A zia Maria, grazie di tutto.

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A zia Maria, grazie di tutto.
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
SEDE DI CESENA
FACOLTÀ DI PSICOLOGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
NEUROSCIENZE E RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA
LA MODULAZIONE SOCIALE DEI CONFINI DELLO
SPAZIO PERIPERSONALE :
LO SPAZIO TRA NOI
Tesi di laurea in
Neuroscienze affettive, cognitive e sociali
RELATORE
PRESENTATA DA
Prof. Giuseppe Di Pellegrino
Iula Carmela
Sessione III
Anno Accademico 2011-2012
2
INDICE
Introduzione…………………………………………………………………
pag.5
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Lo spazio intorno a noi
1.1. Cos’è lo spazio peripersonale? …………………………………………..
pag.8
1.2. La rappresentazione neurale dello spazio peripersonale…………............
pag.9
1.2.1. Evidenze sugli animali …………………………………………….
pag.10
1.2.2. Studi sull’uomo ……………………………………………………
pag.17
Capitolo 2: Caratteristiche dello spazio peripersonale
2.1. Caratteristiche funzionali………………………………………………..
pag.25
2.1.1. Il comportamento difensivo………………………………………
pag.25
2.1.2. L’interazione con l’ambiente……………………………………..
pag.28
2.2. Caratteristiche dinamiche: uso di un tool………………………………..
pag.30
2.2.1 Specchi e ombre come tool………………………………………..
pag.34
Capitolo 3: Spazio peripersonale e interazioni sociali
3.1. Il mio spazio e quello degli altri: esperimenti sulle scimmie……………
pag.36
3.2. L’altro nel mio spazio……………………………………………………
pag.39
PARTE SECONDA
3
Capitolo 4 : Disegno sperimentale
4.1. Scopo…………………………………………………………………….
pag.45
4.2. Materiali e metodo…………………………………………………….....
pag.46
4.2.1. Partecipanti………………………………………………………...
pag.46
4.2.2. Apparato e stimoli…………………………………………………
pag.46
Capitolo 5 : Risultati
5.1. Analisi dei dati…………………………………………………………..
pag.53
5.2. Discussioni………………………………………………………………
pag.56
Bibliografia……………………………………………………………………
pag.58
Introduzione
Il seguente lavoro si occupa di comprendere la relazione fra le interazioni sociali e la
rappresentazione dello spazio peripersonale (PPS, PeriPersonal Space), lo spazio che circonda
il nostro corpo. Studi precedenti hanno dimostrato che questa rappresentazione è altamente
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plastica, ma sono ancora poche le conoscenze relative a come le influenze sociali possono
modificare la percezione dello spazio intorno a noi. L’elaborato è diviso in due parti. Nella
prima, teorica, vengono riportate le caratteristiche generali dello spazio peripersonale (capitoli
1, 2, 3), mentre nella seconda, quella sperimentale, viene descritto l’esperimento
comportamentale condotto su 20 soggetti sani al Centro di Neuroscienze Cognitive di Cesena
(capitoli 4 e 5).
Nel primo capitolo viene definito come il cervello umano rappresenta lo spazio intorno al
corpo, non in maniera unitaria, ma in relazione alla porzione di spazio, lontano o vicino,
occupato degli oggetti con cui interagiamo. Diversi studi hanno dimostrato che i neuroni
multisensoriali rivestono un grande ruolo nella percezione di stimoli esterni più o meno vicini
al corpo. Lo spazio peripersonale è quella porzione di spazio definito dal raggio di azione dei
nostri arti. Vengono quindi riportate diverse evidenze sugli animali, in particolare sulle
scimmie, che dimostrano come la funzione di codifica dello spazio e di atti motori nello
spazio non è svolta da una singola area corticale, ma da circuiti che uniscono aree parietali ed
aree premotorie, con una breve descrizione delle caratteristiche dei campi recettivi dei neuroni
presenti in queste aree. Sono inoltre citati diversi studi di neuroimaging funzionale e di
stimolazione magnetica transcranica (TMS)
che hanno permesso di identificare, anche
nell’uomo, i meccanismi neurali sottostanti il processo di integrazione di informazioni
multisensoriali all’interno dello spazio peripersonale, la presenza e le caratteristiche dei
neuroni bimodali e il ruolo fondamentale di alcune aree coinvolte, già individuate nella
scimmia. In relazione alla dissociazione fra spazi lontani e vicini vengono riportati studi sul
neglect e sull’estinzione crossmodale.
Nel secondo capitolo vengono approfondite le caratteristiche della rappresentazione dello
spazio peripersonale, in particolare quelle funzionali e quelle dinamiche. Le principali
funzioni dello PPS sono quelle sensorimotorie di difesa e di interazione con l’ambiente
esterno, quindi pianificazione e messa in atto di comportamenti di azione e reazione più adatti
ad un determinato contesto. Per quanto riguarda le proprietà dinamiche, fondamentale è la
plasticità della rappresentazione dello spazio. Studi sugli animali, sui soggetti sani e con
neglect hanno confermato che l’uso attivo e prolungato di uno strumento per raggiungere
degli oggetti, o anche del mouse del computer, può modificare i confini dello spazio
peripersonale, permettendo un rimappaggio grazie al quale oggetti lontani possono essere
codificati successivamente come vicini.
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Nel terzo capitolo viene sottolineato come la codifica dello spazio si sviluppi evolutivamente
per permettere le interazioni sociali, consentendo di capire la portata delle azioni altrui e
ponendo dei confini all’interno dei quali è possibile interagire o conveniente muoversi. In
base a quello che gli altri fanno e in base al rapporto che c’è tra due individui si decidono le
modalità di azione. La presenza dell’altro nel nostro spazio peripersonale ha una forte ricaduta
sulle nostre azioni e questo dipende sicuramente dai rapporti e dal legame che ci unisce.
Potremmo essere infastiditi o interessati da questa presenza, che effetto può avere ciò sulla
rappresentazione neurale del nostro PPS?
Nel quarto capitolo viene presentato lo scopo e descritto l’apparato sperimentale con i
materiali e stimoli utilizzati. Lo scopo dello studio è quello di indagare come il
comportamento di una persona nei nostri confronti possa modificare la percezione dello
spazio intorno a noi, quando questa ci è di fronte. Uno studio precedente di Teneggi e
collaboratori ha evidenziato che, dopo un gioco economico in cui si poteva cooperare o meno
con un’altra persona, la misura dei confini dello spazio peripersonale cambiava quando l’altra
persona era stata nostra alleata, tanto da includerla nel nostro spazio peripersonale. Questo
fenomeno però non si verificava quando l’interazione non era stata cooperativa. Per
dimostrare che effettivamente i confini dello spazio peripersonale si modificano in funzione
della cooperazione, abbiamo replicato l’esperimento su 20 soggetti, apportando modifiche
all’apparato sperimentale, che è descritto in modo dettagliato nella seconda parte del capitolo.
Nel quinto capitolo sono riportati i risultati ottenuti e l’analisi statistica effettuata. L’analisi
dei tempi di risposta ad uno stimolo tattile durante un compito bimodale, prima e dopo un
gioco economico con una persona posta di fronte a sé, ha confermato i precedenti risultati.
Abbiamo infatti dimostrato che l’espansione dello spazio peripersonale è reale in quanto non
siamo di fronte ad una velocizzazione generale dei tempi di reazione, ma abbiamo registrato
una differenza significativa solo nel punto di spazio in cui si trova l’altro, nella condizione
dopo rispetto a quella prima del gioco. Questo a dimostrazione del fatto che non solo la
presenza di un’altra persona, ma anche la tipologia di interazione influenza la
rappresentazione dello spazio peripersonale.
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PARTE PRIMA
Capitolo 1
Lo spazio intorno a noi
«Lo spazio non è l’ambito, reale o
logico, in cui le cose si dispongono,
ma il mezzo in virtù
del quale diviene possibile la posizione delle cose»
(Merleau-Ponty, 1945. La fenomenologia della percezione, p. 326).
1.1 Cos’è lo spazio peripersonale?
Quando interagiamo con il mondo esterno è necessario che le rappresentazioni del nostro
corpo e delle sue parti si integrino con quelle degli oggetti nello spazio. La percezione del
mondo esterno, anche se apparentemente sembra unitaria, in realtà è il frutto dell’elaborazione
di informazioni provenienti da diversi porzioni di spazio. Lo spazio è quindi definito
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personale, quando ricopre tutta la superficie corporea del soggetto, peripersonale riferendosi
allo spazio che circonda il corpo e ne definisce il campo di azione, oppure extrapersonale che
è invece quello lontano e non raggiungibile dagli arti (Làdavas & Serino, 2008). È facile
quindi intuire che l’elaborazione di oggetti
presenti nello spazio peripersonale sarà più
complessa e completa rispetto a quella che avviene per stimoli che si trovano nello spazio
extrapersonale, poiché nella prima entrano in gioco le informazioni derivanti da tutti i canali
sensoriali quali il gusto, il tatto, l’olfatto oltre che la vista e l’udito, le quali entrano in gioco
anche nel processamento di stimoli presenti nello spazio lontano. L’integrazione
multisensoriale quindi fa sì che il soggetto possa localizzare e riconoscere uno stimolo
pericoloso o meno integrando le informazioni visive, acustiche, olfattive che riceve nel suo
spazio peripersonale (PPS) con quelle corporee come le tattili o le propriocettive. Ma come fa
il cervello a integrare tutte queste informazioni?
1.2. La rappresentazione neurale dello spazio peripersonale.
Diversi studi hanno dimostrato la presenza di neuroni che integrano le diverse informazioni
sensoriali sia negli animali che negli uomini. Questi neuroni possono essere bimodali o anche
trimodali e quindi rispondere contemporaneamente a stimoli provenienti da due o più canali
sensoriali diversi. Una delle più alte concentrazioni di neuroni multisensoriali si trova negli
strati profondi del collicolo superiore (King & Palmer, 1985). Esistono tre principi alla base di
questa integrazione multisensoriale e sono stati studiati, ad esempio, nei ratti (King & Palmer,
1985) soprattutto per quanto riguarda l'interazione tra stimoli visivi e uditivi. Un primo
principio riguarda le caratteristiche spaziali degli stimoli (la cosiddetta regola spaziale).
Secondo questo principio, per esserci integrazione, e quindi migliorare la risposta del neurone
bimodale, gli stimoli devono provenire dalla stessa posizione spaziale. La distanza angolare
massima
che può separare i due stimoli, ad esempio visivo ed uditivo, facilitando
l’integrazione multisensoriale, dipende dalla dimensione dei campi recettivi visivo e uditivo,
questi ultimi più grandi rispetto ai visivi (Jay & Sparks, 1987). Lo stimolo uditivo quindi
ecciterà i neuroni in una regione di grandi dimensioni, compresa quella visiva. Un secondo
aspetto cruciale dell'integrazione multisensoriale riguarda il tempo dell’esperienza sensoriale
(la regola temporale). Per far sì che ci sia integrazione, la distanza temporale tra i due stimoli
non deve superare i 300 ms, l’intervallo ottimale sarebbe quello di 100 ms. L’ultimo principio
riguarda la natura della risposta multimodale (detta regola dell’efficacia inversa). La risposta
combinata agli stimoli è molto di più della semplice somma delle singole risposte e la
facilitazione risulta essere migliore quando vengono combinati due stimoli deboli rispetto a
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due stimoli forti. Per esempio, anche quando i singoli stimoli visivi e uditivi non ottengono
risposta, la loro combinazione diventa efficace e produce una risposta sorprendentemente
vigorosa. In sintesi questa ultima regola afferma che, meno una singola informazione è
efficiente più sarà forte l’integrazione.
1.2.1 Evidenze sugli animali
Diversi studi, in particolare sui macachi, hanno evidenziato la presenza di neuroni che
combinano segnali visivi/uditivi con quelli tattili per codificare gli stimoli che riceviamo
intorno al nostro corpo, anche in base alla nostra postura. Stimoli visivi e tattili vengono
inizialmente processati in diverse regioni del cervello e le posizioni di questi stimoli sono
registrate in accordo con i diversi quadri di riferimento (retinocentrici per la vista e
somatocentrici per il tatto). Questi segnali convergono nelle regioni associative del cervello,
come le cortecce parietali e premotorie, per formare rappresentazioni multisensoriali dello
spazio, arricchendo le informazioni unisensoriali grazie a feedback dalle aree fronto-parietali.
La funzione di codifica dello spazio e di atti motori nello spazio, quindi, non è svolta da una
singola area corticale, ma da circuiti che comprendono aree parietali ed aree premotorie.
Neuroni premotori in F4 e F5
In uno studio del 1997 Graziano e collaboratori hanno studiato le proprietà multisensoriali
della corteccia premotoria ventrale dei macachi. La corteccia premotoria è deputata alla
pianificazione e all’esecuzione dei movimenti, proietta direttamene alla corteccia primaria
(M1) ed è collegata con il midollo spinale. Riceve proiezioni dalle aree somatosensoriali
secondarie SII e area 5, dalle aree visive 7 a (nel lobo parietale), area intraparietale laterale
(LIP), area intraparietale ventrale (VIP) area temporale superiore mediale (MST) che
proiettano tutte alla 7b (la porzione ventrale della corteccia parietale posteriore), le proiezioni
visive sono rivolte maggiormente alla porzione ventrale (PMv). I neuroni di quest’area, come
già detto, sono neuroni bimodali che rispondono sia agli stimoli tattili che a quelli visivi. I
campi recettivi tattili sono organizzati topograficamente: le braccia medialmente, la faccia al
centro e la bocca lateralmente. Questo vuol dire che tali neuroni bimodali si attivano
selettivamente in presenza di oggetti presentati in prossimità delle diverse parti del corpo
(braccia, gambe e bocca) ovvero dei rispettivi campi recettoriali somatosensoriali, codificando
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essenzialmente lo spazio peripersonale intorno alle specifiche parti del corpo. I neuroni
bimodali sono maggiori a livello dell’area F4 che corrisponde alla parte posteriore della PMv.
Nella figura 1 sono riportate in modo schematico le aree sopra citate, nel cervello di un
macaco.
