Il laboratorio di genetica molecolare: test genetici per le

Il laboratorio di genetica molecolare: test genetici per le sindromi di Ehlers-Danlos
Marco Ritelli
Sezione di Biologia e Genetica, Laboratorio di Citogenetica e Genetica Molecolare, Dipartimento di
Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università degli Studi di Brescia, Brescia
Il futuro della Medicina sarà sempre più influenzato dalle scoperte della Genetica che si
ripercuotono nella pratica clinica di ogni giorno. Numerose evidenze fanno ritenere che le attese di
una medicina preventiva, basata sulla genetica, siano reali, percorribili e che questa trasformazione
sia ormai prossima. Tuttavia una previsione prudente suggerisce che, per un certo numero di anni, la
principale ricaduta della genetica molecolare sulla pratica clinica riguarderà ancora essenzialmente i
test genetici, che sono destinati a migliorare la diagnosi e la prevenzione di svariate centinaia di
malattie. Anche se il termine test genetico ha significati diversi, in genere, nella pratica clinica,
definisce l’analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione, nonché ogni altro tipo di
indagine del DNA o dei cromosomi, finalizzata ad individuare o ad escludere un’alterazione
verosimilmente associata con una malattia genetica. I vari tipi di test genetico sono classificati in
base alla loro finalità. Nella pratica medica essi sono per la maggior parte utilizzati con finalità
diagnostiche. I test diagnostici si effettuano su individui che hanno, o si sospetta che abbiano, una
particolare malattia; il quesito che tentano di risolvere è se il paziente abbia o non abbia una
determinata malattia e non se la svilupperà in un certo momento della sua vita. I test genetici sono
definiti presintomatici, quando identificano il rischio di sviluppare una malattia in futuro in una
persona non affetta al momento dell'analisi e che appartiene ad una famiglia nella quale uno o più
individui hanno una malattia ad esordio tardivo. Un risultato patologico dell’analisi indica che
quella persona è destinata a sviluppare la malattia ad un certo momento della sua vita, anche in età
avanzata. Quest’informazione è importante, in quanto consente di attivare interventi preventivi, che
possono incidere sulla morbilità e sulla mortalità, consentendo alle famiglie di razionalizzare la loro
pianificazione. I familiari che non hanno la mutazione eliminano lo stato d’ansia ed evitano indagini
inutili. I test genetici rivolti all'identificazione dei portatori individuano le persone che presentano
un rischio riproduttivo aumentato per alcune malattie recessive comuni, sia attraverso gli screening
di popolazione (ad es. talassemia nell'area del Mediterraneo), che con gli screening a cascata, sui
familiari dei pazienti affetti da malattie comuni in certe popolazioni (ad es. fibrosi cistica nei
Caucasici). Infine, i test genetici predittivi riguardano numerose affezioni comuni, nelle quali il
rischio di malattia è aumentato o ridotto, ma con un livello di accuratezza molto più basso rispetto a
quello degli altri test genetici. Questi test infatti consentono l’individuazione di genotipi che non
sono di per sé causa di malattia, ma comportano un aumento del rischio di sviluppare una
determinata patologia in seguito all’esposizione a fattori ambientali favorenti, o alla presenza di altri
fattori genetici scatenanti. Al primo gruppo appartengono il deficit in glucosio-6-fosfato
deidrogenasi, che predispone a crisi di emolisi acuta in seguito ad esempio all'assunzione di
determinati farmaci, o il deficit di alfa-1-antitripsina, che associato al fumo, predispone all'enfisema
polmonare giovanile. Al secondo gruppo appartengono patologie complesse quali ad esempio
ipertensione, diabete, ictus e i cosiddetti tumori familiari, come la poliposi familiare o il carcinoma
familiare della mammella e dell'ovaio.
Alcune indagini nazionali hanno dimostrato che la domanda di test genetici aumenta di circa il 35%
ogni anno. La sfida è quella di assicurare che i test genetici siano offerti nella maniera più efficace e
corretta, con elevati standard qualitativi. Questo obiettivo può essere raggiunto solo se i test genetici
sono considerati come un servizio integrato e non solo come un’attività di laboratorio. Rispetto al
classico concetto applicato alle altre analisi di laboratorio, che sostanzialmente richiedono
l'acquisizione del campione, l’indagine di laboratorio e la compilazione del referto, i test genetici
dovrebbero essere preceduti da una fase di preparazione, informazione e sottoscrizione del consenso
e la consegna del referto dovrebbe essere seguita dalla discussione e dall’interpretazione del
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risultato e, quando indicato, dal supporto all’utente. Inoltre i test genetici sono del tutto peculiari
rispetto ad altri esami di laboratorio, in quanto i risultati coinvolgono non solo l’identità biologicopersonale del singolo individuo, ma anche della sua famiglia di origine e della sua discendenza.
