Studio di fase II - Ospedale di Alessandria

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Azienda Ospedaliera Nazionale
SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo
Alessandria
Via Venezia, 16 – 15121 ALESSANDRIA
Tel . 0131 206111 – www.ospedale.al.it
[email protected]
[email protected] (solo certificata)
C.F. – P.I. 01640560064
L’ Azienda Ospedaliera di Alessandria: unico Centro non IRCCS e non Universitario
che partecipa ad uno studio di fase II sul tumore della prostata resistente alla
terapia ormonale
Il carcinoma della prostata è divenuto, nell’ultimo decennio, il tumore più frequente nella
popolazione maschile dei Paesi Occidentali. In Italia rappresenta oltre il 20% di tutti i
tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età, con un picco di incidenza tra i 65 e i 75
anni. La sopravvivenza dei pazienti si attesta attualmente al 90% a 5 anni dalla diagnosi
ed è in costante crescita.
Sebbene <5% dei pazienti presenti malattia avanzata già alla diagnosi, fino al 40% dei
casi sono destinati ad andare incontro a progressione di malattia, nonostante la terapia
locale.
La gestione dei pazienti con malattia avanzata è complessa e avviene in ambito
multispecialistico, tramite Il Gruppo Interdisciplinare Cure (GIC) Tumori Urologici della
nostra Azienda. Si basa non solo sul grado di estensione della malattia, ma anche
sull’aspettativa di vita del paziente e il trattamento standard è rappresentato dalla
castrazione farmacologica. Dopo un periodo, più o meno prolungato di risposta a questa
manipolazione ormonale, pressoché tutti i pazienti sono destinati ad andare incontro a
progressione di malattia, sviluppando una condizione che viene definita fase di resistenza
alla castrazione. Con tale definizione si intende un gruppo di pazienti alquanto eterogeneo,
sia da un punto di vista clinico che biologico, affetto per lo più da malattia localmente
avanzata e/o metastatica, che progredisce al solo trattamento ormonale. Si stima che circa
il 20% dei pazienti con diagnosi di carcinoma prostatico sviluppi questa condizione entro 5
anni dalla diagnosi. Per molto tempo l’unico target terapeutico che è stato possibile
ottenere in questi pazienti è stato il miglioramento della qualità della vita. Fino a
pochissimo tempo fa l’unica terapia che si era dimostrata in grado di prolungare la vita di
questi pazienti era rappresentata dalla chemioterapia con docetaxel, con una
sopravvivenza mediana attesa di poco superiore all’anno.
Oggi la speranza media di vita si attesta oltre i 30 mesi, grazie all’aumento dei farmaci
disponibili per questa fase di malattia (Cabazitaxel, Abiraterone, Enzalutamide e il
Radium-223), che hanno trasformato questa malattia da una neoplasia “orfana” per le
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Alessandria
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scarse opzioni terapeutiche disponibili ad un modello di sviluppo in “vivo” per nuovi
farmaci.
Tra il 2013 e il 2014 sono state effettuate presso la nostra S.C. di Oncologia oltre 80 prime
visite di pazienti affetti da carcinoma della prostata e di questi, oltre la metà presentava
malattia metastatica in fase di resistenza alla castrazione. Pressoché la totalità di questi
uomini sono stati sottoposti ad un trattamento chemioterapico di 1° linea con docetaxel, e,
di questi, oltre il 90% ha ottenuto, in una prima fase, una risposta o stabilità di malattia. I
pazienti andati successivamente incontro a progressione sono attualmente trattati in 2°
linea con uno dei nuovi farmaci oggi disponibili o arruolati in studi clinici presso altri Centri.
Questa premessa sui dati di letteratura e sulla nostra casistica, è preliminare ad illustrare
un nuovo protocollo sperimentale, che vede la nostra Azienda Ospedaliera come
unico Centro non IRCCS e non Universitario tra quelli partecipanti, che si prefigge di
valutare gli effetti ottenuti con la somministrazione di un vaccino in pazienti con tumore
della prostata resistente alla terapia ormonale.
Il background dell’impiego di un vaccino risiede nel fatto che la crescente disponibilità di
nuovi farmaci per questo setting di pazienti ha permesso di ottenere un beneficio in termini
di sopravvivenza, ma non di controllo a lungo termine della malattia. Inoltre, la presenza di
un infiltrato flogistico nel tessuto prostatico costituisce il razionale dell’impiego
dell’immonoterapia in questa neoplasia. FDA ed EMA, pur con alcune differenze, dal 2010
hanno autorizzato l’impiego di Sipuleucel-T, un vaccino a cellule dendritiche, nel
trattamento della malattia metastatica ormonorefrattaria asintomatica, sulla base della
dimostrazione di un aumento della sopravvivenza in questo setting di pazienti in due
grossi studi randomizzati. Sipuleucel-T non è comunque disponibile in commercio in Italia.
Il protocollo in oggetto, che prevede l’inizio dell’arruolamento già dalla prossima
settimana, è uno studio di fase 2 che fa seguito allo studio pilota di fase I/II in cui è stato
somministrato lo stesso vaccino, costituito da quattro peptidi della transcrittasi inversa
della telomerasi umana (GX 301), in un gruppo di pazienti affetti da carcinoma prostatico
resistente alla castrazione in stadio avanzato. L’analisi finale dei dati ha evidenziato una
risposta immunologica vaccino-specifica nel 100% dei pazienti e circa nel 20% è stata
documentata una stabilizzazione di malattia. Si trattava, però, di uno studio esplorativo
che aveva arruolato un piccolo numero di pazienti e, per di più pesantemente pre-trattati.
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Questo studio si pone, da un lato l’obiettivo di confermare i buoni dati di sicurezza e di
tollerabilità del vaccino, dall’altra di testarne l’efficacia in uno stadio più precoce di
malattia, cercando anche di individuare il regime di somministrazione ottimale da
impiegare in successivi studi randomizzati.
I pazienti arruolabili sono quelli che hanno ottenuto una risposta alla chemioterapia di 1°
linea con docetaxel, che rappresentano la stragrande maggioranza dei casi nella nostra
pratica clinica quotidiana. Il protocollo, in un certo senso, viene a “colmare” quella finestra
temporale in cui i pazienti, una volta completata la chemioterapia di 1° linea, vengono
messi in follow-up e monitorati fino a nuova progressione biochimica e strumentale di
malattia.
Si tratta di uno studio che si prefigge, senza dubbio, obiettivi “ambiziosi “, ma che, a mio
avviso, ci offre la possibilità di utilizzare un’arma in più nel delicato scenario della gestione
del carcinoma della prostata.
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