MANIFESTAZIONI DELL’AGGRESSIVITA’ NELLE VARIE PATOLOGIE PSICHIATRICHE Dr. Nicola Poloni Ricercatore di Psichiatria Università degli Studi dell’Insubria Varese, 18 febbraio 2014 AGGRESSIVITA’ • L’aggressione è un comportamento che mira a scacciare, offendere, danneggiare, prevaricare, ferire o uccidere una persona, un animale o una cosa. • Al comportamento aggressivo sono associate emozioni come la rabbia, il risentimento, la collera, la paura. • L’aggressività può essere definita come la disposizione all’aggressione. (Scharfetter, 1980) CLASSIFICAZIONE attiva passiva azione Omissione (abbandono) fisica Non fisica (verbale o non verbale) consapevole inconsapevole mirata Non mirata Fatta sul serio Fatta in maniera dimostrativa diretta Indiretta (calunnie, danni agli oggetti) manifesta nascosta spontanea reattiva difensiva offensiva Contro persone Contro cose Contro altri Contro se stessi (tendenze suicidarie) Affettiva, espressiva sperimentale Conforme alle regole sociali punibile VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA • Atteggiamenti e comportamenti di minaccia e di violenza non hanno di per sé un significato psicopatologico. • Soggetti sani, senza alcun disturbo mentale, ma appartenenti ad ambienti socio-culturali che si ispirano a ideali di violenza sono particolarmente predisposti a comportamenti aggressivi. • La % di atti violenti tra malati mentali non è più elevata rispetto alla popolazione generale. VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA • Nei comportamenti violenti solo un numero limitato di casi può essere considerato di interesse psichiatrico ed essere quindi oggetto di terapia. • Non è sempre agevole stabilire un confine tra normalità e patologia in quest’area comportamentale di confine ma può essere seguita la regola che i comportamenti violenti dipendenti da un disturbo psichiatrico sono,in genere, iscritti in una storia clinica e spesso già oggetto di un trattamento specialistico. VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA • L’adozione di un pattern comportamentale aggressivo violento da parte di persone affette da disturbi psichici costituisce uno dei fattori di maggiore aggravamento della prognosi del disturbo di base. • L’associazione tra psicopatologia e violenza comporta molto spesso un’evoluzione verso una progressiva emarginazione. • Le conclusioni degli studi epidemiologici non consentono di stabilire quanto l’associazione con i disturbi psichici elevi la probabilità di commettere un atto criminale, ma hanno reso evidente che sussiste una relazione non causale tra la psicopatologia e la violenza. ALCUNI DATI • Nei dipartimenti di emergenza il 55 % degli operatori in un anno subisce aggressioni da parte di pazienti • Il 40-70 % degli psichiatri hanno subito un’aggressione fisica almeno una volta nella loro vita professionale • Gli psichiatri sono la categoria meno a rischio: le aggressioni riguardano più frequentemente gli operatori non medici, di sesso femminile e con più scarsa formazione psichiatrica VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA Perché il problema è sottovalutato: • insufficienze metodologiche degli studi; • l’istituzionalizzazione aveva limitato il fenomeno; • recentemente droghe ed alcool lo hanno accentuato; • timore dei operatori di alimentare lo stigma. VIOLENZA e PSICOPATOLOGIA • Perché il problema è sopravvalutato: – larga eco sulle pagine dei giornali di alcuni reati violenti commessi da malati mentali – Ampliamento dei confini della malattia mentale – Riduzione del personale nei servizi psichiatrici – Scarsa formazione del personale che opera nei servizi psichiatrici COMPORTAMENTI VIOLENTI I comportamenti violenti sono un tema di interesse centrale in psichiatria per 3 aspetti: 1) Clinico - analisi dei rapporti tra intensi vissuti emozionali (rabbia, ostilità, paura..) e comportamenti violenti meccanismi di controllo delle emozioni e le loro disfunzioni 2) Medico-legale - confini tra violenza “normale” e violenza “patologica” - valutare se un atto violento può rientrare in una variabilità normale o è la conseguenza di un disturbo psichiatrico in atto che può aver