Questa peculiarità dei test genetici è dovuta alla natura del nostro patrimonio genetico (o genoma),
che si può paragonare ad un’enorme enciclopedia in cui sono scritte tutte le istruzioni che regolano
lo sviluppo e il funzionamento dell’organismo.
Il genoma umano è costituito da DNA, organizzato in unità codificanti dette geni e da regioni non
codificanti ed è compattato in strutture dette cromosomi. Nell’uomo ci sono 44 cromosomi distinti,
22 autosomi e i cromosomi X e Y che determinano il sesso. Il genoma è presente nel nucleo di tutte
le cellule dell’organismo, che si distinguono in cellule somatiche e cellule germinali. Le cellule
somatiche costituiscono la grandissima maggioranza delle cellule dei diversi tessuti; le cellule
germinali (ovociti nella donna e spermatozoi nell’uomo), maturate nelle gonadi, sono deputate
specificamente alla riproduzione e alla trasmissione del patrimonio ereditario da una generazione a
quella successiva. Le cellule della linea somatica possiedono due copie del genoma (2n) della nostra
specie, quelle della linea germinale ne possiedono una sola copia (n). Ogni individuo possiede, nel
proprio genoma, due copie di ciascun cromosoma e dunque anche due esemplari di ciascun gene,
uno trasmesso dal padre e uno dalla madre. I geni non sono quasi mai identici, ma presentano
piccole variazioni (varianti alleliche, o alleli). Se un individuo è portatore di due alleli diversi nello
stesso sito cromosomico (locus), si definisce "eterozigote" a tale locus. Se i due alleli sono identici
allora l’individuo è "omozigote". Mentre il DNA è deputato alla conservazione dell’informazione
genetica, un altro acido nucleico sintetizzato nella cellula (acido ribonucleico, RNA) presenta
diverse funzioni; in particolare un tipo di RNA, l’mRNA porta l’informazione copiata dal gene sul
DNA per la sintesi (traduzione) delle proteine, che formano le diverse strutture delle cellule e dei
tessuti dell’organismo.
Dal punto di vista chimico il DNA è un polimero organico costituito da monomeri chiamati
nucleotidi. Tutti i nucleotidi sono costituiti da tre componenti fondamentali: un gruppo fosfato, il
deossiribosio (zucchero) e una base azotata; il gruppo fosfato e la base si legano al deossiribosio. Le
basi azotate, che sono la parte variabile del nucleotide, sono 4: adenina, (abbreviata con la lettera
A), guanina (G), citosina (C) e timina (T). Il DNA è costituito da due filamenti avvolti l’uno
sull’altro a formare una struttura ad alfa elica; i due filamenti sono tenuti uniti da legami chimici
deboli, che si instaurano tra le basi presenti su un filamento affacciato all’altro e che mantengono
stabile il DNA. Le basi appaiate (coppie di basi) sono definite complementari, in quanto l’adenina
di un filamento si appaia solo con la timina presente nell’altro filamento, analogamente la guanina
si appaia solo con la citosina. Il DNA è quindi una sorta di scala a pioli avvolta a spirale dove i pioli
sono le coppie di basi complementari.
Il progetto genoma umano ha avuto come scopo di determinare il contenuto e l’ordine di tutti i
nucleotidi che formano il DNA dell’uomo e che entrano a formare i nostri 46 cromosomi. In pratica
sono state lette e messe in fila i tre miliardi di lettere (nucleotidi) di cui è composto il nostro DNA.
La semplice scrittura di questa sequenza riempirebbe più di 360.000 pagine, l’equivalente circa di
600 libri da 600 pagine ciascuno, una immensa frase che suonerebbe più o meno così:
ATGGGCACCGTGCATTCAAGCCATACATGGGTCACATCATACAACATAGGGACAT...