Fig. 1.Sezione mesiale e laterale del cervello del macaco con la parcellizzazione citoarchitettonica della
corteccia frontale e agranulare della corteccia parietale posteriore. Le aree motorie sono definite secondo Matelli
e collaboratori (1985, 1991). La terminologia utilizzata deriva da quella utilizzato da Von Economo per la
corteccia umana che indica tutte le aree frontali, comprese quelle motorie, con la lettera F, i numeri invece
identificano le varie aree. Tutte le aree parietali ad eccezione di quelle all'interno del solco intraparietale sono
definite in base alla terminologia usata da Pandya e Seltzer (1982). Le aree situate all'interno del solco
intraparietale (IP) sono definite secondo i dati fisiologici e sono mostrati in una vista dispiegata del solco nella
parte più bassa della figura. Sulla base dei dati disponibili, sono riportate le rappresentazioni delle varie parti del
corpo. Nella corteccia prefrontale è definito anche il campo oculare frontale (FEF) sempre secondo criteri
fisiologici. Il solco arcuato superiore (AS), solco arcuato inferiore (AI) e la fossetta inferiore precentrale sono
disegnati in blu, rosso e verde, rispettivamente. AG, giro angolare. C, solco centrale. Ca, scissura calcarina. Cg,
solco cingolato. IO, solco occipitale inferiore. L, fessura laterale. Lu, solco semilunare. OT, solco occipitotemporale. P, solco centrale. OP, solco parieto-occipitale. ST, solco temporale superiore.
Fonte: Rizzolatti et al. (1998) Electroencephalography and clinical Neurophysiology 106 283–296 pag 285.
Esperimenti di microstimolazione elettrica intracorticale e di registrazione hanno evidenziato
che la corteccia premotoria ventrale (area F4) è paradigmatica fra le mappe spaziali relative ai
movimenti scheletrici. In questa zona, la maggior parte dei neuroni scarica in associazione
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con i movimenti della testa o il braccio. Un' altra proprietà sorprendente è che il campo
recettivo visivo dei neuroni F4 rimane ancorato alla parte del corpo su cui si trova il campo
recettivo tattile, indipendentemente dalla posizione degli occhi. In uno studio del 1996
Fogassi e collaboratori hanno provato a dare una descrizione dettagliata dei campi recettivi
dei neuroni in F4 di due macachi, registrando l’attività di 539 di essi. Alle scimmie venivano
presentati stimoli statici (una piccola luce) e in movimento (guidati da un braccio robotico).
Manipolando il punto di fissazione nel corso dell’esperimento, era possibile studiare se il
campo recettivo era organizzato secondo le coordinate retiniche o somatiche. Inoltre, con il
controllo preciso della posizione dello stimolo e della velocità di spostamento era possibile
determinare la profondità dei campi recettivi e la velocità d’espansione. In accordo con
quanto detto sopra, i risultati di questo studio hanno mostrato chiaramente come i campi
recettivi dei neuroni che si trovano in F4 sono organizzati in coordinate centrate sul corpo
restando ancorate alla testa (mentre quelle retiniche seguono i movimenti oculari). Inoltre, il
56% dei neuroni che si trovano in F4 sono bimodali. La figura 2 mostra come i campi
recettivi visivi sono localizzati intorno a quelli tattili, in dimensioni e proporzioni diverse. In
sintesi, a livello di queste aree premotorie nella scimmia il campo recettivo visivo opera in un
sistema di coordinate centrato sulla parte del corpo in cui si trova quello tattile, rimanendovi
ancorato anche quando quella parte del corpo si muove e indipendentemente da movimenti
oculari. Per dimostrare ulteriormente che questi neuroni sono indipendenti dalla posizione
degli occhi, Fogassi e collaboratori hanno registrato l’attività di neuroni delle scimmie anche
in posizioni diverse nella stanza dell’esperimento, per eliminare l’effetto di apprendimento
ambientale.
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Fig 2. Campi recettivi tattili e visivi di neuroni bimodali in F4. I numeri indicano le sigle dei vari neuroni
studiati, l’area evidenziata indica il campo recettivo tattile mentre il solido quello visivo.
Fonte: Fogassi e coll. 1996, Journal of Neurophysiology vol 76, 144.
La figura 3 mostra l’attività di un neurone bimodale in rapporto alla presenza dello stimolo
nel campo recettivo visivo. Nel pannello A1 e A2 della figura 3 si può osservare che il
neurone risponde quando lo stimolo entra nel campo recettivo visivo del neurone della
scimmia, a prescindere dalla direzione dello sguardo, mentre rimane silente (vedi pannello B1
e B2) quando lo stimolo viene presentato al di fuori del campo recettivo (Fogassi et al., 1996).
In un’altra condizione la scimmia veniva posizionata con il busto ruotato di 30° così come il
punto di fissazione. Nonostante questo cambiamento di coordinate allocentriche la risposta
del neurone non si differenzia dalla condizione A1.
Nella stessa rassegna ci sono poi ulteriori prove dell’entità dell’ espansione dei campi
recettivi in base alla velocità di spostamento dello stimolo. Tutti questi effetti non potevano
essere spiegati dai movimenti della scimmia, ma venivano interpretati in base alle
caratteristiche dell’organizzazione dei campi recettivi dei neuroni bimodali.
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Fig 3. Attività di un neurone bimodale in presenza di uno stimolo
visivo. Il campo tattile è sull’emivolto, il campo visivo è ancorato
al campo tattile ed evidenziato in grigio. La freccia indica la
direzione dello stimolo visivo. La linea tratteggiata e l’asterisco
indicano la direzione dello sguardo e il punto di fissazione della
scimmia. L’istogramma indica la risposta del neurone alla
presentazione dello stimolo visivo.
Fonte: Fogassi et al. 1996, Journal of Neurophysiology vol 76,
144.
Inizialmente sembrava che solo gli stimoli in movimento attivassero risposte in F4.
In realtà, con uno studio condotto nel 1997 da Graziano, Hu e Gross è stato dimostrato che in
realtà molti neuroni in F4 scaricano anche alla semplice presentazione di oggetti all'interno
dello spazio peripersonale della scimmia e in più anche quando essi vengono ritirati e la
scimmia li crede ancora vicini al suo corpo, perché ignara dell’allontanamento. Sembra quindi
che la rappresentazione dello spazio nella corteccia premotoria possa essere generata non solo
come conseguenza di una stimolazione esterna, ma anche internamente sulla base di
un’esperienza precedente.
Fogassi e collaboratori (1996) hanno proposto due ipotetiche spiegazioni che possono
spiegare la natura di questa rappresentazione. Una considera l’aspetto sensoriale come
dominante (ipotesi visiva), e sostiene che l’informazione visiva serva per costruire, a livello
della corteccia parietale, una mappa spaziale unitaria necessaria per la generazione dei
programmi motori. Se così fosse bisognerebbe però anche spiegare perché il sistema visivo
analizzi a fini percettivi lo spazio peripersonale in maniera diversa da quello extrapersonale,
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anche quando stimoli provenienti da questi due settori cadono nella stessa posizione retinica.
Abbiamo infatti visto che è stato dimostrato come i campi recettivi visivi non sono codificati
in coordinate retiniche (come ci si aspetterebbe secondo l’ipotesi visiva), ma sono ancorati
all’effettore corporeo, indipendentemente dalla posizione in cui l’occhio sta osservando, o alla
posizione dell’effettore rispetto al resto del corpo (Fogassi et al., 1996). Per esempio un
neurone di F4 scaricherà quando un oggetto viene avvicinato alla mano e la tocca,
indipendentemente dal fatto che il soggetto la stia osservando o stia guardando in un’altra
direzione. I campi recettivi, inoltre, non sono codificati in un sistema di riferimento unico (in
prospettiva egocentrica unitaria), ma sono piuttosto ancorati a singoli effettori motori (campo
recettivo mano-centrico, nel nostro esempio). È stato quindi ipotizzato (ipotesi motoria) che i
neuroni bimodali non codificano la posizione di uno stimolo in termini sensoriali astratti, ma
secondo gli atti motori potenziali necessari per andare a raggiungere un oggetto nello spazio
con uno specifico effettore. Ad esempio, il “nostro” neurone potrebbe scaricare in maniera
ottimale durante movimenti del braccio tali per cui un oggetto, posto in una certa regione
dello spazio, attraversi il campo recettivo peri-mano fino a toccare il campo recettivo tattile
posto sulla mano stessa. Questo meccanismo quindi, oltre ad essere fondamentale per la
programmazione ed esecuzione del movimento, ci permetterebbe di percepire in modo diretto
e inconscio lo spazio intorno a noi. Ad oggi non ci sono certezze sulla validità delle due
ipotesi, ma quella motoria sembra essere la più probabile. A favore dell’ipotesi visiva vi è lo
stretto legame temporale tra la presentazione dello stimolo e la scarica del neurone, la
costanza della risposta e la presenza del campo recettivo visivo. Gli autori specificano come
l’ipotesi visiva, presupponendo uno spazio a tre dimensioni, euclideo, in realtà non ci dice
nulla perché quest’ultimo esclude la variabile del tempo. Poiché un gruppo di neuroni, se
attivato, specifica la posizione dell'oggetto nello spazio, indipendentemente dalla stimolazione
della dimensione temporale, la predizione è che la mappa spaziale espressa da
un'organizzazione del campo recettivo visivo è sostanzialmente statica. Per quanto riguarda
invece l’ipotesi motoria c’è da dire che la F4 è un'area premotoria collegata direttamente alla
corteccia motoria primaria, invia proiezioni al midollo spinale e la sua microstimolazione
intracorticale evoca movimenti di alcune parti del corpo, tutto ciò suggerisce che quest’area
possa contenere schemi motori per portare gli arti verso porzioni specifiche di spazio. Inoltre
poiché il tempo è inerente al movimento, la mappa spaziale può avere proprietà dinamiche
che possono variare in base alla posizione spaziale. Fogassi e collaboratori forniscono
evidenze in merito dimostrando come l’estensione del campo recettivo di neuroni F4 in
profondità avvenga maggiormente quando aumenta la velocità di avvicinamento dello
stimolo. Inoltre, nella corteccia premotoria ventrale vi è un'altra area funzionale (area F5)
14
relativa alla trasformazione dei movimenti della mano in base agli oggetti piuttosto che allo
spazio, in relazione con movimenti della testa o del braccio. Gli esperimenti in cui sono stati
confrontati la figura dell'oggetto (ipotesi visiva) e l'oggetto da afferrare (ipotesi motoria)
mostrano che le risposte evocate dalla presentazione dell’oggetto correlano meglio con il
modo in cui gli oggetti devono essere afferrati piuttosto che con gli aspetti pittorici. Anche
quest’evidenza sottolinea come gli oggetti in F5 sembrano essere descritti più in termini
motori che visivi; se si ammette che questo sia il funzionamento nella corteccia premotoria
ventrale si può dare una simile interpretazione anche per i neuroni in F4. Ad ogni modo
l'interpretazione motoria offre una migliore, o almeno più semplice, spiegazione per la
posizione spaziale di campi recettivi intorno al corpo. Se fosse valida l’ipotesi visiva, si
dovrebbe postulare un sistema visivo ad hoc per eliminare le informazioni visive provenienti
dai punti fuori spazio peripersonale. Invece le proprietà tridimensionali dei campi recettivi
motori risolvono questa questione in modo più semplice (Rizzolatti et al.,1997). L’esistenza
di due modi diversi di codificare lo spazio, con il controllo oculare per lo spazio lontano e con
quello motorio-somatico per quello vicino è in accordo anche con le ricerche che nell’uomo
indagano le diverse basi anatomiche che sottendono queste funzioni.
Neuroni parietali in VIP
Le proprietà funzionali dei neuroni bimodali di aree come VIP (19) e PF (6, 20), strettamente
legate alla F4 (21, 22), completerebbero il quadro
dei circuiti che riguardano la
rappresentazione spaziale. Il movimento basato sullo spazio (elaborato anche da altri circuiti
fronto-parietali) diventa allora la nostra esperienza di spazio peripersonale visivo (Rizzolatti
et al., 1997).
L’area VIP (Area Ventrale IntraParietale) è situata nella zona più profonda del solco
intraparietale; oltre alle connessioni con le aree premotorie come F4 riceve la maggior parte
d’informazioni visive dall’area temporo mediale, nel solco temporale superiore e somatiche
dalle cortecce somatosensoriali primarie (Colby, 1993).
Le aree coinvolte nel controllo oculomotore come il LIP e la 7a (nel lobo parietale) e i campi
visivi frontali (FEF) rappresentano lo spazio in coordinate retinocentriche (ognuna ha una
posizione specifica sulla retina rispetto alla fovea), controllano i movimenti oculari rapidi,
cioè i movimenti saccadici, la cui funzione è quella di portare la fovea su un bersaglio
disposto nella periferia del campo visivo. Aree che codificano gli stimoli presentati vicino a
una specifica parte del corpo allo scopo di programmare movimenti verso di essi, come la F4,
la VIP, l’area PO (parieto-occipitale) e 7b (la porzione ventrale della corteccia parietale
15
posteriore) rappresentano invece lo spazio in coordinate centrate sul corpo, per attivarsi quindi
è necessario che lo stimolo visivo compaia entro lo spazio circostante, o meglio peripersonale.
La distinzione tra spazio vicino e lontano con i rispettivi circuiti neurali sembra essere
confermato da studi di lesione su FEF e F4 nella scimmia (Rizzolatti, 1997). Quello che resta
da capire è come la diversa mappatura degli spazi, dia poi alla fine un concetto unitario del
mondo che ci circonda.
1.2.2 Studi sull’uomo.
Diversi studi di neuroimaging funzionale e di stimolazione magnetica transcranica (TMS)
hanno permesso di identificare anche nell’uomo i meccanismi neurali sottostanti il processo di
integrazione di informazioni multisensoriali all’interno dello spazio peripersonale, la presenza
e le caratteristiche dei neuroni bimodali e il ruolo fondamentale di alcune aree coinvolte, già
individuate nella scimmia. Altri studi neuropsicologici sull’uomo hanno indagato il neglect e
l’estinzione crossmodale in relazione alla dissociazione fra spazi lontani e vicini.
In un recente studio Makin e collaboratori (2007) hanno pubblicato una rassegna che sembra
confermare quanto detto per il cervello delle scimmie nella rappresentazione dello spazio
peripersonale, questa volta negli esseri umani, utilizzando la risonanza magnetica funzionale
in soggetti sani. Gli autori presentavano una pallina vicino e lontano alla mano sinistra,
quest’ultima poggiata sulla coscia sinistra del soggetto. In una condizione A la mano è
posizionata in maniera visibile sulla coscia sinistra, nella B la mano è sulla spalla sinistra del
soggetto, in C la mano posta sulla coscia viene nascosta da un cartone e infine in D la mano
del partecipante è sulla sua spalla, mentre sulla coscia vi è una mano finta. Dalle varie
registrazioni è emerso un aumento di attività cerebrale, nelle condizioni in cui la vicinanza
dello stimolo alla mano era data sia dalla visione che dalla propriocezione (A) nella corteccia
ventrale premotoria, nel solco intraparietale (IPS) e nel complesso laterale occipitale (LOC).
Tuttavia, sembra però che le zone più posteriori di queste aree non siano modulate da
informazioni propriocettive (cioè, la loro attivazione ad uno stimolo vicino era simile a quella
di uno lontano nelle condizioni "mano sulla coscia ma nascosta" e "mano sulla spalla").
