manifestazioni dell`aggressivita` nelle varie

MANIFESTAZIONI
DELL’AGGRESSIVITA’ NELLE VARIE
PATOLOGIE PSICHIATRICHE
Dr. Nicola Poloni
Ricercatore di Psichiatria
Università degli Studi dell’Insubria
Varese, 18 febbraio 2014
AGGRESSIVITA’
• L’aggressione è un comportamento che mira a
scacciare, offendere, danneggiare, prevaricare, ferire o
uccidere una persona, un animale o una cosa.
• Al comportamento aggressivo sono associate emozioni
come la rabbia, il risentimento, la collera, la paura.
• L’aggressività può essere definita come la disposizione
all’aggressione.
(Scharfetter, 1980)
CLASSIFICAZIONE
attiva
passiva
azione
Omissione (abbandono)
fisica
Non fisica (verbale o non verbale)
consapevole
inconsapevole
mirata
Non mirata
Fatta sul serio
Fatta in maniera dimostrativa
diretta
Indiretta (calunnie, danni agli oggetti)
manifesta
nascosta
spontanea
reattiva
difensiva
offensiva
Contro persone
Contro cose
Contro altri
Contro se stessi (tendenze suicidarie)
Affettiva, espressiva
sperimentale
Conforme alle regole sociali
punibile
VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA
• Atteggiamenti e comportamenti di minaccia e di
violenza non hanno di per sé un significato
psicopatologico.
• Soggetti sani, senza alcun disturbo mentale, ma
appartenenti ad ambienti socio-culturali che si ispirano
a ideali di violenza sono particolarmente predisposti a
comportamenti aggressivi.
• La % di atti violenti tra malati mentali non è più
elevata rispetto alla popolazione generale.
VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA
• Nei comportamenti violenti solo un numero limitato di
casi può essere considerato di interesse psichiatrico ed
essere quindi oggetto di terapia.
• Non è sempre agevole stabilire un confine tra
normalità e patologia in quest’area comportamentale
di confine ma può essere seguita la regola che i
comportamenti violenti dipendenti da un disturbo
psichiatrico sono,in genere, iscritti in una storia clinica
e spesso già oggetto di un trattamento specialistico.
VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA
• L’adozione di un pattern comportamentale aggressivo
violento da parte di persone affette da disturbi psichici
costituisce uno dei fattori di maggiore aggravamento
della prognosi del disturbo di base.
• L’associazione tra psicopatologia e violenza comporta
molto spesso un’evoluzione verso una progressiva
emarginazione.
• Le conclusioni degli studi epidemiologici non
consentono di stabilire quanto l’associazione con i
disturbi psichici elevi la probabilità di commettere un
atto criminale, ma hanno reso evidente che sussiste
una relazione non causale tra la psicopatologia e la
violenza.
ALCUNI DATI
• Nei dipartimenti di emergenza il 55 % degli
operatori in un anno subisce aggressioni da parte
di pazienti
• Il 40-70 % degli psichiatri hanno subito
un’aggressione fisica almeno una volta nella loro
vita professionale
• Gli psichiatri sono la categoria meno a rischio: le
aggressioni riguardano più frequentemente gli
operatori non medici, di sesso femminile e con più
scarsa formazione psichiatrica
VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA
Perché il problema è sottovalutato:
• insufficienze metodologiche degli studi;
• l’istituzionalizzazione aveva limitato il
fenomeno;
• recentemente droghe ed alcool lo hanno
accentuato;
• timore dei operatori di alimentare lo stigma.
VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA
• Perché il problema è sopravvalutato:
– larga eco sulle pagine dei giornali di alcuni
reati violenti commessi da malati mentali
– Ampliamento dei confini della malattia mentale
– Riduzione del personale nei servizi psichiatrici
– Scarsa formazione del personale che opera nei
servizi psichiatrici
COMPORTAMENTI VIOLENTI
I comportamenti violenti sono un tema di interesse centrale
in psichiatria per 3 aspetti:
1) Clinico
-
analisi dei rapporti tra intensi vissuti emozionali (rabbia, ostilità,
paura..) e comportamenti violenti
meccanismi di controllo delle emozioni e le loro disfunzioni
2)
Medico-legale
-
confini tra violenza “normale” e violenza “patologica”
-
valutare se un atto violento può rientrare in una variabilità normale o è
la conseguenza di un disturbo psichiatrico in atto che può aver
compromesso la capacità di intendere e di volere
1)
Sociale
-
il comportamento violento in presenza di necessità di cure e rifiuto delle
stesse è una delle condizioni che possono portare al trattamento
sanitario obbligatorio (TSO)
PATOLOGIE CON
COMPORTANMENTI VIOLENTI
• PSICHIATRICHE: Schizofrenia, Sindrome
Affettiva Bipolare, Disturbi Deliranti, Disturbi di
Personalità
• TOSSICHE: Alcol, Allucinogeni, Analgesici,
Amfetamine, Anticolinergici, Antidepressivi,
Antipsicotici, Steroidi, Cocaina
• NEUROLOGICHE E MEDICHE: Epilessia,
Encefaliti, Emorragia Cerebrale, Demenza,
Tumori Cerebrali, Ipossia, Ipertensione,
Ipoglicemia, Ipo/Ipertiroidismo, Infezioni
Sistemiche, Encefalopatia Epatica, Insufficienza
Renale
PREDITTORI DI RISCHIO
(fattori demografici e anamnestici)
•
•
•
•
•
•
•
•
Sesso maschile (maggiore frequenza e gravità)
Età giovanile (anziani con disturbi Psico- organici)
Basso livello socio- economico
Ridotto supporto sociale
Disoccupazione
Abusi infantili o storia di violenza familiare
Uso di droghe o alcol (fattori disinibenti)
Ritardo mentale o danni cerebrali (anche lievi)
• Eventi stressanti (isolamento sociale, problemi
economici, cambiamenti improvvisi)
PREDITTORI DI RISCHIO
(variabili cliniche)
• Psicosi: ideazione delirante, allucinazioni uditive,
concomitante abuso di alcol e/o sostanze, fasi di
acuzie del quadro clinico, fasi di ricovero, scarsa
aderenza al trattamento
• Mania: ideazione delirante di grandezza o
persecutoria, disorganizzazione del pensiero,
tentativi di contenimento o limitazione dei progetti
• Disturbi di Personalità: antisociale, borderline,
paranoide
• Abuso di sostanze
• Disturbi Psico- organici
VALUTAZIONE DELLA
PERICOLOSITA’
1. Aspetto del paziente (segni di uso di
alcool e droghe, agitazione, rabbia).
2. Grado di dettaglio nell’esporre i piani di
violenza e le minacce.
3. Disponibilità di oggetti in grado di
procurare ferite importanti (possesso di
armi).
Tardiff, 1992
VALUTAZIONE DELLA
PERICOLOSITA’
4. Storia di precedenti comportamenti violenti
(suicidio, guida pericolosa, comportamenti
sessuali a rischio, danneggiamento di
oggetti e proprietà altrui).
1. Obiettivi delle precedenti azioni di
violenza.
2. Gradi di lesione nel caso di violenza già
agita.
Tardiff, 1992
VALUTAZIONE DELLA
PERICOLOSITA’
1. Storia di abusi fisici subiti durante
l’infanzia o altri tipi di violenza subiti in
famiglia.
2. Assunzione recente di alcool e droghe (in
particolare amfetamine, cocaina, ansiolitici,
sedativi, allucinogeni).
3. Disturbi organici del SNC.
Tardiff, 1992
VALUTAZIONE DELLA
PERICOLOSITA’
10. Disturbi psicotici (in particolare pensiero
paranoideo e allucinazioni di comando).
1. Disturbi di personalità.
2. Appartenenza ad un gruppo demografico a
maggior rischio per le condotte violente
(giovane età, sesso maschile, classe sociale
ed economica inferiore).
Tardiff, 1992
Il ciclo dell’aggressione
Fase del
trigger
Fase della
escalation
Fase del
recupero
Fase della
depressione
postcritica
Fase
della
crisi
Possibili
nuovi triggers
Comportamento di base
(Maier e Van Rybroek, 1995)
1) Fase del trigger (fattore
scatenante)
- Intensificazione di una stimolazione avversativa.
- Disinibizione indotta da sostanze.
- Percezione della mancanza di alternative.
- Presenza di fattori di provocazione (veri o
presunti) come insulti o derisioni.
- Esperienza di fattori stressanti maggiori (recenti
perdite, eventi catastrofici).
2) Fase dell’escalation
- Approccio verbale mirato alla riduzione
progressiva della posizione violenta.
- Avviare una negoziazione che recepisca il
contenuto emotivo e razionale della crisi ma ne
devi il percorso comportamentale.
- Una manovra aggiuntiva può essere
l’allontanamento dal contesto soprattutto quando
fattori ambientali contribuiscono a determinare la
condizione di crisi.