È importante ricordare che ciascuno di noi ha due copie di questa sequenza e che queste non sono
perfettamente identiche, essendo una di derivazione paterna e l’altra materna. Si stima infatti che in
media ci sia la differenza di una lettera ogni 500 lettere. Queste varianti naturali presenti nella
popolazione umana vengono definite polimorfismi.
Il gene è l’unità ereditaria fondamentale degli organismi viventi. I geni dirigono lo sviluppo fisico e
comportamentale di un essere vivente. Il fenotipo di un organismo può dunque essere considerato
come il prodotto di alcuni suoi geni e dell’interazione di tale prodotto con l’ambiente. La maggior
parte dei geni codifica per proteine, che sono le macromolecole maggiormente coinvolte nei
processi biochimici e metabolici della cellula. Ad esempio i collageni e la tenascina sono dei
componenti fondamentali della matrice extracellulare.
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Il gene è composto da parti codificanti, chiamati esoni e da parti non codificanti detti introni, tratti
di DNA che in genere non portano l’informazione per la sintesi della proteina e che sono intercalati
agli esoni. Un gene umano ha in media 7 esoni, che sono lunghi circa 200 coppie di basi ciascuno.
La maggior parte del contenuto dei nostri geni non viene copiata in prodotti proteici (traduzione),
ma può regolare la sintesi di mRNA e quindi delle proteine. Tra queste regioni vi sono ad esempio
gli introni. Sia gli esoni che gli introni vengono copiati durante un processo chiamato trascrizione,
che porta alla sintesi di una molecola a singolo filamento di mRNA. Da questa molecola vengono
eliminati gli introni, in un processo chiamato splicing, a formare un mRNA maturo, che è utilizzato
come stampo per sintetizzare le proteine. La sequenza dei nucleotidi sull’mRNA viene letta a
gruppi di tre (triplette) secondo le regole del codice genetico. A ciascuna tripletta, chiamata anche
codone, corrisponde un aminoacido e l’insieme di più aminoacidi forma una proteina. Oltre ai
codoni per gli aminoacidi ci sono delle triplette che segnalano la fine della sintesi proteica chiamati
codoni di stop.
La tipica struttura a doppia elica del DNA permette non solo la produzione dell’RNA, ma anche la
duplicazione del DNA (replicazione), che avviene prima di ogni divisione cellulare, in modo da
tramandare alle cellule figlie l’informazione genetica tipica della specie che si trova nella cellula
madre. Durante la replicazione vengono separati i due filamenti del DNA e alle basi azotate sono
appaiate le basi complementari, in modo da sintetizzare sui due filamenti preesistenti, che
funzionano da stampo, cioè portano l’informazione genetica, 2 filamenti nuovi. Questo processo di
replicazione semiconservativa, per quanto sia fedele e accurato, può portare all’inserimento casuale
di nucleotidi sbagliati casualmente nei filamenti neosintetizzati. Questo spiega sia l’esistenza dei
polimorfismi (varianti senza effetto patogenetico), che l’insorgenza delle mutazioni responsabili
delle malattie genetiche.
Le malattie genetiche sono causate da mutazioni del patrimonio genetico di un individuo; se le
mutazioni interessano le cellule germinali, la malattia si può trasmettere alla prole (malattie
ereditarie), se invece la mutazione interessa solo le cellule somatiche, la malattia non viene
trasmessa alla generazione successiva, ma alle cellule figlie che derivano da quella mutata. La
presenza di alterazioni genetiche nelle cellule somatiche può causare varie patologie, quali ad
esempio il cancro. Una determinata malattia può originare dall’interazione tra fattori genetici ed
ambientali: in tal caso il singolo individuo erediterà la predisposizione ad ammalarsi, ma la malattia
si manifesterà solo per l’intervento di altri fattori non genetici.
La probabilità che i figli ereditino una determinata malattia dai genitori dipende dal tipo di difetto e
dal modo in cui questo viene trasmesso. Le malattie genetiche si possono suddividere in
monogeniche o mendeliane, dovute all’alterazione di un singolo gene, cromosomiche, se sono
causate dalla alterazione del numero o della struttura dei cromosomi e multifattoriali, quando sono
dovute alla interazione fra più geni e l’ambiente.