Al contrario, la zona IPS anteriore risultava significativamente più attivata quando la
prossimità dello stimolo era segnalata solo propriocettivamente. La condizione braccio finto
(solo visione), infatti, non ha mostrato una significativa differenza lontano-vicino
nell’attivazione delle zone anteriori, mostrando che l'influenza di visione e propriocezione
aveva un diverso effetto nell’attivazione di IPS anteriori e posteriori. Inoltre, solo le aree più
anteriori del IPS rispondevano anche alla stimolazione puramente tattile. Concludendo si può
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quindi dire che in LOC e in IPS posteriore, lo spazio intorno alla mano è definito in primo
luogo attraverso la visione, mentre in parti più anteriori del lobo parietale e del lobo frontale,
oltre a informazioni visive, ci sono quelle propriocettive e somatosensoriali. Il
coinvolgimento delle aree parietali e frontali riportate da questo studio è perfettamente in
linea con i dati neurofisiologici di macachi riportati precedentemente e con studi di imaging
che si occupano di pianificazione delle azioni mano-oggetto di manipolazione negli esseri
umani (Makin et al.,2007). Resta ancora da stabilire se le aree riportate sono le principali
responsabili per la mano da sola, cioè solo per le azioni della mano o se mediano anche lo
spazio peripersonale intorno al resto del corpo. Forse il risultato più interessante nello studio
di Makin è il coinvolgimento della zona LOC visiva, che si trova nella via ventrale (definita
anche “via del cosa”), piuttosto che nella dorsale (“via del dove”). La prima via è associata al
riconoscimento delle forme e della rappresentazione degli oggetti, la seconda invece al
movimento e alla rappresentazione spaziale della posizione degli oggetti insieme al controllo
di occhi e braccia durante l’afferramento di oggetti. Il ruolo della via ventrale non è stato
finora indagato nella rappresentazione dello spazio peripersonale, tanto meno nella
modulazione della posizione della mano rispetto ad uno stimolo.
Ad ogni modo, studi di imaging non mostrano il legame diretto e necessario tra le strutture
cerebrali e la loro funzione.
Uno studio di Serino e collaboratori (2011) indaga invece proprio il ruolo di due aree
specifiche la corteccia premotoria ventrale (vPMc) e la corteccia parietale posteriore (PPc)
nella rappresentazione multisensoriale dello spazio peripersonale, usando la stimolazione
magnetica transcranica (Transcranial Magnetic Stimulation, TMS). La TMS induce una
“lesione virtuale” delle aree a cui viene applicata: in questo modo è possibile verificare
l’esistenza di una relazione diretta fra l’area e la funzione specifica. In questo studio la TMS
viene applicata sia alla vPMc che alla PPc e come controllo alla V1(corteccia visiva primaria),
come indicato nella figura 4:
17
Fig 4. Localizzazione cerebrale delle aree di applicazione della rTMS nello studio (Fonte: Serino, Canzoneri
and Avenanti(2011) Fronto-parietal Areas Necessary for a Multisensory Representation of Peripersonal Space in
Humans: An rTMS Study. Journal of Cognitive Neuroscience X:Y, 1-12).
Lo studio era preceduto da altri esperimenti comportamentali che indagavano le caratteristiche
audio-tattili della percezione dello spazio peripersonale intorno alla mano. In un primo
esperimento (figura 5A) ai soggetti veniva richiesto di rispondere il più velocemente possibile
ad uno stimolo tattile che ricevevano sulla mano. In una condizione gli stimoli tattile
venivano
presentati
da
soli
(condizione
unimodale),
in
un'altra
condizione
contemporaneamente allo stimolo tattile venivano presentati dei suoni, vicini o lontani alla
mano, che però i soggetti dovevano ignorare al momento della risposta. I risultati hanno
mostrato tempi di reazione (RT) minori nel caso in cui allo stimolo tattile veniva associato un
suono, rispetto a quando gli stimoli erano unimodali, con risposte ancora più veloci quando il
suono si trovava vicino alla mano. Questo vuol dire che un suono vicino al corpo può
incentivare il processamento di stimoli tattili. Per verificare che l’effetto fosse dovuto
realmente all’attivazione della rappresentazione dello spazio peripersonale centrato sulla
mano, e non fosse un semplice effetto di vicinanza al corpo, sono state manipolate le distanze
tra la mano e la cassa, spostando la mano più lontano dalla cassa vicina con la testa sempre
nella stessa posizione (figura 5B). In questa condizione, con la mano situata lontano dalla
cassa, vicina al corpo, l’effetto di riduzione dei tempi di reazione nella condizione il cui suono
era vicino al corpo non avveniva. Tale risultato dimostra quindi che i meccanisimi di
integrazione multisensoriale dipendono da un sistema di coordinate centrato sulle singole parti
del corpo.
Fig 5: Apparato sperimentale A: I suoni, che il soggetto deve ignorare, vengono presentati vicino o lontano alla
mano del soggetto che riceve lo stimolo tattile.
18
Apparato B: la mano del soggetto viene spostata in modo da essere lontana da entrambe le casse.
Fonte: Serino, Canzoneri and Avenanti (2011) Fronto-parietal Areas Necessary for a Multisensory
Representation of Peripersonal Space in Humans: An rTMS Study. Journal of Cognitive Neuroscience X:Y, 1-12
Utilizzando la TMS, gli autori hanno voluto poi verificare il ruolo di alcune aree (vMC e PPc)
nei meccanismi di integrazione multisensoriale all’interno dello spazio peripersonale.
I
soggetti quindi eseguivano il compito audio tattile in tre diverse condizioni sperimentali, dopo
l’inibizione delle aree VPMc, PPc e V1 come controllo. La loro ipotesi era quindi basata sul
fatto che se l’inibizione interferiva con la performance del soggetto nel compito audio-tattile,
quella determinata area poteva essere ritenuta necessaria per la rappresentazione dello spazio
peripersonale. I risultati hanno mostrato che nella condizione di baseline di inibizione di V1 si
ottiene lo stesso effetto di facilitazione ottenuto in condizione di non stimolazione, cioè si
registrano RT più rapidi quando lo stimolo tattile è associato a suoni vicini alla mano, effetto
che non è invece presente nelle altre due condizioni. Dopo l’inibizione di aree quali VPMc e
PPc scompare l’integrazione audio-tattile dello spazio intorno alla mano, non è più presente
l’effetto di velocizzazione e i tempi di reazione allo stimolo tattile sono indipendenti dalla
vicinanza spaziale. Questo indica un ruolo fondamentale delle due aree nella rappresentazione
dello spazio peripersonale. Studi precedenti avevano già ipotizzato una corrispondenza tra le
proprietà neurali di queste due aree nell’uomo con le aree vMPc e VIP nella scimmia (Sereno
& Huang, 2006). Sembra quindi che effettivamente l’integrazione multisensoriale sia deputata
proprio alle connessioni fronto-parietali.
Si è osservato che questo sistema di codifica multisensoriale può svolgere un ruolo specifico
nel recupero di deficit di rappresentazione spaziale in pazienti con deficit selettivi nella
modalità visiva o uditiva, come dimostrato da esperimenti condotti su pazienti con neglect
(Frassinetti, Pavani, & Làdavas, 2002). Tuttavia, la maggior parte di questi studi ha esaminato
gli effetti dell’udito sulla visione, sottolineando l’importanza delle regole spaziali, temporali e
dell’efficacia inversa di cui si parlava all’inizio del capitolo. Non ci sono però molte prove
dell’influenza della visione sull’udito, cioè come un segnale visivo può influenzare la
percezione di quello uditivo nello spazio peripersonale. Bolognini, Rasi e Làdavas in uno
studio del 2005 hanno indagato la capacità di uno stimolo visivo di migliorare la
localizzazione di un uditivo in un paziente con un deficit selettivo di localizzazione uditiva
spaziale, in seguito ad una lesione cerebrale nell'emisfero destro. Il paziente dovrebbe riuscire
a localizzare meglio lo stimolo quando è presentato bimodalmente rispetto a quando è
unimodale e questo effetto dovrebbe variare in relazione allo spazio. Venivano quindi
presentati in diverse posizioni spaziali dei suoni, sia bimodali che unimodali, rispetto ad un
19
punto di fissazione centrale e il soggetto doveva indicarne verbalmente la posizione. Il
paziente era sempre in grado di localizzare correttamente la posizione spaziale dello stimolo
visivo (100% di risposte corrette). Per quanto riguarda la modalità uditiva, il paziente
mostrava una soglia normale dell'udito, come misurato dall’audiometria in ciascun orecchio,
quindi rilevava correttamente gli stimoli acustici, ma indipendentemente dalla loro posizione
spaziale (100% di risposte corrette). Quando gli veniva chiesto di indicare la posizione
spaziale del suono con una risposta verbale e con una risposta di puntamento, il paziente
falliva il compito, come emerso dal confronto con un gruppo di controllo di 7 soggetti sani.
Nel compito sperimentale il paziente veniva invitato a indicare verbalmente la posizione
spaziale in cui era presentato il suono e ad ignorare gli stimoli visivi. Le condizioni
sperimentali erano quattro: le due unimodali (solo visiva e solo uditiva) e due crossmodali in
cui gli stimoli coincidevano temporalmente, ma in una venivano presentati nello stesso punto
spaziale e nell’altra in due punti diversi. Dalle diverse sessioni è emerso un miglioramento
selettivo nella localizzazione uditiva solo quando la stimolo visivo è stato presentato nella
stessa posizione spaziale dello stimolo acustico. Questo effetto non può essere spiegato come
una tendenza generale a rispondere a stimoli visivi, dal momento che il paziente non aveva
falsi allarmi, cioè non rispondeva allo stimolo visivo da solo quando invece doveva ignorarlo.
Numerosi studi hanno evidenziato l'esistenza di collegamenti esogeni crossmodali audiovisivi dell'attenzione spaziale, in modo che un cambiamento esogeno dell'attenzione in una
modalità conduce ad un corrispondente spostamento di attenzione in un'altra modalità.
Pertanto, i risultati del presente studio sembrano provare il significato adattativo
dell’integrazione multisensoriale: quando una modalità sensoriale è degradata, il cervello può
utilizzare le informazioni derivanti da altri sistemi sensoriali per rilevare la presenza degli
stimoli. Pertanto, l'esistenza di un sistema integrato audio-visivo nell'uomo offre una
possibilità di recupero da disturbi di rappresentazione spaziale. Un disturbo della cognizione
spaziale seguente a lesione cerebrale (più frequentemente a destra) è il neglect
(eminattenzione spaziale). Questi pazienti hanno difficoltà ad esplorare lo spazio
controlaterale alla lesione e non sono consapevoli degli stimoli presenti in quella porzione di
spazio esterno o corporeo. In linea con i risultati attuali, uno studio ha dimostrato che alcuni
pazienti con neglect visivo per lo spazio sinistro sono in grado di segnalare la presenza di
stimoli visivi di sinistra, quando uno stimolo uditivo è stato presentato spazialmente e
temporalmente coincidente con quello visivo (Frassinetti, Pavani et al., 2002).
La somiglianza tra l’organizzazione neurale della scimmia e quella dell’uomo negli studi sulla
percezione spaziale non riguarda solo la presenza dei neuroni bimodali ma anche quella che è
la distinzione vicino/lontano. Nell’uomo questa distinzione è stata soprattutto studiata su
20
pazienti con neglect. Nel 1991 Hallingan e collaboratori hanno descritto il caso di un paziente
che mostrava neglect quando doveva, con una matita, dividere a metà dei segmenti su di un
foglio posto nel suo spazio peripersonale. La riflessione sorprendere era che nel medesimo
compito (bisezione di linee) il soggetto non mostrava nessun deficit quando il foglio era nello
spazio extrapersonale e lo eseguiva con un laser. (Rizzolatti et al., 2006). A confermare la tesi
di un sistema di rappresentazione spaziale non univoco, altri studi hanno riportato
dissociazioni diverse ad esempio selettive per lo spazio personale, il soggetto non riesce a
toccare la propria mano sinistra con la destra ad occhi chiusi ma non presenta deficit nei
compiti nello spazio extrapersonale e per lo spazio lontano con compiti di lettura e
cancellazione che il soggetto riesce ad eseguire solo nello spazio peripersonale (Cowey et
al.,1994).
Altri risultati importanti sulla dissociazione degli spazi sono quelli ottenuti nello studio
sull’estinzione. L’estinzione è l’incapacità di percepire informazioni controlesionali in
presenza simultanea di informazioni ipsilesionali, questo deficit può manifestarsi sia quando
gli stimoli simultanei sono presentati nella stessa modalità (unimodale), sia quando sono
presentati in differenti modalità (crossmodale), ad esempio attraverso una stimolazione tattile
sulla mano controlesionale contemporanea alla presentazione di stimoli visivi nello spazio
vicino alla mano ipsilesionale. Di Pellegrino e collaboratori in uno studio del 1997 hanno
esaminato un paziente con estinzione somatosensoriale il quale, alla presentazione simultanea
di due stimoli simmetrici sulle due metà del corpo diverse, percepiva solo lo stimolo
localizzato sulla metà del corpo sana. Controllando le risposte del soggetto alla presentazione
di stimoli visivi e tattili, hanno scoperto che appena presentavano uno stimolo visivo vicino
alla mano destra ipsilaterale del paziente, egli non percepiva più lo stimolo tattile presentato
sulla mano sinistra controlesionale. L’aspetto interessante era che quando lo stimolo era
presentato fuori dallo spazio peripersonale l’effetto di estinzione delle visione sul tatto
diminuiva enormemente. Questi risultati dimostrano quindi l’esistenza della rappresentazione
dello spazio peripersonale visivo nell’uomo centrato sulla mano e come esso può modulare la
percezione tattile. Un altro studio di Farnè e Làdavas dimostra come la stessa cosa valga
anche per lo spazio peripersonale uditivo. In un gruppo di pazienti con danno cerebrale destro
che presentavano estinzione, hanno osservato come un suono prodotto vicino alla testa
ipsilesionalmente (20 cm) estingueva uno stimolo tattile controlesionale sul collo. Questo
però non avveniva quando il suono era presentato lontano dalla testa (70 cm). Inoltre, più il
suono era forte più l’estinzione era presente sia nello spazio dietro che nello spazio avanti,
quando invece il suono era debole l’estinzione era presente solo nello spazio dietro alla testa.