Fasi 1 e 2: pre-aggressione
- Le fasi 1 e 2 sono caratterizzate sul piano clinico da
segni prodromici quali tensione e irrequietezza.
- E’ importante assumere precocemente la responsabilità
della situazione e non adottare atteggiamenti di
evitamento.
- L’assenza di un feedback appropriato verso una
comunicazione violenta evoca di per sé un
innalzamento del livello del rischio, essendo
interpretata dal paziente come debolezza
dell’interlocutore ed incentiva la prosecuzione del
comportamento in atto.
- Da tenere presente anche le differenze nelle gestione
del paziente noto rispetto a quello non noto.
Fasi 1 e 2: pre-aggressione
Occorre prendere in esame i correlati verbali e non
verbali dell’aggressività:
- contrattura della muscolatura facciale, stringere i
pugni, serrare i denti, sguardi minacciosi;
- minacce verbali, aumento del volume della voce;
- aumento dei comportamenti motori macroscopici
quali gesticolazione, passeggiare rapidamente;
- risposta al primo intervento degli operatori (la
mancanza di recettività costituisce un ulteriore
segno di una crescente utilità).
3) Fase critica
- E’ il punto culminante di eccitamento.
- L’attenzione va focalizzata sulla sicurezza e sulla
riduzione delle conseguenze.
- L’intervento non deve essere condotto sul
presupposto della possibilità di una risposta
razionale, ma fondarsi sulla scelta di opzioni
sintetiche (contenimento, fuga, autoprotezione).
- L’aggressione vera e propria consiste nell’atto
violento con le sue immediate ripercussioni fisiche e
psicologiche sulla vittima.
3) Fase critica
Durante questa fase si attivano importanti
contenuti emotivi:
PAZIENTE
• Momento della
gratificazione per
diminuzione dello stato di
arousal
• Rinforzo temporaneo
dell’autostima
OPERATORE
• Sentimenti di frustrazione
ed inadeguatezza
3) Fase critica
- Si esaurisce con un intervento di contenimento fisico
da parte degli operatori.
- Il sentimento di fiducia che è posto al fondamento di
ogni rapporto terapeutico viene interrotto; è quindi
necessario distinguere tra la terapia, fondata sul
consenso, e la gestione in acuto dell’atto aggressivo.
4) Fase di recupero
- Graduale ritorno alla linea basale.
- È una fase delicata perché interventi intempestivi
(volti all’elaborazione dell’episodio) possono
scatenare una riacutizzazione della crisi.
- Occorre mantenere un monitoraggio attivo ma
distante, senza sollecitare il paziente con stimoli
inopportuni (fare accedere il paziente in un
ambiente isolato e mantenere un’osservazione
costante).
5) Fase della depressione postcritica
- Compaiono nel paziente emozioni negative, legate a
sentimenti di colpa, vergogna o rimorso.
- Recettività per interventi di carattere psicologico,
volti all’elaborazione dell’evento.
- Il confronto con la vittima è un momento molto utile,
per evitare che sedimentino reazioni e controreazioni
che possono inquinare il rapporto.
- La discussione dell’evento è un elemento di forte
rassicurazione ed ha un’azione preventiva contro lo
sviluppo di sentimenti di paura e di rivalsa.
Gestione del paziente violento
COMPORTAMENTO AGGRESSIVO VIOLENTO
DESCALATION
Mira a deviare il percorso dalla
confrontazione alla soluzione
negoziale del conflitto.
CONTENIMENTO
Impedisce di portare a termine
l’aggressione bloccando
l’evoluzione comportamentale.
ATTENZIONE
ALLA SICUREZZA
Limita le conseguenze
dell’azione violenta.
RELAZIONE CON IL
PAZIENTE VIOLENTO (1)
• Non fissare troppo i pazienti. E’ bene guardare negli
occhi,ma ciò può essere sentito come minaccioso se
fatto eccessivamente.
• Adottare e mantenere un tono di voce morbido,
chiamare il paziente per nome, se possibile, e
mostrarsi interessati a capire dove è il problema.
• Cercare di incoraggiare il paziente a sedersi. Se anche
l’operatore si siede, si ha una riduzione dell’impatto
della presenza fisica nella situazione, con conseguente
riduzione delle probabilità di un comportamento
violento.
RELAZIONE CON IL
PAZIENTE VIOLENTO (2)
• Cercare di apparire fiduciosi senza prestare
reazioni eccessive all’aggressione verbale e
mostrare preoccupazione per il disagio del
paziente.