Le malattie mendeliane sono causate da mutazioni di singoli geni e sono trasmesse secondo i
principi classici (o mendeliani) dell’ereditarietà. Sono malattie che nel loro complesso sono molto
numerose (se ne conoscono alcune migliaia) e colpiscono complessivamente l’1% dei nati, ma nella
maggior parte dei casi le singole malattie sono piuttosto rare (incidenza inferiore a 1:10.000 nuovi
nati), se non rarissime. Le modalità di trasmissione mendeliana sono tre: autosomica dominante,
autosomica recessiva e legata al cromosoma X dominante o recessiva. Le mutazioni dominanti si
manifestano anche nei soggetti eterozigoti, cioè coloro che portano un solo allele mutato per quel
carattere, oltre a quello normale. Le mutazioni recessive, invece, per manifestarsi devono
coinvolgere i due alleli (ciò avviene negli omozigoti), mentre se sono presenti in eterozigosi sono
clinicamente silenti (individui portatori sani). La stessa distinzione tra dominanti e recessive viene
fatta anche per le mutazioni che interessano i geni dei cromosomi sessuali, anche se con qualche
differenza. I maschi hanno un solo cromosoma X (condizione di emizigosi), pertanto ogni
mutazione presente sul cromosoma X, anche se recessiva, si manifesta a livello fenotipico. Le
donne hanno due cromosomi X, uno dei quali viene inattivato casualmente in una fase precoce
dell’embriogenesi; per questo fenomeno, circa metà delle cellule mantiene attivo il cromosoma
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sessuale ereditato dal padre e metà quello ereditato dalla madre. Perciò, le donne portatrici di una
mutazione legata all'X hanno due popolazioni cellulari (mosaicismo): una con l’X mutato attivo,
l’altra con l’X normale attivo.
Le sindromi di Ehlers-Danlos (EDS) sono malattie genetiche monogeniche, in quanto sono dovute
a mutazioni in un solo gene. Gli otto geni ad oggi noti essere responsabili delle diverse forme di
EDS sono riportati in Tabella 1. Codificano prevalentemente per collageni, ma anche per proteine
che servono a modificare le molecole di collagene, in modo che possano funzionare correttamente,
o per proteine che interagiscono con i collageni come la tenascina. Ad eccezione delle EDS di tipo
cifoscoliotico, dermatosparassi e di altre rarissime forme con manifestazioni cliniche a cavallo tra la
forma classica e ipermobile, che si manifestano con modalità recessiva, tutte le altre forme di EDS
hanno una trasmissione autosomica dominante.
Tabella 1. Le sei forme principali di sindromi di Ehlers-Danlos, con i criteri diagnostici maggiori e minori, le modalità
di trasmissione e i geni alterati.
TIPO
CRITERI DIAGNOSTICI
EREDITARIET À
GENE
CLASSICO (tipo I, gravis,
gravis, e II,
mitis)
MAGGIORI: iperelasticità
iperelasticità cutanea, iperlassità
iperlassità articolare,
cicatrici atrofiche
MINORI: cute vellutata, cheloidi, ecchimosi, ipotonia
muscolare, ernie, complicazioni articolari
AUTOSOMICA
DOMINANTE
COL5A1 e
COL5A2
IPERMOBILE (tipo III)
MAGGIORI: iperelsticità
iperelsticità cutanea, ipermobilità
ipermobilità articolare
MINORI: lussazioni articolari ricorrenti, dolore articolare,
dolore cronico, familiarità
familiarità positiva
AUTOSOMICA
RECESSIVA DOMINANTE
TNXB
Altri non noti
VASCOLARE (tipo IV,
ecchimotico o arterioso)
MAGGIORI: facies, ecchimosi, rottura arterie/organi
MINORI: vene varicose, emorroidi, iperlassità
iperlassità piccole
articolazioni, rottura tendini/muscoli, morte improvvisa di
un parente I grado
AUTOSOMICA
DOMINANTE
COL3A1
CIFOSCOLIOTICO (tipo VI,
VI,
oculare -scoliotico)
MAGGIORI: iperlassità
iperlassità articolare severa, ipotonia severa
nascita/infanzia, scoliosi progressiva, fragilit à delle sclere
MINORI: habitus marfanoide,
marfanoide, fragilità
fragilità arteriosa,
microcornea,
microcornea, fragilità
fragilità cutanea, morte improvvisa in un
familiare di I grado
AUTOSOMICA
RECESSIVA
PLOD1
ARTROCALASICO (tipo VIIA,
VIIB)
MAGGIORI: lussazione congenita dell’
dell’anca, iperlassità
iperlassità
articolare severa
