le opinioni - Ordine Avvocati Milano

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LE OPINIONI
QUID JUS?
Trascrivo dall'introduzione di un'antologia di filosofia del diritto appena pubblicata
(CONTE-DI LUCIA-FERRAIOLI-JORI, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina Editore, 2002):
«Nella Metafisica dei costumi (Metapjysik der sitten, 1797), Immanuel Kant (1724-1804)
distingue due grandi domande relative al diritto. La prima è la domanda del giurista (della
scienza del diritto): Was ist Rechtens? Cos'è il diritto ? Che cosa prescrivono le leggi in un
certo luogo? e in un certo tempo? La seconda è la domanda del filosofo (della filosofia del
diritto): Was ist Recht? Che cosa è il diritto? La domanda del giurista è Quid juris? La
domanda del filosofo è ``Quid jus?''.
Il giurista _ vale a dire lo scienziato del diritto _, a maggior ragione l'avvocato e, più di
tutti, il giudice deve stabilire che cosa prescrivono le leggi in un certo luogo ed in un certo
tempo. Che cosa prescrivono. Non se quello che prescrivono è bene o male sotto il profilo
morale, ovvero utile o non sotto il profilo politico. Quindi il suo compito è quello di
intendere al meglio la lettera e la ratio della legge, affinché la sua applicazione risulti la più
fedele possibile. Non certo quello diverso e contrastante di stabilire se leggi siano buone
o cattive, come invece fanno quotidianamente i nostri giuristi, e tra i giuristi soprattutto i
magistrati ``soggetti'' alla legge, e tra i magistrati soprattutto i rappresentanti a tutti i livelli
del pubblico ministero che sono preposti (non alla semplice applicazione, bensì) alla difesa
della legge.
Il filosofo, invece, deve stabilire cosa è il diritto e, per contro, cosa non è tale. Per farlo,
deve determinare il concetto di diritto e definirlo.
E, fin qui, mi sembra tutto chiaro ed ineccepibile».
Poi il testo continua così:
«Alla domanda filosofica che cosa il diritto sia (Quid jus?), la domanda originaria di ogni
filosofia del diritto, si affianca una seconda domanda filosofica: che cosa il diritto debba
essere.
Di queste due domande, la prima è in termini di essere (sein, is, la seconda in termini di
dover esser (sollen, ought).
Questa dicotomia di domande (Che cosa è il diritto? Che cosa deve essere il diritto?) si
espande in Norberto Bobbio in un'illuminante tricotomia. Bobbio distingue, infatti, tre
grandi aree tematiche della filosofia del diritto:
I) area ontologica: è l'area delle ricerche su ciò che il diritto è;
II) area deontologica: è l'area delle ricerche su ciò che il diritto deve essere;
III) area fenomenologica: è l'area delle ricerche sul diritto come fenomeno sociale.
Corrispondentemente, di fronte a una qualsiasi norma giuridica, si porrebbe un triplice
ordine di problemi:
I) Se essa sia giusta o ingiusta.
II) Se essa sia valida o invalida.
III) Se essa sia efficace o inefficace.
La tricotomia di Bobbio ha avuto vita breve, visto che le ricerche relative alla terza area
tematica si sono costituite progressivamente in una materia autonoma chiamata sociologia
del diritto».
«Ma anche la restante dicotomia suscita perplessità. Infatti non si vede come possa
concepirsi una qualsiasi entità _ e, nella fattispecie, un diritto _ che sia un quid di diverso
da ciò che deve essere.
Ciascuna entità, materiale o immateriale, per essere se stessa, deve essere un quid ben
preciso e determinato, mentre può essere anche tante altre cose, non necessariamente
precise e determinate.
Più chiaramente, ciascuna entità ha una destinazione originaria indissolubilmente
connessa al nome, uno scopo, che la stessa è (deve essere) idonea a conseguire,
esercitando la sua funzione. E poiché l'area ontologica è l'area delle ricerche su ciò che
una certa entità è, per definirne il concetto, ne deriva che deve individuare lo scopo
essenziale dell'entità considerata e, in relazione allo stesso, ciò che deve essere
necessariamente, e non può non essere, per conseguirlo.
Poi potrà avere, o non avere, anche altri scopi e funzioni, con relative caratteristiche che
possono essere. Ma per essere individuabile, per essere un'entità autonoma e distinta da
qualsiasi altra entità, non può non avere un suo scopo unico ed esclusivo ed essere
idonea a conseguirlo, esercitando la relativa funzione. Laddove ``unico'' va inteso nel
senso di essenziale, insostituibile, proprio dell'entità considerata; ed ``esclusivo'' nel senso
che non può essere di alcun'altra entità, che altrimenti risulterebbe interscambiabile con
quella considerata.
Così, ad esempio, è possibile usare un libro come oggetto decorativo, come
combustibile, sedile, cuscino, corpo contundente o in tanti altri modi dipendenti
dall'immaginazione dell'utilizzatore, ma si tratterebbe di usi per i quali il libro, sotto il profilo
estetico, economico, tecnico ecc. sarebbe meno adatto di altre cose, come ad esempio e
rispettivamente un soprammobile, della legna, un sedile, un cuscino, una spranga di ferro
ecc. E, per converso, tutte queste menzionate e mille altre cose ipotizzabili non saranno
mai idonee ad essere lette. Ne deriva che la destinazione originaria del libro è quella di
essere uno strumento di lettura, cosicché per esercitare la sua funzione propria deve
essere scritto, indipendentemente da qualunque altra e diversa utilizzazione per il
conseguimento di scopi occasionali cui tendono le sue funzioni improprie. Ed
indipendentemente, altresì, da cosa è scritto, da come è scritto e così via.