• Cercare di non prendere gli insulti in chiave
personale, ciò evita reazioni difensive.
• Nel comunicare con il paziente occorre evitare,
se possibile, di volgergli le spalle per non essere
un facile bersaglio di un eventuale attacco
improvviso.
RELAZIONE CON IL
PAZIENTE VIOLENTO (3)
• Evitare di assumere posture chiuse, difensive o
aggressive (stare a braccia conserte,far
ondeggiare i pugni, etc).
• Essere consapevoli del proprio comportamento
personale, ricordando che le nostre azioni
possono essere compiute inconsapevolmente.
• Far andare via le persone estranee, quando
possibile, poiché esse sono spesso all’origine di
di situazioni difficili.
• Andarsene se necessario.
ISOLAMENTO e CONTENZIONE
• La decisione se ricorrere a isolamento, contenzione
fisica o a terapia medica coatta è clinica e dovrebbe
basarsi sulle condizioni del singolo paziente.
• Esempi:
- delirium ad eziologia ignota contenzione fisica (no
farmaci neurolettici, no isolamento perché la
deprivazione sensoriale peggiora quadro clinico);
- paziente maniacale l’isolamento riduce gli stimoli;
- paziente schizofrenico paranoide possono essere
necessari sia la terapia medica, sia l’isolamento, sia la
contenzione.
N.B: I motivi che hanno reso necessari la terapia medica, l’isolamento o la
contenzione ed il successivo monitoraggio vanno documentati nella
cartella clinica.
Linee guida per isolamento e contenzione
(APA American Psychiatric Association, 1984)
•
•
•
•
•
•
•
Prevenire danni ad altri.
Prevenire danni al paziente.
Prevenire gravi alterazioni dell’ambiente terapeutico.
Come trattamento comportamentale.
A richiesta del paziente, se clinicamente adeguato.
Per ridurre gli stimoli (solo isolamento).
Da non usare per punire un paziente in risposta ad un
atto particolare.
• Il personale deve seguire le linee guida scritte
dell’Istituzione (la predefinizione del compito
specifico di ciascun operatore è indispensabile).
Linee guida per isolamento e contenzione
(APA American Psychiatric Association 1984)
• La contenzione deve di preferenza venire eseguita da
5 persone (un operatore per ogni arto, il quinto per
controllare la testa ).
• Il contatto fisico va iniziato contemporaneamente e
preferibilmente nel momento in cui l’attenzione del
paziente viene meno. Questi deve essere bloccato in
posizione orizzontale, supino sul pavimento.
• Perquisire il paziente alla ricerca di cinture, spille ed
altri oggetti pericolosi.
• Deve essere subito chiamato il medico.
• Il personale infermieristico dovrebbe osservare il
paziente almeno ogni 15 minuti.
Linee guida per isolamento e contenzione
(APA American Psychiatric Association 1984)
• Devono essere immediatamente disponibili dei
sedativi da somministrare per via parenterale se il
paziente continua ad essere combattivo.
• Le cinghie di contenzione in cuoio sono le più sicure
e vanno controllate di frequente, per verificarne il
comfort e la sicurezza.
• E’ importante che gli arti non siano contorti per non
produrre una trazione sui nervi o una lesione da
compressione.
Linee guida per isolamento e contenzione
(APA American Psychiatric Association 1984)
• I pazienti intossicati in contenzione dovrebbero essere
posti in decubito laterale e controllati per il rischio di
aspirazione di sostanze nelle vie respiratorie.
• I motivi della contenzione dovrebbero essere spiegati al
paziente con tono calmo, anche durante l’esecuzione
stessa.
• E’ fondamentale contenere le proprie emozioni e non
rispondere mai ad insulti e minacce.
• La contenzione non deve mai essere iniziata o rimossa
senza autorizzazione del medico ed in presenza di un
adeguato numero di operatori.
• Deve esserci documentazione scritta dei motivi e dei
tempi del provvedimento.
Il punto di vista dell’operatore
• Risposta psicologica
- sentimenti sgradevoli: ansietà e paura comportamenti di diffidenza evitamento del
paziente ed eccessiva distanza
• Risposta sociale
- isolamento del paziente diminuzione feedback
legato all’interazione tendenza all’uso della
violenza
Da qui la necessità di considerare la risoluzione dei
sentimenti controtransferali una condizione specifica per la
continuazione del trattamento del paziente che si sia
dimostrato aggressivo.