MINORI: osteopenia,
osteopenia, fragilità
fragilità cutanea, difetti di
cicatrizzazione, ipotonia, cifoscoliosi
AUTOSOMICA
DOMINANTE
COL1A1 e
COL1A2
DERMATOSPARASSI (tipo
VIIC)
MAGGIORI: severa fragilità
fragilità cutanea, cute ridondante e
lassa
MINORI: ernie, ecchimosi, rottura prematura delle
membrane, texture della cute marcata
AUTOSOMICA
RECESSIVA
ADAMTS2
Le mutazioni malattia che si riscontrano nelle diverse forme di EDS sono quasi sempre private, cioè
specifiche di ogni malato e della sua famiglia. Ne consegue che per ogni paziente bisogna
analizzare tutta la sequenza codificante per essere certi di trovare, o di non trovare, la causa della
malattia. Tutti i geni coinvolti nelle EDS sono molto grandi rispetto alla media, ad esempio il gene
COL3A1, responsabile della forma vascolare di EDS, è costituito da 51 esoni per una lunghezza dei
soli esoni di 4.401 nucleotidi. Inoltre in una stessa forma di EDS, ad esempio la forma classica,
possono essere alterati 2 geni diversi (COL5A1 o COL5A2), che portano l’informazione per 2
proteine diverse, ma che interagiscono, formando un’unica molecola collagenica (collagene di tipo
V). In questo caso devono essere analizzati entrambi i geni.
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A Brescia, presso il Laboratorio di Citogenetica e Genetica Molecolare, Sezione Biologia e
Genetica, Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie dell’Università degli Studi, sono
stati messi a punto dei protocolli specifici per l’identificazione di mutazioni malattia per tutti i geni
coinvolti nelle sei forme di EDS.
Poiché il laboratorio è convenzionato con il sistema sanitario regionale (SSR), il test genetico viene
richiesto tramite impegnative regionali, che riportano il codice di esenzione, il test molecolare
richiesto e l’indicazione all’analisi. In particolare R99 è il codice di esenzione per malattie
genetiche rare, RN0330 è il codice per le EDS. Inoltre è necessario avere sempre il consenso
informato all’analisi firmato dal paziente.
Per effettuare il test genetico si parte da un prelievo di sangue venoso periferico, che può essere
fatto o presso la nostra struttura, dopo la valutazione clinica del paziente, oppure può essere inviato
anche da specialisti esterni. Dai globuli bianchi viene estratto il DNA, si misura la quantità ottenuta,
un’aliquota viene utilizzata per l’analisi molecolare e un’aliquota viene congelata per riconfermare
l’eventuale mutazione malattia identificata.
Il passaggio successivo è fondamentale e si chiama Reazione a Catena della Polimerasi (o PCR).
Grazie a questa tecnologia straordinaria, ideata nel 1986 da Kary Mullis, che ottenne per questa
scoperta il premio Nobel per la chimica nel 1993, si riescono ad amplificare milioni di volte
solamente le sequenze specifiche di quel particolare gene che si intende analizzare. A tale scopo si
utilizzano le proteine che duplicano il DNA (le DNA polimerasi) e delle coppie di piccole molecole
di DNA a singolo filamento che fungono da innesco per il processo di duplicazione a catena del
DNA (primers). Ad esempio, se si vuole sottoporre a PCR il gene COL5A1, uno dei due geni
responsabili della forma classica di EDS, composto da 66 esoni e da 65 introni, bisogna amplificare
la parte codificante del gene (esoni) che supera le 5.500 lettere. Nel nostro laboratorio si analizzano
l’intera sequenza di tutti gli esoni e alcune regioni introniche. Questo approccio è necessario, perché
gli introni, anche se non sono codificanti, contengono delle sequenze molto importanti, che
regolano il processo di splicing. Queste sequenze sono localizzate a livello della giunzione esoneintrone e servono per identificare l’esatto inizio e l’esatta fine di un esone. Quindi, per amplificare
tutte queste sequenze si eseguono 66 reazioni distinte di PCR, una per ogni esone. Si ottengono così
66 frammenti di DNA, che, messi insieme, coprono tutti gli esoni e tutte le sequenze introniche per
un totale di oltre di 12.000 nucleotidi.