La maggiore sensibilità audio-tattile nella porzione di spazio peripersonale dietro al soggetto è
21
probabilmente spiegabile dal fatto che un oggetto in avvicinamento nello spazio di fronte a
noi può essere codificato utilizzando sia la modalità visiva che uditiva, mentre quelli
provenienti da dietro possono essere percepiti solo tramite l’udito, inoltre, per quanto riguarda
la differenza prodotta dai due tipi di suoni, sembra che quelli più complessi sono gli unici ad
attivare i neuroni della corteccia premotoria ventrale che codificano la posizione del suono
rispetto al corpo, a causa del fatto che sono molto più presenti in natura rispetto ad altri suoni
e sono dunque esperiti più frequentemente (Farnè & Làdavas, 2002).
Ad oggi quindi siamo a conoscenza delle distinte basi anatomiche deputate all’elaborazione di
stimoli provenienti dalle diverse porzioni di spazio vicino e lontano al nostro corpo grazie agli
studi sugli animali e alle conferme date dagli studi sull’uomo. Conosciamo le caratteristiche e
le proprietà dei neuroni di queste aree e in che modo integrano diverse informazioni sensoriali
affinché la percezione di questi stimoli sia unitaria e migliore. Inoltre, in letteratura sono
presenti numerosi studi che cercano di descrivere al meglio lo spazio peripersonale,
soprattutto nelle sue caratteristiche funzionali e dinamiche.
Capitolo 2
Le caratteristiche dello spazio peripersonale
«L'autodifesa è la più antica legge della Natura.»
(John Dryden, 1631 – 1700 )
2.1. Proprietà funzionali.
Sappiamo che i circuiti fronto-parietali, grazie all’attività dei neuroni bimodali e trimodali,
sono deputati all’elaborazione di informazioni spaziali in relazione a specifiche parti del
22
corpo, pertanto ci permettono di analizzare lo spazio intorno a noi, localizzando la posizione
degli oggetti, e quindi agire in base a quello che accade in esso. Le principali funzioni svolte
dalla rappresentazione dello spazio peripersonale, che diviene un’interfaccia multisensoriale
tra il corpo e l’ambiente, sarebbero quindi quelle sensori-motorie, di interazione con
l’ambiente circostante e pianificazione di comportamenti di difesa verso gli stimoli presentati
intorno al corpo (Rizzolatti et al., 1997; Làdavas & Serino, 2008).
2.1.1. Il comportamento difensivo.
Da studi di imaging sul cervello delle scimmie sono state individuate due aree principali in cui
neuroni multimodali rispondono a stimoli visivi, tattili ed uditivi, in particolare a oggetti che
toccano il corpo degli animali oppure che si avvicinano ad essi. La stimolazione elettrica
dell’area intraparietale ventrale (VIP) e della zona polisensoriale nel giro precentrale (PZ),
riportate in figura 6, evoca movimenti di tipo difensivo di ritiro e blocco. Inoltre si è potuto
osservare che queste due aree entrano in funzione durante i movimenti oculari di navigazione,
di attenzione nello spazio vicino e di processamento della localizzazione di oggetti finalizzata
alla guida dei movimenti. Sembra che queste aree siano coinvolte nella costruzione di una
sorta di confine di sicurezza del corpo, entro cui agire e coordinare i movimenti in risposta
agli avvenimenti esterni.
Fig 6. Nella figura sono mostrate in modo approssimativo le due aree responsabili dei comportamenti di difesa,
nel cervello della scimmia, in grigio il solco intraparietale.
Fonte: Graziano and Cooke 2006. Parieto-frontal interactions, personal space and defensive behavior.
Neuropsychologia 44(13): 2621-35.
23
Bisogna sottolineare che il comportamento difensivo non è riconducibile ad una singola
funzione, ma è un insieme di processi accomunati dallo stesso scopo e da una corretta analisi
sensorimotoria. L’arresto dopo uno spavento, l’evitamento di pericoli durante la
deambulazione, tutti i movimenti corporei volti al raggiungimento di oggetti e la risposta
motoria ad un pericolo in avvicinamento sono tutti comportamenti che mettiamo in atto più
volte durante la giornata e che hanno molto in comune con quelli degli animali. Nei
mammiferi i comportamenti di protezione operano sia a livello corticale che subcorticale. Ad
esempio il midollo spinale media i comportamenti di riflesso dell’allerta e del ritiro,
modulando la reazione in base alla localizzazione dello stimolo. I circuiti corticali, invece,
mediano una risposta più lenta ma più flessibile che integra le informazioni derivanti dalle
diverse modalità sensoriali. Rispondere ad uno stimolo esterno quindi non implica un
semplice riflesso guidato dallo stimolo stesso, ma include un processo in cui entrano in gioco
varie funzioni cognitive come l’attenzione e la cognizione spaziale. Quando uno stimolo
pericoloso entra nella “flight zone” l’animale reagisce, lo stesso fa l’uomo quando qualcosa
che mina la sua sicurezza invade il suo spazio peripersonale. Molti sono gli studi che
indagano proprio l’attenzione specifica per lo spazio intorno al corpo (Di Pellegrino, 1997),
come una funzione multimodale e sembra che mantenere una sorta di confine di sicurezza
intorno al corpo sia proprio un processo attentivo. Nel loro articolo Graziano e collaboratori
immaginano i campi recettivi come delle bolle di spazio ancorate alla superficie corporea.
Sembra che i campi recettivi in VIP e PZ possono essere considerati le basi neurali del
fenomeno psicologico della rappresentazione dello spazio peripersonale (B) e di quello
etologico della “flight zone” (A), come schematicamente riportate nella figura 7.
24
Fig 7. Raffigurazione schematica della “flight zone” (A) e dello spazio peripersonale (B). In (C) e (D) sono
rappresentati alcuni campi recettivi tattili (ombra) e visivi (solido) di alcuni neuroni in PZ della scimmia, più lo
spazio è lontano più i campi recettivi sono pochi, viceversa, più lo spazio è vicino al corpo più i campi sono
numerosi (E).
Fonte: Graziano and Cooke, 2006. Parieto-frontal interactions, personal space and defensive behavior.
Neuropsychologia 44(13):2621-35.
Come è evidente dalla figura 7(E) in diversi studi si è indagato se lo spazio peripersonale
fosse costituito da un unico settore che circonda il corpo o da un insieme di moduli, ognuno
responsabile dello spazio adiacente ad una specifica parte del corpo. I risultati dello studio di
Farnè e collaboratori (2005) su un gruppo di pazienti affetti da estinzione crossmodale hanno
mostrato che toccando sulla mano sinistra (controlesionale) i pazienti esaminati vi era
estinzione quando simultaneamente uno stimolo visivo era presentato vicino alla mano destra
(ipsilesionale), ma ciò avveniva in maniera minore quando lo stimolo visivo era presentato
vicino al volto e quello tattile sulla mano, e viceversa. L’estinzione era dunque maggiormente
presente quando erano stimolate parti del corpo omologhe (mano-mano/viso-viso) piuttosto
che quando la stimolazione avveniva in zone non omologhe (mano-viso/viso-mano). Questi
risultati dimostrano che la rappresentazione dello spazio peripersonale non è unitaria, ma
costituita da diversi moduli, ognuno responsabile della codifica dello spazio adiacente ad una
specifica parte del corpo, proprio come riportato in figura 7. Finora gli studi si sono
focalizzati su mani e volto, ma esperimenti futuri potrebbero essere rivolti all’individuazione
dei medesimi risultati con stimoli presentati vicino ad altri parti corporee.
2.1.2.L’interazione con l’ambiente.
L’attivazione della rappresentazione dello spazio peripersonale sembra seguire un flusso di
informazioni bottom-up in modo automatico. È stato dimostrato che in alcuni pazienti con
estinzione crossmodale, quando uno stimolo visivo viene presentato vicino alla mano
ipsilaterale, si induce una estinzione dello stimolo tattile sulla mano controlesionale e lo
stesso avviene se sulla mano del paziente vi è una lastra trasparente di plexiglas, la quale
quindi non ostacola la codifica multisensoriale degli stimoli visivi nello spazio peripersonale,
poiché il paziente era consapevole dell’impossibilità di un contatto fra lo stimolo visivo e la
mano. Pertanto è intuibile che la percezione visuo-tattile avviene in modo automatico. La
percezione degli oggetti nel nostro spazio peripersonale sarebbe guidata dallo stimolo, una
volta identificatane la giusta localizzazione saremmo in grado di mettere in atto la corretta
25
risposta motoria, anche quando non riceviamo informazioni tattili cioè quando non siamo in
contatto diretto con l’oggetto (Làdavas & Serino, 2008).
Questo tipo di azioni sono
controllate dai neuroni bimodali, che controllano i movimenti del braccio basandosi sulle
informazioni visive, nel putamen, nel solco intraparietale (VIP) e nell’area inferiore 6. Per
riuscire a portare un oggetto alla bocca, ad afferrarlo o indicarlo è necessario sapere dove si
trova. Quindi, quando parliamo di caratteristiche funzionali dello spazio peripersonale, non
intendiamo solo il comportamento difensivo, ma tutte quelle azioni che compiamo
frequentemente nella quotidianità. Queste azioni sono spesso automatiche e richiedono molta
velocità, non occorre una pianificazione approfondita, quindi le compiamo in modo del tutto
inconscio. L’attività dei neuroni multisensoriali, in questi casi, non richiede un processamento
di informazioni di alto livello.
A maggiore conferma della localizzazione di aree deputate alla rappresentazione dell'azione,
studi di neuroimaging hanno evidenziato come proprio la corteccia premotoria ventrale
(vMPc) e la corteccia parietale posteriore (PPc) sono altamente interconnesse tra loro, oltre
che alla corteccia motoria, e sono inoltre implicate nell’immaginazione e osservazione di
azioni (Avenanti et al., 2007). Inoltre un’ulteriore conferma di questi dati è che la maggior
parte dei neuroni del solco intraparietale fa parte anche della via dorsale, la via del dove.
Questa via è responsabile della guida visiva delle azioni affiancata ad una percezione
inconscia della rappresentazione spaziale in termini di azioni specifiche come l’afferramento.
Diversamente invece, la via ventrale del cosa è responsabile del processamento delle
caratteristiche fisiche degli oggetti (Ungerleider & Miskin, 1982). Da tutti gli studi che ne
indagano le caratteristiche sembra quindi che la rappresentazione dello spazio peripersonale,
mediata dalla via dorsale, non sia influenzata dall’elaborazione delle caratteristiche visive
semantiche dell’oggetto, che invece sono mediate dalla via ventrale (Làdavas & Serino,
2008). Lesioni della corteccia parietale posteriore non producono infatti solo deficit motori o
sensoriali primari, ma disturbi più complessi, come ad esempio l’atassia ottica, dovuta
all’incapacità di localizzare stimoli distanti per poterli raggiungere, o l’aprassia, in cui il
paziente ha difficoltà nel pianificare movimenti. In particolare, diverse regioni di PPc
sembrano essere adibite alla pianificazione di movimenti saccadici (funzione svolta dall’area
LIP) e di azioni quali il raggiungimento (area MIP) e l’afferramento (area AIP) di oggetti,
attraverso una comune rappresentazione spaziale. La corteccia parietale posteriore sarebbe
implicata nelle fasi iniziali della pianificazione del movimento, quali l’integrazione
multisensoriale e la codifica delle coordinate spaziali, svolgendo anche una funzione di
controllo attentivo e di apprendimento nell’ambito di operazioni sensori-motorie.
26
Le caratteristiche funzionali dello spazio peripersonale, quindi l’abilità di localizzare gli
stimoli anche quando non sono in diretto contatto con la pelle e di produrre movimenti
appropriati in risposta ad essi, avanza l’ipotesi che la rappresentazione spaziale può essere
modificata da azioni di ricerca nello spazio, come, ad esempio, quando un soggetto usa uno
strumento per raggiungere oggetti nello spazio lontano (Làdavas & Serino, 2008).
2.2. Proprietà dinamiche: uso di un tool.
In uno studio del 1996 Iriki e collaboratori hanno dimostrato come i campi recettivi visivi dei
neuroni bimodali della PPc della scimmia possono modificarsi dopo azioni che comportano
l’uso di uno strumento. Durante l’esperimento, le scimmie venivano addestrate a utilizzare un
rastrello per raggiungere il cibo nello spazio extrapersonale. Registrando l’attività dei neuroni
a livello di quest’area si è potuto osservare come i campi recettivi visivi ancorati alla mano
che utilizzava il rastrello si espandevano tanto da includere lo spazio intorno al rastrello.
Quando però l’animale smetteva di usarlo i campi ritornavano alla loro estensione. Sembra
quindi che il prolungamento della mano, inteso come la capacità di raggiungere oggetti più
lontani dovuto all’utilizzo del rastrello, rimoduli la concezione di spazio vicino e dello spazio
lontano, pertanto i neuroni che prima si attivavano per la codifica dello spazio peripersonale,
poi si attiveranno anche alla presenza di stimoli che si trovano nello spazio extrapersonale. In
uno studio del 2000 Berti e Frassinetti hanno confermato la rimodulazione delle mappe
spaziali in seguito all’utilizzo di uno strumento con uno studio su una paziente con lesione
all’emisfero destro che presentava neglect sinistro, con un’evidente dissociazione fra spazio
vicino e lontano, presentando la negligenza spaziale solo nello spazio vicino e non in quello
lontano. Quando la paziente doveva bisecare delle linee su un foglio con il suo dito mostrava
un bias verso lo spazio destro, ignorando quindi lo spazio di sinistra, tipico dei pazienti con
neglect. Quando però il foglio veniva collocato nello spazio lontano e per la bisezione veniva
usata una penna laser, il neglect scompariva. Sulla base delle proprietà plastiche dello spazio
peripersonale, alla paziente venne chiesto di eseguire il compito di bisezione nello spazio
extrapersonale con una bacchetta. Come le autrici avevano ipotizzato, la paziente mostrava il
neglect anche nello spazio lontano, solo quando effettuava il compito con la bacchetta, a
causa del rimappaggio dello spazio vicino e lontano dovuto all’utilizzo del tool. Altri studi
sulla plasticità dello spazio peripersonale hanno utilizzato paradigmi basati sull’estinzione
crossmodale, ad esempio su un gruppo di pazienti con lesione destra. (Làdavas & Serino,
2008). Prima dell’utilizzo di uno strumento l’estinzione crossmodale era limitata allo spazio
intorno alla mano e di conseguenza l’incapacità di percepire informazioni controlesionali
27
tattili in presenza simultanea di informazioni ipsilesionali visive avveniva solo quando
entrambi gli stimoli erano nello spazio peripersonale. Si è potuto osservare che, dopo
l’utilizzo attivo di uno strumento, per raggiungere oggetti lontani dal soggetto, l’estinzione
avveniva anche quando lo stimolo ipsilaterale veniva presentato vicino alla punta dello
strumento, ad esempio un rastrello, come mostrato nella figura 8.
