La crisi della fisica classica Verso la fine del XIX secolo sembrava che l'edificio concettuale della Fisica fosse ormai completato. La meccanica newtoniana da un lato e la teoria maxwelliana dell'elettromagnetismo, dall'altro, parevano fornire la chiave di interpretazione e di previsione di tutti i fenomeni, dal moto dei pianeti al comportamento di cariche elettriche. Esempi eclatanti della capacità di previsione e della potenza dei modelli interpretativi newtoniani e maxwelliani (quelli che oggi chiamiamo della fisica classica) furono la scoperta del pianeta Nettuno, fatta nel 1846 dall'astronomo Galle dell'osservatorio di Berlino, su calcoli di Urbain Leverrier (Plutone fu scoperto nel 1930 su calcoli di Percival Lowell) e la scoperta delle onde elettromagnetiche previste teoricamente da Maxwell (nel 1873) da parte di Hertz (1886). La seconda metà del secolo XIX è caratterizzata da importanti fenomeni in campo economico, sociale e filosofico, strettamente intrecciati con il trionfo della fisica classica. In campo economico e sociale c'è l'inizio impetuoso della seconda rivoluzione industriale, fondata sull'uso dell'energia elettrica (macchine elettriche nelle industrie ed elettrodomestici, illuminazione pubblica, trasporti ferroviari); in quegli anni si avvia inoltre l'utilizzazione delle onde elettromagnetiche per le trasmissioni (nel 1897 Guglielmo Marconi inventa il radiotelegrafo). In campo filosofico c'è l'affermarsi del positivismo, corrente di pensiero che propone di applicare i procedimenti della scienza ad ogni ramo del sapere ed ai campi della morale, della società e della religione. Solo alcuni fenomeni, apparentemente marginali, erano al di fuori del quadro interpretativo della fisica classica, ma il convincimento di quasi tutti gli scienziati dell'epoca era che prima o poi anche questi trovassero una interpretazione all'interno della fisica classica. I fatti dimostrarono che le cose non stavano così; lo studio sperimentale e teorico dei problemi irrisolti portò al superamento della fisica classica, che da teoria generale in grado di interpretare tutta la realtà fu ridotta al rango di ottimo modello in grado di spiegare e prevedere fenomeni in un limitato ambito di validità. In effetti, i fenomeni su cui si è sviluppata la fisica classica sono quelli che più direttamente rientrano nell'esperienza comune ed usuale di tutti gli uomini, come la caduta dei gravi ed il moto dei proiettili, il moto dei pianeti, il lento movimento di cariche elettriche nei circuiti. In sostanza la fisica classica è nata e si è sviluppata su fenomeni che riguardano corpi lenti e grandi; in questo ambito essa è un metodo scientifico di prima classe. Non è affatto detto, però, che la fisica classica sia in grado di interpretare altrettanto bene la realtà al di fuori di questo ambito, su fenomeni che coinvolgono velocità paragonabili a quella della luce o dimensioni piccole come quelle degli atomi o delle particelle elementari. E' interessante notare che questa considerazione, della cui validità abbiamo oggi prove evidenti, era per gli scienziati dell'epoca poco credibile, tenendo conto che la fisica newtoniana era nata con l'affermazione che stesse leggi regolano i corpi celesti e quelli terrestri, in contrasto con la preesistente concezione aristotelica. Uno dei filoni di ricerca che maggiormente contribuì al superamento della fisica classica fu quello relativo alla propagazione ed all'emissione della luce. L'indipendenza della velocità della luce dal sistema di riferimento scelto, dimostrata sperimentalmente da Michelson e Morley nel 1881, metteva in crisi il principio galileiano di composizione delle velocità. Inoltre il principio di relatività galileiana sembrava essere in contrasto con le equazioni di Maxwell che modificano la loro forma nel passaggio da un sistema di riferimento inerziale ad un altro. Tutto questo portò Albert Einstein a riaffermare il criterio di relatività, mettendo però in crisi la concezione classica dello spazio e del tempo con la teoria della relatività ristretta (1905). D'altro canto, gli studi sull'emissione della luce da parte di un corpo incandescente (corpo nero), avevano portato Max Planck nel 1900 a ipotizzare che gli atomi eccitati emettessero energia non in modo continuo ma per quantità discrete, gettando così le basi della fisica quantistica che, come vedremo, costituisce un valido modello interpretativo dei fenomeni su scala atomica e subatomica. L'ipotesi quantistica di Planck permise inoltre nel 1905 ad Einstein di interpretare un altro fenomeno classicamente inspiegabile: l'effetto fotoelettrico. Un altro potente impulso all'affermazione della fisica quantistica nella scala microscopica venne dalle teorie sulla struttura dell'atomo. Nel 