Il passaggio successivo è il sequenziamento del DNA amplificato, ovvero la lettura, lettera per
lettera, di ognuno di questi frammenti di DNA. A tale scopo i frammenti vengono marcati con dei
nucleotidi fluorescenti: abbiamo quindi 4 colori diversi, ognuno specifico per ciascuna lettera del
DNA. Le diverse miscele di frammenti, da leggere secondo il loro ordine nel gene, vengono caricate
in un macchinario complesso chiamato sequenziatore automatico. Il risultato che si ottiene è
visualizzato sotto forma di una lunga serie di picchi colorati, che può essere trascritta nelle lettere
corrispondenti alla sequenza da analizzare. Come si interpretano i picchi ? La presenza ad esempio
di unico picco nero significa che l’individuo in esame è omozigote G, cioè entrambi gli alleli
ereditati, sia quello di origine materna che paterna, hanno una G in quella precisa posizione. Al
contrario se lungo la sequenza si osservano due picchi sovrapposti, significa che in questa posizione
il soggetto è eterozigote, cioè ha ereditato due alleli distinti, A e G dai suoi genitori. Potrebbe
trattarsi di una mutazione malattia? Bisogna verificare che i due alleli G e A in quella posizione non
corrispondano ad un polimorfismo noto. A tale scopo sono a disposizione specifiche banche dati
Online che vengono continuamente aggiornate e che elencano tutti i polimorfismi identificati nel
mondo nel gene di interesse (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/snp). L’esempio illustrato in Figura 1
mostra un polimorfismo presente nel esone 30 del gene COL3A1. La tripletta GCT, che codifica
per l’aminoacido alanina in posizione 698 della proteina, diventa ACT, che invece codifica per la
treonina; essendo i due aminoacidi molto simili per caratteristiche chimico-fisiche, entrambe le
varianti proteiche sono perfettamente funzionanti. Al contrario, verificato che non si tratta di un
variante naturale e constatato che l’alterazione del DNA ha un effetto negativo sulla proteina,
possiamo affermare con certezza che siamo di fronte ad una mutazione malattia.
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Le mutazioni malattia possono alterare in diversi modi l’informazione per la sintesi della proteina
che è presente sull’mRNA. Ad esempio, sostituendo un singolo nucleotide, in una tripletta che
codifica per un aminoacido si può ottenere una tripletta di stop della sintesi proteica (mutazione
nonsenso). La proteina codificata sarà più corta e spesso non funzionale. Quando la mutazione porta
al cambio del significato della tripletta, che non codifica più per l’aminoacido corretto, ma per un
aminoacido molto diverso da quello presente nella proteina funzionale in un individuo sano
(mutazione missenso), si avrà la produzione di una proteina non funzionale. Se l’effetto della
mutazione è dominate, basterà questa singola mutazione per causare la malattia.
Vi sono mutazioni che, invece di essere sostituzioni di un nucleotide con un altro, consistono nella
perdita o nell’inserimento di un nucleotide all’interno della sequenza del gene e quindi dell’mRNA.
Figura 1. Polimorfismo nel gene COL3A1, identificato mediante sequenziamento del DNA.
Queste mutazioni, dette frame-shift (slittamento del modulo di lettura dell’mRNA a triplette), sono
molto dannose perché fanno cambiare il significato di tutte le triplette che seguono quella in cui si è
inserito o eliminato il nucleotide. Di conseguenza tutti gli aminoacidi a valle del sito di mutazione
sono alterati e la proteina perde la sua funzione. Queste mutazioni portano anche alla formazione di
triplette di stop della traduzione, quindi, oltre a contenere una sequenza terminale di aminoacidi
sbagliati, sono anche più corte o troncate.
Le mutazioni possono colpire anche le regioni che si trovano alle estremità degli esoni e degli
introni. Queste regioni (giunzioni di splicing) garantiscono il riconoscimento e l’eliminazione degli
introni e la conseguente ricucitura degli esoni, permettendo la formazione dell’mRNA che codifica
per la proteina funzionale. L’alterazione delle giunzioni di splicing altera il processo di maturazione
dell’mRNA e porta alla formazione di mRNA aberranti, spesso presenti in più forme all’interno
della cellula, che non codificano per la proteina funzionale, ma per proteine che possono perdere
segmenti interni, essere troncate o non essere addirittura sintetizzate a causa della degradazione
dell’mRNA anomalo prima che avvenga la sintesi proteica.