Fig 8. La figura mostra schematicamente il paradigma sperimentale utilizzato. La mano trasparente colorata in
giallo metaforicamente indica lo spazio peripersonale intorno alla mano prima e dopo l’utilizzo del rastrello.
V:stimolo visivo, T: stimolo tattile
Fonte: Làdavas & Serino, 2008. Action-dependent plasticity in peripersonal space representations. Cognitive
Neuropsychology, 0000, 00 (0), 1–15 .
In un altro esperimento che utilizzava lo stesso paradigma Maravita e colleghi nel 2001
sottolinearono come l’estinzione era più forte quando i partecipanti usavano lo strumento
verso lo stimolo visivo, ad esempio facendo compiti di pointing, piuttosto che quando lo
strumento era presente, ma non veniva utilizzato con un fine. Tutti questi risultati
suggeriscono alcune riflessioni importanti riguardo alla plasticità dello spazio peripersonale.
Prima di tutto che per avere estensione dello spazio peripersonale non basta un superficiale
utilizzo di uno strumento, ma è necessario che il soggetto compia delle azioni concrete, attive
e dirette da uno scopo specifico. Un’altra riflessione riguarda la relazione tra l’estensione
dello spazio peripersonale e la lunghezza del tool. Da iniziali studi questa relazione sembrava
direttamente proporzionale: l’estensione risultava infatti maggiore in seguito all’utilizzo di un
tool di 60 cm piuttosto che uno di 30 cm. In uno studio del 2005 Farnè, Iriki e Làdavas,
introdussero un particolare tipo di tool, con una lunghezza totale di 60 cm, ma in cui il punto
funzionale, necessario per afferrare un oggetto lontano, era posizionato a 30 cm dalla mano,
cioè a metà rispetto alla lunghezza totale dello strumento. Questo per osservare se l’estensione
28
dello spazio peripersonale dipendesse dalle proprietà fisiche del tool, quindi la lunghezza, o
da quelle funzionali, ossia il punto del tool in cui è possibile afferrare l’oggetto. Lo stimolo
visivo era presentato sempre a 60 cm dalla mano del soggetto e quindi alla punta dei due
bastoni. I risultati hanno mostrato un grado di estinzione crossmodale minore dopo l’utilizzo
dello strumento “modificato” rispetto a quella evidenziata con l’uso del tool normale di 60
cm. L’esperimento dimostra dunque che l’estensione dello spazio peripersonale è correlata
alla lunghezza funzionale del tool, cioè la distanza fra mano e punto funzionale del bastone,
non semplicemente a quella fisica dello strumento.
Un’ulteriore questione riguarda la possibilità che l’uso del tool più che estendere lo spazio
peripersonale, sposti l’area di integrazione multisensoriale in un punto più lontano dal corpo,
come l’estremità del tool, o addirittura ne crei una nuova, accanto a quella attorno alla mano.
Per verificare questa ipotesi è stata studiata la modulazione dell’estinzione crossmodale, in
pazienti con lesione destra, indotta dall’utilizzo di un tool, misurandola in differenti posizioni
lungo l’asse del tool (sull’impugnatura, in mezzo e sulla punta esterna). I risultati hanno
mostrato un aumento dell’estinzione crossmodale dopo l’uso del tool sia in mezzo che sulla
punta dello strumento, ma non nell’area vicina alla mano. Dunque si può concludere che l’uso
del tool estende lo spazio peripersonale della mano fino a comprendere l’intera lunghezza del
tool. (Làdavas & Serino, 2008). Infine un’ultima riflessione riguarda le caratteristiche
temporali dell’integrazione multisensoriale, cioè il fatto che l’espansione dello spazio
peripersonale sia breve e scompaia dopo il training con lo strumento. In un interessante studio
Serino e colleghi (2007) hanno misurato l’integrazione audio-tattile nello spazio attorno alla
mano e nello spazio lontano in persone non vedenti, che utilizzano un bastone nella vita
quotidiana, e in soggetti sani, bendati. Il compito consisteva nel rispondere a degli stimoli
tattili sulla mano destra mentre contemporaneamente erano presentati dei suoni irrilevanti,
vicino alla mano o lontano da essa, a una distanza corrispondente alla lunghezza del tool. I
soggetti sani mostravano tempi di risposta allo stimolo tattile più veloci quando questo era
associato a un suono presentato nello spazio vicino alla mano, rispetto a quando era lontano.
Dopo l’utilizzo di uno strumento invece, la facilitazione nella risposta tattile associata ad un
suono vicino scompariva, e i soggetti diventavano più veloci a rispondere ad uno stimolo
tattile associato ad un suono presentato nello spazio lontano, cioè alla punta dello strumento.
Questo effetto nei partecipanti sani scompariva dopo un giorno. Nei soggetti non vedenti
invece, quando impugnavano il loro bastone, fin da subito si registravano tempi di risposta
associati a suoni lontani minori di quelli associati a suoni vicini. Sembra quindi che l’uso
quotidiano del tool abbia prodotto in questi soggetti un’estensione a lungo termine dello
spazio peripersonale. Infatti questi risultati non sono dovuti semplicemente ad una diversa
29
sensibilità ai suoni sviluppata dai soggetti non vedenti, perché quando essi svolgevano il
compito avendo in mano solo l’impugnatura del tool (quindi più corta del bastone),
l’estensione della rappresentazione dello spazio peripersonale era limitata intorno alla mano,
come nei soggetti sani prima del training con lo strumento. Il fatto che i loro tempi di reazione
fossero da subito minori per lo spazio lontano piuttosto che per lo spazio vicino indica che i
due settori sono da loro codificati al contrario (lo spazio lontano diventa vicino e viceversa).
Gli autori interpretano questa modifica col fatto che, per poter prevenire la collisione con
oggetti esterni, lo spazio vicino alla punta del bastone diventa, per persone non vedenti, più
importante di quello vicino alla mano. In questo senso l’estensione dello spazio peripersonale
rappresenta per loro un importante processo adattivo, poiché non possono beneficiare di
informazioni di tipo visivo, quelle tattili fornite dal bastone diventano l’unico modo per poter
prevenire ed evitare lo scontro con oggetti esterni. In un altro studio che utilizza lo stesso
paradigma audio-tattile Bassolino e colleghi confermano l’esistenza di meccanismi di
estensione a lungo termine dello spazio peripersonale, nel caso specifico solo intorno alla
mano con cui abitualmente utilizziamo il mouse (Bassolino et al., 2010). Sembra quindi che la
plasticità dello spazio peripersonale dovuta all’utilizzo di uno strumento sia legata fortemente
all’esperienza e all’uso attivo di quel determinato tool.
Uno studio in preparazione di Canzoneri e collaboratori conferma come l’uso di un tool
determini l’estensione dello spazio peripersonale, e in più è stato osservato che il training con
uno strumento sembra modificare la rappresentazione della parte del corpo con cui esso si
utilizza, in questo caso, il braccio. Dai risultati ottenuti con un compito di giudizio tattile
prima e dopo l’utilizzo del tool, il braccio era percepito come più stretto e lungo dopo averlo
usato per dei compiti di raggiungimento di oggetti. Tali effetti sembrano essere strettamente
legati ad un training con il tool, poiché queste rappresentazioni non cambiano dopo un
compito di pointing. L’uso di uno strumento sembrerebbe modificare non solo lo spazio
peripersonale, ma anche la percezione del proprio schema corporeo.
2.2.1 Specchi e ombre come tool.
Diversi studi hanno dimostrato come l’azione effettuata con uno strumento permette il
rimappaggio della rappresentazione dello spazio intorno al nostro corpo. Esistono poi altre
situazioni in cui stimoli presentati sulla superficie corporea interagiscono con quelli presentati
lontano dal corpo, basti pensare all’immagine corporea riflessa allo specchio e alle ombre del
proprio corpo. Ogni stimolo che si osserva ricevere sullo specchio ad esempio, viene riferito
vicino al corpo del soggetto anche se in realtà esso si trova nello spazio extrapersonale. Lo
30
specchio diventa lo strumento che connette lo spazio vicino a quello lontano dal proprio corpo
(Holmes et al., 2006). Anche in questo caso studi di estinzione per stimoli tattili
controlesionali (Maravita et al., 2000) su pazienti con danno cerebrale destro hanno
dimostrato che lo stimolo visivo ipsilesionale applicato sulla mano riflessa allo specchio, ma
lontana da quella reale, estingueva lo stimolo tattile sulla mano reale del paziente. Lo spazio
lontano, quello coincidente con lo specchio, viene rimappato come peripersonale. La
relazione virtuale tra immagine riflessa e il proprio corpo basta quindi a cambiare i confini del
proprio spazio peripersonale (Làdavas & Serino, 2008).
Un altro caso abbastanza comune di interazione vicino-lontano è rappresentato dall’ombra del
corpo, la quale segue costantemente il nostro corpo, ha la sua stessa forma e si modifica a
seconda dei nostri movimenti. Pavani e Castiello (2004) suggeriscono che quindi un’ombra
può legare tra loro lo spazio personale e quello extrapersonale. Per dimostrarlo gli autori
hanno utilizzato un paradigma di congruenza visuotattile per valutare l'effetto visivo di stimoli
presentati vicino all'ombra della mano del partecipante e stimoli tattili sulla mano. Gli stimoli
visivi potevano essere congruenti e non congruenti con la posizione spaziale dello stimolo
tattile ma dovevano essere ignorati, nel compito i partecipanti dovevano solo riferire lo
stimolo tattile. In generale i partecipanti erano più veloci o più accurati quando gli stimoli
tattili e visivi erano presentati in modo congruente nello stesso spazio, in particolare in quello
peripersonale intorno alla mano e vicino all’ombra della mano. I risultati hanno dimostrato
come gli stimoli visivi, anche presentati nello spazio extrapersonale, ma vicino all’ombra del
partecipante, hanno interagito con la discriminazione tattile della mano. Lo spazio intorno
all'ombra è, almeno in parte, rimappato come spazio vicino al corpo. È necessario però che
l’ombra sia quella del partecipante, cioè abbia la sua reale forma e movimento. In un
paradigma seguente venivano manipolate queste due caratteristiche e l’effetto di riduzione dei
tempi di reazione spariva.
I risultati ottenuti, sia con gli specchi che con le ombre, suggeriscono che uno stimolo visivo,
anche fisicamente collocato nello spazio lontano, ma strettamente legato al corpo, può attivare
la rappresentazione dello spazio che circonda il corpo in modo che, se si verificano eventi
esterni nello spazio lontano, essi vengono integrati nella rappresentazione multisensoriale
dello spazio peripersonale. Questa plasticità dello spazio peripersonale dovuta all’utilizzo di
un tool, specchi e ombre, ha sicuramente una funzione adattiva. Nella vita di tutti i giorni, ci
serviamo di questi strumenti per rilevare stimoli visivi che si avvicinano al corpo e quindi
preparare l’eventuale reazione. Dal momento che una delle funzioni di base dei sistemi
neuronali, che rappresentano lo spazio peripersonale, come detto nel primo paragrafo è
proteggere il corpo da potenziali pericoli (Graziano & Cooke, 2006), lo specchio e l'ombra del
31
corpo, potrebbero implementare la rappresentazione dello spazio peripersonale per migliorare
i comportamenti difensivi. In conclusione, le diverse rappresentazioni multisensoriali dello
spazio intorno al corpo, sono dinamiche e funzionali per l’azione. Pertanto, la possibilità di
agire nello spazio contribuisce di per sé alla costruzione della percezione spaziale, suggerendo
una continuità tra rappresentazioni sensoriali e rappresentazioni motorie spaziali (Làdavas &
Serino 2008).
Capitolo 3
Spazio peripersonale e interazioni sociali
«Un abbraccio vuol dire: tu non sei una minaccia.
Non ho paura di starti così vicino.
Posso rilassarmi, sentirmi a casa.
Sono protetto, e qualcuno mi comprende.
La tradizione dice che quando abbracciamo qualcuno in modo sincero,
guadagniamo un giorno di vita».
(Paulo Coelho, 2011. Aleph)
3.1. Il mio spazio e quello degli altri: esperimenti sulle scimmie.
Abbiamo visto che la presenza di oggetti e le azioni degli altri possono avere diversa rilevanza
per l'osservatore e perciò portare a diverse risposte comportamentali, a seconda delle regioni
di spazio in cui avvengono. In un recente studio Caggiano e collaboratori hanno osservato in
scimmie rhesus alcuni neuroni della corteccia premotoria che si attivano sia durante
l'esecuzione che durante l'osservazione di atti motori. Questa classe di neuroni, detta neuroni
specchio, venne descritta in primo luogo nell’area F5 della scimmia (vedi figura 1, nel primo
capitolo), che fra le altre cose è adibita alla comprensione delle azioni osservate (Rizzolatti et
al., 1997). Gli autori nel 2009 hanno voluto indagare se l’attività di questi neuroni viene
modulata in maniera diversa dalla posizione nello spazio dell’azione che viene osservata e
hanno registrato che circa la metà di essi preferisce lo spazio peripersonale o extrapersonale
della scimmia. Una parte di questi neuroni specchio, inoltre, sembra codificare lo spazio
secondo una rappresentazione metrica, mentre altri in termini operativi, a seconda della
possibilità della scimmia di interagire con l'oggetto. Svolgono pertanto un ruolo fondamentale
32
nella scelta della reazione comportamentale allo stimolo con cui il soggetto interagisce. Per
verificare questa ipotesi gli autori hanno analizzato gli effetti della distanza relativa tra
l’osservatore e chi compie l’azione. Sebbene, infatti, sia completamente irrilevante ai fini
della comprensione dell’azione in sé, la precisa conoscenza della distanza è cruciale per
scegliere la reazione più adeguata e calcolare la possibilità di interazione. In un primo test,
come è possibile vedere nella figura 9 B, un ricercatore spostava la mano all’interno e
all’esterno del raggio d’azione del macaco, cioè lo spazio peripersonale, dopo aver testato le
risposte neurali durante la messa in atto di azioni da parte della scimmia (I): l’analisi
dell’attività dei neuroni specchio rilevava che il 26% rispondeva selettivamente se gli atti
motori venivano compiuti nello spazio extrapersonale della scimmia (III); il 27% mostrava
invece una selettività per lo spazio peripersonale (II) ed il restante 47% rispondeva alla
presentazione della scena motoria indipendentemente dalla posizione spaziale nella quale
veniva eseguita. Con questi risultati si può quindi affermare che nella F5 della scimmia, le
risposte visive dei neuroni specchio sono state modulate dalla posizione nello spazio in cui
sono state eseguite azioni osservate.