Insomma qualsiasi entità, per essere se stessa, deve essere idonea ad esercitare la sua
funzione propria per conseguire la sua destinazione originaria o scopo unico ed esclusivo
che la distingue e differenzia da qualsiasi altra entità».
«Ciò posto, e tornando al nostro discorso, tutto sta nella determinazione dello scopo e
relativa funzione del diritto _ che, di volta in volta è stato indicato nel bene e/o nella
giustizia e/o nella certezza ecc. _ dopo di che, delle due l'una:
_ o l'entità considerata è quel che deve essere per adempiere la sua funzione e
conseguire lo scopo del diritto, cosicché è certamente tale;
_ ovvero non è ciò che dovrebbe essere per adempiere la funzione e conseguire lo
scopo del diritto, ed allora non è tale.
Quel che non si può concepire è che possa esistere un diritto che non è ciò che deve
essere il diritto.
Per cui, definito il diritto, sappiamo anche ciò che deve essere. E, per converso, stabilito
cosa deve essere il diritto, sappiamo anche cos'è il diritto. Vale a dire che alla domanda
originaria ``Quid jus?'' non si può affiancare la seconda domanda ``Che cosa deve essere
il diritto?'', perché sono la stessa domanda, diversamente formulata.
Come risulta, anche più chiaramente, dalla restante, più esplicita, dicotomia di Bobbio.
Egli, infatti, individua il dover essere del diritto nella giustizia. È una tesi che non condivido
(per i motivi che ho enunciato in altra sede e che non è il caso di ripetere qui), ma che, se
postuliamo esatta, comporta necessariamente l'equiparazione del diritto alla giustizia.
Dopo di che, prescindendo dalla (secondo me insuperabile) difficoltà di stabilire in
concreto cos'è la giustizia, ciascuna singola norma, potrà essere:
_ o giusta, come deve essere, e sarà diritto;
_ o ingiusta, come non può essere, e non sarà diritto.
Sarà qualsiasi altra cosa, ma non diritto e, tanto meno, valido».
«A meno che la validità non sia condizione necessaria e/o sufficiente di giustizia della
norma, secondo la teoria del cosiddetto ``formalismo etico''. Che _ capovolta
l'impostazione di cui sopra (riducendo il dover essere all'essere, invece che l'essere al
dover essere, come abbiamo fatto noi) _ è ancora la riduzione ad una sola delle due
domande de quibus. Ma con sostanziale elusione della risposta alla domanda: ``Quid
jus''?
Che resta l'originaria e fondamentale domanda di ogni filosofia del diritto, cui si può
rispondere solo individuandone lo scopo unico ed esclusivo, senza eluderla con tautologie
del tipo: il libro è il libro; ma anche senza perdersi in classificazioni in base alle materie
trattate dal diritto o, peggio, in base ad una valutazione del modo di trattarle, che sarebbe
come definire il libro a seconda che sia un romanzo, un saggio, un fumetto, un registro
della contabilità od altro, eventualmente valido o non, rispettivamente sotto il profilo
letterario, scientifico, artistico, contabile od altro.
``Libro'' è un supporto materiale mobile (generalmente, ma non necessariamente, un
complesso di fogli di carta cuciti, con copertina) di scrittura (generalmente stampata, ma
anche manoscritta, incisa, a rilievo ecc.) con o senza illustrazioni, grafici e quant'altro, del
tutto indipendentemente da ciò che è scritto e da come è scritto. Analogamente il ``diritto''
si estrinseca in norme ``con cui si stabilisce che, ogni qualvolta si verifichi una data
fattispecie, debba aver luogo un determinato effetto'', qualunque sia la forma specifica
adottata e del tutto indipendentemente dalla materia regolata da ciascuna norma, nonché
dal come è regolata.
Pertanto è mia convinzione che lo scopo unico ed esclusivo del diritto sia la certezza.
Fermo restando che il diritto costituisce uno strumento formidabile (ma non il solo) per
realizzare il ``bene'' (nel senso di bene ``economico''), che decide la politica, e per tendere
al ``giusto'', come definito dalla morale. Ma di per sé deve e può soltanto ridurre
l'incertezza del domani. Che è già un compito tutt'altro che facile che, se realizzato,
comporta effetti di immane rilievo.
Ma non è questa la sede per illustrare e sostenere adeguatamente la mia tesi. Qui volevo
solo rilevare come risulti chiaro che, per evitare di perdersi negli inestricabili meandri della
normativa positiva o all'opposto di rischiare il vaniloquio, occorre determinare lo scopo e la
funzione (non gli scopi e le funzioni) del diritto, per definirne il concetto. E che solo così è
possibile rispondere all'originaria domanda, che resta l'unica: ``Quid jus?''».
FERDINANDO CIONTI
avvocato in Milano
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