Il punto di vista dell’operatore
• La relazione con un paziente violento si
presenta densa di problematiche che rischiano
di alterare la correttezza e l’adeguatezza
dell’intervento terapeutico.
• I sentimenti che l’operatore prova nei confronti
del paziente violento sono numerosi: PAURA,
FRUSTRAZIONE, RABBIA, DELUSIONE,
INSICUREZZA e di non facile gestione.
Il punto di vista dell’operatore
• Le reazioni emotive, che intervengono in forma
di difesa, sono finalizzate ad una gestione
dell’ansia che deriva dalla complessità e dalla
conflittualità della relazione con il paziente
violento.
• Generalmente lo scopo dei meccanismi di
difesa è quello di produrre una barriera
protettiva per preservare la propria stabilità
emotiva; essi possono però presentare degli
aspetti negativi quando si sviluppano in modo
eccessivo.
Il punto di vista dell’operatore
• Un ruolo importante è giocato dalle
caratteristiche di personalità di ciascun
operatore.
• Alcune ricerche hanno messo in luce che
psichiatri e operatori più irritabili (valutati
con specifiche rating scales) e più propensi a
rispondere con la violenza fisica a minacce
di violenza fisica, sono quelli che presentano
il più alto numero di aggressioni da parte dei
pazienti.
Il punto di vista dell’operatore
• Quando i meccanismi di difesa non sono
opportunamente riconosciuti e valutati possono
diventare un pericoloso “corpo estraneo” che si
insinua e deforma le funzioni dell’operatore,
dando luogo a prese di posizione emotive
personali oppure a strategie istituzionali bastate
più sulle aspettative formali dell’istituzione che
sulle necessità reali del paziente.
Il punto di vista dell’operatore
•
Alcuni tra i più frequenti meccanismi di
difesa massi in atto dall’operatore
psichiatrico sono:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
CONCRETIZZAZIONE
FORMAZIONE REATTIVA
MINIMIZZAZIONE
NEGAZIONE
PASSAGGIO ALL’ATTO
PROIEZIONE
SCISSIONE
1. Concretizzazione
• E’ uno specifico processo attraverso il quale un
determinato concetto o idea astratta viene trasformato
in un’immagine concreta individuazione di un
elemento unico “responsabile”e non considerazione della
globalità della relazione individuo-comportamento
violento.
• L’attenzione è focalizzata solo un determinato sintomo
psichiatrico che diventa la causa unica del comportamento
violento (ad esempio: il paziente ha aggredito perché è
delirante la causa è il delirio persecutorio farmaci
deliriolitici, non occorrono altre indagini).
• L’operatore cerca di evitare ogni comprensione empatica
del paziente, ogni implicazione affettiva utile ai fini
terapeutici, denaturando in tal modo il sintomo di cui non si
coglie il significato.
2. Formazione reattiva
• E’un meccanismo di difesa che consiste nel tener lontano un
desiderio o un impulso inaccettabile adottando un
comportamento diametralmente opposto.
• Ad esempio l’operatore che prova nei confronti del paziente
violento il desiderio di allontanarlo e di non occuparsene può
mettere in atto dei comportamenti opposti di estrema cura e
protezione, che però non costituiscono un’adeguata presa in carico
iperaccudimento.
• L’operatore stabilisce un rapporto che a livello superficiale appare
intenso ma che a livello profondo conserva la distanza emotiva dal
paziente e quindi un’inadeguata presa in carico.
• L’operatore tende ad accorciare le distanze fisiche con il paziente
(volta le spalle, non tiene il paziente sotto il controllo dello
sguardo, si chiude nella stanza per dialogare “faccia a faccia”. Tali
comportamenti, oltre ad essere inutili e rischiosi, possono
incrementare l’aggressività del paziente.
3. Minimizzazione
• Attraverso questo meccanismo l’operatore tende a
sottovalutare alcune variabili cliniche che possono
stimolare e scatenare il comportamento violento del
paziente.
• Minimizzazione di situazioni ambientali: il contatto
con altri pazienti fortemente disturbati e agitati,
mancanza di attività, ozio, noia, promiscuità tra
pazienti dello stesso sesso che può generare ansia,
atteggiamenti neutri percepiti come offensivi quali
uno sguardo, carenze di sensibilità da parte del
personale.
3. Minimizzazione
• Spesso viene prestata poca attenzione all’osservazione
del paziente i cui sintomi vengono genericamente
definiti come “agitazione psicomotoria”, “confusione”,
“crisi d’ansia”, etc..
