Più sigle e slogan, meno sostantivi

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CROSSMEDIA
Parole e Marketing
Più sigle e
slogan, meno
sostantivi
Il naming delle organizzazioni no profit fa affidamento per lo più sugli acronimi, che se
da un lato semplificano le lunghe denominazioni delle onlus dall’altro portano con sé il
rischio di non essere abbastanza distintivi per l’associazione. Per differenziarsi, raccontarsi e descrivere le proprie iniziative di beneficenza, intervengono allora gli slogan,
forti e provocatori, giocati su aspetti linguistici e semantici
di Danilo Deninotti
F
ino a un anno fa rientravo
in quella fascia di persone
quasi completamente ignorante rispetto al mondo delle organizzazioni no profit
e della comunicazione sociale. A parte
un’incursione come volontario in una casa famiglia - una delle migliori esperienze
umane in cui mi sia mai ritrovato - per me
tutto quel mondo era sempre rimasto un
universo parallelo. Sapevo che c’era, ne
intuivo a grandi linee il funzionamento e
se lo incrociavo - accadeva per strada visto
che non ho la televisione - tendenzialmente proseguivo il mio cammino. In testa,
però, mi rimanevano solo un po’ di colori
38 - Pubblicità Italia 11 | dicembre 2011
e simboli: le pettorine azzurre dei volontari dell’UNICEF, il panda del WWF, le
tre strisce parallele della E di Emergency
sulle magliette e poi i gazebo durante le
giornate dedicate alla sensibilizzazione
con le vendita delle azalee e delle arance
dell’A.I.R.C. per sostenere la ricerca contro il cancro o le gardenie per la festa della
donna dell’A.I.S.M. (Associazione Italiana Sclerosi Multipla). E come un pubblico
generalista, un consumatore poco informato, un target medio, come una sciura
Maria che tanto piace al marketing, la
mia memoria di marca applicata al no
profit lì si fermava. A volte, per parlare
di brand awerness e di forza della marca,
viene posta una domanda che più o meno
suona così: “Quali sono le prime X (dove X sta per un numero, di solito basso)
marche del settore Y che ti vengono in
mente?”. La mia risposta da sciura Maria,
che un anno fa non andava oltre alle organizzazioni citate sopra, conteneva già
alcuni dei tratti che a livello nominale
governano il settore. Da quando invece
mi è capitato di lavorare su un progetto
no profit, poi su un altro, e poi su un altro ancora, la mia conoscenza del settore
si è affinata e i tasselli nominali hanno a
poco a poco finito per creare un mosaico
variegato, ma abbastanza chiaro. Per non
parlare della sensazione di sollievo che si
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per distinguersi, per
raccontarsi,
per emozionare in un naming, le onlus
finiscono in
un mondo più
frequentato
da baseline e
slogan
prova nel fare qualcosa di pubblicitario,
ma comunque con uno scopo un po’ più
nobile che cercare amoralmente le leve
di comunicazione migliori per propinare qualsiasi tipo di bene di consumo e di
servizio. Dicembre è un mese importante
per le onlus, soprattutto per quelle che
come missione hanno la lotta alla povertà e la tutela dei diritti e il benessere dei
bambini. E’ il mese in cui le campagne di
sensibilizzazione si fanno sentire e in cui,
oltre ai simboli, anche i nomi possono
fare la differenza. Proviamo a mettere in
fila alcune delle più conosciute tra le organizzazioni no profit che operano in Italia:
Amref (African Medical and Research
Foundation), CBM (Christian Blind Mission), Coopi (Cooperazione Internazionale), Cesvi (Cooperazione e Sviluppo),
ActionAid, Save the children, Terre des
hommes, Sight Savers, Più Vita, Aiutare
i bambini, Operation Smile. Quello che si
traccia è un continuum, con due punti di
affollamento principali: sigle (e dintorni)
e slogan. Il nome vero e proprio, inteso
come sostantivo, è netta in minoranza; i
composti suonano più come frasi sul crinale tra la descrittività e l’emotività, e le
sigle - abbreviative o analogiche, ovvero
caratterizzate da una somiglianza fonetica o linguistica con parole esistenti, o al
limite dalla fusione di due termini - dimo-
strano qui tutte le loro potenzialità. La
sigla è figlia della contrazione, e si contrae
quando una ragione sociale composta da
più parole ha una lunghezza eccessiva
oppure potrebbe andare incontro a difficoltà di lettura o di pronuncia (se esistesse
il premio di internazionalità nominale,
la sigla potrebbe appendersi al bavero la
medaglia d’oro). Le sigle semplificano, ma
hanno anche un lato oscuro: un pericoloso feeling con l’indistintività. Ed è per
questo che per distinguersi, per raccontarsi (staccandosi dalla verbalizzazione
della missione in meno parole possibili),
per emozionare in un naming, le onlus finiscono in un mondo più frequentato da
baseline e slogan, l’altro lato del continuum altrettanto affollato.
A proposito di slogan. Un anno e mezzo
fa, nonostante all’Heineken Jammin’ Festival fossi andato solo per vedere i Pearl
Jam, sono arrivato mentre stava suonando Ben Harper. E nonostante le sue canzoni abbiano smesso di interessarmi da
ormai troppi dischi mediocri, i miei occhi non riuscivano a staccarsi dal palco e
dalla maglietta che indossava. Una scritta
rossa, enorme, in italiano: ‘Io non me ne
frego’. Solo il giorno dopo ho scoperto che
quello era il nome di una campagna contro la povertà di Coopi. Un naming forte
e provocatorio. Oltre alla provocazione,
nei nomi delle campagne no profit ritornano alcuni must tipici delle baseline, sia
a livello formale della lingua usata che di
tendenze morfo-sematiche. Nel primo
caso può accadere che l’origine linguistica della no profit sia ripresa. Così come
fanno le onlus italiane, anche le inglesi
rimarcano spesso e volentieri la loro provenienza e portata internazionale: NO
poverty NO aids (ActionAid), Children
in Need e Link to School (AMREF), o
Every One (Save the Children). Nel secondo caso, invece, le strade tipicamente
battute sono due. La prima è la presenza dei termini chiave legati ai temi delle
campagne e ai soggetti cui sono rivolte:
Stop Child Traffic (Terres des hommes),
Operazione fame e Azione donna (Save
the Children), o Angeli contro la malaria
(Cesvi). La seconda è invece il tentativo di
sollevare l’asticella della creatività e giocare con il tema, vedi per esempio i Flying
Doctors di AMREF, la campagna Please
Disturb di Terre des hommes contro il
turismo sessuale, l’iniziativa trasversale
Batti il cinque per un piano nazionale per
l’infanzia e l’adolescenza, o la community
Insieme per 100.000 di Coopi contro la
malnutrizione. ◊
dicembre 2011 | Pubblicità Italia 11 - 39
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