compromesso la capacità di intendere e di volere 1) Sociale - il comportamento violento in presenza di necessità di cure e rifiuto delle stesse è una delle condizioni che possono portare al trattamento sanitario obbligatorio (TSO) PATOLOGIE CON COMPORTANMENTI VIOLENTI • PSICHIATRICHE: Schizofrenia, Sindrome Affettiva Bipolare, Disturbi Deliranti, Disturbi di Personalità • TOSSICHE: Alcol, Allucinogeni, Analgesici, Amfetamine, Anticolinergici, Antidepressivi, Antipsicotici, Steroidi, Cocaina • NEUROLOGICHE E MEDICHE: Epilessia, Encefaliti, Emorragia Cerebrale, Demenza, Tumori Cerebrali, Ipossia, Ipertensione, Ipoglicemia, Ipo/Ipertiroidismo, Infezioni Sistemiche, Encefalopatia Epatica, Insufficienza Renale PREDITTORI DI RISCHIO (fattori demografici e anamnestici) • • • • • • • • Sesso maschile (maggiore frequenza e gravità) Età giovanile (anziani con disturbi Psico- organici) Basso livello socio- economico Ridotto supporto sociale Disoccupazione Abusi infantili o storia di violenza familiare Uso di droghe o alcol (fattori disinibenti) Ritardo mentale o danni cerebrali (anche lievi) • Eventi stressanti (isolamento sociale, problemi economici, cambiamenti improvvisi) PREDITTORI DI RISCHIO (variabili cliniche) • Psicosi: ideazione delirante, allucinazioni uditive, concomitante abuso di alcol e/o sostanze, fasi di acuzie del quadro clinico, fasi di ricovero, scarsa aderenza al trattamento • Mania: ideazione delirante di grandezza o persecutoria, disorganizzazione del pensiero, tentativi di contenimento o limitazione dei progetti • Disturbi di Personalità: antisociale, borderline, paranoide • Abuso di sostanze • Disturbi Psico- organici VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ 1. Aspetto del paziente (segni di uso di alcool e droghe, agitazione, rabbia). 2. Grado di dettaglio nell’esporre i piani di violenza e le minacce. 3. Disponibilità di oggetti in grado di procurare ferite importanti (possesso di armi). Tardiff, 1992 VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ 4. Storia di precedenti comportamenti violenti (suicidio, guida pericolosa, comportamenti sessuali a rischio, danneggiamento di oggetti e proprietà altrui). 1. Obiettivi delle precedenti azioni di violenza. 2. Gradi di lesione nel caso di violenza già agita. Tardiff, 1992 VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ 1. Storia di abusi fisici subiti durante l’infanzia o altri tipi di violenza subiti in famiglia. 2. Assunzione recente di alcool e droghe (in particolare amfetamine, cocaina, ansiolitici, sedativi, allucinogeni). 3. Disturbi organici del SNC. Tardiff, 1992 VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ 10. Disturbi psicotici (in particolare pensiero paranoideo e allucinazioni di comando). 1. Disturbi di personalità. 2. Appartenenza ad un gruppo demografico a maggior rischio per le condotte violente (giovane età, sesso maschile, classe sociale ed economica inferiore). Tardiff, 1992 Il ciclo dell’aggressione Fase del trigger Fase della escalation Fase del recupero Fase della depressione postcritica Fase della crisi Possibili nuovi triggers Comportamento di base (Maier e Van Rybroek, 1995) 1) Fase del trigger (fattore scatenante) - Intensificazione di una stimolazione avversativa. - Disinibizione indotta da sostanze. - Percezione della mancanza di alternative. - Presenza di fattori di provocazione (veri o presunti) come insulti o derisioni. - Esperienza di fattori stressanti maggiori (recenti perdite, eventi catastrofici). 2) Fase dell’escalation - Approccio verbale mirato alla riduzione progressiva della posizione violenta. - Avviare una negoziazione che recepisca il contenuto emotivo e razionale della crisi ma ne devi il percorso comportamentale. - Una manovra aggiuntiva può essere l’allontanamento dal contesto soprattutto quando fattori ambientali contribuiscono a determinare la condizione di crisi. Fasi 1 e 2: pre-aggressione - Le fasi 1 e 2 sono caratterizzate sul piano clinico da segni prodromici quali tensione e irrequietezza. - E’ importante assumere precocemente la responsabilità della situazione e non adottare atteggiamenti di evitamento. - L’assenza