Fig 9 In A è mostrata la sezione laterale sinistra del cervello della scimmia in cui si registra l’attività dei neuroni,
in arancio F5, CS: solco centrale ; PS: solco principale; AS: solco arcuato. In B il paradigma sperimentale. Il
cerchio intorno alla scimmia delimita la distanza di reaching dell’animale (spazio peripersonale). In (I) si testa la
risposta dei neuroni durante i movimenti attivi della scimmia prima delle risposte visive neuronali con i
movimenti fatti dallo sperimentatore nello spazio peripersonale (II) ed extrapersonale(III) della scimmia.
L’ordine delle sessioni II e III viene bilanciato nelle varie sessioni Fonte: Caggiano, Fogassi, Rizzolatti, Thier,
Casile (2009). Mirror Neurons Differentially Encode the Peripersonal andExtrapersonal Space of Monkeys.
Science vol 324, 403-406.
Alcuni neuroni, che rispondevano esclusivamente durante l’osservazione dell’atto nello
spazio extrapersonale, sono stati studiati anche eseguendo l’atto nello spazio di
33
raggiungimento della scimmia con l’interposizione di uno schermo trasparente che
permettesse alla scimmia di osservare l’azione, ma le rendesse impossibile agire fisicamente
in quel settore di spazio. Alcuni di questi neuroni in questa condizione tornavano a scaricare
come se l’azione si stesse svolgendo nello spazio extrapersonale. Si può quindi concludere
che anche in questo caso è la possibilità di agire, e non la semplice distanza geometrica, che
determina come noi codifichiamo le azioni eseguite da altri e la loro collocazione spaziale.
Queste considerazioni suggeriscono quindi che i neuroni specchio rispondono in modo
differenziale agli atti motori eseguiti in diverse regioni dello spazio. La distanza tra
l'osservatore e attore in realtà non ha nessun ruolo nella "comprensione" del significato di un
atto motorio osservato; tuttavia è importante per valutarne i comportamenti successivi. Un
osservatore può immediatamente interagire con un individuo che agisce nello spazio
peripersonale dell'osservatore, ma interazioni nello spazio extrapersonale dell'osservatore
sono possibili solo tramite azioni intermedie come avvicinarsi o rimuovere un ostacolo. Come
riportato dagli autori nell’articolo un’interpretazione di questi risultati è che i neuroni
specchio non solo possono rappresentare un substrato neuronale per capire "cosa fanno gli
altri ", ma anche per contribuire a decidere "come posso interagire con loro" (Caggiano,
2009).
In realtà, per contestualizzare l’azione, è necessario poter identificare lo spazio peripersonale
altrui anche quando le persone non stanno agendo (Rozzi, 2000). Un altro studio
elettrofisiologico nei primati ha indagato quale sia il meccanismo alla base di questo tipo di
comportamento. Ishida e collaboratori hanno registrato l’attività dei neuroni bimodali nella
corteccia parietale della scimmia che si attivano quando una porzione del loro muso viene
toccata o quando stimoli visivi vengono mossi nella regione peri-faccia (Ishida et al., 2009).
Alcuni di questi neuroni si attivano anche quando gli stessi tipi di stimolazione vengono
somministrati attorno o sul viso di uno sperimentatore posto lontano dalla scimmia, sembra
perciò che mappino la posizione dello spazio in un sistema di riferimento centrato sul viso,
indipendentemente dall’appartenenza. Una probabile interpretazione di questo fenomeno
potrebbe essere che questa codifica di spazio si sviluppi evolutivamente per permettere le
interazioni sociali, permettendo di capire la portata delle azioni altrui e ponendo dei confini
all’interno dei quali è possibile interagire o conveniente muoversi. Del resto gli uomini
entrano nello spazio peripersonale altrui solo in condizioni specifiche e soltanto con individui
particolari, per esempio con persone con cui sono intimi (ad esempio per abbracciarsi), o con
individui fortemente ostili (per lottare). Questo aspetto comportamentale ha anche un
profondo carattere emotivo: al di fuori di particolari condizioni caratterizzate da una forte
carica emotiva, o da un contesto di ritualizzazione (come nella danza), la presenza di
34
qualcuno nel nostro spazio peripersonale è sentita con un forte senso di disagio. Questo però
non avviene in alcuni pazienti con lesioni cerebrali, in particolare bilaterali all’amigdala, che,
pur essendo assolutamente in grado di valutare le distanze, non sentono alcun disagio in una
condizione di violazione dello spazio peripersonale (Rozzi, 2000)
3.2.L’altro nel mio spazio
In realtà l’estensione all’uomo dei risultati ottenuti nelle scimmie non è così semplice e
immediata. Le prove che anche nel cervello umano agiscano neuroni specchio con le stesse
modalità e con le stesse interpretazioni di quello della scimmia sono attualmente oggetto di
dibattito della comunità scientifica.
A favore dell’importanza della presenza dell’altro nel nostro spazio peripersonale, abbiamo a
disposizione un recente studio di Heed e collaboratori su come le azioni degli altri possono
ridurre la nostra integrazione multisensoriale nello spazio peripersonale. In questo studio i
partecipanti eseguivano un compito di congruenza crossmodale sia da soli che con un partner,
una persona a loro sconosciuta. Il partecipante svolgeva il compito seduto di fronte al suo
compagno impugnando insieme a lui un cubo di gomma piuma (vedi figura 10) in cui
venivano dati degli stimoli tattili (in blu) come vibrazione sia sul bordo superiore che su
quello inferiore, in concomitanza con stimoli visivi (in giallo) che potevano presentarsi
congruentemente o non alla posizione dello stimolo tattile. Tutti i partecipanti, fissando un
punto luminoso all’altezza dei loro occhi, rispondevano alla vibrazione tattile mentre i partner
ai distrattori visivi, usando dei pedali posizionati sotto il tavolo, usando il tallone o la punta
del piede in base a dove veniva presentato lo stimolo sul cubo. Entrambi erano a conoscenza,
oltre del proprio compito, anche di quello svolto dal partner (Heed, 2010).
35
Fig10. Cubo di gomma piuma utilizzato nell’esperimento. Su di esso vengono presentati due stimoli tattili
(sopra o sotto) e due distrattori visivi che possono essere congruenti o incongruenti con gli stimoli tattili. Sia il
partecipante che il partner ne impugnano uno per mano posizionando l’indice sopra e il pollice sotto.
Fonte: Heed, Habets, Sebanz, Knoblich, 2010. Others’ Actions Reduce Crossmodal Integration in Peripersonal
Space. Current Biology 20, 1345-1349
Nonostante ai soggetti venisse specificato che gli stimoli visivi erano irrilevanti ai fini del
compito, le loro risposte erano generalmente più veloci nella situazione di congruenza degli
stimoli visuo-tattili, rispetto a quando gli stimoli venivano dati in due posizioni spaziali
diverse, questo fenomeno è detto effetto di congruenza crossmodale (Crossmodal Congruency
Effect, CCE). Le condizioni di svolgimento del compito erano tre: in una prima sessione il
partner si trovava nello spazio peripersonale ed eseguiva il compito con il partecipante, in una
seconda condizione non invadeva lo spazio peripersonale (non impugnava il cubo)
rispondendo solo ai distrattori visivi e in un ultimo caso il partner, pur trovandosi nello spazio
peripersonale, non eseguiva il compito. I risultati hanno mostrato una diminuzione dell’effetto
di congruenza crossmodale quando il partner si trovava all’interno dello spazio peripersonale
del soggetto, cioè quando interferiva con il compito da lui svolto. Per esserci questa
diminuzione però il partner non doveva solo svolgere il compito, ma lo doveva eseguire nello
spazio peripersonale del soggetto. Come infatti riportato dai dati, nella seconda e nella terza
condizione, nelle quali il partner non invade lo spazio peripersonale oppure lo invade ma non
svolge il compito, non c’è una riduzione del CCE. Dunque, per poter ottenere un effetto di
modulazione sociale nei processi di integrazione crossmodale, è necessario non solo che una
persona si trovi all’interno del proprio spazio peripersonale, ma anche che esegua un compito
interferente rispetto a tali processi. La presenza del partner che esegue un compito, nello
spazio peripersonale del partecipante, cambia la prestazione di quest’ultimo. I partecipanti
riescono a ignorare di più gli stimoli discordanti, riducendo così l’interferenza visuo-tattile.
Sembra quindi che il nostro comportamento e la nostra percezione degli stimoli, siano
fortemente modulati dalla presenza e dalle azioni degli altri, quando queste avvengono nello
spazio intorno a noi. Gli autori interpretano questi risultati in base ad una diminuzione
dell’influenza delle informazioni visive, ai fini del compito crossmodale, dovuta al fatto che
un'altra persona agiva all’interno dello spazio in cui questi stimoli erano presentati. Si può
concludere pertanto che c’è una stretta relazione tra la rappresentazione spaziale del corpo,
l’integrazione sensoriale e le interazioni con gli altri.
La modulazione top-down dovuta alle azioni del partner può essere spiegata in due modi. Uno
è quello che alla base ha la funzione di sicurezza dello spazio peripersonale. L’effetto del
36
Cross Modal Congruency Task è più grande se gli stimoli avvengono nello spazio
peripersonale, vicino ad arti di plastica posti vicino al corpo o tool. L’azione quindi fatta nello
spazio peripersonale del soggetto riduce l’interferenza visiva, i soggetti sembrano essere più
attenti a quello che succede intorno a loro. L’altra spiegazione potrebbe essere che, siccome lo
spazio peripersonale ha un grande ruolo nella scelta delle azioni dirette da un goal,
l’interferenza sensoriale deve essere minore per poter fare la scelta giusta. Queste spiegazioni
restano in ogni caso ipotesi da confermare con altri studi, che indagano la relazione tra la
percezione del nostro spazio e la presenza degli altri.
Ad oggi infatti si sa ancora poco su come l’ambiente sociale moduli la rappresentazione dello
spazio intorno al corpo. E’ in pubblicazione uno studio di Teneggi e colleghi, volto a
dimostrare come l’estensione dello spazio peripersonale possa variare in funzione della
presenza di una persona di fronte a sé, rispetto a quando ci si trova di fronte ad un manichino,
e come questa modulazione sia influenzata anche dal tipo di interazione che si viene a creare
tra due persone. Il paradigma utilizzato è costituito da un compito audio-tattile (vedi
Canzoneri et al., 2012) in cui vengono registrati i tempi di reazione vocali a uno stimolo tattile
che il soggetto riceve sul volto. Contemporaneamente vengono presentati dei suoni che danno
l’impressione di avvicinarsi (SUONI IN) e allontanarsi (SUONI OUT) dal soggetto, il quale
però deve ignorali e rispondere solo quando percepisce lo stimolo tattile dicendo “TAH” il più
velocemente possibile. Poiché è già stato dimostrato che un suono presentato vicino ad una
parte del corpo velocizza i tempi di reazione ad uno stimolo tattile presentato su quella parte
del corpo, rispetto ad un suono presentato lontano (vedi Serino et al,. 2007), in questo
compito in cui vengono utilizzati degli stimoli dinamici, che simulano il movimento, la
distanza critica in cui il suono comincia a interagire con la detenzione dello stimolo tattile,
velocizzando i tempi di reazione, indica il confine dello spazio peripersonale. In questo
studio, i soggetti svolgevano il compito audio-tattile in due diverse condizioni: in una
condizione davanti a loro si trovava un manichino, nell’altra era presente una persona a loro
sconosciuta. Lo studio ha dimostrato come lo spazio peripersonale dei partecipanti tendesse a
restringersi quando davanti a loro era presente un estraneo, rispetto a quando erano posti di
fronte a dei manichini. In un secondo esperimento di Teneggi e collaboratori 32 partecipanti,
divisi in due gruppi in modo random, svolgevano lo stesso compito audio-tattile (Canzoneri et
al., 2012) questa volta di fronte ad un altro soggetto, sconosciuto al partecipante, prima e dopo
un gioco economico. Gli autori volevano osservare se il tipo di interazione ha effetti diversi
sui confini dello spazio peripersonale. Pertanto, in un gruppo il confederato si comportava in
modo non cooperativo, nell’altro in modo cooperativo nei confronti del soggetto durante un
gioco di contrattazione economica. In ogni intervallo temporale, quando viene somministrato
37
lo stimolo tattile, il suono è percepito a una diversa distanza dal corpo. Anche in questo caso,
la distanza critica in cui il suono comincia a interagire con la detezione dello stimolo tattile,
velocizzando i tempi di reazione, indica il confine della rappresentazione dello spazio
peripersonale. I risultati hanno dimostrato che non c’è una differenza significativa nei TR
quando i soggetti svolgono il compito da soli e quando lo fanno con un partner che
precedentemente non ha cooperato con lui (A). Nel precedente studio la performance al
compito audiotattile eseguito con di fronte una persona, veniva confrontata con quella fatta
con un manichino. Si è registrata una velocizzazione a partire dai punti D2-D3 (punti del
continuum presenti nella figura 11) solo nella condizione in cui era presente un’altra persona.
I risultati del primo esperimento dimostrano quindi che i confini dello spazio peripersonale si
restringono
alla
presenza
dell’altro.
Nell’esperimento
che
inserisce
la
variabile
dell’interazione sociale, sotto forma di una cooperazione durante un gioco economico,
vengono replicati questi risultati dimostrando che anche dopo che l’attore si è mostrato non
cooperativo i confini dello spazio peripersonale rimangono invariati in D2-D3, in particolare
con i suoni IN (quelli che nel paradigma si avvicinano al soggetto) come accadeva nel
confronto con il manichino. Nel caso dei suoni OUT invece non vengono trovate differenze
significative, a parte una velocizzazione generale dei tempi di reazione. Risultati interessanti
vengono invece registrati nella sessione in cui il partner è cooperativo (secondo gruppo) ma
sempre con i suoni IN, per quelli OUT anche in questo caso non ci sono effetti significativi.
Sembra che dopo aver cooperato con il partner il soggetto sia sempre più veloce a rispondere,
come se includesse l’altro nel suo spazio, eliminando i confini dello spazio peripersonale. Il
paradigma con i risultati è schematizzato nella figura 11.
38
Fig 11. Nella figura sono rappresentati in modo schematico i dati ottenuti da Teneggi e collaboratori nel loro
secondo esperimento. Sull’asse delle y le medie dei TR dei soggetti, in x i tempi in cui viene dato lo stimolo
tattile. In A i TR dei soggetti che avevano fatto il compito con un partner non cooperativo, in B quelle del gruppo
in cui i partner erano cooperativi. Come si può osservare in A non ci sono differenze significative prima e dopo il
gioco, la linea tratteggiata in verticale tra D2 e D3 indica, in modo approssimativo, il confine dello spazio
peripersonale. In B risultano invece significativamente diversi i punti lontani dal soggetto, cioè quelli dello
spazio peripersonale del partner. Questo indica che i confini dello spazio peripersonale del partecipante vengono
allargati tanto da scomparire e includere quello occupato dall’attore, dopo che essi hanno cooperato.