• Minimizzazione per mancata o insufficiente discussione
dell’evento violento in équipe o con i pazienti che
hanno assistito all’atto. E’ necessario che gli operatori
possano parlare dei loro sentimenti ed esternare le loro
emozioni in rapporto al fatto; non farlo può consolidare
nel personale la convinzione che il paziente non sia
“curabile”.
3. Minimizzazione
• Anche i pazienti che hanno assistito all’atto violento
devono avere la possibilità di verbalizzare i loro vissuti,
altrimenti possono ritenere che l’équipe non sia in grado
di “controllare” la situazione e di intervenire in modo
utile e terapeutico (ciò potrebbe scatenare altri episodi di
violenza).
• Anche l’insufficiente informazione al paziente sui
provvedimenti restrittivi può essere soggetta a
minimizzazione. E’ indispensabile chiarire al paziente in
modo adeguato il perché viene posto in stato di
contenzione o perché vengono somministrati farmaci
contro la sua volontà (indipendentemente dalle
condizioni psichiche del soggetto).
3. Minimizzazione
• Minimizzazione dei prodromi che non vengono
adeguatamente decodificati, perdendo così il loro
valore di messaggio di richiesta di aiuto da parte del
paziente (ad esempio esistenza di processi
rivendicativi nella realtà del paziente, importanza di
minacce verbalizzate, passaggio all’azione su
oggetti).
4. Negazione
• E’un meccanismo di difesa attraverso il quale ciò che è
intollerabile alla coscienza viene rifiutato in modo
protettivo e inconscio, attraverso un’apparente
cancellazione di elementi percettivi.
• Nella relazione con il paziente violento, la negazione
rappresenta la tendenza dell’operatore ad ignorare, per non
affrontare sentimenti ansiogeni, la reale pericolosità del
paziente attraverso:
- negazione dei dati anamnestici (precedenti episodi di violenza);
- negazione dei sintomi attuali;
- negazione delle minacce formulate dal paziente, che possono
essere una richiesta di aiuto, un tentativo di rinforzare un
proposito violento, una dimostrazione di potenza e non
esclusivamente un passaggio all’atto.
5. Passaggio all’atto
• E’ un meccanismo di difesa attraverso il quale i conflitti
emozionali possono essere espressi in forma mascherata
di azione.
• Il paziente violento può stimolare nell’operatore una serie di
reazioni psicologiche difensive che si manifestano attraverso:
- passaggio all’azione farmacologica utilizzo inadeguato dei
farmaci (sovradosaggio, non rispetto del tempo di latenza
dell’azione terapeutica del farmaco, etc..) e dei mezzi di
contenzione fisica;
- rifiuto del paziente ovvero tendenza a “disfarsi” di un
paziente la cui gestione è difficoltosa (invio in un’altra
struttura il paziente non ha il tempo di adattarsi, conoscere
il luogo e le persone nuovo comportamento violento).
6. Proiezione
• E’ un meccanismo di difesa caratterizzato dal rifiuto di
determinati elementi, dal posizionamento di questi al di
fuori dell’Io e dall’attribuzione degli stessi ad altri
individui.
• La proiezione gioca un ruolo importante nella relazione con gli
altri, in quanto può determinare una alterazione anche grave del
giudizio di realtà: il paziente non viene percepito nella sua
obiettività ma, attraverso una falsa interpretazione dovuta alla
proiezione, possono scatenarsi reazioni ingiustificate.
• Esempio: aspettative non realistiche di guarigione da parte dell’
équipe reazioni depressive di fronte all’insuccesso che, se
proiettate sul paziente, possono confermare l’onnipotenza della
propria malattia e renderlo ancora più angosciato e senza
speranza.
7. Scissione
• E’ un meccanismo di difesa attraverso il quale
un’unica entità viene scissa in due o più parti, per
evitare percezioni conflittuali dell’elemento intero.
• Interviene per separare le emozioni dalla coscienza e
lasciare ampio spazio ad una visione razionale
considerata “più facilmente gestibile”.
• Può essere utilizzata verso le emozioni percepite nei
confronti del paziente (ansia, paura, insicurezza) e
verso le emozioni che il paziente “offre” all’interno
della relazione (rabbia) l’operatore si posiziona ad
una “distanza di sicurezza” nei confronti del paziente,
precludendosi la possibilità di usare l’empatia.