di un feedback appropriato verso una comunicazione violenta evoca di per sé un innalzamento del livello del rischio, essendo interpretata dal paziente come debolezza dell’interlocutore ed incentiva la prosecuzione del comportamento in atto. - Da tenere presente anche le differenze nelle gestione del paziente noto rispetto a quello non noto. Fasi 1 e 2: pre-aggressione Occorre prendere in esame i correlati verbali e non verbali dell’aggressività: - contrattura della muscolatura facciale, stringere i pugni, serrare i denti, sguardi minacciosi; - minacce verbali, aumento del volume della voce; - aumento dei comportamenti motori macroscopici quali gesticolazione, passeggiare rapidamente; - risposta al primo intervento degli operatori (la mancanza di recettività costituisce un ulteriore segno di una crescente utilità). 3) Fase critica - E’ il punto culminante di eccitamento. - L’attenzione va focalizzata sulla sicurezza e sulla riduzione delle conseguenze. - L’intervento non deve essere condotto sul presupposto della possibilità di una risposta razionale, ma fondarsi sulla scelta di opzioni sintetiche (contenimento, fuga, autoprotezione). - L’aggressione vera e propria consiste nell’atto violento con le sue immediate ripercussioni fisiche e psicologiche sulla vittima. 3) Fase critica Durante questa fase si attivano importanti contenuti emotivi: PAZIENTE • Momento della gratificazione per diminuzione dello stato di arousal • Rinforzo temporaneo dell’autostima OPERATORE • Sentimenti di frustrazione ed inadeguatezza 3) Fase critica - Si esaurisce con un intervento di contenimento fisico da parte degli operatori. - Il sentimento di fiducia che è posto al fondamento di ogni rapporto terapeutico viene interrotto; è quindi necessario distinguere tra la terapia, fondata sul consenso, e la gestione in acuto dell’atto aggressivo. 4) Fase di recupero - Graduale ritorno alla linea basale. - È una fase delicata perché interventi intempestivi (volti all’elaborazione dell’episodio) possono scatenare una riacutizzazione della crisi. - Occorre mantenere un monitoraggio attivo ma distante, senza sollecitare il paziente con stimoli inopportuni (fare accedere il paziente in un ambiente isolato e mantenere un’osservazione costante). 5) Fase della depressione postcritica - Compaiono nel paziente emozioni negative, legate a sentimenti di colpa, vergogna o rimorso. - Recettività per interventi di carattere psicologico, volti all’elaborazione dell’evento. - Il confronto con la vittima è un momento molto utile, per evitare che sedimentino reazioni e controreazioni che possono inquinare il rapporto. - La discussione dell’evento è un elemento di forte rassicurazione ed ha un’azione preventiva contro lo sviluppo di sentimenti di paura e di rivalsa. Gestione del paziente violento COMPORTAMENTO AGGRESSIVO VIOLENTO DESCALATION Mira a deviare il percorso dalla confrontazione alla soluzione negoziale del conflitto. CONTENIMENTO Impedisce di portare a termine l’aggressione bloccando l’evoluzione comportamentale. ATTENZIONE ALLA SICUREZZA Limita le conseguenze dell’azione violenta. RELAZIONE CON IL PAZIENTE VIOLENTO (1) • Non fissare troppo i pazienti. E’ bene guardare negli occhi,ma ciò può essere sentito come minaccioso se fatto eccessivamente. • Adottare e mantenere un tono di voce morbido, chiamare il paziente per nome, se possibile, e mostrarsi interessati a capire dove è il problema. • Cercare di incoraggiare il paziente a sedersi. Se anche l’operatore si siede, si ha una riduzione dell’impatto della presenza fisica nella situazione, con conseguente riduzione delle probabilità di un comportamento violento. RELAZIONE CON IL PAZIENTE VIOLENTO (2) • Cercare di apparire fiduciosi senza prestare reazioni eccessive all’aggressione verbale e mostrare preoccupazione per il disagio del paziente. • Cercare di non prendere gli insulti in chiave personale, ciò evita reazioni difensive. • Nel comunicare con il paziente occorre evitare, se possibile, di volgergli le spalle per non essere un facile bersaglio di un eventuale attacco improvviso. RELAZIONE CON IL PAZIENTE VIOLENTO (3) • Evitare di assumere posture