Nelle EDS le mutazioni possono essere di tutti i tipi. Ad esempio il maggior numero di mutazioni
finora identificate nel gene COL3A1 nei pazienti affetti da EDS vascolare sono mutazioni missenso,
che sostituiscono un aminoacido glicina; in questo gene sono anche molto frequenti le mutazioni di
splicing. Il 50% di queste mutazioni è insorto de novo, a livello della linea germinale materna o
paterna o nelle primissime fasi della vita embrionale. Questo evento è casuale e imprevedibile e la
malattia può insorgere nei figli di genitori non affetti dalla malattia.
Nel gene COL5A1 le mutazioni più frequenti alla base dell’EDS classico sono di splicing, ma ve ne
sono anche di altri tipi; complessivamente il 40% delle mutazioni malattia in questo gene porta alla
formazione di triplette di stop della traduzione aberranti, che causano la degradazione dell’mRNA
prima che sia tradotto nella proteina.
Dopo avere identificato la mutazione malattia si prepara il referto. Questo riporta la metodica
applicata, cioè il sequenziamento diretto, il risultato ottenuto e le conclusioni diagnostiche. Il referto
viene inviato al paziente, o al medico che ha fatto richiesta dell’analisi e consiglia il commento dei
risultati ottenuti in sede di consulenza genetica.
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La consulenza genetica è un processo informativo attraverso il quale i pazienti affetti da una
malattia geneticamente determinata, o i loro familiari, ricevono informazioni relative alle
caratteristiche della malattia stessa, alle modalità di trasmissione, al rischio di ricorrenza e alle
possibili terapie, incluse le opzioni riproduttive.
La conoscenza della diagnosi certa della malattia costituisce la premessa fondamentale e necessaria
per poter effettuare la consulenza genetica. La diagnosi può essere esclusivamente clinica, quando è
basata sulla valutazione del medico specialista e su dati derivati da indagini strumentali, oppure può
richiedere test di laboratorio, che per le EDS sono le analisi genetiche.
La consulenza genetica si articola in diverse fasi, che possono richiedere incontri successivi. Nella
prima fase si raccolgono le informazioni, tramite l’anamnesi personale e familiare del probando,
che possono consentire al genetista medico di far luce sulla reale origine genetica della malattia.
Vengono annotate informazioni precise sui diversi componenti familiari, inclusi quelli deceduti, che
si ritiene abbiano avuto la stessa malattia. A tal fine possono essere utili, oltre alle cartelle cliniche e
alle varie documentazioni sanitarie, anche fotografie dei familiari deceduti.
Viene quindi effettuata la ricostruzione grafica dell’albero genealogico (pedigree), che consente di
raccogliere le informazioni di carattere genetico della famiglia in esame, in almeno tre generazioni.
Si valuta la necessità di effettuare visite specialistiche, per confermare o escludere altri eventuali
segni minimi della malattia nel probando e nei suoi familiari e di eseguire analisi strumentali, quali
ad esempio una radiografia ai raggi X, una risonanza magnetica nucleare, un’elettromiografia.
Si effettuano quindi gli esami di laboratorio, che comprendono test genetici quali l’analisi del DNA
per quelle malattie genetiche in cui si conosce il difetto genetico. In particolare, l’esecuzione dei
test genetici richiede che chi vi si sottopone prenda visione e approvi un consenso informato che
spieghi i rischi, i limiti e le conseguenze di tali esami.
Una volta evidenziata l’alterazione genetica alla base dello stato patologico, si può calcolare il
rischio genetico, cioè la probabilità che la malattia genetica presente nel probando si trasmetta o sia
presente in altri membri della stessa famiglia. Il rischio genetico può essere fornito in termini
probabilistici o con un valore percentuale. Il genetista medico comunica quindi al probando, o ai
suoi familiari, le informazioni ottenute e le possibili conseguenze. La consulenza non dev’essere
mai direttiva e quindi non deve influenzare le possibili decisioni del probando o della famiglia.
L’acquisizione dei dati, la comunicazione dei risultati e il sostegno psicologico adeguato, in caso di
conferma di malattia genetica, necessitano della collaborazione di diversi professionisti, medici e
non medici, al fine di permettere la consulenza genetica.
La consulenza genetica, che può essere effettuata per un individuo presunto affetto in età prenatale
o postnatale, dovrebbe permettere di individuare gli eventuali portatori della malattia genetica
presenti nella famiglia, di valutare il rischio di ricorrenza della malattia e l’eventuale terapia.
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