1897, infatti, la scoperta dell'elettrone (J.J. Thomson) dimostrò con chiarezza che l'atomo non poteva essere considerato il costituente elementare della materia, ma era a sua volta formato da particelle più semplici. La costruzione di un valido modello atomico e nucleare confermò l'inadeguatezza, su questa scala, della fisica classica e la necessità di interpretare le cose dal punto di vista quantistico. La crisi della fisica classica fu la premessa di un tumultuoso sviluppo scientifico. I nuovi modelli interpretativi permisero di prevedere nuovi fenomeni ed aprirono la strada al superamento del dualismo tra onda e particella. Nella fisica classica esistono i fenomeni corpuscolari ed i fenomeni ondulatori con una netta separazione tra essi, nel senso che un singolo fenomeno può essere visto o in una chiave oppure nell'altra, senza possibilità di commistione tra esse. Nel mondo microscopico, viceversa, la separazione tra i due punti di vista cade: la radiazione può presentare caratteri corpuscolari e le particelle mostrare aspetti ondulatori. Il comportamento delle onde di materia deve essere descritto da una nuova teoria, la meccanica quantistica (o meccanica ondulatoria) fondata nel 1925 indipendentemente da Erwin Schrödinger e Werner Heisemberg. In meno di 30 anni, a partire dal 1900, il panorama della fisica cambiò radicalmente: al posto di un unico modello interpretativo, la fisica classica, si avevano due teorie più generali, la fisica quantistica e la fisica relativistica, una valida per piccole dimensioni, l'altra per velocità elevate. Ciascuna di queste teorie comprende la fisica classica come caso limite, cioè come approssimazione del modello per dimensioni grandi o per velocità piccole. La saldatura tra fisica quantistica e fisica relativistica avviene nel campo delle piccole dimensioni e delle alte velocità; in questo ambito la teoria interpretativa (fisica quantum-relativistica) costituisce una delle attuali frontiere della scienza. La radiazione di corpo nero La luce è un'onda elettromagnetica emessa da corpi incandescenti. Gli atomi di un corpo caldo si comportano come piccoli oscillatori elettromagnetici capaci di emettere e di assorbire frequenze principalmente del visibile e dell'infrarosso. Si dice che un corpo caldo irraggia. L'irraggiamento o radianza rappresenta la potenza emessa per unità di superficie. 2 La radianza si misura in W/m Un corpo nero è capace di emettere (e assorbire) radiazione di tutte le frequenze. Un buon modello di corpo nero, dato nel 1860 da Gustav Kirchhoff (1824-1887), è un blocco di materiale con una cavità interna e un piccoloforo che viene riscaldato fino ad una data temperatura (uniforme). La radiazione (radiazione di cavità o di corpo nero) emessa dal forellino dipende solo dalla temperatura T e non dal materiale o dalla forma della cavità. La curva di emissione ad una determinata temperatura è una curva quasi a campana che dà la radianza spettrale in funzione della lunghezza d'onda . La curva è fatta in modo che una piccola area R tra e misura l'irraggiamento relativo a quell'intervallo di lunghezze d'onde. L'area totale sotto la curva è la radianza totale e rappresenta tutta la potenza emessa per unità di superficie. dove il simbolo indica la funzione integrale (permette il calcolo dell'area sottostante la curva che sta integrando). Per tutti i materiali vale la legge di Stefan - Boltzmann: Con Per una data temperatura è costante anche la forma della curva, per temperature più basse la curva si appiattisce spostando il picco verso le lunghezze d'onda maggiori. La curva è analoga a quella della distribuzione di velocità in un gas. Alla fine del XIX secolo si tentò di spiegare la radiazione di corpo nero con la fisica classica. Il fisico tedesco Wilhelm Wien (1864-1928), premio Nobel per la Fisica nel 1911, descrisse la legge di proporzionalità inversa che lega la lunghezza d'onda del picco alla temperatura. Questo significa che la radiazione di picco emessa cambia colore con l'aumentare della temperatura, da rossa a gialla, azzurra, bianca. La relazione di Wien è Con costante di Wien Wien, applicando al corpo nero le leggi della termodinamica, propose una teoria che si accordava con l'andamento sperimentale alle piccole lunghezze d'onda, ma non alle grandi. I fisici Rayleigh e Jeans elaborarono invece una seconda teoria che si accordava con le onde lunghe, ma divergeva per piccole lunghezze d'onda (catastrofe ultravioletta). Queste due leggi furono quanto di meglio poté essere fatto con la fisica classica. Il 19/10/1900 il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) propose una formula empirica che funzionava per tutte le lunghezze d'onda e, il 14/12/1900 formulò la sua teoria. Teoria di Planck