chiuse, difensive o aggressive (stare a braccia conserte,far ondeggiare i pugni, etc). • Essere consapevoli del proprio comportamento personale, ricordando che le nostre azioni possono essere compiute inconsapevolmente. • Far andare via le persone estranee, quando possibile, poiché esse sono spesso all’origine di di situazioni difficili. • Andarsene se necessario. ISOLAMENTO e CONTENZIONE • La decisione se ricorrere a isolamento, contenzione fisica o a terapia medica coatta è clinica e dovrebbe basarsi sulle condizioni del singolo paziente. • Esempi: - delirium ad eziologia ignota contenzione fisica (no farmaci neurolettici, no isolamento perché la deprivazione sensoriale peggiora quadro clinico); - paziente maniacale l’isolamento riduce gli stimoli; - paziente schizofrenico paranoide possono essere necessari sia la terapia medica, sia l’isolamento, sia la contenzione. N.B: I motivi che hanno reso necessari la terapia medica, l’isolamento o la contenzione ed il successivo monitoraggio vanno documentati nella cartella clinica. Linee guida per isolamento e contenzione (APA American Psychiatric Association, 1984) • • • • • • • Prevenire danni ad altri. Prevenire danni al paziente. Prevenire gravi alterazioni dell’ambiente terapeutico. Come trattamento comportamentale. A richiesta del paziente, se clinicamente adeguato. Per ridurre gli stimoli (solo isolamento). Da non usare per punire un paziente in risposta ad un atto particolare. • Il personale deve seguire le linee guida scritte dell’Istituzione (la predefinizione del compito specifico di ciascun operatore è indispensabile). Linee guida per isolamento e contenzione (APA American Psychiatric Association 1984) • La contenzione deve di preferenza venire eseguita da 5 persone (un operatore per ogni arto, il quinto per controllare la testa ). • Il contatto fisico va iniziato contemporaneamente e preferibilmente nel momento in cui l’attenzione del paziente viene meno. Questi deve essere bloccato in posizione orizzontale, supino sul pavimento. • Perquisire il paziente alla ricerca di cinture, spille ed altri oggetti pericolosi. • Deve essere subito chiamato il medico. • Il personale infermieristico dovrebbe osservare il paziente almeno ogni 15 minuti. Linee guida per isolamento e contenzione (APA American Psychiatric Association 1984) • Devono essere immediatamente disponibili dei sedativi da somministrare per via parenterale se il paziente continua ad essere combattivo. • Le cinghie di contenzione in cuoio sono le più sicure e vanno controllate di frequente, per verificarne il comfort e la sicurezza. • E’ importante che gli arti non siano contorti per non produrre una trazione sui nervi o una lesione da compressione. Linee guida per isolamento e contenzione (APA American Psychiatric Association 1984) • I pazienti intossicati in contenzione dovrebbero essere posti in decubito laterale e controllati per il rischio di aspirazione di sostanze nelle vie respiratorie. • I motivi della contenzione dovrebbero essere spiegati al paziente con tono calmo, anche durante l’esecuzione stessa. • E’ fondamentale contenere le proprie emozioni e non rispondere mai ad insulti e minacce. • La contenzione non deve mai essere iniziata o rimossa senza autorizzazione del medico ed in presenza di un adeguato numero di operatori. • Deve esserci documentazione scritta dei motivi e dei tempi del provvedimento. Il punto di vista dell’operatore • Risposta psicologica - sentimenti sgradevoli: ansietà e paura comportamenti di diffidenza evitamento del paziente ed eccessiva distanza • Risposta sociale - isolamento del paziente diminuzione feedback legato all’interazione tendenza all’uso della violenza Da qui la necessità di considerare la risoluzione dei sentimenti controtransferali una condizione specifica per la continuazione del trattamento del paziente che si sia dimostrato aggressivo. Il punto di vista dell’operatore • La relazione con un paziente violento si presenta densa di problematiche che rischiano di alterare la correttezza e l’adeguatezza dell’intervento terapeutico. • I sentimenti che l’operatore prova nei confronti del paziente violento sono