Questi risultati quindi arricchiscono le conoscenze sulla percezione dello spazio intorno al
corpo e su come essa si modifica, non solo con l’utilizzo di strumenti, ma anche in base ai
comportamenti che le persone mettono in atto nei nostri confronti. Sembra quindi che la
rappresentazione dello spazio peripersonale sia altamente sensibile alla modulazione sociale,
mostrando un forte legame tra processi motori di basso livello e processi di alto livello come
la cognizione sociale. Resta però ora da capire se questo paradigma sperimentale è valido,
cioè se siamo davvero di fronte ad un’estensione dello spazio peripersonale dopo la
cooperazione tra i due partecipanti.
39
PARTE SECONDA
Capitolo 4
Disegno sperimentale
4.1. Scopo della ricerca
Nell’esperimento di Teneggi e collaboratori, i partecipanti hanno eseguito un gioco
economico con un’altra persona (un attore), la quale poteva comportarsi in modo cooperativo
o non cooperativo. I risultati hanno mostrato un’estensione dello spazio peripersonale dei
partecipanti solo dopo la prima condizione, cioè quando l’attore si mostrava cooperativo
durante il gioco e non dopo quella in cui metteva in atto un comportamento opposto. In realtà
40
però bisognerebbe dimostrare che realmente lo spazio peripersonale si estende tanto da
includere lo spazio occupato dall’altro e che gli effetti significativamente diversi ottenuti in
D1 e D2 nella condizione di cooperazione non sono dovuti ad altri fattori, come un aumento
dell’allerta dopo il compito. Per dimostrare ciò quindi abbiamo replicato l’esperimento
considerando altri due intervalli temporali, che abbiamo chiamato D-2 e D-1, in cui i soggetti
ricevevano gli stimoli tattili, quando il suono era nello spazio lontano, dietro al confederato.
Ci attendiamo quindi che replicando l’esperimento in due sessioni prima e dopo il gioco
economico e considerando anche gli stimoli tattili somministrati in concomitanza con suoni
“fuori” dallo spazio occupato dal confederato, l’integrazione audio tattile dopo il gioco sia
maggiore solo per i suoni presentati nello spazio occupato dall’altro e non per quelli più
lontani.
4.2. Materiali e metodo
4.2.1. Partecipanti
Il compito è stato eseguito da un gruppo di 20 studenti, tutte ragazze per evitare eventuali
differenze di genere, con età media 23,68 ± .63 e media di anni di scolarità 16,21 ± .57. Tutti i
partecipanti erano sani e non avevano mai riportato storie di malattie psichiatriche o disturbi
neurologici. Non presentavano problemi di udito e tatto. Inoltre non erano a conoscenza della
natura degli esperimenti e nessuno aveva avuto precedenti esperienze del gioco economico
utilizzato. Ognuna aveva dato il suo consenso informato a partecipare allo studio, che è stato
approvato dal comitato etico locale del dipartimento di psicologia, Università di Bologna, in
conformità con la Dichiarazione di Helsinki. Gli attori erano femmine della stessa età dei
partecipanti, sconosciute ai soggetti sperimentali, a cui veniva detto che l’attore era uno
studente coinvolto in un altro esperimento. In particolare, gli attori erano due persone diverse,
per eliminare gli effetti idiosincratici dovuti all’aspetto del partner.
4.2.2 Apparato e stimoli
I soggetti venivano fatti comodamente sedere a fianco di un tavolo, su cui veniva montato
l’apparecchio audio-tattile. Una scatola di cartone nero (100 cm di altezza, 220 cm di
lunghezza) veniva posizionata sul tavolo accanto a loro, in modo da coprire i due altoparlanti,
41
uno posto vicino alla guancia destra del partecipante (a ~ 5 cm), l'altro a circa 2 m, alla stessa
altezza, pertanto lontano dalla testa del partecipante. Le due casse venivano nascoste alla vista
da una struttura di cartone, per evitare ai soggetti di individuare visivamente l'origine dei
suoni presentati durante l'esperimento. L’ attore veniva fatto sedere di fronte al partecipante
ad 1 m di distanza; il soggetto e l’attore non interagivano tra di loro nella prima fase
dell’esperimento, in cui dovevano solo guardarsi negli occhi. Gli stimoli uditivi usati sono
campioni di pink noise (44,1 kHz), di 4000 ms di durata, la cui intensità è stata manipolata
usando il Soundforge 4,5 software (Sonic Foundry, Madison, WI), al fine di generare uno
stimolo uditivo che desse l’impressione di avvicinarsi al soggetto. Questi suoni sono stati
chiamati IN e sono esponenzialmente di intensità acustica crescente da 55 a 70 Sound
Pressure Level dB (SPL) misurata con un audiometro nella posizione delle orecchie dei
soggetti. Entrambe le casse sono attivate simultaneamente, quella lontana è attivata alla
massima intensità che poi diminuisce fino al silenzio, mentre l'altoparlante vicino è attivato
con un'intensità minima (non percepita), per aumentare e diventare massima alla fine del
suono. In questo modo, i suoni davano l'impressione di una sorgente sonora in movimento
dalla cassa lontana fino a quella vicina, cioè verso il corpo del soggetto. Come già detto nel
precedente capitolo, nei precedenti esperimenti i risultati avevano mostrato effetti significativi
solo per quanto riguarda i suoni IN. Questo indica che i RTs nella condizione OUT (cioè
quando i suoni sembrano allontanarsi) sono meno influenzati dalla posizione dei suoni nello
spazio. Un esperimento di localizzazione del suono in cui i partecipanti dovevano dire in una
scala da 1 a 100 (a 1 corrispondeva la loro posizione e a 100 il punto più lontano) dove
percepivano la posizione del suono quando ricevevano lo stimolo tattile, ha escluso che
l'effetto differenziale trovato per i suoni IN e OUT fosse dovuto al differente modo in cui i
soggetti localizzavano la posizione del suono in corrispondenza dei ritardi temporali.
Piuttosto, il fatto che l'effetto più forte si ha con i suoni IN è coerente con i risultati precedenti
che mostrano maggiore rilevanza per i neuroni che codificano lo spazio peripersonale di
stimoli imminenti che si avvicinano al corpo, percepiti quindi come più pericolosi e dannosi
(Makin et al, 2007). Pertanto in questo paradigma, per confermare la nostra ipotesi, abbiamo
usato solo suoni IN.
Per quanto riguarda lo stimolo tattile, questo veniva somministrato sulla guancia destra dei
partecipanti, fornito per mezzo di uno stimolatore a corrente costante (DS7A, Digitimer,
Hertfordshire, Regno Unito), per mezzo di una coppia di elettrodi neurologici (Neuroline,
Ambu, Ballerup, Danimarca). Lo stimolo elettrico era un impulso singolo rettangolare
monofasico, con tensione costante (durata = 100 msec), la cui intensità è stata impostata
prima dell'esperimento, individualmente per ogni soggetto, in modo da essere chiaramente
42
sopra soglia, ben percepibile ma non fastidiosa. La soglia veniva presa sul singolo fissando
l’intensità dello stimolatore al valore minimo e poi progressivamente aumentata fino a quando
il soggetto riferiva di percepire in modo distinto il tocco. Venivano poi somministrati una
serie di 10 stimoli prova, 5 unimodali (solo suono) e 5 bimodali (suono e scossa), e al
soggetto veniva chiesto di riferire quando sentiva lo stimolo tattile.
Se il soggetto non eseguiva perfettamente questo compito (cioè se ometteva alcuni stimoli o
rispondeva agli stimoli unimodali), il tasso di intensità veniva ulteriormente aumentato di 5
mA, e la procedura veniva ripetuta. Il range di intensità per i soggetti esaminati è stato tra 6090 mA. Ai soggetti è stato chiesto di rispondere vocalmente al target tattile, quando presente,
dicendo: "TAH" il più velocemente possibile, cercando di ignorare lo stimolo uditivo. La
risposta vocale e quindi i tempi di reazione (TR) sono stati registrati mediante un piccolo
microfono. Per controllare la presentazione degli stimoli e per registrare le risposte è stato
utilizzato un PC con C.I.R.O. software (www.cnc.unibo.psice.unibo/ciro). La percentuale di
errore era estremamente bassa (media delle omissioni= 4.01%, ± 0,77; falsi allarmi = 0,6%).
pertanto la prestazione è stata analizzata solo in termini di tempi di reazione. Lo stimolo tattile
veniva somministrato in 7 ritardi temporali differenti (da D-2 a D5) dalla comparsa dello
stimolo acustico, come già detto solo con suoni IN. La durata complessiva del suono era di
4000 ms. Per ogni prova, il suono era preceduto e seguito da 500 ms di silenzio. I ritardi
temporali sono stati impostati in modo che la stimolazione tattile avveniva in D-2 a 250 ms
dopo l'inizio del suono IN, in D-1 a 750 ms dall’inizio del suono, in D1 a 1300 ms, in D2 a
1800 ms, in D3 a 2500 ms, in D4 a 3200 ms e in D5 a 3700 ms. In questo modo, la
stimolazione tattile avveniva quando il suono era percepita in diverse posizioni spaziali
rispetto al soggetto. Ogni condizione sperimentale consisteva in una combinazione casuale di
8 stimoli target per ogni delay temporale da D-2 a D5, per un totale di 80 trial con un target
tattile (77% sul totale) presentate in ordine casuale con 24 trial unimodali tattili (nei ms di
silenzio prima e dopo l’inizio del suono), che abbiamo chiamato catch trials (23%). Le prove
sono state equamente divise in due blocchi, della durata di circa 5 minuti ciascuno. Il design
sperimentale è schematizzata nella figura 12.
43
Suono IN
250ms
750ms 1300ms
1800ms
2500ms
3200ms
3700ms
Fig 12. La figura mostra il paradigma sperimentale usato. Il partecipante è seduto di fronte all’attore a circa 1 m
di distanza. Le casse sono distanti tra loro circa 2 m. I partecipanti hanno risposto a uno stimolo tattile sul viso,
mentre suoni irrilevanti si avvicinavano al suo corpo, all’altezza della faccia (suoni IN). In ogni prova, lo stimolo
tattile è stato somministrato in 7 possibili ritardi diversi dall'esordio del suono, in modo da essere elaborato
quando il suono è stato percepito ad una distanza diversa dal corpo del soggetto (da D-2, a 250 ms dall’inizio del
suono, molto lontano; a D5, a 3700, molto vicino.) La durata del suono è di circa 4000ms e ogni trial è preceduto
e seguito da 500 ms di silenzio in cui sono stati somministrati stimoli unimodali.
Compito di localizzazione dei suoni
Al fine di dimostrare che i soggetti effettivamente percepivano la sorgente sonora in luoghi
diversi a seconda dei 7 diversi ritardi temporali (da D-2 a D5), abbiamo condotto un
esperimento di localizzazione del suono su 7 soggetti femmine, naïve (età media=25,28 ±.52).
I soggetti bendati ricevevano una stimolazione tattile sulla loro guancia destra in uno dei
diversi ritardi temporali in una serie di 80 prove (5 minuti). Alla fine di ogni prova, è stato
chiesto di indicare verbalmente la posizione percepita del suono nello spazio quando avevano
sentito lo stimolo tattile, su una scala da 1 (molto vicino) a 100 (molto lontano). I partecipanti
sono stati esplicitamente invitati ad utilizzare l'intero intervallo tra 1 e 100, tenendo in conto
anche le piccole differenze nella posizione percepita del suono.
Un ANOVA condotta sulle medie delle risposte dei soggetti (da 1 a 100) con il fattore
distanza (D-2, D-1, D1, D2, D3, D4 e D5) ha mostrato un effetto principale significativo della
distanza [F (6,36) = 51; p <.00001]: i soggetti percepivano il suono lontano dal proprio corpo
44
a bassi ritardi temporali e la distanza percepita aumentava con ritardi temporali crescenti,
come mostrato anche nella figura che segue (Media delle risposte ± errore standard = D-2 =
87 ± 3,07; D-1 = 77 ± 5; D1 = 70 ± 2,4; D2 = 59 ± 1.7; D3 = 43 ± 3.1; D4 = 23 ± 2,9; D5 = 22
± 5,05).
LONTANO
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
VICINO
0
D-2
D-1
D1
D2
D3
D4
D5
Fig 13. Medie delle distanze percepite dai soggetti, con barre di errore standard, indicate su una scala da 1 a 100,
in funzione dei ritardi temporali in cui veniva dato lo stimolo tattile. Come è visibile dal grafico a D-2 (250 ms)
lo stimolo viene percepito lontano dal proprio corpo, a D5 (3700 ms) vicino.
I partecipanti hanno effettuato il compito audio-tattile con l’altra persona prima e dopo un
breve gioco di contrattazione economica con un partner, svolto attraverso due monitor di un
computer posto di fronte ad ogni partecipante. Nel nostro esperimento tutti i partner erano
nella condizione cooperativa, come giocatori B, mentre il giocatore A era il partecipante.