Gli atomi della cavità si comportano come oscillatori elettromagnetici. Gli oscillatori scambiano (cedono e acquistano) energia con la radiazione attraverso pacchetti discreti. Ogni pacchetto energetico ha energia E n h f con n intero positivo, h= 6,6310 (costante di Planck o quanto d'azione), f la frequenza dell'oscillatore. Se un atomo passa da uno stato energetico ad un altro emette o assorbe energia per pacchetti, altrimenti non emette e non assorbe energia. Planck, il padre della teoria dei quanti, non era molto convinto della sua teoria e la considerò un semplice artificio. Nel 1918 ebbe il premio Nobel per la fisica per la scoperta dei quanti. -34 L’effetto fotoelettrico Illuminando alcuni metalli con luce (o più in generale con una radiazione elettromagnetica) di opportuna frequenza, si osserva sperimentalmente che essi emettono elettroni; questo fenomeno si chiama effetto fotoelettrico. Nel 1905 Einstein permise alla teoria quantistica di fare un ulteriore passo avanti. Planck aveva proposto che gli scambi di energia tra la radiazione elettromagnetica e la materia avvenissero in modo quantizzato, ma Einstein propose che la radiazione stessa fosse composta da quanti, dando alla discontinuità dell’energia assume un carattere universale e più strettamente fisico, non solo matematico! Questo passaggio fu possibile grazie allo studio dell’effetto fotoelettrico, scoperto casualmente nel 1887 dal fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz, quando vide che illuminando una placca di zinco con delle radiazioni ultraviolette, il metallo si caricava elettricamente. La spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che l’energia della radiazione elettromagnetica in arrivo determina l’espulsione degli elettroni e quindi la generazione della corrente elettrica (ma solo se l’energia incidente supera la forza che tiene legati gli elettroni all’atomo). Poiché all'epoca la luce era considerata un'onda la forza di espulsione degli elettroni sarebbe dovuta dipendere solo dall’intensità della luce e non dalla sua frequenza, quindi non c'era ragione di pensare che luci rosse, verdi o blu avrebbe dovuto avere effetti diversi. Al contrario una debole luce rossa o una debole luce verde avrebbero dovuto espellere gli elettroni con meno forza di una intensa luce rossa o di una intensa luce verde. Ma questo non accadeva! Al variare dell'intensità cambiava soltanto il numero degli elettroni espulsi, ma la velocità di espulsione degli elettroni rimaneva esattamente la stessa! C'era un ulteriore complicazione: in alcuni metalli la luce rossa non riusciva ad espellere alcun elettrone, mentre quella blu o ultravioletta potevano farlo con facilità… da cosa dipendeva tutto ciò? Einstein ipotizza, sull'onda dell'intuizione di Planck, che la luce in questo caso andasse considerata come una particella. Ogni “pacchetto di luce”, in questa ipotesi, possiede un’energia che è proporzionale alla sua frequenza secondo la formula di Planck... per cui i quanti di luce rossa hanno una bassa energia (sono a bassa frequenza), mentre i quanti di luce ultravioletta hanno un’alta energia (sono ad alta frequenza). Quando l’energia di un quanto arriva a colpire un atomo essa viene ceduta all’elettrone. Se un fotone è a bassa frequenza (ad es. di luce rossa) l’energia posseduta non è sufficiente a causare l’emissione di un elettrone, mentre oltre una determinata soglia di frequenza l’energia del fotone può strappare l’elettrone all’atomo. A seconda della soglia fotoelettrica di un metallo, una debole luce ultravioletta - caratterizzata da un’alta frequenza – potrebbe tranquillamente generare una corrente elettrica, mentre una fortissima luce rossa potrebbe non esserne capace. In sostanza la maggiore intensità della luce rappresenta solo un maggior numero di fotoni, senza con questo disporre di una maggiore intensità dell’energia (che dipende invece dalla frequenza), quindi la capacità di strappare gli elettroni rimane la stessa e non viene influenzata la loro velocità di espulsione, ma ciò che cambia è semplicemente che più elettroni verranno emessi (aumentando il flusso di corrente elettrica). Il considerare la luce come un'onda avrebbe reso la sua energia dipendente esclusivamente dall'intensità della luce, per cui una luce rossa ed una ultravioletta - a parità di intensità - avrebbero dovuto espellere lo stesso numero di elettroni e l'energia cinetica di espulsione sarebbe dovuta essere equivalente. Una luce troppo debole non avrebbe dovuto generare alcun elettrone, indipendentemente dalla sua frequenza. Il quanto di luce venne definito “fotone” dal chimico statunitense Gilbert Newton Lewis nel 1926, mentre Einstein per questa interpretazione ricevette il Nobel per la Fisica nel 1921.