numerosi: PAURA, FRUSTRAZIONE, RABBIA, DELUSIONE, INSICUREZZA e di non facile gestione. Il punto di vista dell’operatore • Le reazioni emotive, che intervengono in forma di difesa, sono finalizzate ad una gestione dell’ansia che deriva dalla complessità e dalla conflittualità della relazione con il paziente violento. • Generalmente lo scopo dei meccanismi di difesa è quello di produrre una barriera protettiva per preservare la propria stabilità emotiva; essi possono però presentare degli aspetti negativi quando si sviluppano in modo eccessivo. Il punto di vista dell’operatore • Un ruolo importante è giocato dalle caratteristiche di personalità di ciascun operatore. • Alcune ricerche hanno messo in luce che psichiatri e operatori più irritabili (valutati con specifiche rating scales) e più propensi a rispondere con la violenza fisica a minacce di violenza fisica, sono quelli che presentano il più alto numero di aggressioni da parte dei pazienti. Il punto di vista dell’operatore • Quando i meccanismi di difesa non sono opportunamente riconosciuti e valutati possono diventare un pericoloso “corpo estraneo” che si insinua e deforma le funzioni dell’operatore, dando luogo a prese di posizione emotive personali oppure a strategie istituzionali bastate più sulle aspettative formali dell’istituzione che sulle necessità reali del paziente. Il punto di vista dell’operatore • Alcuni tra i più frequenti meccanismi di difesa massi in atto dall’operatore psichiatrico sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. CONCRETIZZAZIONE FORMAZIONE REATTIVA MINIMIZZAZIONE NEGAZIONE PASSAGGIO ALL’ATTO PROIEZIONE SCISSIONE 1. Concretizzazione • E’ uno specifico processo attraverso il quale un determinato concetto o idea astratta viene trasformato in un’immagine concreta individuazione di un elemento unico “responsabile”e non considerazione della globalità della relazione individuo-comportamento violento. • L’attenzione è focalizzata solo un determinato sintomo psichiatrico che diventa la causa unica del comportamento violento (ad esempio: il paziente ha aggredito perché è delirante la causa è il delirio persecutorio farmaci deliriolitici, non occorrono altre indagini). • L’operatore cerca di evitare ogni comprensione empatica del paziente, ogni implicazione affettiva utile ai fini terapeutici, denaturando in tal modo il sintomo di cui non si coglie il significato. 2. Formazione reattiva • E’un meccanismo di difesa che consiste nel tener lontano un desiderio o un impulso inaccettabile adottando un comportamento diametralmente opposto. • Ad esempio l’operatore che prova nei confronti del paziente violento il desiderio di allontanarlo e di non occuparsene può mettere in atto dei comportamenti opposti di estrema cura e protezione, che però non costituiscono un’adeguata presa in carico iperaccudimento. • L’operatore stabilisce un rapporto che a livello superficiale appare intenso ma che a livello profondo conserva la distanza emotiva dal paziente e quindi un’inadeguata presa in carico. • L’operatore tende ad accorciare le distanze fisiche con il paziente (volta le spalle, non tiene il paziente sotto il controllo dello sguardo, si chiude nella stanza per dialogare “faccia a faccia”. Tali comportamenti, oltre ad essere inutili e rischiosi, possono incrementare l’aggressività del paziente. 3. Minimizzazione • Attraverso questo meccanismo l’operatore tende a sottovalutare alcune variabili cliniche che possono stimolare e scatenare il comportamento violento del paziente. • Minimizzazione di situazioni ambientali: il contatto con altri pazienti fortemente disturbati e agitati, mancanza di attività, ozio, noia, promiscuità tra pazienti dello stesso sesso che può generare ansia, atteggiamenti neutri percepiti come offensivi quali uno sguardo, carenze di sensibilità da parte del personale. 3. Minimizzazione • Spesso viene prestata poca attenzione all’osservazione del paziente i cui sintomi vengono genericamente definiti come “agitazione psicomotoria”, “confusione”, “crisi d’ansia”, etc.. • Minimizzazione per mancata o insufficiente discussione dell’evento violento in équipe o con i pazienti che hanno assistito all’atto. E’ necessario che gli operatori possano parlare dei loro sentimenti ed esternare le loro emozioni in rapporto al fatto; non farlo può consolidare nel personale la convinzione che il paziente non sia “curabile”. 