Condizioni che aumentano o diminuiscono i
livelli di aggressività nelle Comunità
AUMENTANO
• mancata consapevolezza
da parte degli operatori dei
propri sentimenti ostili;
• clima esterno di
aggressività che agisce
“preventivamente” con
altrettanta aggressività.
DIMINUISCONO
• norme uguali per tutti:
- carta dei servizi;
- riunioni di comunità;
- contatti informali dello staff
con i pazienti.
• discussione nella riunione
di comunità degli episodi
aggressivi-violenti;
• contrastare gli eventuali
comportamenti del
personale troppo rigidi che
possono mascherare
reazioni controtransferali
negative.
TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’
•
Messa a punto di un progetto terapeutico
integrato sulla base della diagnosi psichiatrica e
del rischio di comportamenti violenti;
•
Impostare terapia farmacologica del disturbo
psichiatrico di base, privilegiando i farmaci che
hanno una maggiore specificità per il controllo
dei comportamenti violenti.
TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’
•
•
•
Valutare l’efficacia del trattamento dopo il
periodo di latenza terapeutica previsto per i
farmaci utilizzati; in caso di inefficacia sul
comportamento violento cambiare posologia o
tipo di farmaco;
Prevedere un trattamento farmacologico per
i comportamenti violenti a lungo termine,
anche dopo la remissione del disturbo
psichiatrico di base;
Integrare il trattamento farmacologico ad
interventi non farmacologici.
TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’
Non esistono farmaci “antiaggressività”
Riconosciuti come tali dalla Food and Drug
Administration (FDA).
La scelta di uno psicofarmaco deve essere
basata maggiormente sulla diagnosi clinica
del paziente.
TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’
Numerosi trattamenti si sono dimostrati in grado di ridurre o modulare i
comportamenti aggressivi:
- Neurolettici
- Benzodiazepine
- Sali di Litio
- B-bloccanti (propanololo)
- Anticonvulsivanti (carbamazepina)
- SSRI
- Modulatori del tono serotoninegrico centrale (trazodone,
buspirone, triptofano)
- Antidepressivi triciclici (clomipramina)
- I-MAO
- psicoterapia a lungo termine
Antipsicotici tipici
• Sono i farmaci più comunemente usati utilizzati
nel tattamento del comportamento violento
sotteso direttamente da sintomi psicotici come
deliri del controllo del pensiero, di persecuzione e
allucinazioni di comando;
• Circa 1/3 dei pazienti sono non responder; in
questo caso vengono utilizzate delle associazioni
(litio, carbamazepina) oppure vengono utilizzate
dosi alte per lunghi periodi di tempo (in realtà non
ci sono prove concrete che le alte dosi inducano
un’effettiva riduzione dell’incidenza del
comportamento violento).
Antipsicotici tipici
• L’assunzione continuativa anche a dosi standard
può indurre acinesia, acatisia esacerbazione
del discontrollo, rabbia e violenza;
• Tenere presente la possibilità che un
comportamento violento che non risponde al
trattamento con neurolettici, rappresenti una
particolare variante di acatisia. In questo caso è
preferibile l’uso delle BDZ, eventualmente in
associazione con litio e valproato.
Antipsicotici atipici
CLOZAPINA
↑ Attività serotoninergica (blocco dei recettori 5HT)
↓ l’attività dopaminergica (recettori D2 sistema
limbico)
• Gli effetti antiaggressivi sono relativamente specifici (non
dovuti a sedazione o a generici effetti antipsicotici);
• Riduce il comportamento aggressivo nella schizofrenia, nei
disturbi schizoaffettivi e probabilmente in altri disturbi.
Antipsicotici atipici
RISPERIDONE
Ha lo stesso spettro d’azione della clozapina sul SNC.
• Come per la clozapina il dosaggio deve essere aumentato in
modo graduale;
• Entrambi questi farmaci non possono essere impiegati in
interventi in acuto ma in pazienti con sintomi psicotici
stabili che conducono alla violenza.
Anticonvulsivanti
“instabilità del SNC” nel sistema limbico
(equivalente epilettico)
↓
sindrome da discontrollo episodico (Monroe, 1975)
• La carbamazepina riduce il comportamento aggressivo in
pazienti con un ampio spettro di diagnosi: bambini con disturbi
della condotta, carcerati non psicotici, psicotici adulti;
• Dati meno consistenti per valproato.
Benzodiazepine
↑ attività GABAergica centrale inibizione
dell’aggressività.
