teoria della selezione sociale, essa scompare addirittura dal novero delle questioni oggetto di analisi all’interno del Trattato. Un mutamento di prospettiva, da questo punto di vista, che emerge in modo ancora più palese analizzando i testi preparatori al Trattato. Nel Programma e sunto di un corso di sociologia, redatto nel 1905, troviamo ancora, tra gli autori indicati come fondamentali per affrontare il problema delle gerarchie sociali, Ammon e Lapouge58; e nel capitolo sulle gerarchie sociali 57 Trattato, vol. III, p. 1046. Anche nel Cours Pareto aveva sottolineato l’influsso esercitato dall’istituto ereditario nel permettere agli individui che ereditano “una fortuna” di collocarsi “in una classe diversa da quella in cui le porrebbero le loro capacità” (Cours, vol. II, p. 413). Tuttavia egli non sembra dare eccessivo peso all’influsso che la successione ereditaria, e la conseguente diversa dotazione patrimoniale dei soggetti, esercita sulla distribuzione finale in termini di reddito, tanto da soprassedere sulla questione dei rapporti esistenti tra distribuzione dello stock di ricchezza e distribuzione del reddito. Il motivo che spiega l’atteggiamento tenuto da Pareto su questo punto è da ricondurre essenzialmente alla sua concezione della “mobilità sociale”: una volta abbattuti gli steccati che nella società di antico regime impedivano l’ascesa, o la discesa, dalla scala sociale, la selezione e la circolazione delle élite fanno si che siano sempre gli stessi individui a occupare i diversi gradi della gerarchia sociale. L’ammontare di “ricchezza” posseduta e la classe sociale d’origine non sono in altre parole fattori determinanti in modo esclusivo la collocazione in termini di “reddito” nell’ambito della curva di distribuzione. 58 Cfr. V. PARETO, Programma e sunto di un corso di sociologia, 1905, ora in ID., Scritti sociologici minori, cit., p. 298. I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi 43 di quello che avrebbe dovuto essere il Manuale di sociologia, redatto presumibilmente intorno agli anni dieci, le reminiscenze di tali autori emergono ancora chiaramente tra le righe. Nel Trattato di sociologia, diversamente, le tracce dell’antropologia sociale risultano praticamente dissolte. Tutto questo comporta però un problema non indifferente nella valutazione del pensiero paretiano sulle gerarchie sociali. Attraverso la sua legge dei redditi egli aveva stilizzato una sorta di “scheletro” della società. Nello spiegare le forze che fanno muovere questo scheletro, cioè il suo apparato “nervoso” e “muscolare”, l’autore del Cours si era gettato a capofitto nella letteratura antropologica, abbandonando il terreno dell’economia. L’antropologia sociale aveva quindi fatto da ponte tra la componente economico-statistica della curva dei redditi e la dimensione sociologica. Il venir meno del fondamento antropologico ci sembra abbia in sostanza incrinato quell’unità di fondo che inizialmente caratterizzava la ricerca di Pareto sulle gerarchie sociali e sulla distribuzione della ricchezza, avendo lasciato un vuoto tra la descrizione economico-statistica dello “scheletro” e la spiegazione “sociologica” dell’apparato “nervoso” e “muscolare”, ridottesi alla teoria sociologica e politica delle “élite”. 44 I fondamenti “naturalistici” della curva dei redditi