3. Minimizzazione • Anche i pazienti che hanno assistito all’atto violento devono avere la possibilità di verbalizzare i loro vissuti, altrimenti possono ritenere che l’équipe non sia in grado di “controllare” la situazione e di intervenire in modo utile e terapeutico (ciò potrebbe scatenare altri episodi di violenza). • Anche l’insufficiente informazione al paziente sui provvedimenti restrittivi può essere soggetta a minimizzazione. E’ indispensabile chiarire al paziente in modo adeguato il perché viene posto in stato di contenzione o perché vengono somministrati farmaci contro la sua volontà (indipendentemente dalle condizioni psichiche del soggetto). 3. Minimizzazione • Minimizzazione dei prodromi che non vengono adeguatamente decodificati, perdendo così il loro valore di messaggio di richiesta di aiuto da parte del paziente (ad esempio esistenza di processi rivendicativi nella realtà del paziente, importanza di minacce verbalizzate, passaggio all’azione su oggetti). 4. Negazione • E’un meccanismo di difesa attraverso il quale ciò che è intollerabile alla coscienza viene rifiutato in modo protettivo e inconscio, attraverso un’apparente cancellazione di elementi percettivi. • Nella relazione con il paziente violento, la negazione rappresenta la tendenza dell’operatore ad ignorare, per non affrontare sentimenti ansiogeni, la reale pericolosità del paziente attraverso: - negazione dei dati anamnestici (precedenti episodi di violenza); - negazione dei sintomi attuali; - negazione delle minacce formulate dal paziente, che possono essere una richiesta di aiuto, un tentativo di rinforzare un proposito violento, una dimostrazione di potenza e non esclusivamente un passaggio all’atto. 5. Passaggio all’atto • E’ un meccanismo di difesa attraverso il quale i conflitti emozionali possono essere espressi in forma mascherata di azione. • Il paziente violento può stimolare nell’operatore una serie di reazioni psicologiche difensive che si manifestano attraverso: - passaggio all’azione farmacologica utilizzo inadeguato dei farmaci (sovradosaggio, non rispetto del tempo di latenza dell’azione terapeutica del farmaco, etc..) e dei mezzi di contenzione fisica; - rifiuto del paziente ovvero tendenza a “disfarsi” di un paziente la cui gestione è difficoltosa (invio in un’altra struttura il paziente non ha il tempo di adattarsi, conoscere il luogo e le persone nuovo comportamento violento). 6. Proiezione • E’ un meccanismo di difesa caratterizzato dal rifiuto di determinati elementi, dal posizionamento di questi al di fuori dell’Io e dall’attribuzione degli stessi ad altri individui. • La proiezione gioca un ruolo importante nella relazione con gli altri, in quanto può determinare una alterazione anche grave del giudizio di realtà: il paziente non viene percepito nella sua obiettività ma, attraverso una falsa interpretazione dovuta alla proiezione, possono scatenarsi reazioni ingiustificate. • Esempio: aspettative non realistiche di guarigione da parte dell’ équipe reazioni depressive di fronte all’insuccesso che, se proiettate sul paziente, possono confermare l’onnipotenza della propria malattia e renderlo ancora più angosciato e senza speranza. 7. Scissione • E’ un meccanismo di difesa attraverso il quale un’unica entità viene scissa in due o più parti, per evitare percezioni conflittuali dell’elemento intero. • Interviene per separare le emozioni dalla coscienza e lasciare ampio spazio ad una visione razionale considerata “più facilmente gestibile”. • Può essere utilizzata verso le emozioni percepite nei confronti del paziente (ansia, paura, insicurezza) e verso le emozioni che il paziente “offre” all’interno della relazione (rabbia) l’operatore si posiziona ad una “distanza di sicurezza” nei confronti del paziente, precludendosi la possibilità di usare l’empatia. Condizioni che aumentano o diminuiscono i livelli di aggressività nelle Comunità