• Efficaci nel controllo a breve termine degli episodi acuti di
aggressività;
• Buona risposta in un ampio spettro di diagnosi: schizofrenia,
demenza, oligofrenia, disturbi di personalità;
• Minore incidenza di reazioni paradosse con Oxazepam;
• In aggiunta agli antipsicotici negli schizofrenici con
“eccitamento persistente”.
Beta-bloccanti
+ Blocco noradrenergico
↑ attività serotoninergica (blocco recettori 5-HT ad
alte dosi)
↓ Acatisia
• Usati in associazione agli antipsicotici in pazienti
schizofrenici riducono i sintomi, compresa l’aggressività;
• L’azione antiaggressiva potrebbe essere mediata dal
miglioramento delle componenti periferiche di acatisia,
tensione e ansia.
Antidepressivi
↑ Attività 5-HT
• Fluoxetina: nei disturbi di personalità, negli schizofrenici
cronici, nei depressi unipolari;
• Trazodone: nei pazienti dementi con ritardo mentale, anche in
associazione con il triptofano;
• Citalopram: nella schizofrenia cronica.
TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’
• Il trattamento di un paziente che presenta un
episodio acuto di violenza, indipendentemente
dall’eziologia sottostante, necessita talora di
contenimento, isolamento e sedazione.
• L’utilizzo di neurolettici e benzodiazepine è
solitamente efficace nel controllo
dell’episodio acuto di violenza.
• Più complesso è il trattamento di chi presenta
ripetuti episodi di aggressività accessuale.
TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’
•
E’ compito del terapeuta ricercare la terapia
più corretta per il singolo paziente.
•
Il trattamento più efficace spesso è quello che
prevede l’integrazione di strumenti terapeutici:
-
farmacologici;
-
psicologici;
-
socio-assistenziali.
Il confronto con il paziente violento
rappresenta per l’operatore psichiatrico una
difficile sfida dal momento che, più di
qualsiasi altra situazione, lo costringe a
confrontarsi con le proprie emozioni e le
proprie paure. Solo attraverso un lavoro di
équipe ed una formazione costante è
possibile far fronte agli episodi di violenza del
paziente, senza una destabilizzazione e una
rottura della relazione terapeutica.
MOTIVI GENERICI
DELL’AGGRESSIVITA’
• Rabbia per il ricovero forzato e/o la limitazione
della libertà (sopraffazione, terapia specie se
iniettiva)
• Rabbia e collera per la limitatezza della propria
vita, per l’essere malato, per il senso di inferiorità
e di impotenza
• Rabbia per la propria sconfitta con vergogna, sfida
contro il destino, vendetta contro gli altri e la
società
MOTIVI GENERICI
DELL’AGGRESSIVITA’
• Risentimento per la malattia o per lo scacco
vitale che essa comporta, rabbia contro tutti
quelli che non stanno male come il malato
• Reazione all’aggressività da parte di altri
• Rabbia (commisurata al bisogno) per la
mancanza di amicizia, attenzione,
compassione e amore
AGGRESSIVITA’ NEGLI
SCHIZOFRENICI
• Delirio di persecuzione e influenzamento
• Interpretazione delirante dell’ambiente
• Reazione alla presunta imposizione esterna
nell’agire, nel pensare, nel sentire
• Reazione ad allucinazioni uditive
• Reazione alla vicinanza fastidiosa, molesta e
limitativa delle altre persone
• Reazione alla perdita della distanza sociale
AGGRESSIVITA’ NELLE
PSICOSINDROMI ORGANICHE
• Risentimento per la propria limitatezza,
debolezza, per la mancanza di aiuto o per la
dipendenza
• Visione o comprensione carenti delle
situazioni
• Errato riconoscimento dell’ambiente di tipo
delirante, allucinatorio, illusorio
AGGRESSIVITA’ NEI
DEPRESSI
• Propensione alla critica eccessiva e alla
provocazione, permalosità (partner)
• Tendenza a tiranneggiare il prossimo con la scusa
di essere malato: desiderio di dominio sugli altri
da cui si esige considerazione
• Negativismo: negazione di un desiderio prima
manifestato
• Aggressività espressa con minacce di suicidio
ALTRE CAUSE DI
AGGRESSIVITA’
• Rabbia e risentimento per le limitazioni sensoriali
e/o somatiche
• Irritazione per il dolore fisico
• Irritazione per i disturbi del sonno
• Reazione alla dipendenza, al rifiuto e alla
derisione cui è esposto il malato di mente
• Reazione alla gelosia patologica (alcolismo)
• Aggressività immotivata e impulsiva (epilettici e
impulsivi)