L'esperimento è stato eseguito in sessioni individuali. Entrando nel laboratorio, i partecipanti
sono stati accolti da uno sperimentatore che li ha informati che avrebbero partecipato a due
studi separati e indipendenti: uno progettato per valutare la percezione tattile e l'altro per lo
studio di decisioni economiche. Quindi in primo luogo, ai partecipanti è stato detto che
avrebbero risposto a stimoli tattili forniti sul loro volto, ma poiché il compito tattile richiedeva
due sessioni separate da un breve intervallo tecnico che serviva per registrare i dati, nel
frattempo sarebbe stato chiesto loro di partecipare al gioco in cui avrebbero scelto con un
partner come dividere una somma di denaro. I soggetti hanno partecipato ad una versione
modificata del gioco comportamentale Mutual Advantage Game (McCabe, 1996), in cui i due
45
giocatori, A e B, interagiscono tra loro per guadagnare soldi veri. I partecipanti sono stati
informati del fatto che avrebbero giocato con lo stesso partner del compito tattile. Hanno
ricevuto istruzioni scritte circa la natura e le regole del gioco di contrattazione e lo
sperimentatore si è assicurato della comprensione di esse spiegando il gioco a voce e
rispondendo ad eventuali domande. Nelle istruzioni, è stato sottolineato che i partecipanti
avrebbero giocato solo una volta con il loro giocatore avversario e che erano stati assegnati
loro in modo casuale rispettivamente il ruolo di giocatori A e B. In realtà ai partecipanti
veniva sempre assegnato il ruolo del giocatore A, mentre ai confederati quello B. I
partecipanti sono stati inoltre informati che la somma di denaro guadagnata durante il gioco
sarebbe stata utilizzata per l'acquisto di diversi prodotti commerciali (ad esempio, pennette
USB, ricariche cellulari, bevande, orologi, penne, libri) e alla fine dell'esperimento, i soggetti
ricevevano il premio del valore di denaro guadagnato durante il gioco. Il gioco ha avuto
luogo in una stanza tranquilla in cui è stata utilizzata una parete divisoria rimovibile per creare
due diverse postazioni isolate. Su entrambi i lati del muro, abbiamo collocato una scrivania
con un computer. Il partecipante sedeva a una scrivania davanti al computer, mentre nell'altra
c'era il complice. Il giocatore A (il partecipante) ha sempre scelto prima del partner. La scelta
veniva fatta schiacciando un tasto indicato sulla tastiera come “sinistra” o “destra”, per due
possibili opzioni. La somma di partenza messa a disposizione nel gioco era di € 10. Se il
partecipante sceglieva il tasto “sinistra” (non-cooperativo), guadagnava € 7 per se stesso e
lasciava € 3 al giocatore B ed il gioco finiva così. Quindi a fine esperimento al giocatore A,
che aveva scelto di non cooperare, veniva assegnato un premio pari a € 7, mentre al giocatore
B uno di € 3. In alternativa la scelta del tasto “destra” (cooperativo) passava il gioco al
partner il quale a sua volta doveva scegliere se cooperare o meno, nelle stesse modalità del
giocatore A. Tutti i nostri soggetti hanno deciso di cooperare con il loro partner. La
condizione era che, qualora tutti e due i giocatori avessero deciso di cooperare, a fine
esperimento dovevano necessariamente accordarsi sul premio da ricevere, ognuno ne riceveva
uno del valore di € 10, ma doveva essere lo stesso per entrambi. Se il partner decideva di non
cooperare invece la situazione cambiava, € 3 andavano al partecipante e € 7 restavano al
partner. Nel nostro paradigma tutti i partner erano cooperativi nel gioco, poiché questa
variabile non contrasta con la nostra ipotesi sulla verifica dell’estensione reale dei confini
dello spazio peripersonale, abbiamo scelto solo la condizione in cui precedentemente era stati
ottenuti risultati significativi. Prima di lasciare il laboratorio, i partecipanti quindi si sono
accordati sul premio da ricevere e, a ricerca ultimata, dopo circa un mese, tutti hanno ricevuto
realmente gli oggetti, tutti del valore di € 10, tranne gli attori. Durante il gioco nessun
soggetto aveva espresso il sospetto per quanto riguarda il comportamento cooperativo o non
46
cooperativo del giocatore B e, secondo il resoconto individuale finale che abbiamo raccolto,
nessuno aveva indovinato il vero scopo del gioco.
Capitolo 5
Risultati
5.1. Analisi dei dati
Abbiamo registrato le risposte dei partecipanti (“TAH” allo stimolo tattile) tramite un piccolo
microfono con cui è stato possibile memorizzarli per l’analisi off line, grazie al software
C.I.R.O. Successivamente, per ogni prova, abbiamo calcolato i TR effettivi del singolo
soggetto per i 7 diversi tempi di somministrazione dello stimolo, sottraendo ai dati grezzi il
47
tempo reale in cui veniva dato lo stimolo tattile. Per esempio, se un soggetto in un trial con
stimolo tattile in D-2 rispondeva a 1313 ms dall’inizio del suono, abbiamo sottratto 750 ms
corrispondenti al tempo effettivo in cui egli riceveva lo stimolo tattile. Abbiamo eliminato i
catch trial cioè quelle prove in cui non era presente lo stimolo tattile, ma solo il suono.
Abbiamo calcolato le medie dei tempi di reazione per ogni intervallo temporale, da D-2 a D5.
Per la nostra analisi abbiamo utilizzato solo gli intervalli temporali in cui lo stimolo era
bimodale, quindi non abbiamo considerato le condizioni unimodali D0 e D6 in cui invece i
soggetti ricevevano lo stimolo tattile nei 500 ms di silenzio prima e dopo l’inizio del suono. In
questo studio le variabili dipendenti, cioè quelle che misuriamo, sono quindi i TR (in y),
mentre la variabile indipendente è rappresentata dall’intervallo di tempo in cui viene rilasciato
lo stimolo tattile (in x). Lo studio è within subjects, poiché è lo stesso gruppo di soggetti che
esegue il compito sia prima (pre) che dopo il gioco (post). La figura 14 riassume i dati ottenuti
dallo studio.
660
640
620
600
PRE
580
POST
560
540
520
D-2
D-1
D1
D2
D3
D4
D5
Fig.10. Sono qui riportate le media dei TR nei 7 delay in cui veniva somministrato lo stimolo tattile, prima (in
blu) e dopo (in rosso) il gioco, con le rispettive barre di errore. I soggetti sono in media più lenti nelle risposte in
cui lo stimolo tattile è somministrato quando il suono è lontano dal soggetto. Man mano che il suono sembra
avvicinarsi, i TR si velocizzano in modo progressivo.
Per verificare le differenze fra il pre e il post e se effettivamente vi sono cambiamenti dei
confini dello spazio peripersonale, abbiamo analizzato i dati applicando un’ANOVA con i
fattori distanza a 7 livelli (D-2, D-1, D1, D2, D3, D4, D5) e sessione a due livelli (pre e post
gioco economico). L’analisi della varianza ha mostrato un effetto significativo per il fattore
48
distanza [F (6,114) = 3.66, p <.001] e per l’interazione distanza x sessione [F (6,114) = 2.21, p
<.05]. La riflessione più importante è stata fatta sull’interazione, che va a mostrare le
differenze nei vari tempi di reazione nelle due sessioni. L’ effetto della distanza ci dice solo
che i soggetti sono diversamente veloci a rispondere quando lo stimolo si avvicina al loro
corpo, come già provato dagli studi sull’integrazione multisensoriale nello spazio
peripersonale (Canzoneri et al., 2012). Guardando i post-hoc Newman-Keuls dell’interazione
invece si è visto che in D1, i TR dopo la partita sono stati significativamente diversi, più
veloci, rispetto a prima della partita (p =0,03) confermando che, dopo l'interazione
cooperativa, l’interazione audio-tattile era maggiore per suoni presentati alla posizione
occupata dal altro. Questo invece non avviene per i punti più lontani D-1 e D-2 che non sono
significativamente diversi nelle due condizioni, così come tutti gli altri delay D2, D3, D4, D5
( p>.10). I TR sono stati modulati dalla localizzazione spaziale dei suoni, sia prima che dopo
il gioco economico, ma il punto critico in cui i suoni interagiscono maggiormente con lo
stimolo tattile era situato a una distanza più lontana da soggetto dopo la partita rispetto a
prima della cooperazione.
Per descrivere meglio i dati ottenuti con questo paradigma abbiamo inoltre fittato la media dei
tempi di risposta al target tattile nei diversi intervalli temporali (figura 11) con una funzione
sigmoidale
descritta
dalla
seguente
equazione:
dove x rappresenta la variabile indipendente (cioè, l’intervallo temporale da D-2 a D5), y la
variabile dipendente (cioè, il tempo di reazione), ymin e ymax i livelli di saturazione inferiore
e superiore della sigmoide, xc il valore dell'ascissa al punto centrale della sigmoide (ad
esempio il valore di x con y = (ymin+ ymax)/2) e b la pendenza della sigmoide al punto
centrale (vedi anche Canzoneri et al., 2012).
49
Fig 11. Vengono riportati i tempi di reazione alle 7 distanze, prima (linea continua) e dopo la partita (linea
tratteggiata) con le relative barre di errore che esprimono l’errore standard della media. Tutti i RTs sono
rappresentati in funzione dei diversi intervalli temporali con una curva sigmoidale. Il punto centrale della curva è
calcolato come misura del confine dello spazio peripersonale, ovvero la distanza in cui il suono inizia a
interagire con lo stimolo tattile. Il punto centrale della funzione è inferiore dopo la partita (1731 ms) rispetto a
prima (1911 ms), indicando appunto che i confini dello spazio peripersonale si estendono verso la persona
cooperativa.
5.2. Discussioni
In conclusione, il presente studio offre nuove conferme su come effettivamente la
rappresentazione PPS è sensibile alla presenza degli altri, ma ancora di più all’interazione che
avviene tra due individui e la valutazione del comportamento altrui. Studi precedenti hanno
indagato un collegamento tra la rappresentazione PPS e gli stati emotivi degli individui. In
particolare uno studio del 2011 di Lourenco e collaboratori ha studiato la relazione fra lo
spazio peripersonale e la paura claustrofobica sottolineando come quest’ansia sia in stretta
relazione con la percezione dello spazio vicino. Più i confini dello spazio sono estesi,
maggiore sarà il livello di paura claustrofobica, più la rappresentazione dello spazio è ridotta
meno saranno i livelli di paura (Lourenco et al., 2011). Questi risultati concordano
pienamente con quanto detto sulla funzione difensiva e di interazione col mondo circostante
propria dello spazio peripersonale (Graziano & Cooke, 2006) di cui si è parlato nel secondo
capitolo. Anche nel nostro studio emerge chiaramente il rapporto tra lo spazio e i sentimenti,
in particolare quelli che regolano la contrattazione di una somma di denaro. Dopo
un’interazione ingiusta, non cooperativa, i soggetti dell’esperimento di Teneggi e
collaboratori
erano
genericamente
più
veloci
a
rispondere
agli
stimoli
tattili,
indipendentemente dalla posizione di suoni nello spazio. Tale effetto di generale aumento
della velocità sembra non essere direttamente correlato all’elaborazione spaziale e
probabilmente dipende dall’aumento di eccitazione dovuto al comportamento socialmente
50
inaccettabile degli altri. Studi di registrazione della conduttanza della pelle e dell’attività
cerebrale (Singer et al., 2006) hanno osservato come l’ingiustizia subita suscita emozioni
negative che aumentano le risposte di conduttanza della pelle e l’attività dell'insula e
dell'amigdala, aree del cervello coinvolte costantemente nella modulazione delle emozioni
negative. Invece, dopo l’interazione cooperativa, i confini dello PPS tra il sé e l'altro si
modificano, e i soggetti rispondono più velocemente allo stimolo tattile quando il suono è
nello spazio occupato dall’altro, diversamente a quanto accadeva prima del gioco. Tale effetto
può essere interpretato tenendo conto della diversa esperienza di interazione che si viene a
creare, evidenziando così una forte relazione tra funzioni sensorimotorie e le complesse
rappresentazioni sociali. Lo studio quindi ha sottolineato come i confini dello spazio
peripersonale si modificano dopo una interazione cooperativa, fenomeno che invece non si
presenta dopo che due individui non hanno cooperato durante il gioco economico. Per
dimostrare ulteriormente che lo spazio peripersonale si estende dopo la collaborazione il
paradigma è stato replicato sul gruppo cooperativo, il solo in cui si erano registrati risultati
significativi nello studio precedente. Abbiamo considerato la detezione dello stimolo anche
tattile quando il suono veniva presentato nello spazio lontano, non corrispondente con la
posizione occupata dall’altro. Ci aspettavamo quindi che, come nell’esperimento di Teneggi e
collaboratori, i confini si allargassero tanto da includere l’altro nel proprio spazio osservando
una velocizzazione in questa porzione di spazio, ma non in quello più lontano, lontano non
solo dal soggetto, ma anche dal confederato. Il nostro intento era pertanto falsificare l’ipotesi
di una generale velocizzazione dei tempi di reazione dopo il gioco, cioè in tutti i punti in cui
veniva rilasciato lo stimolo tattile. I risultati registrati hanno evidenziato che i TR in D-2 e D1 (dietro all’attore) non erano significativamente diversi prima e dopo il gioco, differenza
invece trovata in D1, che corrisponde in modo approssimativo alla posizione dell’altro.
Questo dimostra come realmente il PPS si estende fino all’altro in funzione della
cooperazione. Possiamo quindi affermare che i confini dello spazio entro cui gli stimoli
esterni vengono elaborati in modo più efficiente per implementare un comportamento
difensivo o per interagire con il mondo esterno programmando una reazione, si spostano verso
lo spazio occupato dall’altra persona, ma non vanno oltre. Le esperienze fisiche e percettive
del corpo vengono ricodificate dalle rappresentazioni sociali e cognitive di alto livello (in
questo caso, la cooperazione) facilitando la previsione e la valutazione, del comportamento
sociale altrui (Niedenthal PM, 2007).
51
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55
56
Un doveroso ringraziamento alla Dottoressa Teneggi, alla sua umiltà che mi ha permesso
di continuare con impegno questo lavoro. Grazie a tutte le ventisette ragazze che hanno
dedicato un’ora preziosa delle loro giornate estive ai nostri esperimenti. Nostri, si. Grazie
Sissi-collega-suprema in un’altra vita, chissà, forse, eravamo ricche titolari di un negozio
di manichini.
Ai treni presi al volo, come quello del 14 Settembre. Anche a quelli persi, perché, da un
finestrino, il mondo sembra sempre diverso.
A tutti i sorrisi che hanno contribuito a questo lavoro.
A mio padre, perché crede in me e perché basta una parola per farmelo capire.
A mia madre, alla quale a volte vorrei somigliare un po’ di più.
A Salvatore, perché quello che ci unisce non si può spiegare.
A Vito, perché non posso immaginare senza di lui come sarebbe. Perché, da più di sei
anni, ogni giorno, sopporta i miei difetti.
Alla mia famiglia di Rimini, grazie per avermi fatto sentire ogni giorno sempre più a casa.
A Roby e Giò e all’energia che trasmettono. Grazie a chi non c’è più, ma è sempre
presente.
Ai miei nonni, per tutto quello che imparo da loro, senza dover dare esami.
A zio Egidio e alla sua famiglia, che è anche la mia. Grazie ad Angi, perché è proprio
come la sorellina che ho sempre desiderato.
Alla deralula s.p.a., ad ogni sua singola componente, perché siamo ancora insieme, un
buon motivo per ritornare al passato. Sempre.
A tutti i miei amici che anche lontani, sento sempre vicini. A Rossella e all’attesa gioiosa
di poter sorridere ad un nuovo viso. A Ross, perché parlare con lei è tutta un’altra storia.
A Maria, per quello che sarà.
E infine, ma solo in ordine di arrivo nella mia vita, grazie a voi che avete invaso così
dolcemente il mio spazio peripersonale. A questi due intensi anni insieme, che ne valgono
almeno venti. Alle pedalate sotto la pioggia con Catia, all’immancabile carezza mattutina
di Eli che entra “nella mia camera” ancora assonnata, alle nottate passate sottovoce con
Marzia, a quel fare unico di Cri, che adoro così tanto. Grazie anche a chi non ho capito e
poi si è allontanato.
A chi è felice per me e con me, oggi.
L’infinito umano è tutto qui. (N.F.)
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