AUMENTANO • mancata consapevolezza da parte degli operatori dei propri sentimenti ostili; • clima esterno di aggressività che agisce “preventivamente” con altrettanta aggressività. DIMINUISCONO • norme uguali per tutti: - carta dei servizi; - riunioni di comunità; - contatti informali dello staff con i pazienti. • discussione nella riunione di comunità degli episodi aggressivi-violenti; • contrastare gli eventuali comportamenti del personale troppo rigidi che possono mascherare reazioni controtransferali negative. TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’ • Messa a punto di un progetto terapeutico integrato sulla base della diagnosi psichiatrica e del rischio di comportamenti violenti; • Impostare terapia farmacologica del disturbo psichiatrico di base, privilegiando i farmaci che hanno una maggiore specificità per il controllo dei comportamenti violenti. TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’ • • • Valutare l’efficacia del trattamento dopo il periodo di latenza terapeutica previsto per i farmaci utilizzati; in caso di inefficacia sul comportamento violento cambiare posologia o tipo di farmaco; Prevedere un trattamento farmacologico per i comportamenti violenti a lungo termine, anche dopo la remissione del disturbo psichiatrico di base; Integrare il trattamento farmacologico ad interventi non farmacologici. TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’ Non esistono farmaci “antiaggressività” Riconosciuti come tali dalla Food and Drug Administration (FDA). La scelta di uno psicofarmaco deve essere basata maggiormente sulla diagnosi clinica del paziente. TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’ Numerosi trattamenti si sono dimostrati in grado di ridurre o modulare i comportamenti aggressivi: - Neurolettici - Benzodiazepine - Sali di Litio - B-bloccanti (propanololo) - Anticonvulsivanti (carbamazepina) - SSRI - Modulatori del tono serotoninegrico centrale (trazodone, buspirone, triptofano) - Antidepressivi triciclici (clomipramina) - I-MAO - psicoterapia a lungo termine Antipsicotici tipici • Sono i farmaci più comunemente usati utilizzati nel tattamento del comportamento violento sotteso direttamente da sintomi psicotici come deliri del controllo del pensiero, di persecuzione e allucinazioni di comando; • Circa 1/3 dei pazienti sono non responder; in questo caso vengono utilizzate delle associazioni (litio, carbamazepina) oppure vengono utilizzate dosi alte per lunghi periodi di tempo (in realtà non ci sono prove concrete che le alte dosi inducano un’effettiva riduzione dell’incidenza del comportamento violento). Antipsicotici tipici • L’assunzione continuativa anche a dosi standard può indurre acinesia, acatisia esacerbazione del discontrollo, rabbia e violenza; • Tenere presente la possibilità che un comportamento violento che non risponde al trattamento con neurolettici, rappresenti una particolare variante di acatisia. In questo caso è preferibile l’uso delle BDZ, eventualmente in associazione con litio e valproato. Antipsicotici atipici CLOZAPINA ↑ Attività serotoninergica (blocco dei recettori 5HT) ↓ l’attività dopaminergica (recettori D2 sistema limbico) • Gli effetti antiaggressivi sono relativamente specifici (non dovuti a sedazione o a generici effetti antipsicotici); • Riduce il comportamento aggressivo nella schizofrenia, nei disturbi schizoaffettivi e probabilmente in altri disturbi. Antipsicotici atipici RISPERIDONE Ha lo stesso spettro d’azione della clozapina sul SNC. • Come per la clozapina il dosaggio deve essere aumentato in modo graduale; • Entrambi questi farmaci non possono essere impiegati in interventi in acuto ma in pazienti con sintomi psicotici stabili che conducono alla violenza. Anticonvulsivanti “instabilità del SNC” nel sistema limbico (equivalente epilettico) ↓ sindrome da discontrollo episodico (Monroe, 1975) • La carbamazepina riduce il comportamento aggressivo in pazienti con un ampio spettro di diagnosi: bambini con disturbi della condotta, carcerati non psicotici, psicotici adulti; • Dati meno consistenti per valproato. Benzodiazepine ↑ attività GABAergica centrale inibizione dell’aggressività. • Efficaci nel controllo a breve termine degli episodi acuti di aggressività; • Buona risposta in un ampio spettro di diagnosi: schizofrenia, demenza, oligofrenia, disturbi di personalità; • Minore incidenza di reazioni paradosse con Oxazepam; • In aggiunta agli antipsicotici negli schizofrenici con “eccitamento persistente”. Beta-bloccanti + Blocco noradrenergico ↑ attività serotoninergica (blocco recettori 5-HT ad alte dosi) ↓ Acatisia • Usati in associazione agli antipsicotici in pazienti schizofrenici riducono i sintomi, compresa l’aggressività; • L’azione antiaggressiva potrebbe essere mediata dal miglioramento delle componenti periferiche di acatisia, tensione e ansia. Antidepressivi ↑ Attività 5-HT • Fluoxetina: nei disturbi di personalità, negli schizofrenici cronici, nei depressi unipolari; • Trazodone: nei pazienti dementi con ritardo mentale, anche in associazione con il triptofano; • Citalopram: nella schizofrenia cronica. TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’ • Il trattamento di un paziente che presenta un episodio acuto di violenza, indipendentemente dall’eziologia sottostante, necessita talora di contenimento, isolamento e sedazione. • L’utilizzo di neurolettici e benzodiazepine è solitamente efficace nel controllo dell’episodio acuto di violenza. • Più complesso è il trattamento di chi presenta ripetuti episodi di aggressività accessuale. TERAPIA dell’AGGRESSIVITA’ • E’ compito del terapeuta ricercare la terapia più corretta per il singolo paziente. • Il trattamento più efficace spesso è quello che prevede l’integrazione di strumenti terapeutici: - farmacologici; - psicologici; - socio-assistenziali. Il confronto con il paziente violento rappresenta per l’operatore psichiatrico una difficile sfida dal momento che, più di qualsiasi altra situazione, lo costringe a confrontarsi con le proprie emozioni e le proprie paure. Solo attraverso un lavoro di équipe ed una formazione costante è possibile far fronte agli episodi di violenza del paziente, senza una destabilizzazione e una rottura della relazione terapeutica. MOTIVI GENERICI DELL’AGGRESSIVITA’ • Rabbia per il ricovero forzato e/o la limitazione della libertà (sopraffazione, terapia specie se iniettiva) • Rabbia e collera per la limitatezza della propria vita, per l’essere malato, per il senso di inferiorità e di impotenza • Rabbia per la propria sconfitta con vergogna, sfida contro il destino, vendetta contro gli altri e la società MOTIVI GENERICI DELL’AGGRESSIVITA’ • Risentimento per la malattia o per lo scacco vitale che essa comporta, rabbia contro tutti quelli che non stanno male come il malato • Reazione all’aggressività da parte di altri • Rabbia (commisurata al bisogno) per la mancanza di amicizia, attenzione, compassione e amore AGGRESSIVITA’ NEGLI SCHIZOFRENICI • Delirio di persecuzione e influenzamento • Interpretazione delirante dell’ambiente • Reazione alla presunta imposizione esterna nell’agire, nel pensare, nel sentire • Reazione ad allucinazioni uditive • Reazione alla vicinanza fastidiosa, molesta e limitativa delle altre persone • Reazione alla perdita della distanza sociale AGGRESSIVITA’ NELLE PSICOSINDROMI ORGANICHE • Risentimento per la propria limitatezza, debolezza, per la mancanza di aiuto o per la dipendenza • Visione o comprensione carenti delle situazioni • Errato riconoscimento dell’ambiente di tipo delirante, allucinatorio, illusorio AGGRESSIVITA’ NEI DEPRESSI • Propensione alla critica eccessiva e alla provocazione, permalosità (partner) • Tendenza a tiranneggiare il prossimo con la scusa di essere malato: desiderio di dominio sugli altri da cui si esige considerazione • Negativismo: negazione di un desiderio prima manifestato • Aggressività espressa con minacce di suicidio ALTRE CAUSE DI AGGRESSIVITA’ • Rabbia e risentimento per le limitazioni sensoriali e/o somatiche • Irritazione per il dolore fisico • Irritazione per i disturbi del sonno • Reazione alla dipendenza, al rifiuto e alla derisione cui è esposto il malato di mente • Reazione alla gelosia patologica (alcolismo) • Aggressività immotivata e impulsiva (epilettici e impulsivi)